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Gli Usa? Sono gia' in bancarotta. Molto peggio della Grecia. Inutile temere sul futuro dell'economia americana.

Gli Stati Uniti sono gia' in bancarotta. La dichiarazione e' forte e non vuole certo gettare panico tra gli operatori. Ma val la pena capire le basi del ragionamento di colui che lancia l'allarme (a dire il vero, non e' il solo) dalle colonne di Bloomberg: Laurence J. Kotlikoff, professore di economia alla Boston University.

L'idea chiave e' la seguente: il deficit di bilancio Usa e' 15 volte superiore a quello ufficiale. Una possibile soluzione per rimettere ordine passa attraverso quattro mosse, purche' siano "radicali" e riguardino tasse, settore della salute, sistema pensionistico e comparto finanziario.

Andiamo con ordine, partendo da una nota del mese scorso del Fondo Monetario Internazionale sulle politiche economiche degli Stati Uniti. Nel sommario di questo rapporto annuale, ricorda Kolikoff, c'era l'invito alla classe politica a una stabilizzazione fiscale attraverso aggiustamenti "piu' ampi dei costi stimati". Un esempio: "chiudere il deficit richiede un aggiustamento fiscale permanente del 14% del Pil Usa su base annuale". Insomma, per ripianare tale deficit, frutto della differenza tra spese e ricavi programmati per il futuro, secondo il professore di economia, sarebbe necessario un immediato e permanente raddoppio di redditi personali e tasse federali e aziendali.

Un simile aumento delle tasse porterrebbe gli Stati Uniti a un surplus del 5% del Pil quest'anno invece di un deficit del 9%. Parafrasando la nota del Fmi, Kolikoff suggerisce che gli Usa hanno bisogno di una bella fetta di surplus per un bel po' di anni per poter pagare le spese di bilancio. E piu' si aspetta per porre rimedio alla situazione fiscale attuale piu' la stessa peggiorera'.

Il disavanzo fiscale calcolato dal professore della Boston University e' 15 volte superiore a quello ufficiale: $202 mila miliardi. Si tratta di una discrepanza "non sorprendente: riflette cio' che gli economisti chiamano "labeling problem". E' un po' come se tutto dipendesse da che cosa prendere in considerazione per ottenere un determinato dato. "Il Congresso e' stato molto attento negli ultimi anni ad etichettare i suoi passivi in modo tale da tenerli al di fuori dal proprio bilancio e cosi' fara' nel futuro" ha spiegato Kolikoff.

Perche' la cifra e' cosi' ampia? Semplice, spiega l'economista: negli Usa ci sono 78 milioni di baby boomer che, quando saranno tutti in pensione, riceveranno benefici in termini di Social Security, Medicare e Medicaid. Tutti programmi statali il cui costo superera' il Pil pro capite: $4 mila miliardi all'anno. "L'economia americana potra' anche crescere da qui a 20 anni ma mai cosi' tanto da poter gestire costi di questa portata anno dopo anno", ha scritto su Bloomberg il professore. "Questo e' il risultato dell'applicazione di una sorta di Schema Ponzi che va avanti da 60 anni: prendere risorse dalla popolazione piu' giovane per darla a quella piu' vecchia". E citando Herb Stein, presidente dello staff degli economisti alla Casa Bianca ai tempi di Richard Nixon, Kolikoff avverte: "cio' che non puo' andare avanti verra' fermato".

Il punto e' che lo si fermera' troppo tardi e con modalita' non piacevoli. Tre le possibilita': "ingente sforbiciata dei benefici legati al pensionamento dei baby boomer, incremento astronomico delle tasse e enorme quantita' di moneta da stampare da parte del governo per coprire i buchi nei propri conti".

Insomma, un piano lacrime e sangue che non solo ricorda la situazione greca, peggio. Poverta', tasse, costo del denaro e inflazione cresceranno, una strada "terribile" da percorrere senza se e senza ma perche' gli "Stati Uniti si trovano in una situazione fiscale peggiore della Grecia".

L'economista conclude criticando i keynesiani convinti che stimoli fiscali ulteriori non inficerebbero la capacita' di gestione del deficit stesso. "Il nostro paese e' finito", e' la perentoria conclusione.

 

Operai sempre più poveri e più precari
Così torna in borsa General Motors

L'azienda fa ancora utili, ma Detroit è peggio di Pomigliano. La GM ha inventato i lavoratori a chiamata, senza la piena copertura sanitaria e senza anzianità

Il complimento forse più importante Barack Obama l’ha ricevuto dal’ Economis che in un editoriale oggi propone di “chiedere scusa” al presidente Usa per le dure critiche al suo piano di salvataggio che ha permesso lo scorso anno a General Motors, Ford e Chrysler di evitare o superare la bancarotta.

L’azienda simbolo della crisi americana, la General Motors, si appresta infatti a tornare in Borsa. Ha chiesto l’ammissione al listino di New York e di Toronto con un’offerta pari a circa 16 miliardi di dollari in modo da permettere di ridurre più velocemente la partecipazione del governo nella società automobilistica, che attualmente è al 61 per cento (il fondo pensione Veba al 17,5 e il governo canadese all’11,7 per cento). General Motors prevedeva di tornare in Borsa nel 2011 – il titolo fu eliminato dal listino proprio causa bancarotta – e l’anticipo sui tempi è una prova di forza che la compagnia di Detroit può permettersi in forza dei risultati ottenuti nella prima metà del 2010. Utili nel primo trimestre pari a 865 milioni di dollari saliti a 1,3 miliardi nel secondo trimestre 2010.

Meno ferie, meno bonus e meno soldi
I complimenti dovrebbero però essere girati anche ai lavoratori del colosso Usa dell’auto. Furono infatti il presidente e il vicepresidente del sindacato Uaw – United Automotive Workers – della General Motors a dover scrivere a tutti i dipendenti del gruppo per spiegare la necessità di arrivare a un nuovo “accordo” che si facesse carico della difficoltà e consentisse all’azienda di provare a recuperare competività e risorse. L’accordo è stato ovviamente firmato e poi approvato dal 74 per cento dei lavoratori anche se circa 30 mila di loro, compresi 6000 “white collar”, cioè gli impiegati, e il 35 per cento dei dirigenti, sono stati messi fuori. Per chi è rimasto si è trattato di rinunciare, almeno fino al 2015, a una parte delle ferie, ai bonus produttività, ad alcune festività e poi di sottoporsi alla riduzione della pause di lavoro (40 minuti su 8 ore), e in particolare ad assistere a un indebolimento della loro forza contrattuale con due passaggi importanti: l’istituzione di una specifica categoria “Flex Employers” cioè gli impiegati flessibili, lavoratori a disposizione part-time per i picchi di produttività ma senza la piena copertura sanitaria e senza poter accedere ai requisiti di anzianità; e poi l’introduzione di un contratto diverso, con minor stipendio e minori garanzie (12-15 dollari contro i 20-30 dollari l’ora garantiti finora) per i nuovi assunti.

Pensionati e azionisti
Ma quello che ha pesato di più nella disponibilità del sindacato è stata la trasformazione del Fondo Veba (Voluntary Employees Beneficiary Association), cioè il fondo per garantire assistenza sanitaria ai pensionati, in un azionista della società stessa. I circa 20 miliardi di dollari che la Gm avrebbe dovuto versare nel Veba si sono così ridotti a 10 miliardi con quest’ultimo che si è invece trovato a possedere il 17,5 per cento di azioni della Gm oltre a detenere un 6,5 per cento di azioni privilegiate con la distribuzione di un dividendo annuo del 9 per cento. Questa revisione ha fatto sì che gran parte delle prestazioni sanitarie agli assistiti siano state ridotte o eliminate, come le cure dentarie, e che il fondo Veba dipenda esclusivamente dalle prospettive economiche dell’azienda per dare una garanzia ai suoi dipendenti.
Quando General Motors ha annunciato il ritorno all’utile, il sindacato Uaw ha espresso orgoglio e soddisfazione: “Siamo lieti di aver contribuito al risanamento della Gm – ha detto il presidente Bob King - gli impegni, i sacrifici e il duro lavoro dei membri della Uaw alla Gm occupa un ruolo enorme in queste notizie positive che giungono dalla compagnia”.

L’ispirazione per Marchionne
Musica per le orecchie di un manager come Sergio Marchionne che con la Uaw ha avuto a che fare nel momento in cui la sua Fiat è entrata nel capitale di Chrysler. E che sta cercando di applicare il “metodo Gm” anche in Italia, a cominciare dallo stabilimento campano di Pomigliano d’Arco. Con l’intervento di Obama, 6 miliardi di dollari, il governo Usa è diventato il primo azionista della terza “casa” americana. Fiat è al 20 per cento ma con l’opzione di arrivare al 35. Marchionne ha potuto contare su un accordo con la Uaw analogo a quello di General Motors: diminuzione delle garanzie sindacali, trasformazione del fondo pensioni in azionista dell’azienda, introduzione di una seconda categoria contrattuale e, addirittura, la garanzia fino al 2015 di non subire scioperi contro gli accordi economici. Insomma, un sindacato di cui fidarsi, del tipo proposto con insistenza dalla Cisl di Raffaele Bonanni.




Per salvare l’industria dell’auto
Basterà tutto questo a salvare l’auto? Lo stesso Economist, nel suo editoriale di oggi, non ci scommette del tutto. Gli analisti statunitensi che ieri hanno commentato il ritorno in Borsa di Gm hanno messo l’accento sul fatto che la crisi è tutt’altro che finita. Il mercato delle auto è fermo, Gm continua a perdere quote di mercato (anche in Cina dove è scesa dal 17,8 al 17,6 per cento in un anno mentre negli Usa sta per essere superata da Ford), il cambio di direzione – l’amministratore delegato Ed Whitacre sarà sostituito da settembre da Dan Akerson – potrebbe produrre scompensi. Come rilevava ieri l’agenzia Bloomberg, i profitti della seconda metà del 2010 non saranno al livello di quelli del primo. Tutti elementi che non creano un buon ambiente per collocare le azioni sul mercato.
 

 

Clima, il supermonsone
che minaccia l'Europa

L'aria calda africana incontra quella fredda atlantica. Ormai strutturali episodi che prima erano eccezionali. Così sta cambiando la mappa del meteo di ANTONIO CIANCIULLO

ROMA - Un super monsone in Asia e una raffica di piogge monsoniche che sconvolge l'Europa. Il caos climatico cambia la mappa del meteo, rende strutturali episodi eccezionali, costringe a cercare nuove parole per descrivere fenomeni che assumono intensità e frequenza del tutto anomale.

E così dall'Ibimet, l'istituto di biometeorologia del Cnr di Firenze, provano a forzare il vocabolario per tradurre l'intensificarsi dei drammi che colpiscono decine di milioni di persone.

"I termini che fino a ieri usavamo abitualmente per descrivere le piogge eccezionali che colpivano l'Europa non danno più l'idea di quello che succede realmente oggi", spiega Giampiero Maracchi, responsabile dell'istituto. "A molti l'uso del termine monsone in uno scenario europeo sembrerà improprio, ma quello che sta accadendo ha caratteristiche simili alla dinamica dei monsoni. C'è l'umidità proveniente dall'Atlantico che si incanala dalla Gran Bretagna verso il Mediterraneo, dove trova l'onda calda che dai tropici si spinge sempre più lontano, sempre più vicino ai Poli. E c'è il contrasto tra questi due flussi, tra il mare di aria calda africana e la corrente di aria fredda atlantica: la massa di aria calda prima sale e poi si condensa, trasformandosi in piogge violente. Negli ultimi 15 anni ci sono stati tre episodi alluvionali sull'Europa centrale come quello che stiamo vivendo in questi giorni. E' un fenomeno recente collegato all'anomalia termica su scala globale: fino a pochi anni fa la
spinta calda non arrivava così lontano con questa forza".

Se nella traiettoria verso nord ovest l'alito rovente del mutamento climatico si scontra con il mondo freddo e umido dell'Atlantico provocando valanghe di acqua, sul lato opposto, dove intercetta la corrente in risalita verso nord est, non trova opposizione e così il calore del Sahara può arrivare indisturbato fino alla steppa e incendiarla. Alluvioni e siccità, come aveva previsto l'Ipcc, la task force dei climatologi dell'Onu, convivono e traggono forza dalla stessa radice: la caldaia del pianeta, alimentata dall'anidride carbonica emessa dalle ciminiere e dalle foreste tagliate, fa salire la pressione spostando i confini del caldo, spingendo il deserto verso l'Europa.

"L'energia in gioco cresce sempre più velocemente perché i gas serra sono una coperta termica che trattiene il calore", continua Maracchi. "Questo calore viene assorbito dal mare e scambiato con l'atmosfera: quest'anno le acque del Mediterraneo hanno viaggiato su valori 6 gradi sopra la media. Un'anomalia che innesca altre anomalie, anche anomalie che ci toccano da vicino. In Italia fino agli anni Novanta avevamo un'intensità di piogge che arrivava a 40 millimetri nell'arco di due o tre ore. Oggi siamo a 80 - 100 millimetri, con punte sempre più frequenti che superano i 250 millimetri: una cascata d'acqua che basta niente a trasformare in alluvione".

Questo quadro si è andato delineando negli ultimi due decenni, quelli che hanno registrato una crescita della temperatura senza precedenti nella storia delle meteorologia e destinata ad accelerare ulteriormente in assenza di contro misure. Cioè dei piani operativi per il rilancio dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili su cui non è stato trovato un accordo al vertice Onu di Copenaghen dello scorso dicembre. Fino a ieri anche le quotazioni della prossima conferenza sul clima, quella di Cancun, erano basse perché l'intesa politica non si profila. Ma certo il muro di acqua che ha affondato l'Europa centrale, i 15 milioni di sfollati in Pakistan e il fuoco che assedia le centrali nucleari in Russia rendono difficile continuare a ignorare l'urgenza della battaglia contro il caos climatico.

IL SURRISCALDAMENTO GLOBALE PORTA ALL'ARRETRAMENTO DEI GHIACCIAI ED ALL'APERTURA DEL PASSAGGIO A NORD EST

Mappa di Russia - Chukotka Okrug Autonomo (2008-03). Svg

A 10 anni dalla tragedia Kursk
Artico, polveriera nucleare

Il 12 agosto del 2000 l'esplosione nel sommergibile atomico in cui persero la vita 118 marinai russi. I reattori ancora abbandonati in un deposito all'aperto in attesa di stoccaggio. E il passaggio di Nord Est, rotta sempre più battuta dal traffico commerciale, è disseminato di relitti potenzialmente pericolosi di JACOPO PASOTTI

Sono passati dieci anni da quando il sommergibile nucleare russo Kursk affondò durante una manovra militare 1a seguito di una esplosione. Alla prima esplosione ne seguirono altre, percepite sia da navi militari russe coinvolte nella stessa operazione che da un sommergibile statunitense, nei paraggi per "spiare" l'esercitazione. Persero la vita tutti i 118 marinai a bordo, abbandonati nel relitto a 110 metri di profondità nel Mare di Barents, non lontano dalle coste norvegesi. Un anno dopo una compagnia olandese recuperò il relitto e lo trasportò in una officina militare nel porto di Murmansk, nella penisola di Kola, per essere smantellato. I due reattori nucleari del sommergibile (miracolosamente intatti dopo le esplosioni) furono sistemati in un deposito all'aperto, dove giacciono ancora insieme ad altri 40 reattori nucleari abbandonati da decenni in attesa di una sistemazione sicura. Che per ora non esiste, e che solleva timori sul futuro di queste ed altre scorie "temporaneamente" posteggiate lungo le coste siberiane e nei mari artici.

Spazzatura nucleare. Il passaggio di Nord Est, che unisce la Scandinavia ai porti asiatici orientali, nasconde però altre sorprese. Il 21 luglio le autorità russe hanno dato il via a una ispezione delle coste siberiane in cerca di scorie radioattive, relitti di navigli nucleari e altri "oggetti potenzialmente pericolosi" disseminati lungo la rotta. Una
nave specializzata sta scandagliando i fondali da Arkhangelsk fino alla regione Chukotka (nei pressi dello stretto di Bering). Solo nei pressi dell'isola di Novaya Zemla "sono sepolti molti oggetti contenenti materiali radioattivi, incluso il reattore della prima rompighiaccio nucleare della storia, la Lenin", spiega Maksim Vladimirov, del Ministero della Difesa, in una intervista alla agenzia stampa RIA Novosti. Intanto altri sette reattori di altrettanti sommergibili dismessi sono stati inviati nella baia di Saida, non lontano da Murmansk. Si affiancheranno ai già 40 container stoccati in un deposito di cemento (costruito grazie a un finanziamento tedesco di 150 milioni di euro). Sono però ancora 50 quelli in attesa di essere sigillati e spediti nel deposito, mentre fonti norvegesi affermano che decine di reattori giacciono ancora su boe galleggianti ormeggiate nella baia: un rischio altissimo per l'ambiente marino.

Ma la Russia sembra non avere sotto pieno controllo il destino delle proprie scorie radioattive. In maggio un blogger russo ha diffuso la notizia dell'affondamento di una nave che aveva per anni trasportato residui nucleari lungo le coste siberiane. La Severka era ridotta a un rottame quando è colata a picco nel porto di Aleksandrovsk. Il blogger commentava: "Ora mi chiedo cosa ci aspetta in futuro". La notizia è stata tenuta nascosta alle autorità norvegesi, nonostante tra i due Paesi esista un reciproco accordo che prevede la notifica di incidenti che coinvolgano diffusione in zone di confine di materiali radioattivi.

I piani nucleari russi comunque procedono. A giugno è stata varata la prima centrale nucleare galleggiante. Un colossale impianto che sarà operativo nelle acque territoriali artiche entro la fine del 2012.

Un mare sempre più sfruttato. Oltre al traffico marittimo a rischio, nell'Artico sembra destinato ad aumentare però anche lo sfruttamento dei fondali, soprattutto per la esplorazione di giacimenti di gas e petrolio. Le compagnie petrolifere hanno già speso 5 miliardi di euro da quando i fondali nel mare di Barents sono stati aperti alla esplorazioni. Secondo il quotidiano norvegese Dagens Næringsliv sono state già compiute 83 trivellazioni. Malgrado fino ad oggi quel settore non abbia dato i frutti sperati, le compagnie (tra cui Statoil, Gaz de France e l'italiana Eni) intendono intensificare le prospezioni. Statoil ed Eni in particolare hanno deciso di cominciare nuove esplorazioni in un settore marino a 80 chilometri dalla costa norvegese. Decisione che ha innescato la rivolta degli ambientalisti della Ong Friends of the Earth, che temono una seconda Deepwater Horizon. Secondo il leader norvegese della Ong Lars Haltbrekken, le compagnie non hanno imparato nulla dal disastro della BP: "Tutte le valutazioni di impatto ambientale di Eni sono datate e non includono l'esperienza del Golfo del Messico".

La banchisa polare si riduce a causa del cambiamento climatico, e il Passaggio di Nordest è sempre più trafficato da petroliere e altre imbarcazioni commerciali. Proprio questo luglio una nave norvegese da trasporto carica di minerali di ferro è salpata da Kirkenes in Norvegia con l'intento di percorrere la rotta circumpolare. È la prima volta che le autorità russe permettono a una nave commerciale straniera di compiere questa rotta. Un esperimento per valutare il possibile incremento del traffico internazionale lungo il passaggio. Malgrado i timori per l'ambiente artico rimangano, le autorità russe hanno promesso ingenti investimenti per migliorare la sicurezza delle acque artiche.

 

Le fiamme piegano un Paese
non ancora diventato moderno.La Russia in ginocchio.

Diecimila pompieri sono troppo pochi per uno Stato così vasto e disseminato di boschi e torbiere. La rete delle infrastrutture al collasso malgrado gli introiti arrivati da petrolio e gas 

di SANDRO VIOLA

MOSCA - Joe Biden, il vice presidente americano, aveva sfiorato l'anno scorso un grosso incidente diplomatico quando aveva detto che la Russia non sta in piedi. Che la sua popolazione continua a decrescere precipitosamente (140 milioni oggi,100 previsti per il 2050), la sua economia boccheggia, il suo sistema bancario non reggerà alle sfide dei prossimi anni. I russi s'erano molto arrabbiati, il progetto Obama-Hillary Clinton di riaggiustare il complesso dei rapporti russo-americani era parso in pericolo. Ma gli incendi che flagellano la Russia da settimane, la lampante incapacità dei responsabili centrali e regionali di farvi fronte, gli aeroporti chiusi, la nube di fumo che grava su Mosca, le vittime, i crematori che respingono le nuove bare perché già strapieni dei cadaveri degli anziani morti in questi giorni per il caldo e l'aria inquinata, tutto questo dimostra che Biden aveva ragione.

La verità, infatti, è che la Russia è un paese ancora in bilico tra la spaventosa arretratezza lasciata da sette decenni di comunismo, e i pochi, sconvinti tentativi che il regime di Vladimir Putin ha fatto dal 2000 ad oggi per portarlo nella modernità. Tutta la rete delle sue infrastrutture - condotte d'acqua, elettricità, trasporti, strade, fogne - è per vastissimi tratti vicina al collasso, nonostante gli enormi introiti da petrolio e gas venuti alle casse del regime tra il 2001 e il 2008. Lo si vede chiaramente in questi giorni. Due, dico due, elicotteri sorvolano la zona di Mosca per
monitorare l'estendersi degli incendi. Diecimila pompieri, un numero irrisorio per un paese tanto vasto e disseminato di boschi e torbiere, cercano d'arginare le fiamme, senza che l'esercito sia ancora stato chiamato a intervenire. E infatti gli incendi continuano a moltiplicarsi, a causa anche dei venti da sud-est che spingono le fiamme sempre più vicino alla capitale.

Putin dovrà rinunciare quest'anno al suo rituale show estivo. Non cavalcherà a torso nudo nella tundra siberiana, nel suo stile machista-mussoliniano, seguito da un folto gruppo di fotografi precettati. Va in giro, certo, sui fronti degli incendi, promette una rapida ricostruzione delle case bruciate (tutte ancora di legno e prive di fognature, spesso isbe centenarie, nelle zone agricole), e soprattutto si lancia in dure filippiche contro le autorità regionali e locali, additate come responsabili di non aver circoscritto il disastro. Né più né meno come facevano i leader sovietici ad ogni sciagura nazionale: le colpe sempre in periferia, mentre al centro, al Cremlino, nessuna ammissione d'imprevidenza e corresponsabilità.

Non è certo, tuttavia, che i russi si sentiranno rassicurati anche stavolta alla vista del muscoloso torace del primo ministro. Stavolta, quel simbolo di vigoria fisica che aveva impressionato negli anni scorsi, dando ai russi la sensazione d'essere guidati da un uomo forte, rischia di servire a poco. Lo spettacolo d'imprevidenza e inadeguatezza dato dal governo è in effetti troppo vistoso, strepitoso. E gli umori dei russi si stanno guastando. Un lavoratore agricolo della zona di Tver ha scritto infatti su Internet un messaggio che riassume perfettamente la situazione. "Ai tempi del comunisti, avevamo un laghetto come riserva d'acqua contro gli incendi, una campana per lanciare l'allarme, e una pompa anti-incendi (sia pure una sola su ogni tre villaggi) per intervenire. Al posto di tutto questo, abbiamo adesso un telefono che aspetta ancora d'essere collegato alla linea del nostro capoluogo".

Beninteso, non si possono sottovalutare le gravi difficoltà che qualunque governo si sarebbe trovato di fronte. Ondate di caldo che non si registravano da 130 anni, un suolo torbaceo che trattiene le fiamme anche dopo che i gettiti d'acqua hanno spento l'incendio in superficie, i venti sempre favorevoli all'estendersi della catastrofe. Ma qui non si parla d'un piccolo paese e d'una piccola capitale. Stiamo parlando della Russia, la cui Banca centrale dispone di riserve che sono tuttora (benché erose dalla crisi del 2008) tra le più pingui del pianeta. Ma queste risorse non sono state utilizzate in tempo come avrebbero dovuto per rinforzare, ammodernare, le capacità d'intervento della protezione civile. In più, un sistema di governo supercentralizzato non ha consentito di dotare le regioni dei fondi necessari a munirsi di migliori mezzi anti-incendi. E il risultato è che Mosca, avvolta in un fumo biancastro, con la gente che non esce di casa, sembra, come scrivono i corrispondenti dei giornali stranieri, una città fantasma, con due dei suoi tre aeroporti civili che funzionano a singhiozzo, le ambasciate che cominciano ad evacuare il personale, mentre le compagnie aeree russe fanno pagare quasi 1.500 euro un posto in economica sui voli Mosca-Berlino.

Un disastro dell'anno scorso, l'esplosione della centrale idroelettrica di Sayamo-sushenka, con circa 80 morti, avrebbe dovuto insegnare qualcosa. I tecnici avvertivano da anni, infatti, che l'impianto si stava facendo sempre più insicuro, e necessitava perciò di urgenti lavori di ristrutturazione. Ma le relazioni tecniche erano scivolate alla russa, alla Gogol, dalle scrivanie della burocrazia regionale e moscovita, senza che si prendessero le misure richieste. E l'esplosione era venuta. Inutile dirlo, come ad ogni sciagura nazionale o attacco del terrorismo caucasico, l'assenza d'una vera, credibile commissione d'inchiesta resta la regola del regime. Nessun coinvolgimento d'esperti stranieri, nessun dibattito che coinvolga l'opposizione politica, il mondo accademico, i giornali. Solo le nuove foto di Putin a cavallo col torso nudo. Per molti versi (salvo che Breznev, Andropov e Cernienko non si facevano ritrarre senza camicia), gli usi dell'Unione Sovietica.

La ripresa rallenta in Usa e Cina
e le borse mondiali vanno a picco

In Europa bruciati 103 miliardi in una seduta. Piazza Affari e Madrid in coda ai listini, "gelati" anche dalle preoccupazioni della Federal Reserve e i rischi di deflazione. Wall Street chiude al -2,48%. L'euro affossato dal no slovacco al prestito per la Grecia

di LUCA PAGNI

MILANO - Sarà che la corsa delle Borse durava ormai dai primi di luglio e prima o poi c'era da aspettarsi una correzione anche forte dei mercati. Ma non c'è dubbio che l'ondata di vendite che si è abbattuta oggi sulle Borse di tutto il mondo nasconda ben altro che non una semplice voglia si speculazione. Quello che temono i mercati - così come tutte le autorità economiche mondiali - è una seconda coda della recessione che ha appena compiuto tre anni. Le avvisaglie ci sono tutte e il pericolo vero si chiama deflazione: scarsa crescita, inflazione che sale e mancata creazione di nuova occupazione.

Così è stato letto l'allarme lanciato ieri dalla Fed 1, la banca centrale americana che ha parlato di un rallentamento della crescita più alto di quanto previsto e del pericolo che l'inflazione torni a correre quanto prima. Facendo capire che potrebbero occorrere nuove manovre a sostegno dell'economia americana. Un primo esempio la decisione di investire sui titoli di stato a lungo corso.

Una notizia che ha provocato la caduta di tutte le piazze Europee, movimento accelerato da altri dati macro negativi. Dalla Cina è arrivato l'allarme inflazione: si è attestata al 3,3% rispetto al 2,9% di giugno e alla 'soglia di attenzione' del 3% fissata dal governo di Pechino. Inoltre, il dato della produzione industriale cinese è cresciuto 'solo' del 13,4% rispetto a un anno fa, segnando la variazione
inferiore da 11 mesi a questa parte.

La Banca d'Inghilterra ha previsto un tasso di crescita per il 2011 inferiore a quanto aveva previsto. Ci vorranno "diversi anni" prima che l'economia si riprenda, e possa "tornare a qualcosa che possiamo definire anche lontanamente normale", ha sottolineato in uno slancio di ottimismo il governatore, Mervin King.

Nel pomeriggio sono poi arrivati i dati sulla bilancia commerciale Usa di giugno con un disavanzo superiore alle attese: è salito in giugno a quota 49,9 miliardi di dollari da 41,98 in maggio. Il dato, il peggiore degli ultimi 21 mesi, è superiore alle attese degli analisti (42,7 miliardi). Come se non bastasse, il parlamento slovacco ha bocciato la partecipazione del Paese al prestito pluriennale dell'Eurozona a favore della Grecia. Bratislava non presterà ad Atene la quota di sua competenza pari a 816 milioni di euro. Abbastanza per rilanciare il dollaro e deprimere l'euro, tornato a quota 1,28 perdendo quasi il 2% in una sola seduta

Il complesso di eventi ha fatto sì che il grafico di Borsa odierno sia simile a un toboga: i listini sono scesi per tutta la giornata e per l'Europa, in particolare, è stato un mercoledì nero. In una sola giornata sono stati bruciati i guadagni di un mese: 103 miliardi di euro di capitalizzazione andata in fumo e soltanto per le società a maggiore capitalizzazione.

Anche l'oro ha reagito alla caduta delle Borse tornando a recuperare terreno, dopo le perdite dei giorni scorsi. Il prezzo è così tornato sopra i 1.200 dollari: per l'esattezza sulla piazza di Londra è arrivato a quotare 1205,5 dollari, in rialzo di 13 dollari rispetto alla chiusura di ieri.

In finale, tutte le piazze del vecchio Continente hanno chiuso sui minimi: il Dax di Francoforte ha perso il 2,10%, il Cac40 di Parigi il 2,74%, a Londra il Ftse 100 si ferma a -2,44%. A Milano il Ftse Mib ha chiuso le contrattazioni in calo del 3,2% mentre il Ftse All Share ha lasciato sul terreno il 3,04%.

Tra le blue chip di Piazza Affari, pioggia di vendite per i titoli finanziari che sono ormai diventati il bersaglio preferito della speculazione. La maglia nera del Ftse Mib è andata a Intesa Sanpaolo (-6,01% a 2,42). Tra i bancari male anche Bpm (-4,68% a 3,86), Ubi Banca (4,64% a 7,81) e il Banco Popolare (-3,90% a 4,74). Non si salvano neppure Unicredit (-3,46% a 2,02), su cui Nomura ha tagliato il target price (prezzo obiettivo) da 2,5 a 2,35 euro, e Generali (-3,03% a 15,06). Tra gli assicurativi il titolo peggiore è stato però Mediolanum (-3,94% a 3,17). Per Fiat un tonfo del 4,91% e scende sotto quota dieci euro, a 9,58 euro. Male anche Stm (-4,86% a 5,97) dopo che l'indice di Philadelfia sui semiconduttori è sceso ai minimi da cinque settimane. Tra gli industriali ribassi intorno al 4% per Impregilo (-4,07% a 2) e Ansaldo Sts (-3,9% a 9,48%. Sono tutti rossi i segni sul listino principale. Tra gli altri, Finmeccanica (-2,39% a 8,38), Telecom (-2,36% a 1,03), Enel (-2,31% a 3,8) ed Eni (-2,25% a 16,06).

E in serata arriva la coda negativa di Wall Street. Il Dow Jones ha perso il 2,48% chiudendo a quota 10380,35 mentre il Nasdaq ha fatto anche perggio, cedendo il 3,01 a 2208,63 punti.

 

Europa: sulle grandi banche lo spettro di una nuova crisi

Cinque major europee tra cui le italiane Ubi e Intesa Sanpaolo finiscono nel mirino degli speculatori al ribasso: gli stress test non convincono del tutto

Stress test positivi, euro in rimonta sul dollaro, allarme debito in via di ridimensionamento. Nelle ultime settimane le prospettive di ripresa hanno riportato una certa fiducia nel mercato europeo. Peccato che questo moderato entusiasmo rischi ora di essere travolto da un pericolo concreto: lo spettro di una nuova e significativa crisi bancaria. A lanciare l’allarme è stato il fondo speculativo Noster Capital, un hedge di base a Londra. Le banche europee, sostengono i suoi analisti, fronteggiano ancora oggi svariate minacce e gli esami di solidità, cui si sono recentemente sottoposte, potrebbero essere scarsamente indicativi.

Pervaso dalle proprie convinzioni, Noster si è già mosso di conseguenza attuando una delle strategie preferite da ogni hedge che si rispetti: la vendita allo scoperto. Il sistema è semplice quanto diffuso: pagando una commissione si prendono in prestito titoli che non si possiedono per poi venderli e successivamente riacquistarli sul mercato. Se, nel frattempo, il valore del titolo è sceso lo speculatore realizza una plusvalenza. E’ la classica scommessa al ribasso, quella, per intenderci, capace di alimentare forti perdite quando sostenuta da massicci investimenti. Fin qui nulla di strano se non fosse per gli obiettivi delle puntate ribassiste. A finire nel mirino di Noster, infatti, non è stata qualche disgraziata banca portoghese né tantomeno qualche martoriato istituto greco. Al contrario, l’oggetto di scommessa sono stati cinque colossi europei di prima categoria: la britannica Barclays, la spagnola Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (Bbva), la svizzera Ubs e le italiane Ubi e Intesa Sanpaolo.

“Due mesi fa erano tutti presi dal panico per la crisi dei debiti sovrani – ha dichiarato il Ceo di Noster Pedro Noronha al quotidiano britannico Daily Telegraph – adesso, invece, sembra che ognuno si prepari ad andare in vacanza mentre tutto va bene”. Ma ovviamente, giura Noronha, la realtà è ben diversa. A far paura ci sono in primis le esposizioni verso un mercato immobiliare americano ben lungi dalla guarigione e più vicino, forse, a un nuovo collasso. Per le banche italiane, invece, i pericoli verrebbero dalla debolezza della ripresa economica nazionale e dalle sofferenze sui mercati dell’Europa dell’Est.

Non è detto, ovviamente, che in tanti decidano di seguire l’esempio di Noster generando così una reazione a catena capace di penalizzare fortemente i grandi istituti del Continente. Ma le scelte operate dall’hedge, intanto, hanno già ottenuto il risultato di mandare un eloquente segnale agli investitori, rilanciando, al contempo, il dibattito sull’effettiva utilità degli stress test bancari. Il buon esito dell’esame sulle finanze degli istituti continentali (7 bocciati su 91) non ha infatti convinto una parte degli osservatori. Sotto accusa la scelta dell’Europa di escludere dall’esame le perdite sulle obbligazioni governative “in deposito”, vero e proprio tallone d’Achille di molti istituti. Se fossero state prese in considerazione, hanno riferito negli scorsi giorni gli analisti di Citigroup, avrebbero decretato la bocciatura di ben 24 banche. Tra queste anche l’italiana Monte dei Paschi.

 

Crisi immobiliare: la bolla cinese terrorizza l’Occidente

Pechino ordina nuovi stress test. Il risultato sono ipotesi apocalittiche, capaci di minare seriamente la crescita del Paese. Usa e Europa temono una nuova recessione

Ormai è ufficiale. L’ipotesi di una nuova mostruosa crisi immobiliare, capace di sconvolgere l’economia, non è più materia esclusiva degli analisti più paranoici. E’ diventato uno scenario credibile, magari non troppo scontato, ma abbastanza concreto da condizionare i mercati e minare il timido processo di ripresa globale.

La notizia, rivelata oggi in esclusiva dall’agenzia Bloomberg, è che i cinesi si stanno preparando al peggio. Nel mese scorso, ha spiegato una fonte anonima di Pechino, le autorità di regolamentazione hanno ordinato una nuova serie di stress test, gli ormai celebri esami di solidità con i quali si verifica la capacità di tenuta delle banche di fronte a scenari virtuali negativi.  La novità però è data dall’entità dell’allarme. I test dell’anno passato avevano preso in considerazione, quale peggiore scenario, un calo dei prezzi degli immobili pari al 30%. Ma negli esami di oggi tale percentuale è salita al 60%. Una visione molto pessimistica. Che però non induce a dare per scontato un simile collasso.
Questi numeri servono però a dare agli osservatori una notizia: anche la Cina teme la crisi economica. A terrorizzare i mercati c’è l’ipotesi di un più volte sussurrato “Big one”, lo scoppio della bolla speculativa immobiliare cinese. Un evento di questo genere sarebbe in grado di far ripiombare l’economia mondiale in una nuova recessione da affrontare, però, portandosi questa volta sulle spalle il peso di una crisi non ancora risolta oltre al macigno dello stato conti pubblici. I dati non sono certo incoraggianti. Nello scorso anno il mercato cinese è stato invaso da un’ondata record di nuovi prestiti per un valore complessivo di 1.400 miliardi di dollari. Nel primo trimestre del 2010 il prezzo medio delle abitazioni cinesi è aumentato del 68% rispetto al medesimo periodo dell’anno passato.

Le banche, nel frattempo, affrontano rischi crescenti. Nelle scorse settimane l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha lanciato l’allarme sulla crescita dei prestiti non performanti, ovvero dei crediti non remunerativi o, nella peggiore delle ipotesi, non recuperabili. Un fenomeno che avrebbe indotto Pechino ad abbassare per il 2010 il tetto massimo sul credito erogato. Qualcuno, a cominciare dall’ex capo economista del Fondo monetario internazionale (Fmi) Kenneth Rogoff non esita a parlare di scoppio imminente. Un simile collasso, ovviamente, determinerebbe un rallentamento della crescita di Pechino generando una contrazione della domanda capace di pesare sul comparto industriale delle economie più sviluppate. La famosa fase negativa della temuta ripresa “a W” cesserebbe così di essere una semplice ipotesi assumendo chiaramente un volto.

Per riportare un po’ di serenità servirebbero forse risultati incoraggianti dai temuti stress test di Pechino ma i dubbi recentemente espressi in Europa sull’utilità effettiva di questo tipo esami alimentano nuove paure. E il rischio è che alle previste rassicurazioni dei Cinesi, presto o tardi, non creda più nessuno.

 

In Usa è strage di banche
Ma i giganti possono esultare

Dall'inizio del 2010 sono già falliti 103 istituti. Un record che pesa sulle tasche dei contribuenti. Ma per i grandi colossi finanziari il futuro appare sempre più roseo

Piccole banche americane muoiono. Nell’anonimato. E non potrebbe essere altrimenti, considerati i luoghi sconosciuti dove si trovano. Se, come la maggioranza dell’umanità, non abitate nelle cittadine di Lantana (Florida) e Jasper (Georgia) o non siete uno dei 1.400 residenti di Cave Junction, nell’Oregon, nomi come Sterling, Home Valley e Crescent restano le voci di un elenco senza significato. Quello, tanto per intenderci, che nessuno a Washington vorrebbe continuare ad aggiornare e che pure insiste nel crescere a ritmo incalzante. Nomi di banche locali o, per meglio dire, ex banche, visto che non esistono più da venerdì scorso. Schiacciate dal peso di debiti insostenibili sono ormai fallite e, al pari degli istituti Williamsburg First, Thunder Bank, Community Security e Southwest, hanno appena chiuso i battenti. La notizia passerebbe quasi inosservata se non fosse che adesso le dimensioni del fenomeno iniziano davvero a fare paura.

L’ultima ondata di default ha portato il numero degli istituti falliti dall’inizio dell’anno a quota 103, un autentico sproposito. Anche nel 2009 si era superato il traguardo delle cento unità ma, allora, erano stati necessari dieci mesi. Il record delle 140 bancarotte registrate lo scorso anno dovrebbe essere ampiamente battuto alla fine del 2010 smentendo così quella retorica de “il peggio è passato” che nell’amministrazione Obama è divenuta ormai un must irrinunciabile. Gli analisti si preoccupano e hanno le loro buone ragioni. Secondo Michael Snyder, ricercatore e commentatore di Seeking Alpha, uno dei principali blog finanziari del mondo, è giunto il tempo di ammettere che “il sistema bancario americano sta morendo”.

Il guaio è che non si tratterà di una moria indolore. Il sistema potrà anche fare a meno di qualche centinaio di piccoli istituti ma i costi del loro fallimento graveranno sull’intera nazione alimentando un circolo vizioso a dir poco allarmante. In cima alla lista, ovviamente, ci sono i guai della Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic). Si tratta dell’organismo di garanzia sui fallimenti, una sorta di cassa di compensazione statale. Quando la banca in cui avete depositato i risparmi di una vita chiude la Fdic interviene, entro certi limiti, per restituirvi la somma equivalente. Attingendo ai suoi fondi, ovviamente. I soli default della scorsa settimana sono costati all’ente 431 milioni di dollari contribuendo così a una crescita del suo saldo negativo stimato oggi in 20,7 miliardi di biglietti verdi. E così, mentre i conti federali si deteriorano ulteriormente e il debito Usa si gonfia all’infinito, una domanda inizia a sorgere spontanea: chi ripianerà i buchi di bilancio? Risposta scontata: i contribuenti. Peccato però che questo ennesimo onere ne minerà la capacità di spendere vanificando almeno in parte quegli sforzi di rilancio dell’economia che la Casa Bianca giudica tuttora ancor più importanti di qualsiasi manovra di ripianamento dei conti.

Ma la storia, già di per sé tragica, non potrebbe ovviamente esaurirsi senza sferrare l’immancabile beffa finale. A trarre vantaggio dai decessi bancari, nota ancora Snyder, saranno proprio coloro che al collasso hanno dato il via: in un mercato in costante perdita di operatori a guadagnare terreno sono soprattutto le mega istituzioni finanziarie. Tecnicamente fallite ma sopravvissute per causa di forza maggiore, le famose “Big Six” (Goldman Sachs, Morgan Stanley, JPMorgan, Citigroup, Bank of America e Wells Fargo) possiedono oggi un patrimonio equivalente al 60% del prodotto interno lordo americano e promettono di crescere ancora occupando nuove quote di mercato. Limitarne il potere, ad oggi, sembra sempre più un’impresa disperata.

 

UN MILIONE DI MILIARDI DI DOLLARI DI DEBITO GLOBALE, MA DOBBIAMO STARE SERENI....

Il sistema economico-finanziario mondiale e' ormai inondato dal debito. E' un fenomeno storico di cui noi, in questa generazione, siamo testimoni, qui ed ora. E' la piu' grande bolla debitoria di sempre, pari in totale a un quadrilione di dollari. Esatto, questo neologismo lo coniamo in Italia qui su WSI per dare l'idea di quale sia l'ammontare di carta a buffo che ci sommerge. In cifre $1.000.000.000.000.000, cioe' 10 alla 15esima. Fate finta che un secondo sia come un dollaro. Un milione di secondi equivale a dodici giorni. Un miliardo di secondi sono 32 anni e cinque trilioni di secondi oltre 158 mila anni. A quanti anni luce corrisponde un quadrilione? Rigiriamo la domanda ai nostri lettori matematici o ingegneri.

Come faremo a ripagare questa enorme massa di carta stampata dalle banche centrali, che davvero non ha precedenti nella storia economica dell'umanita'? Una soluzione radicale sarebbe fare un colossale default planetario, azzerare tutto, e ripartire dal "via". Ovviamente non e' possibile (a meno di ipotesi intermedie di ristrutturazione) pena il crack di sistemi politici basati quasi tutti su ordinamenti "law & order" e sul rispetto di leggi e contratti; torneremmo a scambiarci conchiglie, ossa di tibia e per gli amanti dell'economia jurassica, lingotti d'oro (e' una provocazione: aspettiamo le reazioni dei molti fan del metallo giallo).

Invece, l'enorme massa di debito puo' essere solo "servita" da ulteriore crescita dell'economia mondiale. E questo e' il punto. Perche' sembra proprio che il motore dello sviluppo economico nel mondo si sia imballato in conseguenza della devastante crisi finanziaria del 2008-2009 esplosa in America e diffusasi come in virus aggressivo in ogni angolo della Terra. Il capitalismo sta vivendo una di quelle crisi devastanti di cui nemmeno Carl Marx nel piu' idilliaco dei suoi sogni si sarebbe immaginato. Il risultato e' che vediamo in atto enormi pressioni deflazionistiche nel mondo occidentale sviluppato. L'ulteriore conseguenza potrebbe essere una depressione deflazionaria globale con successive dislocazioni geopolitiche molto pesanti (lasciamo alla fantasia di ciascun lettore immaginarle per varie zone geografiche).

La maggior parte dei titoli sui media piu' seri e non al servizio delle propagande politiche locali, negli ultimi mesi si e' incentrata nella descrizione della questione "debito" parlando dei problemi concreti di Grecia, Portogallo e Italia (il nostro paese ha il record rapporto debito/pil in Europa al 118%, con 1.827 trilioni di euro, ed il terzo del mondo). Eppure gli Stati Uniti quest'anno hanno un debito pari a $8.000 trilioni di dollari e il debito sovrano in Giappone e' a livello di rischio ancora piu' alto (n.1 nel mondo) con un rapporto debito/pil del 219%. Il Giappone in questi mesi sta onorando il debito a un tasso dell'1.50%. Se i tassi dovessero per qualche motivo risalire al 3.50%, Tokyo non sarebbe nemmeno in grado di pagare gli interessi.

Il problema vero delle degenerazioni del capitalismo sono le banche e le banche centrali. Quelle italiane (di cui 2 o 3 hanno seri problemi di liquidita' dovuti alla forte crescita di crediti "tossici" per i quali dovranno essere ricapitalizzate) sono tutto considerato abbastanza solide, in raffronto per esempio alle banche inglesi. Gli istituti del Regno Unito hanno ammassato $4.400 trilioni di passivita' all'estero, cioe' due volte il pil UK. Eppure l'Inghilterra non ha mai fatto default dai tempi del Medio Evo. La verita' e' che questo capitalismo e' degenerato e Robin Hood sarebbe oggi un eroe se fosse vivo, non perche' l'altro sistema e' migliore (leggete bene, lettori che votate a sinistra: l'altro sistema e' morto e ha fallito....AH ECCO, QUINDI ANCHE SE MI DICI CHE QUESTO SISTEMA E' A SUA VOLTA FALLITO CHISSENEFREGA PERCHE' TANTO L'ALTRO SISTEMA E' FALLITO PRIMA, QUINDI DI SOLUZIONI NON CE NE SONO CARO IL MIO CAZZONE....) ma solo perche' il capitalismo ormai ha smesso di essere fondato sul free market mentre si tiene solo grazie ad un approccio che e' una miscela mista orrenda, pericolosa, poco etica e soprattutto non funzionante. Investimenti "tossici" che non dovevano mai essere fatti in primo luogo e che dovrebbero essere adesso liquidati, rimangono occultati nei bilanci taroccati del sistema bancario e coperti da politiche monetarie colluse. In relazione a ciò, la colpa storica del comunismo scientifico di tipo sovietico E' QUELLA DI NON AVER, A SUO TEMPO, TAROCCATO STIME E BILANCI. ECCO PERCHE' E' FALLITO: AD EST FURONO MOLTO PIU' ONESTI CHE AD OVEST.

La lezione che abbiamo imparato - dopo la recente gravissima crisi finanziaria, la peggiore dalla Grande Depressione del 1929 - e' che i banchieri, la maggior parte dei quali non sono ne' lungimiranti ne' colti, ancora guidano i destini del mondo. In Italia si parla di cricche, caste e P3: si tratta di realta' inconfutabili e non di "montature" o "polveroni", come afferma il nostro premier Silvio Berlusconi. Eppure cricche, caste e P3 fanno tutte ineluttabilmente capo a una super-lobby: quella dei banchieri.

Gli sforzi per riformare il sistema finanziario e il sistema bancario globale, come l'idea di inserire una tassa sulle transazioni dei prodottti derivati piu' a rischio - la vera droga di questo capitalismo - non hanno fatto grandi passi avanti, come ci si sarebbe aspettati secondo buon senso. Perfino la riforma finanziaria che "l'ottimo" presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, firmera' tra pochi giorni a Washington come legge, e' un patetico cerotto per coprire le ferite di Wall Street e non la seria operazione chirurgica ( DOPO IL cerotto di una riforma sanitaria DEPOTENZIATA E LIMITATA AD UN ALLARGAMENTO GRATUITO ESTREMAMENTE CONTENUTO PER NON URTARE TROPPO LE COMPAGNIE DI ASSICURAZIONE AMERICANE...) che era urgente per estirpare un cancro maligno (del resto, se per far vincere la corsa alla Casa Bianca a un presidente in America serve mezzo miliardo di dollari, capirete bene di che spiccioli si tratta rispetto al quadrilione di dollari di cui sopra).

I banchieri oggi hanno perfino piu' voce in capitolo di prima sulle regole disegnate nell'ambito di Basilea dalla BRI, la Banca dei Regolamenti Internazionali. Le banche di tutto il mondo hanno vinto questa mano al tavolo, rispetto a quelle che erano le richieste iniziali sulla necessita' di capitalizzazione e sul taglio delle assunzioni di rischio. Gli enti di controllo e le banche centrali si sono orientati con sicumera verso regole meno stringenti prendendo le distanze dalle prime proposte (purtroppo l'ex presidente della Fed Paul Volcker, consulente finanziario dell'amministrazione Obama, e' stato messo in posizione di non nuocere). Cosi' sappiamo fin d'ora che banche centrali, banchieri e stati continueranno a trattare il mercato finanziario come un tossicodipendente, agendo da spacciatori. Dite voi, qual e' il disegno di chi sa che l'esito e' la morte per overdose?

Nel frattempo la Federal Reserve americana ha passivita' in bilancio che si avvicinano a $5.000 trilioni di dollari e il rapporto debito/pil degli Stati Uniti sta raggiungendo rapidamente il livello del 100%, non come quello italiano, ma insomma sulla pessima strada dei paesi gestiti male. Quello di Obama e' un disperato tentativo keynesiano di stimolare un'economia portata sull'orlo del collasso apocalittico (stava per succedere: il 10 ottobre 2008) dopo gli 8 anni di irresponsabile presidenza di George W. Bush, coadiuvato sul fronte monetario dal super-colpevole ex presidente della Federal Reserve Alan Greespan (quello passato alla storia per la sua definizione di "esuberanza irrazionale", che s'e' visto dove ci ha portato).

Dunque stiamo descrivendo qui l'enorme massa di indebitamento degli Stati Uniti, la prima economia del mondo, del Giappone, la seconda economia mondiale, della Gran Bretagna, la sesta economia, e dell'Italia, la quinta economia.

E venendo a casa nostra, quanto sarebbe piu' opportuno se il ministro Giulio Tremonti invece di parlarci per metafore tra cultura pop e pseudo-filosofia ("siamo in parete" "l'economia mondiale e' come un video-gioco" "poliarchia e democrazia" "illuminati") ci parlasse con onesta' e coraggio trattando gli italiani da adulti e non da ragazzini da educare (
leggere intervista su "Repubblica").

Tremonti, uno dei pochi membri dell'esecutivo che meriti i pieni voti (MA CHE CAZZO DICE QUESTO: A FINE APRILE, AD ANNO ZERO, IL SIGNOR TREMORTI CI SPIEGAVA CHE I CONTI ERANO IN ORDINE E LA CRISI FINITA, DOPO 15 GIORNI, UNO DEI SUOI ACCOLITI, IL GERONTOCRATE LETTA, CI SPIEGAVA CHE INVECE ERAVANO SULL'ORLO DELLA GRECIA....) (e per questo inviso al premier) potrebbe certamente spiegarci, senza finto ottimismo, i rischi sottostanti l'enorme pressione deflazionistica in atto nelle economie dei paesi sviluppati. Lui e' certamente consapevole del fatto che la deflazione potrebbe portare - il condizionale e' d'obbligo perche' in verita' nessuno sa cosa puo' davvero accadere - al giorno del giudizio, a punizioni non religiose ma a batoste di portafoglio globali (e per fortuna il papa o gli imam non hanno voce in capitolo almeno sulle politiche monetarie ed economiche del mondo) insomma ad un clamoroso crash deflazionario con tutto cio' che questo comporterebbe su occupazione, consumi, produzione, prezzi delle case, prezzi in Borsa.

Certo in altre parti del globo la prospettiva e' meno grama, e infatti la Cina ha appena messo a segno una crescita superiore al 10% nei primi 6 mesi del 2010. Solo che Pechino non potra' continuare a tirare l'economia mondiale all'infinito. La Cina - che ha un pil ancora relativamente piccolo per gli 1,3 miliardi di abitanti dell'immenso territorio cinese - dipende in massima parte dall'Europa, dagli Stati Uniti e dagli altri mercati occidentali per l'esportazione dei propri prodotti, manufatti con un costo del lavoro tuttora infimo rispetto a quello dell'Occidente. (sbagliato, non e' il costo del lavoro ad incidere, coglione!!! E' la quantità di merci prodotta, testa di cazzo !!!!) Le sue fabbriche potrebbero trovarsi con una colossale sovraccapacita' produttiva e i magazzini ricolmi di merce che il resto del mondo non compra piu'.

L'Italia e' in prima linea in questa guerra economica. Ma gli italiani non lo sanno, non gli viene detto, per cui non capiscono e diciamolo... non gliene frega niente, tra un Grande Fratello, un mondiale di calcio e un Emilio Fede. Anche perche' siamo coperti dall'ombrello dell'Europa e dell'euro, altrimenti Roma parrebbe adesso Buenos Aires nel 2002, altro che Atene in questi giorni. Per cui si parla di tutt'altro e fintantoche' il cavallo - il popolo italiano - continua a bere la pozione mediatica a base di melassa e finti problemi, i banchieri, i politici, le caste e le cricche continueranno a prosperare indisturbati, senza distinzione tra destra e sinistra. Ogni tanto qualche magistrato richiamera' l'attenzione su reati gravi e appropriazioni indebite a danno della collettivita', compiute da qualche ascaro del potere piu' stupido perche' accecato dal senso di impunita'; ma nulla cambiera'. E probabilmente capiremo proprio da Giulio Tremonti un bel giorno, quando presentera' le proprie dimissioni, che saremo al "game over" nel video-gioco dell'economia, almeno nella versione in lingua italiana.

LE CONTINUE MEGASTRONZATE DEI PREMI NOBEL

Per il premio Nobel Mundell si va dal 10% dell'Italia al 40% della Grecia, passando dal 20% di Spagna, Irlanda e Portogallo. Ma per i Paesi perififerici della zona euro il peggio potrebbe essere alle spalle. Buone notizie per l'euro.Spagna, Portogallo e Irlanda sono esposti ad un rischio del 20% di default del loro debito sovrano, mentre le probabilita' che la Grecia si veda costretta a ristrutturare il proprio debito e' pari al 40%. L'italia e' quella messa meglio dei cinque con una chance del 10%. Questo le stime del premio Nobel per l'economia Robert Mundell, molto piu' ottimiste di altri suoi colleghi di pari grado.Poi leggiamo:

Allarme FMI: i PIIGS hanno bisogno di 300 miliardi

 | Documento esclusivo dal Fondo Monetario Internazionale: Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna devono rifinanziarsi in un contesto estremamente difficile e competitivo.  

Debito e sostenibilità: disastro Italia
Nel Primo mondo solo la Grecia peggio di noi

Lo sostiene l’istituto olandese Rabobank. Secondo il suo “Sovereign Vulnerability Index” la finanza pubblica della Penisola è, Grecia a parte, la più fragile del mondo industrializzato. A condizionare il risultato il riconoscimento della scarsa credibilità del governo. Chissà cosa ne pensa Tremonti…

Meno di un mese fa Giulio Tremonti cantava vittoria. L’Unione Europea accettava di includere il debito netto dei privati (famiglie, banche e imprese) nel suo indice di sostenibilità sovrana superando il vecchio schema del rapporto debito/Pil che vedeva la Penisola in cima alla lista nera del rischio con il suo ineguagliabile 115%, il peggior quoziente d’Europa. “Nell’insieme abbiamo un sistema molto sostenibile” affermava convinto il superministro italiano per il quale la crisi restava essenzialmente un problema di salvataggi bancari. Ma gli indici di solidità, è noto, possono sempre essere corretti, almeno fintantoché c’è spazio per nuovi indicatori capaci di produrre una visione d’insieme più precisa. E allora può arrivare la brutta sorpresa. Il quadro si fa più nitido e il Paese dal “sistema molto sostenibile” può scoprirsi, disgraziatissima Grecia a parte, il più fragile del Primo mondo.

A riferire la poco lieta novella è stato Shahim Kamalodin, ricercatore e analista presso l’istituto olandese Rabobank. La sua creatura si chiama “Indice di Vulnerabilità Sovrana” e, da qualche giorno, ha preso a girare in rete dopo aver catturato, per prima, l’attenzione del più importante quotidiano economico europeo: il Financial Times. Si tratta di uno strumento di analisi che misura in senso lato la fragilità della finanza pubblica mettendo insieme in un colpo solo otto diversi indicatori. Dal più classico rapporto debito/Pil fino allo “sforzo” monetario da impiegare per riportare i conti ai livelli pre-crisi. Passando, ed è questo l’aspetto più interessante, dal fantomatico “corruption perception index”, vera e propria chiave di volta dell’analisi. Ma andiamo con ordine.

La tabella elaborata da Kamalodin ci dice che tra i Paesi più industrializzati la Grecia resta la nazione più fragile. Nessuna novità, direte voi, ma le sorprese, manco a dirlo, sono dietro l’angolo. Ellade a parte, infatti, a stabilire il punteggio peggiore su scala globale è proprio l’Italia, che con i suoi 15.39 punti precede in graduatoria un altro membro del club dei “Pigs” (o Piigs, come direbbe qualcuno…): il Portogallo. Forse è giunta l’ora di inventare una nuova sigla, commenta ironicamente il Financial Times. Basta scalare a ritroso le posizioni della classifica, infatti, per scoprire che un paio di vituperati “maiali”, Spagna e Irlanda, se la passano decisamente meglio di altre nazioni giudicate molto abitualmente più solide. Ci sono il Giappone primatista mondiale del rapporto debito/Pil e gli Usa dei mega deficit statali, ma non mancano nelle piazze d’onore nemmeno i colossi europei Francia e Gran Bretagna che fanno compagnia, nel gruppo di testa, alla sorpresa Belgio (quando mai se ne era parlato?). Eh sì, è decisamente tempo di un nuovo acronimo.

Tornando ai guai di casa nostra, la domanda sembra sorgere spontanea: che cosa ha spinto l’Italia sul secondo gradino del podio? Istintivamente verrebbe da chiamare in causa il micidiale debito pubblico – un fardello da 1812,79 miliardi di euro cresciuto a ritmi record ( 2,9%) dalla fine del 2009 – ma la risposta va cercata altrove. A determinare il disastro italiano, spiega infatti Rabobank, è il famigerato “indicatore numero 8”, proprio quel “corruption perception index” che, si legge, misura “la credibilità, la capacità e l’abilità di un governo nel portare avanti le necessarie misure di austerity”. Roma, insomma, aveva promesso rigore e serietà. Ma qualcuno non le ha creduto. I soliti scettici e pessimisti? Un coglione dice che siamo nella merda ed altro dice che il rischio è solo del 10%.

 

Europa manovrata da una societa' segreta, il Gruppo Bilderberg,il terzo polo occulto massone pronto a sorgere dalle macerie neocons

Dietro le iniziative della Bce per salvare l'euro, la volonta' di una lobby potente composta di banchieri, industriali e politici. C'e' anche Trichet. Ecco la tesi cospiratoria. Massoni di sinistra? Tutti i nomi degli italiani. Ma c'e' anche un nucleo super-segreto. Salvare l’euro a tutti i costi e contemporaneamente mandare in soffitta peso messicano e dollaro nella versione americana e canadese con l’intento di promuovere una nuova valuta: l’amero. Obiettivo: affiancare a quella Europea un’altra Unione, quella Americana. Come? Tessendo trame segrete fino ad arrivare a condizionare quanto accade in Europa e quanto scelto dalla Banca Centrale Europea.

Sarebbe questo il piano occulto che avrebbe visto e vedrebbe tuttora in azione personalita’ di prim’ordine del mondo economico, politico e bancario sulle due sponde dell'Oceano, tutte raccolte nel cosiddetto Gruppo Bilderberg, sulla cui natura massonica in molti si sono interrogati. Nessuno tra i grandi sarebbe escluso, da David Rockfeller ai membri della famiglia Rotschild passando per alti esponenti della Casa Bianca di Barack Obama compresi i Dipartimenti di Tesoro, Stato e Commercio dell’amministrazione Usa.

Leggere la voce Gruppo Bilderberg su Wikipedia.it - [CLICCA QUI]

A sollevare il polverone (l'ultimo in ordine di tempo: la storia va avanti da anni) e’ un noto cospiratore della destra repubblicana Usa piu' retriva e anti-ebraica, Jim Tucker, editore di American Free Press e autore di "The Bilderberg Diaries", da cui Wall Street Italia prende le distanze e a cui da' pero' spazio solo perche' i lettori capiscano la portata di un fenomeno che non va taciuto. Tucker dice di avere le carte che dimostrerebbero come l'ex primo ministro UK Margaret Tatcher sia stata "punita" (facendola sostituire dopo 10 anni di governo) solo per aver detto che l'unico meeting Bilderberg a cui aveva partecipato non le era piaciuto.

L’idea adesso e’ che a tutti dovrebbe essere chiaro, anche dopo il G20 di Toronto (Canada), come i poteri bancario-finanziari dell’Eurozona abbiano fatto il possibile per organizzare il salvataggio dell’euro. Peccato, insinua Tucker, che sia sfuggito (anzi: che si sia voluto tacere per la complicita' dei media tradizionali) un piccolo ma non trascurabile dettaglio. Dietro tante manovre e una difesa della valuta europea praticata con le unghie e con i denti ci sarebbe la volonta' di lobby potenti che vogliono salvare l'euro solo perche' perseguono l'intento di creare un’unione monetaria simile a quella del Vecchio Continente, ma tra Canada, Stati Uniti e Messico.I media, ricorda Tucker, avrebbero deliberatamente taciuto su questo aspetto, pur conoscendolo in ogni dettaglio. Perche’ mai? Tra le fila del gruppo Bilderberg ci sarebbe chi controlla vari gruppi editoriali, sia in Europa che in America, e giusto per citarne uno, il "Washington Post", controllato dalla famiglia Graham (e in Italia La Stampa degli Agnelli). "La crisi del debito scatenata dalla Grecia e che minaccia altri paesi europei ha provocato da gennaio una flessione dell’euro del 15% contro il dollaro. Qualche economista ha creduto scontato un fallimento dell’unione monetaria nella sua attuale forma con la possibilita’ che uno o piu’ paesi del sud Europa tornino a utilizzare lira, peseta e dracma", ha scritto Neil Irwin in un editoriale sul "Washington Post".

Citando questo passaggio, l’editore di American Free Press fa notare che molti dettagli sono stati tralasciati. Altro esempio eclatante: "Un banchiere legato a Bildergerg e chiamato Jean Claude Trichet, insieme a suoi 16 mila dipendenti, sta lottando allo stremo per salvare l’euro e promuovere l’amero", scrive Tucker alludendo all'intero corpo di euroburocrati della Bce.

A sostegno della sua tesi, il cospirazionista anti-Bilderberg cita proprio le recenti mosse adottate da EuroTower. Mosse che sono andate ben al di la’ del compito della Banca Centrale con sede a Francoforte, cioe’ quello di restare focalizzata nel controllo dell’inflazione mantenendo i giusti limiti alla liquidita’ che l'istituto di emissione puo’ immettere sul mercato europeo. Tradendo la sua missione originaria, Trichet si e’ messo a comprare bond governativi dei paesi membri allo scopo di stabilizzare il mercato e salvare l'euro (l'operazione da 1 trilione di dollari varata circa tre mesi fa all'apice della crisi greca).

Tucker continua spiegando che il "numero uno" dell’EuroTower ha cosi’ preferito venir meno a regole molto rigide (e al suo mandato ufficiale) ritenendo ben piu’ importante mantenere l’Unione Europea compatta di fronte alla crisi in assoluto piu' pericolosa dalla nascita dell'euro, scenario questo assolutamente inviso al "Gruppo Bilderberg" e all'establishment che gli ruota intorno. "E l’unico modo che abbiamo di salvare l’euro. Senza l’euro l’Unione Europea salterebbe e con lei anche il pregetto di un Unione Americana che cosi’ non vedrebbe mai la luce. Non possiamo permettere che questo avvenga, mai", e' l'agenda imposta a centinaia di milioni di cittadini europei ignari.

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I massoni e la sinistra italiana

di Andrea Cinquegrani – tratto da "La Voce della Campania"

Il Gruppo Bilderberg nasce nel 1952, ma viene ufficializzato due anni più tardi, a giugno del 1954, quando un ristretto gruppo di vip dell’epoca si riunisce all’hotel Bilderberg di Oosterbeek, in Olanda. Da quel momento le riunioni si sono svolte una o due volte all’anno, nel più totale riserbo. In occasione di una delle ultime, nella splendida e appartata resort di Sintra, in Portogallo, il settimanale locale News riportò una notizia secondo cui il Governo avrebbe ricevuto migliaia di dollari dal Gruppo per organizzare «un servizio militare compreso di elicotteri che si occupasse di garantire la privacy e la sicurezza dei partecipanti».

Ma torniamo agli esordi. I primi incontri si sono svolti esclusivamente nei paesi europei, ma dall’inizio degli anni ’60 anche negli Usa. Tra i promotori - precisano alcuni studiosi della semi sconosciuta materia - occorre ricordare due nomi in particolare: sua maestà il principe Bernardo de Lippe, olandese, ex ufficiale delle SS, che ha guidato il gruppo per oltre un ventennio, fino a quando, nel 1976, è stato travolto dallo scandalo Lockheed; e Joseph Retinger, un faccendiere polacco al centro di una fittissima trama di rapporti con uomini che per anni hanno contato sullo scacchiere internazionale della politica e dell’economia.

«La loro ambizione - viene descritto - era quella di costruire un’Europa Unita per arrivare a una profonda alleanza con gli Stati Uniti e quindi dar vita a un nuovo Ordine Mondiale, dove potenti organizzazioni sopranazionali avrebbero garantito più stabilità rispetto ai singoli governi nazionali. Fin dalla prima riunione vennero invitati banchieri, politici, universitari, funzionari internazionali degli Usa e dell’Europa occidentale, per un totale di un centinaio di personaggi circa».

Ecco cosa hanno scritto alcuni giornalisti investigativi inglesi nel magazine on line di Bbc News a pochi giorni dal meeting di Stresa. «Si tratta di una delle associazioni più controverse dei nostri tempi, da alcuni accusata di decidere i destini del mondo a porte chiuse. Nessuna parola di quanto viene detto nel corso degli incontri è mai trapelata. I giornalisti non vengono invitati e quando in qualche occasione vengono concessi alcuni minuti a qualche reporter, c’è l’obbligo di non far cenno ad alcun nome. I luoghi d’incontro sono tenuti segreti e il gruppo non ha un suo sito web. Secondo esperti di affari internazionali, il gruppo Bilderberg avrebbe ispirato alcuni tra i più clamorosi fatti degli ultimi anni, come ad esempio le azioni terroristiche di Osama bin Laden, la strage di Oklaoma City, e perfino la guerra nella ex Jugoslavia per far cadere Milosevic. Il più grosso problema è quello della segretezza. Quando tante e tali personalità del mondo si riuniscono, sarebbe più che normale avere informazioni su quanto sta succedendo».

Invece, tutto top secret. Scrive un giornalista inglese, Tony Gosling, in un giornale di Bristol: «Secondo alcune indiscrezioni che ho raccolto, il primo luogo nel quale si è parlato di invasione dell’Iraq da parte degli Usa, ben prima che ciò accadesse, è stato nel meeting 2002 dei Bilderberg». Di parere opposto un redattore del Financial Times, Martin Wolf, più volte invitato ai meeting: «L’idea che questi incontri non possano essere coperti dalla privacy è fondamentalmente totalitaria; non si tratta di un organismo esecutivo, nessuna decisione viene presa lì». Fa eco uno dei fondatori, anche lui inglese, lord Denis Healey: «Non c’è assolutamente niente sotto. E’ solo un posto per la discussione, non abbiamo mai cercato di raggiungere un consenso sui grandi temi. E’ il migliore gruppo internazionale che io abbia mai frequentato. Il livello confidenziale, senza alcun clamore all’esterno, consente alle persone di parlare in modo chiaro».

Ed ecco cosa scrive un altro studioso di ordini paralleli e di gruppi e associazioni che agiscono sotto traccia, Giorgio Bongiovanni. «Bilderberg rappresenta uno dei più potenti gruppi di facciata degli Illuminati (una sorta di super Cupola mondiale, ndr). Malgrado le apparenti buone intenzioni, il vero obiettivo è stato quello di formare un’altra organizzazione di facciata che potesse attivamente contribuire al disegno degli Illuminati: la costituzione di un Nuovo Ordine Mondiale e di un Governo Mondiale entro il 2012. Sembra che le decisioni più importanti a livello politico, sociale, economico-finanziario per il mondo occidentale vengano in qualche modo ratificate dai Bilderberg».

«Il Gruppo - scrive ancora Bongiovanni - recluta politici, ministri, finanzieri, presidenti di multinazionali, magnate dell’informazione, reali, professori universitari, uomini di vari campi che con le loro decisioni possono influenzare il mondo. Tutti i membri aderiscono alle idee precedenti, ma non tutti sono al corrente della profonda verità ideologica di alcuni membri principali».

I veri ‘conducator’- secondo questa analisi - i quali a loro volta fanno anche parte di altri segmenti strategici nell’organigramma degli Illuminati. Due in particolare: la Trilateral e la Commission of Foreign Relationship, nata nel 1921, la quale riunisce a sua volta tutti i personaggi che hanno fra le loro mani le leve del comando negli Usa. «Questi membri particolari - prosegue Bongiovanni - sono i più potenti e fanno parte di quello che viene definito il ‘cerchio interiore’.

Quello ‘esteriore’, invece, è l’insieme degli uomini della finanza, della politica, e altro, che sono sedotti dalle idee di instaurare un governo mondiale che regolerà tutto a livello politico e economico: insomma, le ‘marionette’ utilizzate dal cerchio interiore perché i loro membri sanno che non possono cambiare il mondo da soli e hanno bisogno di collaboratori motivati e mossi anche dal desiderio di danaro e potere». Passiamo, per finire, alla Trilateral, vero e proprio luogo cult del Potere nascosto, in grado comunque di condizionare i destini del mondo. Ovviamente ‘sponsorizzato’ della star dell’imprenditoria multinazionale, come Coca Cola, Ibm, Pan American, Hewlett Packard, Fiat, Sony, Toyota, Mobil, Exxon, Dunlop, Texas Instruments, Mutsubishi, per citare solo le più importanti.

L’associazione nasce nel 1973, sotto la presidenza "democratica" di Jimmy Carter e del suo consigliere speciale per la sicurezza, Zbigniew Brzezinsky, il vero deux ex machina. A ispirare il progetto, le famiglie Rothschield e Rockfeller, i Paperoni d’America. Un progetto che ha irresistibilmente attratto i potenti del mondo, a cominciare proprio dai presidenti Usa, con un Bill Clinton in prima fila. Così descriveva Giovanni Agnelli la Trilateral: «Un gruppo di privati cittadini, studiosi, imprenditori, politici, sindacalisti delle tre aree del mondo industrializzato (Usa, Europa e Giappone, ndr) che si riuniscono per studiare e proporre soluzioni equilibrate a problemi di scottante attualità internazionale e di comune interesse». Il solito ritornello.

Di diverso avviso il giornalista Richard Falk, che già nel 1978 - quindi a pochissimi anni dalla nascita - scrive sulle colonne della Monthly Review di New York: «Le idee della Commissione Trilaterale possono essere sintetizzate come l’orientamento ideologico che incarna il punto di vista sopranazionale delle società multinazionali, che cercano di subordinare le politiche territoriali a fini economici non territoriali». E’ la filosofia delle grandi corporation, che stanno privatizzando le risorse di tutto il pianeta, a cominciare dai beni primari, come ad esempio l’acqua: non solo riescono a ricavare profitti stratosferici ma anche ad esercitare un controllo politico su tutti i Sud - e non solo - del mondo. La logica della globalizzazione. E i bracci operativi di questo turbocapitalismo sono proprio due strutture che dovrebbero invece garantire il contrario: ovvero la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale.

«Entrambi - scrive uno studioso, Mario Di Giovanni - sotto lo stretto controllo del ‘Sistema’ liberal della costa orientale americana. Agiscono a tutto campo nell’emisfero meridionale del pianeta, impegnate nella conduzione e ‘assistenza’ economica ai paesi in via di sviluppo». E proprio sull’acqua, la Banca Mondiale sta dando il meglio di sé: con la sua collegata IFC (Internazionale Finance Corporation) infatti sta mettendo le mani sulla gran parte delle privatizzazioni dei sistemi idrici di mezzo mondo, soprattutto quello africano e asiatico, condizionando la concessione dei fondi all’accettazione della privatizzazione, parziale o più spesso totale, del servizio. Del resto, è la stessa Banca a calcolare il business in almeno 1000 miliardi di dollari…

Scrive ancora Di Giovanni: «Le decisioni assunte dai vertici della Trilateral riguarderanno sempre di più quanti uomini far morire, attraverso l’eutanasia o gli aborti, e quanti farne vivere, attraverso un’oculata distribuzione delle risorse alimentari. Decisioni che riguarderanno l’ingegneria genetica, per intervenire nella nuova ‘umanità’. In una parola, tutto ciò che definitivamente distrugga il ‘vecchio’ ordine sociale, cristiano, per la creazione di un nuovo ordine. Ma tutto questo senza particolari scossoni. Non vi sarà bisogno di dittature, visto che le democrazie laiche e progressiste, condotte da governi di ‘centrosinistra’, servono già così efficacemente allo scopo. Governi che riproducono - conclude - una formula già sperimentata lungo l’intero corso del ventesimo secolo e plasticamente rappresentata dal passato governo Prodi-D’Alema: l’alleanza fra la borghesia massonica e la sinistra, rivoluzionaria o meno».

Tutti i nomi degli italiani in Bilderberg
(ATTENZIONE: elenco visibilmente non aggiornato, gli asterischi rossi e azzurri non sono distinguibili)

Pubblichiamo l’elenco delle personalità italiane che hanno preso parte almeno una volta dal 1982 ad oggi, si summit internazionali dei Bilderberg. Sotto a ciascun nome, la qualifica che ricoprivano al momento dell’ultima partecipazione. Con l’asterisco rosso, i nomi dei partecipanti al summit del 2004 di Stresa. Con l'asterisco azzurro, coloro che vengono indicati come "membri" o che hanno rivestito cariche di vertice all’interno della lobby.

AGNELLI GIOVANNI *deceduto nel 2002
AGNELLI UMBERTO * deceduto nel 2004
AMBROSETTI ALFREDO * Presidente Gruppo Ambrosetti
BERNABE’ FRANCO * Ufficio italiano per le iniziative sulla Ricostruzione nei Balcani
BONINO EMMA Membro della Commissione Europea
CANTONI GIAMPIERO Presidente BNL
CARACCIOLO LUCIO * Direttore Limes
CAVALCHINI LUIGI G. Unione Europea
CERETELLLI ADRIANA Giornalista, Bruxelles
CIPOLLETTA INNOCENZO Direttore Generale Confindustria
CITTADINI CESI GIAN C. * Diplomatico USA
DE BENEDETTI RODOLDO * CIR
DE BORTOLI FERRUCCIO * RCS libri
DE MICHELIS GIANNI ex Ministro degli Affari Esteri targato PSI
DRAGHI MARIO Direttore Min. Tesoro poi al vertice della Banca d'Italia spa
FRESCO PAOLO Presidente FIAT
GALATERI GABRIELE Mediobanca
GIAVAZZI FRANCESCO * Dicente Economia Bocconi
LA MALFA GIORGIO Segretario nazionale PRI
MARTELLI CLAUDIO ex Deputato – Ministero Grazia e Giustizia targato PSI
MASERA RAINER S. Direttore generale IMI
MERLINI CESARE * Vicepresidente Council for the United States and Italy
MONTI MARIO * Commissione Europea
PADOA SCHIOPPA TOMMASO * BCE Banca Centrale Europea, ex ministro dell'economia
PASSERA CORRADO * Banca Intesa
PRODI ROMANO *  ex Presidente UE, poi premier dal 2006 al 2008
PROFUMO ALESSANDRO Credito Italiano,Banca unicredit
RIOTTA GIANNI * Editorialista La Stampa,ex direttore TG1
ROGNONI VIRGINIO ex Ministero della Difesa
ROMANO SERGIO Editorialista La Stampa poi al Cor Ser
ROSSELLA CARLO Editorialista La Stampa,ora direttore TG5
RUGGIERO RENATO * Vicepresidente Schroder Salomon Smith Barney poi distruttore della Telecom
SCARONI PAOLO * ENEL Spa, già condannato in primo grado per frode
SILVESTRI STEFANO * Istituto Affari Internazionali
SINISCALCO DOMENICO Direttore Generale Ministero Economia
SPINELLI BARBARA Corrispondente da Parigi – La Stampa
STILLE UGO Corriere della Sera
TREMONTI GIULIO * Ministro dell’Economia
TRONCHETTI PROVERA MARCO * Pirelli Spa
VELTRONI VALTER  Ex Editore L’Unità fallita, poi sindaco di Roma fallita, ex primo segretario PD strafallito
VISCO IGNAZIO * Banca d’Italia
VITTORINO ANTONIO Commissione Giustizia UE
ZANNONI PAOLO * FIAT


 

 

Euro: il peggio deve ancora venire, calera' a 1 sul $

Le previsioni economiche piu' accurate ci dicono che l'euro continuera' a indebolirsi e potrebbe avvicinarsi addirittura alla parita' nei confronti del dollaro, con la Banca centrale europea impegnata nell'acquisto di ulteriori titoli di Stato con l'obiettivo di sostenere l'economia dell'eurozona.

In un'
intervista rilasciata a Bloomberg, Shaun Osborne, chief strategist sul valutario di TD Securities ha detto che l'euro si deprezzera' fino a $1.13 dollari nel terzo trimestre, per poi scivolare a quota $1.08 entro fine anno. Nel 2011 la moneta unica e' destinata a tornare sui livelli di $1, per poi finalmente risalire. A Osborne, le cui previsioni in media hanno avuto un margine di errore del 4.1% in passato, hanno fatto eco i nove esperti dalle previsioni piu' accurate, secondo cui l'euro perdera' terreno nei prossimi due trimestri. Nella prima meta' dell'anno la valuta europea ha perso il 15% del suo valore contro il dollaro, sulle speculazioni che i deficit di bilancio record di Irlanda, Portogallo e Grecia costringeranno i governi a tagliare le spese e ridurre la crescita economica. I rendimenti obbligazionari tra le nazioni cosiddette periferiche dell'area dell'euro sono saliti rispetto ai bund tedeschi, nonostante i leader dell'Unione europea abbiano predisposto quasi $1000 miliardi dollari di aiuti per evitare un default del credito sovrano.

 

 

 

Pigs: i maiali del debito sono tra noi

Ci chiamano P.I.G.S. (Portogallo, Irlanda/Italia, Grecia, Spagna), non G.I.P.S. o S.P.I.G.. Proprio “PIGS”. Maiali d’Europa. Colpevoli di aver speso troppo, di aver ingrossato a dismisura i rispettivi debiti pubblici. La banca d’investimenti Morgan Stanley (proprio lei che nel 2008 è stata salvata con i “prestiti di emergenza” della Federal Reserve) misura oggi l’esposizione delle banche dei paesi “seri” del nord ai crediti concessi ai “cattivi” del Sud Europa. La Francia e la Germania, per esempio, hanno troppa Italia nei propri portafogli. E il Mercato le punirà.

Peccato che ci si dimentichi di dire che, tra i maiali che si stanno ingrossando a dismisura ci siano anche gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, dove – non dimentichiamocelo – la crisi finanziaria è partita. Negli Usa la percentuale del debito pubblico sul PIL sta per superare il 90%,  come durante la II guerra mondiale (in Italia però – non dimentichiamoci neanche questo – è al 118%).

Alan Greenspan, ex governatore della Federal Reserve, ha dichiarato recentemente  a Bloomberg che i titoli di stato (treasury bonds), con i quali gli Stati Uniti finanziano il loro esorbitante debito pubblico, saranno presto “poco graditi” nei mercati dei capitali, “perché il governo federale non ha un piano realistico per tagliare la spesa e ridurre il debito”. “Per gli USA sarà una spiacevole sorpresa, perché nessuno si aspetta una reazione negativa dei mercati nel brevissimo periodo”.

La crisi del debito è sistemica e coinvolge buona parte dei paesi occidentali, non solo i “PIGS“. Porterà presto, come ha osservato Mohamed El Erian, direttore di Pimco (il più grande investitore mondiale in titoli di stato), a una ridefinizione del rapporto tra paesi “avanzati” e paesi “emergenti”, perché, grazie alla crescita e ai surplus di bilancio, un numero sempre maggiore di paesi emergenti (Cina, India, Brasile) avrà prospettive più rosee rispetto ai paesi cosiddetti “avanzati”, ancorati a terra da un debito pesantissimo.

Per “perdere peso” i paesi occidentali non avranno scelta: dovranno aumentare le tasse e tagliare drasticamente la spesa pubblica, sperando che nel frattempo l’economia cresca. In una situazione del genere puntare il dito sui P.I.G.S., come stanno facendo gli investitori anglosassoni in questi giorni, è come sparare sulla croce rossa. A farne le spese, come sempre, sono i cittadini che pagano le tasse: dopo aver salvato le banche, si sono accorti da tempo di avere i maiali in casa. Anche se tutti cercano di convincerli che sono solo teneri orsetti di pelouche.

 

 

Borse Ue ed euro in calo, si torna alla dura realtà

Più che digerita la notizia della rivalutazione dello yuan: d'altronde, si sa alla fine che la mossa di Pechino è al rallentatore. La cautela prende così il sopravvento, in attesa del vertice del G20 ma anche della riunione della Fed.

22 GIUGNO 2010

Avvio in calo per tutti i principali mercati azionari europei. Dopo i primi scambi Amsterdam registra una flessione dello 0,54%, Bruxelles dello 0,72%, Parigi dello 0,72%, Francoforte dello 0,23%, Londra dello 0,57% e Madrid dello 0,89%.

Si torna così a scendere, dopo i guadagni portati a casa ieri, sulla scia della notizia che la banca centrale cinese ha aperto alla possibilità di rendere più flessibile lo yuan. Digerita la notizia si torna alla realtà, che appare ben diversa da quella che i mercati avevano voluto vedere ieri.

Se anche la Cina lascerà rivalutare lo yuan, ciò avverrà in un lungo periodo di tempo, perlomeno per recuperare la forte svalutazione voluta dal Paese asiatico negli anni passati. Ora la cautela prende il sopravvento, sia per l'avvicinarsi del vertice del G20, che potrebbe anche mostrare qualche segnale di scontento sulla mossa al rallentatore del Dragone, sia per l'attesa di alcuni importanti eventi sul fronte economico.

Stamattina si aspetta l'indice IFO tedesco, ma questa sera inizierà anche il meeting del FOMC, il Comitato di politica monetaria della Federal Reserve, che annuncerà domani le decisioni sui tassi. Intanto, l'euro torna ad affondare sotto gli 1,23 dollari, mentre perde terreno lo yuan cinese a 6,8095. La prudenza spinge le valute rifugio come il dollaro e lo yen.
 

Mercati: siamo nell'occhio di un ciclone finanziario

03:15| E' facile puntare il dito contro i ribassisti, che stanno complottando contro il mondo della finanza.Alcuni ritengono invece che il periodo prolungato di prestazione sotto la media sia in realta' persino costruttivo e come ci insegna quanto avvenuto in passato, ci attendono ritorni a doppia cifra nel prossimo futuro.
Tutto vero, se non fosse per la fragilita' insita nei mercati globali e nelle dimensioni esagerate degli squilibri.
Da tempo ne parliamo su queste pagine: uno dei problemi e' che le droghe iniettate dal governo mascherano i sintomi e i malanni del mercato, dopo anni di spese folli anzi che di cure a base di deflazione delle classi di asset e di ristrutturazione del debito.
Il mercato nelle ultime sedute e' stato anche troppo docile, ma ci sono tutti i presupposti che fanno pensare che siamo nell'occhio di un ciclone finanziario.

 

Banche in Europa, una montagna di debiti e il clamoroso mistero dei $2.6 trilioni

Abbiamo dunque un capitale globalizzato completamente autonomo rispetto ai governi (come dimostra ad esempio l'impotenza dell'Europa nei confronti della Grecia) che fa saltare qualche anello debole (Piigs) e scatena una semplice anteprima di ciò che potrebbe succedere a livello molto più generale. Generale quanto? Dipende. C'è molta violenza sociale nei fatti di Grecia, ma c'è anche molta sovrastruttura mediatica e anche una certa dose di gioco delle parti. La scena con poliziotti avvolti dalle fiamme è fotogenica, ma le molotov, seppur pericolose per gli individui, sono innocue dal punto di vista dei risultati sociali. Le devastazioni sono fini a sé stesse e dominano le simbologie anarco-situazioniste, mentre passa in secondo piano l'importantissimo travaglio di tipo "sindacale". In fondo l'hanno vinta epifenomeni che assumono un significato solo nel contesto generale, che è quello della crisi sistemica internazionale potenzialmente in grado di sollevare una risposta sociale altrettanto internazionale. Le masse si scontrano con la polizia, si avanza, si indietreggia e volano mazzate, ma in realtà nessuno sa bene cosa fare.

Questa è la cosa tremenda: nessuno sa che cosa fare. E volano stupide molotov, e muoiono tre poveracci, una morte senza senso come senza senso è la vita sotto il Capitale trionfante. Per il momento tutto è ambiguo, avvolto nell'incertezza.

Per il momento. Infatti i governi europei hanno racimolato ulteriori 750 miliardi di dollari per prevenire la speculazione. Il Sole 24 Ore avverte sul suo sito web: un estintore da mille miliardi va bene per spegnere le fiamme più alte, ma covano bracieri un po' dappertutto. Le borse hanno esultato un momento per subito precipitare, perché c'è poco da stare allegri: la Banca Mondiale calcola che i prodotti finanziari derivati ammontino ad almeno un milione di miliardi di dollari di cui il 70% OTC. L'acronimo vuol dire Over The Counter, cioè scambiati in modi non ufficiali, ad esempio al telefono  via computer. In realtà le cifre sono date come "notional" cioè stime, proprio per l'impossibilità di controllo. Non c'è più nessuno in grado di sapere cosa possano combinare capitali fittizi in tali quantità. Se appena si muovono per un millesimo del loro ammontare, travolgono qualsiasi barriera. E si osservi la velocità a cui procede l'autonomizzazione del Capitale anche in un mondo abbastanza controllato come la borsa:

Quest'immagine paradigmatica dovrebbe essere terrificante per gli Stati. Essa mostra il declino dei capitali che si muovono nel sistema borsistico ufficiale (New York Stock Exchange, NYSE) e si spostano massicciamente su un ventaglio di mercati elettronici paralleli, fuori da ogni controllo (titolo: Flash sul crash-guazzabuglio). L'autonomizzazione del Capitale non è una pensata di Marx, è la natura di questo sistema, e qui ne vediamo solo una parte, che comunque alla borsa di New York significa il passaggio dall'80% delle transazioni totali al 20% in poco più di sei anni. Il grafico tuttavia dà solo una pallida idea di ciò che succede veramente, perché la borsa di New York capitalizza in totale 14.000 miliardi di dollari circa (più 7.000 di provenienza estera), vale a dire in totale circa la cinquantesima parte dei capitali investiti solo in derivati. I capitali "resi liberi" nella società sono dunque mine vaganti in grado di far saltare altro che la Grecia.

L'Inghilterra, che se ne intende di capitali finanziari, s'è tirata fuori dalla cordata di salvataggio intereuropea. Non poteva fare altrimenti, dato che non partecipa all'eurozona; ma s'è messa in guai molto seri. Infatti la situazione è questa: durante un massiccio bombardamento alcuni paesi dell'area euro si rintanano in un rifugio di fortuna rischiando di finire sepolti dalle macerie, mentre i paesi di area non euro vanno a spasso sotto le bombe senza neanche un ombrello. Ricordiamo che nel 1992 il grande speculatore Soros mise in ginocchio Inghilterra e Italia in un colpo con "soli" 10 miliardi di dollari.

E' in un una situazione del genere che i proletari greci scioperano preventivamente e chiedono lo sciopero generale internazionale. Erano in duecentomila in piazza, ma il mondo ha visto solo le molotov. Sono gli unici che si oppongono sul serio al sistema facendo quel che possono per dare la loro impronta al movimento sociale. Le assemblee proletarie sono meno fotogeniche delle fiamme, ma sarebbe ben più interessante avere un detector da quelle parti piuttosto che davanti alle vetrine rotte. La piccola borghesia studentesca, interclassista e romantica, ci interessa, ma solo come il coperchio che si muove sulla pentola segnalando l'acqua in ebollizione.

OCSE, ISTAT E MANOVRA DELLA DISPERAZIONE: IN COMUNE HANNO DI ESSERE TOTALMENTE FARLOCCHE, SPURIE, NON VERE

Se Totò Riina e Bernardo Provenzano aprissero un'agenzia di rating sullo sviluppo della criminalità in Italia che risultati produrrebbe? Outlook criminalità zero. Una tripla A per l'Italia, il massimo del punteggio per un Paese civile. Lo stesso avviene per l'OCSE, l' Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, il cavaliere bianco di ogni crisi economica italiana.
Nel suo "Economic Outlook" l'OCSE spiega che in Italia "la recessione è finita a metà del 2009", notizia che rasserena gli animi degli italiani turbati dalla Grecia prossima ventura. L'OCSE è finanziata da 31 Paesi, tra cui l'Italia che è uno dei maggiori contribuenti. Ha sede a Parigi, 2.500 DIPENDENTI e un budget faraonico di 320 milioni di euro annui (dati 2009). L'OCSE è un inno alla politica economica di Tremorti: "La politica del Governo ha aiutato a contenere la disoccupazione, che continuerà comunque a crescere lentamente nel 2011 (quindi cresce anche nel 2010, ndr)". L'OCSE valuta con ottimismo la disoccupazione italiana senza però tenere conto degli scoraggiati (chi non cerca più lavoro perché ha perso ogni speranza) e le rilevazioni a campione farlocche che considerano occupati anche coloro che hanno lavorato pochi giorni durante l'ultimo semestre: "Il tasso di disoccupazione italiano resta comunque inferiore a quello complessivo della zona euro e a quello degli Stati Uniti". E' un inno all'Italia che riesce a "mantenere un basso deficit primario, all'interno dei livelli stabiliti(?)" e al governo che "è riuscito a mantenere insolitamente bassa la crescita della spesa complessiva per il 2009", ma l'OCSE non rileva che l'Italia ha accumulato circa 100 miliardi di euro di debito pubblico nel 2009 e una trentina da inizio anno ("crescita insolitamente bassa della spesa", e di quanto, allora, doveva crescere per essere insolitamente alta?).
Gli stipendi italiani sono i più bassi d'Europa e ora, dopo il congelamento delle retribuzioni degli statali di Tremorti per il prossimo triennio, spesso cifre di poco superiori a 1.000 euro al mese, gli stipendi si avviano a essere i più bassi del Mediterraneo. In compenso l'Italia ha la tassazione che resta comunque superiore a quella complessiva della zona euro e a quello degli Stati Uniti.
L'Italia, secondo l'OCSE. va, piano, ma va (ma dove va?) . L'Italia che paga parte dei suoi 2.500 dipendenti. L'OCSE, tra gli enti inutili è il più dannoso (dov'era prima del crack economico del 2008, del fallimento della Grecia (Paese membro)? ).
Tremorti tolga il finanziamento all'OCSE, lui e lo psiconano non hanno bisogno di aiuto, a raccontare palle sono inarrivabili.

C'è qualcosa di nuovo nell'aria anzi d'antico. Un profumo di otto settembre (1943,l'armistizio della seconda guerra mondiale), di Caporetto (ottobre 1917), della fatal Novara (1849, Prima Guerra d'indipendenza), di disfatta nazionale che riappare periodicamente, come un vecchio amico in visita, come gli attacchi di malaria a chi ne è colpito. E, nella migliore tradizione nazionale, il giorno prima della tempesta brillava il sole. I bollettini di guerra narravano di vittorie luminose, di imprese dei nostri condottieri esaltate da schiere di lacchè e di servi.
La statua di cera Letta ha annunciato "Sacrifici duri", non solo sacrifici, ma anche "duri". Il maggiordomo dello psiconano, tale nei tratti e nei comportamenti, ha chiuso con una sola frase, certo in modo inconsapevole, quindici anni di sprechi, di rapina della cosa pubblica, di esproprio della democrazia. Il soave Letta ha accennato alla bancarotta, le misure servono "per salvare il Paese dal rischio Grecia" e ha usato termini da sincope: "disperato, ma speriamo vittorioso tentativo di scongiurare una crisi epocale...". Si avvicina la Waterloo per il Governo delle 3I: "Incapace, Incompetente, Impunito".
La manovra di Tremorti per salvare il Paese assomiglia a un'estrazione a sorte, a un mazzo di carte degli Imprevisti del gioco del Monopoli, a un rompete le righe, a una fuga disordinata dal fallimento e dalla realtà. Tagli alla "dove cojo cojo" usando il furto delle parole. Le "finestre dimezzate" che tolgono ai pensionandi 800 milioni di euro nel 2010 e 1,6 miliardi nel 2011 (una "piccola iattura" secondo Brunetta). Un gettito di 5 miliardi per la "messa a catasto di due milioni di abitazioni", parole di Bonaiuti. Se una casa non è accatastata di solito è abusiva, quindi è una sanatoria. L'ennesima presa per il fottuto di un culo di merda per i cittadini onesti. L'introduzione del pedaggio per il tratturo Salerno-Reggio Calabria e per i raccordi autostradali. L'aumento della percentuale di invalidità dal 74 all'85% per ottenere una (merdosissima) pensione. Tagli alle Regioni e ai Comuni che si tradurranno in meno servizi per i cittadini che già arrancano come mamelucchi nel deserto. Il congelamento degli stipendi agli statali per tre anni.
"Sacrifici duri" anche per parlamentari, ministri e sottosegretari. Il loro solo stipendio lordo (i benefit non sono inclusi) sarà diminuito del 10% della quota superiore a 80.000 euro. Questa elemosina è benzina sul fuoco. Gli stipendi dei nostri parlamentari sono i più alti d'Europa, quasi due volte quelli di Gran Bretagna e Germania, più del doppio di Francia e Grecia.
Nessuna manovra strutturale, solo giochi di prestigio. L'eliminazione delle Province, la cancellazione delle missioni di guerra totalmente inutili, l'accorpamento dei Comuni sotto i 5.000 abitanti, l'abolizione delle Grandi Opere Inutili come il Ponte di Messina da 5 miliardi e la Tav in Val di Susa da 20 miliardi,il nucleare idiota ed obsoleto oltre che pericolosissimo - quì la cifra dei miliardi di euro in sperpero è indefinita-, la cancellazione del parco di macchine blu più esteso del mondo. Le misure "strutturali" che diminuiscono le spese per sempre e non una tantum sono molte, ma Tremorti non ne attuerà nessuna perché colpirebbe la casta, di cui fa parte, o gli amici della casta. L' Italia sta fallendo un pezzo alla volta, una Regione dopo l'altra, quando non ci saranno più fondi l'unica alternativa per il Sud e parte del Nord sarà l'emigrazione, anche questo un eterno ritorno per gli italiani. Tra le prime aree del mondo a rischio bancarotta c'è la Sicilia, dietro il Portogallo e prima dell'Iraq.
E' tempo di fatwe laiche verso coloro che, come ogni cittadino, devono contribuire ai "sacrifici duri". Esempi sociali negativi da correggere. La prima fatwa è per Lucio Stanca, doppiostipendista pubblico, come amministratore di Expo 2015 e parlamentare, con 644.168 euro all'anno (incluso il variabile). Se il deputato Stanca non rinuncia subito a una delle due cariche, e insieme a lui, tutti suoi proseliti, nessun sacrificio può essere chiesto agli italiani. Ogni persona che incontri Stanca gli ricordi che non può essere mantenuto due volte dalle nostre tasse. E' sempre meglio saltare da soli che essere spinti nel vuoto.

NON BASTA MAI: BORSE IN PROFONDISSIMO ROSSO

Borse europee in profondo rosso
A Milano apertura sotto il 3,5 %

Tokyo chiude in picchiata, euro giù

Alert: in Spagna fusione di emergenza tra 4 banche in totale fallimento

Borse europee in profondo rosso A Milano apertura sotto il 3,5 %Pesante ribasso in avvio di seduta per Piazza Affari. Male anche Londra, Francoforte , Parigi e Amsterdam. Tokyo chiude col Nikkei a -3,06, sotto ai 9500 punti, ai livelli più bassi dal primo dicembre 2009. Moneta europea più debole: 1,2377 dollari
Borse in diretta Come previsto la Germania ha imposto la sua linea, la Banca centrale europea non favorirà l’inflazione stampando denaro per finanziare i deficit europei e tutti sono chiamati a lacrime e sangue. Guardandosi allo specchio, e parlando anche dell’Italia, Silvio Berlusconi ha detto: “Molti paesi dell’Unione europea sono consapevoli di aver vissuto al di sopra delle proprie possibilità. Siamo quindi alla resa dei conti: il Pdl che ci aveva promesso un’Italia con meno tasse e senza tagli si trova oggi a tentare di arginare il suo ministro dell’Economia Giulio Tremonti che ha bisogno di 28 miliardi di veri risparmi o di nuove entrate per riportare sotto controllo i conti pubblici. La prima bozza della manovra, fatta filtrare ieri al Corriere della Sera, ha alcuni tratti di populismo, misure di dubbia costituzionalità e, pur essendo priva di cifre, sembra ancora lontana dagli obiettivi di riduzione della spesa che si è dato Tremonti.

TAGLI AI DIRIGENTI. Il populismo si osserva nelle riduzioni degli stipendi degli alti dirigenti della Pubblica amministrazione dei manager pubblici. C’è anche un dato politico che non dispiacerà all’opposizione: la Protezione civile viene di fatto commissariata. I grandi eventi tornano ad essere soltanto le catastrofi e quelli non prevedibili, a comandare sulla gestione sarà adesso il Tesoro e non più Palazzo Chigi, cioè Tremonti invece di Berlusconi e Gianni Letta. Sparisce anche la Difesa spa (che doveva snellire i rapporti del ministero in appalti e uso delle risorse), si rinuncia a rifinanziare le regioni commissariate per la spesa sanitaria e si tagliano i trasferimenti agli enti locali che sforeranno il Patto di stabilità nel 2010 (saranno moltissimi). Ricompare una misura ad alto rischio di incostituzionalità: si rendono nulli i decreti ingiuntivi e i pignoramenti verso le Asl delle regioni commissariate reintroducendo una norma che lo stesso governo, nella persona del ministro della Giustizia Angelino Alfano, aveva bocciato nel 2007 alla Regione Campania che aveva provveduto con propria legge regionale. E questo sarà un problema per le imprese che non riescono a farsi pagare dalla sanità regionale. Si finisce con un taglio lineare (cioè non mirato a una riduzione delle risorse complessive) dell’8 per cento di alcune spese dei ministeri.

I CONTI. Più che una manovra all’altezza delle aspettative della Commissione europea e dei mercati finanziari sembra lo specchio della disperazione di una classe dirigente che non vuole ancora prendere del tutto atto della realtà e dei sacrifici necessari, quindi della necessità di un nuovo patto sociale. Per la prima volta nella storia delle manovre finanziarie non si conoscono i risparmi associati ad ogni misura, probabilmente perché il conto finale non è ancora stato fatto davvero e, sommando quello che già si conosce, si arriverà a stento a 20 miliardi di euro. Ne mancano quindi ancora almeno altri otto per arrivare vicino a quella che sarebbe la vera necessità per il solo 2011. Mentre infatti il governo continua a mantenere le sue previsioni di crescita per il 2011 all’1,4 per cento, le maggiori banche e istituzioni internazionali hanno abbassato le stime all’1,1 per cento per il prossimo biennio, riportando la lancetta dell’ammanco a 40 miliardi per due anni.

NUOVI CONDONI. Si capisce quindi perché in questi giorni si moltiplicano le voci di nuove misure straordinarie per aumentare il gettito che nel 2009 aveva retto solo grazie allo scudo fiscale. Le idee sono le solite: condoni edilizi, condoni fiscali per le imprese e via dicendo. Nessuna misura strutturale, nessun intervento per ridurre in modo permanente le spese nei prossimi anni. Si brancola nel buio con le mani in avanti sperando di non essere investiti da una crisi finanziaria che si avvicina a tutta forza. Chi sembra più consapevole del pericolo è proprio Tremonti che con i suoi scarni comunicati e le ripetute minacce di dimissioni, sapientemente fatte filtrare ai giornali, sembra oramai l’unico in grado di cambiare la rotta politica della manovra e del governo. Dopo le anticipazioni della manovra, Berlusconi ha subito smentito non il documento, ma i suoi effetti: “Non metteremo le mani nelle tasche degli italiani, ma cercheremo con ogni mezzo di combattere le spese eccessive e naturalmente l’evasione fiscale”. Ma il ministro del Tesoro è consapevole che i mercati concederanno una tregua di sei-dieci mesi ai titoli del debito pubblico italiano per poi verificare l’efficacia della manovra e la consistenza della ripresa economica. Tremonti sa anche che entrambi questi dati rischiano di essere negativi e che a quel punto sarà in evitabile una resa dei conti nel governo e nel paese. Il calcolo di sostenibilità ci dice che servono 60 miliardi in tre anni di minori spese (strutturali) o di maggiori entrate (anche queste strutturali), che il nostro tenore di vita dovrà abbassarsi del 20 per cento ed assomigliare, anche in termini di prezzi al consumo e degli immobili a quello della Germania. La manovra estiva è solo l’inizio.

 

Wall Street: la pacchia è finita. Ok del Senato americano alla più vasta riforma dagli anni '30

09:15 | Finito il tempo dei "rodei" messi in atto dal sistema finanziario, come ha detto anche il "numero uno" della maggioranza democratica. Barack Obama ha così incassato un'altra bella vittoria. Il mondo della finanza, come ha detto il presidente degli Stati Uniti, ha decisamente "fallito" nei suoi tentativi lobbistici di ostruzionismo. 27 Commenti

Roubini: Mercati perderanno altro 20% nei prossimi mesi

Ancora vendite sui listini europei: Milano-1,2%, Francoforte-2,6%

I mercati azionari continueranno a colare a picco nei prossimi mesi, fino a perdere un altro 20 per cento. E' l'opinione del "Dr.Doom" Nouriel Roubini, l'economista della New York University noto per essere stato tra i primi a prevedere la crisi finanziaria del 2008. La debolezza dell'Eurozona e un rallentamento della ripresa negli Stati Uniti e altri paesi sviluppati renderanno la vita difficile agli investitori nei prossimi mesi, ha detto Roubini a Cnbc. "Ci sono alcune parti dell'economia mondiale che ora sono a rischio di una seconda recessione", ha detto. "Da questo punto in poi vedo le cose peggiorare". Il mercato è a rischio "perché prima di tutto ci sono problemi a livello macroeconomico nell'Eurozona. Poi in Cina ci sono segnali di rallentamento, il Giappone non è messo molto bene e la crescita economica degli Stati Uniti rallenterà", ha detto. E ha aggiunto che anche la riforma finanziaria appena approvata dal Congresso americano rappresenta un rischio "perché non sappiamo che effetti avrà". Per quanto riguarda l'Europa, Roubini ha detto che risolvere i problemi del debito in Grecia è una "missione impossibile" e che delle decisioni difficili sono inevitabili. "Ciò che si deve fare è chiaro. Bisogna alzare le tasse e tagliare le spese. Altrimenti ci ritroveremo in un deragliamento fiscale", ha detto. "Ci vorranno anni di sacrifici". E sui mercati europei anche nel pomeriggio hanno prevalso le vendite. A dare fiducia ai listini non è stata sufficiente nemmeno l'approvazione da parte del parlamento tedesco del piano Ue relativo al maxi-fondo da 750 miliardi di euro per la stabilizzazione dei mercati finanziari. A Milano Ftse It All- 1,2% e Ftse Mib -1,3% a Parigi Cac40 -1,8%, a Francoforte Dax -2,6% e a Londra Ftse100 -1,6%. Fsn-Emc mag 10 MAZ. L'economia è scomparsa dalle prime pagine dei giornali e dei telegiornali o ridotta a notizia di secondo piano. Eppure la Borsa di Milano continua a perdere il suo già esiguo valore. Il titolo di Telecom Italia è sceso sotto l'euro a 0,972, Intesa San Paolo, la più grande banca del Paese, ha perso il 33% da inizio anno (*). In generale le perdite per le aziende oscillano tra il 20 e il 30%. La Merkel ha ripetuto più volte che l'euro è a rischio. La ragione per cui può saltare sono i debiti nazionali. I titoli di Stato che coprono il debito dei PIIGS possono trasformarsi in spazzatura da un momento all'altro come è successo in Grecia.
I debiti nazionali riconvertiti in titoli sono l'equivalente dei derivati tossici che hanno fatto fallire banche in tutto il mondo. Dopo le banche falliranno gli Stati. Ora, la Germania dovrebbe ripianare, per tenere in vita l'euro, i debiti di Stati come l'Italia, comprare il debito da Tremorti. Perché dovrebbe farlo? In Germania i cittadini pagano le tasse mentre in Italia l'evasione è stimata in 130 miliardi di euro all'anno. In Germania le truffe ai danni della UE per centinaia di milioni di euro sono inesistenti, le mafie non fatturano tra i 100 e i 150 miliardi ogni anno, la corruzione non drena 50 miliardi come da noi. Perché i tedeschi dovrebbero aiutarci? Perché un tedesco dovrebbe privarsi di servizi sociali o ritardare la sua pensione a causa di una gestione delinquenziale dei conti pubblici attuata da venticinque anni da gente come Craxi e Berlusconi?
La Merkel chiede un
limite al debito pubblico e al deficit degli Stati e l'espulsione per chi non lo osserverà. Tremorti si è riunito con quelli che ci ostiniamo a chiamare ministri, ma che senza Berlusconi sarebbero al massimo impiegati di concetto di qualche ente pubblico o addetti alla pulizia dei gabinetti nelle stazioni. Tremorti ha minacciato le dimissioni se non ci saranno i tagli di 24 miliardi. Nessuno meglio di lui sa che ne occorrono almeno 100 di miliardi e che nessun governo politico è in grado di imporre una manovra del genere ai cittadini, anche se diluita nel tempo.
Nel 2010 Tremorti, mentre il nostro debito pubblico aumenta al
ritmo di 100 miliardi all'anno, deve vendere alcune centinaia di miliardi di euro di titoli in scadenza. Chi li comprerà? Se non lo farà la UE, e non lo farà, la festa è finita. Si potrebbe chiedere alle mafie di comprarli in cambio di leggi favorevoli. E' un'idea. Tremorti ci pensi.
Forse è l'ultima speranza, prima degli elicotteri. L'opzione migliore rimane comunque la vendita dell'Italia alla Germania in cambio dell'annullamento del debito. Un'Italia protettorato meridionale tedesco, un balcone sul Mediterraneo. Merkel for president. Now!
 

PICCO DEL PETROLIO, PICCO DELL'ACQUA,CROLLO ECONOMICO-SOCIALE, di Lester Brown

La questione è: cosa possiamo fare e quanto ci costerà non farlo. Perché se non lo facciamo, siamo finiti! La civiltà non sopravviverà continuando con la solita gestione delle cose. Dobbiamo operare grandi cambiamenti: tagliare le emissioni di CO2, stabilizzare la crescita della popolazione, sradicare la povertà - che è strettamente connessa con la stabilizzazione della crescita demografica - e ripristinare l’agricoltura, la pesca, le riserve idriche, il nostro sistema di sostegno naturale. Il problema è che si tratta di un sistema complesso di questioni e i capi di Stato sono consigliati perlopiù da economisti. Ci sono un sacco di cose che gli economisti fanno bene, ma ci sono delle cose che non sanno fare bene affatto. Gli economisti non riconoscono il livello di rendimento sostenibile dei sistemi naturali. L’economia semplicemente non riesce a riconoscere la cosa. Non c’è niente nella teoria economica che spieghi perché l’industria della pesca del merluzzo in Canada sia crollata, o perché si stiano fondendo i ghiacciai sugli altopiani del Tibet e sull’Himalaya. L’economia non spiega perché la calotta polare della Groenlandia si stia fondendo e il livello del mare si stia alzando. Gli economisti sono come esclusi dal mondo reale. Sono isolati dalla realtà dal corpo della teoria economica. Cercano di trovare il modo migliore per operare piccoli aggiustamenti per adattare il sistema e spiegare ciò che accade, ma la teoria economica fallisce nel tentativo di spiegare le relazioni fondamentali tra la l’economia globale e i sistemi naturali di supporto. Mi sono accorto che gli economisti che consigliano Obama o il Segretario Generale dell’ONU, o la Banca Mondiale, o il presidente della UE non capiscono cosa stia accadendo al mondo e non capiscono l’urgenza di ristrutturare l’economia energetica mondiale per esempio.
L’economia non spiega il cambiamento climatico. Per esempio, la fusione dei ghiacci nell’estremo nord dell’Atlantico potrebbe portare all’inondazione delle coltivazioni di riso nei delta dei fiumi asiatici, riducendo drasticamente i raccolti di riso.
A meno che non si studino queste cose, non è ovvio intuire che lo scioglimento dei ghiacci in Groenlandia sta minacciando la raccolta di riso in Asia, dove vive la metà della popolazione mondiale. È questo genere di complessità che ci troviamo a gestire. Gli economisti non hanno gli strumenti giusti per definire politiche adeguate.
La metà della popolazione mondiale vive in Paesi dove il livello delle falde acquifere si sta abbassando. Tra questi i tre grandi produttori di grano: Cina, India e Stati Uniti. Ci sono anche molti Paesi più piccoli: Arabia Saudita, Yemen, Siria, Pakistan, Messico e altri. Pompando acqua dalle riserve acquifere oltre il livello di riempimento naturale (OVVERO QUELLO DETERMINATO DALLE PIOGGE: LA SICCITA' PORTA A POMPARE ACQUA IN PIU' DALLE FALDE ACQUIFERE SOTTERRANEE CHE VANNO SEMPRE PIU' IN PROFONDITA' ), stiamo alimentando una bolla nella produzione di cibo. Stiamo inflazionando la produzione di cibo artificialmente esaurendo le scorte d’acqua.
Quando avremo esaurito le scorte d’acqua, il tasso di prelievo dovrà necessariamente ridursi fino al tasso di riempimento naturale, ovvero al grado di piovosità di un territorio. Non si tratta di ipotesi o argomenti di dibattito. È la realtà. Quindi abbiamo bolle della produzione di cibo di dimensione significativa che prima o poi scoppieranno e non credo che il mondo sia pronto a questo. A me pare che le aree irrigate negli Stati Uniti hanno raggiunto un picco e stanno ora diminuendo. Ciò vale certamente anche per l’India. Potrebbe valere anche per la Cina, non siamo sicuri, e per un numero di piccoli Stati: Arabia Saudita, Siria, Messico. Ciò significa che probabilmente abbiamo raggiunto il picco di estrazione dell’acqua contemporaneamente al raggiungimento del picco di estrazione del petrolio. Molta gente parla del picco del petrolio, ma pochi parlano del picco dell’acqua. Ma penso che ci siamo ora e credo di aver argomentazioni convincenti. Il mondo dopo il picco dell’acqua sarà un mondo diverso da quello che conoscevamo prima del picco. Nel corso delle nostre vite l’uso dell’acqua per le aree irrigate che contano per il 70% dell’acqua utilizzata, diminuirà. Sarà un mondo molto diverso, che non abbiamo ancora immaginato. Lo stesso vale per il petrolio, naturalmente. Nel corso delle nostre vite il tasso di estrazione è aumentato e ora diminuisce. Sarà un mondo molto differente.

L'euro e' finito, qualsiasi cosa faccia la Germania di Angela Merkel

La Grecia preoccupa Marchionne. Goldman taglia intanto target Fiat

 

Borse, Milano in profondo rosso, euro sotto assedio sprofonda senza fine
Dalla Merkel nuovo allarme euro

  Borse, Milano    in profondo rosso      Dalla Merkel  nuovo allarme euro La cancelliera tedesca: "In alcuni paesi dell'eurozona si rischia l'effetto domino". Le banche trascinano al ribassoi listini. Tremonti  sulla manovra: "Colpiremo evasori e falsi invalidi". Fisco, cambia il redditometro / Commenta

Il divieto tedesco terrorizza le borse: pioggia di vendite ovunque

10:28 | AZIONARIO | Sembra di stare sull'ottovolante: giornate di forti rialzi si susseguono a sedute di ampi ribassi, con i finanziari sempre al centro delle operazioni principali. In Europa il comparto bancario perde circa il 3%. 1 Commento

Dubai World sigla accordo su debiti, un problema in meno per le borse

La holding dell'Emirato Arabo ha chiuso un'intesa da 14,4 miliardi di dollari con le banche creditrici, che detenevano circa il 60% del debito complessivo.

Dopo mesi di trattative, Dubai World ha siglato un accordo di massima per la rinegoziazione del suo debito da 23,5 miliardi di dollari. La holding pubblica dell'Emirato Arabo ha chiuso un'intesa da 14,4 miliardi di dollari con le banche creditrici, che detenevano circa il 60% del debito complessivo di Dubai World, mentre la restante parte era in capo al governo locale.

La finanziaria ripaghera' quindi 4,4 miliardi di dollari in 5 anni ed i restanti 10 miliardi in otto anni.

La società aveva fatto parlare di sè nel novembre scorso, quando l'annuncio di una moratoria sui suoi debiti aveva scatenato il panico nelle borse di tutto il mondo.

 

 

Tutti vendono i debiti PIIGS. Gli interventi BCE un potenziale boomerang.DEBITI SOVRANI | La Banca centrale europea compra massicce quantita' di titoli sovrani dei paesi Club Med sul mercato secondario. Ma la notizia che Pimco, il fondo obbligazionario n.1 al mondo, abbia liquidato in fretta e furia tutti i bond di Grecia e Portogallo, fa pensare che lunedi' non sara' un'apertura facile sui mercati.Milano sotto attacco dagli short: e' la peggiore borsa d'Europa (-5.3%)  Sui mercati cresce la paura della crisi Giù le Borse, euro ai minimi dal 2008

Sui mercati cresce la paura della crisi
Giù le Borse, euro ai minimi dal 2008

I timori per il debito pubblico dei Paesi europei condizionano i mercati: male tutti i listini europei, Milano tra i peggiori. Continua la discesa della moneta europea sul dollaro / BORSE IN TEMPO REALE. Si sussurra che la ormai attesa manovrina di Tremorti sia arrivata a 50 miliardi di euro. E' per "il rilancio dell'economia con tagli alle spese che comporteranno sacrifici per tutti" ha detto il ministro della Semplificazione legislativa Roberto Calderoli. Per far digerire la pillola agli italiani Calderoli ha proposto un taglio del 5% degli stipendi dei parlamentari. La sofferenza di deputati e senatori aiuterà gli italiani a dimenticare che solo fino a ieri la crisi per il Governo non esisteva e che lo psiconano li spronava a consumare di più. La dolorosa riduzione inflitta ai parlamentari con gli stipendi più alti d'Europa e che maturano la pensione dopo due anni e mezzo sarà da sprone a chi non arriva a fine mese. Il viceministro dell'Economia Vegas ha aggiunto un tocco spensierato e ottimista alla proposta: "Perché no? Se si devono fare dei sacrifici li devono fare tutti". Calderoli per completare il buon esempio ha offerto il suo maiale da passeggio per la mensa di Montecitorio.Per Dubai i debiti servivano a finanziare nuovi palazzi da mettere sulle cartoline, per l’Europa i debiti ora servono semplicemente a sopravvivere. In questa situazione gli investitori decidono cosa gli Stati debbono e non debbono fare, quali sono le dichiarazioni giuste e quelle sbagliate, e smascherano i bluff. Venerdì il mercato ha dato un segnale chiaro agli “establishment del debito” pubblico: non potete continuare a vendere fumo oppure non compreremo più i titoli di Stato e fallirete miseramente. Lo ha fatto attaccando le Borse dove si sente la mancanza dell’intervento della Banca centrale, lo ha fatto iniziando a vendere anche i titoli di Stato dei Piigs (Italia inclusa, è inutile far finta del contrario) e facendo capire alla Banca centrale europea che la cifra da mettere sul piatto per sostenere l’Eurozona la prossima settimana dovrà essere prossima ai 200 miliardi di euro solo per frenare la caduta.

Qui nasceranno i problemi. La Germania ha annunciato una manovra da 15 miliardi di euro e tagli alla spesa pubblica e continua a essere contraria a massici interventi della Banca centrale sul mercato obbligazionario. I tedeschi non sembrano disposti a pagare i conti degli altri con un euro eccessivamente debole e una ripresa dell’inflazione nel medio termine. Preferiscono sangue, dolore e lacrime da imporre ai partner e rimettere in ordine i conti europei. I titoli di Stato tedeschi sono volati venerdì a livelli massimi indicando chiaramente che la Germania è diventata l’unico paese rifugio in un’Europa alle prese con il peggiore incubo degli ultimi anni. La prossima settimana sarà determinante per capire quanta fiducia hanno ancora gli investitori in questo establishment europeo che ha mentito, chi più chi meno, sulla propria situazione finanziaria e sta ancora tentando di nascondere il problema con misure tampone che non risolvono i problemi e non parlano chiaramente ai propri popoli.

In Italia “siamo di fronte a un governo e a una maggioranza che è dichiaratamente contro la famiglia e che, con il Dpef, si sta schierando contro il popolo e contro la gente comune, privilegiando solo gli interessi dei poteri forti”, diceva Roberto Calderoli nel 2006, parlando della dura Finanziaria del governo Prodi di allora, ma ora è lui ad annunciare misure di risanamento analoghe o più severe e parla di “sacrifici per tutti”.

Dov’era la delegazione leghista quando il governo Berlusconi proponeva il Dpef 2010-2013 senza “né tagli né tasse” e vi aggiungeva uno scudo fiscale che ha beneficiato i soliti furbi? Non si sono accorti che le previsioni di crescita economica e le entrate fiscali erano volutamente sovrastimate per nascondere la verità dei conti? Questa mancanza di trasparenza e onestà verso gli elettori a cui si vendeva un’Italia dove “la crisi non esiste” ha aumentato la violenza della crisi e il pericolo di essere colpiti dai mercati finanziari. Ora si corre ai ripari con una manovra finanziaria da 25 miliardi in 2 anni che già sappiamo diventeranno 60 in 3 anni, sempre che gli investitori internazionali siano ancora disposti a dare fiducia a una classe politica che ha costruito le sue fortune sul debito pubblico rinviando il momento della resa dei conti con la realtà, e con gli elettori, e accumulando immobili nel centro della Capitale. Il taglio del 5% allo stipendio dei parlamentari è una misura demagogica e ridicola per farci credere che siamo tutti nella stessa barca e che i sacrifici toccheranno tutti allo stesso modo. Sappiamo già che non è così, un provvedimento equanime si poteva fare a dicembre 2009 quando la crisi aveva allentato la morsa e concedeva tempo e possibilità di adottare provvedimenti ponderati, confrontandosi con le imprese e i sindacati e anche con l’opposizione.

Si è preferito negare la crisi, promettere in campagna elettorale che si sarebbero eliminate le liste d’attesa per le prestazioni sanitarie per poi scoprire che non ci sono neanche i soldi per pagare i dipendenti delle Asl. Si è preferito alimentare la speranza che si intravedeva “una luce in fondo al tunnel”, non ci si era accorti che quelle erano le luci di un treno che ci stava arrivando addosso. Ma ora si farà troppo in fretta, i tagli saranno duri e ripetuti e senza confronto con le parti sociali. E più la crisi internazionale si aggrava, più sarà necessario tagliare. Aumentate gli stipendi ai parlamentari del 10% ma dateci, per carità, una classe dirigente degna di questo nome.

 

 
TIRARE A CAMPARE MA IL MODELLO ESPONENZIALE DI CRESCITA ESISTE SOLO SULLA CARTA, NON NELLA REALTA':IL DESTINO E' L'IMPLOSIONE

Che cosa sono i 110 miliardi che verranno dati alla Grecia per salvarla (80 dai governi dell’Eurozona, 30 dal Fmi) e i 750 approntati dall’Unione europea per creare un maxifondo "anticrisi"? Nel mondo globalizzato tutti i Paesi europei sono indebitati fra di loro e con gli altri Paesi industrializzati che a loro volta sono indebitati con noi. I miliardi dati alla Grecia e quelli del maxifondo "per battere la speculazione" sono una partita di giro. Si tratta di denaro inesistente, "tossico" non meno dei titoli “tossici”, che serve per drogare ulteriormente il cavallo già dopato perché faccia ancora qualche passo prima di schiattare definitivamente. È da 15 anni che i Paesi industrializzati, di fronte alle crisi che si susseguono a ritmi sempre più incalzanti, si comportano in questo modo: immettendo nel sistema altro denaro inesistente.

Nel 1996 il Messico era sull’orlo della bancarotta: doveva 50 miliardi di dollari ai Paesi industrializzati. Cosa fecero questi? Gli prestarono altri 50 miliardi perché potesse restituire i primi 50. Un’operazione apparentemente assurda, che serviva però a tenere il Messico al gancio del mondo industrializzato che poteva così continuare a vendere ai messicani i propri prodotti. Più o meno alla stessa maniera, con qualche variante, ci si comportò per la crisi delle "piccole tigri" asiatiche nel 1997 che produsse a cascata il collasso dell'Argentina piena zeppa di carta straccia asiatica.

Così si è fatto per il collasso dei subprime americani nell’estate 2007, default che si è poi propagato in Europa e di cui l’attuale crisi è un’ulteriore conseguenza (che cosa sono gli sbalorditivi tre trilioni di dollari comparsi improvvisamente nelle mani del governo di Washington? O ce li avevano prima e allora non si capisce perché non li abbiano usati o è denaro puramente virtuale). Si tende da parte dei governi e degli economisti al loro servizio a dare la colpa di queste crisi alla "speculazione" e agli "eccessi" del capitalismo finanziario. È uno scarico di responsabilità, nient’affatto innocente, per eludere il nocciolo duro e vero della questione: è l’intero nostro modello di sviluppo ad essere "tossico". Il capitalismo finanziario non è che la diretta e inevitabile conseguenza, oltre che, in qualche modo, la necessaria precondizione, di quello industriale. Ne seguono le stesse logiche: il profitto, la sua massimizzazione col minimo sforzo e, soprattutto, l’inesausta scommessa sul futuro. Un futuro ipotecato fino ad epoche così sideralmente lontane da essere inesistente. Come il denaro che lo rappresenta (con un millesimo del denaro circolante attualmente, nelle sue varie forme, si comprano tutti i beni e i servizi del mondo. Il resto cos’è?).

Prendersela col capitalismo finanziario, sottacendo di quello industriale, è come meravigliarsi che avendo inventato la pallottola si sia arrivati al missile. Noi ci stiamo comportando come un individuo che avendo un debito, per coprirlo, ne fa uno più grosso e poi un altro più grande ancora e così via. A livello individuale il giochetto dura poco. Per un modello che si pone come planetario le cose vanno più per le lunghe. Ma un sistema che si basa sulle crescite esponenziali, che esistono in matematica, non in natura, quando non avrà più possibilità di espandersi imploderà fatalmente su se stesso. E ci siamo vicini. Lo dice anche il fatto che, essendo i nostri ormai abbondantemente saturi, siamo alla ricerca disperata di altri mercati, anche se poveri, anche se poverissimi e siamo disposti a bombardare senza pietà i popoli, come quello afghano, che non ci stanno a entrare nel nostro meccanismo.

Il paradosso di questo modello di sviluppo è che avendo puntato tutto sul cavallo dell’economia, marginalizzando ogni altro valore ed esigenza umana, sta fallendo proprio sul piano dell’economia. Spero che ciò apra gli occhi alla gente e la induca, presto, domani, subito, a impiccare al più alto pennone gli idioti e gli impostori che stanno segando il ramo dell’albero su cui siamo seduti. Ma ci credo poco. Se fossi su un altro albero riderei a crepapelle guardandoli mentre fanno karakiri. Ma sono sullo stesso ramo e mi tocca seguire, impotente, come molti altri miei consimili, la sorte che queste canaglie imbecilli ci stan preparando.

LA PACCHIA STA FINENDO. DOPO L'APPROVAZIONE DEI 1000 MILIARDI DI DOLLARI PER COMPRARE PARTE DELLA FOGNA IN TITOLI DI STATO PIIGS SOTTOPOSTI A FORTE SPECULAZIONE, ORA I GOVERNI DEI PIIGS DEVONO RICORRERE A LEGGI FINANZIARIE SUPPLETIVE. PER L'ITALIA SIAMO NELL'ORDINE DI 50.000 MILIARDI DI VECCHIE LIRE, NEL 1992 AMATO NE FECE UNA DI 92.000 MILIARDI PER MANTENERE L'ITALIA NELL'EURO...

L’Unione europea pensa al controllo preventivo sui conti pubblici, il Giornale prepara il terreno

Se si considera Il Giornale diretto da Vittorio Feltri un termometro affidabile degli umori dentro la maggioranza, allora il titolo di apertura di ieri indica l’inizio di una nuova fase: "Pericolo scampato, ora i tagli". L’editoriale del direttore è molto esplicito: "Dobbiamo adeguare il bilancio al mercato e non più allo Stato sociale, imponente e di tipo comunistoide, che ci siamo dati senza potercelo permettere se non dissanguandoci". E quindi "o si riduce il welfare all’essenziale" oppure l’Italia si espone "al pericolo di fare le fine della Grecia".

I NUMERI DEL FMI. In fondo ci sono i numeri a certificarlo, ultimi in ordine di arrivo quelli di ieri del Fondo monetario internazionale. Nel suo rapporto di previsioni sull’Europa, il Fmi scrive che l’Italia crescerà nel 2011 dell’1,2 per cento. Pochi giorni fa il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, per il solo fatto di aver ridotto le stime sulla crescita 2011 dal 2 per cento all’1,5, ha dovuto portare la manovra correttiva per ridurre il deficit da 5 a 25 miliardi. Ieri c’è stato anche il piccolo giallo delle dichiarazioni di Alberto Giorgetti, sottosegretario all’Economia. Al mattino le agenzie di stampa battono queste parole: “Anche se la manovra parte dal 2011, è possibile che alcune misure entrino in vigore subito dal 2010”. In serata, però, arriva la smentita direttamente dal ministero dell’Economia: "Tutto procede invece secondo i piani preannunciati". Nonostante l’asta di ieri dei Bot non sia andata benissimo: la domanda resta alta, ma il tasso di interesse sal all’1,44 per cento, il massimo dal febbraio 2009. È chiaro che il clima è cambiato dopo l’approvazione del piano straordinario per salvare l’euro, domenica notte, che ha già prodotto le sue prime conseguenze. Uno dopo l’altro i Paesi considerati a rischio dai mercati finanziari stanno annunciando interventi drastici sulle finanze per riportare in equilibrio i conti, oggi il premier spagnolo José Luìs Rodriguez Zapatero spiegherà al Parlamento dove tagliare la spesa per trovare 15 miliardi. Il momento della verità, per l’Italia, arriverà tra poco più di un mese.

DOVE TAGLIARE. CONFINDUSTRIA E FEDERALISMO LEGHISTA GAME OVER...
Visto che al momento i mercati non stanno mettendo troppo sotto pressione i titoli del debito pubblico italiano, il governo forse riuscirà ad arrivare al momento dell’annuncio del Dpef senza prima dover procedere a decreti straordinari. Basteranno i 25 miliardi in due anni annunciati da Tremonti? Il deputato del Pdl Giuliano Cazzola non ci scommette: "Bisogna vedere come si evolve la situazione, l’entità della manovra sarà definita al momento, sulla base di quello che starà succedendo, perché si è aperta una stagione in cui gli Stati sopravvivono soltanto se riescono a finanziarsi sul mercato a prezzi accettabili". L’unica certezza è che l’agenda delle priorità del governo deve cambiare. Dice sempre Cazzola: "Le riduzioni dell’Irap e gli incentivi che chiede Confindustria sono fuori dall’ordine del giorno, e anche il federalismo fiscale si farà solo se porterà a risparmi di spesa, anche i leghisti ne sono consapevoli".

BRUXELLES. L’Unione europea ci sta osservando. Oggi la Commissione europea dovrebbe annunciare i controlli preventivi sulle manovre di risanamento, con la riforma del Patto di stabilità. Ieri circolava anche l’ipotesi di chiedere cauzioni ai Paesi a rischio (così che Bruxelles abbia un maggiore controllo sulle sue scelte fiscali) e decisioni dall’alto su dove e come spendere i soldi comunitari. Visto che è improbabile che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi annunci aumenti delle tasse, dentro il Pdl l’idea prevalente è che stia per arrivare una stagione di tagli alla spesa. Mario Baldassarri, Pdl, economista e presidente della Commissione Finanze del Senato, pensa che non ci si debbano porre limiti nei tagli: "Prima si comincia a ridurre la spesa, poi si capisce quante risorse si recuperano, possono essercene abbastanza anche per misure volte a sostenere la crescita e non soltanto il rigore economico, come una riduzione del carico fiscale". E Baldassarri ha chiaro da dove cominciare: "L’area grigia tra economia e politica, quelle voci di spesa chiaramente anomale negli acquisti di alcune pubbliche amministrazioni o della sanità e poi tutti i trasferimenti a fondo perduto che dovrebbero diventare crediti di imposta, permettendo di recuperare 18 miliardi di euro". Vittorio Feltri, nel suo editoriale, esprime così lo stesso concetto: "Si rubi pure, se proprio non se ne può fare a meno, ma con moderazione".

L'EUROPA SPINGE AL MASSIMO LE ROTATIVE PER ALLONTANARE LA SPECULAZIONE: 1000 MILIARDI DI DOLLARI SUL MERCATO

27 ministri delle finanze UE (16 stati membri 11 esterni) hanno annunciato un pacchetto di salvataggio kolossal "all'americana" di 750 miliardi di euro, pari circa a $1 trilione (1000 miliardi di dollari) che dovrebbe essere sufficiente per bloccare almeno nel breve termine la speculazione anti-euro, prevenire il panico da collasso e fermare il diffondersi del contagio dalla Grecia agli altri paesi PIIGS.

Dopo un meeting ad alta tensione durato oltre 14 ore, l'Europa ha deciso di mettere a disposizione (con quali soldi non e' chiaro, visto che sono tutti indebitati) 440 miliardi di euro in linee di credito o garanzie, 60 miliardi di altri prestiti direttamente dal bilancio UE mentre il Fondo Monetario Internazionale dovrebbe mettere sul piatto ulteriori 250 miliardi, in forma di prestiti disponibili per i paesi in difficolta'.

Inoltre - in aperta violazione del Trattato di Maastricht sui e' fondata l'Europa, cioe' in violazione del principio che considera proibiti i prestiti dalla BCE agli stati membri - la BCE si impegna ad acquistare bond sia emessi dagli stati europei sia dalle aziende dell'area euro, per iniettare liquidita' nel sistema e stabilizzarlo di fronte agli attacchi speculativi. Infine la Fed e altre grandi banche centrali promettono di intervenire sul mercato con swap sul dollaro e la riapertura di linee di credito di emergenza.

Appena circolate le prime indiscrezioni, verso le 22:45 di domenica, l'euro e' partito al rialzo sui mercati forex, in forte recupero: 1,30% sopra quota 1.29
(vedi cambio eur/usd in tempo reale). I future S&P500 a Tokyo in nottata erano in crescita 2.3% e quelli sul Dow Jones 2.0%. L'indice MSCI Asia Pacific e' salito per la prima volta dopo sei giorni di ribassi, ma solo 0.4%. A Tokyo l'indice Nikkei 225 a meta' seduta segnava 1.3% a quota 10499.

In parallelo al pacchetto di prestiti da 750 miliardi di euro approvato dai ministri UE, la Banca centrale europea ha annunciato con una mossa senza precedenti che interverra' sui mercati del debito pubblici e privati, cioe' dei bond dell'area euro (Securities Markets Program) per assicurare la liquidita' e profondita' necessarie a "mercati che sono diventati disfunzionali", senza peraltro intaccare le politiche fiscali e di bilancio dei singoli paesi. La clamorosa strategia della BCE, in stile Federal Reserve, di intervenire sul mercato aperto comprando bond ("elicottero Trichet" come il famoso "elicottero Bernanke"?) ha il preciso intento di bloccare la speculazione che con il filone dei debiti sovrani delle nazioni piu' disastrate fiscalmente sta minacciando di disintegrare l'euro sconquassando i mercati. Secondo le ultime stime il rapporto deficit/pil raggiungera' l'8.5% per il Portogallo e il 9.8% per la Spagna entro la fine dell'anno, cioe' piu' del triplo rispetto alle "griglie" (ormai jurassiche) stabilite dal Trattato.

Sempre con l'obiettivo di fermare la speculazione, diventata molto aggressiva dopo la crisi della Grecia, con un altro passo straordinario parallelo che conferma l'eccezionalita' del coordinamento globale dovuta all'estrema gravita' della situazione, la Federal Reserve ha riaperto stanotte le linee di credito verso l'Europa che erano state chiuse lo scorso febbraio, una volta esaurita l'urgenza dell'ultimo maxi-salvataggio, cioe' quello da $750 miliardi approvato da Tesoro Usa e Fed a fine 2008.

L'obiettivo della Fed e' di sifonare dollari in Europa (visto che nel mondo c'e' un'alta domanda di valuta americana mentre nessuno vuole euro) con l'aiuto di molte altre banche centrali tra cui Bank of Canada, Bank of England, la stessa BCE e la Banca nazionale Svizzera (la Banca del Giappone partecipera' in un secondo momento). "Questa azione e' stata intrapresa in risposta al riemergere di stress sui mercati finanziari in Europa", dice la Fed, "e per evitare che le tensioni si propaghino ad altri mercati".


Con questo piano l'Europa si gioca quindi il futuro cercando di approntare i mezzi per fermare almeno momentaneamente la speculazione ed evitare che il castello dell'euro crolli. Vedremo stamattina come reagiranno le borse europee ed entro qualche settimana se l'obiettivo di salvare l'euro sara' stato raggiunto.

Le difficolta' e gli ostacoli che hanno portato al varo di tali misure eccezionali, da guerra finanziaria nucleare, si erano avvertite all'inizio della riunione fiume di stanotte tra i 27 ministri dell'Ecofin, con una prima grave
spaccatura quando Londra ha annunciato che non apporterà la propria garanzia al fondo d'urgenza al quale si lavora a livello europeo per aiutare i Paesi in difficoltà. Anche la Germania ha creato un serio problema sul fondo "salva euro": per Berlino la questione stava nelle "garanzie dei prestiti" che non solo la Commissione ma anche i singoli Stati dell'Eurozona dovrebbero fornire ai paesi in difficoltà, secondo il progetto dell'esecutivo Barroso.

La moneta europea ha perso la scorsa settimana il 4.2% e il 15.0% da novembre nei confronti del dollaro, scivolando venerdi' 7 maggio ai minimi di 14 mesi. I titoli di Stato e i
CDS (credit default swaps), delle nazioni col debito piu' esplosivo, i PIIGS, con in testa l'Italia, erano venerdi' ai massimi storici per la drammaticita' della crisi. Le borse europee sono calate la scorsa settimana ai minimi degli ultimi 18 mesi, con l'indice Stoxx Europe 600 in calo -8.8%. La Borsa di Milano ha perso il doppio, con un crollo di -16.42% negli ultimi 6 mesi.

Per i 27 ministri finanziari della UE, riuniti nell'Ecofin, e' stata una corsa contro il tempo. Un pacchetto di misure serie e credibili per rassicurare i mercati doveva essere approvato prima dell'apertura delle borse orientali in Australia, Nuova Zelanda e Tokyo.

Il presidente Usa Barack Obama, terrorizzato dall'inazione politica europea che sta provocando danni collaterali pesantissimi anche a Wall Street (il crollo intraday di -9.2% giovedi' scorso e' da "cod-red" - codice rosso - per la Casa Bianca) domenica pomeriggio ha chiamato per la seconda volta in tre giorni la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Nicholas Sarkozy, per discutere la situazione (tra l'altro e' molto indicativo che la Merkel sia stata
sconfitta proprio domenica alle elezioni locali tedesche). Il portavoce della Casa Bianca Bill Burton ha precisato che Obama avrebbe ribadito ai due maggiori leader europei - gli unici di cui il presidente Usa si fida: figurarsi se telefona a Barroso - la necessita' di intraprendere passi e azioni risolute e "forti" per riportare fiducia e rassicurare i mercati. In effetti poi il pacchetto di salvataggio annunciato e' stato "enorme" rispetto alle aspettative, Obama deve aver spiegato cosa ha vissuto lui durante la crisi americana e i crolli di borsa. Sarkozy e la Merkel si sono sentiti a loro volta al telefono, "constatando il loro completo accordo" sulle misure decise dall'Ecofin.

La posizione della Gran Bretagna - che non ha voluto impegnarsi a sborsare neanche un euro per salvare un'Europa di cui non ha infatti adottato la moneta -
ha rischiato di ostacolare il meccanismo di prestiti garantiti. Siccome pero' per l'approvazione del pacchetto non era richiesta l'unanimità, ma solo la maggioranza qualificata, Sarkozy e Merkel avevano sottolineato la necessità di andare avanti comunque, anche senza avere il sì di tutti e 27 gli Stati membri Ecofin.

 

L'ECONOMIA DEL DEBITO E DELLO SFRUTTAMENTO ULTRASCHIAVISTICO

Frustate e umiliazioni pubbliche
il call-center diventa un lager

Frustate e umiliazioni pubbliche il call-center diventa un lagerDenunce per maltrattamenti da parte di una decina di ex centraliniste e ex venditori. Il frustino era usato per punire i dipendenti della Italcarone di Firenze. Aspirapolveri-truffa venduti come "presìdi medici"

 

L'ECONOMIA DELLA TANGENTE E DELLA CRICCA DI AMICHETTI SOCI

Gli affari, le case, la rete del potere
Più di 400 nomi nella lista Anemone

Scajola,recente dimissionario all'Economia, ora retto ad Interim da Testa d'Asfalto, sfida i pm di Perugia: "Non depongo" . STORACE area PDL, condannato a 18 mesi per essersi infiltrato illegalmente nei registri elettorali per sfavorire un candidato rivale, ribadisce:"me ne fotto!!". Verdini, numero due della TeknoCasa delle Libertà, indagato per tangenti e truffa, ribadisce: " Non collaboro e non mi dimetto!!";Bertolaso, indagato per truffa negli appalti per il G8 e per le opere di emergenza, ribadisce: "Io volevo solo un massaggio sessuale!!"; Cosentino,sottosegretario all'Economia marca PDL, sulla cui testa pesa una richiesta d'arresto per concorso esterno in associazione mafiosa favorendo il clan dei casalesi nella gestione dell'interporto di Fondi, ribadisce: "Ma che me ne fotte !!!"; Ciarrapico, l'escrescenza andreottiana già condannato a 9 anni di reclusione per truffa,sfruttamento,tangenti,

bancarotta fraudolenta, nuovamente accusato di aver intascato illegalmente contributi pubblici a milioni per l'editoria, ribadisce: " Ao' ma che cazzo state addì !!!"

Nel "libro mastro" sequestrato dalla Guardia di Finanza nel 2008, tutti i lavori del costruttore (foto). Tra i beneficiari anche Lunardi, Bertolaso e alti dirigenti di Stato. Interventi a Palazzo Grazioli e Palazzo Chigi. L'ex ministro dovrebbe essere ascoltato domani come persona informata dei fatti sull'inchiesta G8. Ma secondo il suo legale "non ci sono le necessarie garanzie"

Veronica Lario, 300 mila euro al mese

Accordo fatto con Berlusconi: Testa d'asfalto per l'uscita pederasta dell'aprile 2009 cede in usufrutto a vita villa Macherio e OLTRE 3 MILIONI E MEZZO DI EURO ANNUI DI MANTENIMENTO E LE SPESE DI GESTIONE DI VILLA BELVEDERE. De Benedetti nel frattempo aspetta i 750 milioni di euro di risarcimento danni per il furto di Mondadori, il Fisco aspetta gli oltre 200 milioni di euro di pendenze proprio della Mondadori (c'è un processo in corso...)

10 maggio 2010,

 (ANSA) - MILANO,10 MAG -A Veronica Lario 300mila euro al mese e l'usufrutto a vita della villa di Macherio. Sarebbe l'accordo di massima' tra premier ed ex moglie. L'intesa sarebbe stata raggiunta sabato scorso, in vista della separazione consensuale, dopo 5 ore di udienza in Tribunale a Milano, tra Silvio Berlusconi e la Lario. L'accordo dovra' essere ancora perfezionato per quanto riguarda alcuni particolari, come una quota da determinare delle spese a carico del Cavaliere per la villa Belvedere.
 

 

 

Ue, riunione di emergenza per il salva-euro
Tra Stati e mercati una battaglia durata 13 ore. Le borse hanno bruciato 200 miliardi di euro in 5 giorni di sedute negative: Wall Street -8%, Milano -5%, Parigi -4%.... Corsa contro il tempo per un piano senza speranza: la Merkel in Germania perde la maggioranza del Bundestag, in Inghilterra le elezioni non esprimono una maggioranza e tutto verrà affidato a pastette d'ufficio...

La crisi dei mercati scatenata dal caso euro e' "sistemica": lancia l'allarme, molto tardivo e a questo punto di nessuna credibilita', il presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet ai leader dell'eurozona durante il vertice straordinario tenutosi a Bruxelles, durato 6 ore e conclusosi a tarda notte.

L'ultima trovata, dopo lunghissime trattative, puzza lontano un miglio di mossa disperata: i membri dell'Europa puntano adesso a creare un "fondo di emergenza" detto anche "meccanismo di stabilizzazione europea" per fermare l'effetto contagio che si sta diffondendo come un virus dalla Grecia ai paesi deboli ad alto debito, compreso il nostro. Questo piano pare fin d'ora un'idea risibile, anche non se ne conoscono i dettagli poiche' questi geni dei nostri burocrati si vedranno ancora durante il weekend, giusto in tempo per approvare il draft prima dell'apertura dei mercati azionari e obbligazionari lunedi' 10 maggio.

Il presidente francese Nicolas Sarkozy e' l'unico passato stanotte alle cronache delle grandi agenzie internazionali (ma Berlusconi non era imprenditore? e non dovrebbe capire qualcosa di economia piu' degli altri?); Sarkozy ha affermato che il blocco europeo difendera' l'euro "attaccando direttamente gli speculatori, senza pieta'". "Molto presto sapranno una volta per tutte che cosa abbiamo in programma per loro" ha minacciato il presidente francese.

Noi che siamo scettici sappiamo gia' come reagiranno i mercati: saranno feroci giustamente, bocceranno tutto il bocciabile, la speculazione si accanira' senza tregua e con cinismo doppio e triplo contro i paesi PIIGS, punendo con violenza i peggiori come si compete per incompetenti e bugiardi (Atene ha raccontato menzogne per anni truccando i bilanci, come possiamo essere sicuri che anche Roma non faccia lo stesso? E infatti nessuno lo sa).

Da notare che Sarkozy non ha voluto fornire dettagli su questo fantomatico "piano di emergenza" per non "minacciarne l'efficia" (tradotto in parole povere: non ha voluto scoprire le carte nei confronti della speculazione altrimenti quest'ultima potrebbe "vedere" il bluff in anticipo prima dell'apertura dei mercati).

Comunque tutti e 27 i ministri finanziari dell' Unione Europea (per l'Italia Giulio Tremonti) si vedranno per un'altra riunione di emergenza domenica pomeriggio per mettere a punto il draft. Nelle sale trading delle banche d'affari aspettano con ansia, come in un video gioco in cui si sa chi vince, perche' si conoscono gia' tutte le scappatoie e trappole.

Le misure europee, nelle intenzioni, dovrebbero servire per prevenire lo scenario in cui la crisi dei debiti sovrani scuote alle fondamenta la fiducia dei cittadini nell'euro, che ha compiuto 11 anni ma non e' maturato neanche un po' per colpa di genitori irresponsabili.

Poi le solite parole di facciata, altre munizioni per le armi di distruzione di massa degli speculatori. "Difenderemo l'euro a qualsiasi costo" ha detto il presidente della Commissione Europea Jose' Barroso finito il meeting (nota: l'euro questa settimana ha perso -4.3% e -15% da novembre; i titoli di Stato e i CDS europei (credit default swaps) sono saliti venerdi' ai massimi storici (robe da vera recessione, perdita di fiducia, profonda avversione al rischio percepito).

"Difenderemo l'euro a qualsiasi costo" non e' certo una cosa intelligente da dire da parte del signor euroburocrate. Non esiste sui mercati finanziari una strategia portata avanti "a qualsiasi costo" in quanto appunto costerebbe troppo perseguirla: ci si dissanguerebbe per motivi "ideologici" mentre la realta' magari nega brutalmente l'assunto. "You take your loss" dicono saggiamente gli americani in simili casi. Cioe': prendiamoci questa perdita, mettiamola in bilancio, ok non e' una bella cosa ma forse e' meglio far uscire questi cialtroni dei Greci dall'Europa. Ridiamogli pure la dracma, efgaristo'.

E' l'unica vera doccia fredda o mossa radicale che il mercato amerebbe vedere, poiche' varrebbe da esempio e stimolo a non fare altrettanto per gli altri irresponsabili PIIGS come noi italiani, gli spagnoli, i portoghesi. Se vogliamo stare al gioco della correttezza fiscale, signor Tremonti, bisogna rispettare le regole senza blaterare ma facendo quadrare i conti. Con le nostre furbizie di sempre, simboleggiate al governo da Berlusconi in persona, ormai non si va piu' da nessuna parte. La borsa punisce, la creativita' e fantasia italiane non pagano. Bisogna che i nostri politici capiscano che gli americani sono l'esempio da seguire, Washington e New York si' che fanno sul serio (a Wall Street una perdita di -9.2% del Dow Jones giovedi' ha cancellato in mezz'ora $1 trilione di dollari, prima dei recuperare). Anche se sono numeri kolossal, l'Europa e l'Italia devono capire che dobbiamo cominciare a fare sul serio per non incappare nelle stesse punizioni.

Tornando alla riunione di Bruxelles, in precedenza il presidente della Commissione Ue Durao Barroso e il presidente francese Sarkozy avevano espresso insoddisfazione per il testo di dichiarazione che dovrebbe uscire domenica dal vertice. A loro giudizio il messaggio "e' ancora troppo debole" e "non contiene segnali abbastanza forti per un'azione rapida, cosi' come richiesto dalla situazione".

Cio' lascia presupporre che finalmente potrebbero cominciare a volare gli stracci, in quella patetica parvenza di governo europeo che e' ormai la UE, proprio grazie ai duri cali di borsa, della moneta, dei titoli di Stato. Nessuno per mesi ha deciso nulla ne' a Francoforte ne' a Bruxells. Per fronteggiare la devastante crisi finanziaria scoppiata in America nell'ottobre 2008, Washington ha dibattuto per giorni al Congresso, anche con aspri litigi tra democratici e repubblicani, ha soppesato e valutato le misure urgenti da prendere, ma alla fine un immane piano di salvataggio da oltre $750 miliardi di dollari e' stato approvato, allo scopo di evitare all'America la terribile accoppiata crash/recessione.

In Europa all'inizio nessuno aveva capito cosa accadeva, oppure se lo aveva capito per mesi non ha voluto ammettere in pubblico la gravita' della situazione (debiti pubblici fuori controllo, conti truccati, pesante arretramento delle economie, disoccupazione record, maxi-debiti e asset tossici nel sistema bancario). Adesso la consapevolezza c'e', ben chiara, e tutti hanno sbattuto contro il muro. Eppure all'UE e alla BCE ancora chiacchierano, ipotizzano, valutano, si riuniscono, pensano di approvare... Ma ci facciano il piacere! A casa tutti, da Trichet in giu'.

Solo per fare un raffronto concreto, valutate la sinteticita' e consapevolezza di un vero investitore/speculatore di fronte ai drammatici eventi di questi giorni: "O l'Unione Europea si decide a prestare soldi ad Atene ad un tasso dello 0% oppure la Grecia dovra' ristrutturare il debito". "L'euro resistera', ma si va verso un'eurozona piu' piccola, con i paesi deboli fuori". Parole di Mohamed El-Erian, un signore che gestisce Pimco, il piu' grande fondo obbligazionario del mondo con un patrimonio di $1 trilione di dollari.

Parole di verita', quelle di El-Erian. Esatto: la Federal Reserve americana - nell'iconografia popolare dei trader di Wall Street soprannominata "elicottero Bernanke" (il chairman Fed che da un elicottero sorvola il territorio Usa gettando dall'alto dollari, liquidita', denaro) - la Fed, dicevamo, nel momento di massima crisi del 2008 e' intervenuta in modo massiccio, con una forza d'urto immensa, per risollevare un mercato finanziario in coma. Ancora oggi, 18 mesi dopo, la Banca Centrale degli Stati Uniti presta denaro alle banche Usa ad un tasso compreso tra lo 0.0% e lo 0.25%. Una valanga obbligata di cash per evitare l'apocalisse. E' chissa' per quanto tempo durera'.

Da Trichet & Soci, espressione di un'Europa senza volonta' politica, senza omogenita' di culture e lingue, che non ha esercito ma solo una moneta che potrebbe anche essere quella di Monopoli e non farebbe gran differenza; da Trichet & C., invece, solo piccoli aborti, mezze frasi, piani stitici, dichiarazioni fuorvianti. Soprattutto: no al denaro a tassi zero e no al riacquisto di bond dei paesi in difficolta'. Il che equivale ad ammettere: misure concrete nada, nein, nulla, rien. Allora scusate, che ci state a fare ai vertici di quest'Europa?

Che senso ha per esempio, cari euroburocrati e signori della BCE, continuare a insistere con quell'idiozia del rapporto deficit/pil fissato rigidamente (dal 1999) al 3.0%, quando tutti i paesi si posizioneranno in media al 6.6% nel 2010 e al 6.1% nel 2011? Cambiamolo, questo parametro. Aggiustiamolo alla realta' di oggi. Bisogna essere flessibili e non ideologici, la rigidita' e la poca agilita' ha estinto i dinosauri ma preservato la vita a piccoli volatili, in epoche antiche di sommovimenti violenti.

Se la Grecia, un paese con tanta storia, arte e filosofia si', ma irrilevante nella geo-politica globale per forza di pil e popolazione (appena 11 milioni di persone di cui 4.5 milioni lavorano nel parassitario settore pubblico in un'economia come quella UE di poco inferiore a quella Usa); se la Grecia oggi e' in grado di mandare a scatafascio il castello di carte su cui si fonda l'euro, che senso ha mantenere in piedi tutto l'ambaradam? Che senso ha stanziare 140 miliardi di dollari per salvare una nazioncina parte di un blocco economico da $12 trilioni di dollari, quando incertezze e rigidita' di gestione rischiano di affossare gli altri paesi legati da questo patto ormai scellerato? Fuori Atene! Addio Mikonos, Santorini e l'Acropoli. E il patto Ue, si puo' anche riscrivere no?

Immaginiamo se la speculazione cominciasse veramente (ma sul serio) ad attaccare gli stati a pil forte e debito fuori-misura: nell'ordine appunto Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Portogallo, Grecia (l'acronimo dei famosi P.I.I.G.S. di cui parliamo sempre qui su WSI dovrebbero in verita' essere I.S.I.P.G. ma ovviamente il doppio significato di "maiali" risulta piu' efficace; vedere a questo proposito un bel grafico del New York Times con i debiti e gli intrecci debitori tra i paesi europei). Bhe', come si vede chiaramente dal disegno, fino ad ora non abbiamo bevuto che l'aperitivo di quel che si prospetta per gli speculatori come un lauto pranzo e per noi cittadini come un disastro non solo annunciato ma ineluttabile (mentre il premier pensa di piu' a come censurare la satira della Dandini in Rai: ma ci faccia il piacere, sig. premier!). Stando cosi' le cose i signori speculatori mondiali ovunque essi si annidino non sono cattivi, fanno solo il loro mestiere che e' perfino utile in casi simili, per smascherare ipocrisie e inadeguatezze della "Casta", che purtroppo si ripercuotono negativamente sullo standard di vita di noi cittadini.

Insomma siamo in balia - detto con molta prudenza e cautela - di una classe dirigente di politici italiani ed europei incompetenti, per non dire collusi e conniventi.

Trichet era il personaggio che due anni fa, nel momento in cui l'euro aveva tassi molto piu' alti rispetto al dollaro, dichiarava tronfio: "I fondamentali sono solidi, l'economia dell'eurozona e' solida, noi in Europa e la nostra moneta siamo solidi (s'e' visto, col senno di poi...). Ebbene i Trichet sono ovunque purtroppo in questa disgraziatissima Europa.

Facciamo un altro rapido esempio terra-terra con uno dei nostri politici.

Ieri su SkyTG24 (l'unica televisione vedibile in Italia per capire come vanno davvero le cose) abbiamo ascoltato una dichiarazione dell'Umberto Bossi, poveretto, che farfugliava col suo idioma strascicato da post-ictus... alcune tesi come dire? leghiste? su economia, debito, mercato.

Diciamo subito la verita': tali imbecillita' - di questo si tratta - non dovrebbero essere consentite ad un ministro del governo della Repubblica Italiana nonche' massimo alleato del presidente del consiglio Silvio Berlusconi nella slabbrata coalizione di centro-destra. Non c'e' scusante che tenga, neppure la malattia. "Noi italiani siamo fortunati - ha blaterato a fatica il Senatur federalista/secessionista - noi italiani siamo fortunati.... perche' abbiamo un ministro dell'Economia fantastico come il Tremonti.... lui ci ha curato la tenuta dei conti... ci ha tenuto a galla anche nei momenti difficili... e infatti l'Italia sta meglio degli altri paesi... le banche italiane sono solide... Tremonti e' come una brava massaia che ha risparmiato per non spendere troppo nei momenti di crisi". Testuali parole.

Ora dite voi se non e' giusto, sacrosanto, addirittura liberatorio che gli speculatori - che certo stupidi non sono - non abbiano avuto assolutamente ragione venerdi' a far schizzare al rialzo il CDS Italia  - credit default swap, cioe' lo strumento finanziario utilizzato come copertura assicurativa contro un'eventuale bancarotta del paese - al massimo assoluto di tutti i tempi, praticamente al livello del Kazakistan e subito dopo Portogallo e Spagna. Ecco: la speculazione serve anche a smascherare i cialtroni e furbi a tempo pieno come Bossi, che per le loro trame jurassiche (la Padania? la secessione? il federalismo?) tengono in scacco l'Italia proprio nel momento piu' drammatico degli 11 anni di vita dell'euro e del paese. "Brava massaia": certo come no. Ma ci faccia il piacere, Senatur. Studi un po' di macroeconomia, oppure taccia.

"Questi giocano col fuoco" - come disse giustamente la Emma Marcegaglia venerdi' in uno dei pochi (forse l'unico) sound-bite degno di nota in tempi recenti; "giocano col fuoco" ma non l'hanno ancora capito. Non sanno nulla, i nostri governanti, per ignoranza, ignavia o perche' vivono da ricchi blindati nel lusso, scarrozzati da auto-blu', circondati da scorte e poliziotti, spupazzati in cene, inaugurazioni, festini (e anche molto peggio). "Questi qui" non sono consapevoli che la festa e' finita, il vento e' cambiato, la storia e l'economia globale impongono scelte diverse, coraggiose, dolorose, non da Grande Fratello. Classi dirigenti di questa fatta non sono piu' in grado di governare un paese moderno e vitale che ha bisogno come l'aria di intelligenza, stimoli, progetti, giovani, investimenti, futuro, dinamismo, coraggio, visione. Questa classe dirigente ha fallito, lo sappiamo tutti che non ci porta da nessuna parte e anzi ci fa arretrare.

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L'Economist: il Sud Italia?
È un "Bordello"

Il periodico stacca il Sud dalla Penisola e lo battezza «Bordello». E aggiunge che «potrebbe formare una unione monetaria solo con la Grecia»

NAPOLI - I vicini sono un po' come i parenti, non te li scegli, capitano. Quelli di casa, ma anche i Paesi, ovvero le nazioni confinanti, ereditate da una divisione storico-politica cristallizzata. A partire da questo assunto «The Economist» riflette sull'Europa contemporanea che, così com'è, non rispecchierebbe la reale vicinanza, fatta di affinità di modelli e specularità di situazione economica. Per ovviare a questo dogma immutabile, il periodico economico propone una fanta-cartina del nostro continente, ridisegnandone i confini in base al new deal delle nazioni. E, sorpresa, il Sud Italia finisce con la Grecia e viene ribattezzato «Bordello».
LA PROPOSTA - «The Economist» scrive: «Se le persone trovano i loro vicini noiosi, per loro è possibile trasferirsi in un altro quartiere, mentre i Paesi non possono. Ma supponiamo che questo sia praticabile. Di certo una riorganizzazione della carta d'Europa renderebbe la vita degli Stati più logica e più "amichevole"». Nella fanta-cartina la prima ad essere spostata sarebbe la Gran Bretagna che ora si trova ad affrontare la terribile situazione delle finanze pubbliche. Per questa grave piaga, starebbe a suo agio con i Paesi sud-europei «che si trovano in una condizione analoga. Potrebbe, insomma, essere rimorchiata in una nuova posizione nei pressi delle Azzorre». E così via.
UNA CONFEDERAZIONE DEL NORD GUIDATA DA UN DOGE - Va meglio alla Germania e alla Francia che per il settimanale potrebbero rimanere dove sono. «Ma l'Austria dovrebbe spostarsi verso ovest, in posizione della Svizzera». Per l'Italia settentrionale, poi, «The Economist» si fa leghista e immagina «una nprio non aveva pensato.
Natascia Festa

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/
LONDRA (6 maggio) - L'Inghilterra va a Sud, la Polonia si tuffa in mare, l'Italia si divide in due. È la mappa dell'Europa ridisegnata dall'Economist, una cartina dove gli Stati "traslocano", prendono i bagagli e si spostano vicino a quelli a loro più affini. L'importante testata inglese si lancia in un esperimento teorico che, a suo dire, renderebbe più tranquilla la vita dei cittadini.
L'articolo inizia con la Gran Bretagna: dopo le elezioni del 6 maggio sarà costretta a fronteggiare il problema dei conti pubblici e questo la sposterebbe un po' più a Sud, vicina a quei paesi che hanno le stesse difficoltà, ossia Francia, Spagna e isole Azzorre.

La Polonia prenderebbe il largo, lontana da Russia e Germania che in passato le hanno causato non poche tribolazioni. Ma i polacchi non si illudano, non resterebbero soli a lungo: Estonia, Lettonia e Lituania slitterebbero al suo fianco per allontanarsi dalla Russia e avvicinarsi agli Stati Uniti.

La Svizzera, sempre un po' confusa, starebbe molto meglio verso Nord, accanto a Finlandia, Norvegia e Svezia, paesi di vocazione "neutrale".

La Repubblica Ceca cambierebbe il posto con il Belgio, finendo vicina ai Paesi Bassi: le due nazioni, a maggioranza protestante, non avrebbero difficoltà ad interagire e andare d'accordo.

Per l'Italia la sorte è scontata: si dividerebbe in due. L'Italia del Nord, alleata di Slovenia e Croazia, e quella del Sud (Roma compresa) dove rinascerebbe il Regno delle Due Sicilie, per gli amici soprannominato il “Bordello”.

 

 Scajola lascia:   "Mi devo difendere forse la mia casa pagata da altri"  UNA TEMPESTATA SENZA FINE:VERDINI, STORACE, CIARRAPICO, MASTELLA, PROSPERINI, ANEMONE, DI GIROLAMO, COSENTINO, BERTOLASO, ROMEO, CUFFARO, FITTO, DELL'UTRI ED ORA SCAJOLA: Scajola lascia: "Mi devo difendere
forse la mia casa pagata da altri",
Bersani: "Il governo è nella palude" Le dimissioni del ministro, le prime ammissioni.  "Giorni terribili, non posso restare al mio posto" (
video- foto). Cinque i testimoni che smentiscono la ricostruzione dell'ex titolare delle Attività produttive. I pm: "Non è indagato"Il segretario Pd: "Vicini a blocco della situazione politica" (video)
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- Blog - Il politico salamandra di F.CECCARELLI
Da "Biagi rompicoglioni" alla casa, la storia di un ministro 'a termine'. Editoria, Ciarrapico indagato per truffa
Sequestrati beni per venti milioni,
L'imprenditore, e senatore pdl, indagato assieme al figlio e ad altre persone per contributi percepiti illegalmente tra 2002 e 2007 dalle sue società. Tra i beni sequestrati un'imbarcazione di lusso. VI RICORDATE IL GONZO "SIMPATICONE" CHE DALLE EMITTENTI PRIVATE DEL NORD RIGURGITAVA FRASI DEL TIPO: "AFRICA, CAMEL E BARCHETA E TURNE' A CA' ". Eccolo patteggiare una pena di tre anni per tangenti:L'ex assessore era stato arrestato il 16 dicembre, con l'accusa di corruzione, turbativa d'asta e truffa per un giro di tangenti nella promozione televisiva del turismo. Il patteggiamento, ratificato dal gup di Milano, Gloria Gambitta, prevede anche un risarcimento di 80 mila euro e la confisca di 380 mila euro che erano stati sequestrati. Davanti al gup hanno patteggiato anche l'ex patron del gruppo Profit-Odeon Tv, Raimondo Lagostena (una pena di 2 anni e 10 mesi), e il consulente pubblicitario Massimo Saini (una pena di 2 anni e 3 mesi).Verdini indagato per corruzione, il coordinatore DEL POPOLO DELLE CASE CIRCONDARIALI.
"Appalti sull'eolico in Sardegna"
Berlusconi: "Complotto contro il governo" La procura di Roma indaga sul coordinatore pdl. Oggi il premier dovrebbe salire al Quirinale. Scajola: "Silvio mi ha mollato". Anemone anche dietro la ristrutturazione
Attacco al Gruppo Espresso
in giunta immunità al Cavaliere
L'ESPRESSO L'inchiesta sull'eolico Il Vaticano condanna il fondatore dei Legionari
"I suoi comportamenti sono veri delitti"
Berlusconi: l'amore trionfa con LECCACULI SENZA COGLIONI. FINI E' UNA PISTOLA SCARICA, UNO CHE SI ACCORGE DOPO 17 ANNI CHE IL SUO PADRONE E' PADRONE ANCHE DEI GIORNALI. Per i fatti di Rosarno ben 30 arresti, dov'era il PDmenoelle che oggi lancia la campagna dei 10 punti per definirsi (???) dopo aver perso in due anni 6 milioni di voti? In Parlamento va sotto nell'approvazione della legge sull'arbitrato dei licenziamenti che aggira l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, ma E' SULLA LEGGE SOPRA LE INTERCETTAZIONI CHE SI FONDA L'OPPOSIZIONE? Anche in questo caso dov'è il PDmenoelle? Il ministro Scajola è stato pizzicato con UN MILIONE DI EURO IN NERO INTASCATI, MA COME FA AD ESSERE MINISTRO??CHE FINE HA FATTO IL SENATORE PDL DI GIROLAMO ELETTO CON I VOTI DELL' N'DRANGHETA? CHE FINE HA FATTO COSENTINO, IL SOTTOSEGRETARIO PDL REFERENTE DEI CASALESI? ED I BERTOLASO BOYS CON IL GIRO VORTICOSO DI TANGENTI E PUTTANE SULLE DISGRAZIE ITALIOTE??

IL RUGGITO D'ISLANDA,l'esplosione di un vulcano a ridosso della banchina artica mette in ginocchio l'Europa!!(16 APRILE-16 MAGGIO 2010)

Sondaggi politici: crollano PDL e PD, Fini al 6.6%, sale Vendola al 4,2%

Se si votasse domani mattina il partito di Gianfranco Fini sarebbe al 6,6% e assieme agli alleati del terzo polo di responsabilità lanciato da Casini arriverebbe al 13% (Udc al 5,3% e Api di poco sotto l’1%): questi i risultati del sondaggio effettuato da Spincon dopo lo strappo di Futuro e Libertà e il voto alla Camera che ha visto la maggioranza di centrodestra spaccarsi sulla fiducia a Caliendo.

Il movimento del Presidente della Camera, secondo i flussi elettorali analizzati da Spincon, pescherebbe un po’ dappertutto: 2 punti circa tra l’elettorato del Pdl ma – e qui sta la novità principale – 2 punti tra Udc, Api e Mpa. Il resto del consenso arriverebbe, frammentato, dall’area del non-voto, dagli indecisi e da alcuni moderati del Pd.

Una situazione non facile per il Popolo della Libertà, fermo al 30% e in calo di ben 7 punti rispetto alle Politiche 2008. Non c’è solo Fini, infatti, a rosicchiare voti al partito di Berlusconi. Al Nord la Lega va fortissimo: in Veneto sarebbe ampiamente il primo partito e il rischio sorpasso si starebbe materializzando anche in Lombardia, con il partito di Bossi che guadagna posizioni anche in province tradizionalmente rosse.

Non va meglio al Pd che non riesce ad andare oltre quota 25,4, con l’Idv in leggero affanno al 6,6% e un autentico boom di Sinistra e Libertà. L’effetto Vendola si sente tutto e svuota di consenso gli ex compagni di viaggio di Rifondazione Comunista e pezzi importanti di Italia dei Valori, Radicali e Pd con il partito del governatore pugliese che vola al 4,2%.

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PARTITI / 5 AGOSTO 2010 / 2008 / VARIAZIONE %

PDL 30.1 / 37.4 / -7.3
LEGA NORD 11.3 / 8.3 / 3.0

LA DESTRA 1.7 / 2.4 / -0.7

coalizione DESTRA  43,1%  (2008:48,1%)


FUTURO & LIBERTA' 6.6 / - / -
UDC 5.3 / 5.6 / -0.3
API 0.9 / - / -

coalizione CENTRO 12,8% (2008:5,6%)


PD 25.4 / 33.2 / -7.8
IDV 6.6 / 4.4 / 2.2
RADICALI 1.4 / - / -
COMUNISTI 1.9 / - / -
SINISTRA E LIBERTA' 4.2 / - / -

coalizione SINISTRA 39,5% (2008:37,6%)

Sondaggio sulle intenzioni di voto condotto da SpinCon per Notapolitica.it. Metodologia CAWI. Interviste effettuate dall'1 al 4 agosto. Campione 3520 casi per genere, eta' area geografica e ampiezza dei comuini di residenza.

 

IL PRECURSORE DELL'ANNIENTAMENTO: CEFIS

«Questa raccolta di articoli, meglio di servizi speciali apparsi sull’agenzia di stampa «Milano Informazioni» nell’arco di pochi mesi, non è destinata al re del trapezio, ad Eugenio Cefis appunto, ma ai suoi amici, ai suoi fidejussori, ai suoi altissimi complici: politici, industriali, baroni vari dell’economia e del potere in Italia.

Quando l’inchiesta giornalistica prese inizio aprile 1971 il Cefis risultava ancora all’ENI (con un piedone il Girotti già alla vice presidenza della Montedison); oggi assistiamo ad un rovesciamento significativo: Cefis alla presidenza del gigantesco complesso chimico nazionale, Girotti presidente dell’Ente Nazionale Idrocarburi. Dal piedone al braccio, in uno scambio pirandelliano dei ruoli.

Certo il barone per eccellenza della petrolchimica questi servizi li ha già letti, divertendosi probabilmente – tanto può la leggenda che i misfatti contribuiscono a indorare – e ammettendone il rigore, come affermano taluni bene informati; ma letteralmente sorvolandoli, come si conviene alle deità consacrate dalla fama e dal favore dei potenti. Rammaricandosi magari se dobbiamo stare ad altre versioni non meno attendibili – che non si sia voluto cercare un accomodamento preliminare: offrendo alle fiamme, insomma, il tutto, in cambio d’un conveniente indennizzo per la fatica sprecata nel mettere insieme il carteggio; tacitando in anticipo con un modesto assegno di parecchi zeri.

L’uomo, misura di uno stile. Rovesciamo la celebre equivalenza. La presunzione fa aggio sulla tecnica e questa ne rimorchia in porto le ambizioni. Le accuse infatti non toccano l’epidermide di Eugenio Cefis. Per suo conto le ignora, irrobustendo invece le proprie contro gli altri, i suoi predecessori: cosa pensare della spudorata misura con cui si è presentato al magistrato romano, nel gennaio 1972, per essere interrogato e rilasciare, magari, spietate dichiarazioni, sul caso Valerio? Si assicura infatti che la Giustizia gli abbia chiesto una copiosa documentazione per mettere alle corde l’ex manager della Montecatini, e di certo Cefis non perderà l’occasione per magnificare il nuovo corso con le ombre riflesse e ingigantite del vecchio.

Incidentalmente potremmo aggiungere che un collega del magistrato di Roma possiede una altrettanto copiosa documentazione, stavolta fornita da noi senza secondi fini né richieste specifiche, sulle malefatte di Cefis. Ma nessuna inchiesta prende l’avvio contro di lui.

Che Giustizia sarebbe questa? Spadolini, per portar acqua al mulino non sempre efficiente di Montanelli, in giudizio a Milano per i noti servizi diffamatori su Venezia, arriva ad affermare che «il diritto di critica di un giornale appartiene alle caratteristiche essenziali e irrinunciabili di una società civile, organizzata democraticamente». Appunto: ma lo stesso «Corriere della Sera» sapeva della denuncia clamorosa portata dall’agenzia Milano Informazioni sul conto di Eugenio Cefis. Perché dunque, in nome di un sacrosanto e fondamentale diritto di critica non l’ha neppure ripresa? Critica sì, ma a senso unico, dove fa comodo (Montanelli e Venezia). Ma dove essa comporta una preclusione di incassi pubblicitari (ENI, Montedison, Cefis), silenzio assoluto.

In linea, ovviamente, con certa Giustizia che intenta processi ai Presidenti decaduti – il Giorgio Valerio lasciando perdere sui Presidenti in carica, anche se lestofanti.

Eugenio Cefis: un personaggio inquietante, integrazione perfetta del sistema. Sfrenato nelle sue mire, freddo nella connessione scoperta dei suoi intrighi privati con gli impegni della sua gestione pubblica. Lo abbiamo scritto a chiare lettere, riportate in questo dossier. Ma anche un leggendario mafioso: e lo scriviamo ora, per vedere se l’accusa così configurata si attaglia alla disarmante descrizione che ne andremo ritessendo su queste pagine. Ad esse non aggiungiamo nessun supplemento, non aggiorniamo alcun fatto. Lasciando il signor Cefis presidente all’ENI; in tale veste tratteggiandone diverse vicende curiose ed edificanti tutt’altro che passate in giudicato. Adombrando ancora il sospetto che la famosa «L.S.P.N» (Linea Società Pubblicità Nazionale) la quale lavora pubblicità extra come certe campagne per «cercar casa» chiaramente lasciano intendere – appartenga a Cefis: mentre successive indagini ci hanno rivelato conglobata nell’ENI aggravando le accuse da noi formulate.

È questa l’avventura veridica vissuta a capo di uno e dell’altro dei colossi dell’economia di stato italiana dal boss più illustre (e distraente) della mafia industriale e politica del nostro Paese. Un’avventura che l’interessato ha scorso e ingoiato anche se il boccone non può essergli andato di traverso. Altri invece – è la ragione di questa raccolta hanno ancora senso di responsabilità e rispetto per la Legge che rappresentano. Deontologia coerente che il silenzio della stampa rende per mortificante contrasto maggiormente isolata e competente a rendere giustizia: non al signor Cefis o a noi ma alla verità.»

 

 

Le strane casse vuote
di Paolino, fratello Paperino

“Non chiamatemi più Berluschino”, implorava tanti anni fa in un’intervista sul settimanale “Il Mondo”. Niente da fare: Paolo Berlusconi, nato 13 anni dopo Silvio, resta il fratello minore. Anche nei business, perfino nella percezione delle imprese erotiche. Per non parlare della politica: il fratello maggiore è a Palazzo Chigi, lui ha solo l’ex moglie, Mariella Bocciardo, a Montecitorio. Utile, però, al Grande Fratello. È Paolo che si carica del Giornale quando la legge Mammì, nel 1990, impedisce a Silvio di possedere tre reti tv e anche un quotidiano. E quando viene arrestato nel 1994, con l’accusa di aver pagato tangenti alla Guardia di finanza, non riesce a convincere fino in fondo di essere, neppure in quella occasione, il protagonista assoluto: ai magistrati resta il dubbio che il fratellino si fosse prestato a coprire qualcuno più grande di lui.

Se poi Silvio è Gastone, il papero Disney fortunato a cui vanno tutte bene, Paolo è Paolino Paperino: non gliene va dritta una. Investe nelle discariche e, anche grazie all’emergenza rifiuti decretata nel 1995 dall’amico presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni, la sua Simec accumula tonnellate di rifiuti nella maxipattumiera di Cerro, ricavandoci ben 243 miliardi di lire. Ma poi, nel 2002, arrivano i magistrati e scoprono il trucco: falsi in bilancio, false fatturazioni, truffa e corruzione. Seguono patteggiamento parziale, condanna a 2 anni e 1 mese, indulto, pagamento di multa record: 49 milioni di euro.

Poi Paolino si butta sulla tecnologia, acquisendo il gruppo Solari. Con una buona carta in mano: la commercializzazione dei decoder per il digitale terrestre e per Mediaset Premium. Ma incappa in cattive compagnie: socio di minoranza della sua Solari.com è Giovanni Cottone, sospettato di essere uomo vicino alle cosche. Non basta: gli affari vanno male e l’azienda salta. Un amico di Paolo e suo socio di minoranza, Fabrizio Favata, racconta di operazioni poco chiare, di gestione dissennata e di un fratello maggiore costretto, alla fine, a metterci di tasca sua 100 milioni di euro per impedire un crac duro, ma soprattutto pericoloso. Chissà: Favata è stato poi arrestato con l’accusa di essere un ricattatore, dopo essere andato in giro a spifferare di aver portato ai fratelli Berlusconi la famosa intercettazione segreta di Fassino (“Siamo padroni di una banca?”) comparsa a fine 2005 sulla prima pagina del “Giornale”. Paolo è invece indagato per ricettazione, nell’ipotesi che abbia ricevuto quella intercettazione, e per millantato credito, per avere incassato 560 mila euro portati da Favata a rate mensili nel suo ufficio al Giornale.

Il quotidiano oggi non riesce ad aggiustare i conti. Perde soldi da tre anni: 17,7 milioni di euro nel 2009, 22,7 nel 2008, 23,2 nel 2007. Perdita complessiva nel triennio: 63,6 milioni. I ricavi sono scesi da 70,2 a 69 milioni. Non sono bastati i tagli: i dipendenti sono passati dai 260 del 2005 ai 195 di oggi. La società editrice del “Giornale” ha inoltre appena rescisso il contratto con la Sies, che ha mandato a casa una decina di persone impegnate nella preparazione tipografica del quotidiano. E ha chiuso dal 1 agosto le pagine della cronaca romana, tentando (inutilmente) di mettere in ferie forzate i giornalisti che ci lavoravano. Non vanno bene le vendite: meno 4 per cento i ricavi in edicola nel primo trimestre 2010, malgrado la direzione di Vittorio Feltri abbia accresciuto le copie vendute, rispetto al 2009 di Maurizio Belpietro. Ancor peggio la raccolta pubblicitaria. Ha tentato di fare miracoli la nuova concessionaria, Visibilia 2: cioè Daniela Santanchè, protagonista di scoppiettanti cene con gli imprenditori grandi investitori pubblicitari, presente il condirettore Alessandro Sallusti. Nessun imbarazzo per il doppio (o triplo) ruolo di Santanché, concessionaria di pubblicità e sottosegretario del governo Berlusconi, né per i simpatici appelli finali a investire nel giornale, facendo contento Feltri, ma soprattutto Silvio. Di Paolo non parlano mai: resta il Berluschino, il fratello condannato a restare minore.

 

Dopo Unipol e le grandi scalate
ecco la nuova agenda di Consorte

Cinque anni dopo, il "furbetto rosso" tenta di rinascere. Vuole far decollare Intermedia, la sua merchant bank

Cerca di rinascere, tentando di far decollare Intermedia, la sua nuova merchant bank. È il “furbetto rosso”. Quello che ha offerto una copertura a sinistra alle scalate dell’estate 2005. Giovanni Consorte era il padre padrone di Unipol, la compagnia d’assicurazioni delle coop. Sede a Bologna, via Stalingrado. Una storia alle spalle: il collateralismo con il Pci, la finanza al servizio del sol dell’avvenire. Poi quest’ingegnere di Chieti ruvido e socievole aveva fatto diventare Unipol un soggetto economico capace di trattare alla pari con gli altri “player” della finanza italiana. Un gruppo da 10 miliardi di fatturato, quotato in Borsa, con 280 sportelli bancari. Già che c’era, ci aveva costruito su un gioco di scatole cinesi e incroci azionari che blindavano il controllo della compagnia. E si era messo in cordata con amici tipo Emilio Gnutti, poi con Gianpiero Fiorani, Stefano Ricucci… Nell’estate delle tre scalate incrociate (Antonveneta, Bnl, Rcs), a lui era toccato guidare l’assalto a Bnl, con il tifo dei capi del suo partito di riferimento, Massimo D’Alema e Piero Fassino, puntualmente informati al telefono sulle sorti dell’avventura (“Allora, siamo padroni di una banca?”, gli aveva chiesto Fassino).


Vivere senza Unipol
Dopo la sconfitta, ha perso il comando della sua creatura, ha dovuto abbandonare Unipol. Ha passato un periodo nero. Ora è di nuovo in pista. Ancora in affari e a caccia di una nuova rispettabilità. Per la prima ha creato Intermedia. Per la seconda ha varato un sito personale, www.giovanniconsorte.it, nel quale ribatte punto per punto a tutte le accuse che gli sono state mosse. Nelle aule dei tribunali ha collezionato finora nove vittorie, tra decreti di archiviazione, sentenze di non luogo a procedere e annullamenti in Cassazione. Ripete di non essere implicato nelle manovre occulte dei concertisti scalatori di Antonveneta e di Bnl. Di aver comprato azioni di quelle banche sempre alla luce del sole, informando in anticipo le autorità di vigilanza e in una logica industriale, per il bene Unipol.

Sarà vero? Lo decideranno i giudici, visto che per le scalate del 2005 è ancora imputato di aggiotaggio e ostacolo alle funzioni delle autorità di vigilanza. Ma ha già dovuto pagare le avventure precedenti, fatte in compagnia dei suoi spregiudicati amici. Insieme a Gnutti, Consorte è stato condannato in primo e secondo grado per aver fatto insider trading, nel 2001, su obbligazioni Unipol. I due avevano comprato quei titoli prima della scadenza, realizzando una bella plusvalenza. Ma il presidente della compagnia si difende facendo notare che la sua operazione ha fatto guadagnare Unipol, ha favorito la società. Mentre Gnutti ha patteggiato, Consorte è ricorso in Cassazione e ha ottenuto un annullamento della sentenza d’appello, con trasferimento del procedimento per competenza a Bologna. Ma poi a chiudere la faccenda è arrivata la prescrizione. Commenta Beppe Scienza, autore del volume “Il risparmio tradito”: “Il rimborso dei due titoli, a 100 lire, viene annunciato il 4 marzo 2002. Ma nelle settimane precedenti le transazioni s’impennano. Evidentemente qualcuno sapeva dell’imminente rimborso e ci ha guadagnato. Chi ci ha rimesso è Unipol e di conseguenza i suoi soci, perché era autolesionismo rimborsare prestiti a tassi d’interesse così bassi. Il danno arrecato alla società è di circa 14 milioni di euro”.


L’alta finanza in via Stalingrado
La sua prima scorribanda, però, Consorte l’aveva fatta nel 1999, durante la madre di tutte le opa, quell’assalto a Telecom da parte dei “capitani coraggiosi” che tanto erano piaciuti a Massimo D’Alema.
Quattro anni dopo, sempre a fianco di Gnutti, aveva partecipato al colpo grosso, la vendita della compagnia telefonica a Marco Tronchetti Provera. Con annesso giallo finanziario ancora aperto: i magistrati hanno scoperto due tesoretti di 50 milioni di euro intestati a lui e al suo vice, Ivano Sacchetti, accumulati su conti esteri, poi “scudati” e fatti rientrare in Italia. Che soldi sono? Consulenze private – giurano i due – rese all’amico Gnutti durante vendita a Tronchetti.

Più breve (ma più dannosa) la frequentazione con i furbetti Gianpiero Fiorani, Stefano Ricucci, Danilo Coppola, Giuseppe Statuto. È ancora una volta Gnutti a mettere insieme Consorte, il banchiere di Lodi e i nuovi eroi della “razza mattona”. Così nell’estate del 2005 scattano gli arrembaggi sincronizzati ad Antonveneta e Bnl. Incrocio perfetto per rendere bipartisan e inattaccabile l’assalto, vera operazione da “bicamerale della finanza”. E a lungo difesa, infatti, da Massimo D’Alema, Nicola Latorre, Piero Fassino, Ugo Sposetti, Pierluigi Bersani, Vannino Chiti… “Gianni, io mi sento sangue del tuo sangue… Tu sai che io sono sempre pronto e disponibile e lavoro anche un pò sott’acqua, come tu hai capito bene”, dice (intercettato) Fiorani a Consorte il 19 luglio 2005. I giochi erano cominciati qualche mese prima, nel dicembre 2004. Consorte e Sacchetti avevano ottenuto dalla Popolare di Lodi un prestito da 4 milioni di euro ciascuno, senza garanzie, il 28 dicembre, tra Natale e Capodanno. Subito dopo parte il rastrellamento sotterraneo e incrociato delle azioni Antonveneta e Bnl, realizzato da Unipol (che compra il 3,5 per cento di Antonveneta) e Popolare di Lodi (che mette insieme l’1,4 di Bnl). Ben prima che le due scalate fossero dichiarate al mercato: miracoli della preveggenza. Sarà perché poi il diavolo non sa fare i coperchi, o perché a volte trova un diavolo ancora più diavolo di lui, ma quell’operazione geniale e bipartisan, come l’altra Bicamerale, miseramente naufragò.


Cercando la riabilitazione
Oggi il “furbetto rosso” punta tutto su Intermedia. Nata nel 2007, ha 170 soci, tutti per regolamento sotto il 5 per cento, ed è attiva in tre settori: energie rinnovabili (“fotovoltaico e biomasse, niente eolico”, tengono a precisare i suoi collaboratori), immobiliare e assicurazioni. Bilancio 2009: 3 milioni di euro (un milione l’anno prima).
Dopo tanti sforzi per ottenere una pubblica riabilitazione, nelle settimane scorse Consorte deve aver letto con qualche brivido le cronache sulla “nuova P2”. Già in passato aveva fatto affari (strane compravendite d’immobili Unipol, passaggi di azioni Bnl) con personaggi in odor di logge come gli immobiliaristi Vittorio Casale e Alvaro Pascotto. Ora il suo nome è comparso nell’agenda del faccendiere Flavio Carboni, arrestato nell’ambito dell’inchiesta sull’eolico in Sardegna e sull’associazione segreta definita dai giornali “P3”. “Consorte” è scritto tra parentesi, vicino a quello dell’“Avvocato Caputo”. Quest’ultimo è probabilmente Francesco Caputo Nassetti, che in Intermedia segue proprio il business delle rinnovabili, alla guida della controllata Bioenergy Parks.
Ma il nome di Consorte al faccendiere sardo in cerca di finanziamenti potrebbe averlo fatto anche un altro uomo di Intermedia, Alessandro Fornari, amministratore della Glasspak e, insieme al suocero commercialista Fabio Porcellini, socio della Renewable Energy Projects srl di Forlì, società che nel 2009 ha girato alla moglie e a un’amica di Carboni, anche attraverso il Credito Cooperativo Fiorentino di Denis Verdini, oltre 3 milioni di euro. Difficile per Consorte, in questa compagnia, portare a termine l’operazione finanze pulite.
 

 

Tirrenia, dichiarato lo stato di insolvenza
Matteoli: "Non ci sarà lo spezzatino"

Si apre la procedura di amministrazione straordinaria per la compagnia. Il ministro annuncia la privatizzazione "salvaguardando i livelli occupazionali e assicurando i collegamenti marittimi". Il segretario della Uil Trasporti pronto al ricorso alla corte d'appello

ROMA - Il tribunale fallimentare di Roma ha dichiarato lo stato di insolvenza per Tirrenia. Si apre così la procedura di amministrazione straordinaria per la compagnia. Con questa decisione il tribunale si è quindi ritenuto territorialmente competente. "Non ci sarà lo spezzatino" assicura il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli, annunciando la procedura di privatizzazione della Tirrenia per salvaguardare i posti di lavoro e i collegamenti marittimi, replicando ai timori espressi da sindacati e opposizione.

"Il governo e l'amministratore straordinario di Tirrenia - spiega in una nota il ministro - non hanno alcuna intenzione di suddividere le attività aziendali della società di navigazione. Non ci sarà quindi il cosiddetto spezzatino. Desidero rassicurare i lavoratori  - aggiunge Matteoli - che è intendimento del governo di procedere, con la collaborazione dei sindacati e attraverso la legge Marzano alla privatizzazione di Tirrenia, salvaguardando i livelli occupazionali e assicurando nell'interesse della collettività i collegamenti marittimi".

La sentenza è stata pubblicata questa mattina, dopo che il collegio presieduto da Ciro Monsurrò, affiancato dai delegati Francesco Taurisano e Fabrizio Di Marzio ha preso la decisione ieri in Camera di Consiglio. L'istanza per la dichiarazione dello stato di insolvenza era stata presentata dal commissario straordinario Giancarlo D'Andrea.

Il Tribunale di Roma con questa
decisione si è pertanto ritenuto competente. L'eccezione di competenza territoriale era stata sollevata dalla Uil-Trasporti, secondo la quale il giudizio spettava al Tribunale di Napoli, dove ha sede legale il gruppo. E proprio il segretario generale della Uil Trasporti annuncia ricorso. "Attendiamo - dice Giuseppe Caronia - di leggere le motivazioni della sentenza del tribunale di Roma che dichiara la stato di insolvenza di Tirrenia, e ci riserviamo di ricorrere alla Corte di Appello. Rimangono comunque per intero le nostre perplessità, e a prescindere dalle questioni di carattere legale porteremo avanti con determinazione la nostra azione sindacale di contrasto a ogni ipotesi di 'spezzatino'". "Nessuna sentenza - continua - può comunque far sì che il governo si scarichi dalle proprie responsabilità e non apra immediatamente un confronto sulle sorti della Tirrenia e delle migliaia di lavoratori che rischiano il posto di lavoro".

 

 

Rilasciati 95 permessi di ricerca degli idrocarburi: 24 in mare e 71 sulla terraferma. Riguarda anche le aree marine protettemappa pozzi petroliferi

MAPPA PIATTAFORME

La produzione di olio greggio a terra è concentrata in 7 Regioni (Basilicata, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Molise, Piemonte, Sicilia) e riguarda territori nelle province di Potenza, Matera, Modena, Reggio Emilia, Frosinone, Mantova, Milano, Campobasso, Novara, Caltanissetta e Ragusa. La produzione nel 2009 è stata in totale di 4.024.912 tonnellate, di queste il 74% arriva dalla sola Val d?Agri in provincia di Potenza. Le aree date in concessione occupano 1.275 kmq per un totale di 266 pozzi, considerando solo quelli destinati allo sviluppo della coltivazione

La folle corsa all'oro nero made in Italy. A oggi nel Belpaese sono stati rilasciati 95 permessi di ricerca di idrocarburi, di cui 24 in mare, interessando un'area di circa 11 mila chilometri quadrati, e 71 sulla terraferma, per oltre 25 mila chilometri quadrati. A queste si devono aggiungere le 65 istanze presentate solo negli ultimi due anni, di cui ben 41 in mare per una superficie di 23 mila chilometri quadrati. Sono questi alcuni dei numeri del dossier nazionale "Texas Italia" di Legambiente.
LA MAPPA DEL PETROLIO ITALIANO

La corsa all'
oro nero italiano
, evidenzia Legambiente stando alla localizzazione delle riserve disponibili, riguarda in particolare le nostre coste e non risparmia neanche le aree marine protette. Sono interessati il Mar Adriatico centro-meridionale, lo Ionio e il Canale di Sicilia. Nelle acque italiane oggi operano nove piattaforme per un totale di 76 pozzi, da cui si estrae olio greggio. Due sono localizzate di fronte la costa marchigiana (Civitanova MarcheMacerata), tre di fronte quella abruzzese (Vasto, Chieti) e le altre quattro nel Canale di Sicilia di fronte il tratto di costa tra Gela e Ragusa.

Passando dal mare alla terra, le aree del Paese interessate dall'estrazione di idrocarburi sono la Basilicata, storicamente sede dei più grandi pozzi e dove si estrae oltre il 70% del petrolio nazionale proveniente dai giacimenti della Val d'Agri (Eni e Shell), l'Emilia Romagna, il Lazio, la Lombardia, il Molise, il Piemonte e la Sicilia.

Complessivamente lo scorso anno in Italia sono state estratte 4,5 milioni di tonnellate di petrolio, circa il 6% dei consumi totali nazionali di greggio. Ma la quantità rischia di aumentare, perché si stanno moltiplicando sempre di più le istanze e i permessi di ricerca di greggio nel mare e sul territorio italiano. (Apcom)Pensiamo a salvare le coste della
Louisiana, guardiamo con costernazione e sgomento alla sciagura che sta devastando il Golfo del Messico. Ma forse non sappiamo che una decina di piattaforme petrolifere sono già in uiso a poche miglia dalle nostre coste. I pozzi in acque italiane sono sicuri?
Il dubbio deve essere sorto anche nelle menti governative se è vero che, come si legge, il
Ministero dello Sviluppo Economico ha disposto controlli urgenti sui pozzi petroliferi attivi nelle acque italiane e ha sospeso tutte le nuove autorizzazioni alle trivellazioni.

Gli impianti in Italia
Sono una decina le piattaforme off shore per l'estrazione del petrolio, ma anche di gas e metalli, in funzione nei mari italiani. Le principali piattaforme estrattive si trovano nel canale di Sicilia e in Adriatico, mentre una è nel mar Ionio, davanti a Crotone. In Sicilia gli impianti sono stati costruiti nel tratto di mare compreso tra Pozzallo, all'estremità sud-est dell'isola, e Gela.  Tre sono invece le piattaforme in mare davanti ad Ortona, in Abruzzo, mentre una si trova più a sud, all'altezza di Brindisi.

Dubbia sostenibilità ambientale
Il Mediterraneo è già purtroppo il mare più inquinato da idrocarburi, essendo solcato in lungo e in largo da petroliere che lavano le cisterne al largo, sporcando le nostre spiagge. A queste si aggiungono le piattaforme offshore che, sia nella fase esporativa che in quella estrattiva, sono responsabili del 10% dell'inquinamento totale da idrocarburi. Inoltre, per potere trivellare nel mare, le compagnie petrolifere hanno bisogno di speciali "fluidi e fanghi perforanti", sostanze altamente tossiche e difficili da smaltire (lasciano, infatti, tracce di cadmio, cromo, bario, arsenico, mercurio, piombo, zinco e rame).
Va inoltre considerata la bassa qualità del petrolio individuato nell'Adriatico, dove si concentrano le più recenti ricerche: sabbioso e bituminoso (con un alto grado di idrocarburi pesanti e ricco di zolfo), il cui prodotto di scarto più pericoloso è l'idrogeno solforato (H2S), dagli effetti letali sulla salute umana anche a piccole dosi.
Ci si augura, come sempre, che le autorità nazionali e locali tengano in debita considerazione i cosiddetti "costi esterni" dei progetti estrattivi offshore, ossia il costo che la collettività dovrà sostenere per ripagare i danni causati alla salute dell'uomo,  all'agricoltura, al turismo, alla pesca, ecc.

Catastrofi dietro l'angolo?
Le relazioni ufficiali individuano tre tipologie di possibili incidenti.
- Blow-out di gas durante la perforazione. E' il caso della sciagura della Piper Halfa, 6 Luglio 1988, quando, a causa di un malfunzionamento delle valvole di sicurezza, un'enorme quantità di gas venne rilasciata in aria, dando origine ad una serie interminabile di esplosioni. Centosessantasette uomini persero la vita. Anche le conseguenze ambientali non furono irrisorie: finirono in mare il fango di perforazione contenente i detriti perforati, le acque di lavaggio, gli oli, i rifiuti solidi urbani e assimilabili, serbatoi di gasolio che alimentano i generatori elettrici ecc.
- Blow-out con fuoriuscita di petrolio incontrollata. E' il disastroso caso verificatosi nel Golfo del Messico, con
l'incendio e il successivo crollo della piattaforma della BP.  Le relazioni prevedono la possibilità di tale evenienza ma non una sola parola viene spesa per descrivere cosa accadrebbe in caso di incidente.
- Collisioni di navi con la piattaforma. Anche in questo caso viene citato questo tipo di rischio ma vengono nuovamente menzionate solo le misure di sicurezza per evitarle.
Non va dimenticato, inoltre, che i disastri possono essere originati, oltre che da errori umani, da cause naturali (come tempeste e uragani) e che  il
rischio di subsidenza, nell'Adriatico è particolarmente alto.

Le fuoriuscite di petrolio più ingenti

Sedco 135F - Bahia de Campeche, Messico, 1979. Fuoriuscirono 3.500.000 barili di greggio. La falla fu chiusa 9 mesi più tardi.
Ekofisk Bravo - Norvegia, 1977. Fuoriuscirono 202.381 barili di greggio della Phillips Petroleum's in 8 giorni.
Funiwa - Delta del Niger, 1980. 200.000 barili di petrolio fuoriuscirono in modo incontrollato per due settimane devastando il delta del fiume.
Hasbah Platform - Golfo Persico, 1980. L'esplosione del pozzo numero 6 fece 19 vittime e causò la fuoriuscita di 100.000 barili di petrolio.
Union Oil Platform Alpha Well - Canale di Santa Barbara, 1969 - La fuoriuscita di greggio si protrasse per11 giorni con un versamento complessivo di 80.000 barili

 

 

Robin Hood al contrario

L’Italia non è la Germania, con la maggioranza dei cittadini contraria a una riduzione delle tasse per il timore di uno smantellamento dello stato sociale. Non stupisce quindi che la decisione di ridurre le imposte sugli affitti, tramite la c.d. cedolare secca al 20%, abbia riscosso apprezzamenti generalizzati. Fra i tanti commenti plaudenti spicca però quello di Milano Finanza-Mercati Finanziari (MF), testata che ormai è diventata l’organo di stampa ufficiale del governo.

L’articolo “Inquilini e proprietari riuniti dalla cedolare” di Gabriele Frontoni (6-8-2010, pag. 6) cita in chiusura un confronto secondo cui l’Italia è lo stato europeo che tassa meno i redditi da locazione. Correttamente bisognerebbe dire solo che potrebbe diventarlo, perché il testo approvato dal governo deve ancora passare al vaglio della Conferenza Stato-Regioni e del Parlamento, con possibilità di modifiche.

Però il punto è un altro. È che l’articolo conclude inneggiando a questo che sarebbe “un primato di convenienza che [...] potrebbe essere seguito da altri con beneficio per l’intero Paese e senza gravare sulle spalle dello Stato”.

Ma questa è una falsità bell’e buone. Sorvolando sui pretesi (e inesistenti) benefici per l’intero Paese, una minore tassazione equivale tautologicamente a inferiori entrate per il fisco e dunque a un gravame per lo Stato.

Per completezza aggiungiamo che è una favola che aliquote più basse riducano l’evasione fiscale, essendo la sua aliquota pari a zero.

In realtà con la cedolare secca sugli affitti si chiude un cerchio. Con essa l’attuale governo vuole ridurre fortemente le tasse sugli investimenti immobiliari per i redditi alti. Nel 2003 un altro governo Berlusconi aveva fatto di peggio, aumentandole sugli investimenti azionari per i redditi medio-bassi. Aveva eliminato il credito d’imposta sui dividendi, imponendo anche lì una cedolare secca. Che però significava (e tuttora significa) un danno nell’ordine del 20-25% per i piccoli azionisti (
vedi la tabella).

Alla faccia dei ripetuti inviti all’impiego del risparmio nei settori produttivi!

 

Quei 100 milioni da Berlusconi alla mafia

Il quotidiano di via Solferino rivela: Massimo Ciancimino ha consegnato ai giudici un 'pizzino' del 2001 del padre Vito che documenterebbe passaggi di contante da distribuire ai vertici di Cosa Nostra

Cento milioni di vecchie lire versati da Silvio Berlusconi alla mafia nel 2001. La relazione pericolosa per il premier sarebbe documentata in un pizzino consegnato da Massimo Ciancimino ai magistrati, secondo quanto rivelato oggi dal Corriere della Sera. Nel foglio dattiloscritto ma accompagnato da annotazioni autografe di don Vito che si riferisce al boss Bernardo Provenzano con l’appellativo di ragioniere, si fa esplicitamente il nome del presidente del Consiglio.

Scrive l’inviato Felice Cavallaro: il testo è top secret ma chi lo ha letto così sintetizza evocando conteggi in vecchie lire: ‘dei 100 milioni ricevuti da Berlusconi, 75 a Benedetto Spera e 25 a mio figlio Massimo’. E poi: ‘Caro rag. Bisogna dire ai nostri amici di non continuare a fare minchiate … e di risolvere i problemi giudiziari”. Il pizzino sarebbe stato scritto dal padre, secondo Massimo Ciancimino, nella seconda metà del 2001, dopo il voto del 13 maggio per le elezioni nazionali e del 24 giugno per la Regione siciliana con la doppia vittoria schiacciante di Silvio Berlusconi e di Totò Cuffaro. Don Vito chiede al capo della mafia di intervenire sui politici usciti vittoriosi dalle elezioni chiedendo di “non fare minchiate” ingiustificate alla luce dei “numeri” della vittoria: 61 seggi a zero per il centrodestra in Sicilia.

Massimo Ciancimino ha consegnato il pizzino insieme a una cartellina piena di lettere e documenti che sarebbe stata trovata a casa della madre, la signora Epifania. Mamma e figlio sono stati sentiti nei giorni scorsi dai pm Antonio Ingroia e Antonino Di Matteo sul contenuto del pizzino e in particolare la signora Ciancimino avrebbe inserito questa novità in un rapporto consolidato che risaliva a trenta anni prima: “mio marito si incontrava negli anni settanta con Berlusconi a Milano”, avrebbe detto la signora aggiungendo con un pizzico di disappunto: “ma alla fine Vito si sentì tradito dal Cavaliere”.

Il rapporto Ciancimino-Berlusconi non è una novità assoluta delle indagini palermitane. Le prime tracce risalgono a una serie di relazioni della Polizia degli anni ’80 in cui si descrive la figura di Marcello Dell’Utri e il suo legame con un collaboratore di Ciancimino, l’ingegner Francesco Paolo Alamia. Mentre già nel 2004, in una telefonata intercettata dalla Procura di Palermo tra Massimo Cinacimino e la sorella Luciana, il figlio di don Vito sosteneva che esistesse un assegno di 25 milioni di lire da parte di Silvio Berlusconi a beneficio del padre.

Anche su questo punto Massimo Ciancimino ha offerto nuovi chiarimenti ai pm nei giorni scorsi: si sarebbe trattato in realtà di soldi in contanti che lui stesso avrebbe ritirato da un amico del braccio destro di Provenzano, Pino Lipari.

Il fatto che Massimo Ciancimino abbia in due occasioni ricevuto decine di milioni di lire dal boss Provenzano o dai suoi amici sta modificando la posizione giuridica del “testimone assistito”. Probabilmente la Procura di Palermo sta valutando la sua iscrizione sul registro degli indagati per favoreggiamento. Un elemento che però paradossalmente rafforza la credibilità delle sue affermazioni autoindizianti.

I rapporti tra il gruppo Berlusconi e la mafia comunque non sono una novità assoluta. A parte la condanna nel processo di appello contro Marcello Dell’Utri (nel quale comunque le dichiarazioni del figlio di don Vito non sono state recepite perché considerate contraddittorie e a rate) già nelle indagini degli anni novanta sulla famiglia mafiosa di San Lorenzo erano emerse le prove documentali dei versamenti della Fininvest a titolo di “regalo” ai boss. Nel libro mastro del pizzo, sequestrato al clan, era stata trovata la dicitura “Can 5 5milioni reg”.

I collaboratori di giustizia avevano spiegato che a partire dagli anni ’70, prima attraverso Vittorio Mangano e poi per tramite dell’amico di DellUtri, Gaetano Cinà, ogni anno il Cavaliere faceva arrivare soldi alla mafia.

Non si trattava però di tangenti, ma di doni fatti per mantenere i buoni rapporti. Il boss di Porta Nuova, Salvatore Cancemi, aveva aggiunto di aver visto il contante proveniente da Arcore ancora nel 1992. La trafila del denaro allora prevedeva che i soldi di Berlusconi finissero nelle mani dell’allora capo dei capi Totò Riina per poi essere suddivisi tra le varie famiglie mafiose.

Ora, se autentico, il nuovo pizzino conferma che quell’abitudine non finì con la discesa in campo del Cavaliere. Tanto che altri regali in contanti sarebbero arrivati al successore di Riina. Un fatto che, se provato, spiega bene perché Berlusconi nel 2006 fu l’unica carica istituzionale italiana a non complimentarsi per la cattura di Provenzano.
 

 

La legge ad aziendam salva la Mondadori
la maxicausa chiusa con una transazione

Tasse evase, si conclude una vicenda iniziata nel 1991 con una plusvalenza da 173 milioni. Una cifra su cui per il fisco andavano pagati Ilor e Irpeg. Sono bastati 8,6 milioni

di SARA BENNEWITZ ed ETTORE LIVINI

MILANO - Legge salva-Mondadori doveva essere e legge salva-Mondadori è stata. La casa editrice controllata dalla Fininvest si avvia a chiudere con una mini-transazione da 8,6 milioni un contenzioso quasi ventennale in cui l'agenzia delle entrate le contestava il mancato pagamento di 173 milioni di tasse evase nel '91, in occasione della fusione tra Amef e Arnoldo Mondadori. Segrate ha già contabilizzato a tempo di record nella sua semestrale il versamento della sanzione per calare il sipario sulla partita con l'amministrazione finanziaria "grazie al decreto legge 25 marzo 2010 n. 40 sulla chiusura delle liti pendenti". Si tratta  -  in soldoni  -  del cosiddetto "Lodo Cassazione", un provvedimento contestato dall'opposizione per il macroscopico conflitto d'interessi del premier che consente di archiviare i processi tributari arrivati in Cassazione con due sentenze favorevoli al contribuente mediante il pagamento del solo 5% del valore della lite.

La società di Marina Berlusconi  -  che aveva vinto in primo e secondo grado le cause con il fisco  -  ha colto subito la palla al balzo archiviando questo delicatissimo caso giudiziario prima della decisione della Corte suprema. I vertici di Segrate hanno confermato nella relazione di bilancio "la convinzione della correttezza" del proprio operato ma hanno preferito metter mano al portafoglio per "non esporre l'azienda a una situazione di incertezza ulteriore". Anche perché negli ultimi mesi il contenzioso
con l'erario aveva causato più di un attrito tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini.

Il presidente della Camera negli ultimi due anni si è messo di traverso per ben due volte alla norma salva-Mondadori che la maggioranza ha provato a far approvare a più riprese: in una prima occasione facendo cancellare la cosiddetta "definizione agevolata delle liti" dal pacchetto giustizia per il processo breve messo a punto da Angelino Alfano e poi costringendo il governo a sfilarla lo scorso novembre dalla finanziaria 2010 dopo essere stato avvisato in extremis della presenza del decreto tra le pieghe della legge di bilancio dal relatore al Senato Maurizio Saia (Pdl).

L'ennesima legge ad personam, però, una volta uscita dalla porta, è rientrata dalla finestra ben mimetizzata all'interno del Dl incentivi. E a questo punto, nella scorsa primavera, anche Fini ha ceduto, dando luce verde al provvedimento che ha consentito tra l'altro alla società di casa Berlusconi di evitare un imbarazzante braccio di ferro con il ministero dell'economia di Giulio Tremonti. La controllata Fininvest a dicembre 2009 aveva accantonato in bilancio solo 1,8 milioni a fronte delle liti pendenti con l'erario.

Il vecchio contenzioso fiscale di Segrate era un serio cruccio pure per lo stesso presidente del consiglio che in una conversazione telefonica intercettata con l'ex consigliere Agcom Giancarlo Innocenzi si lamentava delle richieste per il divorzio di Veronica Lario  -  "mia moglie vuole 45 milioni"  -  paragonandole alla voracità di un fisco che gliene chiedeva 900 milioni. In realtà la cifra richiesta dalle Entrate alla Mondadori (tecnicamente legata al disavanzo di fusione con Amef) era di soli 173 milioni dell'epoca destinati a salire con gli interessi a 350 milioni. Una cifra comunque molto importante per la casa editrice di Segrate che ha chiuso l'esercizio 2009, un anno difficile per tutta l'editoria, con 34 milioni di utile netto e un giro d'affari di 1,5 miliardi di euro.

 

I tagli vittime dello “Strappo”

Il premier si scontra con Fini. Tremonti sperava il contrario dopo aver promesso a Europa e mercati un governo stabile per varare le misure correttive necessarie

La scommessa di Berlusconi sa di azzardo, non solo dal punto di vista politico ma anche da quello di tenuta economica del Paese. Dopo la conta dei deputati e senatori “finiani” è ormai chiaro a tutti che si va verso una situazione di instabilità politica ed istituzionale permanente che avrà un esito disastroso sulle finanze statali.

Le illusioni berlusconiane del “più grande partito liberale d’Europa” e del “meno tasse per tutti” nel giro di poche settimane si sono infrante contro lo scoglio della crisi economica che ha portato ad una manovra da 25 miliardi di euro e contro l’azione politica del presidente della Camera. Nessuno degli osservatori finanziari si aspettava uno show down così veloce, lo stesso Tremonti aveva incontrato Berlusconi per due volte nelle ultime quarantotto ore per sondarne le intenzioni e chiudersi poi in un assordante silenzio stampa.

Complice la tregua concessa dai mercati ai titoli di Stato dei paesi europei e forte dell’approvazione della manovra economica, il presidente del Consiglio ha acceso lo scontro con Fini rischiando il proprio governo per ottenere il controllo totale del partito. Le dichiarazioni di guerra dei fedelissimi del Cavaliere si sono raffreddate man mano che arrivavano le notizie sulla consistenza del drappello di deputati e senatori che erano pronti ad uscire dal Pdl. I “quattro gatti” si sono trasformati in poche ore in un soggetto politico in grado di determinare la sorte della legislatura e quindi di condizionare ogni scelta del governo. A tutti è chiaro che ci si avvia verso una lunga campagna elettorale nella quale ognuno dei contendenti tenterà con ogni mezzo di screditare l’avversario e di fissare la data delle elezioni nel momento a lui più favorevole.

Esattamente il contrario di quanto sperava Giulio Tremonti che aveva promesso all’Europa e ai mercati “un governo stabile” per tutta la durata della legislatura. La strategia di finanza pubblica messa in campo dal ministro dell’Economia è basata sul presupposto fondamentale che ci sia una maggioranza capace di varare misure correttive mano a mano che si manifestano le necessità, senza una politica di risparmi programmata in modo sistematico. Diluire gli annunci delle manovre in un arco temporale più lungo serviva a mantenere in piedi l’illusione della promessa di una minore pressione fiscale.

L’ultima manovra economica aveva appannato l’immagine di Berlusconi come leader capace di condurre l’Italia fuori dalle secche fiscali e regalare un futuro fulgido alle imprese e alle famiglie italiane. La negazione della crisi è stata negli ultimi due anni la negazione di una disfatta sul terreno della politica economica della spesa facile. Tremonti ha individuato i pericoli che potevano derivare da un ulteriore aumento delle uscite di cassa e ha tirato un freno imponendo la propria linea ed arrivando più volte vicino alle dimissioni. Una volta raggiunto un compromesso sui provvedimenti, il ministro dell’Economia ha potuto contare su un partito a gestione unica, monolitico perché ancora riunito sotto un’unica bandiera: tra mille mugugni nessuno si poteva sottrarre al voto di fiducia.

Dall’altro ieri lo scenario è cambiato completamente, Tremonti non dovrà più convincere solo il “capo” della bontà dei suoi ragionamenti, delle sue scelte e dei suoi tagli ma dovrà negoziarli con un nuovo gruppo parlamentare di cui fa parte anche quel senatore Baldassarri che più di ogni altro ha criticato la sua politica economica. Dall’altro lato avrà Berlusconi, alla ricerca disperata di consensi, che non si accontenterà delle spiegazioni tecniche o di generiche risposte sulla necessità di far quadrare i conti. La politica, intesa come ricerca spasmodica del consenso, prenderà il sopravvento sulla contabilità e con essa sarà emarginato e forse sostituito il “genio dei numeri” che si troverà fra l’incudine berlusconiana e il martello degli investitori internazionali.

A Tremonti rimane la carta della riforma federale del fisco, la nuova terra promessa che dovrebbe risolvere tutti i mali, rilanciare l’immagine del premier e rinsaldare i legami con il suo unico alleato la Lega. Tuttavia il richiamo alla “coesione nazionale” fatto dal fondatore della nuova formazione politica è un chiaro alto là al federalismo penalizzante per il sud, area d’Italia dove si pensa che sia più forte il radicamento territoriale degli uomini del presidente della Camera.

Il “genio dei numeri” dovrà fare ora i conti con il numero magico 33, tanti sono i deputati che sono fuoriusciti dal Pdl e che bastano ad impedire qualsiasi nuova azione sulle finanze pubbliche. I margini di manovra per il superministro dell’Ecomomia ora sono molto più stretti, i numeri sono contro di lui e questa volta sarà difficile nasconderli con una frase ad effetto o un escamotage contabile. Come avrebbe detto lui stesso: è la politica bellezza!

 

Marchionne grande manager…ma de che?

In questi giorni un attacco violentissimo ai diritti dei lavoratori viene mistificato dalla grande stampa nazionale nel segno della necessità di competere purchessia nell’arena globale. Marchionne, il “supermanager” della Fiat, viene presentato come uno dei rari personaggi che porterebbe il nostro Paese nell’Olimpo di un mercato senza altre regole che quella di schiantare gli avversari. Entreremmo così a pieno titolo in uno scenario da Blade Runner in cui sarebbe proiettata senza scampo la politica industriale del nuovo millennio: alla sola idea questo Governo freme e si sente inorgoglire come capita ai parvenues entrati nel salotto buono, non importa se i suoi cittadini più sfortunati dovranno rinunciare a diritti che hanno fatto la civiltà dell’Italia del dopoguerra. Marchionne sarebbe la nuova stella, elogiato perfino da Obama e incompreso da noi per via di quei cocciuti sognatori della FIOM, che pensano ancora che l’umanizzazione del lavoro e la difesa della sua dignità siano i compiti elementari e irrinunciabili per un sindacato di salariati. Manager contro operai: di questi tempi una partita persa in partenza, a meno che…

A meno che ci si metta ben piantati coi piedi per terra e si ragioni sul fatto che Marchionne usa a sua discrezione risorse umane e finanziarie che non sono frutto della sua attività diretta ed indiretta (la Fiat vende sempre di meno e compete sempre di meno in qualità e innovazione), ma che provengono dall’alienazione dal lavoro e dalle tasse dei contribuenti destinate a riparare la crisi che quelli come lui hanno provocato. Da qui, lavoro disumano e finanziamento pubblico fuor di programmazione: si leggano, per comprenderne il peso, gli accordi sindacali di Pomigliano o di Detroit e si quantifichino le autentiche donazioni a fondo perduto che Obama ultimamente ed i governi italiani da sempre hanno elargito alla sua azienda, pur in fase di incessante scorporo e ridimensionamento di attività industriali. E varrebbe la pena di chiedersi come mai sia saltato l’accordo con la Opel, se non perché il sindacato tedesco non ha accettato condizioni di lavoro insopportabili e la cancelliera Merkel ha sollevato obiezioni insormontabili sui costi pubblici per l’operazione. E ci si interroghi ancora sul fatto che il manager italo-canadese, che accusa il sindacato CGIL di essere immobile e antiquato, glissa sul fatto che solo qualche anno fa la Fiat si era opposta con tutte le forze al progetto avanzato all’unanimità in assemblea (senza alcun referendum!) dagli operai dell’Alfa Romeo di Arese, con la proposta di trasformare il vecchio stabilimento in un “Polo di mobilità sostenibile” propulsore indispensabile per la ricerca e l’ingegnerizzazione di nuovi prodotti ecocompatibili. Proprio allora il management Fiat preferì ricorrere alla cassa integrazione (soldi pubblici anch’essi) anziché far proprio un piano ideato dall’Enea sotto la supervisione di Carlo Rubbia e con la prospettiva di reinsediamento di 7000 posti di lavoro nei settori della green economy.

Si vada infine a vedere su Youtube, al link
http://www.youtube.com/watch?v=B97sTMZmgcE , il filmato incredibile dell’abbattimento da parte della Fiat, in una sola notte, delle allora nuovissime linee della Panda 4×4 pagate da fondi UE, solo per impedire il rientro in fabbrica dei cassintegrati riammessi al lavoro da una sentenza del pretore del lavoro! Ci si accorgerebbe allora che l’inderogabile arroganza Fiat, alla cui scuola il nostro si adegua, viene da ben più lontano…

Certo, in un’economia sempre più extraterritoriale e in contrasto con la vita, si può, come Marchionne, puntare allo scacchiere internazionale guardando solo al gioco della finanza e al soccorso pubblico. Si possono chiudere così gli occhi su paesaggi noti, luoghi di produzione ricchi di storia, volti con una loro irriducibile identità umana e professionale, braccia con un cervello e piccole o grandi aspirazioni di donne e uomini, che sono la ragione profonda che ha ispirato l’articolo 41 della Costituzione, affinchè l’impresa non diventi nemica della società. Ma, nonostante la piaggeria dei media e la fanfara della propaganda, quando si bypassa tutto ciò si perde di credibilità, si confonde management con business a tutti i costi e, nonostante il maglioncino trendy, difficilmente si può diventare interlocutori per un futuro migliore.

 

Tentazione Draghi. Ha giò pronto un programma per guidare un governo tecnico

Lotta all'evasione, nessun condono e federalismo fiscale. Rigore nei conti, ma senza alzare le tasse

Silvio Berlusconi ha chiaro il problema: se il governo non ce la farà a sopravvivere all’allontanamento dal Pdl dei 34 deputati vicini a Gianfranco Fini, il Quirinale potrebbe non sciogliere le Camere ma favorire un governo tecnico per assicurare la tenuta finanziaria del Paese e approvare la probabile manovra-bis in autunno. Oltre a quello di Giulio Tremonti, il nome che circola per la guida di un esecutivo di transizione è quello di Mario Draghi.

Il ministro del Tesoro ha dimostrato in questi mesi, in cui ha preso in mano tutta la gestione della manovra e della politica economica, quale idea abbia di come governare il Paese. E lo stesso, sia pure con i modi e i toni che gli impone la sua funzione di governatore della Banca d’Italia, ha fatto Draghi, uno degli invitati a casa di Bruno Vespa, un mese fa, la sera in cui Berlusconi inseguiva la stabilità della base parlamentare del governo, cercando un’intesa con l’Udc di Pier Ferdinando Casini.

Evasione e legalità. Per ora è solo un esercizio teorico, ma nelle prese di posizione del governatore nell’ultimo anno si può leggere un programma di governo. La priorità per il governo Draghi sarebbe la questione fiscale. A margine delle considerazioni finali il 31 maggio, l’evasione è stata definita “la vera macelleria sociale” e in un’altra occasione informale Draghi ha ribadito che il carico del fisco è distribuito in modo criminalmente diseguale. Il primo punto, quindi, è far pagare le tasse a chi non le paga, anche perché il governatore è convinto che la dimensione dell’imponibile sottratto al fisco renda l’Italia pericolosamente simile a Grecia e Portogallo, prossimi al collasso finanziario. Nella testa – e nei testi – di Draghi è chiaro come procedere: si fa pagare di più chi non paga per ridurre subito le aliquote, “e il nesso tra le due azioni va reso visibile ai contribuenti”, ha detto nelle considerazioni finali. Proprio in quell’occasione ha parlato per la prima volta in modo esplicito del problema delle “relazioni corruttive tra soggetti privati e amministrazioni pubbliche”, talvolta “favorite dalla criminalità organizzata”. Alludeva alla “cricca” degli appalti, con Guido Bertolaso e Angelo Balducci, ma le parole si adattano anche alla cosiddetta P3, l’alleanza occulta tra faccendieri e uomini di governo. Uno di questi, il coordinatore del Pdl Denis Verdini, era presidente fino a pochi giorni fa del Credito Cooperativo Fiorentino. Ora Bankitalia ha commissariato la banca per le gravi irregolarità nell’amministrazione.

Priorità ai conti. Draghi non si è mai dimenticato un viaggio in Jugoslavia alla fine degli anni Ottanta, quando lavorava per la Banca mondiale. Il ministro del Tesoro bosniaco gli spiegò che non si preoccupava di avere un bilancio in deficit perenne, perché tanto i loro titoli di Stato li comprava la Slovenia. Un po’ come se la Campania acquistasse titoli di debito emessi dalla Lombardia. Un trucco contabile che, prima o poi, si paga. Europeista per necessità, oltre che per convinzione, Draghi quindi pensa che sia necessario costringere gli Stati (Italia inclusa) al rigore anche subordinando un po’ di democrazia al rispetto dei parametri di bilancio. Magari togliendo il diritto di voto al Parlamento europeo ai rappresentanti di Paesi che trasgrediscono troppo i vincoli di Maastricht sul debito e il deficit.

Più tagli che tasse. Risanamento subito, questa sarebbe la missione di un eventuale governo Draghi. E l’allievo di Franco Modigliani all’MIT di Boston ha una ricetta che potrebbe piacere anche ai berlusconiani: i conti non si salvano aumentando le tasse, che sono poco “growth friendly”. Cioè frenano la crescita più dei tagli di spesa. La politica economica draghiana si fa quindi riducendo gli sprechi (cioè quelle sacche di spesa pubblica di cui beneficiano solo piccoli gruppi) e non con imposte patrimoniali o alzando le aliquote, misure che finirebbero per soffocare una ripresa già flebile. Al limite vanno bene anche i tagli orizzontali (automatici e che non distinguono tra virtuosi e spreconi) amati da Tremonti, tutto pur di evitare il pasticcio di questa manovra dove le riduzioni sono quasi sempre discrezionali. E infatti Bankitalia non si è mai spinta ad approvarla, l’aggettivo più lusinghiero è stato “inevitabile”.

Federalista, ma… Un governo Draghi potrebbe trovare l’appoggio perfino della Lega. Perché il governatore è un federalista convinto (sia pure con riserva: tutto dipende da come si fissa il parametro dei costi standard, su cui calcolare i trasferimenti dallo Stato alle Regioni). In un famoso convegno del 2009, poco gradito da Tremonti, Draghi ha chiarito che bisogna finirla con politiche economiche meridionaliste, piani straordinari e istituzioni ad hoc (come la tremontiana Banca del Mezzogiorno). Meglio concepire “politiche generali, che hanno obiettivi riferiti a tutto il Paese, e concentrarsi sulle condizioni ambientali che rendono la loro applicazione più difficile o meno efficace in talune aree”. Musica per le orecchie leghiste: basta finanziamenti a fondo perduto al Sud. E il federalismo fiscale può essere un utile strumento a patto che sia ambizioso e non punti soltanto a trasferire il potere di spesa a livello locale per sopperire alla paralisi del governo centrale.
Non si conosce l’opinione di Draghi su come modificare la legge elettorale (uno dei probabili compiti di un eventuale esecutivo tecnico).

Le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, nell’autunno 2011, con un grande convegno organizzato da Bankitalia sulla storia e lo sviluppo del Paese, potrebbero essere un’utile occasione per chiarire i dettagli del “programma Draghi”. Sempre che, per allora, il governatore non abbia già traslocato da tempo a Palazzo Chigi.

 

Fervori azionari (e ridicolaggini) del Corsera

Il caldo non ha smorzato il fervore ideologico dei redattori del Corriere della Sera. D’altronde questa è la linea del giornale o, meglio, l’interesse di chi direttamente o indirettamente lo controlla, sempre desideroso di scaricare sul groppone dei risparmiatori carrellate di azioni, tutte rigorosamente di minoranza, delle proprie società.

Così il quotidiano milanese, nell’ultimo numero prima delle ferie del suo supplemento CorrierEconomia di lunedì 19 luglio 2010 (pag. 2), si premura di dare consigli ai lettori. Già il sottotitolo vuole spingerli ad affrettarsi all’investimento azionario: “Borse europee mai così a buon mercato”. Peccato che l’articolo non riporti neppure uno straccio di dato numerico a suffragio di tesi strampalata. Perché mai le Borse europee a metà luglio 2010 sarebbero al massimo della convenienza degli ultimi cinque secoli?

Ma il colmo è ciò che gli autori dell’articolo (Giuditta Marvelli e Marco Sabella) scrivono riguardo al rischio di una cosiddetta doppia recessione; timori al riguardo potrebbero infatti frenare chi pensa di comprare azioni: “La Federal Reserve ha dichiarato che l’ipotesi è accreditata per un massimo del 12%. Come dire: quasi impossibile”.

Qui sprofondiamo nel ridicolo. Un 12% equivale a una volta su otto, per la precisione una ogni 8,333 volte. Ma un medico presenta come “quasi impossibile” l’esito infausto di un intervento chirurgico, quando statisticamente un paziente ogni otto finisce all’obitorio? Oppure si direbbe “quasi impossibile” morire per un incidente di volo, se si schiantasse un aereo ogni otto?

L’articolo termina poi con un riferimento alla “ultima accelerata di fine anno”, data chissà perché per scontata. In effetti i mesi di fine 2010 potrebbero benissimo essere invece di calma piatta, di turbolenze, di tracollo ecc.

Per il resto tutta la pagina è la solita passerella offerta a dirigenti di società del risparmio gestito che sciorinano una banalità dopo l’altra, magari condita con qualche scempiaggine. Opportunamente fotocopiata questa pagina, come tante altre simili, servirà di supporto ai venditori a domicilio o allo sportello per accalappiare nuovi clienti.
 

 

Il governo raschia il fondo del barile

Ieri ha incassato la fiducia del Senato, oggi tocca alla Camera: la Manovra economica era necessaria per calmare i mercati che avevano iniziato a scommettere sullo scarroccio dei conti pubblici italiani. Però si poteva programmare sin da novembre 2009, quando nel Dpef (documento di programmazione economico finanziaria) il governo aveva volutamente sovrastimato la crescita economica nel biennio 2011/2012 per non dover annunciare tagli alla spesa alla vigilia della campagna elettorale per le elezioni Regionali. “La nostra è una finanziaria senza né tagli né tasse” disse il ministro del Tesoro Giulio Tremonti nella conferenza stampa di presentazione del provvedimento.


Nelle tasche degli italiani
Dopo le elezioni regionali il ministro delle Finanze si è rimangiato la sua promessa e ha imposto una manovra da 25 miliardi di euro. Quella menzogna propinata agli italiani ha influito profondamente sulla qualità dei nuovi provvedimenti economici: il governo ha dovuto in fretta e furia ridurre la spesa effettiva e tagliare alla cieca colpendo le categorie più deboli della popolazione italiana. È un provvedimento codardo perché lascia alle Regioni (che ieri hanno ribadito l’“insostenibilità dei tagli”) il compito di decurtare servizi essenziali o di aumentare le tariffe: i settori più colpiti saranno quello dei trasporti pubblici, dell’assistenza sociale e del sostegno alle piccole imprese. Un’ondata di rincari dei servizi o un taglio drastico degli stessi ricadranno su quella fascia di popolazione che più di ogni altra sta già soffrendo la crisi economica. La tanto propagandata eliminazione dell’Ici ritornerà maggiorata sotto forma di tassa comunale per i servizi, il provvedimento arriverà a colpire quelle stesse mura domestiche che ospitano già un giovane disoccupato che vive a carico dei genitori lavoratori dipendenti.

L’evasione e la P3
Al momento non pagheranno la multa coloro che hanno superato le quote latte (incassando milioni di euro), gli evasori fiscali che sono stati graziati da un emendamento fortemente voluto da Confindustria, i milionari e i miliardari, gli speculatori e i furbetti in generale. È una manovra che si muove nel solco politico di governo e maggioranza: i comportamenti devianti vengono premiati e viceversa.
“Il Sud ha una classe politica cialtrona” tuonava Tremonti nella fase di discussione con le Regioni, la stessa che fino a ieri occupava il suo ministero con un sottosegretario con delega al Cipe, Nicola Cosentino, su cui pende un mandato d’arresto per i suoi rapporti con la Camorra. “Faremo una vera lotta all’evasione” diceva mentre la P3 tramava per liberare la Mondadori da un contenzioso fiscale da 400 milioni di euro. La doppia morale dell’esecutivo era stata fino ad ora coperta dall’incremento della spesa pubblica che è aumentata di 30 miliardi all’anno negli ultimi 10 anni. Con la spesa e l’aumento del debito si è coperto tutto, si è creata la falsa illusione di un benessere stabile e diffuso, sensazione consolidata da un lungo periodo di bassi tassi d’interesse sui mutui casa. I consumi delle famiglie sono decollati e con essi i prezzi degli immobili, e anche delle derrate alimentari. Dalle banche alle assicurazioni, dall’immobiliare alla grande distribuzione l’establishment di questo Paese ha fatto affari d’oro e uno stuolo di consulenti legali, commercialisti e faccendieri erano pronti a suggerire consigli e operazioni “di efficienza fiscale”, in italiano corrente: elusione fiscale. Tutti benedetti da “Cesare” che con il suo esempio di 24 società offshore, processi per falso in bilancio e conflitti di interessi in tutti i settori rappresenta la giustificazione morale per ogni evasore che si rispetti.

La ricchezza nell’era Berlusconi
Ma cosa è rimasto in piedi della ricchezza prodotta negli anni d’oro del Berlusconismo? Poco o nulla: il Pil del 2010 cresce nel primo semestre dello 0,9 per cento e le entrate tributarie calano del 1,3 per cento. Come è possibile un andamento asimmetrico delle tasse rispetto alla produzione di ricchezza ? Un miracolo tutto italiano che continua a produrre fiumi di flussi di denaro verso le banche svizzere, le quali continuano a lavorare a pieno regime. Come un nuovo dottor Jekyll, Tremonti dice e produce cose ragionevoli di giorno: il rispetto degli impegni europei, la lotta ai paradisi fiscali e agli sprechi, il miglioramento della classe politica. Di notte il mister Hyde che è in lui rinvia il pagamento delle quote latte, si piega alla Confindustria sulle questioni fiscali e interloquisce con Cosentino sulle delibere del Cipe senza lamentarsi.
 

 

Quelli della Pd4.
La lobby segreta del Pd, Perdere Dovunque e Comunque, essere i migliori alleati di Testa d'Asfalto e fare finta di opporsi (vedere Scudo Fiscale, vedere Decreto Salvaliste poi decaduto e riesumato per salvare il vicerè di merda Errani, vedere il mancato voto di sfiducia richiesto all'indomani della distruzione da parte della Consulta del Lodo Alfanobis ed all'indomani della sentenza di condanna a quattro anni del commercialista di Testa d'Asfalto Mills....)

D'Alema guidava da un sottoscala una cricca spietata. Il "Piano di Implosione Democratica", la più importante organizzazione autodistruttiva mai scoperta!

Capalbio come Castiglion Fibocchi. Le intercettazioni delle riunioni notturne in uno scantinato del paese o a bordo dell’Ikarus, il dodici metri di D’Alema ancorato sulla costa maremmana, fanno impallidire gli intrighi di Gelli e quelli della P3, svelano molti dei misteri dell’Italia repubblicana. La Pd3 è molto più della Gladio rossa, è il crocevia di quindici anni di centrosinistra. Ora sappiamo con certezza.

C’era una regia dietro l’idea della Bicamerale, che in un colpo solo fa cadere Prodi e manda D’Alema al suo posto, giusto il tempo di rianimare un Berlusconi boccheggiante e riconsegnargli l’Italia. E c’era del genio nella scalata alla Bnl che fa dire a Fassino “Abbiamo una banca”, con la banca che invece finisce agli amici dei nemici. E anche nella ragionata scelta di tempo di Veltroni che annuncia che il Pd non ha più bisogno degli alleati, affonda Prodi un’altra volta e regala a Berlusconi la più grande maggioranza parlamentare della storia.

Ma quello che nessuno poteva immaginare è che questa Spectre post-comunista avesse le mani in pasta in ogni settore della società. Ascoltare Bersani che dice ad Antonella Clerici “Ti prego fai vincere Sanremo a Toto Cutugno” (trionfo di Scanu) e Veltroni che telefona a Mandrake, lo scommettitore di Febbre da cavallo, per convincerlo ad andare a Capannelle e puntare tutto su Antonello da Messina (Mandrake si è rovinato) non può che inquietare. E getta un’ombra sinistra su tutta la vita del paese la registrazione di D’Alema che a Rosella Sensi garantisce “Con Cassano ci parlo io, ci farà battere la Sampdoria, lo scudetto è della Roma” (blucerchiati vittoriosi, scudetto all’Inter), o quella di Enrico Letta e Marini che dettano a Lippi convocati e formazioni della Nazionale (Italia eliminata al primo turno ai Mondiali).

Ma le intercettazioni rivelano anche l’ultimo complotto, ancora in corso. “Per battere Berlusconi l’uomo giusto è Montezemolo, dobbiamo fermare Vendola” dice D’Alema a Bersani. Parole che hanno portato l’euforia nelle Fabbriche di Niki. I suoi supporter, ancora memori della batosta presa da Boccia per conto del leader maximo alle primarie pugliesi, gongolano: “ Berlusconi ha detto che quelli della P3 sono sfigati, questi qua sono sfigati in servizio permanente effettivo”.

 

Manovra: serviranno altri 25 miliardi. E il debito pubblico schizza a livelli record

Nei primi mesi del 2011 saremo alla resa dei conti di una politica economica basata sugli slogan e sulla benevolenza agli evasori fiscali. E il Governo indebolito dagli scandali non avrà la forza di trovare soluzioni

Il debito pubblico è cresciuto, al netto della cassa, di 13 miliardi fra aprile e maggio di quest’anno, raggiungendo la cifra record di 1.827 miliardi. Anche se il ministro dell’Economia Giulio Tremonti minimizza dicendo che il fatto ha “importanza relativa”, facendo le proiezioni vuol dire che, anche supponendo che la manovra appena varata sia pienamente efficace e che il Pil italiano cresca nei prossimi tre anni dell’1,3 per cento, per mantenere gli impegni presi in Europa serve un’altra manovra da 25 miliardi di cui 16 nel biennio 2011/2012.

Gli operatori finanziari hanno concesso una tregua ai nostri titoli di Stato, la rigidità mostrata da Tremonti nella difesa dei conti pubblici e una minima ripresa economica hanno contribuito a mantenere su livelli accettabili i tassi d’interesse che l’Italia paga per rifinanziare il proprio debito. Questa apertura di credito durerà solo fino alle prossime verifiche dei numeri di finanza pubblica e di andamento dell’economia.


Il downgrading del Portogallo di ieri è un promemoria per ricordare che i problemi sono tutti sul tappeto e possono deflagrare in una nuova crisi da un momento all’altro. La politica estera del “cucù”, ufficializzata due giorni fa da Silvio Berlusconi non ha infatti convinto la Germania a recedere dal proposito di comprimere i propri consumi attraverso una politica di bilancio restrittiva e puntare tutto sulle esportazioni. Una ricetta economica tagliata su misura per il tessuto industriale, economico e sociale tedesco ma che stringe in una morsa recessiva tutti gli altri partner europei.

Alla fine del primo trimestre 2011 saremo alla resa dei conti di una politica economica basata sugli slogan e su messaggi chiari di benevolenza agli evasori fiscali. L’Istat ci dice che siamo il Paese con la più alta percentuale di economia sommersa, ogni anno 255 miliardi di euro di ricchezza prodotta sfuggono a qualsiasi controllo e chiaramente a ogni tipo di imposta. La fortunata formula politica “meno tasse per tutti” si è tradotta in una divisione economica e sociale fra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi. L’evasione non è un fenomeno isolato, concentrato in alcuni settori o gruppi, è consolidato e diffuso dall’idraulico all’avvocato, dal fruttivendolo al grande imprenditore, chi più chi meno arrotonda i propri introiti pagando meno imposte. In questo andazzo diffuso anche il lavoratore dipendente dove può risparmia, tutti sanno che esistono due prezzi differenti per ogni bene e ogni servizio che si acquista: il prezzo con fattura e il prezzo senza fattura.

Il governo si troverà presto di fronte al dilemma di operare altri 25 miliardi di tagli alla spesa o di perseguire in maniera efficace l’evasione fiscale magari reintroducendo la norma sulla tracciabilità del contante varata da Romano Prodi e solo parzialmente ripresa nell’ultima finanziaria. C’è il ragionevole dubbio che Berlusconi e la sua maggioranza non abbiano la forza di fare né l’una né l’altra cosa, troppo deboli e minati nella credibilità dagli scandali per imporre nuovi sacrifici, troppo sbilanciati con il loro elettorato per stringere sui controlli fiscali.

La dura reazione del presidente della Lombardia Roberto Formigoni alla Finanziaria ci dice che anche la strada di scaricare sugli enti locali il peso dei tagli è difficilmente percorribile nell’immediato futuro. Intanto protesta anche il Pd per un emendamento che toglie il tetto di 20 alunni per le classi con bimbi disabili. Negli ambienti economici finanziari italiani cresce la preoccupazione di un esecutivo paralizzato di fronte a nuove necessità di cassa e prende sempre più forza l’idea di una maggioranza più ampia dell’attuale, di larghe intese o meno ma che garantisca all’establishment del Paese una guida certa dei conti pubblici e dell’economia.

In questo quadro la presenza di Cesare Geronzi e Mario Draghi alla cena in casa Vespa con Berlusconi e Casini non sembra né casuale né improvvisata: gli interessi della finanza italiana coincidono con le preoccupazioni del cardinale Bertone (altro commensale) sulla tenuta sociale del Paese. Probabilmente a casa di Vespa è iniziato un ragionamento sul futuro dell’Italia che andrà al di là e oltre le portate servite al tavolo e che riemergerà con le scadenze di bilancio dei prossimi dodici mesi. Noi speriamo vivamente che sia così, anche per dare un senso alla presenza a quella cena del governatore di Bankitalia Mario Draghi che è anche presidente del Financial Stability Board. Se invece, come sostiene Vespa, alla cena non si è parlato di niente del genere saremmo veramente in pieno basso impero, epoca nella quale si può chiedere alla massima autorità monetaria del Paese di passarci il sale.

 

IL MERDA IN LEGGERO AFFANNO: CHIEDE AIUTO AL VATICANO ED ALLA FIGA.GIOVEDI' SERA. Poco prima di mezzanotte, una mercedes nera targata Città del Vaticano s'allontana per la discesa di via Gregoriana, a due passi da piazza di Spagna. Seduto dietro, il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato. Poco dopo, dallo stesso portoncino, escono nella notte romana Cesare Geronzi e Mario Draghi. Cosa ci facevano alla stessa tavola il primo collaboratore del Papa, il governatore della Banca d'Italia e il presidente di Generali? Assistevano all'ultimo, caparbio, tentativo del Cavaliere di evitare lo sfarinamento della sua maggioranza, iniettando forze fresche - quelle dei centristi di Pier Ferdinando Casini - in un momento di grande difficoltà.

L'occasione la crea Bruno Vespa che, con l'idea di voler festeggiare "con qualche amico" i suoi 50 anni di giornalismo, offre la sua terrazza su Trinità de Monti per una spericolata (e per ora infruttuosa) operazione politica. Dunque Berlusconi. Accompagnato da Gianni Letta, il premier appare da subito deciso a tentare l'affondo finale. Anche la cornice - da Bertone, rappresentante del Vaticano a Geronzi, custode del nuovo assetto finanziario italiano - sembra creata apposta per accerchiare Casini. Almeno così spera Berlusconi, che stavolta è pronto a mettere tutto sul piatto pur di imbarcare "Pier Ferdinando" e lasciare a terra quel "traditore" di Fini. La presenza del segretario di Stato vaticano, agli occhi del premier, dovrebbe rendere più "ragionevole" il cattolico Casini. Una convinzione tratta dai contatti con i vertici d'Oltretevere, per i quali Letta aveva ricevuto un incarico preciso. Così, dopo un vago richiamo alle "comuni radici del Ppe", il Cavaliere mette i piedi nel piatto: "Pier, noi apparteniamo alla stessa famiglia, i nostri elettori sono gli stessi. Cosa ci fai in quella compagnia di giro? Il tuo posto è alla guida del paese accanto a me. Se solo volessi potresti fare il vicepresidente del Consiglio, saresti il numero due del governo. Sceglieresti tu il successore di Scajola e magari potreste avere anche la Farnesina". Un'offerta succulenta e del resto il premier ha assoluto bisogno di tamponare l'emorragia finiana, costi quel che costi. Di cedere alle richieste del presidente della Camera non lo prende nemmeno in considerazione. Anzi, sta provando a sfilare a Fini tutti gli interlocutori. Compreso Francesco Rutelli, che non a caso è stato invitato da Gaetano Quagliariello ad aprire gli incontri estivi della fondazione Magna Carta.

"Fini ti ha già fregato una volta - ricorda Berlusconi a Casini - ha detto che rompeva con me e poi è corso a fare il Pdl lasciandoti da solo. Se tornassi con noi nessuno potrebbe dirti niente". Ma il leader dell'Udc, nonostante molti dei suoi non aspettino altro, anche stavolta delude il suo interlocutore. E non è solo la volontà di non farsi utilizzare contro Fini, prestandosi all'accusa di trasformismo parlamentare. Casini i suoi 39 deputati sarebbe anche disposto a concederli, ma solo in cambio di un "forte segnale di discontinuità" rispetto all'attuale maggioranza. Un "cambio di passo" che non potrebbe che essere marcato da una "crisi di governo" e dalle conseguenti dimissioni del premier. "Non posso semplicemente aggiungermi a voi - spiega dunque al Cavaliere - perché vorrebbe dire rinnegare tutto quello che abbiamo detto e fatto finora. Non si può cambiare la base parlamentare del governo senza tornare al Quirinale e noi non facciamo la ruota di scorta, mi dispiace". Altra cosa sarebbe se si presentasse un nuovo governo: "Silvio, a guidarlo saresti sempre tu, ma sarebbe una nuova maggioranza per un nuovo programma. Riforme difficili, anche impopolari, da fare insieme per uscire dalla crisi. In questo caso potremmo anche valutare l'ipotesi". Bertone ascolta in silenzio e non si intromette. Berlusconi appare teso, protesta. "Io non posso aprire una crisi al buio, come puoi chiedermi questo? Dovrei ammettere che abbiamo fallito e invece stiamo facendo e abbiamo fatto tanto". C'è poi un'altra preoccupazione che agita il Cavaliere e gli impedisce di dar corpo alla richiesta di Casini. Alla cena da Vespa non ne fa cenno, ma ieri - riferendo della serata a più di un ministro - confessa il suo vero cruccio: "Se si apre una crisi di governo la palla passa al Quirinale. Come faccio a fidarmi?". È lo spettro di un nuovo Dini, di un governo di transizione come quello nato nel '95 sotto l'ala protettrice di Scalfaro.

LA MANOVRA ABRACADABRA

Il governo accoglie le richieste degli industriali. Il conto lo pagano gli altri

Il suk è finito. Non si tratta più sulla manovra da 25 miliardi. Ieri è finito l’esame degli emendamenti in Commissione Bilancio al Senato e martedì arriverà in aula, giovedì ci sarà il voto di fiducia. Il disegno di legge che interviene sul bilancio per il biennio 2010-2012 sarà superblindato. Con un comunicato congiunto, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il ministro dell’Economia Giulio Tremonti hanno fatto sapere che la fiducia sarà chiesta anche alla Camera. “Un atto incommentabile”, secondo il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Per la maggioranza la fatica di arrivare a questa sintesi è stata tanta che non può più permettersi di trattare ancora.  Alla fine è stato smontato l’impianto originario dei tagli orizzontali ma sono rimasti i saldi di bilancio finali. Ecco chi ha vinto e chi ha perso nelle trattative degli ultimi giorni.

CHI VINCE. Confindustria ha chiesto e ottenuto quello che voleva. Come promesso da Berlusconi in una telefonata con Emma Marcegaglia, presidente degli Industriali, sono state cancellate le misure anti-evasione (da “stato di polizia” secondo altri) che dovevano generare sei miliardi di gettito in due anni. In particolare cambia l’articolo 38 della manovra, quello che accelerava i tempi di riscossione, da parte dell’erario, nei casi di contenzioso. La lobby farmaceutica ottiene il risultato minimo per cui stava combattendo: il taglio di 600 milioni alla spesa farmaceutica viene ripartito sull’intera filiera. Il grosso del taglio ai margini di profitto sui farmaci di fascia A (quelli gratuiti per i cittadini) viene scaricato sui grossisti e sulle aziende. Le farmacie possono essere soddisfatte, il presidente di Farmindustria (associazione delle imprese farmaceutiche) Sergio Dompé parla di “appropriazione indebita” da parte dello Stato. Come aveva promesso Berlusconi, nella versione finale viene cancellata la possibilità di tagliare le tredicesime mensilità di alcune categorie di dipendenti pubblici come vigili del fuoco, professori universitari e magistrati. Spiega Azzollini che “quella sulle tredicesime era solo un’opzione. Togliendo questa parte i saldi rimangono invariati”. Non è quindi chiarissimo perché fosse stato introdotto. Stesso discorso per l’innalzamento della soglia di invalidità che dà diritto alla pensione dell’Inps. Come previsto nei giorni scorsi, resterà al 75 per cento senza salire all’84.
Trionfa la lobby trasversale dei politici romani: arrivano 50 milioni di euro a Roma Capitale. E si riduce quindi la necessità per il sindaco Gianni Alemanno di mettere i pedaggi sul Grande raccordo anulare.


CHI PAREGGIA. Dopo il terremoto il governo aveva sospeso e imposte ai cittadini de L’Aquila, per evitare che venissero gravati anche dal fisco oltre che dalla sorte. Dopo una lunga trattativa, il governo ha deciso che nella manovra ci sono abbastanza soldi solo per continuare a sospendere le tasse di lavoratori autonomi e piccole imprese aquilane (con fatturato inferiore a 200 mila euro) per altri cinque mesi. Dal primo luglio, invece, per dipendenti, pensionati e grandi aziende tutto tornerà alla normalità. È la sospensione tributaria  di minor durata della storia recente delle politiche post terremoti. Il recupero delle imposte non versate durante il periodo di sospensione (non sono state condonate ma solo congelate) dovrebbe avvenire in cinque anni. Ma ieri sera il sottosegretario Gianni Letta ha promesso un nuovo emendamento per allungare a dieci anni. Non è chiaro come la cosa sia attuabile, visto che la manovra dovrebbe essere blindata, forse ci potrebbe essere un maxi-emendamento prima della fiducia. Ma per ora sembra poco plausibile.
Il comparto sicurezza lamentava un taglio da 600 milioni in due anni che colpirebbe dalle forze armate alla polizia e ai vigili del fuoco. Negli ultimi emendamenti di ieri sera, dopo giorni di proteste, i rappresentanti del settore hanno ottenuto solo 160 milioni di euro in due anni di stanziamenti. Meglio di niente ma molto meno di quello che chiedevano. Viene però introdotto un blocco del turn over nei servizi segreti che dovrebbe assicurare una riduzione del personale di 570 unità (su 2500 in totale).

CHI PERDE. La grande sorpresa di ieri è la stangata sulle assicurazioni che vale 234 milioni di euro. L’emendamento presentato ieri dal solito Azzollini prevede un aumento della tassazione Ires per le imprese assicurative stabilendo che “la variazione delle riserve tecniche obbligatorie relative al ramo vita concorre a formare il reddito dell’esercizio in misura pari al 90 per cento”. E le assicurazioni dovranno pagare il conto della misura già da novembre, quando sono chiamate a versare la prima parte delle imposte. È molto probabile che il rincaro, in assenza di vincoli specifici, venga scaricato sui clienti tramite un rincaro dei prodotti assicurativi. Saranno quindi i consumatori a pagare di fatto i 234 milioni, che servivano al governo per compensare il mancato gettito dovuto alla cancellazione delle misure sgradite a Confindustria.
Poi ci sono ovviamente le Regioni e i Comuni (vedi pezzo qui sotto). I tagli ai trasferimenti dallo Stato agli enti locali non sono mai stati rimessi in discussione: 8,5 miliardi di euro in due anni. Non sono servite le proteste di sindaci e governatori, Berlusconi si è perfino rifiutato di incontrarli prima che la manovra fosse chiusa in Commissione Bilancio. “I saldi della manovra erano, sono e saranno intangibili”, recita il comunicato congiunto di Berlusconi e Tremonti. Perché si poteva trattare su tutto, ma non sul cuore della manovra, che era proprio il taglio ai trasferimenti (che gli enti locali potranno provare a compensare con più lotta all’evasione e, forse, la nuova service tax su immobili e servizi). L'eroica settimana del "ghe pensi mi" precipita nella prosaica entropia della manovra economica.
Berlusconi ha disinnescato la mina Brancher, al prezzo di una penosa rinuncia che ha svelato il patto diabolico tentato sulla pelle delle istituzioni: un ministero ad personam in cambio di un'impunità personale. Ma non riesce a disinnescare la bomba del decretone da 25 miliardi, sul quale si concentrano le tensioni della maggioranza e le pressioni della società. La ragione è semplice. Per un governo non c'è atto politico più costitutivo di una legge finanziaria. E poiché questo governo non ha una proposta politica, non può sperare nel consenso del Paese sulla sua manovra economica.

C'è un'evidente confusione "tecnica", che in queste ore supera i limiti della decenza. In una manovra già nata male, perché iniqua nella distribuzione dei tagli di spesa e incerta nella quantificazione delle voci di entrata, si stanno moltiplicando emendamenti sulle materie più astruse e disparate. A colpi di "refuso" quotidiano, e di blitz notturni di fugaci peones e audaci relatori, si aggiungono e si sottraggono impreviste stangate sulle assicurazioni e improbabili riforme del processo civile, intollerabili batoste sulle tredicesime e incredibili abbattimenti degli stipendi Rai.

Il tutto accompagnato dall'ennesima celebrazione del conflitto di interessi: l'immancabile norma ad aziendam (questa volta la Mondadori) che pagando un misero obolo del 5% sul dovuto potrà CHIUDERE DEFINITIVAMENTE estinguere il suo contenzioso da 400 milioni con il Fisco (C'E' UN PROCESSO IN CORSO). Il risultato di questo caos è a somma zero. Nessuno può alterare i saldi finali, come esige il ministro dell'Economia. Ma nessuno capisce più niente, come teme il presidente del Consiglio. Meno male che la riforma del bilancio su base triennale avrebbe dovuto metterci al riparo dagli indecorosi assalti alla diligenza della Prima Repubblica. Le cavallette all'opera nella Seconda Repubblica sono molto peggio.
Ma c'è soprattutto una patente convulsione politica, che in questi giorni mette a nudo i vizi di questo centrodestra in cui la logica irriducibile della monarchia assoluta comincia a patire il parziale squilibrio di una diarchia relativa. Lo scontro con le Regioni è forse il sintomo più inquietante. Il presidente del Consiglio sarebbe pronto ad ascoltare le grida di dolore che arrivano dai governatori, molti dei quali appartengono alla sua maggioranza, uscita già molto provata dalle elezioni amministrative della primavera scorsa. Berlusconi sarebbe pronto a venire incontro alle richieste non solo delle virtuose regioni del Nord di fresca marca leghista, ma anche delle disastrate regioni del Sud di vecchia marca forzista. Ma il suo ministro del Tesoro non può permettersi questo lusso: i tagli pesanti agli enti locali, insieme al salasso dilazionato sul pubblico impiego, sono l'unica certezza di questa manovra scritta sull'acqua. Tremonti non si può permettere di cedere su questo: non può dare ai mercati l'impressione che il governo italiano sia pronto a scendere a patti su una manovra che per il Paese (e per l'Eurozona) rappresenta la linea del Piave da opporre agli attacchi speculativi.

Questo spiega la resistenza del governo ad incontrare i governatori (con la discutibile eccezione dell'udienza "privata" concessa a Palazzo Grazioli agli azzurri Formigoni, Polverini, Caldoro e Scopelliti) e ad ascoltare le proteste delle categorie (con l'inaccettabile eccezione del presidente di Confindustria Marcegaglia, rassicurata personalmente al telefono sull'eliminazione dei nuovi adempimenti fiscali per le imprese). Questo spiega anche l'ennesimo schiaffo della doppia fiducia imposta a Camera e Senato, per blindare un testo che con tutte le sue clamorose storture deve comunque assicurare i 25 miliardi promessi sulla carta. Ma è evidente che, al di là delle smentite di rito, Berlusconi ha un problema serio con Tremonti. Persino più serio di quello che ha con Fini. Per la legge sulle intercettazioni si trova a dover fronteggiare il presidente della Repubblica e il presidente della Camera, dentro una cornice istituzionale difficile ma con un margine interno gestibile. Per la manovra deve fronteggiare il suo ministro del Tesoro che si propone come unico garante della stabilità economica, dentro un quadro di compatibilità politiche aperte ma con un vincolo esterno indisponibile.

Per questo la battaglia sulla manovra è più insidiosa per il premier, che su questo deve fare i conti non tanto e non solo con l'opposizione, ma con la sua constituency politica e, in definitiva, con il Paese. A parte le Regioni, i focolai di conflitto si diffondono con velocità e intensità impressionanti. Protestano i sindacati nel pubblico e nel privato. Protestano i docenti e i ricercatori. Protestano i medici. Protestano le forze dell'ordine. Protestano i generali dell'esercito. Protestano i diplomatici. Protestano i magistrati. E protestano anche i terremotati aquilani. Un dissenso concentrico così vasto non si era mai visto. Meno che mai nei confronti del leader che, più di chiunque altro non solo in Italia ma forse nell'intero Occidente, ha fatto della sua popolarità l'unico metro per misurare la sua politica.

Qui sta il drammatico limite del berlusconismo, che forse per la prima volta assaggia, anche tra la sua gente, il frutto amaro dell'impopolarità. Mai come in questo momento, sulla manovra e non solo su questa, servirebbe un presidente del Consiglio capace di fare una sintesi più avanzata tra le tesi del suo ministro dell'Economia e le antitesi espresse dagli enti locali e dalla società civile. Mai come in questo momento servirebbe una vera politica del fare, e non la solita mistica del potere. E invece, con quel grottesco "ghe pensi mi", il Cavaliere ci ripropone l'eterno ritorno dell'uguale. Se in campo c'è lui, la politica non serve: Silvio è il messaggio. È stato vero per molto tempo, nell'Italia dell'egemonia sottoculturale televisiva. Ora, forse, non lo è più. Mentre ci si arrovella sul messaggio salvifico di Silvio, nell'emendamento presentato ieri dal governo alla Manovra che introduce la figura dell'ausiliario del giudice spunta una norma che potrebbe di fatto sospendere il processo Fininvest-Cir per nove mesi. La norma, destinata a far discutere, è contenuta nel comma 18 dell'emendamento 48.0.1000.

A confermare l'ipotesi è il capogruppo del Pd in commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, che ribattezza la previsione del governo come "anti-Mesiano" dal nome del giudice "duramente attaccato dalle reti tv della famiglia Berlusconi per aver firmato la sentenza che obbliga la Fininvest a risarcire la Cir di 750 milioni per l'affare Mondadori".

Il comma 18 dell'emendamento del governo recita testualmente: "Nei procedimenti civili contenziosi aventi ad oggetto diritti disponibili che, alla data di entrata in vigore della presente legge, pendono dinanzi alla Corte d'Appello, il giudice, su istanza di parte, anche con decreto pronunziato fuori udienza, rinvia il processo per un periodo di sei mesi per l'espletamento del procedimento di mediazione".
 
Secondo la Ferranti, "nelle pieghe dell'emendamento governativo c'è l'ennesima scandalosa norma ad personam che serve unicamente a salvare gli interessi della famiglia Berlusconi". La parlamentare democratica prosegue ironizzando sulle dichiarazioni d'intenti del Guardasigilli a proposito della velocità della giustizia: "Il ministro Alfano per fare un favore al premier tira il freno a mano e rallenta  tutti i processi civili".

Ieri il gruppo democratico aveva individuato un'altra norma che poteva influire sul contenzioso, in quanto volta a ridurre i processi tributari pendenti. Secondo il Pd, in base all'emendamento, Mondadori potrebbe estinguere la pendenza pagando il 5% del dovuto. L'ipotesi era stata smentita dal sottosegretario all'Economia, Luigi Casero.

Nel frattempo le modifiche al testo originario continuano. Dopo i rilievi della commissione Giustizia del Senato il cancelliere non potrà assumere la prova, l'ausiliario potrà sostituire il giudice "solo se le parti ne facciano concorde richiesta" e sarà il giudice a fissare l'udienza per il giuramento dell'ausiliario. Gli ausiliari potranno essere magistrati onorari, anche se cessati dal servizio da non più di 5 anni, avvocati con anzianità di iscrizione all'albo di almeno 5 anni, notai, anche collocati a riposo, magistrati collocati a riposo, avvocati dello Stato collocati a riposo, docenti o ricercatori universitari, anche collocati a riposo. La merda non finisce quì: Tenetevi forte. Quello che leggerete può avere serie controindicazioni sul vostro stato di salute. Soprattutto se siete insegnanti e nei prossimi tre anni vi sarà bloccato l’aumento automatico delle retribuzioni. Oppure medici precari a cui presto non sarà rinnovato il contratto. I circa 900 milioni di euro che Tremonti conta di recuperare con i tagli al personale della sanità e il miliardo scarso che si dovrebbe ottenere dal blocco delle carriere nella scuola potevano arrivare  nelle casse dello stato con un’operazione semplice e già collaudata da paesi come
Stati Uniti, Germania e perfino India: un’asta pubblica per l’attribuzione delle frequenze televisive liberate dalla tecnologia digitale. Un procedimento semplice, che l’Italia ha però scelto di non seguire. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire di che cosa si tratta.
L’innovazione tecnologica ha rapidamente cambiato il modo in cui si trasmettono i segnali televisivi. Dalla tecnologia analogica si sta passando a quella digitale, che permette di comprimere i dati, riducendo la banda di frequenze utilizzate per la trasmissione. In pratica si liberano spazi, che possono essere occupati da altri segnali. Tutti i paesi europei si stanno organizzando per gestire quello che si chiama switchover, il passaggio da analogico a digitale, cercando di sfruttare al meglio il “dividendo digitale“, e cioè la parte di frequenze che si liberano. Gli Stati Uniti si sono mossi prima di tutti. Già nel marzo del 2008 hanno messo all’asta frequenze per 19,6 miliardi di dollari. Se le sono spartite grandi nomi della telefonia come Verizon Wireless e AT&T, ma anche operatori di nicchia, come Triad 700, una start-up della Silicon Valley o Cavalier Wireless. Il mercato si è aperto e lo stato ha incassato risorse preziose.

In Italia, invece, le aste sulle frequenze televisive non si fanno. Si procede per delibere emesse dall’Autorità garante nelle Comunicazioni. L’8 aprile del 2009 una delibera Agcom ha stabilito la suddivisione delle 21 (oggi 25) reti nazionali accese dalla tecnologia digitale. Venti reti sono andate di diritto, e praticamente a titolo gratuito, a chi aveva già le frequenze analogiche. Di queste, cinque sono state assegnate rispettivamente a Rai e Mediaset, tre a Telecom Italia e le rimanenti agli altri “network nazionali”: da Rete A (Gruppo L’Espresso) a Telecapri a Europa 7. Le cinque reti rimanenti, il nostro “dividendo digitale interno” (frequenze da assegnare a operatori televisivi alternativi, come ha intimato Bruxelles con una procedura d’infrazione) non saranno soggette ad asta pubblica ma, come ama dire Corrado Calabrò, presidente Agcom, a un “beauty contest” (procedura comparativa): un concorso di bellezza nella cui giuria siederà il governo, che sceglierà in base a parametri autonomamente determinati. A decidere sarà alla fine il Ministero per lo Sviluppo Economico, guidato ad interim dallo stesso Berlusconi. Il concorso di bellezza non sarà però riservato solo a nuovi operatori, ma potranno parteciparvi anche Rai e Mediaset, che potrebbero portarsi a casa due delle cinque reti (ognuna delle quali, come le altre, permette di irradiare fino a sei canali).
In sostanza si conserva lo status quo, ribaltando sul digitale il duopolio Rai-Mediaset. Con lo stato che incasserà solo le briciole: l’1% del fatturato annuo degli operatori (contro il 4-5% medio europeo) a titolo di canone di affitto delle frequenze.
Se si prendono per buoni i dati di uno studio pubblicato in giugno da Carlo Cambini, Antonio Sassano e Tommaso Valletti su lavoce.info, lo spettro di frequenze italiano regalato alle emittenti nazionali e locali varrebbe circa 12 miliardi di euro di fatturato annuo totale per gli operatori. Da cui lo stato ricaverebbe 120 milioni all’anno di canoni (1%). Che potrebbero però diventare già 600 applicando canoni più “europei” (5%) e molti di più se si decidesse di attribuire il “dividendo digitale” con aste competitive.

Porte chiuse a internet. Precedenza alle TV
L’aspetto ancora più grave della lottizzazione televisiva del digitale è l’esclusione degli operatori di telefonia dalla spartizione delle frequenze. Telecom e gli altri operatori di telecomunicazioni, potrebbero usare la parte di banda liberata dal digitale per portare Internet mobile veloce in quelle zone del Paese non ancora raggiunte dalla rete fissa in fibra o in rame, aiutando a superare il “digital divide“. Ma, almeno per ora, non potranno farlo. Perché tutta la banda che si è liberata è stata destinata alle televisioni.
Dal 12 aprile al 20 maggio 2010 la Germania ha messo all’asta frequenze precedentemente occupate dalle emittenti televisive offrendole agli operatori telefonici. Dopo 224 round le frequenze sono state assegnate in gran parte a Vodafone, Deutsche Telekom e O2 per un totale di 4,38 miliardi di euro incassati dallo stato, dei quali 3,68 miliardi, sono stati ottenuti dall’assegnazione di frequenze sugli 800 Mhz, le stesse che l’Agcom ha riservato agli operatori televisivi locali in Italia. Se nel nostro paese si decidesse di mettere all’asta per gli operatori telefonici anche solo un terzo di questo spettro, si potrebbero recuperare – sempre secondo i calcoli de lavoce.info – almeno 4 miliardi di euro.

Si può ancora intervenire? A quanto pare sì. Prima di tutto assegnando con una gara seria,  e non tramite “beauty contest”, le cinque reti destinate ai “nuovi” entranti, ma non ancora attribuite. In secondo luogo chiedendo che una parte delle frequenze liberate dal digitale e  regalate alle TV locali e nazionali (che risultano sottoutilizzate), venga messa all’asta a favore degli operatori di telefonia, per la diffusione della banda larga mobile. A tale proposito il Pd, guidato dall’ex ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni, la settimana scorsa ha presentato una mozione per correggere la manovra economica. Mentre l’Idv ha presentato una proposta di legge, ribattezzata “Contromanovra”, che chiede di mettere all’asta le frequenze del dividendo digitale per “incassare fino a 3 miliardi di euro”. Martedì si è mosso perfino il presidente dell’Authority Corrado Calabrò, preoccupato per la diffusione degli smartphone, che potrebbero presto portare la rete mobile italiana al collasso. “L’Agcom sta portando avanti una politica finalizzata alla liberazione in tempi brevi delle frequenze radio”, ha dichiarato il garante. “Contiamo di rendere disponibili circa 300 Mhz da mettere all’asta per la banda larga”. Avete capito bene: ha detto “asta”. La stessa con cui lo stato tedesco, mettendo a gara un quinto dei Mhz proposti da Calabrò, ha guadagnato 3,68 miliardi. Se il presidente dell’autorità di garanzia manterrà le promesse, i medici e gli insegnanti italiani un giorno potrebbero essergliene grati. Forse anche i governatori delle regioni.


 

 

 

SOTTO ASSEDIO

Ora Santoro perde una causa: voleva far chiudere un giornale. " Però io pago tutto, non sono mica come il testa di cazzo lassù...", queste le parole del giornalista mentre sorseggiava una birretta sul suo yacht in pieno Tirreno.

Roma - Rai per una notte, e direttore della Rai per un pomeriggio. Ma non era lui la vittima sacrificale di diktat e editti? Adesso invece è Michele Santoro a farli, direttamente e in persona, investendo presidenti di garanzia o giornali di provincia, rei di lesa maestà (ovviamente la sua). L’ultimo ultimatum è per Paolo Garimberti, l’ineffabile presidente Rai, cui Santoro ha scritto con la consueta grazia una simpatica letterina che contiene il seguente ordine: riferire al direttore generale che lui andrà in onda a settembre, cascasse il mondo, dopo le meritate vacanze nella nuova villa di Amalfi. E che si sbrigasse, questo signor presidente, e provvedesse immantinente a far togliere quell’odioso punto di domanda vicino al nome Annozero, nei palinsesti autunnali. Che si mettesse un punto e basta, comanda Santorescu, al limite un punto esclamativo. Non bastasse nemmeno questo, il giornalista ricorda quel che sanno benissimo gli uffici legali e la direzione generale Rai - ah, se lo sanno -, e cioè che «Annozero è in onda grazie a una sentenza del giudice confermata in Appello e che chiunque ne ostacolerà la regolare programmazione sarà personalmente responsabile». Garimberti avvisato, mezzo salvato.
Forte della sentenza e di uno share invidiabile, pompato dall’aura di martirio in cui è maestro, è Santoro che comanda il presidente Rai, è lui che si autorinnova il mandato televisivo includendo se stesso nei programmi dell’anno a venire. Con un tono perentorio che i suoi collaboratori conoscono benissimo, a meno di non far parte della «Cupola», come in Rai chiamavano il cerchio ristretto dei fidati di Don Michele. Sembra di indovinare, nel campione dell’antibavaglio Santoro, un ego talmente vasto da farli sopportare male le decisioni avverse o le critiche. Infatti, lui paladino dell’informazione urticante e scomoda, appena può querela i giornali. Poi però, come ricorda lui alla Rai, ci sono le sentenze. E non sempre vanno nel verso sperato.

Come quest’ultima, fresca di qualche giorno, località Rimini. Il tribunale della città romagnola ha appena rigettato l’atto di citazione fatto da Santoro quattro anni fa contro La Voce di Romagna, condannando l’anchorman a pagare le spese legali. La vicenda è esemplare per gli studiosi del santorismo, perché si vede - lo rileva il giudice - come Santoro applichi un metro diverso per sé e per gli altri giornalisti. Tutto parte da una puntata di Annozero del 2006, su San Marino, l’evasione fiscale, la bella vita dei furbetti, sparsi tra il Titano e Rimini, piccola capitale - nella vulgata santoresca - del briatorismo in salsa romagnola: tutti con lo yacht, tutti habitué del paradiso fiscale a due passi da casa. Normale che qualcuno si offendesse, e infatti è successo, tanto che la Voce di Romagna ha replicato facendo il verso a Santoro: se tutti in Riviera sono furbetti dall’evasione facile, Don Michele è uno di noi. E perché? Presto detto. Succede che la consorte di Santoro, la signora Sanya Podgayansky, sia figlia della seconda moglie di Iliano Annibali, famoso imprenditore della zona, proprietario di uno yacht, di una lussuosa villa a Covignano e con ottimi rapporti con San Marino. Insomma l’identikit perfetto del generico j’accuse santoriano ad Annozero. Una provocazione (meglio, «una operazione speculare a quella utilizzata da Annozero» scrive il giudice), che però Santoro aveva preso malissimo, citando in giudizio l’editore (Giovanni Celli, fratello dell’ex direttore generale Rai, una maledizione proprio...) e il direttore, con una richiesta di risarcimento danni esorbitante: 6 milioni e 200mila euro. La Voce aveva anche raccontato altri dettagli del Santoro in versione romagnola: i suoi soggiorni al Gran Hotel di Rimini (simbolo del lusso in Riviera), i lavori di ristrutturazione di una villa vicina a quella del suocero Annibali, sul colle di Covignano. Quanto basta per far infuriare il difensore della libera stampa e fargli chiedere il bavaglio per i presunti diffamatori. Il tribunale di Rimini però gli ha dato torto, e il 26 giugno ha stabilito che «gli scritti, nel loro complesso, non hanno travalicato il limite connesso all’esercizio del diritto di critica, ricorrendo all’esposizione di un fatto sostanzialmente vero». Chi di sentenza colpisce, di sentenza....

 

L'ANNIENTAMENTO, PARTE III

Ghe pensi mi, ci penso io, ha detto Berlusconi pensando alla settimana di fuoco iniziata ieri. E in effetti nelle prossime settimane si deciderà la sorte di due provvedimenti fondamentali, il disegno di legge sulle intercettazioni e la manovra economica, con i suoi possibili assaggi di federalismo (minori tagli alle Regioni virtuose).

Il momento è dei più rischiosi per il governo, perché su entrambi i testi di legge potrebbero esserci defezioni e proteste da parte di importanti settori della maggioranza. Il decreto sulle intercettazioni, specie dopo le osservazioni critiche del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, è osteggiato apertamente dai cosiddetti finiani (seguaci di Fini), che vedono in esso un pericolo per la legalità e per la lotta al crimine. Quanto alla manovra, le parole di Tremonti sulla «cialtroneria» della classe politica meridionale hanno scaldato ulteriormente gli animi dei governatori del Sud, già molto preoccupati per l’entità dei tagli che la manovra prevede per le Regioni. Quel che potrebbe accadere, in altre parole, è che nei prossimi giorni i due tipi di protesta - finiani e politici del Mezzogiorno - si saldino, magari in nome di qualche più o meno astratto principio di coesione nazionale.

E che tale saldatura, anziché risolversi in un voto parlamentare di sfiducia al governo, si concretizzi invece - molto italianamente - in qualche scambio e concessione reciproca. Fra tutti gli scambi possibili, il più perverso - a mio parere - sarebbe quello fra intercettazioni e federalismo. E cioè che i finiani accettassero un cattivo compromesso sulle intercettazioni, in cambio di un gesto di clemenza nei confronti delle Regioni meridionali in dissesto. In parole povere: noi diamo soddisfazione a Berlusconi sul terreno della giustizia (intercettazioni), lui mette un freno a Tremonti sul terreno dell’economia (manovra e federalismo fiscale). Una scena, del resto, già vista ai tempi del secondo governo Berlusconi, quando - nel giro di una notte - Tremonti fu costretto alle dimissioni da Fini.

Perché dico che questo scambio sarebbe perverso?
Per le conseguenze che produrrebbe su tutti noi. Se sulle intercettazioni dovesse prevalere la linea dei falchi governativi, e soccombere quella dei seguaci di Fini, avremmo sicuramente più privacy, ma anche più intralci alla magistratura, meno strumenti di lotta alla criminalità, in definitiva meno legalità e meno sicurezza. Da questo punto di vista considero un grave errore politico dell’opposizione (e della stampa) aver chiamato legge-bavaglio la legge sulle intercettazioni, come se l’informazione ne fosse la prima vittima. No, dovevano chiamarla legge-mordacchia, perché la prima vittima della legge sarebbe la capacità di mordere della magistratura, e con essa la sicurezza dei cittadini.

Quanto alla manovra, se dovesse prevalere ancora una volta la linea dello sconto alle Regioni in dissesto, patrocinata innanzitutto dai governatori di tali Regioni, ne sarebbe gravemente compromesso il cammino verso il federalismo. Anziché iniziare un percorso di risanamento e di responsabilizzazione, verrebbe reiterato e ripetuto il classico segnale che negli ultimi decenni ha distrutto i conti pubblici: chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato. È questo, in ultima analisi, che invocano gli amministratori degli enti in dissesto, quando si proclamano «non colpevoli» dei dissesti che hanno ereditato, e disquisiscono sulla distinzione fra amministrazioni viziose e comportamenti viziosi, come se un governatore che eredita un dissesto non fosse chiamato a farsene carico.

Su questo punto, invece, hanno sostanzialmente ragione Tremonti e il governo quando stabiliscono che un’amministrazione che dissipa risorse pubbliche ha solo due alternative, eliminare gli sprechi o alzare le tasse, e che l’alternativa di far pagare i territori-formica anche per gli sperperi dei territori-cicala non esiste. E questo per almeno tre buoni motivi.

Primo: gli sprechi di un territorio sono anche privilegi, sotto forma di posti di lavoro superflui, commesse e acquisti generosi con i fornitori, favori di ogni tipo agli amici degli amici; dunque gli aumenti di tasse imposti ai territori in dissesto compensano anni e anni di privilegi indebitamente goduti. Secondo: là dove ci sono meno sprechi, ci sono meno margini per fare tagli, là dove ci sono più sprechi ci sono più margini per riorganizzare, e semmai il punto è che chi è chiamato a farlo dovrebbe disporre di maggiori poteri. Terzo: quando Marchionne si è assunto il compito di rimettere in sesto la Fiat, si è ben guardato dal trincerarsi dietro la «pesante eredità» lasciatagli dai suoi predecessori; sarebbe bello che i governatori delle Regioni in dissesto affrontassero il loro mandato con il medesimo spirito, visto che è anche per rimettere i conti in sesto che hanno chiesto il voto. (questa stronzata su marchionne la lascio all'autore di sta merda di articolo...)

Ma l’eventualità di una saldatura tra finiani e meridionalisti non è solo rischiosa per il governo (perché lo indebolirebbe), e pericolosa per il Paese (perché potrebbe finire in un compromesso perverso). È anche una mina vagante per l’opposizione, e in particolare per il Pd. La tentazione di allearsi con i finiani per scacciare il tiranno è molto forte, e si è già manifestata esplicitamente con la promessa di Franceschini di votare tutti gli emendamenti dei finiani al disegno di legge sulle intercettazioni. Il suo prezzo, però, potrebbe essere l’ennesimo rinvio del federalismo, che i finiani, il partito di Casini e una parte dello stesso Pd vedono come una minaccia alla coesione sociale, se non come un attentato all’unità nazionale.

Così il rebus di luglio è completo. Qualsiasi cosa facciano i finiani, il federalismo è in pericolo. Se cedono a Berlusconi sulle intercettazioni, è difficile non pretendano una contropartita, sotto forma di una robusta frenata al federalismo, con conseguente ridimensionamento di Tremonti e ampie concessioni ai governatori del Centro-Sud. Se accettano i voti dell’opposizione per cambiare la legge sulle intercettazioni, è difficile che il nuovo asse politico tra finiani, Pd e Udc non operi nella medesima direzione, quella di un freno al rigore antimeridionalista di Tremonti. Alla fine, chi rischia veramente è la Lega, cui il sogno federalista potrebbe sfuggire ancora una volta proprio sul filo di lana.

 

L'ANNIENTAMENTO, PARTE I

"Non bastano 40 anni di contributi"
Incidente del governo sulle pensioni

Un modulo per la richiesta di pensione in un'immagine d'archivio

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Un emendamento alla manovra
lega gli scatti alla speranza di vita.
Poi Sacconi frena: "Era un refuso"

ROMA
Dura appena poche ore la novità proposta per emendamento alla manovra sulle pensioni che, dal 2016 (un anno dopo quanto previsto) avrebbe agganciato anche i lavoratori con 40 anni di contributi al sistema delle «quote» con l’allungamento dei tempi di età pensionabile legato all’aumento dell’aspettativa di vita. In pratica in alcuni casi per andare in pensione non sarebbero bastati 40 anni. La proposta, firmata dal relatore, Antonio Azzollini, viene infatti rigettata dopo poco dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, che arriva di corsa in Senato, incontra il relatore e poi spiega: «La norma sui 40 anni è stata un refuso. La cancelleremo».

La novità aveva già allarmato i sindacati: Vera Lamonica della segreteria confederale della Cgil aveva spiegato che «l’emendamento peggiora la situazione perchè un lavoratore con 40 anni di contributi incappa non solo nella finestra mobile, che significa l’allungamento di un anno, ma anche nell’applicazione dei coefficienti sull’attesa di vita». Si era registrato poi anche l’altolà di Raffaele Bonanni: «ai lavoratori che hanno già raggiunto 40 anni di contribuzione con la manovra correttiva è stato chiesto un sacrificio enorme, applicando anche a loro la finestra scorrevole di 12 mesi. Ora è necessario evitare che debbano subire, dopo il 2015, ulteriori penalizzazioni». E anche la Uil si era espressa in modo critico: «E' un ulteriore aumento dell’età di pensione - dice il segretario confederale della Uil, Domenico Proietti - che penalizza chi ha 40 anni di contribuzione senza per altro aumentare la prestazione pensionistica futura».

Poi il dietrofront del ministro: «ne ho parlato con il presidente della Commissione Azzollini - ha detto Sacconi ai giornalisti -. È stato per tutti e due un refuso. Non era intenzione nè del governo nè del presidente della Commissione Bilancio introdurre questa norma». Ma l’emendamento Azzollini introduce anche altre novità: l’aggancio all’aspettativa di vita che l’Istat ogni 3 anni verificherà parte non più dal 2015 ma dal 2016 e riguarda anche le pensioni più basse, cioè quelle ’socialì che il precedente governo Berlusconi aveva innalzato a 516 euro (il vecchio milione di lire). Inoltre slitta di un anno, passando dal primo gennaio del 2015 al primo gennaio del 2016, l’adeguamento periodico dei requisiti di pensionamento all’aspettativa di vita. L’incremento dei requisiti dal primo gennaio 2016 è stimato pari a 3 mesi, evidenzia la relazione tecnica della Ragioneria dello Stato, presentata questa mattina in commissione Bilancio al Senato. Strada facendo si arriva a un adeguamento «cumulato» nel 2050 è pari a 3,5 anni. Cioè nel 2050 si dovrà stare al lavoro fino a 68,5 anni. I risparmi che arriveranno dall’adeguamento sono pari, tra il 2016 e il 2020, a circa 7,8 miliardi. Il «numero di soggetti annui che maturano i requisiti interessati nel periodo 2016-2020 è pari a circa 400mila in media».

Per quanto riguarda poi l’adeguamento dell’età delle donne nella pubblica amministrazione «complessivamente» le donne interessate al 2012 dall’innalzamento sono tra le 20mila e le 25 mila donne con risparmi, comprensivi anche della finestra mobile, al 2020 per poco più di 1,4 miliardi. Arriva inoltre un taglio di 87 milioni nel 2011 dei finanziamenti ai patronati che andranno a ’sterilizzarè il previsto aumento (dal protocollo welfare) dal 2011 dei contributi a carico dei lavoratori. Tra le altre novità della giornata l’esclusione degli enti di previdenza privatizzati, tra cui quindi anche l’Inpgi, dalla stretta prevista dalla manovra e la copertura della proroga della sospensione delle tasse per l’Abruzzo che costerà 617 milioni e sarà coperto dal gettito dello scudo fiscale.

ANNIENTAMENTO,

PARTE II, l'estate degli omicidi a carattere "industriale" (nel senso che la cadenza è così elevata da assomigliare ad una catena di montaggio...)

Gaetano De Carlo, 55 anni, spara a una sua ex compagna di 36 anni a Riva di Chieri, nel Torinese. I carabinieri lo cercano ma non fanno in tempo a evitare che qualche ora dopo uccida un'altra ex di 42 anni in provincia di Cremona. Alla fine si è tolto la vita

ROMA - Si è conclusa tragicamente, come era iniziata, la giornata di Gaetano De Carlo, 55 anni, carrozziere di origini pugliesi. Lavorava in provincia di Bergamo e abitava a Vailate (Cremona), divorziato e con una figlia, precedenti per minacce. Una giornata di follia omicida, conclusa con il suicidio. Nel giro di poche ore, De Carlo ha assassinato due ex. La prima a Riva di Chieri, nel Torinese, con tre colpi di pistola, una calibro 7,65. La seconda a Rivolta d'Adda, in provincia di Cremona, sparandole un colpo alla testa. Infine si è suicidato a Corneliano di Truccazzano (Milano). L'uomo era sotto inchiesta per stalking. E' stata proprio la prima vittima, Maria Montanaro, a fare il nome dell'uomo pochi istanti prima di morire: "E' stato lui - ha detto ai soccorritori - è stato Gaetano".

"Vengo lì e ti ammazzo". La prima vittima si chiamava Maria Montanaro, aveva 36 anni e viveva a Riva di Chieri, a una ventina di chilometri da Torino. Lavorava come grafica presso una tipografia. Si era trasferita a Riva, in campagna, da pochi mesi, pare per lasciarsi alle spalle la turbolenta relazione con De Carlo. Lui non si era rassegnato all'allontanamento della donna. Chi viveva nello stesso comprensorio racconta della vittima come di una persona riservata, che non amava parlare di quella relazione finita. Stamattina De Carlo ha bussato alla porta di Maria, che lo ha fatto entrare in casa. L'incontro si è trasformato in una nuova, accessa discussione, conclusa con tre colpi di pistola esplosi
contro il volto di Maria. Spari sentiti dai vicini, che hanno trovato Maria agonizzante e hanno chiamato i soccorsi. Condotta all'ospedale Molinette di Torino, Maria Montanaro è morta poco dopo il ricovero. Dalle testimonianze emerge un dettaglio da brividi: un sms che la vittima avrebbe ricevuto ieri sera da De Carlo: "Vengo lì e ti ammazzo". E proprio Maria Montanaro, prima di morire, ha pronunciato la frase "è stato Gaetano". Da lì è partita la caccia all'uomo che, poche ore dopo, ha colpito di nuovo, spostandosi dal Piemonte alla Lombardia.

Poche ore dopo, a Rivolta d'Adda, il secondo omicidio
. De Carlo è fuggito in auto, sulle sue tracce i carabinieri che non hanno impiegato molto a risalire a lui. Scattano i posti di blocco e partono le prime intercettazioni telefoniche. Si teme che il ricercato stia scappando all'estero, ma le ricerche ai confini con la Francia danno esito negativo. De Carlo è invece diretto a Rivolta d'Adda, dove nel pomeriggio viene trovato il cadavere di una donna a bordo di un auto parcheggiata in una piazzola del Parco della Preistoria di Rivolta d'Adda. E' Sonia Balcone, 42 anni, anche lei un passato da ex di De Carlo. Sonia poi si era sposata e aveva avuto una bambina, che oggi ha cinque anni. Suo marito aveva denunciato De Carlo per ben sette volte, per molestie e minacce. De Carlo le ha sparato quattro volte, una alla testa e tre al petto. Ferita una prima volta, la donna ha percorso una sessantina di metri prima di fermarsi. Scesa dalla vettura ed è stata raggiunta da altri tre colpi che l'hanno finita. Una richiesta d'aiuto è giunta al 118 poco prima delle 18. Inutili i tentativi di rianimazione a l'intervento dell'elisoccorso di Bergamo.

La fuga di Gaetano De Carlo termina di lì a poco, alle 17.45 davanti al cimitero di Corneliano di Truccazzano, in provincia di Milano, dove si uccide con un colpo alla testa esploso con la stessa arma, la pistola calibro 7,65.

 

 

L'EXPO SIZIONE DEL CANCRO, DEL CEMENTO, DEL FINANZIAMENTO PUBBLICO A PRIVATI

Nel sito di Expo 2015 è riportata la "mission": "Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita, abbraccia tutta la sfera dell’alimentazione, dal problema della mancanza di cibo in alcune zone del mondo a quello dell'educazione alimentare, fino alle tematiche legate agli OGM.".
In realtà, come spiegato nel video, la sua "mission" è un'altra:
rendere edificabili zone agricole, costruire palazzi, cementificare. Non sarà il pianeta a essere nutrito, ma palazzinari, immobiliaristi, politici, faccendieri di ogni genere. Chi li nutrirà? Chi finanzierà la cementificazione di quello che resta della Provincia e del Comune di Milano? Non le banche, non i costruttori e certamente non Mortizia Moratti. Il conto dell'Expo 2015 sarà pagato dai cittadini, a iniziare dai milanesi, che al posto dello sviluppo della mobilità privata (nuove linee metropolitane, la mappatura della città con piste ciclabili) e di nuove aree verdi (la riqualificazione dei Navigli, nuovi parchi urbani) avranno in cambio delle loro tasse, un'immensa colata di cemento. Che cazzo c'entra la nutrizione del pianeta con la porcata chiamata Expo 2015? Nulla. Per questo Expo 2015 non si ha da fare. I miliardi di euro (nostri) per l'Expo non ci sono. Il Comune di Milano si indebiterà e scaricherà i costi sui cittadini e Tremorti sulle casse vuote dello Stato. Per cosa? Per quattro palazzinari che fanno il bello e il cattivo tempo con il culo degli altri e spadroneggiano nei Comuni?
Una
buona notizia. La
prima fatwa del blog ha colpito. Il bersaglio era il doppio stipendista Lucio Stanca, deputato e amministratore delegato di Expo 2015. Si è dimesso da amministratore e ora è "solo" monostipendista. Uno di meno. In settimana la prossima fatwa del blog. Si accettano suggerimenti. Nonostante Expo sia stato assegnato a Milano crediamo che ci sia la necessità di mobilitarsi per provare a mettere tanti granellini di sabbia nell’ingranaggio della macchina e provare a evitare tante sciagure e tanti disastri in termini economici di territorio per il futuro di Milano, della Provincia e più in generale delle aree che saranno coinvolte in Expo. A chi serve Expo?
Expo da questo punto di vista è una splendida occasione, da un lato per perpetuare quel famoso modello lombardo o modello Milano di cui tanto spesso a vuoto e a vanvera si parla, quel modello che di fatto è fatto da 3 o 4 caratteristiche peculiari, completa finanziarizzazione, messa a profitto di tutto ciò che può essere finanziarizzato e messo a profitto in questa città, quindi dai beni comuni, la gestione ovviamente di servizi e istruzione, sanità, altri servizi alla persona in ambito della macchina comunale e degli enti locali, vuole dire privatizzazione del territorio, vuole dire territorio messo a rendita ovunque ce ne sia la possibilità e lo spazio e quindi cemento ovunque, per case, per strade, per ipermercati e centri commerciali.
L’altra faccia di questo modello lombardo è che tutto questo si basa fondamentalmente su un
dumping sociale, su una sorta di corsa a precarizzare tutto ciò che è precarizzabile, diritti, redditi, condizioni di vita, condizioni di salute degli abitanti che abitano questi territori, pensiamo all’aria, all’acqua, ai milioni di metri quadrati di aree agricole, verdi che ogni anno vengono consumate tra Milano, Bergamo, Brescia, la direttrice Malpensa, tutte aree che da quando è scattata l’operazione Expo non hanno visto altro che un’ulteriore corsa al mattone, al progetto, all’edificio, al “facciamo qualcosa in nome di Expo” questo sulla testa delle popolazioni e quindi a chi serve? Serve fondamentalmente ai signori del mattone, alle banche, alle compagnie di assicurazioni che in questa città controllano i grandi progetti come questo, come CityLife, servono ai soliti nomi: Pirelli, Ligresti, Cabassi, Compagnia delle Opere, Lega delle Cooperative perché il modello Milano poi è il modello che di fatto nel Paese sta andando avanti da anni. Costruire, quindi speculazione immobiliare e rendita fondiaria come unici elementi di traino del Paese e dell’economia. E per fare questo si svende tutto, si svende la storia della città, il suo tessuto urbano, sociale, si regalano parti di questo sistema di potere, nella fattispecie milanese, alla Compagnia delle Opere, i servizi pubblici o i beni pubblici che gli enti locali devono privatizzare perché le spese di Expo qualcuno le dovrà pagare. Tutto questo nel corso della più grande crisi che questo sistema ricordi da 80/100 anni a questa parte, quindi nella crisi Expo diventa ancora di più un catalizzatore di risorse, quindi uno strumento per guerre di potere, per spartirsi le spoglie di quel poco che resta di pubblico di questa città.
Se Expo è un alibi di fatto, quello che non è un alibi, che anzi sono conseguenze oggettive purtroppo sono i danni che Expo lascerà nel tempo, in eredità, Expo era l’occasione per rifare la città, era l’occasione per un rilancio dell’immagine di Milano nel mondo e soprattutto per fare tutte quelle cose che servivano alla città ma che altrimenti non si poteva fare.Grazie a quello che ha fatto l’Amministrazione Comunale il primo atto ufficiale di Expo è stato decidere che quei terreni dopo Expo non saranno più terreni agricoli ma chi li ha di proprietà o chi li gestirà, quindi attualmente la proprietà è Fiera e Cabassi soprattutto, maturerà dei diritti volumetrici su quelle superfici, quindi un’area agricola che sparirà.
Seconda conseguenza di Expo l’abbiamo su tutte quelle opere che grazie a Expo sono diventate indispensabili, opere pensate quando ancora scrivevamo con le lettere A22, quindi i personal computer erano ancora un sogno, parlo di
Pedemontana, di
Brebemi, di questo gigantismo autostradale e di tangenziali ovunque che nell’epoca del riscaldamento globale, dei problemi climatici, di inquinamento, delle scarsità delle risorse petrolifere sono assolutamente anacronistici e noi nel 2015 ci fregeremo di avere realizzato qualche centinaio di chilometri in più tra bretelle, strade, autostrade, raccordi che consumeranno territorio e che saranno l’eredità delle future generazione, secoli a dimostrare quanto stupida è la razza umana quando pensa con un grande evento di risollevare le sorti di una popolazione, di un territorio.
Poi c’è il lavoro finto perché il
lavoro finto di Expo che è il lavoro finto della fiera, che è il lavoro finto su cui questa città si basa sempre di più, sta prendendo il posto del lavoro vero perché ovunque nei comuni dell’hinterland si respira l’odore di soldi che potrebbero arrivare con qualche progetto legato a Expo, ecco che miracolosamente le aziende non diventano più interessanti, chiudono per lasciare spazio alla speculazione, dai casi più noti: l’Alfa di Arese, doveva essere il polo della mobilità sostenibile, probabilmente diventerà un ammasso di alberghi e centri commerciali. Per arrivare a realtà più piccole, meno conosciute passando per Eutelia, all’Ares di Paderno Duniano, perché la cosa bella di Expo, bella chiaramente in senso ironico, è che non c’è comune che non stia trovando la scusa per fare qualcosa in nome di Expo, ma l’unica cosa che ci sembra che non venga fatta in nome di Expo è pensare seriamente a cosa vuole dire energia per il pianeta e alimentazione e cibo per tutti, questa è l’unica cosa che non verrà lasciata a seguito di Expo.
C’è poi la terza bufala di Expo, quello che sarebbe un grande affare,certo è un grande affare per chi farà gli affari con Expo perché quello che ci hanno raccontato è che Expo si sarebbe ripagato da solo, che Expo l’avrebbero pagato i privati, che Expo non sarebbe costato ai cittadini, ma andiamo a vedere un attimo in realtà. Oggi Expo cosa sta costando e cosa costerà in divenire, oggi Expo sta innanzitutto costando quei 1.400.000 di Euro, stanziati, poi che ci siano veramente è ancora tutto da dimostrare, ma a bilancio dello Stato sono stati messi con la Finanziaria 2009, la famosa legge 133 e che fanno parte di quei tanti miliardi spostati da scuola, università, ricerca scientifica, cultura e spostati dove? Cemento, grandi opere, Tav, autostrade, ponte sullo stretto e Expo, poi Expo chi lo sta pagando? Lo stanno pagando i cittadini milanesi e i cittadini lombardi, lo stanno pagando perché? Perché comune, provincia e regione devono pagare i debiti della società Expo Spa, debiti per il momento minimi perché non avendo fatto per il momento niente, chiaramente parliamo di normali costi di gestione, ma è già qualche milione di Euro di debiti che gli enti locali dovranno ripianare e quindi giocoforza usando soldi pubblici.
Adesso poi c’è la grande bufala di
Formigoni, facciamo gli affari con Expo, compriamoci l’area e per comprare l’area fa un giochino per cui crea una società, crea una società dove di fatto gli uomini al vertice saranno molto probabilmente Mondo e Compagnia delle Opere, lo stesso Mondo che esprime i vertici di ente Fiera, ossia ente Fiera il principale proprietario dell’area sito Expo, Ente Fiera che era nel Comitato promotore di Expo Milano 2015 e che ha scelto, essendo nel Comitato promotore la propria area come sito su cui realizzare l’eventuale esposizione e come poi nei fatti sta avvenendo. Non so se questo gioco di parole ha reso l’effetto, ma credo che siamo di fronte all’ennesimo gigantesco conflitto di interesse all’italiana, che parte da Fiera e ritorna a Fiera passando per quella banda di potere chiamata Compagnia delle Opere, entourage di Formigoni che governa in questa Regione da 20 anni e che sta facendo con denaro pubblico ogni schifezza possibile, arricchendo i soliti noti e quindi il risultato è che con i soldi pubblici andremo non solo a far guadagnare Fiera ma a fargli un grosso favore perché nel frattempo la vecchia Fiera che non è CityLife ma la Fiera Milano City quella che nel 1996 era l’orgoglio di Albertini che veniva inaugurata come la vetrina con cui Milano si presentava al mondo oggi è obsoleta, non è più economica, non rende più, ecco che quindi c’è un altro regalo a Fiera perché lì sorgeranno di nuovo centro congressi, valorizzazione ennesima e i privati in questo ci stanno mettendo poco o nulla, un po’ perché le banche dei privati non si fidano e essendo gli immobiliaristi tra i più indebitati, non solo in Italia, le banche oggi agli immobiliaristi, alle società di costruzione non prestano nulla se non c’è il pubblico a farsi da garante.
In secondo luogo perché al di là di questi costi ci sono poi quelle opere connesse che dicevamo prima che anche lì sanno partendo solo con soldi pubblici, i famosi
project financing, ma qui non se ne vede traccia. Allora in buona sostanza a pagare saremo sempre noi e i profitti li faranno gli altri e pagheremo non solo soldi, ma pagheremo quelle risorse pubbliche che come dicevo inizialmente dovranno essere privatizzate per fare cassa, pagheremo i beni immobiliari svenduti per fare cassa, pagheremo il territorio consumato che è un bene comune anche quello, che non tornerà più, anche quello svenduto per fare soldi, ma alla città rimarrà ben poco, sicuramente non le metropolitane che avevano promesso e che invece guarda caso sono state tagliate quasi subito!

 

La Corea del Nord minaccia Seul
"Con nuove sanzioni sarà guerra"

La Corea del Nord minaccia Seul "Con nuove sanzioni sarà guerra"

Pyongyang si ribella all'accusa ufficiale di aver affondato una nave militare del Paese vicino. "Solo bugie, risponderemo con un colpo di forza fisica senza pietà". Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone contro il regime comunista. Ban Ki-moon: "Fatti molto preoccupanti" Commenta / LIMES

Alta tensione al 38esimo parallelo
Nordcorea "Soldati sul piede di guerra"

Kim Jong-Il: "Se ci attaccano, siamo pronti"

L'ordine - scrive l'agenzia sudcoreana Yonhap - impartito dal leader nordcoreano. La tensione ha avuto un'escalation con le sanzioni, ieri, di Seul contro Pyongyang, accusata di aver affondato una corvetta del Sud. Morte 46 persone

Singapore, collisione tra due navi
greggio in mare, ancora allarme

Stima: sversamento di 2000 tonnellate

Singapore, collisione tra due navi greggio in mare, ancora allarmeL'incidente è avvenuto stamattina in acque malaysiane, 13 chilometri al largo della città-stato asiatica, tra una petroliera e una nave cargo. Le autorità portuali hanno subito inviato nella zona le imbarcazioni dotate di attrezzatura per la ripulitura della marea nera

 

 

Una "fedelissima" contro Grillo
E continua la tensione con l'Idv

Il "Cinque stelle" è stato la sorpresa delle elezioni regionali. Ecco come si sta muovendo, fra progetti locali sull'acqua, proposte sul sofware libero. E qualche tensione interna

ROMA - E' stata la sorpresa delle ultime elezioni. 400mila voti di lista. Quattro consiglieri eletti. Una strategia politica ispirata al guerrilla marketing: provocare, disturbare e rompere equilibri esistenti. Sono il MoVimento 5 stelle, grillini o grillisti che dir si voglia. Diretta emanazione di Beppe Grillo e del suo blog. Accusati dalla sinistra di averla sfasciata e dal Pd di essere il cupio dissolvi della politica. Evitati e snobbati con cura dal centro e dal centrodestra. Unico rapporto non conflittuale con i partiti: quello con l'Idv di Antonio Di Pietro. Un flirt che sembra già preistoria. E a tre mesi dall'inaspettato ingresso nelle istituzioni, i grillini si dimenano tra progetti di legge anti-casta e conflitti interni.

Gli attacchi a Sonia Alfano. L'ultima spaccatura al MoVimento è quella tra l'eurodeputata Sonia Alfano, grillina eletta come indipendente nelle liste di Idv, e Beppe Grillo. In una lettera aperta indirizzata al comico genovese, la Alfano lo accusa di essere stata attaccata per il suo lavoro in Europa. "Caro Beppe, ti chiedo le ragioni del comportamento che negli ultimi mesi hai avuto nei miei confronti". La Alfano ricostruisce il suo legame politico con Grillo: "Nel 2009 hai appoggiato la mia candidatura alle elezioni europee nelle liste di Italia dei Valori come indipendente". Poi sono seguiti "veri e propri attacchi alla mia persona". Attacchi che "mi sono giunti improvvisi, immotivati e soprattutto che non hai avuto il coraggio di fare direttamente ma
attraverso terze voci tramite il blog".

Le accuse al blog di Grillo.
Per Sonia Alfano, "il blog è stato disposto a rinnegare il suo impegno verso la tutela del consumatore, la trasparenza e la pubblicità non ingannevole, schierandosi a fianco di Castelli, de "Il Giornale", de "La Padania" pur di attaccare la mia persona". Alla Alfano numerosi attacchi anche dalla base dei grillini. Al centro delle polemiche anche una foto, che la ritrae a un convegno sulla mafia organizzato da Forza Nuova. Nonostante le giustificazioni della Alfano, figlia di Beppe, giornalista ucciso dalla criminalità organizzata nel 1993, le critiche all'eurodeputata non si sono mai placate.     

Grillini, Idv e questione morale. D'altro canto, i grillini non sono certo morbidi con Italia dei Valori. Roberto Fico, 36 anni, candidato alla presidenza della Regione Campania alle ultime amministrative, è membro del Meetup degli amici di Beppe Grillo di Napoli, il più numeroso d'Italia con 4mila iscritti. A Repubblica. it dice: "Alle europee abbiamo votato per De Magistris, e la nostra stima per lui resta intatta. Ma l'Idv è un partito che, soprattutto in Campania, non ha risolto nessuna questione morale al suo interno". E a Napoli il MoVimento va avanti, "stiamo lavorando per il referendum sull'acqua pubblica. E ci presenteremo alle comunali solo se riusciremo a elaborare progetti di qualità. Non abbiamo nessun obbligo, non dobbiamo candidarci per forza. Vogliamo solo portare un valore aggiunto alla città".

Due grillini per una poltrona. In Emilia Romagna il MoVimento ha conquistato il sette per cento dei voti. Ma polemiche e divisioni scattano non appena finisce la festa. Il motivo è una poltrona da consigliere regionale. Ad essere eletto nelle due circoscrizioni di Bologna e Modena è Giuseppe Favia. Che, per legge, ne deve indicare solo una. E così per i secondi in lista, Andrea Defranceschi a Bologna e Sandra Poppi a Modena, nasce la possibilità di diventare consigliere regionale. Sandra Poppi ha più voti di preferenza, ma il politburo del MoVimento opta per Defranceschi. E tra i grillini modenesi scoppia la delusione: "Siamo come tutti gli altri partiti".

Ridurre i compensi dei consiglieri. In Piemonte i grillini hanno ottenuto due consiglieri regionali. Un'affermazione netta, costruita anche con i consensi arrivati dal movimento No Tav. E dopo le polemiche con il comitato del presidente uscente Mercedes Bresso, Davide Bono, il leader dei grillini, si è subito messo al lavoro per fornire di software gratuito i computer della Regione e per tagliare i compensi dei consiglieri regionali. Nessun rimborso, riduzione dell'indennità, cancellazione di ogni vitalizio. Una proposta di legge che "ci auguriamo venga sostenuta anche da altri", ha dichiarato Bono. Aggiungendo: "Ma, direi, che ci sono scarse probabilità che possa essere approvata".

"Beppe, te la ricordi la politica dal basso?". Insoddisfazioni e polemiche della base del moVimento sono affidate al web. Post, commenti, videolettere. In un video su YouTube: "Caro Grillo, le scelte si fanno insieme. Ricordi la politica dal basso?". Poi ancora: "Ti chiediamo democrazia, hai scelto tu i candidati, non il popolo. Così non ci stiamo". E Grillo? Continua a lanciare campagne d'opinione e proclami. Le ultime: "Merkel for president" e "Un grillo mannaro a Londra" spettacolo teatrale "sull'incredibile Italia". E tra le ultime dichiarazioni: "L'Unità d'Italia non c'è mai stata" e "Non saremo mai un partito, siamo rivoluzionari".

 

L'APOTEOSI DEL MERDA

Re Mida all’incontrario

21 giugno 2010

Se non fosse che ha sette vite come i gatti, il ducetto farebbe quasi pena. Il Re Mida che trasformava in oro qualunque cosa toccasse è diventato un Re Merda. Ha due ministri pregiudicati e cinque inquisiti o imputati (l’ultimo, Brancher, l’ha aggiunto lui per fare cifra tonda). Il coordinatore dei Servizi segreti De Gennaro l’hanno appena condannato in appello per il G8. I suoi ex capi dei servizi, Pollari e Mori, sono imputati rispettivamente per peculato e favoreggiamento alla mafia. Il suo cappellano don Gelmini va a processo per molestie sessuali. E il suo pappone di fiducia Giampi Tarantini per spaccio di coca. Il suo commissario Agcom, Innocenzi, è sotto inchiesta per i traffici anti-Annozero. Suo fratello Paolo, già pregiudicato, è di nuovo indagato per il nastro Fassino-Consorte. Sulla faccenda dovrà testimoniare obtorto collo il suo on. avv. Ghedini. Il coordinatore del suo partito, Verdini, è indagato un po’ dappertutto con la Cricca, mentre l’ex coordinatore Scajola è ancora lì che cerca chi gli ha pagato la casa.

I fuoriclasse del Partito del Fare se la passano peggio di quelli del Milan. Gianni Letta, già “uomo della Provvidenza”, sbuca da un bel po’ di inchieste imbarazzanti. San Guido Bertolaso, l’uomo che insegnava la protezione civile agli americani e fermava le catastrofi con le nude mani, è indagato per corruzione; appena apre bocca si fanno tutti il segno della croce; e ha ormai l’immagine di uno scroccone che non paga non solo i massaggi e l’affitto, ma nemmeno le bollette. Come quell’altro genio dell’ingegner Lunardi: B. lo presentò a Porta a Porta come l’homo novus della politica del fare, il fulmine di guerra che avrebbe sbloccato le grandi opere, una gallina dalle uova d’oro. Ora scopriamo che anche lui faceva e riceveva favori dalla Cricca, ma – beninteso – “come persona, non come ministro, perché sono una persona corretta” (infatti è indagato).

E Stanca? Ricordate Lucio Stanca? Il Cavaliere tenne il nome segreto per giorni e giorni, annunciò soltanto che aveva trovato un gigante del pensiero, un tecnico da paura, un cervello fuori misura che, con la sola forza del pensiero, avrebbe cablato e informatizzato l’Italia tutta, isole comprese, come ministro dell’Innovazione tecnologica (una delle tre “i”, quella dedicata a Internet, era tutta sua). Quando poi si seppe che era Stanca, e soprattutto se ne vide la faccia lievemente più inespressiva di un termosifone spento, qualcuno timidamente domandò: “E chi cazz’è?”. La risposta fu: “L’ex presidente dell’Ibm, che diamine, mica un pirla qualsiasi!”. Roba forte. Dal 2001 al 2006 passò talmente inosservato che a volte dimenticavano di invitarlo alle riunioni, senza peraltro accorgersi della sua assenza. Nel 2008, tornato al governo, B. si scordò sia di lui sia del suo ministero: dispersi.

Fu recuperato come ad di Expo 2015, anche se è già deputato, ma ora pare che dovrà sloggiare pure di lì: dopo che Tremonti gli ha tagliato i fondi, commissariato le deleghe e asportato lo stipendio (deve accontentarsi di quello di parlamentare), la presidente Bracco gli ha inviato un’ingiunzione di sfratto per scarso rendimento. Un altro monumento che crolla miseramente, mentre i miracoli evaporano l’uno dopo l’altro. Quello della ricostruzione de L’Aquila, grazie ai pm, a Draquila e al popolo della carriole, è una tragica barzelletta: si sbriciolano anche le casette della leggendaria New Town a prova di bombardamenti, inaugurate in pompa magna sotto lo sguardo lubrico di Vespa.

Il miracolo dei rifiuti scomparsi in Campania funziona a tal punto che ora la monnezza rispunta pure a Palermo, altra capitale del buongoverno grazie al sindaco Cammarata (ora è in Sudafrica: a casa c’era troppo tanfo). Persino Minzo fatica a nasconderla. E la legge bavaglio è talmente sfigurata che non la riconoscono più nemmeno i mafiosi. Ma B. insiste: “Approviamola comunque”. Come viene viene. Ormai è un pugile suonato che mena fendenti all’aria. Se non fosse che l’altro pugile ha abbandonato il ring, rischierebbe persino di perdere la partita.

 

Mandati al fronte
e poi lasciati morire

10 giugno 2010

Carlo Calcagni, ammalato per l'uranio impoverito: neanche un euro per le cure

Il corpo del maggiore Carlo Calcagni è una discarica tossica: tungsteno, arsenico, piombo, mercurio, ferro, acciaio, alluminio, zinco, rame, carbonio. Nessuno glielo aveva detto, quando è andato in Bosnia nel 1996, che l’uranio impoverito un giorno lo avrebbe obbligato a farsi quattro punture solo per riuscire ad alzarsi la mattina. Ma quello che non gli avevano detto, soprattutto, è che per lo Stato sarebbe diventato un fantasma. Da quando ha scoperto di essere malato, nel 2002, per curarsi non ha avuto un euro. Carlo ha 42 anni e un’invalidità del 100%. Lo hanno riconosciuto la Commissione militare e il Ministero della difesa nel 2007. Causa di servizio, si chiama.

 

FOTO L'eruzione vista dalla Nasa 1
La nube di cenere è arrivata in Italia
Stop agli scali del Nord ovest
Le correnti d'alta quota spingono la nuvola vulcanica sui nostri cieli. Enac: "Fino alle 14 di domani aeroporti chiusi nel Settentrione, tranne che nel Nord est". Per ore blocchi in Spagna, Portogallo e Francia meridionale. Cancellati voli per la penisola iberica a Fiumicino, Ciampino, Linate, Malpensa, Orio al Serio, Pisa e Firenze. Sarà una domenica di passione
Passeggeri in attesa all'aeroporto di Vigo
ROMA - Sarà una domenica di passione per i voli nei cieli italiani. Questo attende il trasporto aereo stando alle previsioni del Vaac, il Centro di controllo europeo delle polveri vulcaniche per la sicurezza del volo. La nuova nube di cenere generata dall'eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajokul, dopo aver tormentato gli aeroporti della penisola iberica, è arrivata sullo spazio aereo italiano. E l'Enac ha annunciato la chiusura di tutti gli scali del Nord Italia fino alle 14 di domani, a eccezione di quelli dell'Italia nordordientale, vale a dire Venezia, Trieste e Rimini.

La parte bassa della nube, compresa fra il suolo e circa 6500 metri di quota - si legge nell'ultimo aggiornamento del bollettino Vaac - "è quella più pericolosa per il volo. Invaderà il mar Ligure e Tirreno e poi man mano il resto dell'Italia a cominciare dalla parte occidentale, mentre la parte alta della nube (compresa fra i 6500 metri e circa 11 mila metri) invaderà tutta l'Italia settentrionale ma tenderà a dirigersi sui Balcani". Entro le ore 13 la parte bassa della nube coprirà tutta l'Italia, esclusa la Sicilia e la Sardegna, ma compreso l'Adriatico, per spingersi fino alla Grecia.

 

G8, violenze alla Diaz
condannato  De Gennaro
. Letta lo convince a restare. In precedenza erano stati cindannati 44 poliziotti per i pestaggi e le violenze gratuite rubricate come abuso d'ufficio...

Un anno e 4 mesi all'ex capo della polizia. "Indusse a false testimonianze sulla ricostruzione dei fatti del G8 2001". Condannato a un anno e due mesi anche l'ex capo della Digos e attualmente vicequestore di Torino Spartaco Mortola. Insorgono i ministri dell'Interno Maroni e della Giustizia Alfano. In primo grado i due erano stati assolti "per mancanza di prove sufficienti" di M. CALANDRI e C. BONINI

La vendetta

C’è una strategia dietro le ultime mosse della maggioranza. La scelta di togliere al pentito Spatuzza il programma di protezione, l'accelerazione sulla legge bavaglio e il trattamento duro ai giornalisti che svelano gli scandali berlusconiani seguono un disegno: colpirne uno per educarne cento. Dalla censura alla ritorsione, è questa l’ultima fase del berlusconismo. Fino a pochi mesi fa il Cavaliere sembrava convinto di poter nascondere i fatti. Se una sentenza condannava Marcello Dell’Utri raccontando i suoi rapporti con i boss stragisti, nessuno spiegava in tv la notizia. Se Bertolaso e il Cavaliere venivano sorpresi sul lettino di un centro benessere, Bruno Vespa montava pronto una puntata di Porta a Porta.

Il tribunale Ue boccia il ricorso di Segrate: “Illegittimi i contributi pubblici, restituiteli”

Almeno 220 milioni di euro: è questa la cifra, interessi esclusi, che Mediaset dovrà restituire per gli “aiuti di Stato che le sono stati concessi illegittimamente” dal governo. Lo stabilisce una sentenza di primo grado della Corte di Giustizia europea, che conferma una decisione già presa dalla Commissione Ue nel 2007, contro cui Mediaset aveva fatto ricorso. Un ricorso che ieri, da Lussemburgo, è stato respinto “in toto”. Ecco i fatti: durante il passaggio al digitale terrestre, iniziato in Italia nel 2001 e che si completerà nel 2012, il secondo governo Berlusconi ha stanziato nella Finanziaria 2004 un contributo (a carico dello Stato) di 150 euro per ogni utente che avesse acquistato un apparecchio per la ricezione di segnali televisivi digitali terrestri. Lo stesso aiuto viene confermato nella Finanziaria 2005, con un importo però ridotto a 70 euro.

CI SARA' ANCORA L'ITALIA UNITA?? O MEGLIO, CHE COSA SI INDICHERA' COL TERMINE ITALIA?? L’obiettivo di fondo non è cambiato da più di vent’anni a questa parte. La Lega non ha affatto rinunciato alla ragione sociale che si trova chiaramente espressa nella denominazione dei suoi gruppi parlamentari: “Lega nord per l’Indipendenza della Padania”. D’altronde, di volta in volta, Bossi, Calderoli, Maroni vengono assecondati a pensare che sul federalismo, che sia più o meno demaniale che sia incalcolabilmente fiscale che sia, infine, improbabilmente solidale, nessuno li ostacola. Anzi, strada facendo la Lega trova nuovi, sospettabili adepti, come l’on. Enrico Letta del Partito democratico al quale qualcuno dovrebbe chiedere dove pensa di andare a finire, con la Lega, e se crede, molto mondana-mente, di ottenere un pugno di voti in più facendosi federal-leghista..

Pomigliano, Marcegaglia alla Fiom
"Il vostro no all'accordo è incredibile"

 

Pomigliano, Marcegaglia alla Fiom "Il vostro no all'accordo è incredibile"La presidente di Confindustria: "Posizione incomprensibile davanti a un'azienda che investe 700 milioni di euro, prende produzioni dalla Polonia e le riporta in Italia". Il 22 giugno il referendum tra i lavoratori sull'intesa

L'Aquila, il giorno della rabbia dei terremotati
Il corteo blocca per un'ora la A24 -
Foto - Video

 

L'Aquila, il giorno della rabbia dei terremotati Il corteo blocca per un'ora la A24 -  Foto  -  Video L'annuncio del governo sulla proroga fiscale non rassicura la popolazione. Diecimila persone in piazza senza bandiere politiche. Il sindaco: "Non chiediamo niente, ma rivendichiamo i nostri diritti" VIDEOREPORTAGE di G. FERRANTE
 

 

Giornali: crollano a candela le copie vendute dai "poteri forti"

La stampa quotidiana viaggia a tre velocità verso la ripresa. Ci sono i soliti giornali che, nonostante tutto, aumentano le diffusioni come "Avvenire" a quota 106.520 (su dell'1%) e "l'Unità" con le sue 52.621 copie ( 5%), secondo le rilevazioni Ads sul periodo marzo 2009-febbraio 2010 rispetto a quello marzo 2008-febbraio 2009.

Ci sono poi i grandi quotidiani con decrementi ancora a doppia cifra, come "il Corriere della Sera" giù del 14,7% attestandosi sulle 519.099 copie, "Repubblica" giù dell'11% a 473.788 copie e "il Sole 24 Ore" a -15,3% con 281.194 copie, alle prese col lancio del suo nuovo sito e soprattutto con il tavolo tra editori e sindacati per la verifica della fattibilità delle nuove assunzioni volute dal direttore Gianni Riotta durante lo stato di crisi.

E infine restano sul campo quei giornali che contengono le perdite ma si fermano su quote psicologiche di diffusioni: "il Messaggero", per esempio, scende dalle precedenti 210.273 copie sul crinale delle 200.646, in calo del 4,6%, "il Secolo XIX" si arrocca sulle 90.466 (-11,3%).

In calo anche il quotidiano gratuito E Polis (-3,5% con 463.238 copie), per il quale l'omonimo gruppo starebbe trattando la cessione delle due testate sarde (il Sardegna, diviso in due edizioni per il nord e il sud dell'isola) a una cordata di imprenditori guidati dall'ex editore del giornale Nichi Grauso e di cui farebbe parte anche Renato Soru, editore dell'"Unità".

Sul tavolo l'offerta degli acquirenti oscillerebbe tra i 10 e i 12 milioni. Nel frattempo, E Polis aspetta ancora l'omologa per la ristrutturazione del debito (a cui dovrebbe aderire l'Agenzia delle entrate), ma allo studio ci sarebbe già un piano di riorganizzazione, una volta ricevuto l'ok dal tribunale di Cagliari.

Già prima dell'estate, la redazione centrale si dovrebbe spostare a Roma. In attesa degli esiti delle trattative, anche l'Unità di Concita De Gregorio che non ha ancora lanciato la sua edizione sarda, così come annunciato. Tra gli altri quotidiani, "il Giornale" lima le perdite a -1,5% (con 185.873 copie), mentre "Libero" cala del 7,4% (112.944). "La Stampa" di Torino è a -4,1%. Sul versante sportivo, "la Gazzetta dello Sport" incassa un -7,8% (338.281 copie).

Segno positivo invece per i settimanali "A" ( 4,4%, 206.896 copie), "Gioia" ( 2%, 199.611), "Grazia" ( 7,8%, 226.081) e "Vero" ( 4%, 325.583). Panorama porta a casa un -5,5%, "l'Espresso" un -6,5%. Meno bene invece per "il Mondo" (-22,4%, 54.140 copie), "Visto" (-10,8%, 186.350 copie) e per "Diva e Donna" (-15,6%, 182.375 copie). Sempre in casa Cairo editore, ma tra i mensili, "Bell'Europa" è a -28,6% (34.257) e "Bell'Italia" a -8,6% (62.248). Giù anche "Traveller" di Condè Nast, fresco di restyling (-16,5%, 63.201), "Focus" arretra del 12,2% (501.221) e in casa gruppo Espresso calano sia "Velvet" (giù del 26,7%, 103.643 copie) sia Repubblica "XL" (-27%, 83.626
 

Il peso della crisi sui giovani  "Bamboccioni" triplicati dall'83

Il peso della crisi sui giovani
"Bamboccioni" triplicati dall'83

Rapporto Istat: il nostro Paese porterà a lungo segni del disastro economico degli ultimi due anni. E a pagare sarà soprattutto la fascia 15-29 anni. Oltre due milioni non lavorano, non studiano, non si formano. I padri aiutati dalla cassa integrazione. Giovannini: "Forti rischi di instabilità" di ROSARIA AMATO
 

 

IL GIORNALE DI TESTA D'ASFALTO ACCUSA IL SIGNORAGGIO BANCARIO

Abbiamo ricominciato a tremare per le banche. Abbiamo ricominciato a tremare addirittura per gli Stati, a rischio di fallimento attraverso i debiti delle banche. Si è alzata anche, in questi frangenti, la voce di Mario Draghi con il suo memento ai governanti: attenzione al debito pubblico e a quello privato; dovete a tutti i costi farli diminuire. Giusto. Ma l’unico modo efficace per farli diminuire è finalmente riappropriarsene. Non è forse giunta l’ora, dopo tutto quanto abbiamo dovuto soffrire a causa delle incredibili malversazioni dei banchieri, di sottrarci al loro macroscopico potere? Per prima cosa informando con correttezza i cittadini di ciò che in grande maggioranza non sanno, ossia che non sono gli Stati i padroni del denaro che viene messo in circolazione in quanto hanno delegato pochi privati, azionisti delle banche centrali, a crearlo. Sì, sembra perfino grottesca una cosa simile; uno scherzo surreale del quale ridere; ma è realtà. C’è stato un momento in cui alcuni ricchissimi banchieri hanno convinto gli Stati a cedere loro il diritto di fabbricare la moneta per poi prestargliela con tanto di interesse. È così che si è formato il debito pubblico: sono i soldi che ogni cittadino deve alla banca centrale del suo paese per ogni moneta che adopera. La Banca d’Italia non è per nulla la «Banca d’Italia», ossia la nostra, degli italiani, ma una banca privata, così come le altre Banche centrali inclusa quella Europea, che sono proprietà di grandi istituti di credito, pur traendo volutamente i popoli in inganno fregiandosi del nome dello Stato per il quale fabbricano il denaro. Ha cominciato la Federal Reserve (che si chiama così ma che non ha nulla di «federale»), banca centrale americana, i cui azionisti sono alcune delle più famose banche del mondo quali la Rothschild Bank di Londra, la Warburg Bank di Berlino, la Goldman Sachs di New York e poche altre. Queste a loro volta sono anche azioniste di molte delle Banche centrali degli Stati europei e queste infine, con il sistema delle scatole cinesi, sono proprietarie della Banca centrale europea. Insomma il patrimonio finanziario del mondo è nelle mani di pochissimi privati ai quali è stato conferito per legge un potere sovranazionale, cosa di per sé illegittima negli Stati democratici ove la Costituzione afferma, come in quella italiana, che la sovranità appartiene al popolo.
Niente è segreto di quanto detto finora, anzi: è sufficiente cercare le voci adatte in internet per ottenere senza difficoltà le informazioni fondamentali sulla fabbricazione bancaria delle monete, sul cosiddetto «signoraggio», ossia sull’interesse che gli Stati pagano per avere «in prestito» dalle banche il denaro che adoperiamo e sulla sua assurda conseguenza: l’accumulo sempre crescente del debito pubblico dei singoli Stati. Anche la bibliografia è abbastanza nutrita e sono facilmente reperibili sia le traduzioni in italiano che i volumi specialistici di nostri autori. Tuttavia queste informazioni non circolano e sembra quasi che si sia formata, senza uno specifico divieto, una specie di congiura del silenzio. È vero che le decisioni dei banchieri hanno per statuto diritto alla segretezza; ma sappiamo bene quale forza pubblicitaria di diffusione la segretezza aggiunga alle notizie. Probabilmente si tratta del timore per le terribili rappresaglie cui sono andati incontro in America quegli eroici politici che hanno tentato di far saltare l’accordo con le banche e di cui si parla come dei «caduti» per la moneta. Abraham Lincoln, John F. Kennedy, Robert Kennedy sono stati uccisi, infatti (questo collegamento causale naturalmente è senza prove) subito dopo aver firmato la legge che autorizzava lo Stato a produrre il dollaro in proprio. Oggi, però, è indispensabile che i popoli guardino con determinazione e consapevolezza alla realtà del debito pubblico nelle sue vere cause in modo da indurre i governanti a riappropriarsi della sovranità monetaria prima che esso diventi inestinguibile. È questo il momento. Proprio perché i banchieri ci avvertono che il debito pubblico è troppo alto e deve rientrare, ma non è possibile farlo senza aumentare ancora le tasse oppure eliminare alcune delle più preziose garanzie sociali; proprio perché le banche hanno ricominciato a fallire (anche se in realtà non avevano affatto smesso) e ci portano al disastro; proprio perché è evidente che il sistema, così dichiaratamente patologico, è giunto alle sue estreme conseguenze, dobbiamo mettervi fine. In Italia non sarà difficile convincerne i governanti, visto che più volte è apparso chiaramente che la loro insofferenza per la situazione è quasi pari alla nostra.

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La crisi che non esisteva ed era un'invenzione dei giornalisti e le colpe degli italiani che non comprano più automobili e lavatrici per far girare l'economia e che noi non siamo la Grecia e neppure la Spagna e l'intervento del presidente del Consiglio con la sua telefonata nel cuore della notte che è stato risolutivo per salvare l'euro e i PIGS che sono sempre gli altri e l'ottimismo della volontà che fa crescere il PIL e i conti dello Stato che sono in ordine e il debito pubblico che è più basso degli altri Paesi e Tremorti che è un genio della finanza e ha inventato lo Scudo Fiscale che ha sanato i capitali degli evasori all'estero e le Grandi Opere da decine di miliardi di euro senza copertura economica e il partito dei pessimisti che diffondono menzogne e gli italiani che si devono rimboccare le maniche e mettersi a lavorare e le missioni di pace che costano miliardi di euro. E ora, che la crisi è arrivata e non si può più negare, ecco le palle di giornata. Non ci sarà "macelleria sociale" (forse nel senso che non ci saranno pestaggi stile Diaz e Bolzaneto: le macellerie messicane) e che "non metteremo le mani nelle tasche degli italiani". Ecco, ma allora, i 28 miliardi di euro se non li prende mettendoci le mani in tasca, dove le metterà le mani? Nel dubbio non chinatevi a raccogliere le margherite.Il MoVimento 5 Stelle mantiene le promesse e ha presentato un ricorso per mandare a casa Formigoni. I nostri avvocati hanno verificato che Formigoni in Lombardia e Errani in Emilia Romagna sono ancora ineleggibili nonostante il decreto del Parlamento del 15 aprile scorso. Il duo Pdl-Pdmenoelle ha superato i due mandati consecutivi. Formigoni e Errani non potevano essere eletti. La legge è chiarissima, articolo 2, comma f: "previsione della non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto, sulla base della normativa regionale adottata in materia". Il presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida lo ha confermato in una intervista. Nelle prossime settimane ci sarà un'udienza al Tribunale di Milano per discutere sulla eleggibilità di Formigoni. Il blog la seguirà. Il silenzio di TUTTI i partiti sulla ennesima violazione della legge e l'indifferenza verso gli elettori è la prova che le elezioni per loro sono solo una spartizione di seggi e di rimborsi elettorali.

"Il 20 maggio 2010 il MoVimento 5 Stelle ha presentato ricorso contro Roberto Formigoni.
Il ricorso è stato depositato presso il Tribunale di Milano, sezione civile, e richiede la decadenza della nomina a Presidente della Regione Lombardia di Roberto Formigoni in quanto eletto per la quarta volta consecutiva in aperta violazione della
legge 165/2004 che prevede l’ineleggibilità per chi ha già svolto due mandati elettorali. Dopo le elezioni hanno provato a varare una legge interpretativa, l’ennesima legge interpretativa, per aggiungere che la sua efficacia non è retroattiva.

Hanno inserito un emendamento nella legge di conversione del decreto salvaliste, ma è stato bocciato dal Parlamento, un moto di orgoglio, un senso di vergogna forse, no semplici giochi politici all’interno della maggioranza. Successivamente, il 15 aprile, è stata approvata la legge di conversione del decreto legge salva liste senza quell’emendamento, pertanto non esiste alcun provvedimento che possa salvare Formigoni ed Errani.
Si, perché anche Vasco Errani in Emilia Romagna è ineleggibile per le stesse motivazioni,  e per questo motivo il PD è stato in silenzio, ha dormito in tutta questa campagna elettorale.La legge è chiara: è ineleggibile chi ha svolto due mandati elettorali, e quindi immediatamente applicabile.
A chi obietta che per applicare quella norma la Regione avrebbe dovuto promulgare la propria legge elettorale regionale recependola, noi rispondiamo che c’è un palese conflitto di interessi (ormai normalità in questo paese), il Presidente della Giunta che dovrebbe promulgare questa legge è lo stesso che da questa legge subirebbe la dichiarazione di ineleggibilità.
Paradossalmente, ma forse non troppo, se questa legge non venisse mai promulgata in Regione Lombardia, Formigoni potrebbe ricandidarsi a vita, eludendo volutamente una precisa prescrizione statale.
Il Tribunale di Milano fisserà un’udienza e a quell’udienza ci saremo tutti a ricordare che Formigoni che sta occupando illegittimamente il posto di Presidente della Regione.
A breve presenteremo lo stesso ricorso anche in Emilia Romagna. Loro non molleranno mai, noi nemmeno." Vito Crimi, MoVimento 5 Stelle - Lombardia E' uno di quei giorni in cui ti svegli e ti sembra di vivere in una dittatura. E' un'impressione, ma ti disturba. Sarà anche falsa, ma sembra vera come la visione di un ometto che tiene per le palle una nazione insieme ai suoi compari che ha piazzato un po' dovunque e che può ricattare quando vuole con le buone o con le cattive. Anche questa è una sensazione, ma persistente di cui non ti liberi quando rifletti su un'opposizione ridotta a una puttana che non sa neppure il significato della parola resistere. Una che la dà gratis, come le ragazzine un tempo a Porta Romana. Gode nel cedere, opporsi è contro la sua natura. E questo ti turba molto quando guardi Enrico Letta, il nipote di suo zio, che conciona in televisione o il relitto umano Uòlter Veltroni che mendica interviste sui quotidiani (e purtroppo le ottiene) per emettere il ruggito del topo (di Topo Gigio per l'esattezza). Passi le ore in preda a una visione d'altri tempi, del ventennio fascista per essere precisi, che, per quanto ti sforzi, non ti abbandona. Un popolo senza diritti, neppure di votare il suo candidato, di veder discussa in Parlamento una legge popolare come "Parlamento Pulito", di poter votare un referendum come quello sull''informazione libera respinto da Carnevale, l'ammazza processi. E' un giorno un po' così, il problema è che tutto ricomincia il giorno successivo. E allora decidi di riprenderti le 350.000 firme che hai lasciato negli scantinati del Senato. Ed è quello che farò. Quelle firme non meritano di essere abbandonate ai capricci di uno Schifani qualunque. Un uomo troppo impegnato ad assistere a nostre spese alla finale Inter- Bayern per poter discutere una legge di iniziativa popolare. Quelle firme di persone per bene che si sono rotte i coglioni di questa classe politica non possono essere lasciate marcire nei sotterranei di Palazzo Madama. E più ci pensi, più ti incazzi. Gli scatoloni sono lì, fermi dal dicembre del 2007, giorno in cui li consegnai a Marini. Quasi trenta mesi. Oggi quelle richieste sembrano innocenti, la votazione diretta, massimo di due mandati, nessun condannato in via definitiva in Parlamento. Sono passati due anni e mezzo ed è sempre uno di quei giorni che i politici se ne sbattono dei cittadini. E ascolti parole inaudite che sembrano venire dall'oltretomba della democrazia. Non proprio parole, ma stronzate, insulti alla ragione, alla decenza, che non possono essere vere: "L'Europa ha vissuto al di sopra dei propri mezzi", pronunciate da chi è vissuto al di sopra dei nostri mezzi e della nostra pazienza per vent'anni. E' tutto irreale, ma sembra autentico, vero, tangibile. L'Italia dorme, forse sogna un'anima che ha perduto. Verrà l'economia e avrà i suoi occhi.

All'indomani del rimando alle camere della legge SULL'ARBITRATO il governo cambia lo Statuto del lavoratori
Insorgono il Pd e la Cgil, altolà di Cisl e Uil

Ddl delega in pochi giorni. Alcuni militanti della Uil hanno fsichiato il ministro Brunetta per un suo riferimento ai fannulloni nella pubblica amministrazionedi ROBERTO MANIA 

Il governo cambia lo Statuto del lavoratori  Insorgono il Pd e la Cgil, altolà di Cisl e Uil

ROMA - Cambiare lo Statuto dei lavoratori. Esattamente dopo quarant'anni dall'entrata in vigore della legge sui diritti di chi lavora, il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, ha voluto confermare che il governo intende mettere mano a quelle norme. E che lo farà in tempi rapidi: nei prossimi giorni arriverà il Piano triennale per il lavoro al quale seguirà un disegno di legge delega sullo "Statuto dei lavori". Un vecchio progetto di Sacconi articolato su due livelli: il riconoscimento dei diritti di tutti i lavoratori indipendentemente dalle dimensioni aziendali e dal tipo di contratto (lo Statuto attualmente si applica a poco meno della metà dei lavoratori) e un sistema di tutele variabili a seconda del settore di appartenenza, del territorio e della stessa impresa. "Un attacco alla Costituzione", secondo il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, convinto che lo Statuto "non sia il caro estinto" .I quarant'anni dello Statuto sono stati celebrati da Cgil, Cisl e Uil in tre distinti convegni. Segno delle divisioni di questa stagione sindacale. Eppure, al di là dei toni e degli argomenti, nessuno tra i sindacalisti ha detto di considerare quello della riforma della legge 300 del 20 maggio 1970 una priorità. Lo stesso leader della Cisl, Raffaele Bonanni, ha preso le distanze dalla tempistica prospettata da Sacconi. "Il governo - ha detto - dovrebbe occuparsi d'altro in questo momento. C'è altro da fare adesso piuttosto che aprire spaccature o creare altre difficoltà". E, in ogni caso - secondo la Cisl - le modifiche andranno prima individuate dalle parti sociali (imprese e sindacati) e poi trasferite in una legge del governo o del Parlamento.

Linea condivisa dalla Uil di Luigi Angeletti secondo il quale il vero obiettivo deve essere quello di estendere le tutele ai tanti lavoratori che oggi ne sono privi. "Di questi dobbiamo preoccuparci", ha detto Angeletti nel convegno organizzato dalla Uil a Roma al Cinema Capranica dove è stato fischiato il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta. A provocare il dissenso di una parte della platea è stato il passaggio nel quale Brunetta ha sostenuto che "c'è qualcuno che ha considerato lo Statuto come strumento per difendere i fannulloni". Fischi e brusii ai quali ha replicato il ministro: "Si vede che c'è qualche fannullone anche in sala. Ma io non mi faccio intimidire. Io sono un privilegiato perché da riformista sono qui a parlare. Altri non l'hanno potuto fare". Con chiaro riferimento, tra gli altri, a Massimo D'Antona e Marco Biagi, uccisi dai terroristi. La giornata di ieri si è così sviluppata su due piani: quella sul progetto del nuovo Statuto e quello sulle polemiche legate al passato. Rinfocolate anche dal ministro Sacconi che nel suo intervento nell'aula del Senato ha ricordato l'astensione del Partito comunista (il Pci) sullo Statuto, le durissime critiche che vennero da alcuni esponenti di quell'area, fino all'omicidio di D'Antona e il rischio che si torni a una stagione di violenza. Una connessione che ha provocato la reazione del capogruppo del Pd a Palazzo Madama, Anna Finocchiario: "Associare, come ha fatto il ministro Sacconi, il voto di astensione del Pci in Parlamento sullo Statuto alla stagione di violenze che poi condusse al terrorismo è un'indecente aberrazione".  

 

Busi: "Rinuncio a condurre il Tg1"
Santoro attacca Rai, stampa e Pd

 Busi:  "Rinuncio a condurre il Tg1"  Santoro attacca Rai, stampa  e Pd  La conduttrice lo scrive in una lettera affissa nella bacheca della redazione: "Non mi riconosco più nella testata". La decisione dopo le dure polemiche con Minzolini. Ad Annozero attacchi a Repubblica, Corriere e Stampa. Contestata maggioranza e opposizione. "Se volete che resti chiedetemelo"

 

Con Edoardo nella Torino del 1946

Vedo le due righe di notizia negli sms del “Corriere della Sera” sul telefonino e scopro, nel leggere quel brevissimo flash (“È morto nella clinica di Genova Villa Scassi il poeta e scrittore Edoardo Sanguineti. L’intellettuale aveva 79 anni”) un senso disturbante di irrealtà. A un certo punto della vita capita spesso (esito a dire “sempre più spesso”) di dover ricordare con dolore e rimpianto qualcuno, qualcuna che a un certo punto hai affiancato o ti ha affiancato nella vita. Come i missili terra-aria, vai a cercare il calore di momenti, fatti, situazioni, cose dette, cose scritte, lampi di memoria. Qui è diverso. Sanguineti era il mio compagno di banco al liceo D’Azeglio a Torino. Insieme conducevamo una nostra battaglia contro il professore di greco, fresco di Salò e non in vena di pentimenti. E abbiamo dato vita a un nostro “giorno della memoria” in classe con il prof. Vigliani (letteratura italiana e CLN). Torino era stata straziata dalle leggi razziali. E quasi tutta la classe ci seguiva.



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La riforma uccide la ricerca
Gelmini: 'Gli studenti sono con me'
...si, a 500 km di distanza però....Per Bersani la Gelmini è una rompicoglioni fottuta...

È più utile per l’Italia comprare aerei da combattimento per 17 miliardi di euro o investire nell’università e nella ricerca?”. La provocazione arriva per bocca del governatore della Regione Puglia, Nichi Vendola, ma rispecchia l’interrogativo che si pongono in molti all’interno degli Atenei: a che punto delle priorità di questo governo arriva la cultura? Evidentemente è molto in basso nella lista. Di anno in anno i finanziamenti calano, non ci sono posti di lavoro, né risorse per fare ricerca, e i cervelli continuano a fuggire all’estero. La nuova riforma dell’Università procede in Parlamento e non è certo ciò che gli atenei si aspettavano. Non scontenta solo studenti e ricercatori (i primi hanno occupato ieri la maggior parte dei rettorati in tutt’Italia, da Milano, a Trieste, da Roma a Palermo, i secondi protestano oggi alle 10 davanti al Senato a Roma dove si discute la nuova legge) ma anche docenti e rettori.

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Il mio slogan è: morire prima, morire tutti. La seconda parte è incontrovertibile, la prima, ovviamente, discutibile. Già dal 1919, quando gli orrori della medicina tecnologica non avevano ancora raggiunto i livelli attuali, Max Weber scriveva: “Il presupposto generale della medicina moderna è che sia considerato positivo, unicamente come tale, il compito della conservazione della vita... Tutte le scienze danno una risposta a questa domanda: che cosa dobbiamo fare se vogliamo dominare ‘tecnicamente’ la vita? Ma se vogliamo e dobbiamo dominarla tecnicamente, e se ciò, in definitiva, abbia veramente un significato, esse lo lasciano del tutto in sospeso oppure lo presuppongono per i loro fini”.

Nella società contemporanea, dimentichi non solo di Weber ma di una sapienza millenaria, l'allungamento della vita non è solo un must ma la bandiera che sventola orgogliosamente sul più alto pennone della nave della Modernità. Bisogna sgombrare subito il campo da un voluto e non innocente equivoco diffuso dagli scienziati, dai medici e dagli storici: che in era preindustriale la vita fosse cortissima, 32 anni o poco più. Un falso ideologico. Gli uomini e le donne del Medioevo si sposavano, in media, rispettivamente a 29 e 24 anni, non avrebbero avuto neppure il tempo di tirar su i primi figli e, tantomeno, di farne a dozzine come invece accadeva. Il fatto è che si confonde la vita media, che scontava l'alta mortalità natale e perinatale (che peraltro selezionava naturalmente i più robusti) con la vita effettiva di quegli uomini.

Senza addentrarci in complesse comparazioni statistiche ricordiamo che padre Dante colloca “il mezzo del cammin di nostra vita” a 35 anni e che, duemila anni prima di lui, il biblista afferma “Settanta sono gli anni della vita dell'uomo”. Il confronto non va fatto quindi con la vita media (che è una statistica alla Trilussa) ma con l'aspettativa di vita dell'adulto. Su questo piano abbiamo effettivamente guadagnato qualcosa, perché oggi gli uomini hanno un'aspettativa di vita di 78 anni e le donne di 83. Una decina di anni in più, che non son pochi. Ma bisogna vedere come li si vive.

In prima fila ci sono gli orrori dell’“accanimento terapeutico”, per cui alla naturale paura della morte si è aggiunto un abbietto terrore che ti “salvino”, condannandoti, per anni, a un'esistenza dimidiata, umiliata, indegna di un essere umano. In fondo la morte, se rispetta i tempi naturali, è una cosa pulita, noi siamo riusciti a renderla una vicenda sporca, disumana. Poi c'è la terrificante solitudine dei vecchi e la loro perdita di ogni ruolo. In Europa solo il 3,5% degli anziani vive con i propri figli. E il vecchio, a differenza di un tempo, non è più il detentore del sapere ma, superato dalle continue innovazioni tecnologiche, ha perso questo ruolo. Come scrive lo storico Carlo Maria Cipolla “nella società agricola il vecchio è il saggio, in quella industriale un relitto”. A ciò si aggiunge quell'astrazione crudele che solo la smania codificatoria della borghesia e della Modernità poteva inventarsi: la pensione. Da un giorno all'altro tu perdi il posto, sia pur modesto, che avevi nella società e vieni sbattuto nel magazzino dei ferrivecchi.

E adesso vai a curare le gardenie, povero, vecchio e inutile stronzo. Come antipasto ci sono la prevenzione e il terrorismo diagnostico. Qualsiasi età si abbia bisogna controllarsi, palpeggiarsi, auscultarsi, fare una mezza dozzina di esami clinici l'anno. Non si può più fumare, non si può bere, bisogna stare a dieta. Dobbiamo vivere ibernati, vecchi fin da giovani.
Il greco Menandro (III secolo a.C.) vedeva lontano, molto lontano, la nostra società, quando canta: “Caro agli Dei è chi muore giovane”.
 

 

Diaz, il governo assolve gli agenti
"Hanno la nostra fiducia, resteranno"

Alfredo Mantovano, sottosegretario agli Interni, dopo la sentenza che ha condannato 25 imputati sui 27 che erano sotto processo per le violenze durante il G8 del 2001. "Questi uomini hanno e avranno la nostra piena fiducia" / Commenta

Ucciso fotografo italiano / Foto
Roghi e guerriglia a Bangkok,la Thailandia in guerra civile

Ucciso  fotografo italiano  /   Foto     Roghi e guerriglia  a Bangkok     Rep Tv Il racconto di Bultrini   Polenghi, le foto su Facebook Fabio Polenghi, 45 anni, è morto (video) nell'assalto dei militari alle camicie rosse. I leader della protesta si arrendono, ma alcuni gruppi danno fuoco alla sede di una tv, attaccano diversi centri commerciali e la Borsa
Dodici giornalisti uccisi nel 2010, Rep Tv Il racconto di Bultrini
Polenghi, le foto su Facebook , Foto Il libro-reportage inedito Il collegamento audio col nostro inviato a Bangkok. Tutti i video degli scontri in Thailandia. Le immagini del fotografo sulla sua pagina del social network,
MAPPA INTERATTIVA, Polenghi ferito

Annozero chiude per sempre il 10 giugno 2010. Altro successo di testa d'asfalto grande untore a poche ore dal passaggio in senato della legge bavaglio.
Accordo di Santoro con la Rai,buonauscita milionaria per una azienda IN PICCHIATA SENZA FONDO.

La trasmissione in onda fino a giugno. Per il conduttore, che non ha ancora dato spiegazioni ufficiali, progetti da collaboratore

Il comunicato di poche righe, a tarda sera, chiude una stagione e cala il sipario su Annozero: “La Rai ha approvato una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro dipendente con Michele Santoro”. Fine. E poi un'apertura, per un futuro diverso: un accordo da firmare - con licenza di spaziare dalla prima alla terza rete – per realizzare progetti editoriali e sperimentali (anche docufiction) nei prossimi due anni. Il consiglio di amministrazione ha votato con sette voti a favore e due astenuti, maggioranza e opposizione insieme, una proposta del direttore generale Masi che, a due mesi dall'ultima puntata di Annozero, congeda una trasmissione di successo.

La lettera di Michele Santoro

 

Berlusconi è stretto all’angolo. Potrebbe uscirne una volta di più, purtroppo, se la dabbenaggine delle opposizioni gli regaleranno anche in questa circostanza il monopolio dell’antipolitica. Ma questa volta il caimano di Arcore ne approfitterebbe non già per consolidare il suo strapotere, bensì per infliggere alla Costituzione il colpo del ko. “Antipolitica” è in realtà espressione fuorviante, coniata dagli editorialisti della Casta per infangare di aprioristico qualunquismo ogni movimento che metta radicalmente in discussione i privilegi e il malgoverno della Casta stessa. L’anatema contro la pretesa “antipolitica” fu infatti il leitmotiv con cui il giornalismo unico cercò di sbarazzarsi del milione di persone che diede vita al gigantesco “girotondo” di otto anni fa, e più di recente alla piazza san Giovanni del “Popolo viola”. Si tratta in realtà dell’anelito verso una politica nuova, che restituisca nella misura più grande possibile quote di sovranità ai cittadini, sempre più espropriati da una partitocrazia autoreferenziale.

Del resto è dal 1992, quando “Mani Pulite” scoperchiò la fogna di Tangentopoli, tra l’unanime consenso degli italiani che verso la partitocrazia erano arrivati al disgusto e al vomito, che le elezioni le vince chi riesce ad accreditarsi come paladino dell’antipolitica. Da parte di Berlusconi ovviamente si è trattato e si tratta di un’appropriazione indebita, di un gioco delle tre carte demagogico che può riuscire solo grazie alla truffa mediatica permanente del suo monopolio televisivo. Che con Berlusconi scenda in politica la società civile del “fare”, e dunque un grande imprenditore che la rappresenta al meglio poiché “si è fatto da sé”, è pura e semplice leggenda, visto che senza Craxi e senza P2 Berlusconi sarebbe ancora a Milano 2, e semmai in galera. Ma anche le leggende metropolitane funzionano, se nessuno prova a smascherarle e a proporre la versione autentica di una esigenza diffusa. E la sinistra non ci provò la prima volta nel 1994, quando preferì candidare Occhetto (ultimo segretario comunista) con la sua patetica “gioiosa macchina da guerra”, anziché un indipendente di sinistra scelto nella società civile.

Sappiamo come è andata. Bastò addirittura una forma soft, molto soft, quasi omeopatica, di “antipolitica” e di società civile (la candidatura Prodi) per vincere due volte. Ma quella forma già neghittosa, anziché segnare l’inizio di una svolta, fu subito ulteriormente annacquata da un centrosinistra di nuovo in balia della nomenklatura di apparato e della faida D’Alema, Veltroni e altri cloni. Ora Berlusconi, assediato dagli scandali dei suoi feudatari (che pretendono – come dar loro torto? – di imitarlo nel diritto all’impunità), ci riprova. Reciterà l’anticasta, ha fatto sapere che alle prossime elezioni ricandiderà al massimo una dozzina dei suoi parlamentari. Del resto sono SUOI, come i vassalli e i lacchè. Tutti gli altri a casa, e il popolo grato lo plebisciterà. Le cose andranno esattamente così, se ad andare a casa non saranno anche le nomenklature di opposizione.

Perché un’opposizione raramente, anzi mai, ha avuto in Italia una situazione più facile: le cricche di governo invise fino all’odio per le grassazioni sfacciate e sistematiche, mentre lavoratori alla fame, come disperata forma di protesta sono costretti all’autoreclusione all’Asinara o al suicidio. Basterebbe un minimo di coerenza politica e di credibilità personale dei suoi dirigenti, e il centrosinistra vincerebbe in carrozza. Ma latitano entrambe. Perciò, se non si vuole che il regime di Berlusconi passi al nuovo fascio-feudalesimo di una vera e propria “dittatura proprietaria”, resta solo la strada – statisticamente vincente – di una politica anti-Casta, nei contenuti e nei candidati. In Germania “die Linke” ha cambiato l’intero gruppo dirigente in una sola giornata di congresso.

Qui da noi, il dramma dei democratici, intesi come cittadini, è la palude irredimibile e la paralisi definitiva dei democratici intesi come nomenklatura del Pd. Non basta un “Papa straniero”, ormai, come pure autorevolmente suggerito, vanno pensionati anche tutti i vescovi. Se la base del Pd non è in grado di compiere l’operazione, bisognerà che la “antipolitica democratica” cominci a ragionare su come dotarsi direttamente e in prima persona degli strumenti elettorali per evitare il baratro. Ormai sta diventando una questione di pura e semplice responsabilità verso la Repubblica, la sua Costituzione, la Resistenza che l’ha fatta nascere.

 

Sequestrato il megayacht di Briatore

Il megayacht di Briatore batte bandiera extraeuropea

L'ipotesi di reato è contrabbando
A bordo palestra e cinema
Per averla una settimana
si spendono 245 mila euro

Il megayacht in uso a Flavio Briatore, il «Force Blue», è stato sequestrato al largo della Spezia dai finanzieri del Gruppo Genova su mandato del pm Walter Cotugno. L’ipotesi di reato è contrabbando.

La nave, battente bandiera extra Ue, era intestata ad una società di charter, ovvero col mandato di affittarla al migliore e più affidabile offerente, ma i militari hanno accertato che il «Force blue» sarebbe stato piuttosto in uso esclusivo al solo Briatore. La notizia è stata anticipata stamani dal quotidiano «Corriere Mercantile». Secondo indiscrezioni, al momento del sequestro a bordo del megayacht di 62 metri non c’era Briatore, ma la moglie Elisabetta Gregoraci, col figlioletto Falco Nathan.

Il «Force Blue», già «Big Roi», è uno yacht oceanico in acciaio costruito dai cantieri Royal Denship nel 2002 su disegno dell’architetto Tom Fexas, ridisegnato e riadattato nel 2006 in Arredamenti Porto di Genova e poi ancora nel 2007, con interni curati da Celeste dell’Anna. L’imbarcazione, che raggiunge i 62,33 metri, è larga 11,38; può ospitare dodici persone, ha cabine per 17 membri di equipaggio, e può raggiungere 17 nodi di velocità massima.

Tra i comfort offerti: una sala cinema con tv al plasma da 60 pollici, sala per incontri, sala parrucchiere, una palestra con un centro Spa (bagno turco, idromassaggio, sauna, stanza per i massaggi e bagno di fanghi). Dispone inoltre di varie altre vasche idromassaggio nelle cabine e sul ponte. Su un sito Internet viene pubblicizzato per viaggi charter al costo di 245mila euro alla settimana per viaggi nel Mediterraneo in alta stagione e 235mila euro nella bassa, oltre alle spese.

 

 

50 MILIARDI DI EURO DI TAGLI, BLOCCO PENSIONI, SPREMUTE DI SANGUE, SCANDALI A TONNELLATE, GENTE CHE SI FA SFACCIATAMENTE I CAZZACCI PROPRI E CONTINUANO A FARSELI. MA CHE FINE HA FATTO LA CAMERIERA FINI DI BERLUSCONI?? NON FA PIU' SCENATE ISTERICHE DA TROIA COL COLLARE??

PRONTA LE LEGGE BAVAGLIO(DOPO SCUDO FISCALE PER I MAFIOSI, LODI ALFANO-SCHIFANI,LEGITTIMO IMPEDIMENTO,I DECRETI MAGICI PER L'AQUILA,IL DECRETO SALVA LISTE, IL NON FALLIMENTO DI ALITALIA solo per citare...)

ROMA - Sta per cambiare la storia delle inchieste giudiziarie in Italia. Ormai è solo questione di giorni. Uno strumento fondamentale d'indagine come le intercettazioni non sarà più quello di prima. Si cambia definitivamente pagina. Il primo passo c'è stato ieri sera, al Senato, in commissione Giustizia. In una seduta notturna, e del tutto straordinaria trattandosi di lunedì quando a palazzo Madama di solito non c'è neppure l'ombra di un senatore, con un fortissimo scontro tra maggioranza e opposizione, è passata la totale riscrittura delle regole per registrare una telefonata, mettere una microspia, richiedere un tabulato. Con parole grosse volate tra il dipietrista Luigi Li Gotti e il sottosegretario alla Giustizia Ciacomo Caliendo. E con il tentativo disperato dell'opposizione di rinviare ancora un voto che ormai, dopo decine di interventi, era ormai inevitabile.

Alle 22, dopo un braccio di ferro durato per tre sedute, è stato votato l'emendamento del governo che riscrive interamente l'articolo 266 del codice di procedura penale. Quello che stabilisce cosa deve fare un pm, cosa deve fare il giudice, quanto può durare un ascolto, quali sono le condizioni per disporlo.

Il pm dovrà avere in mano "gravi indizi di reato". È così anche oggi, ma bastano solo quelli, non ci sono altri paletti. Invece, se l'aula del Senato e poi la Camera in terza lettura, dovessero confermare le nuove norme imposte dal governo, accanto ai "gravi indizi" il pm dovrà contare su "specifici atti di indagine" che provino la responsabilità dell'indagato o delle altre persone che si vogliono controllare.
Come hanno denunciato tutti i più noti magistrati, il riferimento all'articolo 192 dello stesso codice, quello che disciplina la valutazione della prova, comporterà per il pm l'onere di ottenere le pezze d'appoggio contro l'indagato ancora prima di richiedere l'intercettazione dalla quale, invece, dovrebbe venire lo stesso materiale di prova. Ma non basta. Ecco il colpo per tabulati e microspie. Per gli uni e le altre varranno le stesse regole rigide. Niente tabulati, cioè una documentazione che non certo viola la privacy come le intercettazioni pubblicate sui giornali, senza prove preventive. E niente cimici, a meno che il pm non sia certo che proprio in quel luogo non si stia commettendo o non si commetterà un reato.

A queste si aggiungono altre due zeppe: la durata "breve" e la necessità di rivolgersi non più al solo gip, che magari stava al piano di sotto nello stesso palazzo, ma al tribunale collegiale del capoluogo di distretto. Come ha denunciato l'Anm, una scelta incomprensibile e destabilizzante. Gli ascolti, che oggi possono essere prorogati finché è necessario alle indagini, non potranno superare i 75 giorni, 30 per la prima fase, poi di 15 in 15 giorni con continue richieste di conferma. Ogni volta il pm dovrà mandare le carte ai tre giudici che, per scritto, dovranno confermare il lasciapassare motivandone di loro pugno l'effettiva necessità. Una gara ad ostacoli. Che l'opposizione ha cercato di fermare. Con momenti di pesante polemica, come quando Li Gotti ha gridato a Caliendo: "Lei è davvero ignorante. Se non conosce il codice se lo vada a studiare". I due litigavano sul rapporto tra gli articoli 266 (intercettazioni) e 295 (ricerca dei latitanti) del codice. Per Li Gotti, cambiato il primo bisogna sistemare il secondo, e c'è il rischio che non si possano più disporre ascolti contro i latitanti. Il secondo la pensava all'opposto. E proprio sulla mafia, che secondo le toghe non potrà più essere investigata come prima dopo la riforma, la pd Donatella Ferranti ha chiesto conto delle dichiarazioni di Daniela Santanché a Mattino5, dove la sottosegretaria ha sostenuto che registrare i colloqui tra i boss e i loro familiari significa violarne la privacy. La Ferranti chiede al governo di "prendere le distanze". Palazzo Chigi tace.  

L'Italia è un sistema vassallatico-democratico. Tutti i deputati e i senatori sono stati nominati dai padroni dei partiti. Coloro che comandano in Parlamento, e quindi nel Paese, si contano sulle dita di una sola mano. Pdl e Pdmenoelle hanno instaurato una dittatura parlamentare.
Nessun deputato o senatore chiede la revisione immediata della legge elettorale che impedisce la nomina diretta del candidato da parte dei cittadini. Nessuno di loro si dimette dalla vergogna. Nessuna Istituzione interviene, men che meno Morfeo Napolitano. Eppure, con questa legge elettorale, nuove elezioni politiche sono inutili. Una presa per il culo e uno spreco di denaro pubblico. Non ha senso andare a votare con una legge incostituzionale (a proposito perché non si esprime la Divina Corte Costituzionale?). In caso di fine della legislatura è più semplice e corretto che Casini, Berlusconi, Bersani e gli altri si riuniscano in concilio, decidano le liste elettorali e le comunichino al popolo. Il risultato sarebbe uguale senza scomodare decine di milioni di italiani.
Siamo ritornati ai vassalli e ai servi della gleba, come nel Medio Evo. "Il vassallaggio era un rapporto di tipo personale che si instaurava nel sistema vassallatico-beneficiario. Si trattava di "contratto" privato tra due persone, il vassallo e il signore: il primo si dichiarava "homo" dell'altro, durante la cerimonia dell'"omaggio", ricevendo, in cambio della propria fedeltà e del servizio, protezione dal signore. Il sistema feudale prevedeva l'immunità, il privilegio di non subire, nei confini della signoria feudale, controlli da parte dell'autorità pubblica." Il sistema vassallatico-democratico italiano è identico, anche nel privilegio dell'immunità parlamentare. Ma forse oggi è peggio. Io ho un sospetto, pur non avendone le prove, che l'attuale "contratto" tra vassallo e "homo" per rivestire una carica parlamentare possa essere economico. Un milione di euro o una cifra importante in cambio di un posto assicurato in Parlamento. Non sarebbe strano, né improbabile. Chi dispone dei seggi li può vendere o mettere all'asta. Il seggio è un bene tangibile, centinaia di migliaia di euro all'anno, pensione assicurata, visibilità, benefit di ogni tipo. E' il miglior investimento possibile, meglio dei fondi o dei titoli di Stato. Molti sarebbero disponibili a pagare.
 

Bolzano al centrosinistra, débacle del Pdl
Trentino-Alto Adige, tutti i risultati

Nel capoluogo confermato Spagnolli, scambio di accuse nel centrodestra indietro in tutta la Regione. Svp a Bressanone e Merano. Il fenomeno di una nuova lista civica a Rovereto. Fallisce la destra tedesca, buon risultato dei grillini /

 

 

LA VECCHIA ALITLIA NON FALLIVA CON UN DEBITO DA TRE MILIARDI DI EURO SCARICATI SULLO STATO DA TESTA D'ASFALTO. LA NUOVA ALITALIA DEI CAPITANI CORAGGIOSI DOPO 18 MESI HA GIA' 326 MILIONI DI EURO DI ROSSO....Anche la nuova Alitalia, come la vecchia compagnia di bandiera pubblica, continua a chiudere i suoi bilanci in rosso: 326 milioni di perdita nel 2009. Non bastano il monopolio sulle rotte più redditizie e le tattiche che, a quanto risulta al Fatto Quotidiano, usano i suoi call center per strappare ai clienti qualche decina di euro in più sui biglietti acquistati via telefono.

LE DENUNCE. Sono molte le denunce di chi, telefonando al call center Alitalia per comprare un biglietto, non si vede indicare la tariffa più economica nemmeno su esplicita richiesta. Basta andare sul sito Internet della compagnia per scoprire, però, che esistono voli più economici di quelli suggeriti dagli operatori del call center. Ecco cosa succede se, per esempio, si chiama il numero 062222 (il call center Alitalia) per prenotare la tratta Milano-Roma con partenza l’8 maggio e ritorno il giorno successivo: alla richiesta precisa del volo più economico, in qualsiasi fascia oraria ed esplicitando che va bene qualunque aeroporto, il prezzo proposto dall’operatrice è di 201 euro.
Ma basta accedere al sito per verificare che c’è una soluzione che costa quasi la metà: 133 euro, è sufficiente atterrare a Malpensa invece che a Linate. Com’è possibile? Perché il call center non indica il volo più economico? L’operatrice, messa di fronte all’evidenza, si corregge subito: "Certo, scusi. Se le va bene anche Malpensa allora sì, può partire con 133 euro". Non è un caso unico. Il Fatto Quotidiano ha telefonato al call center prenotando anche voli di sola andata, nazionali e internazionali: le offerte ricevute sono state, in cinque casi su cinque, notevolmente superiori a quanto indicato sul web per combinazioni analoghe. Lo scarto minimo è stato di 50 euro e quello massimo di 68. A volte gli operatori hanno danno per scontato che si volesse per forza atterrare in un determinato aeroporto, altre hanno deciso autonomamente che un aereo decollava troppo presto o troppo tardi per essere preso in considerazione. Altre ancora, senza particolari spiegazioni: "Davvero c’è lo stesso volo alla metà del prezzo sul sito? Si affretti". "È una grave scorrettezza", commenta Carlo Rienzi, presidente del Codacons, l’associazione che difende i diritti dei consumatori. E aggiunge: "Trattano l’utente come il turista straniero che al ristorante non è in grado di valutare i prezzi. Anche se non si configura alcuna ipotesi di reato, reputo che sia un modo assai poco etico per guadagnare più denaro".

I CALL CENTER. Esistono due tipi di call center Alitalia: uno in appalto alla società per azioni Alicos e uno interno all’azienda. In entrambi i casi i dipendenti percepiscono uno stipendio fisso, non in percentuale alle vendite portate a termine. Dunque che incentivo hanno a proporre tariffe più salate rispetto a quelle disponibili sul sito aziendale? "Ricevono istruzioni da chi dirige il call center di proporre opzioni che, pur esistendo, non sono mai le più convenienti", sostiene Rienzi. Alitalia replica al Fatto Quotidiano: "Quello che denunciate non dovrebbe succedere. A noi non risulta ma, nel caso fosse vero, la responsabilità sarebbe interamente dell’operatore". L’ufficio stampa della ex compagnia di bandiera rivendica che non c’è alcuna discriminazione economica telefonando al call center: "Abbiamo provato anche noi a fare l’esperimento confrontando i due canali d’accesso alla biglietteria. Tramite il call center è stato proposto un prezzo addirittura più basso che sul web". Anche Adoc, altra associazione di consumatori, in un comunicato ha scritto: "A seguito di centinaia di telefonate giunte all’Adoc relative a un’anomalia dei prezzi dei voli internazionali europei ed extraeuropei dell’Alitalia, che mostrava uno scostamento tra l’offerta online e quella del call center (a parità di volo, destinazione, data, orario), l’Adoc ha chiesto chiarimenti". Alitalia, sollecitata dal Fatto e dai consumatori, rassicura: "Provate ora, vedrete che i prezzi corrispondono".

 

 

Napoli, si svenò per lo stipendio
muore infermiera -
Su YouTube

Napoli, si svenò per lo stipendio muore infermiera -   Su YouTube  Mariarca Terracciano, 45 anni e due figli, aveva protestato contro i ritardi dei pagamenti facendosi togliere 150 ml di sangue al giorno. Dal 3 maggio aveva interrotto i prelievi. Tre giorni fa ha avuto un malore ed è entrata in coma

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quali sono i nostri punti di debolezza?

Soprattutto la bassa crescita. E’ come se avessimo vissuto due recessioni: tra il 2000 e il 2007 abbiamo avuto 6 punti di crescita in meno di Francia e Germania, poi abbiamo pagato la crisi internazionale più di loro e adesso le previsioni parlano di una ripresa molto più tenue da noi che altrove.

Gli impegni che abbiamo preso con la Commissione europea riguardano i rapporti tra debito, deficit e Pil. Se il Pil non cresce, però, non potremo rispettarli. E i mercati ci giudicano su questo.

Infatti: la crescita è un modo per ridurre il problema dei conti pubblici. E' la lezione che abbiamo imparato durante la recessione. Il governo italiano non ha fatto nulla per contrastare la crisi, nessuna politica discrezionale, nessun salvataggio di banche, ma i conti pubblici sono comunque peggiorati. E se ripartisse il Pil migliorerebbero, anche in questo caso senza interventi del governo. Le riforme per ottenere più crescita hanno bisogno di qualche anno prima di produrre effetti, bisogna farle subito.

Spagna e Portogallo stanno già annunciando misure straordinarie, tagli di spesa e aumenti delle tasse per riportare sotto controllo i conti pubblici. Cosa dovremmo fare noi?

Il governo dovrebbe dare un annuncio chiaro e forte che vista la congiuntura si è deciso di rinviare il federalismo fiscale, visto che rischia di aver effetti pesanti sui conti pubblici. Non è un caso che il governo continui a non dare cifre sul suo impatto. Per rassicurare gli investitori ed evitare di pagare interessi più alti sul debito pubblico per molti anni, sarebbe bene chiarire che il federalismo fiscale è rinviato, magari affidando l'annuncio allo stesso Umberto Bossi, per renderlo più credibile. Non significa cancellare il federalismo ma rinviarlo a tempi migliori. Il secondo intervento dovrebbe riguardare l'economia sommersa: contrastando il lavoro sommerso possiamo migliorare i conti pubblici e aumentare la base imponibile senza alzare le tasse, ma serve un segnale di discontinuità rispetto a quanto fatto fin qui. Lo ha ammesso anche il ministro Saccconi, nella sua audizione in aprile, che le ispezioni sui posti di lavoro si sono ridotte del 7 per cento. E nel 2009 c’è stato lo scudo fiscale.

Torniamo alla crescita. E’ credibile, come dice il governo, che il Pil dell’Italia cresca dell’1,5 per cento nel 2011 e del 2 per cento nel 2012?

Le stime del governo continuano a essere molto più ottimistiche di quelle di tutte le istituzioni internazionali. Ma non ci sono segnali di un cambio di passo. Stiamo risalendo la china molto, molto lentamente. Ieri alcuni giornali online titolavano con toni enfatici sui dati della produzione industriale di marzo come se segnalassero una crescita del 6,4 per cento sul mese precedente e non invece sul punto più basso della crisi. Ma siamo al 21 per cento in meno della produzione industriale pre-crisi.

Quindi, per rispettare gli impegni presi con l’Europa, Tremonti dovrà fare una manovra anche superiore ai 25 miliardi annunciati pochi giorni fa?

Tremonti, nella Relazione unificata economia e finanza pubblica di giovedì, ha confermato gli obiettivi sul debito pubblico previsti nella nota di aggiornamento sul piano di stabilità, pur avendo ridotto leggermente le stime di crescita e questo ha fatto sì che dovesse aumentare l’entità della manovra 2011-2012. Ed è quindi probabile che sarà necessario fare di più anche perché, visto quello che sta succedendo, l’Italia deve ridurre il debito pubblico non limitarsi a stabilizzarlo, come prevedono questi documenti, ai livelli del record storico del 1992.

Il piano europeo approvato dai ministri economici dell'area euro la convince?

L’aspetto più importante è la scelta della Banca centrale europea di garantire liquidità ai titoli di Stato dei Paesi a rischio. Il resto sono misure soprattutto di facciata. Quella della Bce è una scelta importante, giustificata dalla situazione, che scoraggia gli investitori che scommettono sul contagio, ma non risolve tutto visto che è un intervento di politica monetaria, ma la crisi è fiscale. E’ da notare, comunque, che abbiamo rischiato di far fallire questa misura prima ancora che venisse adottata, con dichiarazioni inopportune di alcuni capi di governo, tra cui purtroppo il nostro, che, presentando la scelta della Bce come una loro decisione, hanno messo in discussione l’indipendenza della Bce. E hanno rischiato di mandare tutto all’aria.

IL RUGGITO DEL SIGNORAGGIO METTE IN GINOCCHIO L'EUROPA !!!

Gli stati sovrani come creano il debito? Come si forma il debito? Perchè è impossibile restituirlo??

Le nazioni, gli stati, il debito lo creano con la bilancia dei pagamenti con l'estero, ovvero importazioni ed esportazioni, e con i costi di gestione interni della macchina stato, ovvero uffici,infrastrutture,stato sociale,scuola,sanità pubblica, ceto politico a tutti i livelli, esercito, polizia. Non finisce quì: gli stati infatti si indebitano FACENDO STAMPARE CARTA MONETA. Tutti quanti infatti sono convinti che la moneta che uno stato stampa, è di sua proprietà. NON E' COSI'. Infatti tutti gli stati fanno stampare carta moneta ALLE BANCHE CENTRALI NAZIONALI, che non sono di sua proprietà, ovvero NON SONO PUBBLICHE, MA SONO PRIVATE, sono Società per Azioni. Quindi gli stati per stampare carta moneta emettono titoli di stato alla banca centrale, OVVERO UN DEBITO VERSO LA BANCA CENTRALE, SULLA PROMESSA DI RESTITUIRE I SOLDI. Ecco quindi che dal nulla lo stato crea della carta moneta SENZA AVERE DIETRO UN CORRISPETTIVO DA DARE SE NON UNA PROMESSA: E' QUINDI UN DEBITO, UN PAGHERO'. A sua volta la banca INTASCA LA DIFFERENZA TRA IL COSTO REALE DELLA CARTA MONETA STAMPATA ED IL SUO VALORE NOMINALE, massa cartacea che poi immette sul mercato dando possibilità al circuito bancario privato nazionale di duplicare ,quasi all'infinito, lo stesso sistema di creazione dal nulla di danaro attraverso l'elargizione di prestiti, COME MUTUI, CREDITO AL CONSUMO, CARTE DI CREDITO, FONDI DI INVESTIMENTO, IL TUTTO FONDATO SEMPRE SULLA PROMESSA DI UNA FUTURA RESTITUZIONE DI DANARO. La differenza tra il valore nominale ed il valore intrinseco si chiama SIGNORAGGIO BANCARIO, la duplicazione dal nulla del danaro basato sul pagherò si chiama MECCANICA DELLA MONETA MODERNA (MODERN MONEY MECHANICS). Lo stesso identico sistema si crea a livello CONTINENTALE: ovvero uno stato sovrano SI INDEBITA PRESSO LA BANCA CENTRALE EUROPEA attraverso TITOLI DI STATO SOVRANI che non sono altro che la promessa di restituire il debito contratto verso la Banca Centrale Europea. C'è una differenza: mentre all'interno, lo stato sovrano teoricamente può far stampare a piacimento carta moneta sollecitando inflazione, all'esterno non lo può fare perchè la Centrale Europea sostanzialmente elargisce carta moneta in relazione al CREDITO DELLO STATO SOVRANO, ovvero in relazione alla sua capacità ipotetica di restituire i soldi basandosi su  parametri APRIORISTICI ( il così detto rapporto DEFICIT-PIL). Perchè quindi i grossi calibri europei cercano di salvare IL DEBITO GRECO?? Perchè si tratta di un loro credito: infatti ogni stato sovrano HA UNA QUOTA DI PERTINENZA ENTRO LA CENTRALE EUROPEA RAPPRESENTATA DALLA PROPRIA BANCA CENTRALE NAZIONALE che quindi perderebbe per sempre dei soldi.

Gli stati dell’Eurogruppo, cioè dei Paesi dell’euro, daranno 80 miliardi di euro alla Grecia in 3 anni sotto forma di un prestito.( I restanti 55 miliardi arriveranno dal Fondo Monetario Internazionale, ovvero dagli USA. Teniamo presente che dall'ottobre 2008 tutti i grossi istituti monetari mondiali hanno immesso sul mercato qualcosa come 5000 miliardi di dollari per tamponare una falla prodotta dai CDO BANCARI PRIVATI di 17.000 miliardi di dollari...) Contestualmente la Banca centrale europea ha rimosso i vincoli di rating per l’uso dei titoli greci come collaterale per i prestiti che concede alle banche.(COME DESCRITTO SOPRA nel spiegare la formazione del debito di uno stato sovrano a livello continentale) Questo significa che le istituzioni finanziarie che detengono titoli di Stato ellenici possono convertirli in moneta sonante depositandoli a garanzia presso la Banca centrale ( LA CREAZIONE DAL NULLA DI DENARO FONDATA SULLA PROMESSA). Con questo meccanismo l’Italia, che sarà chiamata a contribuire con circa nove miliardi potrà iscrivere a bilancio un credito verso la Grecia, contestualmente per reperire i fondi da trasferire ad Atene dovrà aumentare il proprio debito in misura corrispondente. Il credito e il debito si elideranno ai fini dei parametri di finanza pubblica (in primis il rapporto tra deficit e Pil e quello tra debito e Pil). E quindi avremo creato nove miliardi di euro dal nulla.
Come noi, faranno tutti i partner europei: senza creare una tassa pro Grecia e senza aumentare l’indebitamento complessivamente trasferiranno denaro creato dal nulla a un Paese che ha probabilità molto basse di riuscire a ripagarlo. E’ il primo subprime di Stato della storia monetaria: a un creditore insolvente si concede un prestito con un alto tasso d’interesse utilizzando come garanzia delle cambiali (titoli di Stato) che probabilmente non riuscirà a pagare e che non saranno liquidabili sul mercato.
Questo meccanismo lo hanno inventato gli stessi governanti europei che hanno tuonato contro le banche americane, contro la speculazione ed invocano ad ogni piè sospinto regolamentazioni più rigide per la finanza mondiale. Nessuno ha avuto il coraggio di assumere una decisione politica chiara facendo affondare la Grecia con i suoi debiti fuori bilancio, oppure chiedendo a tutta Europa un sacrificio reale per salvarla. Si è preferita la via monetaria/contabile forzando al massimo il sistema monetario europeo e piegandolo a necessità per il quale non era stato progettato.
Si è preferito stampare denaro in forma indiretta attraverso l’emissione di un prestito ad Atene che può essere convertito in liquidità dagli Stati tramite le banche.
Da quando nel 1971 è stata eliminata la convertibilità della moneta in oro, agli stati e alle Banche centrali (ATTENZIONE C'E' UN ERRORE SEMANTICO: SOLO ALLE BANCHE CENTRALI NON AGLI STATI, PERCHE' LE BANCHE NON SONO PUBBLICHE !!!) è stata data la grande responsabilità di gestire la quantità di debito (controllando i tassi di interesse) e di moneta in circolazione. Gli Stati emettono titoli che possono essere convertiti in denaro presso le Banche centrali, poi incamerano le tasse dei propri cittadini, ripagano i debiti pregressi, ne emettono di nuovi e così via. Tutto il meccanismo si basa sull’equilibrio e sulla fiducia, il sistema è disegnato per consentire all’economia di utilizzare la cartamoneta con la certezza che potrà essere scambiata in qualsiasi momento per beni e servizi, perché alla base della moneta c’è la capacità degli Stati di pagare i propri debiti con i proventi derivanti dalla tassazione.
Dal 2008 in poi governi e Banche centrali hanno iniziato a utilizzare la moneta e il debito in modo improprio rispetto al progetto originario, gli Stati Uniti hanno immesso nel mercato un quantitativo di moneta doppio rispetto a quello della massima espansione economica del 2006, contestualmente hanno quasi raddoppiato il proprio debito pubblico portando il rapporto tra deficit e Pil a più dell’8 per cento. In Europa il rapporto tra debito e Pil è arrivato mediamente al 78,7 per cento e il deficit al 6,3 per cento, con una massa monetaria aumentata del 35 per cento.
Nessuna delle nazioni occidentali ha avuto il coraggio di affrontare la crisi con la serietà che meritava, si è preferito allargare i cordoni della borsa del debito e ungere le rotative della zecca piuttosto che riformare il sistema finanziario, che ci ha portati sull’orlo del collasso, e affrontare l’opinione pubblica confessando che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità per più di 15 anni. Ora attraverso un escamotage monetario/contabile si tenta di coprire la falla che si è creata nel muro di liquidità abbondante e denaro a basso costo che tiene insieme i pezzi del sistema. Ancora una volta non si prende atto della realtà ma si rimanda al futuro il problema sperando che nei prossimi tre anni il governo di Atene riporti i conti in pareggio e possa tornare a rifinanziarsi sui mercati internazionali. Tutti lo sperano, ma ormai si è costruito un gioco d’azzardo fatto di valute, debito e contabilità creativa che non è affatto certo che andrà a buon fine.

 
 

BEPPE GRILLO NON PARLA DEL PESO DEL SIGNORAGGIO, IN QUESTO MODO LA REALE FATTEZZA DEL DEBITO PLANETARIO SI TRASFORMA SOLO IN UNA MERA RESPONSABILITA' DI CRANIOLESI. SOLO IN PARTE E' VERO... OBAMA PROPONE UNA MANCETTA PER TAMPONARE DISASTRI PLANETARI SCOMPOSTI: COME DARE UN CEROTTO AD UNO SPAPPOLATO...SEMPRE OBAMA E' RESPONSABILE DI UNA RIFORMA SANITARIA DI SERIE B, INGINOCCHIANDOSI DI FRONTE ALLA POTENZA DELLE ASSICURAZIONI AMERICANE, DI UN RITIRO DALL'IRAQ CHE STA LASCIANDO UNA STRISCIA DI SANGUE INFINITA, CENTINAIA DI MORTI OGNI GIORNO, DI AVER FATTO PRESSIONE SULL'EUROPA AFFINCHE' ADOTTASSE UN PIANO DI SALVATAGGIO CHE PREVEDA L'USO SCOMPOSTO DELLE ROTATIVE PER COMPRARE DEBITI SU DEBITI....PER NON PARLARE DELLA MERDA STARS AND STRIPES IN AFGHANISTAN, OCCUPATO ORMAI DA 8 ANNI ED ASSAI LONTANO DA UNA STABILIZZAZIONE (A PROPOSTITO, 25 MORTI IL CONTRIBUTO ITALIANO....)

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Obama ha proposto una tassa di un centesimo di dollaro a barile per la sicurezza. Per disporre di fondi sufficienti a contrastare disastri come la marea nera che continua a eruttare come un vulcano sotterraneo nel Golfo del Messico. Il totale è di 118 milioni di dollari all'anno, una mancetta per le società petrolifere di fronte ai disastri ambientali. Obama vuole contrastare il petrolio con il denaro, ma i danni prodotti dall'esplosione della piattaforma BP sono inestimabili. E allora a cosa serve una tassa invece di intervenire alla radice vietando ogni pozzo petrolifero a rischio? A dare lavoro a chi interverrà a limitare i danni (nel caso migliore)? L'energia è necessaria, ma la Terra è indispensabile. La Terra non ha prezzo. Per tutto il resto c'è l'autodistruzione.

 

 

Moody's: rischio 5 paesi anche l'Italia è nella lista

Moody's: rischio 5 paesi
anche l'Italia è nella lista

L'agenzia parla di "potenziale contagio" dei rischi di debito sovrano ai sistemi bancari di Portogallo, Spagna, Irlanda, Gran Bretagna e nostro. Reazioni da Bankitalia e Tremonti: "Siamo solidi". Lettera di Merkel-Sarkozy: "Regole più rigide per l'Europa"

Grecia paralizzata dallo sciopero generale, tre morti per gli scontri in strada, uffici dati alle fiamme
Giù le Borse europee, euro ai minimi

 Grecia paralizzata  dallo sciopero generale  Giù le Borse europee,  euro ai minimi  Si sono fermati da stamattina e per 48 ore tutti i dipendenti pubblici. Un gruppo occupa l'Acropoli (foto). I timori influenzano le Borse: la moneta europea ai livelli del 2009/ BLOG di R.AMATO,Protesta ad Atene, occupata l'Acropoli.

Sulle Borse gli artigli dell'Orso
Piazza Affari crolla del 4,47%

La tesi secondo cui il pacchetto di aiuti non basterebbe a risolvere i problemi greci provoca anche un nuovo minimo per l'euro. Indici giù fino al 5,5% di Madrid e al 7,3 di Atene. A picco i titoli finanziari. Euro sotto quota 1,30 dollaridi SARA BENNEWITZ

Sulle Borse gli artigli dell'Orso Piazza Affari crolla del 4,47%

MILANO -Viene tutto giu'. Pioggia di vendite su Atene (-7%) e Madrid (-5%), mentre Milano boccheggia con -4.7%, con il CDS Italia in difficolta (vedi sotto). Euro sprofonda, avvicinandosi a quota $1.30. Il contagio ai paesi deboli dell'Europa dopo si estende dopo il salvataggio della Grecia (nessuno crede all'efficacia di lungo termine), mentre la politica e' in un angolo, sbugiardata dai mercati finanziari. La Commissione Europea ha paura al punto da aver avvertito che che investighera' sulle agenzie di rating (tutte con sede negli Stati Uniti), denuncera' Standard & Poor's, Moody's e Fitch se riscontrera' anomalie sui rating dei paesi UE, promettendo di voler creare presto agenzie di rating europee.

Sul mercato hanno iniziato a circolare rumor di un ulteriore declassamento del rating sul credito di Madrid, che hanno alimentato la paura che il contagio in area euro dalla Grecia passi alla Spagna (leggere
PIIGS: QUESTO SALVATAGGIO NON SI DOVEVA FARE).
Le agenzie Fitch Ratings e Moody's Investors Service hanno provveduto a smentire tali voci, confermando che il rating restera' quello di tripla A. Il Fondo Monetario Internazionale ha smentito stasera, definendole senza "alcun fondamento", le voci secondo le quali la Spagna si appresterebbe a chiedere massicci aiuti internazionali per far fronte a una crisi debitoria sul modello greco.

Affondano le Borse europee in chiusura spinte in basso timori che il piano da 110 miliardi di euro messo a punto dall'Ue e dal Fondo monetario internazionale non sia sufficiente per salvare la Grecia. La Borsa di Atene ha chiuso in forte perdita. L'Indice Generale segna alla fine delle contrattazioni -6,68%. Crescono i timori sulle capacita' del governo di applicare il piano di austerita', di far fronte alle reazioni sociali, e alle conseguenze di tali misure sull'economia. L'Indice e' sceso sotto la quota critica dei 1750 punti, a 1729,68. A Milano l'indice Ftse It All Share è sceso del 4,47%, il Cac 40 di Parigi ha chiuso la giornata segnando -3,64%, il Dax di Francoforte -2,6%, Londra -2,56%, Madrid -5.41%. I listini del vecchio continente hanno azzerato tutti i guadagni messi a segno da inizio anno. L'indice DJ Stoxx 600 si e' riportato infatti sui livelli toccati lo scorso 4 gennaio.

Chiusura in forte calo per Piazza Affari che ripiomba ai minimi di fine luglio 2009. Il Ftse Mib ha perso il 4,70% a 20.613 punti. Il Ftse All Share ha perso il 4,47% a 21.225 punti. A Piazza Affari Intesa cede il 7%, Unicredit il 6.5%, Fiat il 6.5%, L'Espresso il 7.2%.
 Ulteriore giro di vite sulle principali Borse europee, che bruciano 140 miliardi di capitalizzazione sui timori di un contagio della crisi greca agli altri paesi denominati Pigs (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna). A valutare l'andamento così negativo dei mercati di oggi, sembra di capire la ciambella di salvataggio da 110 miliardi di aiuti lanciata alla Grecia non sia sufficiente e che di conseguenza la crisi ellenica rischierebbe di intaccare anche le economie di tutto il Vecchio continente. Anche Wall Street ha aperto in calo, ma niente a confronto del -7,3% di Atene e ai crolli incassati da Lisbona (-4,5%) e Madrid (-5,5%). A questo proposito, il primo ministro spagnolo, José Luis Zapatero, ha respinto categoricamente l'idea di un contagio della crisi greca al resto dell'Eurozona. "Ho fiducia nella forza della solvibilità e dei conti pubblici del nostro paese e nella nostra capacità di avere una ripresa economica - ha detto Zapatero - e ho la stessa fiducia nel Portogallo. La Spagna ha un debito rispetto al Pil di 20 punti inferiore alla media europea ".

Intanto l'euro è tornato sui minimi annuali rispetto al dollaro. Oggi il movimento ribassista è stato piuttosto violento e la moneta unica è scesa da 1,3214 a 1,3024, un livello che non rivedeva più dal 28 aprile del 2009. Poi ha sfondato in basso il muro di 1,30. Il piano di salvataggio da 110 miliardi di euro, messo a punto dalla Ue e dall'Fmi, ha ricevuto una buona accoglienza solo domenica, forse perché i mercati finanziari erano chiusi. Oggi che si è ritornati alla piena operatività del mercato dei cambi - lunedì erano chiuse le piazze di Tokyo e Londra - sono ripartite le vendite sull'euro, che secondo gli esperti è destinato a scivolare ancora nelle prossime sedute. Il mercato ha compreso che l'Eurozona, per come è concepita, assomiglia a una sorta di gold standard degli anni 30, senza un fondo monetario europeo capace di intervenire sulle crisi finanziarie e con una Banca Centrale che non può stampare moneta.

Il selloff coincide con il persistente calo dell'euro, sceso sui minimi di un anno nei confronti del dollaro. Il rafforzamento del biglietto verde si fa sentire anche sui prezzi dei metalli preziosi. L'oro e l'argento, che avevano inziato bene la seduta, scivolano a quota $1169.50 e $17.955 l'oncia, rispettivamente. Le quotazioni del petrolio lasciano sul campo $2.67 a quota $83.52.

Ad affliggere gli investitori e' inoltre la paura che il debito greco abbia bisogno di essere ristrutturato anche dopo che l'Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale offriranno un pacchetto di aiuti da 110 miliardi di euro. Lazard ha specificicato che una fase di risanamento del debito non e' stata presa in consideraazione, essendo gli analisti stati chiamati in causa dalle autorita' greche per una consulenza finanziaria.

Un quadro senza tante ombre della situazione lo offrono i CDS (credit default swaps, cioe' i titoli usati dagli investitori istituzionali per proteggersi dal fallimento di aziende o eventualmente di stati). Il prezzo dei CDS spagnoli e' salito a 212 punti base da 163. Cio' significa che per assicurare $10 milioni di debito spagnolo contro il default, ogni anno servirebbero $212000, rispetto ai $163000 di lunedi'.


I CDS portoghesi sono schizzati a 366 punti base da 284, mentre i CDS irlandesi sono saliti di 36 punti base a 225. IL CDS della Repubblica Italiana e' salito alla chiusura delle borse europee sui massimi .  Gli spread sui CDS greci si sono invece ristretti leggermente, a 698 punti base, ma rimangono ancora su livelli eccezionalmente alti.

Sul mercato del debito intanto lo spread tra il rendimento del decennale greco e il bund tedesco, benchmark dell'area euro, e' salito a 600 punti base per la prima volta dal 30 aprile. Grande fuga degli investitori istituzionali sui titoli di stato USA, con i Treasuries al record assoluto di molti mesi e i rendimenti ai minimi. Fuga verso la qualità e' il tema di oggi, con la pioggia di vendite sull'azionario. Con i rinnovati timori sulla reale entità della crisi greca e su possibili problemi finanziari per la Spagna, il mercato dei titoli di Stato ha visto gli investitori aumentare nuovamente la domanda per i titoli di stato percepiti come più sicuri, come i bund tedeschi che hanno registrato prezzi in rialzo e di riflesso rendimenti in calo.

Parallelamente le nuove pressioni di vendita sui titoli percepiti a rischio hanno mandato i rendimenti in forte rialzo con un ampliamento del differenziale sui titoli tedeschi. E i Btp? I titoli italiani a 10 anni hanno mostrato maggiore stabilità anche se lo spread nei confronti dei bund, che ieri sera era calato a 94 punti base - il margine più stretto da una settimana - oggi è tornato a salire per toccare i 109 punti base.


La tempesta come detto è tornata innanzitutto sui titoli greci, con il titolo a due anni che ha visto il suo rendimento schizzare di 400 punti base a oltre il 16% mentre il paragonabile titolo tedesco, per la 'fuga verso la qualità' opposto è sceso al minimo storico dello 0,706%. Stessa musica sui decennali, con il premio che gli investitori chiedono per detenere un titolo greco che è schizzato a 715 punti base rispetto ai 575 punti dei primi scambi odierni. Ma male sono andati anche i titoli portoghesi e spagnoli con gli spread sui decennali sui bund che sono cresciuti rispettivamente a 266 punti base e a 120 punti contro i 218 e i 99 punti rispettivamente registrati a inizio giornata.

Sul'azionario Usa, dal punto di vista tecnico, il benchmark S&P 500 ha testato la media mobile di 50 giorni a quota 1171, mentre il Dow Jones Industrials accusa un calo medio a meta' giornata di circa 230-240 punti e il Nasdaq di 75-80 punti, tutti sui non lontani dai minimi intraday. Per il paniere industriale e' la peggiore seduta in tre mesi. Se non si verifica un netto rimbalzo, nell'ultima ora di contrattazioni gli indici potrebbero accelerare al ribasso.

A livello settoriale la lettera si abbatte sulle banche. Bank of America e JP Morgan lasciano sul campo oltre l'1% e Citigroup piu' del 2%. Sul Nasdaq si fanno sentire i cali del colosso Apple (-1.9%), che paga le notizie secondo cui il Dipartimento di Giustizia e la Federal Trade Commission potrebbero avviare un'
indagine antitrust contro l'azienda di Cupertino. Nel mirino ci sarebbe la decisione di bandire gli strumenti di programmazione per iPhone e iPad realizzati da terzi e studiati per la realizzazione di applicazioni su piu' piattaforme.

Mentre si segnala un incremento del
nervosismo (Indice VIX di volatilita' 9.5%), l'attenzione degli investitori e' ancora una volta rivolta alla stagione delle trimestrali, con ben 78 societa' che hanno riportato i conti questa mattina e altre 90 che lo faranno dopo il suono della campanella.

Anche se per il momento nessuno scossone e' arrivato da questo fronte, Mastercard, Merck e
Pfizer hanno registrato conti positivi, mentre Archer Daniels, azienda che si occupa di trasportare, commercializzare e conservare materie prime agricole, non ha centrato le stime. Piu' di due terzi delle societa' componenti il paniere allargato S&P 500 ha gia' riportato i risultati trimestrali e questa e' l'ultima settimana ricca di appuntamenti.



E il rafforzamento del biglietto verde ha fatto scivolare il petrolio quotato a New York nuovamente sotto quota 85 dollari al barile. Sulle quotazioni del greggio pesano inoltre i timori che siano nuovamente aumentate le scorte negli Usa: il dato sugli stock settimanali è atteso per domani.

A parte Spagna e Portogallo tra i mercati del Vecchio continente Piazza Affari si è rivelato il listino con la perfomance peggiore con l'indice Ftse Mib ha perso il 4,70%, a 20.613 punti, mentre il Ftse All Share è sceso del 4,47% a 21.225 punti. A seguire Parigi (-3,6%),  Fraconforte (-2,6%) e Londra (-2,5%).  Banche e titoli finanziari sono i valori che hanno sofferto di più con Intesa Sanpaolo (-7,2%) e Unicredit (-7,4%) in profondo rosso. Perdono quasi cinque punti percentuali anche Bpm, Mediobanca, Mediolanum, Ubi e Unipol.

Nell'industria i titoli del settore auto sono stati duramente colpiti dai dati delle immatricolazioni usciti ieri in serata: Fiat è crollata del 6,5% trascinando Exor in calo del 6,9 %, e Pirelli  -  che aveva aperto bene in attesa della trimestrale e dei dettagli sullo scorporo immobiliare  -  sul finale ha perso il 6,6%. Telecom Italia (-3,5%) ha contenuto le perdite grazie ai positivi risultati di Tim Brasil nel periodo gennaio-marzo. Seduta pesante invece per Stm (-5,1%), dopo che Chevreux ha rimosso il colosso dei chip dalla lista dei suoi titoli preferiti. Terna (meno 0,65%) resta il titolo difensivo per eccellenza, ma anche Campari (-1,3%) e Parmalat (-1,5%) si confermano i titoli meno volatili per i momenti di crisi.

 

Il viaggio di Angela Merkel Il viaggio di Angela Merkel per scaricare Atene e Lisbona. Prossima tappa:Madrid. L'INTERA EUROPA DEL SUD VERSO LA BANCAROTTA.

Tante analogie tra la crisi del default argentino (2002) e quella greca di oggi. Solo che adesso gli effetti potrebbero essere piu' deleteri. La differenza? Per Atene, c'e' l'Europa e l'euro. Il cui futuro per la prima volta e' in dubbio. Per arginare la crisi il messaggio di Bruxelles continua a essere quello di lasciare risolvere il problema Grecia all'interno della mura di casa. Ma la realta' e' molto piu' complessa. Una crisi innescata dalle decisioni dell'amministrazione greca e' poi finita per svilupparsi in tre temi portanti: la riluttanza di Atene a ingoiare la pillola dal cattivo sapore dei tagli di bilancio prescritta loro dalla Ue, l'outolook a medio termine della moneta unica e il ruolo a lungo termine che avra' l'Europa nello scenario in rapido cambiamento dell'economia mondiale.

Come ha detto bene Nouriel Roubini, il professore di economia della New York University che previde la scorsa crisi finanziaria: "Se la Grecia va a picco per la Zona Euro e' un problema, se va giu' la Spagna e' un disastro".

La differenza e' che la Grecia ha l'euro e fa parte di un blocco mai prima d'ora cosi' in crisi. Il caso dei PIIGS e' emblematico del problema che Bruxelles si trova a dover risolvere. I Paesi non sono dotati delle infrastrutture umane e fisiche necessarie per essere piu' competitivi, tuttavia e' proprio in quelle aree – investire nella costruzione di strade, universita' e capacita' personali - che la scure si abbattera'.

Cio' presenta un problema che non riguarda solo il presente, ma anche il futuro e pertanto va affrontato subito, prima che l'invecchiamento della generazione dei baby boomer non riempia troppo le mani dei governi nazionali. L'Europa rischia di accusare un netto calo della popolazione lavorativa.

MA COME USCI' L'ARGENTINA DAL DEFAULT DEL 2002??

Per uscire da una situazione di moratoria sul debito, un governo può scegliere di dare priorità alla propria reputazione di «debitore affidabile» di fronte alla comunità internazionale, oppure arroccarsi sulla difesa della sostenibilità della nuova offerta di obbligazioni.

La misura del taglio del valore delle obbligazioni in moratoria dipende da questa scelta. La ristrutturazione del debito dell’Uruguay, nel 2003, è il più limpido esempio della prima opzione: in termini nominali i tagli furono praticamente nulli, e il governo mantenne ottime relazioni con il mercato e i creditori. Nel breve periodo i problemi di liquidità vennero risolti, ma oggi il valore del debito supera il 100 per cento del Pil del Paese, e minaccia i bilanci fiscali dei prossimi anni.

L’Argentina ha deciso di imboccare l’altra strada, instaurando un precedente pericoloso e seducente per tutti i Paesi altamente indebitati. Nel caso del default argentino non c’è stato alcun negoziato con i creditori: il governo ha imposto la propria linea con una forza inaspettata. Il presidente, Néstor Kirchner, e il ministro dell’Economia, Roberto Lavagna, hanno puntato tutte le loro carte sulla mancanza di volontà/capacità da parte dei Paesi più colpiti dal default - Italia in primis - di costringere l’Argentina a più generose offerte. La volontà di rimborsare un terzo del debito in trent’anni deriva dalla scelta di massimizzare la sostenibilità delle nuove obbligazioni, a inevitabile detrimento della reputazione del Paese, per lo meno nel breve termine. Salutata in patria come «la migliore negoziazione della storia del mondo», l’uscita dal default permette al governo argentino di voltare pagina. Quindi l'Argentina stabilendo lo stato di insolvibilità abbatteva del 75% il debito in obbligazioni, svincolava il Peso dal Dollaro USA, dava vita ad una inflazione sostenuta con riflessi a breve devastanti.

DA UN CRASH AD UN ALTRO: IL MOSTRO CINESE

L'economia della Cina e' destinata a rallentare il passo e poi, con ogni probabilita', a crollare clamorosamente entro un anno. La prova la stanno offrendo i recenti cali dei mercati di materie prime e azionario di Pechino, chiari indicatori del fatto che la bolla immobiliare sta per esplodere. Anche per via dell'aumento delel riserve obbligatorie decise dalle autorita' cinesi (vedi a fondo pagina).

A lanciare l'avvertimento e' l'investitore super-gufo e super-short Marc Faber (vive e gestisce il suo fondo di investimento a Singapore e conosce i mercati asiatici come le sue tasche) il quale, intervistato da Bloomberg TV, ha sottolineato come quello che "il mercato ci sta dicendo non e' molto confortante. L'economia cinese rallentera' a prescindere da altri fattori. E' probabile che avremo persino un crash in Cina, nei prossimi nove-dodici mesi".
L'investitore e autore del
Gloom, Boom & Doom Report (uno degli short piu' famosi e accaniti di Wall Street, come dimostrano le allegre immagini sul suo sito...) ha elencato a Bloomberg TV gli elementi a supporto della sua tesi: i titoli delle societa' australiane esportatrici di risorse, la Borsa di Shanghai e le commodity industriali stanno tutte uscendo dalla bolla, e nelle ultime settimane prezzi e valori hanno ceduto pesantemente terreno.

"Inoltre l'inaugurazione dell'Expo mondiale di Shanghai la settimana scorsa non e' un segnale particolarmente buono", ha aggiunto Faber, citando vari casi in cui questi eventi di solito sono simbolici di un top gia' toccato, dopo il quale c'e' solo il declino.

Cio' e' valso anche per le Olimpiadi di Pechino nel 2008 (li' ci fu l'apex sul mercato azionario cinese) e come ben sa chi si occupa di mercati finanziari, lo stesso discorso vale ogni volta che un'azienda, un gruppo o una banca costruiscono il piu' alto o piu' bel grattacielo del momento: e' un picco massimo per molto tempo.

Piu' in concreto, la negativita' di Marc Faber si manifesta dopo che le autorita' in Cina hanno approvato un aumento delle riserve obbligatorie (RRR) misura che ha ovviamente brutti effetti sull'azionario. Nonostante cio' la decisione di Pechino per raffreddare un'economia e un mercato immobiliare surriscaldati, non e' sufficiente. Un report di JP Morgan ammette: "Il rialzo di 50 punti base delle riserve (RRR) da parte della Banca Centrale di Pechino conferma due messaggi di politica monetaria: (1) C'e' bisogno di ulteriori strette sui tassi da parte della Cina; (2) Il "passo" di queste strette sara' moderato, anche perche' Pechino vuole dimostrare di non avere fretta".


 

Ceneri, gli effetti sul clima? Ceneri, gli effetti sul clima? Un probabile abbassamento delle temperature

Qui Rèykjavik, parla un italiano Qui Rèykjavik, parla un italiano.

BERSANI: LO ZOMBIE!!!

Giovedì, ad Annozero, sono accadute cose che sarebbero normali in un Paese normale, ma in Italia rasentano lo stupefacente. Pier Luigi Bersani – diversamente dal suo mèntore baffuto e dal cavalier Berlusconi – ha accettato di misurarsi senza rete di protezione con cinque giornalisti di vari orientamenti che gli rivolgevano domande e gli muovevano contestazioni anche aspre. Ha fatto buon viso, ha sorriso, s’è infervorato, s’è incazzato, ha risposto per le rime, a tratti è parso addirittura a un passo dal commuoversi. Insomma, a contatto con alcuni esseri viventi, ha ripreso vita proprio quando lo stavamo perdendo.

Lo stato pre-comatoso di partenza non è colpa sua: provate voi a frequentare tutti i santi giorni luoghi sepolcrali come quelli del Pd, antri spettrali popolati di salme e anime morte, ossari e fossili, in cui si aggirano raminghi i D’Alema, i Veltroni, i Fioroni, i Fassino, i Marini, i Follini, i Violante, i Letta (junior), facendosi largo fra residui del cilicio della Binetti e della cicoria di Rutelli e altri giurassici relitti del passato che non passa. Scene e ambienti che intristirebbero un battaglione di clown del Circo di Mosca.

Ma poi le prime domande hanno sortito l’effetto del defibrillatore: il paziente s’è prontamente rianimato come nella serie E.R. e, dopo un istante di comprensibile disorientamento ("Dove sono?"), ha pronunciato alcune frasi tratte da un passato ormai lontano ma ancora impresse nei meandri del subconscio: "Opposizione", "Costituzione", addirittura "conflitto d’interessi". Paolo Mieli ne ha concluso che in quel momento è nato un leader. Può darsi, lo sperano in molti.

Intanto i suoi elettori non possono che aver apprezzato alcune frasi finalmente complete (prima le lasciava quasi tutte a metà), dunque chiare, comprensibili, non politichesi. Soprattutto una: "La nostra Costituzione è la più bella del mondo: al massimo va un po’ aggiornata, ma guai a chi la tocca. Per difenderla siamo pronti a chiamare a raccolta tutti quelli che ci stanno, a partire da Fini". Una svolta non da poco, visto che fino al giorno prima il responsabile Pd per le riforme, Luciano Violante, dichiarava restando serio: "Ho il dovere di credere al presidente del Consiglio e di dialogare sulle riforme". Frase che ha indotto Ficarra e Picone, a Striscia la notizia, a domandare se per caso non sia cambiato il presidente del Consiglio, visto che il Pd gli crede. E a ipotizzare che, in vista dell’incontro per le riforme, Berlusconi abbia invitato Violante a presentarsi a Palazzo Grazioli col trucco leggero e il tubino nero d’ordinanza.

Se le parole di Bersani hanno un senso – e si spera che l’abbiano, è il segretario del Pd – la "bozza Violante" per rafforzare (ancora?) i poteri del premier, porre fine al bicameralismo e saltare nel buio del federalismo va in soffitta, visto che prevede ben di più e di peggio che "qualche aggiornamento" alla "Costituzione più bella del mondo".

Così come le tragicomiche avances per l’ennesima riforma anti-magistratura affidate dal responsabile Giustizia Andrea Orlando al Foglio di Ferrara (forse sperando che non le leggesse nessuno). Vedremo se, alle parole di Bersani, seguiranno i fatti (intanto ci accontentiamo delle parole: prima non c’erano neppure quelle): è cioè la fine del "dialogo" e dei "tavoli" per le "riforme" e l’inizio di un’opposizione dura, proporzionata alla gravità della minaccia.
Chissà che, trovando una sponda energica nel Pd, il capo dello Stato non racimoli un po’ di coraggio per rispedire al mittente le leggi vergogna della banda del buco prossime venture.

Mentre un vulcano mette in discussione le nostre certezze riguardo ai cieli, un nuovo allarme arriva dal fondo degli oceani.
Secondo un rapporto dell'Institute of Electrical and Electronics Engineers (IEEE), è necessario studiare alternative al network di cavi sottomarini su cui viaggiano i dati che nutrono la società contemporanea, tra cui le transazioni finanziarie e la comunicazione via Internet.

La sicurezza di questa rete è a rischio - spiega il documento - e se qualcosa andasse storto si rischia l'apocalissi economica.
Il motivo è semplice: in quei "tubi" passa tanta roba importante. L'altra faccia della medaglia della loro enorme capacità, è quindi il fatto che costituiscono una strozzatura a rischio: a dicembre del 2008 la rottura di un cavo nel Mediterraneo bloccò ad esempio le comunicazioni tra Europa, Medio Oriente e Sud est asiatico per oltre 24 ore.

E' necessario quindi creare "dorsali di backup globali" (in pratica, una rete alternativa di trasmissione dati).
"I satelliti non sono in grado di gestire lo stesso volume di traffico - si legge - la loro capacità non è neanche paragonabile".
E il punto su cui riflettere è che il bisogno sempre maggiore di banda è soddisfatto quasi esclusivamente da cavi sottomarini.
Cresce la dipendenza dalla comunicazione e più tecnologia significa quindi anche più esposizione al rischio.

Ma cosa potrebbe succedere?
Sabotaggi umani legati a terrorismo e pirateria ma anche eventi naturali o fortuiti. E in questo caso, il pensiero corre a eruzioni vulcaniche o terremoti sottomarini.

Quali sono i punti deboli della rete, quelli in cui c'è maggiore densità di cavi?
Il rapporto cita, tra gli altri, lo Stretto di Luzon a sud di Taiwan, lo Stretto di Malacca e il Mar Rosso.
Nel gennaio 2008, un'interruzione dei cavi sottomarini ha bloccato i collegamenti tra Europa e Stati Uniti, da una parte, Egitto, India e Paesi del Golfo Persico dall'altra. Risalendo nel tempo, a dicembre 2006 un terremoto al largo delle coste meridionali di Taiwan ha rallentato il traffico telefonico e internet in buona parte dell'Asia orientale.

Le ricadute di un evento simile sarebbero anche e soprattutto economiche, di tipo traumatico.
Steve Malphrus della federal Reserve Usa ha scritto: "Quando i network di comunicazione cadono, non è che i servizi finanziari rallentino fino ad arrestarsi. Crollano".
Così, varie lobby e think tank sono già all'opera per promuovere quella che si potrebbe definire una mega opera pubblica su scala planetaria. Ci sono interessi strategici (chi controllerà la rete?) e anche tanti bei quattrini in ballo: quanto costerà una "dorsale di backup globale"?

Berlino 1945, foto inedite
per rivisitare la Storia

Berlino 1945,   foto inedite   per rivisitare la Storia Migliaia di istantanee rimaste per decenni negli archivi di una casa editrice, ritrovate e raccolte in un libro da un giornalista. Uno sguardo insolito sulla fine della guerra dal nostro corrispondente ANDREA TARQUINI

UN PASSATO CHE NON PASSA...

Bergamo, Facebook fa cadere la giunta
per il saluto romano del consigliere leghista

Il leghista Milesi aveva pubblicato immagini che lo ritraevano mentre faceva il saluto romano,
davanti a una Lombardia dipinta di nero con la scritta "Fascismo e libertà" o tra cimeli del Ventennio

GUERRA DI GENERAZIONI

VENEZIA - Tempi duri per i "bamboccioni". In momenti di crisi, stress, difficoltà economiche, i genitori non guardano in faccia a nessuno: per mandare fuori di casa i figli ultratrentenni, sono disposti a tutto. Anche a chiedere aiuto al giudice. Sono finiti i tempi degli annunci del ministro Brunetta, che invocava una legge per obbligare i figli a uscire di casa a 18 anni. E sembra addirittura passato un secolo, da quando un altro (ex) ministro, Tommaso Padoa Schioppa, cui va attribuito il copyright di "bamboccione", prometteva agevolazioni finanziarie per spingere i maggiorenni fuori di casa.

Quelle furono solo chiacchiere, che evidenziavano però un disagio vero nelle famiglie. Lo dimostra il fatto che, solo nel mese di marzo, all'Adico (Associazione difesa dei consumatori) di Mestre, si sono presentate due famiglie disperate per chiedere supporto legale contro i figli di 38 e 39 anni, che non ne vogliono sapere di lasciare mamma e papà. Ma ce di più. C'è anche il caso della "bimba" quarantenne che chiede aiuto all'Adico per difendersi dai genitori che hanno già depositato l'istanza al giudice per cacciarla di casa. Una richiesta d'assistenza legale alla rovescia, che dimostra come ormai tra genitori e figli sembra essersi ingaggiato un vero e proprio braccio di ferro legale, senza esclusione di colpi.

La quarantenne in questione è la prima a doversi difendere in tribunale dai genitori. Mamma e papà si sono appellati all'articolo 342 bis del codice civile, sull'ordine di protezione contro gli abusi familiari. Una volta la norma veniva utilizzata solo per risolvere conflitti tra coniugi, successivamente è stata usata anche per redimere conflitti tra genitori e figli adulti in presenza di episodi violenti. Infine, una successiva evoluzione interpretativa consente di ricorrere all'articolo anche per chiedere l'allontanamento dei figli adulti che non c'è verso di mandare fuori casa.

Ma si tratta di "bamboccioni" o di vittime della crisi? "Attenzione - avverte l'avvocato Andrea Campi, dell'Adico - Siamo in presenza di un fenomeno completamente nuovo determinato soprattutto della crisi economica. Il caso in questione riguarda una famiglia veneta con i genitori settantenni pensionati alle prese con una figlia che vive ancora con loro perché con un lavoro part-time non riesce a mantenersi. Nella stessa situazione ci sono migliaia di persone. In questa circostanza però la madre non ne può più. E i litigi con la figlia sono pressoché quotidiani. In un paio di occasioni sono intervenute anche le forze dell'ordine".
Simili i casi delle due famiglie che chiedono di allontanare i figli di 38 e 39 anni.

Entrambi precari che passano da un lavoretto all'altro senza riuscire a rendersi indipendenti. Il trentottenne mestrino è arrivato ai ferri corti con i due anziani genitori. "Il padre deve averlo rimproverato - ricostruisce Carlo Garofolini, presidente dell'Adico - accusandolo di essere un buono a nulla. Il clima in casa è divenuto giorno dopo giorno sempre più pesante, finché i genitori hanno deciso di rivolgersi a noi per allontanarlo di casa. Ma la loro iniziativa serve a scuotere il figlio". Analoga la situazione dell'altro "ragazzo" di 39 anni che dovrà andare in tribunale a difendersi contro i genitori che lo vogliono cacciare di casa. "Oggi è disoccupato e si è chiuso in se stesso, non reagisce più. È completamente a carico dei genitori che non sanno più che pesci pigliare. Sono storie della disperazione - conclude Garofolini - frutto della crisi economica che sta consumando".

Forse pochi se ne saranno accorti, ma la crisi della Grecia ha dato una mano alle famiglie italiane alle prese con il mutuo, almeno fino a questo momento.

Il motivo è semplice: le difficoltà di Atene (e delle banche esposte sul paese) hanno costretto la Banca centrale europea (Bce) a tenere ancora allargati i cordoni della borsa, con il risultato di schiacciare gli Euribor (i tassi interbancari ai quali sono indicizzati i prodotti a rata variabile) sui minimi storici e di allontanare nel tempo l'inizio della possibile «exit strategy».

Ai più attenti non sarà però probabilmente sfuggito il movimento che gli Euribor hanno registrato nelle ultime due giornate: il tasso a un mese è passato da 0,405% a 0,411%, quello a 3 mesi da 0,646% a 0,659%, quello a 6 mesi dallo 0,958% allo 0,967 per cento.

Un'«increspatura», come gli operatori la definiscono, che qualcuno però ha guardato con sospetto, memore di ciò che era avvenuto dopo il crack Lehman: allora il mercato interbancario si era praticamente bloccato e i tassi avevano raggiunto i massimi storici nell'età dell'euro oltre il 5%, mandando in crisi molte famiglie italiane.

Ma la situazione generale di oggi sembra essere ben diversa rispetto all'autunno 2008, per molti aspetti più tranquillizzante. «Il rischio di un congelamento dei mercati interbancari mi sembra abbastanza remoto», osserva Luca Cazzulani, strategist sul reddito fisso di UniCredit Mib. Che poi spiega: «Rispetto ad allora la liquidità presente sui mercati è enorme e sono già in atto misure che in caso di necessità la Bce può mantenere ancora a lungo».

Del resto, Francoforte non può al momento permettersi mosse di politica monetaria restrittive e lo dimostra anche l'esito dell'asta di rifinanziamento a tre mesi di due giorni fa. «Il fatto che ben 24 banche dell'Eurozona abbiano chiesto denaro a prestito a un tasso uguale o superiore all'1%, ben oltre lo 0,65% del mercato, è un segnale inequivocabile di come ci siano ancora istituti di credito che devono attingere alla Bce per rifinanziarsi», sottolinea Cazzulani.

Chi siano queste banche lo sanno soltanto all'Eurotower, ma è presumibile che si tratti di istituti di piccola taglia o addirittura di banche greche.

La sostanza però non cambia: Jean Claude Trichet e soci dovranno fare attenzione e rimandare probabilmente la prima stretta sul costo del denaro, che da un anno a questa parte resta ancorato all'1 per cento.

La schiera degli economisti che non prevedono un aumento prima della primavera 2011 si ingrossa ogni giorno e anche le attese dei mercati sull'Euribor a 3 mesi (vedi grafico a fianco) indicano una ripresa graduale, più che altro una normalizzazione: 0,80% a giugno, 1,04% a dicembre e via a salire fino all'1,72% di fine 2011. Se così fosse, le famiglie potrebbero continuare a stare tranquille ancora per un po'.

L'effetto Grecia si è fatto invece sentire sui tassi Irs, quelli in base ai quali le banche determinano il valore della rata di un mutuo fisso, ma è stato benefico. «Questi valori – spiega Stefano Pignatelli responsabile ufficio studi di Aritma I.F. – sono legati all'andamento dei tassi del bund, che in questi giorni hanno raggiunto i minimi storici proprio perché nell'incertezza gli investitori preferiscono rifugiarsi nei titoli di stato tedeschi». Chi ha intenzione di stipulare un prodotto a tasso fisso, insomma, si deve augurare che la situazione di Atene resti avvolta nella nebbia.

A patto, naturalmente, che non aumenti lo spread, cioè quel ricarico che le banche effettuano sui parametri di riferimento (Euribor e Irs, appunto). E qui rientra in gioco la Grecia, perché in caso di difficoltà qualche banca potrebbe essere costretta a ritoccare il margine sui mutui di nuova emissione, una scena già vista nel post-Lehman. I dati rilevati dal broker MutuiOnline sui prodotti disponibili in rete (si veda il grafico e l'articolo a fianco) non sembrano per il momento indicare nuovi ritocchi, semmai un miglioramento: c'è da augurarsi che le forze della concorrenza continuino a fare il proprio dovere.

"I titoli greci sono spazzatura" Atene bocciata, giù il Portogallo

"I titoli greci sono spazzatura"
Atene bocciata, giù il Portogallo

Crollano le Borse, Milano perde oltre il 3%

Il rapporto dell'agenzia Standard&Poor's affonda il debito pubblico di Atene e declassa quello di Lisbona, mentre il governo greco lancia l'allarme a Ue e Fmi: "Non siamo in grado di rivolgerci ai mercati". La differenza con i titoli tedeschi sale al massimo da 12 anni  / Speciale Rep Tv

 

IL TRACOLLO DELLA GRECIA E' QUESTIONE DI ORE,LA GERMANIA NON HA INTENZIONE DI CORRERE IN SOCCORSO DI NESSUNO SE NON PER TUTELARE LA PROPRIA SFERA DI INFLUENZA

In Grecia è corsa contro il tempo
"Servono 9 miliardi in pochi giorni"

In Grecia è  corsa contro il tempo       " Servono 9 miliardi  in pochi giorni"      Aiuti per sanare il debito ellenico, Berlino frena: "Dare i soldi troppo presto li allontanerebbe dal dovere di risanare" ma la Merkel dice: "Che vada fuori dall'euro non è un'opzione". Scioperi, tensione ad Atene dall'inviato ETTORE LIVINI Commento L'euro diventa scudo di vetro di TITO BOERI

Il Paese ellenico si è portato al secondo posto nella classifica delle nazioni a rischio default, scalzando l'Argentina. Stando alle indicazioni di CMA Datavision, il premio dei titoli greci è salito a 717,56 punti, pari ad una probabilità...

Ancora brutte notizie per la Grecia. Il Paese ellenico si è portato al secondo posto nella classifica dei Paesi a rischio default, scalzando l'Aregntina.
Stando alle indicazioni di CMA Datavision, il premio dei titoli greci è salito a 717,56 punti, pari ad una probabilità del 43,86% di default.
Prima della Grecia si colloca solo il Venezuela (43,99) mentre la seguono Argentina (42,66% e Pakistan (36,42%). Resta ampio il differenziale del rendimento dei titoli decennali della Grecia e del Bund tedesco, che sosta a 639 punti, con il rendimento dei titoli di stato greci a dieci anni al 9,43%. Ad appesantire la situazione già difficile del paese ellenico, non solo i timori per l'inadeguatezza del piano di salvataggio e quelli di un effetto contagio sugli altri paesi della zona euro ma anche la
posizione dura presa dalla Germania nei confronti del piano di aiuti. Ieri, il cancelliere tedesco Angel Merkel ha annunciato che la Germania aiuterà la Grecia solo se questa attuerà concrete misure per ridurre il proprio deficit, e che la timeline degli aiuti potrebbe essere di 3 anni.
Per suo conto, il primo ministro delle Finanze greco Georges Papaconstantinou ha affermato che la Grecia metterà in atto misure "draconiane" per risollevarsi.

Nel frattempo, si apprende che questa volta i greci non sembrano sostenere il governo del premier George Papandreou: secondo un sondaggio diffuso dalla rete televisiva Mega, al 60,9 per cento sono contrari alla decisione di chiedere l'attivazione del meccanismo di aiuto di Unione europea e Fondo monetario internaizonale. E sul coinvolgimento della sola istituzione di Washington, che evidentemente è quella più percepita come legata a politiche di bilancio restrittive a corollario degli aiuti, la quota dei contrari a chiedere assistenza sale al 70,2 per cento. L'indagine è stata effettuata dalla società Public Opinion su un campione di 1.400 cittadini, e va segnalato che è stata condotta prima che Atene chiedesse effettivamente di attivare il meccanismo di soccorso, venerdì scorso. Tuttavia segna un possibile mutamento dell'orientamento dell'opinione pubblica greca verso le scelte del governo in merito alla cruciale politica di bilancio. In precedenza infatti altri sondaggi avevano indicato che la maggioranza dei greci appoggiava l'esecutivo nei suoi duri piani di risanamento.

Grecia sotto attacco I cds a nuovi record

Un'immagine dello sciopero di ieri ad Atene contro i tagli del governo

LONDRA - Salgono ancora i credit default swap sul debito greco oggi sui mercati. Il cds che permette di assicurarsi contro un default greco per cinque anni quota stamane al rialzo a 645,7 punti, contro i 634 della chiusura di ieri a New York, secondo i dati di CMa Datavision. Si tratta di nuovi livelli record.

Lo spread di rendimento tra titoli governativi greci e tedeschi, sulla scadenza decennale, si mantiene stamattina sui valori di chiusura di ieri, ovvero attorno ai 606 punti base, ai massimi degli ultimi 12 anni. Il rendimento dei bond di Atene è così il triplo rispetto al Bund.

Le notizie di ieri sulla revisione da parte di Eurostat dei conti pubblici greci, con il rapporto deficit/Pil al 13,6% e che, secondo l'ufficio europeo di statistica, "potrebbe salire ancora", hanno ridato fiato alla speculazione e la decisione di poco successiva dell'agenzia di rating Moody's di declassare il paese ha gettato altra benzina sul fuoco. Secondo gli operatori ci sono imponenti vendite allo scoperto di titoli di Stato greci.

Ieri una lunghissima riunione del governo greco si è conclusa senza che venisse formalizzata alcuna richiesta di aiuti, né all'Unione europea, né al Fondo monetario internazionale. Secondo indiscrezioni, comunque, si starebbe preparando un presito-ponte per fronteggiare la difficile situazione.

Intanto, nell'ambito degli Spring meeting del Fondo monetario internazionale, Mario Draghi, presidente del Financial stability board, ha incontrato ieri sera il segretario del Tesoro Usa Timothy Geithner e il capo del consiglio economico della Casa Bianca Larry Summers. L'incontro aveva in agenda le riforme finanziarie alla vigilia del meeting finanziario del Gruppo dei Venti in agenda oggi durante il quale Fmi e Fsb discuteranno con i ministri dei paesi industrializzati e degli emergenti l'avanzamento delle riforme decise nel G20 di Pittsburgh e l'opportunità di varare nuove tasse sul settore bancario. Lo riferisce una fonte del G20.
Ieri sera, dopo l'incontro con Geithner e Summers, Draghi ha fatto un intervento alla cena del Gruppo dei Sette per relazionare i ministri sulla stabilità del sistema finanziario uscito da pochi mesi dalla crisi mondiale.

Il presidente dell'Fsb ha già sottolineato nei giorni scorsi che ritiene l'ipotesi di nuovi prelievi per il settore finanziario complementare con il proseguimento della riforma della regolamentazione che, per i paesi europei, significa soprattutto il completamento del rafforzamento dei requisiti di capitale secondo Basilea III, mentre negli Stati Uniti l'amministrazione Obama sta portando avanti un complesso pacchetto di interventi normativi sul settore finanziario. Tassi di interesse: la cautela tedesca nel concedere i finanziamenti alla Grecia continua a stressare i mercati. Gli spread sui periferici si sono allargati fortemente continuando a segnare nuovi massimi. Il differenziale Grecia-Germania in mattinata si è portato oltre 650 pb, quello Portogallo-Germania a 218 pb, mentre quello Spagna-Germania si è attestato intorno ai 100pb, alla stregua dell’Italia.

La Cancelliera Merkel, in un discorso sulla crisi greca, ha dichiarato che l’uscita fuori dall’Euro della Grecia non è un’opzione, ma ha aggiunto che Atene deve presentare un piano di risanamento credibile ed accettare misure pesanti per diversi anni.

La Merkel ha infine aggiunto che la Germania prenderà una decisione solo dopo che il Fmi e la Commissione europea avranno completato i colloqui con Atene. La Germania rimane combattuta tra le pressioni all’interno dell’area Euro e la necessità di non mostrarsi troppo generosa nei confronti di Atene in vista della scadenza elettorale del 9 maggio.

Gli ultimi sondaggi segnalano infatti che al momento la coalizione di governo non sarebbe in maggioranza, con una percentuale di voti pari al 46%.


Il presidente francese, Sarkozy, e della Commissione europea, Barroso, hanno fatto pressioni per un’azione rapida contro la speculazione che sta colpendo la Grecia ed altri paesi periferici.

Gli operatori però sembrano intenzionati a non cedere fino a quando non avranno una risposta concreta sul prestito, ma allo stesso tempo sembra sempre più probabile che la soluzione si avrà nei giorni compresi tra il 9 maggio (elezioni in Germania) ed il 19 maggio (quando la Grecia dovrà tornare a rifinanziarsi sui mercati in vista della scadenza di 10 Mld€ circa di bond).

Nel frattempo si accentua la pendenza negativa della curva greca, con il tasso biennale superiore di oltre il 3,5% rispetto a quello decennale.


Oggi sarà la volta dell’Olanda che effettuerà una riapertura del titolo 2012 e 2023 per un ammontare fino a 2 Mld€, in attesa domani dell’emissione del nuovo decennale tedesco fino a 6Mld€.

Negli Usa tassi di mercato sostanzialmente stabili in una giornata in cui i listini azionari sono risultati in calo soprattutto a causa del comparto finanziario. In quest’ultimo caso ha pesato soprattutto la perdita del 5% di Citigroup in seguito all’annuncio del Tesoro Usa di inizio di vendita di parte della propria quota nella banca Usa, su cui al momento presenta una plusvalenza potenziale di circa 11 Mld$. L’amministrazione Obama intende così procedere al rientro di parte dei fondi pubblici concessi a vari settori nel corso della crisi. Alcuni giorni fa General Motors aveva ad esempio annunciato il rimborso anticipato di 4,7Mld$ ricevuti dal fondo Tarp.

Sono passate pertanto in secondo piano i buoni dati trimestrali segnali da alcune grandi aziende Usa come Caterpillar ( 4,1%) e di Whirlpool ( 10%, ai massimi da circa 3 anni), che hanno battuto le stime degli analisti con riferimento ai dati trimestrali consuntivi, migliorando anche le prospettive per l’intero anno.

In particolare Caterpillar ha rivisto al rialzo le stime di crescita dell’economia mondiale e più in particolare di quelle Usa portando entrambe al 3,5% per il 2010.

Nel frattempo i senatori repubblicani hanno bloccato l’approvazione dell’inizio della discussione in Senato della riforma finanziaria proposta dall’amministrazione Obama. Sul fronte emergente, è risultato in calo l’indice della borsa brasiliana Bovespa, sull’attesa di un rialzo del tasso di riferimento da parte della banca centrale per frenare le spinte inflattive.

Valute: euro sempre in prossimità di 1,3350, in attesa di nuove notizie sul fronte della crisi greca. Nel breve l’area di supporto più importante continua ad essere 1,32. Prima resistenza a 1,3420.

Yen in apprezzamento durante la notte sulla scia delle preoccupazioni circa la vicenda greca e gli sforzi in atto in Cina per calmierare il mercato immobiliare locale. Per oggi, verso euro la resistenza più vicina oggi si colloca a 126,30, i supporti a 125 e 123,30.

Materie Prime: in calo il greggio Wti (-1,1%) a causa dell’apprezzamento del dollaro. Giornata positiva per i metalli industriali guidati dal piombo ( 2,5%). Tra i preziosi in rialzo l’argento ( 0,8%). Tra gli agricoli forte ribasso per il grano (-3,5%) sulla speculazione di condizioni meteo favorevoli al raccolto Usa.

Kiev, sulla base russa bolgia in Parlamento
Fumogeni e lanci di uova sul presidente

Dopo la ratifica del prolungamento dell'accordo per l'utilizzo da parte della Flotta russa del Mar Nero di un'area in Crimea. Folla di manifestanti in piazza. Il leader ucraino oggi a Bruxelles

'Ndrangheta, preso boss Tegano / Foto
Video L'applauso forzato del bimbo - Foto

 'Ndrangheta, preso boss Tegano /   Foto    Video L'applauso forzato del bimbo  -  Foto   Il Questore: "Gesto vergognoso". Catturato a Reggio, in fuga dal 1993, deve scontare l'ergastolo. Le urla dei parenti: "Uomo di pace". In serata sit-in di sostegno alle forze dell'ordine / Il ritratto di Tegano

Il presidente del Senato chiede 720.000 euro di risarcimento per le inchieste pubblicate dal quotidiano. La direzione risponde: "Le indagini giornalistiche proseguono, noi non ci faremo intimidire".



Il presidente del Senato, Renato Schifani, ci ha notificato ieri una citazione civile con cui domanda 720 mila euro di risarcimento per le inchieste giornalistiche che lo riguardavano da noi pubblicate. La somma richiesta è superiore al nostro capitale sociale, ma noi non ce ne lamentiamo. Schifani, al pari di qualsiasi altro cittadino, se si ritiene diffamato ha il diritto di rivolgersi al Tribunale per veder riconosciute le proprie ragioni. Anche se, dopo aver letto le 54 pagine della citazione, dobbiamo confessare la nostra sorpresa: nonostante gli sforzi non abbiamo ancora capito quali delle notizie riportate su il Fatto Quotidiano non siano vere. A questo punto chi ha ragione e chi ha torto non lo potrà che stabilire il giudice. (Leggi tutto)

20/11/2009 -
Schifani e il palazzo abitato dai boss di Marco Lillo

26/11/2009 -
"Schifani incontrava Graviano, l’uomo delle stragi e dei contatti milanesi" di Peter Gomez e Marco Lillo

27/11/2009 -
I soci di Schifani? Arrestati, condannati e confiscati di Peter Gomez e Marco Lillo

13/01/2010 -
Quando Schifani faceva l'autista di Marco Lillo

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L'unico occhio vivo, con una sua luce interna che brillava, ai funerali era quello di Sandra. Uno soltanto, l'occhio destro, perché il sinistro era fasciato. Nella chiesa "Dio Padre" di Milano 2 si è celebrata l'estrema unzione ai guitti del Potere. Nessuno è mancato all'appello. La morte di Raimondo Vianello è stata un pretesto per rivedersi, ancora una volta, tutti insieme, prima di essere tumulati dalla Storia. Morti viventi che presenziavano, inconsapevoli, alle loro esequie. Non ricordavano l'attore scomparso, ma sé stessi. E' stato il primo funerale di plastica della seconda Repubblica e anche l'ultimo. Con un cadavere confezionato come un bastoncino Findus, e la claque, gli applausi, capelli finti, zigomi da lupe di attrici improbabili, rossetti cremisi un po' spenti, tendenti al grigio per l'occasione, corone di fiori con tributi allo scomparso mischiate tra loro alla rinfusa: il presidente della Camera dei deputati, la Rai e i Ricchi e Poveri, Mortizia Moratti con la borsetta per il trucco.
Il protagonista, come gli capita sempre ai funerali degli altri, è stato lo psiconano. E quando monsignor Carlo Faccendini ha detto, in diretta su Canale 5, che era "Innaturale immaginarli separati" ha pensato che non si rivolgesse alla moglie in lacrime, ma a lui medesimo, il morto politico che cammina, e ha cercato di entrare nella bara trattenuto dalle guardie del corpo. I simboli di un'Italia cialtrona in cui abbiamo convissuto per vent'anni, complici o meno, erano tutti presenti. L'informazione impunita di imbrattacarte a pagamento, la televisione culi tette calcio, i ripetitori di Mediaset, il craxismo, la mafia in Parlamento, la massoneria imbelle e sfrontata, il Vaticano nelle nostre camere da letto, i buffoni di corte. Volti di un'Italia invecchiata e pronta per l'ultimo cammino. Il funerale di Raimondo mi ha trasmesso ottimismo, lui non c'era, altrimenti avrebbe condiviso. Le campane a martello erano per tutti. Ci sono momenti nella Storia dell'uomo che segnano uno spartiacque, una linea di confine, un prima e un dopo. La loro importanza diventa chiara con il tempo. La scoperta dell'America, la presa della Bastiglia, Stalingrado, il funerale di Vianello.
Il fiume Lambro ridotto a una fogna, specchio della Repubblica Italiana, scorreva poco lontano dalla parrocchia piena di fiori recisi il cui profumo intenso ci ricorda sempre i funerali passati. Un fiume senza vita, stuprato dal benessere di pochi. I bambini, sembra impossibile, si tuffavano un tempo nelle sue acque e i padri vi pescavano la domenica. Vicino, Milano 2 sembrava il ricordo di un passato remoto. E poi, con la bara sulle spalle, all'uscita della chiesa, scattarono gli applausi.

Pdl, rissa Fini-Berlusconi -  Video  -  Foto   Il premier: "Allora lascia la Camera"  L'ex leader di An: "Mi cacci?"  -   Video

Pdl, rissa Fini-Berlusconi -Video -Foto
Il premier: "Allora lascia la Camera"
L'ex leader di An: "Mi cacci?" - Video
Nel testo finale schiaffo al cofondatore : 170 CONTRO 12

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Le immagini della rissa verbale tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini alla direzione nazionale del Pdl e quelle del volto gonfio d'odio e di fastidio del premier fotografano bene il Viet-Nam  politico che attende il centro-destra nei prossimi mesi. Anche se il momento della rottura definitiva non è ancora arrivato, è ormai chiaro che cosa succederà. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, nelle segrete stanze del potere si andrà settimana dopo settimana alla (vera) conta. Tra sgambetti, imboscate e un'alluvione di dossier fatti circolare dai media legati al presidente del Consiglio.

Il documento finale approvato dall'assemblea con 170 voti a favore solo 12 voti contrari (astenuto Beppe Pisanu) sembra sancire un trionfo di Berlusconi su tutta la linea. Ma non è così. Fini non se ne va. Resta al suo posto, resta presidente della Camera e soprattutto può godere di un seguito in parlamento superiore - ma di quanto? - rispetto ai numeri registrati in direzione (un organismo in cui non sono presenti molti deputati e senatori considerati suoi fedeli).
Nella mozione prova di forza votata si esclude la creazioni di correnti, si stigmatizzano le "ambizioni dei singoli" e si definiscono non "comprensibili le polemiche dopo le continue vittorie del Pdl". Ma proprio qui sta il problema. 

Come molti parlamentari di centro-destra dichiarano in privato, nel Popolo della Libertà si sa benissimo che le ultime vittorie elettorali sono frutto più del caso (assenza, o quasi, di avversari) che della reale forza del partito. Dal 2008 a oggi il Pdl ha perso poco meno di quattro milioni di voti. E altri ne perderà se le annunciate presunte riforme volute da Berlusconi (dalla legge bavaglio sulle intercettazioni telefoniche, sino a quelle costituzionali) invece che passare con un blitzkreitg, peraltro impossibile quando si parla di riscrivere la carta fondamentale, causeranno nuove fibrillazioni nel Paese e nel partito.

Il sentiero nella boscaglia si preannuncia così parecchio pericoloso per il premier. Anche perché a sovrintendere il passaggio delle leggi a Montecitorio sarà ancora Fini. Che intanto continua a lavorare per creare un suo gruppo. L'ideale per lui sarebbe avere 37 deputati alla Camera, ma contando il Mpa di Lombardo ormai in rotta totale con i berlusconiani in Sicilia, per far cadere o condizionare il governo, ne potrebbero bastare solo 27. La guerra, o meglio la guerriglia, insomma è solo cominciata.  

DIRETTA. Direzione Pdl al calor bianco. Il presidente della Camera: "Criticare non è tradire". E poi: "Pdl schiacciato sul Carroccio".  Immigrazione: "Sulla dignità umana non siamo come i leghisti". Critiche sulle riforme. Il premier replica subito e lo invita a dimettersi dalla presidenza della Camera. L'altro si alza e replica. Un'ora dopo: "Non lascio né partito né Montecitorio". Poi al voto un documento che non risponde a nessuna delle questioni poste di M. TONELLI
Commenta BLOG Le truppe invisibili di Berlusconi va all'attacco e prova l'affondo, ma la direzione si trasforma in rissa mediatica

"Perché, che cosa fai? Mi cacci? Eh?". E allora Gianfranco Fini sorride ironico, fa il gesto della mano a pendolo, via-via e di nuovo: "Che fai, mi cacci?". Poi si alza in piedi, avanza verso Silvio Berlusconi, punta il dito e gli ripete la frase a un metro di distanza rovinandogli il finale del discorso. Una delle immagini che resteranno di questa giornata, assieme alle mani impotenti del premier che fanno stringi-stringi per chiedere a Verdini di mettere fine all’intervento del rivale. Insieme a quel moto di rabbia che lo porta sul palco subito dopo. Insieme alle parole a pesce, gridate senza audio dal microfono non collegato, mentre parla il suo grande nemico. Ai materassi. Alla fine del discorso di Fini c’è una stretta di mano algida, tra i due, senza guardarsi in faccia. Poi Berlusconi sale sul palco per replicare. E’ furibondo, nero, gli occhi sono due fessure, sembrano pesti. Ma al contrario di Fini non ha una scaletta pronta. Parla a braccio, e finisce il suo discorso nel battibecco: "Un presidente della Camera – grida – non deve fare dichiarazioni politiche! Se le vuoi fare devi lasciare la carica, ti accoglieremo a braccia aperte, ma ti devi dimettere!".

Leso format. Alla fine, il gesto che Berlusconi non perdona all’ex leader di An è il reato di lesa maestà. Anzi, di più: leso format. Ovvero il peggio che potesse capitare a un cultore del rito catodico come Silvio Berlusconi: allestire una coreografia studiata nei minimi dettagli, una liturgia mediatica, una scaletta precisa, e vedersela stravolta da un imprevisto. Prepararsi la scena come protagonista, sul podio dell’Auditorium di via della Conciliazione, trasformato ancora una volta in set televisivo dal fido regista Giuseppe Sciacca (un maestro, quello della Corrida e dei congressi di Forza Italia) e ritrovarsi poi, invece, nel ruolo del co-protagonista, relegato nel controcampo delle inquadrature che facevano da contrappunto al discorso di Fini, avendo dietro alle spalle una tenda nera (quella alle spalle della presidenza) invece del fondale azzurrino. Lui seduto e livido; Fini in piedi, ironico. La scaletta predisposta dalpremier era questa: prima il suo saluto, poi l’intervento di tutti i ministri anti-finiani, persino qualche sottosegretario (come Alfredo Mantovano), quindi – come aveva detto lui stesso – "la parola ai co-fondatori del partito, Fini, Rotondi, Giovanardi". Orologio alla mano Fini avrebbe parlato non prima delle 16, unica voce dissonante nel coro. E Berlusconi avrebbe concluso.

Intervento imprevisto. Ma tutto il programma salta. Dalla sera prima il presidente della Camera fa sapere che non accetterà il ruolo di comparsa. La mattina il nodo non è sciolto. Al premier arrivano diversi messaggi: "Gianfranco non ci sta". Alle 11:50 Berlusconi guarda Fini, lo vede alzarsi. Forse pensa che stia per andare via. Allora improvvisa: “Gli chiediamo se vuole prendere la parola, siamo qui ad ascoltarlo...". Fini non se lo fa dire due volte. Sale sul podio: invece di dieci minuti parlerà un’ora. Una vera e propria relazione. La prima bordata arriva subito: "Anche nella regia, oggi sembra che ci sia l’atteggiamento un po’ puerile di chi vuole nascondere la polvere sotto il tappeto!". Poi le mozioni d’orgoglio: "Sono abituato a dire quello che penso...". Quindi la prima stoccata: "Vedi, Bondi! Sono stato oggetto di trattamenti mediatici, da colleghi, mi riferisco ai giornalisti, lautamente pagati da stretti familiari del presidente del Consiglio!".

Sulla sala cala il silenzio, il discorso di Fini si impenna: "Sono stato accusato di alto tradimento, oggetto di bastonate mediatiche, roghi, ipotesi di licenziamento...". Poi il cambio di passo che taglia il fiato ai membri della direzione. Si rivolge direttamente al premier, guardandolo: "Berlusconi te lo dico in faccia: il tradimento che è certamente poco dignitoso, viene da chi alle spalle dice il contrario di ciò che dice pubblicamente, raramente il tradimento è nella coscienza di chi si assume la responsabilità di quel che pensa in privato e in pubblico...". E qui il premier sbotta. La regia lo inquadra. Si agita. Non si sente cosa dice. Quando arriva l’audio la voce è strozzata: "...Non attribuire a me cose che non ho mai dettooo!". Il palco è diventato un ring, un corpo a corpo. Formalmente Fini ribadisce la fiducia al governo, tributa al premier i suoi meriti, ma allo stesso tempo compone il suo j’accuse spietato: "Al nord siamo diventati come la fotocopia della Lega!". Fini cita le mire di Bossi sulle banche, la rinuncia del Pdl ad abolire le province, i decreti sul federalismo, il fatto che "difendere il bambino del padre extracomunitario che perde il lavoro, cacciato dalle scuole è rispetto della dignità dell’uomo". Spara una raffica di domande retoriche: "E’ eretico dire che i medici non devono fare la spia?". Si può accettare che "in Lombardia ci siano solo professori lombardi, e in Veneto veneti?".

Processi cancellati. Il vero show-down è sul conflitto di interessi. Prima Fini attacca sulla proprietà de Il Giornale, poi sulla giustizia: "Difendere la legalità significa andar fieri degli arresti, ma anche non dare l’idea che la riforma della Giustizia non serve a creare sacche di privilegio...". La platea a questo punto fischia. Fini insiste: "Ricordi la nostra litigata sul processo breve? 600 mila processi cancellati dalla sera alla mattina!". Di nuovo Berlusconi grida, dalla presidenza: "Ma dai, Gianfrancoooo!": E lui, passando al chiamarsi per nome: "Silvio, è inutile che mostri insofferenza...". Il premier sale sul palco infuriato, contrattacca: "Il nostro partito è stato esposto al pubblico ludibrio con le presenze in televisione di Bocchino, di Urso e Raisi!". E sul Carroccio: "La verità, come mi ha spiegato La Russa, è che la Lega è la fotocopia delle posizioni abbandonate da An!". Allora Fini pizzica il suo ex colonnello, sarcastico: "Bravo, Ignazio, bravo...". La Russa si sbraccia come per dire no-no. Si arriva al cataclisma. Berlusconi: "Sei venuto da me a dire: 'Mi sono pentito di aver fatto il Pdl! A dirmi: ‘Voglio fare un altro gruppo'!!!". E Fini, in piedi: "Ma che stai dicendo!". Il retroscena è morto, meglio: è tutto sulla scena. Il voto finale conta zero. L’uomo che ha vinto grazie alla tv, ha perso un duello tv, sulla sua tv: una vittoria numerica, una sconfitta mediatica. Il partito dell’amore finisce a pesci in faccia.

LE MACERIE DI TELECOM ITALIA: 35 MILIARDI DI EURO DI DEBITI (70.000 MILIARDI DI VECCHIE LIRE)

La compagnia, privatizzata nel 1997, ha chiuso i conti nel 2009 con 34 miliardi di euro di debiti. Fronteggia lo stesso rosso di 10 anni fa ma ha dimezzato i dipendenti e ha ceduto asset e patrimonio immobiliare

Per capire come si è arrivati a questo punto più che gli esperti di bilanci servono quelli di linguistica. Bisogna infatti consultare il dizionario per comprendere l’esatto significato di spolpare - cioè ridurre all’osso - il verbo che meglio descrive la parabola di Telecom. Quella che un tempo era la più grande multinazionale italiana,
undici anni dopo la scalata dei "capitani coraggiosi", guidata dall’attuale patron di Piaggio e presidente di Alitalia, Roberto Colaninno, nei fatti non esiste più. Due giorni fa i conti del 2009 si sono chiusi con 34 miliardi di debiti. Il nuovo amministratore delegato Franco Bernabè promette che la (spaventosa) cifra diminuirà di altri 6 miliardi entro il 2012. Ma anche se così fosse un fatto è certo: Telecom oggi fronteggia più meno lo stesso indebitamento di due lustri fa, solo che ha dimezzato i dipendenti - ora sono circa 60.000 - ha ceduto tutto il suo patrimonio immobiliare, non ha ammodernato la rete rimasta ferma al 1994, ha ridotto il numero di clienti e ha venduto società e partecipazioni per più di 15 miliardi di euro. Insomma è stata a poco a poco spolpata.

Non è un caso, perché questa storia di predatori e prede nasce col trucco: una scalata a debito - quella di Colaninno - che ha causato un enorme buco nel bilancio finora impossibile da ripianare, anche perché la società ha continuato a distribuire sontuosi dividendi.
Privatizzata nel 1997 dal governo Prodi, che era alla disperata ricerca di 26.000mila miliardi di lire per entrare nell’euro, Telecom a partire dal 1999 è stata un continuo teatro di scorribande e battaglie. Non solo finanziarie. Ma anche - e soprattutto - politiche.

La prima scoppia quando al governo c’è Massimo D’Alema. È in quel momento che
Colaninno, il finanziere bresciano, Emilio Gnutti, e Giovanni Consorte, patron di Unipol, con 180 piccoli imprenditori padani, lanciano l'assalto a Telecom tramite una società lussemburghese: la Bell. Chi mette i soldi? Pochissimi gli imprenditori, moltissimi le banche: la sola Chase Manhattan presta 50 mila miliardi di lire. L’Opa (offerta pubblica di acquisto) viene lanciata il 20 febbraio ‘99: 24 ore prima D’Alema, scende in campo in favore degli scalatori, col celebre elogio dei "capitani coraggiosi". La nuova rude "razza padana" così audace da sfidare l’establishment dell’asfittico ed esangue capitalismo italiano.

La scalata si conclude in tre mesi. L’appoggio del governo e della Banca d’Italia si rivela decisivo.
Il 10 aprile 1999 per scongiurare la scalata rosso-verde [Unipol-Gnutti defilato Testa d'Asfalto], infatti, Bernabè - già allora amministratore delegato - convoca un’assemblea straordinaria per deliberare un’opa di Telecom sulla controllata Tim: una mossa che manderebbe alle stelle il prezzo di Telecom, rendendo impossibile l’assalto dei “capitani coraggiosi”. Per la validità dell’assemblea, però, devono essere presenti i titolari di almeno il 30 per cento del capitale sociale. Si registrano invece azionisti soltanto per il 28 per cento. Chi manca all’appello? Oltre a molti fondi internazionali, non ci sono il Tesoro (maggiore azionista con il 3,46 per cento) e il fondo pensioni della Banca d’Italia. Cioè gli azionisti pubblici. Perché? Il direttore generale del Tesoro è Mario Draghi, futuro governatore di Bankitalia. Vorrebbe partecipare all’assemblea. Ma D’Alema gli ordina di astenersi. Il ministro Ciampi si allinea. Draghi allora chiede al premier di mettere il suo ordine nero su bianco. D’Alema prende carta e penna e invia al Tesoro una lettera "d’indirizzo" attorno alla quale nasce un giallo: il documento scompare in seguito dagli uffici del ministero. Guido Rossi, ex presidente di Telecom, commenta acido: “Palazzo Chigi è l’unica merchant bank dove non si parla inglese". E definisce "gravissima" la condotta del governo.

La Telecom diventa un castello di scatole cinesi. Al vertice c’è Hopa, la finanziaria di Gnutti in cui siedono Fininvest, Unipol e Montepaschi: una specie di Bicamerale della finanza, con Silvio Berlusconi alleato dei "rossi". Hopa controlla Bell -IL FONDO LUSSEMBURGHESE CHE SGANCIO' 50.000 MILIARDI DI VECCHIE LIRE ovvero 25 miliardi di euro -, che controlla Olivetti, che controlla Tecnost, che ha la maggioranza di Telecom. A render ancora più oscura la storia è la scarsa chiarezza sui veri soci di Bell. Il presidente è Raffaello Lupi, fiscalista collaboratore del ministro Visco. Ma il regno di Colaninno dura poco. Nel 2001 torna Berlusconi e Telecom cambia padrone. Arriva Marco Tronchetti Provera. Nel luglio 2001, Colaninno, Gnutti e Consorte vendono a Tronchetti il 23% di Olivetti-Telecom posseduto da Bell posseduta da Hopa, intascando una plusvalenza di 1,5 miliardi di euro. Alla faccia dei tanti piccoli azionisti che restano a bocca asciutta. Per i magistrati di Milano, Bell sottrae al fisco 680 milioni, ma poi la partita con le tasse viene chiusa con una transazione di "soli" 156 milioni. Anche Consorte e il suo braccio destro Sacchetti, hanno comunque da gioire. Per loro alla fine dell’avventura di Telecom ci sono 43 milioni DI EURO ufficialmente versati come consulenze. A quel punto il problema del gigantesco debito accumulato per la scalata passa nelle mani di Tronchetti. Dal punto di vista politico il numero uno di Pirelli si mette a posto con Berlusconi chiudendo prima ancora che nascessero tutti i programmi de La7 -LA TELEVISIONE NAZIONALE CONTROLLATA DA TELECOM ALL'INDOMANI DEL TRACOLLO DI CECCHI GORI -  che potevano far concorrenza a Mediaset (per questo vengono dati molti milioni di euro a Gal Lerner e Fabio Fazio), sponsorizzando il Milan con Pagine Gialle -IL TRONCHETTO CHE ERA GIA' VICE PRESIDENTE DELL'INTER E CHE PROMOSSE LA CESSIONE DI SEEDORF,PIRLO,SIMIC A COSTO ZERO SEMPRE AL MEDIASET -  e tentando l’acquisto di Pagine Utili (operazione che si concluderà con il pagamento di una penale a Fininvest di 55 milioni di euro). Sul fronte dei bilanci si ricorre invece alle vendite di società e partecipazioni e a una dissennata politica commerciale condotta dall’ad Renato Ruggiero che sul momento aumenta i ricavi, ma che poi farà perdere molta clientela.

Un esempio su tutti: Aladino il videotelefono spinto a suon di spot che poi si rivelerà ben poco funzionante e spingerà chi può a cambiare gestore. Così nel giro di pochi anni, mentre si continuano a distribuire dividendi,
prima Colaninno e poi Tronchetti vendono società su società, come l’assicurazione Meie, l’Italtel, la Sirti, Telespazio, l’operatore mobile venezuelano Digitel, la software-house Finsiel, Tim Hellas, Alice France e altre partecipazioni. Anche il patrimonio immobiliare scompare. A partire dal 2000, ma l’accelerazione più grande si verifica con Tronchetti, a poco a poco tutto, o quasi, passa a Pirelli Real estate. Un'operazione supportata da perizie e pareri legali, ma da più parti criticata perché considerata in evidente conflitto d'interessi. Mille-duecento cespiti cambiano così padrone solo nel 2005-06. Alla fine Telecom incassa molti soldi, ma si trova anche sul groppone una spesa per affitti di 400 milioni l’anno. Che sommati agli interessi sull’indebitamento e al buco da ridurre, spiega bene perché la società ogni anno trovi il denaro necessario per pagare i dividendi e non quello per fare investimenti. Ecco nel frattempo come è nata L'IMMOBILIARE PIRELLI REAL ESTATE: TUTTI GLI IMMOBILI DI TELECOM SVENDUTI A PIRELLI CHE POI DA PROPRIETARIA FA PAGARE AFFITTI PER 400 MILIONI DI EURO L'ANNO A TELECOM!!!
IL QUADRUMVIRATO LOMBROSIANO

 

L'INFORMA

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