Gli Usa? Sono gia' in
bancarotta. Molto peggio della Grecia. Inutile temere sul
futuro dell'economia americana.
Gli Stati Uniti sono
gia' in bancarotta. La dichiarazione e' forte e non vuole
certo gettare panico tra gli operatori. Ma val la pena
capire le basi del ragionamento di colui che lancia
l'allarme (a dire il vero, non e' il solo) dalle colonne
di Bloomberg: Laurence J. Kotlikoff, professore di
economia alla Boston University.
L'idea chiave e' la seguente: il deficit di bilancio Usa
e' 15 volte superiore a quello ufficiale. Una possibile
soluzione per rimettere ordine passa attraverso quattro
mosse, purche' siano "radicali" e riguardino tasse,
settore della salute, sistema pensionistico e comparto
finanziario.
Andiamo con ordine, partendo da una nota del mese scorso
del Fondo Monetario Internazionale sulle politiche
economiche degli Stati Uniti. Nel sommario di questo
rapporto annuale, ricorda Kolikoff, c'era l'invito alla
classe politica a una stabilizzazione fiscale attraverso
aggiustamenti "piu' ampi dei costi stimati". Un esempio:
"chiudere il deficit richiede un aggiustamento fiscale
permanente del 14% del Pil Usa su base annuale". Insomma,
per ripianare tale deficit, frutto della differenza tra
spese e ricavi programmati per il futuro, secondo il
professore di economia, sarebbe necessario un immediato e
permanente raddoppio di redditi personali e tasse federali
e aziendali.
Un simile aumento delle tasse porterrebbe gli Stati Uniti
a un surplus del 5% del Pil quest'anno invece di un
deficit del 9%. Parafrasando la nota del Fmi, Kolikoff
suggerisce che gli Usa hanno bisogno di una bella fetta di
surplus per un bel po' di anni per poter pagare le spese
di bilancio. E piu' si aspetta per porre rimedio alla
situazione fiscale attuale piu' la stessa peggiorera'.
Il disavanzo fiscale calcolato dal professore della Boston
University e' 15 volte superiore a quello ufficiale: $202
mila miliardi. Si tratta di una discrepanza "non
sorprendente: riflette cio' che gli economisti chiamano "labeling
problem". E' un po' come se tutto dipendesse da che cosa
prendere in considerazione per ottenere un determinato
dato. "Il Congresso e' stato molto attento negli ultimi
anni ad etichettare i suoi passivi in modo tale da tenerli
al di fuori dal proprio bilancio e cosi' fara' nel futuro"
ha spiegato Kolikoff.
Perche' la cifra e' cosi' ampia? Semplice, spiega
l'economista: negli Usa ci sono 78 milioni di baby boomer
che, quando saranno tutti in pensione, riceveranno
benefici in termini di Social Security, Medicare e
Medicaid. Tutti programmi statali il cui costo superera'
il Pil pro capite: $4 mila miliardi all'anno. "L'economia
americana potra' anche crescere da qui a 20 anni ma mai
cosi' tanto da poter gestire costi di questa portata anno
dopo anno", ha scritto su Bloomberg il professore. "Questo
e' il risultato dell'applicazione di una sorta di Schema
Ponzi che va avanti da 60 anni: prendere risorse dalla
popolazione piu' giovane per darla a quella piu' vecchia".
E citando Herb Stein, presidente dello staff degli
economisti alla Casa Bianca ai tempi di Richard Nixon,
Kolikoff avverte: "cio' che non puo' andare avanti verra'
fermato".
Il punto e' che lo si fermera' troppo tardi e con
modalita' non piacevoli. Tre le possibilita': "ingente
sforbiciata dei benefici legati al pensionamento dei baby
boomer, incremento astronomico delle tasse e enorme
quantita' di moneta da stampare da parte del governo per
coprire i buchi nei propri conti".
Insomma, un piano lacrime e sangue che non solo ricorda la
situazione greca, peggio. Poverta', tasse, costo del
denaro e inflazione cresceranno, una strada "terribile" da
percorrere senza se e senza ma perche' gli "Stati Uniti si
trovano in una situazione fiscale peggiore della Grecia".
L'economista conclude criticando i keynesiani convinti che
stimoli fiscali ulteriori non inficerebbero la capacita'
di gestione del deficit stesso. "Il nostro paese e'
finito", e' la perentoria conclusione.
Operai sempre più
poveri e più precari
Così torna in borsa General Motors
L'azienda fa ancora utili, ma Detroit è
peggio di Pomigliano. La GM ha inventato i lavoratori a
chiamata, senza la piena copertura sanitaria e senza anzianità
Il complimento
forse più importante Barack Obama l’ha
ricevuto dal’ Economis che in un editoriale oggi propone di
“chiedere scusa” al presidente Usa per le dure critiche al
suo piano di salvataggio che ha permesso lo scorso anno a
General Motors, Ford e Chrysler di evitare o superare la
bancarotta.
L’azienda simbolo della crisi americana, la General
Motors, si appresta infatti a tornare in Borsa. Ha
chiesto l’ammissione al listino di New York e di Toronto con
un’offerta pari a circa 16 miliardi di dollari in modo da
permettere di ridurre più velocemente la partecipazione del
governo nella società automobilistica, che attualmente è al
61 per cento (il fondo pensione Veba al 17,5 e il governo
canadese all’11,7 per cento). General Motors prevedeva di
tornare in Borsa nel 2011 – il titolo fu eliminato dal
listino proprio causa bancarotta – e l’anticipo sui tempi è
una prova di forza che la compagnia di Detroit può
permettersi in forza dei risultati ottenuti nella prima metà
del 2010. Utili nel primo trimestre pari a 865 milioni di
dollari saliti a 1,3 miliardi nel secondo trimestre 2010.
Meno ferie, meno bonus e meno soldi
I complimenti dovrebbero però essere girati anche ai
lavoratori del colosso Usa dell’auto. Furono infatti il
presidente e il vicepresidente del sindacato Uaw
– United Automotive Workers – della General Motors
a dover scrivere a tutti i dipendenti del gruppo per
spiegare la necessità di arrivare a un nuovo “accordo” che
si facesse carico della difficoltà e consentisse all’azienda
di provare a recuperare competività e risorse. L’accordo è
stato ovviamente firmato e poi approvato dal 74 per cento
dei lavoratori anche se circa 30 mila di loro, compresi 6000
“white collar”, cioè gli impiegati, e il 35 per cento dei
dirigenti, sono stati messi fuori. Per chi è rimasto si è
trattato di rinunciare, almeno fino al 2015, a una parte
delle ferie, ai bonus produttività, ad alcune festività e
poi di sottoporsi alla riduzione della pause di lavoro (40
minuti su 8 ore), e in particolare ad assistere a un
indebolimento della loro forza contrattuale con due passaggi
importanti: l’istituzione di una specifica categoria “Flex
Employers” cioè gli impiegati flessibili,
lavoratori a disposizione part-time per i picchi di
produttività ma senza la piena copertura sanitaria e senza
poter accedere ai requisiti di anzianità; e poi
l’introduzione di un contratto diverso, con minor stipendio
e minori garanzie (12-15 dollari contro i 20-30 dollari
l’ora garantiti finora) per i nuovi assunti.
Pensionati e azionisti
Ma quello che ha pesato di più nella disponibilità del
sindacato è stata la trasformazione del Fondo Veba
(Voluntary Employees Beneficiary Association), cioè
il fondo per garantire assistenza sanitaria ai pensionati,
in un azionista della società stessa. I circa 20 miliardi di
dollari che la Gm avrebbe dovuto versare nel Veba si sono
così ridotti a 10 miliardi con quest’ultimo che si è invece
trovato a possedere il 17,5 per cento di azioni della Gm
oltre a detenere un 6,5 per cento di azioni privilegiate con
la distribuzione di un dividendo annuo del 9 per cento.
Questa revisione ha fatto sì che gran parte delle
prestazioni sanitarie agli assistiti siano state ridotte o
eliminate, come le cure dentarie, e che il fondo Veba
dipenda esclusivamente dalle prospettive economiche
dell’azienda per dare una garanzia ai suoi dipendenti.
Quando General Motors ha annunciato il ritorno all’utile, il
sindacato Uaw ha espresso orgoglio e soddisfazione: “Siamo
lieti di aver contribuito al risanamento della Gm – ha detto
il presidente Bob King - gli impegni, i
sacrifici e il duro lavoro dei membri della Uaw alla Gm
occupa un ruolo enorme in queste notizie positive che
giungono dalla compagnia”.
L’ispirazione per Marchionne
Musica per le orecchie di un manager come Sergio
Marchionne che con la Uaw ha avuto a che fare nel
momento in cui la sua Fiat è entrata nel capitale di
Chrysler. E che sta cercando di applicare il “metodo Gm”
anche in Italia, a cominciare dallo stabilimento campano di
Pomigliano d’Arco. Con l’intervento di Obama, 6 miliardi di
dollari, il governo Usa è diventato il primo azionista della
terza “casa” americana. Fiat è al 20 per cento ma con
l’opzione di arrivare al 35. Marchionne ha potuto contare su
un accordo con la Uaw analogo a quello di General Motors:
diminuzione delle garanzie sindacali, trasformazione del
fondo pensioni in azionista dell’azienda, introduzione di
una seconda categoria contrattuale e, addirittura, la
garanzia fino al 2015 di non subire scioperi contro gli
accordi economici. Insomma, un sindacato di cui fidarsi, del
tipo proposto con insistenza dalla Cisl di
Raffaele Bonanni.
Per salvare l’industria dell’auto
Basterà tutto questo a salvare l’auto? Lo stesso
Economist, nel suo editoriale di oggi, non ci scommette
del tutto. Gli analisti statunitensi che ieri hanno
commentato il ritorno in Borsa di Gm hanno messo l’accento
sul fatto che la crisi è tutt’altro che finita. Il mercato
delle auto è fermo, Gm continua a perdere quote di mercato
(anche in Cina dove è scesa dal 17,8 al 17,6 per cento in un
anno mentre negli Usa sta per essere superata da Ford), il
cambio di direzione – l’amministratore delegato Ed
Whitacre sarà sostituito da settembre da
Dan Akerson – potrebbe produrre scompensi. Come
rilevava ieri l’agenzia Bloomberg, i
profitti della seconda metà del 2010 non saranno al livello
di quelli del primo. Tutti elementi che non creano un buon
ambiente per collocare le azioni sul mercato.
Clima, il supermonsone
che minaccia l'Europa
L'aria calda africana incontra quella
fredda atlantica. Ormai strutturali episodi che prima erano
eccezionali. Così sta cambiando la mappa del meteo
di ANTONIO CIANCIULLO
I danni a Bogatynia, in Polonia
ROMA - Un super monsone in
Asia e una raffica di piogge monsoniche che sconvolge l'Europa. Il
caos climatico cambia la mappa del meteo, rende strutturali
episodi eccezionali, costringe a cercare nuove parole per
descrivere fenomeni che assumono intensità e frequenza del tutto
anomale.
E così dall'Ibimet, l'istituto di biometeorologia del Cnr di
Firenze, provano a forzare il vocabolario per tradurre
l'intensificarsi dei drammi che colpiscono decine di milioni di
persone.
"I termini che fino a ieri usavamo abitualmente per descrivere le
piogge eccezionali che colpivano l'Europa non danno più l'idea di
quello che succede realmente oggi", spiega Giampiero Maracchi,
responsabile dell'istituto. "A molti l'uso del termine
monsone in uno scenario europeo sembrerà improprio, ma quello che
sta accadendo ha caratteristiche simili alla dinamica dei monsoni.
C'è l'umidità proveniente dall'Atlantico che si incanala dalla
Gran Bretagna verso il Mediterraneo, dove trova l'onda calda che
dai tropici si spinge sempre più lontano, sempre più vicino ai
Poli. E c'è il contrasto tra questi due flussi, tra il mare di
aria calda africana e la corrente di aria fredda atlantica: la
massa di aria calda prima sale e poi si condensa, trasformandosi
in piogge violente. Negli ultimi 15 anni ci sono stati tre
episodi alluvionali sull'Europa centrale come quello che stiamo
vivendo in questi giorni. E' un fenomeno recente collegato
all'anomalia termica su scala globale: fino a pochi anni fa la
spinta calda non arrivava così
lontano con questa forza".
Se nella traiettoria verso nord ovest l'alito rovente del
mutamento climatico si scontra con il mondo freddo e umido
dell'Atlantico provocando valanghe di acqua, sul lato opposto,
dove intercetta la corrente in risalita verso nord est, non trova
opposizione e così il calore del Sahara può arrivare indisturbato
fino alla steppa e incendiarla. Alluvioni e siccità, come aveva
previsto l'Ipcc, la task force dei climatologi dell'Onu, convivono
e traggono forza dalla stessa radice: la caldaia del pianeta,
alimentata dall'anidride carbonica emessa dalle ciminiere e dalle
foreste tagliate, fa salire la pressione spostando i confini del
caldo, spingendo il deserto verso l'Europa.
"L'energia in gioco cresce sempre più velocemente perché i gas
serra sono una coperta termica che trattiene il calore", continua
Maracchi. "Questo calore viene assorbito dal mare e scambiato con
l'atmosfera: quest'anno le acque del Mediterraneo hanno viaggiato
su valori 6 gradi sopra la media. Un'anomalia che innesca altre
anomalie, anche anomalie che ci toccano da vicino. In Italia fino
agli anni Novanta avevamo un'intensità di piogge che arrivava a 40
millimetri nell'arco di due o tre ore. Oggi siamo a 80 - 100
millimetri, con punte sempre più frequenti che superano i 250
millimetri: una cascata d'acqua che basta niente a trasformare in
alluvione".
Questo quadro si è andato delineando negli ultimi due decenni,
quelli che hanno registrato una crescita della temperatura senza
precedenti nella storia delle meteorologia e destinata ad
accelerare ulteriormente in assenza di contro misure. Cioè dei
piani operativi per il rilancio dell'efficienza energetica e delle
fonti rinnovabili su cui non è stato trovato un accordo al vertice
Onu di Copenaghen dello scorso dicembre. Fino a ieri anche le
quotazioni della prossima conferenza sul clima, quella di Cancun,
erano basse perché l'intesa politica non si profila. Ma certo il
muro di acqua che ha affondato l'Europa centrale, i 15 milioni di
sfollati in Pakistan e il fuoco che assedia le centrali nucleari
in Russia rendono difficile continuare a ignorare l'urgenza della
battaglia contro il caos climatico.
IL SURRISCALDAMENTO GLOBALE PORTA ALL'ARRETRAMENTO DEI GHIACCIAI
ED ALL'APERTURA DEL PASSAGGIO A NORD EST
A
10 anni dalla tragedia Kursk
Artico, polveriera nucleare
Il 12 agosto del 2000
l'esplosione nel sommergibile atomico in cui persero la vita 118
marinai russi. I reattori ancora abbandonati in un deposito
all'aperto in attesa di stoccaggio. E il passaggio di Nord Est,
rotta sempre più battuta dal traffico commerciale, è disseminato
di relitti potenzialmente pericolosi di JACOPO
PASOTTI
La flotta nucleare nel porto di Murmansk (foto J. Pasotti)
Sono passati dieci anni da
quando il sommergibile nucleare russo Kursk affondò
durante una manovra militare 1a
seguito di una esplosione. Alla prima esplosione ne seguirono
altre, percepite sia da navi militari russe coinvolte nella stessa
operazione che da un sommergibile statunitense, nei paraggi per
"spiare" l'esercitazione. Persero la vita tutti i 118 marinai a
bordo, abbandonati nel relitto a 110 metri di profondità nel Mare
di Barents, non lontano dalle coste norvegesi. Un anno dopo una
compagnia olandese recuperò il relitto e lo trasportò in una
officina militare nel porto di Murmansk, nella penisola di Kola,
per essere smantellato. I due reattori nucleari del sommergibile
(miracolosamente intatti dopo le esplosioni) furono sistemati in
un deposito all'aperto, dove giacciono ancora insieme ad altri 40
reattori nucleari abbandonati da decenni in attesa di una
sistemazione sicura. Che per ora non esiste, e che solleva timori
sul futuro di queste ed altre scorie "temporaneamente" posteggiate
lungo le coste siberiane e nei mari artici.
Spazzatura nucleare. Il passaggio di Nord Est,
che unisce la Scandinavia ai porti asiatici orientali, nasconde
però altre sorprese. Il 21 luglio le autorità russe hanno dato il
via a una ispezione delle coste siberiane in cerca di scorie
radioattive, relitti di navigli nucleari e altri "oggetti
potenzialmente pericolosi" disseminati lungo la rotta. Una
nave specializzata sta
scandagliando i fondali da Arkhangelsk fino alla regione Chukotka
(nei pressi dello stretto di Bering). Solo nei pressi dell'isola
di Novaya Zemla "sono sepolti molti oggetti contenenti materiali
radioattivi, incluso il reattore della prima rompighiaccio
nucleare della storia, la Lenin", spiega Maksim Vladimirov, del
Ministero della Difesa, in una intervista alla agenzia stampa RIA
Novosti. Intanto altri sette reattori di altrettanti sommergibili
dismessi sono stati inviati nella baia di Saida, non lontano da
Murmansk. Si affiancheranno ai già 40 container stoccati in un
deposito di cemento (costruito grazie a un finanziamento tedesco
di 150 milioni di euro). Sono però ancora 50 quelli in attesa di
essere sigillati e spediti nel deposito, mentre fonti norvegesi
affermano che decine di reattori giacciono ancora su boe
galleggianti ormeggiate nella baia: un rischio altissimo per
l'ambiente marino.
Ma la Russia sembra non avere sotto pieno controllo il destino
delle proprie scorie radioattive. In maggio un blogger russo ha
diffuso la notizia dell'affondamento di una nave che aveva per
anni trasportato residui nucleari lungo le coste siberiane. La
Severka era ridotta a un rottame quando è colata a picco nel porto
di Aleksandrovsk. Il blogger commentava: "Ora mi chiedo cosa ci
aspetta in futuro". La notizia è stata tenuta nascosta alle
autorità norvegesi, nonostante tra i due Paesi esista un reciproco
accordo che prevede la notifica di incidenti che coinvolgano
diffusione in zone di confine di materiali radioattivi.
I piani nucleari russi comunque procedono. A giugno è stata varata
la prima centrale nucleare galleggiante. Un colossale impianto che
sarà operativo nelle acque territoriali artiche entro la fine del
2012.
Un mare sempre più sfruttato. Oltre al traffico
marittimo a rischio, nell'Artico sembra destinato ad aumentare
però anche lo sfruttamento dei fondali, soprattutto per la
esplorazione di giacimenti di gas e petrolio. Le compagnie
petrolifere hanno già speso 5 miliardi di euro da quando i fondali
nel mare di Barents sono stati aperti alla esplorazioni. Secondo
il quotidiano norvegese Dagens Næringsliv sono state già compiute
83 trivellazioni. Malgrado fino ad oggi quel settore non abbia
dato i frutti sperati, le compagnie (tra cui Statoil, Gaz de
France e l'italiana Eni) intendono intensificare le prospezioni.
Statoil ed Eni in particolare hanno deciso di cominciare nuove
esplorazioni in un settore marino a 80 chilometri dalla costa
norvegese. Decisione che ha innescato la rivolta degli
ambientalisti della Ong Friends of the Earth, che temono una
seconda Deepwater Horizon. Secondo il leader norvegese della Ong
Lars Haltbrekken, le compagnie non hanno imparato nulla dal
disastro della BP: "Tutte le valutazioni di impatto ambientale di
Eni sono datate e non includono l'esperienza del Golfo del
Messico".
La banchisa polare si riduce a causa del cambiamento climatico, e
il Passaggio di Nordest è sempre più trafficato da petroliere e
altre imbarcazioni commerciali. Proprio questo luglio una nave
norvegese da trasporto carica di minerali di ferro è salpata da
Kirkenes in Norvegia con l'intento di percorrere la rotta
circumpolare. È la prima volta che le autorità russe permettono a
una nave commerciale straniera di compiere questa rotta. Un
esperimento per valutare il possibile incremento del traffico
internazionale lungo il passaggio. Malgrado i timori per
l'ambiente artico rimangano, le autorità russe hanno promesso
ingenti investimenti per migliorare la sicurezza delle acque
artiche.
Le fiamme piegano
un Paese
non ancora diventato moderno.La Russia in
ginocchio.
Diecimila pompieri sono troppo pochi per
uno Stato così vasto e disseminato di boschi e torbiere. La rete
delle infrastrutture al collasso malgrado gli introiti arrivati da
petrolio e gas
di SANDRO
VIOLA
MOSCA - Joe Biden, il vice
presidente americano, aveva sfiorato l'anno scorso un grosso
incidente diplomatico quando aveva detto che la Russia non sta in
piedi. Che la sua popolazione continua a decrescere
precipitosamente (140 milioni oggi,100 previsti per il 2050), la
sua economia boccheggia, il suo sistema bancario non reggerà alle
sfide dei prossimi anni. I russi s'erano molto arrabbiati, il
progetto Obama-Hillary Clinton di riaggiustare il complesso dei
rapporti russo-americani era parso in pericolo. Ma gli incendi che
flagellano la Russia da settimane, la lampante incapacità dei
responsabili centrali e regionali di farvi fronte, gli aeroporti
chiusi, la nube di fumo che grava su Mosca, le vittime, i
crematori che respingono le nuove bare perché già strapieni dei
cadaveri degli anziani morti in questi giorni per il caldo e
l'aria inquinata, tutto questo dimostra che Biden aveva ragione.
La verità, infatti, è che la Russia è un paese ancora in bilico
tra la spaventosa arretratezza lasciata da sette decenni di
comunismo, e i pochi, sconvinti tentativi che il regime di
Vladimir Putin ha fatto dal 2000 ad oggi per portarlo nella
modernità. Tutta la rete delle sue infrastrutture - condotte
d'acqua, elettricità, trasporti, strade, fogne - è per vastissimi
tratti vicina al collasso, nonostante gli enormi introiti da
petrolio e gas venuti alle casse del regime tra il 2001 e il 2008.
Lo si vede chiaramente in questi giorni. Due, dico due, elicotteri
sorvolano la zona di Mosca per
monitorare l'estendersi degli
incendi. Diecimila pompieri, un numero irrisorio per un paese
tanto vasto e disseminato di boschi e torbiere, cercano d'arginare
le fiamme, senza che l'esercito sia ancora stato chiamato a
intervenire. E infatti gli incendi continuano a moltiplicarsi, a
causa anche dei venti da sud-est che spingono le fiamme sempre più
vicino alla capitale.
Putin dovrà rinunciare quest'anno al suo rituale show estivo. Non
cavalcherà a torso nudo nella tundra siberiana, nel suo stile
machista-mussoliniano, seguito da un folto gruppo di fotografi
precettati. Va in giro, certo, sui fronti degli incendi, promette
una rapida ricostruzione delle case bruciate (tutte ancora di
legno e prive di fognature, spesso isbe centenarie, nelle zone
agricole), e soprattutto si lancia in dure filippiche contro le
autorità regionali e locali, additate come responsabili di non
aver circoscritto il disastro. Né più né meno come facevano i
leader sovietici ad ogni sciagura nazionale: le colpe sempre in
periferia, mentre al centro, al Cremlino, nessuna ammissione
d'imprevidenza e corresponsabilità.
Non è certo, tuttavia, che i russi si sentiranno rassicurati anche
stavolta alla vista del muscoloso torace del primo ministro.
Stavolta, quel simbolo di vigoria fisica che aveva impressionato
negli anni scorsi, dando ai russi la sensazione d'essere guidati
da un uomo forte, rischia di servire a poco. Lo spettacolo
d'imprevidenza e inadeguatezza dato dal governo è in effetti
troppo vistoso, strepitoso. E gli umori dei russi si stanno
guastando. Un lavoratore agricolo della zona di Tver ha scritto
infatti su Internet un messaggio che riassume perfettamente la
situazione. "Ai tempi del comunisti, avevamo un laghetto come
riserva d'acqua contro gli incendi, una campana per lanciare
l'allarme, e una pompa anti-incendi (sia pure una sola su ogni tre
villaggi) per intervenire. Al posto di tutto questo, abbiamo
adesso un telefono che aspetta ancora d'essere collegato alla
linea del nostro capoluogo".
Beninteso, non si possono sottovalutare le gravi difficoltà che
qualunque governo si sarebbe trovato di fronte. Ondate di caldo
che non si registravano da 130 anni, un suolo torbaceo che
trattiene le fiamme anche dopo che i gettiti d'acqua hanno spento
l'incendio in superficie, i venti sempre favorevoli all'estendersi
della catastrofe. Ma qui non si parla d'un piccolo paese e d'una
piccola capitale. Stiamo parlando della Russia, la cui Banca
centrale dispone di riserve che sono tuttora (benché erose dalla
crisi del 2008) tra le più pingui del pianeta. Ma queste risorse
non sono state utilizzate in tempo come avrebbero dovuto per
rinforzare, ammodernare, le capacità d'intervento della protezione
civile. In più, un sistema di governo supercentralizzato non ha
consentito di dotare le regioni dei fondi necessari a munirsi di
migliori mezzi anti-incendi. E il risultato è che Mosca, avvolta
in un fumo biancastro, con la gente che non esce di casa, sembra,
come scrivono i corrispondenti dei giornali stranieri, una città
fantasma, con due dei suoi tre aeroporti civili che funzionano a
singhiozzo, le ambasciate che cominciano ad evacuare il personale,
mentre le compagnie aeree russe fanno pagare quasi 1.500 euro un
posto in economica sui voli Mosca-Berlino.
Un disastro dell'anno scorso, l'esplosione della centrale
idroelettrica di Sayamo-sushenka, con circa 80 morti, avrebbe
dovuto insegnare qualcosa. I tecnici avvertivano da anni, infatti,
che l'impianto si stava facendo sempre più insicuro, e necessitava
perciò di urgenti lavori di ristrutturazione. Ma le relazioni
tecniche erano scivolate alla russa, alla Gogol, dalle scrivanie
della burocrazia regionale e moscovita, senza che si prendessero
le misure richieste. E l'esplosione era venuta. Inutile dirlo,
come ad ogni sciagura nazionale o attacco del terrorismo
caucasico, l'assenza d'una vera, credibile commissione d'inchiesta
resta la regola del regime. Nessun coinvolgimento d'esperti
stranieri, nessun dibattito che coinvolga l'opposizione politica,
il mondo accademico, i giornali. Solo le nuove foto di Putin a
cavallo col torso nudo. Per molti versi (salvo che Breznev,
Andropov e Cernienko non si facevano ritrarre senza camicia), gli
usi dell'Unione Sovietica.
La ripresa
rallenta in Usa e Cina
e le borse mondiali vanno a picco
In Europa bruciati 103 miliardi in una
seduta. Piazza Affari e Madrid in coda ai listini, "gelati"
anche dalle preoccupazioni della Federal Reserve e i rischi di
deflazione. Wall Street chiude al -2,48%. L'euro affossato dal
no slovacco al prestito per la Grecia
di LUCA PAGNI
MILANO - Sarà che la
corsa delle Borse durava ormai dai primi di luglio e prima o
poi c'era da aspettarsi una correzione anche forte dei
mercati. Ma non c'è dubbio che l'ondata di vendite che si è
abbattuta oggi sulle Borse di tutto il mondo nasconda ben
altro che non una semplice voglia si speculazione. Quello che
temono i mercati - così come tutte le autorità economiche
mondiali - è una seconda coda della recessione che ha appena
compiuto tre anni. Le avvisaglie ci sono tutte e il pericolo
vero si chiama deflazione: scarsa crescita, inflazione che
sale e mancata creazione di nuova occupazione.
Così è stato letto
l'allarme lanciato ieri dalla Fed
1,
la banca centrale americana che ha parlato di un rallentamento
della crescita più alto di quanto previsto e del pericolo che
l'inflazione torni a correre quanto prima. Facendo capire che
potrebbero occorrere nuove manovre a sostegno dell'economia
americana. Un primo esempio la decisione di investire sui
titoli di stato a lungo corso.
Una notizia che ha provocato la caduta di tutte le piazze
Europee, movimento accelerato da altri dati macro negativi.
Dalla Cina è arrivato l'allarme inflazione: si è attestata al
3,3% rispetto al 2,9% di giugno e alla 'soglia di attenzione'
del 3% fissata dal governo di Pechino. Inoltre, il dato della
produzione industriale cinese è cresciuto 'solo' del 13,4%
rispetto a un anno fa, segnando la variazione
inferiore da 11 mesi a questa
parte.
La Banca d'Inghilterra ha previsto un tasso di crescita per il
2011 inferiore a quanto aveva previsto. Ci vorranno "diversi
anni" prima che l'economia si riprenda, e possa "tornare a
qualcosa che possiamo definire anche lontanamente normale", ha
sottolineato in uno slancio di ottimismo il governatore,
Mervin King.
Nel pomeriggio sono poi arrivati i dati sulla bilancia
commerciale Usa di giugno con un disavanzo superiore alle
attese: è salito in giugno a quota 49,9 miliardi di dollari da
41,98 in maggio. Il dato, il peggiore degli ultimi 21 mesi, è
superiore alle attese degli analisti (42,7 miliardi). Come se
non bastasse, il parlamento slovacco ha bocciato la
partecipazione del Paese al prestito pluriennale dell'Eurozona
a favore della Grecia. Bratislava non presterà ad Atene la
quota di sua competenza pari a 816 milioni di euro. Abbastanza
per rilanciare il dollaro e deprimere l'euro, tornato a quota
1,28 perdendo quasi il 2% in una sola seduta
Il complesso di eventi ha fatto sì che il grafico di Borsa
odierno sia simile a un toboga: i listini sono scesi per tutta
la giornata e per l'Europa, in particolare, è stato un
mercoledì nero. In una sola giornata sono stati bruciati i
guadagni di un mese: 103 miliardi di euro di capitalizzazione
andata in fumo e soltanto per le società a maggiore
capitalizzazione.
Anche l'oro ha reagito alla caduta delle Borse tornando a
recuperare terreno, dopo le perdite dei giorni scorsi. Il
prezzo è così tornato sopra i 1.200 dollari: per l'esattezza
sulla piazza di Londra è arrivato a quotare 1205,5 dollari, in
rialzo di 13 dollari rispetto alla chiusura di ieri.
In finale, tutte le piazze del vecchio Continente hanno chiuso
sui minimi: il Dax di Francoforte ha perso il 2,10%, il Cac40
di Parigi il 2,74%, a Londra il Ftse 100 si ferma a -2,44%. A
Milano il Ftse Mib ha chiuso le contrattazioni in calo del
3,2% mentre il Ftse All Share ha lasciato sul terreno il
3,04%.
Tra le blue chip di Piazza Affari, pioggia di vendite per i
titoli finanziari che sono ormai diventati il bersaglio
preferito della speculazione. La maglia nera del Ftse Mib è
andata a Intesa Sanpaolo (-6,01% a 2,42). Tra i bancari male
anche Bpm (-4,68% a 3,86), Ubi Banca (4,64% a 7,81) e il Banco
Popolare (-3,90% a 4,74). Non si salvano neppure Unicredit
(-3,46% a 2,02), su cui Nomura ha tagliato il target price
(prezzo obiettivo) da 2,5 a 2,35 euro, e Generali (-3,03% a
15,06). Tra gli assicurativi il titolo peggiore è stato però
Mediolanum (-3,94% a 3,17). Per Fiat un tonfo del 4,91% e
scende sotto quota dieci euro, a 9,58 euro. Male anche Stm
(-4,86% a 5,97) dopo che l'indice di Philadelfia sui
semiconduttori è sceso ai minimi da cinque settimane. Tra gli
industriali ribassi intorno al 4% per Impregilo (-4,07% a 2) e
Ansaldo Sts (-3,9% a 9,48%. Sono tutti rossi i segni sul
listino principale. Tra gli altri, Finmeccanica (-2,39% a
8,38), Telecom (-2,36% a 1,03), Enel (-2,31% a 3,8) ed Eni
(-2,25% a 16,06).
E in serata arriva la coda negativa di Wall Street. Il Dow
Jones ha perso il 2,48% chiudendo a quota 10380,35 mentre il
Nasdaq ha fatto anche perggio, cedendo il 3,01 a 2208,63
punti.
Europa: sulle
grandi banche lo spettro di una nuova crisi
Cinque major
europee tra cui le italiane Ubi e Intesa Sanpaolo finiscono
nel mirino degli speculatori al ribasso: gli stress test non
convincono del tutto
Stress test
positivi, euro in rimonta sul dollaro, allarme debito in via
di ridimensionamento. Nelle ultime settimane le prospettive
di ripresa hanno riportato una certa fiducia nel mercato
europeo. Peccato che questo moderato entusiasmo rischi ora
di essere travolto da un pericolo concreto: lo spettro di
una nuova e significativa crisi bancaria. A lanciare
l’allarme è stato il fondo speculativo Noster
Capital, un hedge di base a Londra. Le banche
europee, sostengono i suoi analisti, fronteggiano ancora
oggi svariate minacce e gli esami di solidità, cui si sono
recentemente sottoposte, potrebbero essere scarsamente
indicativi.
Pervaso dalle proprie convinzioni, Noster si è già mosso di
conseguenza attuando una delle strategie preferite da ogni
hedge che si rispetti: la vendita allo scoperto. Il sistema
è semplice quanto diffuso: pagando una commissione si
prendono in prestito titoli che non si possiedono per poi
venderli e successivamente riacquistarli sul mercato. Se,
nel frattempo, il valore del titolo è sceso lo speculatore
realizza una plusvalenza. E’ la classica scommessa al
ribasso, quella, per intenderci, capace di alimentare forti
perdite quando sostenuta da massicci investimenti. Fin qui
nulla di strano se non fosse per gli obiettivi delle puntate
ribassiste. A finire nel mirino di Noster, infatti, non è
stata qualche disgraziata banca portoghese né tantomeno
qualche martoriato istituto greco. Al contrario, l’oggetto
di scommessa sono stati cinque colossi europei di prima
categoria: la britannica Barclays, la
spagnola Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (Bbva),
la svizzera Ubs e le italiane Ubi
e Intesa Sanpaolo.
“Due mesi fa erano tutti presi dal panico per la crisi dei
debiti sovrani – ha dichiarato il Ceo di Noster Pedro
Noronha al quotidiano britannico Daily Telegraph –
adesso, invece, sembra che ognuno si prepari ad andare in
vacanza mentre tutto va bene”. Ma ovviamente, giura Noronha,
la realtà è ben diversa. A far paura ci sono in primis le
esposizioni verso un mercato immobiliare americano ben lungi
dalla guarigione e più vicino, forse, a un nuovo collasso.
Per le banche italiane, invece, i pericoli verrebbero dalla
debolezza della ripresa economica nazionale e dalle
sofferenze sui mercati dell’Europa dell’Est.
Non è detto, ovviamente, che in tanti decidano di seguire
l’esempio di Noster generando così una reazione a catena
capace di penalizzare fortemente i grandi istituti del
Continente. Ma le scelte operate dall’hedge, intanto, hanno
già ottenuto il risultato di mandare un eloquente segnale
agli investitori, rilanciando, al contempo, il dibattito
sull’effettiva utilità degli stress test bancari. Il buon
esito dell’esame sulle finanze degli istituti continentali
(7 bocciati su 91) non ha infatti convinto una parte degli
osservatori. Sotto accusa la scelta dell’Europa di escludere
dall’esame le perdite sulle obbligazioni governative “in
deposito”, vero e proprio tallone d’Achille di molti
istituti. Se fossero state prese in considerazione, hanno
riferito negli scorsi giorni gli analisti di
Citigroup, avrebbero decretato la bocciatura di ben
24 banche. Tra queste anche l’italiana Monte dei
Paschi.
Crisi immobiliare:
la bolla cinese terrorizza l’Occidente
Pechino ordina nuovi stress test. Il
risultato sono ipotesi apocalittiche, capaci di minare
seriamente la crescita del Paese. Usa e Europa temono una
nuova recessione
Ormai è ufficiale.
L’ipotesi di una nuova mostruosa crisi immobiliare, capace
di sconvolgere l’economia, non è più materia esclusiva degli
analisti più paranoici. E’ diventato uno scenario credibile,
magari non troppo scontato, ma abbastanza concreto da
condizionare i mercati e minare il timido processo di
ripresa globale.
La notizia, rivelata oggi in esclusiva dall’agenzia
Bloomberg, è che i cinesi si stanno preparando al
peggio. Nel mese scorso, ha spiegato una fonte anonima di
Pechino, le autorità di regolamentazione hanno ordinato una
nuova serie di stress test, gli ormai celebri esami di
solidità con i quali si verifica la capacità di tenuta delle
banche di fronte a scenari virtuali negativi. La novità
però è data dall’entità dell’allarme. I test dell’anno
passato avevano preso in considerazione, quale peggiore
scenario, un calo dei prezzi degli immobili pari al 30%. Ma
negli esami di oggi tale percentuale è salita al 60%. Una
visione molto pessimistica. Che però non induce a dare per
scontato un simile collasso.
Questi numeri servono però a dare agli osservatori una
notizia: anche la Cina teme la crisi economica. A
terrorizzare i mercati c’è l’ipotesi di un più volte
sussurrato “Big one”, lo scoppio della bolla speculativa
immobiliare cinese. Un evento di questo genere sarebbe in
grado di far ripiombare l’economia mondiale in una nuova
recessione da affrontare, però, portandosi questa volta
sulle spalle il peso di una crisi non ancora risolta oltre
al macigno dello stato conti pubblici. I dati non sono certo
incoraggianti. Nello scorso anno il mercato cinese è stato
invaso da un’ondata record di nuovi prestiti per un valore
complessivo di 1.400 miliardi di dollari. Nel primo
trimestre del 2010 il prezzo medio delle abitazioni cinesi è
aumentato del 68% rispetto al medesimo periodo dell’anno
passato.
Le banche, nel frattempo, affrontano rischi crescenti. Nelle
scorse settimane l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha
lanciato l’allarme sulla crescita dei prestiti non
performanti, ovvero dei crediti non remunerativi o, nella
peggiore delle ipotesi, non recuperabili. Un fenomeno che
avrebbe indotto Pechino ad abbassare per il 2010 il tetto
massimo sul credito erogato. Qualcuno, a cominciare dall’ex
capo economista del Fondo monetario internazionale (Fmi)
Kenneth Rogoff non esita a parlare di scoppio
imminente. Un simile collasso, ovviamente, determinerebbe un
rallentamento della crescita di Pechino generando una
contrazione della domanda capace di pesare sul comparto
industriale delle economie più sviluppate. La famosa fase
negativa della temuta ripresa “a W” cesserebbe così di
essere una semplice ipotesi assumendo chiaramente un volto.
Per riportare un po’ di serenità servirebbero forse
risultati incoraggianti dai temuti stress test di Pechino ma
i dubbi recentemente espressi in Europa sull’utilità
effettiva di questo tipo esami alimentano nuove paure. E il
rischio è che alle previste rassicurazioni dei Cinesi,
presto o tardi, non creda più nessuno.
In Usa è strage di
banche
Ma i giganti possono esultare
Dall'inizio del 2010 sono
già falliti 103 istituti. Un record che pesa sulle tasche dei
contribuenti. Ma per i grandi colossi finanziari il futuro
appare sempre più roseo
Piccole banche americane muoiono. Nell’anonimato. E non
potrebbe essere altrimenti, considerati i luoghi sconosciuti
dove si trovano. Se, come la maggioranza dell’umanità, non
abitate nelle cittadine di Lantana (Florida) e Jasper
(Georgia) o non siete uno dei 1.400 residenti di Cave
Junction, nell’Oregon, nomi come Sterling, Home Valley e
Crescent restano le voci di un elenco senza significato.
Quello, tanto per intenderci, che nessuno a Washington
vorrebbe continuare ad aggiornare e che pure insiste nel
crescere a ritmo incalzante. Nomi di banche locali o, per
meglio dire, ex banche, visto che non esistono più da
venerdì scorso. Schiacciate dal peso di debiti insostenibili
sono ormai fallite e, al pari degli istituti Williamsburg
First, Thunder Bank, Community Security e Southwest, hanno
appena chiuso i battenti. La notizia passerebbe quasi
inosservata se non fosse che adesso le dimensioni del
fenomeno iniziano davvero a fare paura.
L’ultima ondata di default ha portato il numero
degli istituti falliti dall’inizio dell’anno a quota 103, un
autentico sproposito. Anche nel 2009 si era superato il
traguardo delle cento unità ma, allora, erano stati
necessari dieci mesi. Il record delle 140 bancarotte
registrate lo scorso anno dovrebbe essere ampiamente battuto
alla fine del 2010 smentendo così quella retorica de “il
peggio è passato” che nell’amministrazione Obama è divenuta
ormai un must irrinunciabile. Gli analisti si
preoccupano e hanno le loro buone ragioni. Secondo
Michael Snyder, ricercatore e commentatore di
Seeking Alpha, uno dei principali blog finanziari del mondo,
è giunto il tempo di ammettere che “il sistema bancario
americano sta morendo”.
Il guaio è che non si tratterà di una moria indolore. Il
sistema potrà anche fare a meno di qualche centinaio di
piccoli istituti ma i costi del loro fallimento graveranno
sull’intera nazione alimentando un circolo vizioso a dir
poco allarmante. In cima alla lista, ovviamente, ci sono i
guai della Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic). Si
tratta dell’organismo di garanzia sui fallimenti, una sorta
di cassa di compensazione statale. Quando la banca in cui
avete depositato i risparmi di una vita chiude la Fdic
interviene, entro certi limiti, per restituirvi la somma
equivalente. Attingendo ai suoi fondi, ovviamente. I soli
default della scorsa settimana sono costati all’ente 431
milioni di dollari contribuendo così a una crescita del suo
saldo negativo stimato oggi in 20,7 miliardi di biglietti
verdi. E così, mentre i conti federali si deteriorano
ulteriormente e il debito Usa si gonfia all’infinito, una
domanda inizia a sorgere spontanea: chi ripianerà i buchi di
bilancio? Risposta scontata: i contribuenti. Peccato però
che questo ennesimo onere ne minerà la capacità di spendere
vanificando almeno in parte quegli sforzi di rilancio
dell’economia che la Casa Bianca giudica tuttora ancor più
importanti di qualsiasi manovra di ripianamento dei conti.
Ma la storia, già di per sé tragica, non potrebbe ovviamente
esaurirsi senza sferrare l’immancabile beffa finale. A
trarre vantaggio dai decessi bancari, nota ancora Snyder,
saranno proprio coloro che al collasso hanno dato il via: in
un mercato in costante perdita di operatori a guadagnare
terreno sono soprattutto le mega istituzioni finanziarie.
Tecnicamente fallite ma sopravvissute per causa di forza
maggiore, le famose “Big Six” (Goldman Sachs, Morgan
Stanley, JPMorgan, Citigroup, Bank of America e Wells Fargo)
possiedono oggi un patrimonio equivalente al 60% del
prodotto interno lordo americano e promettono di crescere
ancora occupando nuove quote di mercato. Limitarne il
potere, ad oggi, sembra sempre più un’impresa disperata.
UN MILIONE DI
MILIARDI DI DOLLARI DI DEBITO GLOBALE, MA DOBBIAMO STARE
SERENI....
Il
sistema economico-finanziario mondiale e' ormai inondato dal
debito. E' un fenomeno storico di cui noi, in questa
generazione, siamo testimoni, qui ed ora. E' la piu' grande
bolla debitoria di sempre, pari in totale a un quadrilione di
dollari. Esatto, questo neologismo lo coniamo in Italia qui su
WSI per dare l'idea di quale sia l'ammontare di carta a buffo
che ci sommerge. In cifre $1.000.000.000.000.000, cioe' 10
alla 15esima. Fate finta che un secondo sia
come un dollaro. Un milione di secondi equivale a dodici
giorni. Un miliardo di secondi sono 32 anni e cinque trilioni
di secondi oltre 158 mila anni. A quanti anni luce corrisponde
un quadrilione? Rigiriamo la domanda ai nostri lettori
matematici o ingegneri.
Come faremo a ripagare questa enorme massa di carta stampata
dalle banche centrali, che davvero non ha precedenti nella
storia economica dell'umanita'? Una soluzione radicale sarebbe
fare un colossale default planetario, azzerare tutto, e
ripartire dal "via". Ovviamente non e' possibile (a meno di
ipotesi intermedie di ristrutturazione) pena il crack di
sistemi politici basati quasi tutti su ordinamenti "law &
order" e sul rispetto di leggi e contratti; torneremmo a
scambiarci conchiglie, ossa di tibia e per gli amanti
dell'economia jurassica, lingotti d'oro (e' una provocazione:
aspettiamo le reazioni dei molti fan del metallo giallo).
Invece, l'enorme massa di debito puo' essere solo "servita" da
ulteriore crescita dell'economia mondiale. E questo e' il
punto. Perche' sembra proprio che il motore dello sviluppo
economico nel mondo si sia imballato in conseguenza della
devastante crisi finanziaria del 2008-2009 esplosa in America
e diffusasi come in virus aggressivo in ogni angolo della
Terra. Il capitalismo sta vivendo una di
quelle crisi devastanti di cui nemmeno Carl Marx nel piu'
idilliaco dei suoi sogni si sarebbe immaginato. Il risultato
e' che vediamo in atto enormi pressioni deflazionistiche nel
mondo occidentale sviluppato. L'ulteriore conseguenza potrebbe
essere una depressione deflazionaria globale con successive
dislocazioni geopolitiche molto pesanti (lasciamo alla
fantasia di ciascun lettore immaginarle per varie zone
geografiche).
La maggior parte dei titoli sui media piu' seri e non al
servizio delle propagande politiche locali, negli ultimi mesi
si e' incentrata nella descrizione della questione "debito"
parlando dei problemi concreti di Grecia, Portogallo e Italia
(il nostro paese ha il record rapporto debito/pil in Europa al
118%, con 1.827 trilioni di euro, ed il terzo del mondo).
Eppure gli Stati Uniti quest'anno hanno un debito pari a
$8.000 trilioni di dollari e il debito sovrano in Giappone e'
a livello di rischio ancora piu' alto (n.1 nel mondo) con un
rapporto debito/pil del 219%. Il Giappone in questi mesi sta
onorando il debito a un tasso dell'1.50%. Se i tassi dovessero
per qualche motivo risalire al 3.50%, Tokyo non sarebbe
nemmeno in grado di pagare gli interessi.
Il problema vero delle degenerazioni del capitalismo sono le
banche e le banche centrali. Quelle italiane (di cui 2 o 3
hanno seri problemi di liquidita' dovuti alla forte crescita
di crediti "tossici" per i quali dovranno essere
ricapitalizzate) sono tutto considerato abbastanza solide, in
raffronto per esempio alle banche inglesi. Gli istituti del
Regno Unito hanno ammassato $4.400 trilioni di passivita'
all'estero, cioe' due volte il pil UK. Eppure l'Inghilterra
non ha mai fatto default dai tempi del Medio Evo.
La verita' e' che questo capitalismo e'
degenerato e Robin Hood sarebbe oggi un eroe se fosse vivo,
non perche' l'altro sistema e' migliore (leggete bene, lettori
che votate a sinistra: l'altro sistema e' morto e ha
fallito....AH ECCO, QUINDI ANCHE SE MI DICI CHE QUESTO SISTEMA
E' A SUA VOLTA FALLITO CHISSENEFREGA PERCHE' TANTO L'ALTRO
SISTEMA E' FALLITO PRIMA, QUINDI DI SOLUZIONI NON CE NE SONO
CARO IL MIO CAZZONE....) ma solo perche' il capitalismo ormai
ha smesso di essere fondato sul free market mentre si tiene
solo grazie ad un approccio che e' una miscela mista orrenda,
pericolosa, poco etica e soprattutto non funzionante.
Investimenti "tossici" che non dovevano mai essere fatti in
primo luogo e che dovrebbero essere adesso liquidati,
rimangono occultati nei bilanci taroccati del sistema bancario
e coperti da politiche monetarie colluse. In relazione a ciò,
la colpa storica del comunismo scientifico di tipo sovietico
E' QUELLA DI NON AVER, A SUO TEMPO, TAROCCATO STIME E BILANCI.
ECCO PERCHE' E' FALLITO: AD EST FURONO MOLTO PIU' ONESTI CHE
AD OVEST.
La lezione che abbiamo imparato - dopo la recente gravissima
crisi finanziaria, la peggiore dalla Grande Depressione del
1929 - e' che i banchieri, la maggior parte
dei quali non sono ne' lungimiranti ne' colti, ancora guidano
i destini del mondo. In Italia si parla di cricche, caste e
P3: si tratta di realta' inconfutabili e non di "montature" o
"polveroni", come afferma il nostro premier Silvio Berlusconi.
Eppure cricche, caste e P3 fanno tutte ineluttabilmente capo a
una super-lobby: quella dei banchieri.
Gli sforzi per riformare il sistema finanziario e il sistema
bancario globale, come l'idea di inserire una tassa sulle
transazioni dei prodottti derivati piu' a rischio - la vera
droga di questo capitalismo - non hanno fatto grandi passi
avanti, come ci si sarebbe aspettati secondo buon senso.
Perfino la riforma finanziaria che "l'ottimo"
presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, firmera' tra pochi
giorni a Washington come legge, e' un patetico cerotto per
coprire le ferite di Wall Street e non la seria operazione
chirurgica ( DOPO IL cerotto di una riforma sanitaria
DEPOTENZIATA E LIMITATA AD UN ALLARGAMENTO GRATUITO
ESTREMAMENTE CONTENUTO PER NON URTARE TROPPO LE COMPAGNIE DI
ASSICURAZIONE AMERICANE...) che era urgente per
estirpare un cancro maligno (del resto, se per far vincere la
corsa alla Casa Bianca a un presidente in America serve mezzo
miliardo di dollari, capirete bene di che spiccioli si tratta
rispetto al quadrilione di dollari di cui sopra).
I banchieri oggi hanno perfino piu' voce in capitolo di prima
sulle regole disegnate nell'ambito di Basilea dalla BRI, la
Banca dei Regolamenti Internazionali. Le banche di tutto il
mondo hanno vinto questa mano al tavolo, rispetto a quelle che
erano le richieste iniziali sulla necessita' di
capitalizzazione e sul taglio delle assunzioni di rischio. Gli
enti di controllo e le banche centrali si sono orientati con
sicumera verso regole meno stringenti prendendo le distanze
dalle prime proposte (purtroppo l'ex presidente della Fed Paul
Volcker, consulente finanziario dell'amministrazione Obama, e'
stato messo in posizione di non nuocere).
Cosi' sappiamo fin d'ora che banche centrali, banchieri e
stati continueranno a trattare il mercato finanziario come un
tossicodipendente, agendo da spacciatori. Dite voi, qual e' il
disegno di chi sa che l'esito e' la morte per overdose?
Nel frattempo la Federal Reserve americana ha passivita' in
bilancio che si avvicinano a $5.000 trilioni di dollari e il
rapporto debito/pil degli Stati Uniti sta raggiungendo
rapidamente il livello del 100%, non come quello italiano, ma
insomma sulla pessima strada dei paesi gestiti male.
Quello di Obama e' un disperato tentativo
keynesiano di stimolare un'economia portata sull'orlo del
collasso apocalittico (stava per succedere: il 10 ottobre
2008) dopo gli 8 anni di irresponsabile presidenza di George
W. Bush, coadiuvato sul fronte monetario dal super-colpevole
ex presidente della Federal Reserve Alan Greespan (quello
passato alla storia per la sua definizione di "esuberanza
irrazionale", che s'e' visto dove ci ha portato).
Dunque stiamo descrivendo qui l'enorme massa di indebitamento
degli Stati Uniti, la prima economia del mondo, del Giappone,
la seconda economia mondiale, della Gran Bretagna, la sesta
economia, e dell'Italia, la quinta economia.
E venendo a casa nostra, quanto sarebbe piu' opportuno se il
ministro Giulio Tremonti invece di parlarci per metafore tra
cultura pop e pseudo-filosofia ("siamo in parete" "l'economia
mondiale e' come un video-gioco" "poliarchia e democrazia"
"illuminati") ci parlasse con onesta' e coraggio trattando gli
italiani da adulti e non da ragazzini da educare (leggere
intervista su "Repubblica").
Tremonti, uno dei pochi membri
dell'esecutivo che meriti i pieni voti (MA CHE CAZZO DICE
QUESTO: A FINE APRILE, AD ANNO ZERO, IL SIGNOR TREMORTI CI
SPIEGAVA CHE I CONTI ERANO IN ORDINE E LA CRISI FINITA, DOPO
15 GIORNI, UNO DEI SUOI ACCOLITI, IL GERONTOCRATE LETTA, CI
SPIEGAVA CHE INVECE ERAVANO SULL'ORLO DELLA GRECIA....)
(e per questo inviso al premier) potrebbe certamente
spiegarci, senza finto ottimismo, i rischi sottostanti
l'enorme pressione deflazionistica in atto nelle economie dei
paesi sviluppati. Lui e' certamente consapevole del fatto che
la deflazione potrebbe portare - il condizionale e' d'obbligo
perche' in verita' nessuno sa cosa puo' davvero accadere - al
giorno del giudizio, a punizioni non religiose ma a batoste di
portafoglio globali (e per fortuna il papa o gli imam non
hanno voce in capitolo almeno sulle politiche monetarie ed
economiche del mondo) insomma ad un clamoroso crash
deflazionario con tutto cio' che questo comporterebbe su
occupazione, consumi, produzione, prezzi delle case, prezzi in
Borsa.
Certo in altre parti del globo la prospettiva e' meno grama, e
infatti la Cina ha appena messo a segno una crescita superiore
al 10% nei primi 6 mesi del 2010. Solo che Pechino non potra'
continuare a tirare l'economia mondiale all'infinito.
La Cina - che ha un pil ancora relativamente
piccolo per gli 1,3 miliardi di abitanti dell'immenso
territorio cinese - dipende in massima parte dall'Europa,
dagli Stati Uniti e dagli altri mercati occidentali per
l'esportazione dei propri prodotti, manufatti con un costo del
lavoro tuttora infimo rispetto a quello dell'Occidente.
(sbagliato, non e' il costo del lavoro ad incidere,
coglione!!! E' la quantità di merci prodotta, testa di cazzo
!!!!) Le sue fabbriche potrebbero trovarsi con una
colossale sovraccapacita' produttiva e i magazzini ricolmi di
merce che il resto del mondo non compra piu'.
L'Italia e' in prima linea in questa guerra economica. Ma gli
italiani non lo sanno, non gli viene detto, per cui non
capiscono e diciamolo... non gliene frega niente, tra un
Grande Fratello, un mondiale di calcio e un Emilio Fede. Anche
perche' siamo coperti dall'ombrello dell'Europa e dell'euro,
altrimenti Roma parrebbe adesso Buenos Aires nel 2002, altro
che Atene in questi giorni. Per cui si parla di tutt'altro e
fintantoche' il cavallo - il popolo italiano - continua a bere
la pozione mediatica a base di melassa e finti problemi, i
banchieri, i politici, le caste e le cricche continueranno a
prosperare indisturbati, senza distinzione tra destra e
sinistra. Ogni tanto qualche magistrato richiamera'
l'attenzione su reati gravi e appropriazioni indebite a danno
della collettivita', compiute da qualche ascaro del potere
piu' stupido perche' accecato dal senso di impunita'; ma nulla
cambiera'. E probabilmente capiremo proprio da Giulio Tremonti
un bel giorno, quando presentera' le proprie dimissioni, che
saremo al "game over" nel video-gioco dell'economia, almeno
nella versione in lingua italiana.
LE CONTINUE
MEGASTRONZATE DEI PREMI NOBEL
Per il premio Nobel
Mundell si va dal 10% dell'Italia al 40% della Grecia, passando
dal 20% di Spagna, Irlanda e Portogallo. Ma per i Paesi
perififerici della zona euro il peggio potrebbe essere alle
spalle. Buone notizie per l'euro.Spagna, Portogallo e Irlanda sono
esposti ad un rischio del 20% di default del loro debito sovrano,
mentre le probabilita' che la Grecia si veda costretta a
ristrutturare il proprio debito e' pari al 40%. L'italia e' quella
messa meglio dei cinque con una chance del 10%. Questo le stime
del premio Nobel per l'economia Robert Mundell, molto piu'
ottimiste di altri suoi colleghi di pari grado.Poi
leggiamo:
Debito e sostenibilità:
disastro Italia
Nel Primo mondo solo la Grecia peggio di noi
Lo sostiene l’istituto
olandese Rabobank. Secondo il suo “Sovereign
Vulnerability Index” la finanza pubblica della
Penisola è, Grecia a parte, la più fragile del
mondo industrializzato. A condizionare il
risultato il riconoscimento della scarsa
credibilità del governo. Chissà cosa ne pensa
Tremonti…
Meno di un mese fa Giulio Tremonti
cantava vittoria. L’Unione Europea accettava
di includere il debito netto dei privati
(famiglie, banche e imprese) nel suo indice
di sostenibilità sovrana superando il
vecchio schema del rapporto debito/Pil che
vedeva la Penisola in cima alla lista nera
del rischio con il suo ineguagliabile 115%,
il peggior quoziente d’Europa. “Nell’insieme
abbiamo un sistema molto sostenibile”
affermava convinto il superministro italiano
per il quale la crisi restava essenzialmente
un problema di salvataggi bancari. Ma gli
indici di solidità, è noto, possono sempre
essere corretti, almeno fintantoché c’è
spazio per nuovi indicatori capaci di
produrre una visione d’insieme più precisa.
E allora può arrivare la brutta sorpresa. Il
quadro si fa più nitido e il Paese dal
“sistema molto sostenibile” può scoprirsi,
disgraziatissima Grecia a parte, il più
fragile del Primo mondo.
A riferire la poco lieta novella è stato
Shahim Kamalodin,
ricercatore e analista presso l’istituto
olandese Rabobank. La sua creatura si chiama
“Indice di Vulnerabilità Sovrana” e, da
qualche giorno, ha preso a girare in rete
dopo aver catturato, per prima, l’attenzione
del più importante quotidiano economico
europeo: il Financial Times. Si tratta di
uno strumento di analisi che misura in senso
lato la fragilità della finanza pubblica
mettendo insieme in un colpo solo otto
diversi indicatori. Dal più classico
rapporto debito/Pil fino allo “sforzo”
monetario da impiegare per riportare i conti
ai livelli pre-crisi. Passando, ed è questo
l’aspetto più interessante, dal fantomatico
“corruption perception index”, vera e
propria chiave di volta dell’analisi. Ma
andiamo con ordine.
La tabella elaborata
da Kamalodin
ci dice che tra i Paesi più industrializzati
la Grecia resta la nazione
più fragile. Nessuna novità, direte voi, ma
le sorprese, manco a dirlo, sono dietro
l’angolo. Ellade a parte, infatti, a
stabilire il punteggio peggiore su scala
globale è proprio l’Italia,
che con i suoi 15.39 punti precede in
graduatoria un altro membro del club dei
“Pigs” (o Piigs, come direbbe qualcuno…): il
Portogallo. Forse è giunta
l’ora di inventare una nuova sigla, commenta
ironicamente il Financial Times. Basta
scalare a ritroso le posizioni della
classifica, infatti, per scoprire che un
paio di vituperati “maiali”, Spagna
e Irlanda, se la passano
decisamente meglio di altre nazioni
giudicate molto abitualmente più solide. Ci
sono il Giappone primatista
mondiale del rapporto debito/Pil e gli
Usa dei mega deficit
statali, ma non mancano nelle piazze d’onore
nemmeno i colossi europei Francia
e Gran Bretagna che fanno
compagnia, nel gruppo di testa, alla
sorpresa Belgio (quando mai
se ne era parlato?). Eh sì, è decisamente
tempo di un nuovo acronimo.
Tornando ai guai di casa nostra, la domanda
sembra sorgere spontanea: che cosa ha spinto
l’Italia sul secondo gradino del podio?
Istintivamente verrebbe da chiamare in causa
il micidiale debito pubblico – un fardello
da 1812,79 miliardi di euro cresciuto a
ritmi record ( 2,9%) dalla fine del 2009 –
ma la risposta va cercata altrove. A
determinare il disastro italiano, spiega
infatti Rabobank, è il famigerato
“indicatore numero 8”, proprio quel
“corruption perception index” che, si legge,
misura “la credibilità, la capacità e
l’abilità di un governo nel portare avanti
le necessarie misure di austerity”. Roma,
insomma, aveva promesso rigore e serietà. Ma
qualcuno non le ha creduto. I soliti
scettici e pessimisti?
Un coglione dice
che siamo nella merda ed altro dice che il
rischio è solo del 10%.
Europa manovrata da una societa'
segreta, il Gruppo Bilderberg,il terzo polo occulto massone pronto
a sorgere dalle macerie neocons
Dietro le iniziative della
Bce per salvare l'euro, la volonta' di una lobby potente composta
di banchieri, industriali e politici. C'e' anche Trichet. Ecco la
tesi cospiratoria. Massoni di sinistra? Tutti i nomi degli
italiani. Ma c'e' anche un nucleo super-segreto. Salvare l’euro a
tutti i costi e contemporaneamente mandare in soffitta peso
messicano e dollaro nella versione americana e canadese con
l’intento di promuovere una nuova valuta: l’amero. Obiettivo:
affiancare a quella Europea un’altra Unione, quella Americana.
Come? Tessendo trame segrete fino ad arrivare a condizionare
quanto accade in Europa e quanto scelto dalla Banca Centrale
Europea.
Sarebbe questo il piano occulto che avrebbe visto e vedrebbe
tuttora in azione personalita’ di prim’ordine del mondo economico,
politico e bancario sulle due sponde dell'Oceano, tutte raccolte
nel cosiddetto Gruppo Bilderberg, sulla cui natura massonica in
molti si sono interrogati. Nessuno tra i grandi sarebbe escluso,
da David Rockfeller ai membri della famiglia Rotschild passando
per alti esponenti della Casa Bianca di Barack Obama compresi i
Dipartimenti di Tesoro, Stato e Commercio dell’amministrazione
Usa.
A sollevare il polverone
(l'ultimo in ordine di tempo: la storia va avanti da anni) e’ un
noto cospiratore della destra repubblicana Usa piu' retriva e
anti-ebraica, Jim Tucker, editore di
American Free Press
e autore di "The Bilderberg Diaries", da cui Wall Street Italia
prende le distanze e a cui da' pero' spazio solo perche' i lettori
capiscano la portata di un fenomeno che non va taciuto. Tucker
dice di avere le carte che dimostrerebbero come l'ex primo
ministro UK Margaret Tatcher sia stata "punita" (facendola
sostituire dopo 10 anni di governo) solo per aver detto che
l'unico meeting Bilderberg a cui aveva partecipato non le era
piaciuto.
L’idea adesso e’ che a tutti dovrebbe essere chiaro, anche dopo il
G20 di Toronto (Canada), come i poteri bancario-finanziari
dell’Eurozona abbiano fatto il possibile per organizzare il
salvataggio dell’euro. Peccato, insinua Tucker, che sia sfuggito
(anzi: che si sia voluto tacere per la complicita' dei media
tradizionali) un piccolo ma non trascurabile dettaglio. Dietro
tante manovre e una difesa della valuta europea praticata con le
unghie e con i denti ci sarebbe la volonta' di lobby potenti che
vogliono salvare l'euro solo perche' perseguono l'intento di
creare un’unione monetaria simile a quella del Vecchio Continente,
ma tra Canada, Stati Uniti e Messico.I media, ricorda Tucker,
avrebbero deliberatamente taciuto su questo aspetto, pur
conoscendolo in ogni dettaglio. Perche’ mai? Tra le fila del
gruppo Bilderberg ci sarebbe chi controlla vari gruppi editoriali,
sia in Europa che in America, e giusto per citarne uno, il
"Washington Post", controllato dalla famiglia Graham (e in Italia
La Stampa degli Agnelli). "La crisi del debito scatenata dalla
Grecia e che minaccia altri paesi europei ha provocato da gennaio
una flessione dell’euro del 15% contro il dollaro. Qualche
economista ha creduto scontato un fallimento dell’unione monetaria
nella sua attuale forma con la possibilita’ che uno o piu’ paesi
del sud Europa tornino a utilizzare lira, peseta e dracma", ha
scritto Neil Irwin in un editoriale sul "Washington Post".
Citando questo passaggio, l’editore di American Free Press fa
notare che molti dettagli sono stati tralasciati. Altro esempio
eclatante: "Un banchiere legato a Bildergerg e chiamato Jean
Claude Trichet, insieme a suoi 16 mila dipendenti, sta lottando
allo stremo per salvare l’euro e promuovere l’amero", scrive
Tucker alludendo all'intero corpo di euroburocrati della Bce.
A sostegno della sua tesi, il cospirazionista anti-Bilderberg cita
proprio le recenti mosse adottate da EuroTower. Mosse che sono
andate ben al di la’ del compito della Banca Centrale con sede a
Francoforte, cioe’ quello di restare focalizzata nel controllo
dell’inflazione mantenendo i giusti limiti alla liquidita’ che
l'istituto di emissione puo’ immettere sul mercato europeo.
Tradendo la sua missione originaria, Trichet si e’ messo a
comprare bond governativi dei paesi membri allo scopo di
stabilizzare il mercato e salvare l'euro (l'operazione da 1
trilione di dollari varata circa tre mesi fa all'apice della crisi
greca).
Tucker continua spiegando che il "numero uno" dell’EuroTower ha
cosi’ preferito venir meno a regole molto rigide (e al suo mandato
ufficiale) ritenendo ben piu’ importante mantenere l’Unione
Europea compatta di fronte alla crisi in assoluto piu' pericolosa
dalla nascita dell'euro, scenario questo assolutamente inviso al
"Gruppo Bilderberg" e all'establishment che gli ruota intorno. "E
l’unico modo che abbiamo di salvare l’euro. Senza l’euro l’Unione
Europea salterebbe e con lei anche il pregetto di un Unione
Americana che cosi’ non vedrebbe mai la luce. Non possiamo
permettere che questo avvenga, mai", e' l'agenda imposta a
centinaia di milioni di cittadini europei ignari.
________________________________________
I massoni e la sinistra italiana
di Andrea Cinquegrani – tratto da "La Voce della Campania"
Il Gruppo Bilderberg nasce nel 1952, ma viene ufficializzato due
anni più tardi, a giugno del 1954, quando un ristretto gruppo di
vip dell’epoca si riunisce all’hotel Bilderberg di Oosterbeek, in
Olanda. Da quel momento le riunioni si sono svolte una o due volte
all’anno, nel più totale riserbo. In occasione di una delle
ultime, nella splendida e appartata resort di Sintra, in
Portogallo, il settimanale locale News riportò una notizia secondo
cui il Governo avrebbe ricevuto migliaia di dollari dal Gruppo per
organizzare «un servizio militare compreso di elicotteri che si
occupasse di garantire la privacy e la sicurezza dei
partecipanti».
Ma torniamo agli esordi. I primi incontri si sono svolti
esclusivamente nei paesi europei, ma dall’inizio degli anni ’60
anche negli Usa. Tra i promotori - precisano alcuni studiosi della
semi sconosciuta materia - occorre ricordare due nomi in
particolare: sua maestà il principe Bernardo de Lippe, olandese,
ex ufficiale delle SS, che ha guidato il gruppo per oltre un
ventennio, fino a quando, nel 1976, è stato travolto dallo
scandalo Lockheed; e Joseph Retinger, un faccendiere polacco al
centro di una fittissima trama di rapporti con uomini che per anni
hanno contato sullo scacchiere internazionale della politica e
dell’economia.
«La loro ambizione - viene descritto - era quella di costruire
un’Europa Unita per arrivare a una profonda alleanza con gli Stati
Uniti e quindi dar vita a un nuovo Ordine Mondiale, dove potenti
organizzazioni sopranazionali avrebbero garantito più stabilità
rispetto ai singoli governi nazionali. Fin dalla prima riunione
vennero invitati banchieri, politici, universitari, funzionari
internazionali degli Usa e dell’Europa occidentale, per un totale
di un centinaio di personaggi circa».
Ecco cosa hanno scritto alcuni giornalisti investigativi inglesi
nel magazine on line di Bbc News a pochi giorni dal meeting di
Stresa. «Si tratta di una delle associazioni più controverse dei
nostri tempi, da alcuni accusata di decidere i destini del mondo a
porte chiuse. Nessuna parola di quanto viene detto nel corso degli
incontri è mai trapelata. I giornalisti non vengono invitati e
quando in qualche occasione vengono concessi alcuni minuti a
qualche reporter, c’è l’obbligo di non far cenno ad alcun nome. I
luoghi d’incontro sono tenuti segreti e il gruppo non ha un suo
sito web. Secondo esperti di affari internazionali, il gruppo
Bilderberg avrebbe ispirato alcuni tra i più clamorosi fatti degli
ultimi anni, come ad esempio le azioni terroristiche di Osama bin
Laden, la strage di Oklaoma City, e perfino la guerra nella ex
Jugoslavia per far cadere Milosevic. Il più grosso problema è
quello della segretezza. Quando tante e tali personalità del mondo
si riuniscono, sarebbe più che normale avere informazioni su
quanto sta succedendo».
Invece, tutto top secret. Scrive un giornalista inglese, Tony
Gosling, in un giornale di Bristol: «Secondo alcune indiscrezioni
che ho raccolto, il primo luogo nel quale si è parlato di
invasione dell’Iraq da parte degli Usa, ben prima che ciò
accadesse, è stato nel meeting 2002 dei Bilderberg». Di parere
opposto un redattore del Financial Times, Martin Wolf, più volte
invitato ai meeting: «L’idea che questi incontri non possano
essere coperti dalla privacy è fondamentalmente totalitaria; non
si tratta di un organismo esecutivo, nessuna decisione viene presa
lì». Fa eco uno dei fondatori, anche lui inglese, lord Denis
Healey: «Non c’è assolutamente niente sotto. E’ solo un posto per
la discussione, non abbiamo mai cercato di raggiungere un consenso
sui grandi temi. E’ il migliore gruppo internazionale che io abbia
mai frequentato. Il livello confidenziale, senza alcun clamore
all’esterno, consente alle persone di parlare in modo chiaro».
Ed ecco cosa scrive un altro studioso di ordini paralleli e di
gruppi e associazioni che agiscono sotto traccia, Giorgio
Bongiovanni. «Bilderberg rappresenta uno dei più potenti gruppi di
facciata degli Illuminati (una sorta di super Cupola mondiale,
ndr). Malgrado le apparenti buone intenzioni, il vero obiettivo è
stato quello di formare un’altra organizzazione di facciata che
potesse attivamente contribuire al disegno degli Illuminati: la
costituzione di un Nuovo Ordine Mondiale e di un Governo Mondiale
entro il 2012. Sembra che le decisioni più importanti a livello
politico, sociale, economico-finanziario per il mondo occidentale
vengano in qualche modo ratificate dai Bilderberg».
«Il Gruppo - scrive ancora Bongiovanni - recluta politici,
ministri, finanzieri, presidenti di multinazionali, magnate
dell’informazione, reali, professori universitari, uomini di vari
campi che con le loro decisioni possono influenzare il mondo.
Tutti i membri aderiscono alle idee precedenti, ma non tutti sono
al corrente della profonda verità ideologica di alcuni membri
principali».
I veri ‘conducator’- secondo questa analisi - i quali a loro volta
fanno anche parte di altri segmenti strategici nell’organigramma
degli Illuminati. Due in particolare: la Trilateral e la
Commission of Foreign Relationship, nata nel 1921, la quale
riunisce a sua volta tutti i personaggi che hanno fra le loro mani
le leve del comando negli Usa. «Questi membri particolari -
prosegue Bongiovanni - sono i più potenti e fanno parte di quello
che viene definito il ‘cerchio interiore’.
Quello ‘esteriore’, invece, è l’insieme degli uomini della
finanza, della politica, e altro, che sono sedotti dalle idee di
instaurare un governo mondiale che regolerà tutto a livello
politico e economico: insomma, le ‘marionette’ utilizzate dal
cerchio interiore perché i loro membri sanno che non possono
cambiare il mondo da soli e hanno bisogno di collaboratori
motivati e mossi anche dal desiderio di danaro e potere».
Passiamo, per finire, alla Trilateral, vero e proprio luogo cult
del Potere nascosto, in grado comunque di condizionare i destini
del mondo. Ovviamente ‘sponsorizzato’ della star
dell’imprenditoria multinazionale, come Coca Cola, Ibm, Pan
American, Hewlett Packard, Fiat, Sony, Toyota, Mobil, Exxon,
Dunlop, Texas Instruments, Mutsubishi, per citare solo le più
importanti.
L’associazione nasce nel 1973, sotto la presidenza "democratica"
di Jimmy Carter e del suo consigliere speciale per la sicurezza,
Zbigniew Brzezinsky, il vero deux ex machina. A ispirare il
progetto, le famiglie Rothschield e Rockfeller, i Paperoni
d’America. Un progetto che ha irresistibilmente attratto i potenti
del mondo, a cominciare proprio dai presidenti Usa, con un Bill
Clinton in prima fila. Così descriveva Giovanni Agnelli la
Trilateral: «Un gruppo di privati cittadini, studiosi,
imprenditori, politici, sindacalisti delle tre aree del mondo
industrializzato (Usa, Europa e Giappone, ndr) che si riuniscono
per studiare e proporre soluzioni equilibrate a problemi di
scottante attualità internazionale e di comune interesse». Il
solito ritornello.
Di diverso avviso il giornalista Richard Falk, che già nel 1978 -
quindi a pochissimi anni dalla nascita - scrive sulle colonne
della Monthly Review di New York: «Le idee della Commissione
Trilaterale possono essere sintetizzate come l’orientamento
ideologico che incarna il punto di vista sopranazionale delle
società multinazionali, che cercano di subordinare le politiche
territoriali a fini economici non territoriali». E’ la filosofia
delle grandi corporation, che stanno privatizzando le risorse di
tutto il pianeta, a cominciare dai beni primari, come ad esempio
l’acqua: non solo riescono a ricavare profitti stratosferici ma
anche ad esercitare un controllo politico su tutti i Sud - e non
solo - del mondo. La logica della globalizzazione. E i bracci
operativi di questo turbocapitalismo sono proprio due strutture
che dovrebbero invece garantire il contrario: ovvero la Banca
Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale.
«Entrambi - scrive uno studioso, Mario Di Giovanni - sotto lo
stretto controllo del ‘Sistema’ liberal della costa orientale
americana. Agiscono a tutto campo nell’emisfero meridionale del
pianeta, impegnate nella conduzione e ‘assistenza’ economica ai
paesi in via di sviluppo». E proprio sull’acqua, la Banca Mondiale
sta dando il meglio di sé: con la sua collegata IFC
(Internazionale Finance Corporation) infatti sta mettendo le mani
sulla gran parte delle privatizzazioni dei sistemi idrici di mezzo
mondo, soprattutto quello africano e asiatico, condizionando la
concessione dei fondi all’accettazione della privatizzazione,
parziale o più spesso totale, del servizio. Del resto, è la stessa
Banca a calcolare il business in almeno 1000 miliardi di dollari…
Scrive ancora Di Giovanni: «Le decisioni assunte dai vertici della
Trilateral riguarderanno sempre di più quanti uomini far morire,
attraverso l’eutanasia o gli aborti, e quanti farne vivere,
attraverso un’oculata distribuzione delle risorse alimentari.
Decisioni che riguarderanno l’ingegneria genetica, per intervenire
nella nuova ‘umanità’. In una parola, tutto ciò che
definitivamente distrugga il ‘vecchio’ ordine sociale, cristiano,
per la creazione di un nuovo ordine. Ma tutto questo senza
particolari scossoni. Non vi sarà bisogno di dittature, visto che
le democrazie laiche e progressiste, condotte da governi di
‘centrosinistra’, servono già così efficacemente allo scopo.
Governi che riproducono - conclude - una formula già sperimentata
lungo l’intero corso del ventesimo secolo e plasticamente
rappresentata dal passato governo Prodi-D’Alema: l’alleanza fra la
borghesia massonica e la sinistra, rivoluzionaria o meno».
Tutti i nomi degli italiani in Bilderberg
(ATTENZIONE: elenco visibilmente non aggiornato, gli asterischi
rossi e azzurri non sono distinguibili)
Pubblichiamo l’elenco delle personalità italiane che hanno preso
parte almeno una volta dal 1982 ad oggi, si summit internazionali
dei Bilderberg. Sotto a ciascun nome, la qualifica che ricoprivano
al momento dell’ultima partecipazione. Con l’asterisco rosso, i
nomi dei partecipanti al summit del 2004 di Stresa. Con
l'asterisco azzurro, coloro che vengono indicati come "membri" o
che hanno rivestito cariche di vertice all’interno della lobby.
AGNELLI GIOVANNI *deceduto nel 2002
AGNELLI UMBERTO * deceduto nel 2004
AMBROSETTI ALFREDO * Presidente Gruppo Ambrosetti
BERNABE’ FRANCO * Ufficio italiano per le iniziative sulla
Ricostruzione nei Balcani
BONINO EMMA Membro della Commissione Europea
CANTONI GIAMPIERO Presidente BNL
CARACCIOLO LUCIO * Direttore Limes
CAVALCHINI LUIGI G. Unione Europea
CERETELLLI ADRIANA Giornalista, Bruxelles
CIPOLLETTA INNOCENZO Direttore Generale Confindustria
CITTADINI CESI GIAN C. * Diplomatico USA
DE BENEDETTI RODOLDO * CIR
DE BORTOLI FERRUCCIO * RCS libri
DE MICHELIS GIANNI ex Ministro degli Affari Esteri targato PSI
DRAGHI MARIO Direttore Min. Tesoro poi al vertice della Banca
d'Italia spa
FRESCO PAOLO Presidente FIAT
GALATERI GABRIELE Mediobanca
GIAVAZZI FRANCESCO * Dicente Economia Bocconi
LA MALFA GIORGIO Segretario nazionale PRI
MARTELLI CLAUDIO ex Deputato – Ministero Grazia e Giustizia
targato PSI
MASERA RAINER S. Direttore generale IMI
MERLINI CESARE * Vicepresidente Council for the United States and
Italy
MONTI MARIO * Commissione Europea
PADOA SCHIOPPA TOMMASO * BCE Banca Centrale Europea, ex ministro
dell'economia
PASSERA CORRADO * Banca Intesa
PRODI ROMANO * ex Presidente UE, poi premier dal 2006 al
2008
PROFUMO ALESSANDRO Credito Italiano,Banca unicredit
RIOTTA GIANNI * Editorialista La Stampa,ex direttore TG1
ROGNONI VIRGINIO ex Ministero della Difesa
ROMANO SERGIO Editorialista La Stampa poi al Cor Ser
ROSSELLA CARLO Editorialista La Stampa,ora direttore TG5
RUGGIERO RENATO * Vicepresidente Schroder Salomon Smith Barney poi
distruttore della Telecom
SCARONI PAOLO * ENEL Spa, già condannato in primo grado per frode
SILVESTRI STEFANO * Istituto Affari Internazionali
SINISCALCO DOMENICO Direttore Generale Ministero Economia
SPINELLI BARBARA Corrispondente da Parigi – La Stampa
STILLE UGO Corriere della Sera
TREMONTI GIULIO * Ministro dell’Economia
TRONCHETTI PROVERA MARCO * Pirelli Spa
VELTRONI VALTER Ex Editore L’Unità fallita, poi sindaco di
Roma fallita, ex primo segretario PD strafallito
VISCO IGNAZIO * Banca d’Italia
VITTORINO ANTONIO Commissione Giustizia UE
ZANNONI PAOLO * FIAT
Euro: il peggio
deve ancora venire, calera' a 1 sul $
Le previsioni economiche
piu' accurate ci dicono che l'euro continuera' a indebolirsi e
potrebbe avvicinarsi addirittura alla parita' nei confronti del
dollaro, con la Banca centrale europea impegnata nell'acquisto di
ulteriori titoli di Stato con l'obiettivo di sostenere l'economia
dell'eurozona.
In un'intervista
rilasciata a Bloomberg, Shaun Osborne, chief strategist sul
valutario di TD Securities ha detto che l'euro si deprezzera' fino
a $1.13 dollari nel terzo trimestre, per poi scivolare a quota
$1.08 entro fine anno. Nel 2011 la moneta unica e' destinata a
tornare sui livelli di $1, per poi finalmente risalire. A Osborne,
le cui previsioni in media hanno avuto un margine di errore del
4.1% in passato, hanno fatto eco i nove esperti dalle previsioni
piu' accurate, secondo cui l'euro perdera' terreno nei prossimi
due trimestri. Nella prima meta' dell'anno la valuta europea ha
perso il 15% del suo valore contro il dollaro, sulle speculazioni
che i deficit di bilancio record di Irlanda, Portogallo e Grecia
costringeranno i governi a tagliare le spese e ridurre la crescita
economica. I rendimenti obbligazionari tra le nazioni cosiddette
periferiche dell'area dell'euro sono saliti rispetto ai bund
tedeschi, nonostante i leader dell'Unione europea abbiano
predisposto quasi $1000 miliardi dollari di aiuti per evitare un
default del credito sovrano.
Pigs: i maiali del debito sono tra
noi
Ci
chiamano P.I.G.S. (Portogallo, Irlanda/Italia,
Grecia, Spagna), non G.I.P.S. o S.P.I.G.. Proprio “PIGS”.
Maiali d’Europa. Colpevoli di aver speso
troppo, di aver ingrossato a dismisura i rispettivi debiti
pubblici. La banca d’investimenti Morgan Stanley
(proprio lei che nel 2008 è stata salvata con i
“prestiti di emergenza” della Federal Reserve) misura oggi
l’esposizione delle banche dei paesi “seri” del nord ai crediti
concessi ai “cattivi” del Sud Europa. La Francia e la Germania,
per esempio, hanno troppa Italia nei propri portafogli. E il
Mercato le punirà.
Peccato che ci si dimentichi di dire che, tra i maiali che si
stanno ingrossando a dismisura ci siano anche gli Stati
Uniti e la Gran Bretagna, dove – non
dimentichiamocelo – la crisi finanziaria è partita. Negli
Usa la percentuale del debito pubblico sul PIL
sta per superare il 90%, come durante la II guerra mondiale (in
Italia però – non dimentichiamoci neanche questo – è al 118%).
Alan Greenspan, ex governatore della
Federal Reserve, ha dichiarato recentemente a
Bloomberg che i titoli di stato (treasury bonds), con i quali
gli Stati Uniti finanziano il loro esorbitante debito pubblico,
saranno presto “poco graditi” nei mercati dei capitali, “perché
il governo federale non ha un piano realistico per tagliare la
spesa e ridurre il debito”. “Per gli USA sarà
una spiacevole sorpresa, perché nessuno si aspetta una reazione
negativa dei mercati nel brevissimo periodo”.
La crisi del debito è sistemica e coinvolge
buona parte dei paesi occidentali, non solo i “PIGS“.
Porterà presto, come ha osservato Mohamed El Erian, direttore di
Pimco (il più grande investitore mondiale in
titoli di stato), a una ridefinizione del rapporto tra paesi
“avanzati” e paesi “emergenti”, perché, grazie alla crescita e
ai surplus di bilancio, un numero sempre maggiore di paesi
emergenti (Cina, India, Brasile) avrà
prospettive più rosee rispetto ai paesi cosiddetti “avanzati”,
ancorati a terra da un debito pesantissimo.
Per “perdere peso” i paesi occidentali non
avranno scelta: dovranno aumentare le tasse e tagliare
drasticamente la spesa pubblica, sperando che
nel frattempo l’economia cresca. In una situazione del genere
puntare il dito sui P.I.G.S., come stanno facendo gli
investitori anglosassoni in questi giorni, è
come sparare sulla croce rossa. A farne le spese, come sempre,
sono i cittadini che pagano le tasse: dopo aver
salvato le banche, si sono accorti da tempo di avere i
maiali in casa. Anche se tutti cercano di convincerli
che sono solo teneri orsetti di pelouche.
Borse Ue ed euro in
calo, si torna alla dura realtà
Più che digerita la
notizia della rivalutazione dello yuan: d'altronde, si sa alla
fine che la mossa di Pechino è al rallentatore. La cautela prende
così il sopravvento, in attesa del vertice del G20 ma anche della
riunione della Fed.
22 GIUGNO
2010
Avvio in
calo per tutti i principali mercati azionari europei. Dopo i primi
scambi Amsterdam registra una flessione dello 0,54%, Bruxelles
dello 0,72%, Parigi dello 0,72%, Francoforte dello 0,23%, Londra
dello 0,57% e Madrid dello 0,89%.
Si torna così a scendere, dopo i guadagni portati a casa
ieri, sulla scia della notizia che la banca centrale cinese ha
aperto alla possibilità di rendere più flessibile lo yuan.
Digerita la notizia si torna alla realtà, che appare ben diversa
da quella che i mercati avevano voluto vedere ieri.
Se anche la Cina lascerà rivalutare lo yuan, ciò avverrà in un
lungo periodo di tempo, perlomeno per recuperare la forte
svalutazione voluta dal Paese asiatico negli anni passati. Ora la
cautela prende il sopravvento, sia per l'avvicinarsi del vertice
del G20, che potrebbe anche mostrare qualche segnale di scontento
sulla mossa al rallentatore del Dragone, sia per l'attesa di
alcuni importanti eventi sul fronte economico.
Stamattina si aspetta l'indice IFO tedesco, ma questa sera
inizierà anche il meeting del FOMC, il Comitato di politica
monetaria della Federal Reserve, che annuncerà domani le decisioni
sui tassi. Intanto, l'euro torna ad affondare sotto gli 1,23
dollari, mentre perde terreno lo yuan cinese a 6,8095. La prudenza
spinge le valute rifugio come il dollaro e lo yen.
03:15|
E' facile puntare il dito contro i
ribassisti, che stanno complottando contro il mondo della
finanza.Alcuni
ritengono invece che il periodo prolungato di prestazione sotto
la media sia in realta' persino costruttivo e come ci insegna
quanto avvenuto in passato, ci attendono ritorni a doppia cifra
nel prossimo futuro.
Tutto vero, se non fosse per la fragilita' insita nei mercati
globali e nelle dimensioni esagerate degli squilibri.
Da tempo ne parliamo su queste pagine: uno dei problemi e' che
le droghe iniettate dal governo mascherano i sintomi e i malanni
del mercato, dopo anni di spese folli anzi che di cure a base di
deflazione delle classi di asset e di ristrutturazione del
debito.
Il mercato nelle ultime sedute e' stato anche troppo docile, ma
ci sono tutti i presupposti che fanno pensare che siamo
nell'occhio di un ciclone finanziario.
Abbiamo dunque un capitale globalizzato
completamente autonomo rispetto ai governi (come dimostra ad
esempio l'impotenza dell'Europa nei confronti della Grecia) che fa
saltare qualche anello debole (Piigs) e scatena una semplice
anteprima di ciò che potrebbe succedere a livello molto più
generale. Generale quanto? Dipende. C'è
molta violenza sociale nei fatti di Grecia, ma c'è anche molta
sovrastruttura mediatica e anche una certa dose di gioco delle
parti. La scena con poliziotti avvolti dalle fiamme è fotogenica,
ma le molotov, seppur pericolose per gli individui, sono innocue
dal punto di vista dei risultati sociali. Le devastazioni sono
fini a sé stesse e dominano le simbologie anarco-situazioniste,
mentre passa in secondo piano l'importantissimo travaglio di tipo
"sindacale". In fondo l'hanno vinta epifenomeni che assumono un
significato solo nel contesto generale, che è quello della crisi
sistemica internazionale potenzialmente in grado di sollevare una
risposta sociale altrettanto internazionale. Le masse si scontrano
con la polizia, si avanza, si indietreggia e volano mazzate, ma in
realtà nessuno sa bene cosa fare.
Questa è la cosa tremenda: nessuno sa che cosa fare. E volano
stupide molotov, e muoiono tre poveracci, una morte senza senso
come
senza senso è la vita
sotto il Capitale trionfante. Per il
momento tutto è ambiguo, avvolto nell'incertezza.
Per il momento. Infatti i governi europei hanno racimolato
ulteriori 750 miliardi di dollari per prevenire la speculazione.
Il Sole 24 Ore avverte sul suo sito web: un estintore
da mille miliardi va bene per spegnere le fiamme più alte, ma
covano bracieri un po' dappertutto. Le borse hanno esultato un
momento per subito precipitare, perché c'è poco da stare
allegri: la Banca Mondiale calcola che i prodotti
finanziari derivati ammontino ad almeno un milione di miliardi
di dollari di cui il 70% OTC. L'acronimo vuol dire Over The
Counter, cioè scambiati in modi non ufficiali, ad esempio al
telefono via computer. In realtà le cifre sono date
come "notional" cioè stime, proprio per l'impossibilità di
controllo. Non c'è più nessuno in grado di sapere cosa possano
combinare capitali fittizi in tali quantità. Se appena si
muovono per un millesimo del loro ammontare, travolgono
qualsiasi barriera. E si osservi la velocità a cui procede l'autonomizzazione
del Capitale anche in un mondo abbastanza controllato come la
borsa:
Quest'immagine paradigmatica dovrebbe essere terrificante per
gli Stati. Essa mostra il declino dei capitali che si muovono
nel sistema borsistico ufficiale (New York Stock Exchange,
NYSE) e si spostano massicciamente su un ventaglio di mercati
elettronici paralleli, fuori da ogni controllo (titolo: Flash
sul crash-guazzabuglio). L'autonomizzazione del Capitale non è
una pensata di Marx, è la natura di questo sistema, e qui ne
vediamo solo una parte, che comunque alla borsa di New York
significa il passaggio dall'80% delle transazioni totali al
20% in poco più di sei anni. Il grafico tuttavia dà solo una
pallida idea di ciò che succede veramente, perché la borsa di
New York capitalizza in totale 14.000 miliardi di dollari
circa (più 7.000 di provenienza estera), vale a dire in totale
circa la cinquantesima parte dei capitali investiti solo in
derivati. I capitali "resi liberi" nella società sono dunque
mine vaganti in grado di far saltare altro che la Grecia.
L'Inghilterra, che se ne intende di capitali finanziari, s'è
tirata fuori dalla cordata di salvataggio intereuropea. Non
poteva fare altrimenti, dato che non partecipa all'eurozona;
ma s'è messa in guai molto seri. Infatti la situazione è
questa: durante un massiccio bombardamento alcuni paesi
dell'area euro si rintanano in un rifugio di fortuna
rischiando di finire sepolti dalle macerie, mentre i paesi di
area non euro vanno a spasso sotto le bombe senza neanche un
ombrello. Ricordiamo che nel 1992 il grande speculatore Soros
mise in ginocchio Inghilterra e Italia in un colpo con "soli"
10 miliardi di dollari.
E' in un
una situazione del genere che i proletari greci scioperano
preventivamente e chiedono lo sciopero generale
internazionale. Erano in duecentomila in piazza, ma il mondo
ha visto solo le molotov. Sono gli unici che si oppongono sul
serio al sistema facendo quel che possono per dare la loro
impronta al movimento sociale. Le assemblee proletarie sono
meno fotogeniche delle fiamme, ma sarebbe ben più interessante
avere un detector da quelle parti piuttosto che davanti alle
vetrine rotte. La piccola borghesia studentesca,
interclassista e romantica, ci interessa, ma solo come il
coperchio che si muove sulla pentola segnalando l'acqua in
ebollizione.
OCSE, ISTAT E MANOVRA DELLA
DISPERAZIONE: IN COMUNE HANNO DI ESSERE TOTALMENTE FARLOCCHE,
SPURIE, NON VERE
Se Totò Riina
e Bernardo Provenzano aprissero un'agenzia di rating
sullo sviluppo della criminalità in Italia che risultati
produrrebbe? Outlook criminalità zero. Una tripla A per l'Italia,
il massimo del punteggio per un Paese civile. Lo stesso avviene
per l'OCSE,
l' Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, il
cavaliere bianco di ogni crisi economica italiana.
Nel suo "Economic
Outlook" l'OCSE spiega che in Italia "la
recessione è finita a metà del 2009", notizia che
rasserena gli animi degli italiani turbati dalla Grecia prossima
ventura. L'OCSE è finanziata da
31 Paesi, tra cui l'Italia che è uno dei maggiori
contribuenti. Ha sede a Parigi, 2.500 DIPENDENTI e un budget
faraonico di 320 milioni di euro annui (dati
2009). L'OCSE è un inno alla politica economica di
Tremorti: "La politica del Governo ha aiutato a contenere la
disoccupazione, che continuerà comunque a crescere lentamente nel
2011 (quindi cresce anche nel 2010, ndr)". L'OCSE
valuta con ottimismo la disoccupazione italiana
senza però tenere conto degli scoraggiati (chi
non cerca più lavoro perché ha perso ogni speranza) e le
rilevazioni a campione farlocche che considerano occupati anche
coloro che hanno lavorato pochi giorni durante l'ultimo semestre:
"Il tasso di disoccupazione italiano resta
comunque inferiore a quello complessivo della zona euro e a quello
degli Stati Uniti". E' un inno all'Italia che riesce a "mantenere
un basso deficit primario, all'interno dei livelli stabiliti(?)"
e al governo che "è riuscito a mantenere insolitamente bassa
la crescita della spesa complessiva per il 2009", ma l'OCSE
non rileva che l'Italia ha accumulato circa 100 miliardi
di euro di debito pubblico nel 2009 e una trentina da
inizio anno ("crescita insolitamente bassa della spesa",
e di quanto, allora, doveva crescere per essere insolitamente
alta?).
Gli stipendi italiani sono i più bassi d'Europa e ora, dopo il
congelamento delle retribuzioni degli statali di Tremorti per il
prossimo triennio, spesso cifre di poco superiori a 1.000 euro al
mese, gli stipendi si avviano a essere i più bassi del
Mediterraneo. In compenso l'Italia ha la tassazione che
resta comunque superiore a quella complessiva della zona euro e a
quello degli Stati Uniti.
L'Italia, secondo l'OCSE. va, piano, ma va (ma dove va?) .
L'Italia che paga parte dei suoi 2.500 dipendenti. L'OCSE, tra gli
enti inutili è il più dannoso (dov'era prima del
crack economico del 2008, del fallimento della Grecia (Paese
membro)? ).
Tremorti tolga il finanziamento all'OCSE, lui e
lo psiconano non hanno bisogno di aiuto, a raccontare palle sono
inarrivabili.
C'è qualcosa di
nuovo nell'aria anzi d'antico. Un profumo di otto
settembre (1943,l'armistizio della seconda guerra mondiale),
di Caporetto (ottobre 1917), della fatal Novara (1849, Prima
Guerra d'indipendenza), di disfatta nazionale che riappare
periodicamente, come un vecchio amico in visita, come gli
attacchi di malaria a chi ne è colpito. E, nella migliore
tradizione nazionale, il giorno prima della tempesta brillava il
sole. I bollettini di guerra narravano di vittorie luminose, di
imprese dei nostri condottieri esaltate da schiere di lacchè e di
servi.
La statua di cera Letta
ha annunciato "Sacrifici duri", non solo sacrifici, ma
anche "duri". Il maggiordomo dello psiconano, tale nei
tratti e nei comportamenti, ha chiuso con una sola frase, certo in
modo inconsapevole, quindici anni di sprechi, di rapina della cosa
pubblica, di esproprio della democrazia. Il soave Letta ha
accennato alla bancarotta, le misure servono "per salvare il
Paese dal rischio Grecia" e ha usato termini da sincope: "disperato,
ma speriamo vittorioso tentativo di scongiurare una crisi
epocale...". Si avvicina la Waterloo
per il Governo delle 3I: "Incapace, Incompetente, Impunito". La manovra di
Tremorti per salvare il Paese assomiglia a un'estrazione a sorte,
a un mazzo di carte degli Imprevisti del gioco del Monopoli, a un
rompete le righe, a una fuga disordinata dal fallimento e dalla
realtà. Tagli alla "dove cojo cojo" usando il furto delle
parole. Le "finestre
dimezzate" che tolgono ai
pensionandi 800 milioni di euro nel 2010 e 1,6 miliardi nel 2011
(una "piccola iattura" secondo Brunetta).
Un gettito di 5 miliardi per la "messa a catasto di due
milioni di abitazioni", parole
di Bonaiuti. Se una casa non è accatastata di
solito è abusiva, quindi è una sanatoria. L'ennesima presa per il
fottuto di un culo di merda per i cittadini onesti. L'introduzione
del pedaggio per il tratturo Salerno-Reggio Calabria
e per i raccordi autostradali. L'aumento della percentuale di invalidità
dal 74 all'85% per ottenere una (merdosissima) pensione. Tagli
alle Regioni e ai Comuni che si tradurranno in meno servizi per i
cittadini che già arrancano come mamelucchi nel deserto. Il
congelamento degli stipendi agli statali per tre anni.
"Sacrifici duri" anche per parlamentari, ministri e
sottosegretari. Il loro solo stipendio lordo (i benefit non sono
inclusi) sarà diminuito del 10% della quota superiore a 80.000
euro. Questa elemosina è benzina sul fuoco. Gli
stipendi dei nostri parlamentari sono
i più alti d'Europa, quasi due volte quelli di Gran
Bretagna e Germania, più del doppio di Francia e Grecia. Nessuna manovra strutturale,
solo giochi di prestigio. L'eliminazione delle Province, la
cancellazione delle missioni di guerra totalmente inutili,
l'accorpamento dei Comuni sotto i 5.000 abitanti, l'abolizione
delle Grandi Opere Inutili come il Ponte di Messina da 5 miliardi
e la Tav in Val di Susa da 20 miliardi,il nucleare idiota ed
obsoleto oltre che pericolosissimo - quì la cifra dei miliardi di
euro in sperpero è indefinita-, la cancellazione del parco di
macchine blu più esteso del mondo. Le misure
"strutturali" che diminuiscono le spese per sempre e non una
tantum sono molte, ma Tremorti non ne attuerà
nessuna perché colpirebbe la casta, di cui fa parte, o gli amici
della casta. L' Italia sta fallendo un pezzo alla volta, una
Regione dopo l'altra, quando non ci saranno più fondi l'unica
alternativa per il Sud e parte del Nord sarà l'emigrazione, anche
questo un eterno ritorno per gli italiani.
Tra le prime aree
del mondo a rischio bancarotta c'è la Sicilia,
dietro il Portogallo e prima dell'Iraq.
E' tempo di fatwe laiche verso coloro che, come
ogni cittadino, devono contribuire ai "sacrifici duri".
Esempi sociali negativi da correggere. La prima fatwa è per Lucio
Stanca,
doppiostipendista pubblico, come amministratore di Expo
2015 e parlamentare, con 644.168 euro all'anno (incluso il
variabile). Se il deputato Stanca non rinuncia subito a una delle
due cariche, e insieme a lui, tutti suoi proseliti, nessun
sacrificio può essere chiesto agli italiani. Ogni persona che
incontri Stanca gli ricordi che non può essere mantenuto due volte
dalle nostre tasse. E' sempre meglio saltare da soli che essere
spinti nel vuoto.
Pesante
ribasso in avvio di seduta per Piazza Affari. Male anche Londra,
Francoforte , Parigi e Amsterdam. Tokyo chiude col Nikkei a -3,06,
sotto ai 9500 punti, ai livelli più bassi dal primo dicembre 2009.
Moneta europea più debole: 1,2377 dollari
Borse in
direttaCome
previsto la Germania ha imposto la sua linea, la Banca centrale
europea non favorirà l’inflazione stampando denaro per finanziare
i deficit europei e tutti sono chiamati a lacrime e
sangue. Guardandosi allo specchio, e parlando anche dell’Italia,
Silvio Berlusconi ha detto: “Molti paesi
dell’Unione europea sono consapevoli di aver vissuto al di sopra
delle proprie possibilità. Siamo quindi alla resa dei conti: il Pdl che ci aveva promesso un’Italia con meno tasse e senza
tagli si trova oggi a tentare di arginare il suo ministro
dell’Economia Giulio Tremonti che ha
bisogno di 28 miliardi di veri risparmi o di nuove entrate per
riportare sotto controllo i conti pubblici. La prima bozza della
manovra, fatta filtrare ieri al
Corriere della Sera, ha alcuni tratti di populismo, misure di
dubbia costituzionalità e, pur essendo priva di cifre, sembra
ancora lontana dagli obiettivi di riduzione della spesa che si è
dato Tremonti.
TAGLI AI DIRIGENTI. Il populismo si osserva nelle
riduzioni degli stipendi degli alti dirigenti della Pubblica
amministrazione dei manager pubblici. C’è anche un dato politico
che non dispiacerà all’opposizione: la Protezione civile
viene di fatto commissariata. I grandi eventi tornano ad essere
soltanto le catastrofi e quelli non prevedibili, a comandare sulla
gestione sarà adesso il Tesoro e non più Palazzo Chigi, cioè
Tremonti invece di Berlusconi e Gianni Letta.
Sparisce anche la Difesa spa
(che doveva snellire i rapporti del ministero in appalti e uso
delle risorse), si rinuncia a rifinanziare le regioni
commissariate per la spesa sanitaria e si tagliano i trasferimenti
agli enti locali che sforeranno il
Patto di stabilità nel 2010 (saranno moltissimi).Ricompare una misura ad alto rischio di
incostituzionalità: si rendono nulli i decreti ingiuntivi e i
pignoramenti verso le Asl delle regioni commissariate
reintroducendo una norma che lo stesso governo, nella persona del
ministro della Giustizia Angelino Alfano, aveva
bocciato nel 2007 alla Regione Campania che aveva provveduto con
propria legge regionale. E questo sarà un
problema per le imprese che non riescono a farsi pagare dalla
sanità regionale. Si finisce con un taglio lineare
(cioè non mirato a una riduzione delle risorse complessive) dell’8
per cento di alcune spese dei ministeri.
I CONTI. Più che una manovra all’altezza delle
aspettative della Commissione europea e dei mercati finanziari sembra lo specchio della disperazione di una
classe dirigente che non vuole ancora prendere del tutto atto
della realtà e dei sacrifici necessari, quindi della necessità di
un nuovo patto sociale. Per la prima volta nella
storia delle manovre finanziarie non si conoscono i risparmi
associati ad ogni misura, probabilmente perché il conto finale non
è ancora stato fatto davvero e, sommando quello che già si
conosce, si arriverà a stento a 20 miliardi di euro. Ne mancano
quindi ancora almeno altri otto per arrivare vicino a quella che
sarebbe la vera necessità per il solo 2011. Mentre infatti il
governo continua a mantenere le sue previsioni di crescita
per il 2011 all’1,4 per cento, le
maggiori banche e istituzioni internazionali hanno abbassato le
stime all’1,1 per cento per il prossimo biennio, riportando la
lancetta dell’ammanco a 40 miliardi per due anni.
NUOVI CONDONI. Si capisce
quindi perché in questi giorni si moltiplicano le voci di nuove
misure straordinarie per aumentare il gettito che nel 2009 aveva
retto solo grazie allo scudo fiscale. Le idee sono le solite:
condoni edilizi, condoni fiscali per le imprese e via dicendo.
Nessuna misura strutturale, nessun intervento per ridurre in modo
permanente le spese nei prossimi anni. Si brancola nel buio con le
mani in avanti sperando di non essere investiti da una crisi
finanziaria che si avvicina a tutta forza. Chi
sembra più consapevole del pericolo è proprio Tremonti che con i
suoi scarni comunicati e le ripetute minacce di dimissioni,
sapientemente fatte filtrare ai giornali, sembra oramai l’unico in
grado di cambiare la rotta politica della manovra e del governo.
Dopo le anticipazioni della manovra, Berlusconi ha subito smentito
non il documento, ma i suoi effetti: “Non metteremo le mani nelle
tasche degli italiani, ma cercheremo con ogni mezzo di combattere
le spese eccessive e naturalmente l’evasione fiscale”. Ma il
ministro del Tesoro è consapevole che i mercati concederanno una
tregua di sei-dieci mesi ai titoli del debito pubblico italiano
per poi verificare l’efficacia della manovra e la consistenza
della ripresa economica. Tremonti sa anche che entrambi questi
dati rischiano di essere negativi e che a quel punto sarà in
evitabile una resa dei conti nel governo e nel paese. Il calcolo
di sostenibilità ci dice che servono 60 miliardi in tre anni di
minori spese (strutturali) o di maggiori entrate (anche queste
strutturali), che il nostro tenore di vita dovrà abbassarsi del 20
per cento ed assomigliare, anche in termini di prezzi al consumo e
degli immobili a quello della Germania. La manovra estiva è solo
l’inizio.
I mercati azionari
continueranno a colare a picco nei prossimi mesi, fino a
perdere un altro 20 per cento. E' l'opinione del "Dr.Doom"
Nouriel Roubini, l'economista della New York University noto
per essere stato tra i primi a prevedere la crisi
finanziaria del 2008. La debolezza dell'Eurozona e un
rallentamento della ripresa negli Stati Uniti e altri paesi
sviluppati renderanno la vita difficile agli investitori nei
prossimi mesi, ha detto Roubini a Cnbc. "Ci sono alcune
parti dell'economia mondiale che ora sono a rischio di una
seconda recessione", ha detto. "Da questo punto in poi vedo
le cose peggiorare". Il mercato è a rischio "perché prima di
tutto ci sono problemi a livello macroeconomico
nell'Eurozona. Poi in Cina ci sono segnali di rallentamento,
il Giappone non è messo molto bene e la crescita economica
degli Stati Uniti rallenterà", ha detto. E ha aggiunto che
anche la riforma finanziaria appena approvata dal Congresso
americano rappresenta un rischio "perché non sappiamo che
effetti avrà". Per quanto riguarda l'Europa, Roubini ha
detto che risolvere i problemi del debito in Grecia è una
"missione impossibile" e che delle decisioni difficili sono
inevitabili. "Ciò che si deve fare è chiaro. Bisogna alzare
le tasse e tagliare le spese. Altrimenti ci ritroveremo in
un deragliamento fiscale", ha detto. "Ci vorranno anni di
sacrifici". E sui mercati europei anche nel pomeriggio hanno
prevalso le vendite. A dare fiducia ai listini non è stata
sufficiente nemmeno l'approvazione da parte del parlamento
tedesco del piano Ue relativo al maxi-fondo da 750 miliardi
di euro per la stabilizzazione dei mercati finanziari. A
Milano Ftse It All- 1,2% e Ftse Mib -1,3% a Parigi Cac40
-1,8%, a Francoforte Dax -2,6% e a Londra Ftse100 -1,6%.
Fsn-Emc mag 10 MAZ. L'economia è scomparsa dalle
prime pagine dei giornali e dei telegiornali o ridotta a
notizia di secondo piano. Eppure la Borsa di Milano
continua a perdere il suo già esiguo valore. Il titolo di
Telecom Italia è sceso sotto l'euro a 0,972, Intesa
San Paolo, la più grande banca del Paese, ha perso
il 33% da inizio anno (*). In generale le perdite
per le aziende oscillano tra il 20 e il 30%. La Merkel ha
ripetuto più volte che l'euro è a rischio. La ragione per
cui può saltare sono i debiti nazionali. I titoli di Stato
che coprono il debito dei
PIIGS possono trasformarsi in spazzatura da un
momento all'altro come è successo in Grecia.
I debiti nazionali riconvertiti in titoli
sono l'equivalente dei derivati tossici che hanno fatto
fallire banche in tutto il mondo. Dopo le banche falliranno
gli Stati. Ora, la Germania dovrebbe
ripianare, per tenere in vita l'euro, i debiti di Stati come
l'Italia, comprare il debito da Tremorti. Perché dovrebbe
farlo? In Germania i cittadini pagano le tasse mentre in
Italia l'evasione è stimata in 130
miliardi di euro all'anno. In Germania le truffe ai
danni della UE per centinaia di milioni di euro sono
inesistenti, le mafie non fatturano tra i 100 e i 150
miliardi ogni anno, la corruzione non drena
50 miliardi come da noi. Perché i tedeschi dovrebbero
aiutarci? Perché un tedesco dovrebbe privarsi di servizi
sociali o ritardare la sua pensione a causa
di una gestione delinquenziale dei conti pubblici attuata da
venticinque anni da gente come Craxi e Berlusconi?
La Merkel chiede un
limite al debito pubblico e al deficit degli
Stati e l'espulsione per chi non lo osserverà.
Tremorti si è riunito con quelli che ci ostiniamo a
chiamare ministri, ma che senza Berlusconi sarebbero al
massimo impiegati di concetto di qualche ente pubblico o
addetti alla pulizia dei gabinetti nelle stazioni.
Tremorti ha minacciato le dimissioni se non ci saranno i
tagli di 24 miliardi. Nessuno
meglio di lui sa che ne occorrono almeno 100 di miliardi e
che nessun governo politico è in grado di imporre una
manovra del genere ai cittadini, anche se diluita nel tempo.
Nel 2010 Tremorti, mentre il nostro debito pubblico aumenta
al ritmo di 100 miliardi all'anno,
deve vendere alcune centinaia di miliardi di euro di titoli
in scadenza. Chi li comprerà? Se non
lo farà la UE, e non lo farà, la festa è finita. Si potrebbe
chiedere alle mafie di comprarli in cambio di leggi
favorevoli. E' un'idea. Tremorti ci pensi.
Forse è l'ultima speranza, prima degli elicotteri. L'opzione
migliore rimane comunque la vendita dell'Italia alla
Germania in cambio dell'annullamento del debito.
Un'Italia protettorato meridionale tedesco, un balcone sul
Mediterraneo. Merkel for president. Now!
PICCO DEL PETROLIO, PICCO DELL'ACQUA,CROLLO
ECONOMICO-SOCIALE, di Lester Brown
La questione è: cosa possiamo fare e quanto ci costerà non farlo.
Perché se non lo facciamo, siamo finiti! La civiltà non
sopravviverà continuando con la solita gestione delle cose.
Dobbiamo operare grandi cambiamenti: tagliare
le emissioni di CO2, stabilizzare la crescita della popolazione,
sradicare la povertà - che è strettamente connessa con la
stabilizzazione della crescita demografica - e ripristinare
l’agricoltura, la pesca, le riserve idriche, il nostro sistema di
sostegno naturale. Il problema è che si tratta di un sistema
complesso di questioni e i capi di Stato sono consigliati perlopiù
da economisti. Ci sono un sacco di cose che gli
economisti fanno bene, ma ci sono delle cose che non sanno fare
bene affatto. Gli economisti non riconoscono il livello di
rendimento sostenibile dei sistemi naturali. L’economia
semplicemente non riesce a riconoscere la cosa.
Non c’è niente nella teoria economica che
spieghi perché l’industria della pesca del merluzzo in Canada sia
crollata, o perché si stiano fondendo i ghiacciai sugli altopiani
del Tibet e sull’Himalaya. L’economia non spiega perché la calotta
polare della Groenlandia si stia fondendo e il livello del mare si
stia alzando. Gli economisti sono come
esclusi dal mondo reale. Sono isolati dalla realtà dal corpo della
teoria economica. Cercano di trovare il modo migliore per operare
piccoli aggiustamenti per adattare il sistema e spiegare ciò che
accade, ma la teoria economica fallisce nel tentativo di spiegare
le relazioni fondamentali tra la l’economia globale e i sistemi
naturali di supporto. Mi sono
accorto che gli economisti che consigliano Obama o il Segretario
Generale dell’ONU, o la Banca Mondiale, o il presidente della UE
non capiscono cosa stia accadendo al mondo e non capiscono
l’urgenza di ristrutturare l’economia energetica mondiale per
esempio.
L’economia non spiega il cambiamento climatico. Per esempio, la
fusione dei ghiacci nell’estremo nord dell’Atlantico potrebbe
portare all’inondazione delle coltivazioni di riso nei delta dei
fiumi asiatici, riducendo drasticamente i raccolti di riso.
A meno che non si studino queste cose, non è ovvio intuire
che lo scioglimento dei ghiacci in Groenlandia sta minacciando la
raccolta di riso in Asia, dove vive la metà della popolazione
mondiale. È questo genere di complessità che ci troviamo a
gestire. Gli economisti non hanno gli strumenti giusti per
definire politiche adeguate. La metà della popolazione
mondiale vive in Paesi dove il livello delle falde acquifere si
sta abbassando. Tra questi i tre grandi produttori di grano: Cina,
India e Stati Uniti. Ci sono anche molti Paesi più piccoli: Arabia
Saudita, Yemen, Siria, Pakistan, Messico e altri. Pompando acqua
dalle riserve acquifere oltre il livello di riempimento naturale
(OVVERO QUELLO DETERMINATO DALLE PIOGGE: LA SICCITA' PORTA A
POMPARE ACQUA IN PIU' DALLE FALDE ACQUIFERE SOTTERRANEE CHE VANNO
SEMPRE PIU' IN PROFONDITA' ), stiamo alimentando una bolla nella
produzione di cibo. Stiamo inflazionando la produzione di cibo
artificialmente esaurendo le scorte d’acqua. Quando avremo esaurito le scorte
d’acqua, il tasso di prelievo dovrà necessariamente ridursi fino
al tasso di riempimento naturale, ovvero al grado di piovosità di
un territorio. Non si tratta di ipotesi o argomenti
di dibattito. È la realtà. Quindi abbiamo bolle della produzione
di cibo di dimensione significativa che prima o poi scoppieranno e
non credo che il mondo sia pronto a questo. A me pare che le aree
irrigate negli Stati Uniti hanno raggiunto un picco e stanno ora
diminuendo. Ciò vale certamente anche per l’India. Potrebbe valere
anche per la Cina, non siamo sicuri, e per un numero di piccoli
Stati: Arabia Saudita, Siria, Messico. Ciò significa che
probabilmente abbiamo raggiunto il picco di estrazione dell’acqua
contemporaneamente al raggiungimento del picco di estrazione del
petrolio. Molta gente
parla del picco del petrolio, ma pochi parlano del picco
dell’acqua. Ma penso che ci siamo ora e credo di aver
argomentazioni convincenti. Il mondo dopo il picco dell’acqua sarà
un mondo diverso da quello che conoscevamo prima del picco. Nel
corso delle nostre vite l’uso dell’acqua per le aree irrigate che
contano per il 70% dell’acqua utilizzata, diminuirà. Sarà un mondo
molto diverso, che non abbiamo ancora immaginato. Lo stesso vale
per il petrolio, naturalmente. Nel corso delle nostre vite il
tasso di estrazione è aumentato e ora diminuisce. Sarà un mondo
molto differente.
La
cancelliera tedesca: "In alcuni paesi dell'eurozona si rischia
l'effetto domino". Le banche trascinano al ribassoi listini.
Tremonti
sulla manovra: "Colpiremo evasori e falsi invalidi". Fisco, cambia
il redditometro / Commenta
Dubai World sigla
accordo su debiti, un problema in meno per le borse
La holding dell'Emirato
Arabo ha chiuso un'intesa da 14,4 miliardi di dollari con le
banche creditrici, che detenevano circa il 60% del debito
complessivo.
Dopo mesi di trattative,
Dubai World ha siglato un accordo di massima per la
rinegoziazione del suo debito da 23,5 miliardi di dollari. La
holding pubblica dell'Emirato Arabo ha chiuso un'intesa da 14,4
miliardi di dollari con le banche creditrici, che detenevano
circa il 60% del debito complessivo di Dubai World, mentre la
restante parte era in capo al governo locale.
La finanziaria ripaghera' quindi 4,4 miliardi di dollari in 5
anni ed i restanti 10 miliardi in otto anni.
La società aveva fatto parlare di sè nel novembre scorso, quando
l'annuncio di una moratoria sui suoi debiti aveva scatenato il
panico nelle borse di tutto il mondo.
I timori
per il debito pubblico dei Paesi europei condizionano i
mercati: male tutti i listini europei, Milano tra i
peggiori. Continua la discesa della moneta europea sul
dollaro
/ BORSE IN TEMPO REALE.
Si sussurra che la ormai attesa manovrina di Tremorti
sia arrivata a 50 miliardi di euro. E'
per "il rilancio dell'economia con tagli alle spese
che comporteranno sacrifici per tutti"
ha detto il ministro della Semplificazione
legislativa Roberto Calderoli. Per far digerire la
pillola agli italiani Calderoli ha proposto un taglio
del 5% degli stipendi dei parlamentari. La sofferenza di
deputati e senatori aiuterà gli italiani a dimenticare
che solo fino a ieri la crisi per il Governo non
esisteva e che lo psiconano li spronava a consumare di
più. La dolorosa riduzione inflitta ai parlamentari con
gli stipendi più alti d'Europa e che maturano la
pensione dopo due anni e mezzo sarà da sprone a chi non
arriva a fine mese.
Il viceministro dell'Economia
Vegas ha aggiunto un tocco spensierato e ottimista alla
proposta: "Perché no? Se si devono fare dei
sacrifici li devono fare tutti". Calderoli per
completare il buon esempio ha offerto il suo maiale da
passeggio per la mensa di Montecitorio.Per
Dubai i debiti servivano a finanziare nuovi palazzi da
mettere sulle cartoline, per l’Europa i debiti ora
servono semplicemente a sopravvivere. In questa
situazione gli investitori decidono cosa gli Stati
debbono e non debbono fare, quali sono le dichiarazioni
giuste e quelle sbagliate, e smascherano i
bluff. Venerdì il
mercato ha dato un segnale chiaro agli “establishment
del debito” pubblico: non potete continuare a vendere
fumo oppure non compreremo più i titoli di Stato e
fallirete miseramente. Lo ha fatto attaccando le Borse
dove si sente la mancanza dell’intervento della Banca
centrale, lo ha fatto iniziando a vendere anche i titoli
di Stato dei Piigs
(Italia inclusa, è inutile far finta del contrario) e
facendo capire alla Banca centrale europea che la cifra
da mettere sul piatto per sostenere l’Eurozona la
prossima settimana dovrà essere prossima ai 200 miliardi
di euro solo per frenare la caduta.
Qui nasceranno i problemi. La Germania ha annunciato una
manovra da 15 miliardi di euro e tagli alla spesa
pubblica e continua a essere contraria a massici
interventi della Banca centrale sul mercato
obbligazionario. I tedeschi non
sembrano disposti a pagare i conti degli altri con un
euro eccessivamente debole e una ripresa dell’inflazione
nel medio termine. Preferiscono sangue, dolore e lacrime
da imporre ai partner e rimettere in ordine i conti
europei. I titoli di Stato tedeschi sono volati venerdì
a livelli massimi indicando chiaramente che la Germania
è diventata l’unico paese rifugio in un’Europa alle
prese con il peggiore incubo degli ultimi anni.
La prossima settimana sarà determinante per capire
quanta fiducia hanno ancora gli investitori in questo
establishment europeo che ha mentito, chi più chi meno,
sulla propria situazione finanziaria e sta ancora
tentando di nascondere il problema con misure tampone
che non risolvono i problemi e non parlano chiaramente
ai propri popoli.
In Italia
“siamo di fronte a un governo e a una maggioranza che è
dichiaratamente contro la famiglia e che, con il Dpef,
si sta schierando contro il popolo e contro la gente
comune, privilegiando solo gli interessi dei poteri
forti”, diceva Roberto Calderoli nel 2006, parlando della dura Finanziaria del governo
Prodi di allora, ma ora è lui ad annunciare misure di
risanamento analoghe o più severe e parla di “sacrifici
per tutti”.
Dov’era la delegazione
leghista quando il governo Berlusconi
proponeva il Dpef
2010-2013 senza “né tagli né tasse” e vi aggiungeva uno
scudo fiscale che ha beneficiato i soliti furbi? Non si
sono accorti che le previsioni di crescita economica e
le entrate fiscali erano volutamente sovrastimate per
nascondere la verità dei conti? Questa mancanza di
trasparenza e onestà verso gli elettori a cui si vendeva
un’Italia dove “la crisi non esiste” ha aumentato la
violenza della crisi e il pericolo di essere colpiti dai
mercati finanziari. Ora si corre ai ripari con una
manovra finanziaria da 25 miliardi in 2 anni che già
sappiamo diventeranno 60 in 3 anni, sempre che gli
investitori internazionali siano ancora disposti a dare
fiducia a una classe politica che ha costruito le sue
fortune sul debito pubblico rinviando il momento della
resa dei conti con la realtà, e con gli elettori, e
accumulando immobili nel centro della Capitale.
Il taglio del 5% allo stipendio dei parlamentari è una
misura demagogica e ridicola per farci credere che siamo
tutti nella stessa barca e che i sacrifici toccheranno
tutti allo stesso modo. Sappiamo già che non è così, un
provvedimento equanime si poteva fare a dicembre 2009
quando la crisi aveva allentato la morsa e concedeva
tempo e possibilità di adottare provvedimenti ponderati,
confrontandosi con le imprese e i sindacati e anche con
l’opposizione.
Si è preferito negare la crisi, promettere in campagna
elettorale che si sarebbero eliminate le liste d’attesa
per le prestazioni sanitarie per poi scoprire che non ci
sono neanche i soldi per pagare i dipendenti delle
Asl. Si è preferito alimentare la speranza che si
intravedeva “una luce in fondo al tunnel”, non ci si era
accorti che quelle erano le luci di un treno che ci
stava arrivando addosso. Ma ora si farà troppo in
fretta, i tagli saranno duri e ripetuti e senza
confronto con le parti sociali. E più la crisi
internazionale si aggrava, più sarà necessario tagliare.
Aumentate gli stipendi ai parlamentari del 10% ma
dateci, per carità, una classe dirigente degna di questo
nome.
TIRARE A CAMPARE MA IL MODELLO
ESPONENZIALE DI CRESCITA ESISTE SOLO SULLA CARTA, NON NELLA
REALTA':IL DESTINO E' L'IMPLOSIONE
Che cosa sono i 110 miliardi che verranno dati
alla Grecia per salvarla (80 dai governi dell’Eurozona, 30 dal
Fmi) e i 750 approntati dall’Unione europea per creare un
maxifondo "anticrisi"? Nel mondo globalizzato tutti i Paesi
europei sono indebitati fra di loro e con gli altri Paesi
industrializzati che a loro volta sono indebitati con noi. I
miliardi dati alla Grecia e quelli del maxifondo "per battere la
speculazione" sono una partita di giro. Si tratta di denaro
inesistente, "tossico" non meno dei titoli “tossici”, che serve
per drogare ulteriormente il cavallo già dopato perché faccia
ancora qualche passo prima di schiattare definitivamente. È da 15
anni che i Paesi industrializzati, di fronte alle crisi che si
susseguono a ritmi sempre più incalzanti, si comportano in questo
modo: immettendo nel sistema altro denaro inesistente.
Nel 1996 il Messico era sull’orlo della bancarotta: doveva 50
miliardi di dollari ai Paesi industrializzati. Cosa fecero questi?
Gli prestarono altri 50 miliardi perché potesse restituire i primi
50. Un’operazione apparentemente assurda, che serviva però a
tenere il Messico al gancio del mondo industrializzato che poteva
così continuare a vendere ai messicani i propri prodotti. Più o
meno alla stessa maniera, con qualche variante, ci si comportò per
la crisi delle "piccole tigri" asiatiche nel 1997 che produsse a
cascata il collasso dell'Argentina piena zeppa di carta straccia
asiatica.
Così si è fatto per il collasso dei
subprime americani nell’estate 2007, default che si
è poi propagato in Europa e di cui l’attuale crisi è un’ulteriore
conseguenza (che cosa sono gli sbalorditivi tre trilioni di
dollari comparsi improvvisamente nelle mani del governo di
Washington? O ce li avevano prima e allora non si capisce perché
non li abbiano usati o è denaro puramente virtuale). Si tende da
parte dei governi e degli economisti al loro servizio a dare la
colpa di queste crisi alla "speculazione" e agli "eccessi" del
capitalismo finanziario. È uno scarico di responsabilità,
nient’affatto innocente, per eludere il nocciolo duro e vero della
questione: è l’intero nostro modello di sviluppo ad essere
"tossico". Il capitalismo finanziario non è che la diretta e
inevitabile conseguenza, oltre che, in qualche modo, la necessaria
precondizione, di quello industriale. Ne seguono le stesse
logiche: il profitto, la sua massimizzazione col minimo sforzo e,
soprattutto, l’inesausta scommessa sul futuro. Un futuro ipotecato
fino ad epoche così sideralmente lontane da essere inesistente.
Come il denaro che lo rappresenta (con un millesimo del denaro
circolante attualmente, nelle sue varie forme, si comprano tutti i
beni e i servizi del mondo. Il resto cos’è?).
Prendersela col capitalismo finanziario,
sottacendo di quello industriale, è come meravigliarsi che avendo
inventato la pallottola si sia arrivati al missile.
Noi ci stiamo comportando come un individuo che avendo un debito,
per coprirlo, ne fa uno più grosso e poi un altro più grande
ancora e così via. A livello individuale il giochetto dura poco.
Per un modello che si pone come planetario le cose vanno più per
le lunghe. Ma un sistema che si basa sulle crescite esponenziali,
che esistono in matematica, non in natura, quando non avrà più
possibilità di espandersi imploderà fatalmente su se stesso. E ci
siamo vicini. Lo dice anche il fatto che, essendo i nostri ormai
abbondantemente saturi, siamo alla ricerca disperata di altri
mercati, anche se poveri, anche se poverissimi e siamo disposti a
bombardare senza pietà i popoli, come quello afghano, che non ci
stanno a entrare nel nostro meccanismo.
Il paradosso di questo modello di sviluppo è che avendo puntato
tutto sul cavallo dell’economia, marginalizzando ogni altro valore
ed esigenza umana, sta fallendo proprio sul piano dell’economia.
Spero che ciò apra gli occhi alla gente e la induca, presto,
domani, subito, a impiccare al più alto pennone gli idioti e gli
impostori che stanno segando il ramo dell’albero su cui siamo
seduti. Ma ci credo poco. Se fossi su un altro albero riderei a
crepapelle guardandoli mentre fanno karakiri. Ma sono sullo stesso
ramo e mi tocca seguire, impotente, come molti altri miei
consimili, la sorte che queste canaglie imbecilli ci stan
preparando.
LA PACCHIA STA FINENDO. DOPO L'APPROVAZIONE DEI
1000 MILIARDI DI DOLLARI PER COMPRARE PARTE DELLA FOGNA IN TITOLI
DI STATO PIIGS SOTTOPOSTI A FORTE SPECULAZIONE, ORA I GOVERNI DEI
PIIGS DEVONO RICORRERE A LEGGI FINANZIARIE SUPPLETIVE. PER
L'ITALIA SIAMO NELL'ORDINE DI 50.000 MILIARDI DI VECCHIE LIRE, NEL
1992 AMATO NE FECE UNA DI 92.000 MILIARDI PER MANTENERE L'ITALIA
NELL'EURO...
L’Unione europea pensa al controllo
preventivo sui conti pubblici, il Giornale prepara il
terreno
Se si considera Il Giornale diretto da Vittorio
Feltri un termometro affidabile degli umori dentro la
maggioranza, allora il titolo di apertura di ieri indica l’inizio
di una nuova fase: "Pericolo scampato, ora i tagli". L’editoriale
del direttore è molto esplicito:
"Dobbiamo adeguare il bilancio al
mercato e non più allo Stato sociale, imponente e di tipo
comunistoide, che ci siamo dati senza potercelo permettere se non
dissanguandoci". E quindi "o si riduce il welfare all’essenziale"
oppure l’Italia si espone "al pericolo di fare le fine della
Grecia".
I NUMERI DEL FMI. In fondo ci sono i numeri a
certificarlo, ultimi in ordine di arrivo quelli di ieri del Fondo
monetario internazionale. Nel suo rapporto di previsioni
sull’Europa, il Fmi scrive che l’Italia crescerà nel 2011
dell’1,2 per cento. Pochi giorni fa
il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, per il
solo fatto di aver ridotto le stime sulla crescita 2011 dal 2 per
cento all’1,5, ha dovuto portare la manovra correttiva per ridurre
il deficit da 5 a 25 miliardi. Ieri c’è stato anche il piccolo
giallo delle dichiarazioni di Alberto Giorgetti,
sottosegretario all’Economia. Al mattino le agenzie di stampa
battono queste parole: “Anche se la manovra parte dal 2011, è
possibile che alcune misure entrino in vigore subito dal 2010”.
In serata, però, arriva la smentita direttamente dal
ministero dell’Economia: "Tutto procede invece secondo i piani
preannunciati". Nonostante l’asta di ieri dei Bot non sia
andata benissimo: la domanda resta alta, ma il tasso di interesse
sal all’1,44 per cento, il massimo dal febbraio 2009. È chiaro che
il clima è cambiato dopo l’approvazione del piano straordinario
per salvare l’euro, domenica notte, che ha già prodotto le sue
prime conseguenze. Uno dopo l’altro i Paesi considerati a rischio
dai mercati finanziari stanno annunciando interventi drastici
sulle finanze per riportare in equilibrio i conti, oggi il premier
spagnolo José Luìs Rodriguez Zapatero spiegherà
al Parlamento dove tagliare la spesa per trovare 15 miliardi. Il
momento della verità, per l’Italia, arriverà tra poco più di un
mese. DOVE TAGLIARE. CONFINDUSTRIA E FEDERALISMO
LEGHISTA GAME OVER...Visto che al momento i mercati
non stanno mettendo troppo sotto pressione i titoli del debito
pubblico italiano, il governo forse riuscirà ad arrivare al
momento dell’annuncio del Dpef senza prima dover
procedere a decreti straordinari. Basteranno i 25 miliardi in due
anni annunciati da Tremonti? Il deputato del Pdl
Giuliano Cazzola non ci scommette: "Bisogna vedere come
si evolve la situazione, l’entità della manovra sarà definita al
momento, sulla base di quello che starà succedendo, perché si è
aperta una stagione in cui gli Stati sopravvivono soltanto se
riescono a finanziarsi sul mercato a prezzi accettabili". L’unica
certezza è che l’agenda delle priorità del governo deve cambiare.
Dice sempre Cazzola: "Le
riduzioni dell’Irap e gli
incentivi che chiede Confindustria sono fuori dall’ordine del
giorno, e anche il federalismo fiscale si farà solo se porterà a
risparmi di spesa, anche i leghisti ne sono consapevoli".
BRUXELLES. L’Unione europea ci sta osservando.
Oggi la Commissione europea dovrebbe annunciare i controlli
preventivi sulle manovre di risanamento, con la riforma del Patto
di stabilità. Ieri circolava anche l’ipotesi di chiedere cauzioni
ai Paesi a rischio (così che Bruxelles abbia un maggiore controllo
sulle sue scelte fiscali) e decisioni dall’alto su dove e come
spendere i soldi comunitari. Visto che è improbabile che il
presidente del Consiglio Silvio Berlusconi
annunci aumenti delle tasse, dentro il Pdl l’idea prevalente è che
stia per arrivare una stagione di tagli alla spesa. Mario
Baldassarri, Pdl, economista e presidente della
Commissione Finanze del Senato, pensa che non ci si debbano porre
limiti nei tagli: "Prima si comincia a ridurre la spesa, poi si
capisce quante risorse si recuperano, possono essercene abbastanza
anche per misure volte a sostenere la crescita e non soltanto il
rigore economico, come una riduzione del carico fiscale".
E Baldassarri ha chiaro da dove
cominciare: "L’area grigia tra economia e politica, quelle voci di
spesa chiaramente anomale negli acquisti di alcune pubbliche
amministrazioni o della sanità e poi tutti i trasferimenti a fondo
perduto che dovrebbero diventare crediti di imposta, permettendo
di recuperare 18 miliardi di euro". Vittorio Feltri, nel suo
editoriale, esprime così lo stesso concetto: "Si rubi pure, se
proprio non se ne può fare a meno, ma con moderazione".
L'EUROPA SPINGE AL MASSIMO LE
ROTATIVE PER ALLONTANARE LA SPECULAZIONE: 1000 MILIARDI DI DOLLARI
SUL MERCATO
27 ministri
delle finanze UE (16 stati membri 11 esterni)
hanno annunciato un pacchetto di salvataggio kolossal
"all'americana" di 750 miliardi di euro, pari circa a $1
trilione (1000 miliardi di dollari) che dovrebbe essere
sufficiente per bloccare almeno nel breve termine la
speculazione anti-euro, prevenire il panico da collasso
e fermare il diffondersi del contagio dalla Grecia agli
altri paesi
PIIGS.
Dopo un meeting ad
alta tensione durato oltre 14 ore, l'Europa ha deciso di
mettere a disposizione (con quali soldi non e' chiaro,
visto che sono tutti indebitati) 440 miliardi di euro in
linee di credito o garanzie, 60 miliardi di altri
prestiti direttamente dal bilancio UE mentre il Fondo
Monetario Internazionale dovrebbe mettere sul piatto
ulteriori 250 miliardi, in forma di prestiti disponibili
per i paesi in difficolta'.
Inoltre - in aperta violazione
del Trattato di Maastricht sui e' fondata l'Europa,
cioe' in violazione del principio che considera proibiti
i prestiti dalla BCE agli stati membri - la BCE si
impegna ad acquistare bond sia emessi dagli stati
europei sia dalle aziende dell'area euro, per iniettare
liquidita' nel sistema e stabilizzarlo di fronte agli
attacchi speculativi. Infine la Fed e altre grandi
banche centrali promettono di intervenire sul mercato
con swap sul dollaro e la riapertura di linee di credito
di emergenza.
Appena circolate le prime indiscrezioni, verso le 22:45
di domenica, l'euro e' partito al rialzo sui mercati
forex, in forte recupero: 1,30% sopra quota 1.29
(vedi cambio eur/usd in tempo
reale). I future
S&P500 a Tokyo in nottata erano in crescita 2.3% e
quelli sul Dow Jones 2.0%. L'indice MSCI Asia Pacific
e' salito per la prima volta dopo sei giorni di ribassi,
ma solo 0.4%. A Tokyo l'indice Nikkei 225 a meta'
seduta segnava 1.3% a quota 10499.
In parallelo al pacchetto di prestiti da 750 miliardi di
euro approvato dai ministri UE, la Banca centrale
europea ha annunciato con una mossa senza precedenti che
interverra' sui mercati del debito pubblici e privati,
cioe' dei bond dell'area euro (Securities Markets
Program) per assicurare la liquidita' e profondita'
necessarie a "mercati che sono diventati disfunzionali",
senza peraltro intaccare le politiche fiscali e di
bilancio dei singoli paesi. La clamorosa strategia della
BCE, in stile Federal Reserve, di intervenire sul
mercato aperto comprando bond ("elicottero Trichet" come
il famoso "elicottero Bernanke"?) ha il preciso intento
di bloccare la speculazione che con il filone dei debiti
sovrani delle nazioni piu' disastrate fiscalmente sta
minacciando di disintegrare l'euro sconquassando i
mercati. Secondo le ultime stime il rapporto deficit/pil
raggiungera' l'8.5% per il Portogallo e il 9.8% per la
Spagna entro la fine dell'anno, cioe' piu' del triplo
rispetto alle "griglie" (ormai jurassiche) stabilite dal
Trattato.
Sempre con l'obiettivo di
fermare la speculazione, diventata molto aggressiva dopo
la crisi della Grecia, con un altro passo straordinario
parallelo che conferma l'eccezionalita' del
coordinamento globale dovuta all'estrema gravita' della
situazione, la Federal Reserve ha riaperto stanotte le
linee di credito verso l'Europa che erano state chiuse
lo scorso febbraio, una volta esaurita l'urgenza
dell'ultimo maxi-salvataggio, cioe' quello da $750
miliardi approvato da Tesoro Usa e Fed a fine 2008.
L'obiettivo della Fed e' di sifonare dollari in Europa
(visto che nel mondo c'e' un'alta domanda di valuta
americana mentre nessuno vuole euro) con l'aiuto di
molte altre banche centrali tra cui Bank of Canada, Bank
of England, la stessa BCE e la Banca nazionale Svizzera
(la Banca del Giappone partecipera' in un secondo
momento). "Questa azione e' stata intrapresa in risposta
al riemergere di stress sui mercati finanziari in
Europa", dice la Fed, "e per evitare che le tensioni si
propaghino ad altri mercati".
Con questo piano l'Europa si gioca quindi il futuro
cercando di approntare i mezzi per fermare almeno
momentaneamente la speculazione ed evitare che il
castello dell'euro crolli. Vedremo stamattina come
reagiranno le borse europee ed entro qualche settimana
se l'obiettivo di salvare l'euro sara' stato raggiunto.
Le difficolta' e gli ostacoli che hanno portato al
varo di tali misure eccezionali, da guerra finanziaria
nucleare, si erano avvertite all'inizio della riunione
fiume di stanotte tra i 27 ministri dell'Ecofin, con una
prima grave
spaccatura
quando Londra ha annunciato che non apporterà la propria
garanzia al fondo d'urgenza al quale si lavora a livello
europeo per aiutare i Paesi in difficoltà. Anche la
Germania ha creato un
serio problema
sul fondo "salva euro": per Berlino la questione stava
nelle "garanzie dei prestiti" che non solo la
Commissione ma anche i singoli Stati dell'Eurozona
dovrebbero fornire ai paesi in difficoltà, secondo il
progetto dell'esecutivo Barroso.
La moneta europea ha perso la scorsa settimana il 4.2% e
il 15.0% da novembre nei confronti del dollaro,
scivolando venerdi' 7 maggio ai minimi di 14 mesi. I
titoli di Stato e i
CDS (credit default swaps),
delle nazioni col debito piu' esplosivo, i
PIIGS,
con in testa l'Italia, erano venerdi' ai massimi storici
per la drammaticita' della crisi. Le borse europee sono
calate la scorsa settimana ai minimi degli
ultimi 18 mesi,
con l'indice Stoxx Europe 600 in calo -8.8%. La Borsa di
Milano ha perso il doppio, con un crollo di -16.42%
negli ultimi 6 mesi.
Per i 27 ministri finanziari della UE, riuniti
nell'Ecofin, e' stata una corsa contro il tempo. Un
pacchetto di misure serie e credibili per rassicurare i
mercati doveva essere approvato prima dell'apertura
delle borse orientali in Australia, Nuova Zelanda e
Tokyo.
Il presidente Usa Barack Obama, terrorizzato
dall'inazione politica europea che sta provocando danni
collaterali pesantissimi anche a Wall Street (il crollo
intraday di -9.2% giovedi' scorso e' da "cod-red" -
codice rosso - per la Casa Bianca) domenica pomeriggio
ha chiamato per la seconda volta in tre giorni la
cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente
francese Nicholas Sarkozy, per discutere la situazione
(tra l'altro e' molto indicativo che la Merkel sia stata
sconfitta
proprio domenica alle elezioni locali tedesche). Il
portavoce della Casa Bianca Bill Burton ha precisato che
Obama avrebbe ribadito ai due maggiori leader europei -
gli unici di cui il presidente Usa si fida: figurarsi se
telefona a Barroso - la necessita' di intraprendere
passi e azioni risolute e "forti" per riportare fiducia
e rassicurare i mercati. In effetti poi il pacchetto di
salvataggio annunciato e' stato "enorme" rispetto alle
aspettative, Obama deve aver spiegato cosa ha vissuto
lui durante la crisi americana e i crolli di borsa.
Sarkozy e la Merkel si sono sentiti a loro volta al
telefono, "constatando il loro completo accordo" sulle
misure decise dall'Ecofin.
La posizione della Gran Bretagna - che non ha voluto
impegnarsi a sborsare neanche un euro per salvare
un'Europa di cui non ha infatti adottato la moneta -
ha rischiato di ostacolare
il meccanismo di prestiti garantiti. Siccome pero' per
l'approvazione del pacchetto non era richiesta
l'unanimità, ma solo la maggioranza qualificata, Sarkozy
e Merkel avevano sottolineato la necessità di andare
avanti comunque, anche senza avere il sì di tutti e 27
gli Stati membri Ecofin.
L'ECONOMIA DEL DEBITO E DELLO
SFRUTTAMENTO ULTRASCHIAVISTICO
Denunce
per maltrattamenti da parte di una decina di ex centraliniste e ex
venditori. Il frustino era usato per punire i dipendenti della
Italcarone di Firenze. Aspirapolveri-truffa venduti come "presìdi
medici"
L'ECONOMIA DELLA TANGENTE E
DELLA CRICCA DI AMICHETTI SOCI
Scajola,recente dimissionario all'Economia, ora retto ad
Interim da Testa d'Asfalto, sfida i pm di Perugia: "Non
depongo". STORACE area
PDL, condannato a 18 mesi per essersi
infiltrato illegalmente nei registri elettorali per
sfavorire un candidato rivale, ribadisce:"me ne
fotto!!". Verdini,
numero due della TeknoCasa delle Libertà,
indagato per tangenti e truffa, ribadisce: " Non
collaboro e non mi dimetto!!";Bertolaso, indagato per
truffa negli appalti per il G8 e per le opere di
emergenza, ribadisce: "Io volevo solo un massaggio
sessuale!!";
Cosentino,sottosegretario all'Economia marca
PDL, sulla cui testa pesa una richiesta d'arresto per
concorso esterno in associazione mafiosa favorendo il
clan dei casalesi nella gestione dell'interporto di
Fondi, ribadisce: "Ma che me ne fotte !!!";
Ciarrapico,
l'escrescenza andreottiana già condannato a 9 anni di
reclusione per truffa,sfruttamento,tangenti,
bancarotta
fraudolenta, nuovamente accusato di aver intascato
illegalmente contributi pubblici a milioni per
l'editoria, ribadisce: " Ao' ma che cazzo state addì
!!!"
Nel "libro mastro" sequestrato dalla
Guardia di Finanza nel 2008, tutti i lavori del
costruttore (foto). Tra i beneficiari anche
Lunardi, Bertolaso e alti dirigenti di Stato. Interventi
a Palazzo Grazioli e Palazzo Chigi. L'ex ministro
dovrebbe essere ascoltato domani come persona informata
dei fatti sull'inchiesta G8. Ma secondo il suo legale
"non ci sono le necessarie garanzie"
Veronica Lario, 300 mila euro al mese
Accordo fatto con Berlusconi:
Testa d'asfalto per l'uscita pederasta dell'aprile
2009 cede in usufrutto a vita villa Macherio e OLTRE 3
MILIONI E MEZZO DI EURO ANNUI DI MANTENIMENTO E LE
SPESE DI GESTIONE DI VILLA BELVEDERE. De Benedetti nel
frattempo aspetta i 750 milioni di euro di
risarcimento danni per il furto di Mondadori, il Fisco
aspetta gli oltre 200 milioni di euro di pendenze
proprio della Mondadori (c'è un processo in corso...)
(ANSA) - MILANO,10 MAG -A
Veronica Lario 300mila euro al mese e l'usufrutto a
vita della villa di Macherio. Sarebbe l'accordo di
massima' tra premier ed ex moglie. L'intesa sarebbe
stata raggiunta sabato scorso, in vista della
separazione consensuale, dopo 5 ore di udienza in
Tribunale a Milano, tra Silvio Berlusconi e la Lario.
L'accordo dovra' essere ancora perfezionato per quanto
riguarda alcuni particolari, come una quota da
determinare delle spese a carico del Cavaliere per la
villa Belvedere.
Ue, riunione di emergenza per il salva-euro
Tra Stati e mercati una battaglia durata 13 ore. Le borse
hanno bruciato 200 miliardi di euro in 5 giorni di sedute negative:
Wall Street -8%, Milano -5%, Parigi -4%....Corsa contro il tempo per un piano senza speranza: la Merkel in
Germania perde la maggioranza del Bundestag, in Inghilterra le
elezioni non esprimono una maggioranza e tutto verrà affidato a
pastette d'ufficio...
La crisi dei mercati
scatenata dal caso euro e' "sistemica": lancia l'allarme, molto
tardivo e a questo punto di nessuna credibilita', il presidente della
Banca centrale europea Jean-Claude Trichet ai leader dell'eurozona
durante il vertice straordinario tenutosi a Bruxelles, durato 6 ore e
conclusosi a tarda notte.
L'ultima trovata, dopo lunghissime trattative, puzza lontano un miglio
di mossa disperata: i membri dell'Europa puntano adesso a creare un
"fondo di emergenza" detto anche "meccanismo di stabilizzazione
europea" per fermare l'effetto contagio che si sta diffondendo come un
virus dalla Grecia ai paesi deboli ad alto debito, compreso il nostro.
Questo piano pare fin d'ora un'idea risibile, anche non se ne
conoscono i dettagli poiche' questi geni dei nostri burocrati si
vedranno ancora durante il weekend, giusto in tempo per approvare il
draft prima dell'apertura dei mercati azionari e obbligazionari
lunedi' 10 maggio.
Il presidente francese Nicolas Sarkozy e' l'unico passato stanotte
alle cronache delle grandi agenzie internazionali (ma Berlusconi non
era imprenditore? e non dovrebbe capire qualcosa di economia piu'
degli altri?); Sarkozy ha affermato che il blocco europeo difendera'
l'euro "attaccando direttamente gli speculatori, senza pieta'". "Molto
presto sapranno una volta per tutte che cosa abbiamo in programma per
loro" ha minacciato il presidente francese.
Noi che siamo scettici sappiamo gia' come reagiranno i mercati:
saranno feroci giustamente, bocceranno tutto il bocciabile, la
speculazione si accanira' senza tregua e con cinismo doppio e triplo
contro i paesi
PIIGS, punendo con violenza i peggiori come si compete per
incompetenti e bugiardi (Atene ha raccontato menzogne per anni
truccando i bilanci, come possiamo essere sicuri che anche Roma non
faccia lo stesso? E infatti nessuno lo sa).
Da notare che Sarkozy non ha voluto fornire dettagli su questo
fantomatico "piano di emergenza" per non "minacciarne l'efficia"
(tradotto in parole povere: non ha voluto scoprire le carte nei
confronti della speculazione altrimenti quest'ultima potrebbe "vedere"
il bluff in anticipo prima dell'apertura dei mercati).
Comunque tutti e 27 i ministri finanziari dell' Unione Europea (per
l'Italia Giulio Tremonti) si vedranno per un'altra riunione di
emergenza domenica pomeriggio per mettere a punto il draft. Nelle sale
trading delle banche d'affari aspettano con ansia, come in un video
gioco in cui si sa chi vince, perche' si conoscono gia' tutte le
scappatoie e trappole.
Le misure europee, nelle intenzioni, dovrebbero servire per prevenire
lo scenario in cui la crisi dei debiti sovrani scuote alle fondamenta
la fiducia dei cittadini nell'euro, che ha compiuto 11 anni ma non e'
maturato neanche un po' per colpa di genitori irresponsabili.
Poi le solite parole di facciata, altre munizioni per le armi di
distruzione di massa degli speculatori. "Difenderemo l'euro a
qualsiasi costo" ha detto il presidente della Commissione Europea
Jose' Barroso finito il meeting (nota: l'euro questa settimana ha
perso -4.3% e -15% da novembre; i titoli di Stato e i CDS europei (credit
default swaps) sono saliti venerdi' ai
massimi storici (robe da vera recessione, perdita di
fiducia, profonda avversione al rischio percepito).
"Difenderemo l'euro a qualsiasi costo" non e' certo una cosa
intelligente da dire da parte del signor euroburocrate. Non esiste sui
mercati finanziari una strategia portata avanti "a qualsiasi costo" in
quanto appunto costerebbe troppo perseguirla: ci si dissanguerebbe per
motivi "ideologici" mentre la realta' magari nega brutalmente
l'assunto. "You take your loss" dicono saggiamente gli americani in
simili casi. Cioe': prendiamoci questa perdita, mettiamola in
bilancio, ok non e' una bella cosa ma forse e' meglio far uscire
questi cialtroni dei Greci dall'Europa. Ridiamogli pure la dracma,
efgaristo'.
E' l'unica vera doccia fredda o mossa radicale che il mercato amerebbe
vedere, poiche' varrebbe da esempio e stimolo a non fare altrettanto
per gli altri irresponsabili PIIGS come noi italiani, gli spagnoli, i
portoghesi. Se vogliamo stare al gioco della correttezza fiscale,
signor Tremonti, bisogna rispettare le regole senza blaterare ma
facendo quadrare i conti. Con le nostre furbizie di sempre,
simboleggiate al governo da Berlusconi in persona, ormai non si va
piu' da nessuna parte. La borsa punisce, la creativita' e fantasia
italiane non pagano. Bisogna che i nostri politici capiscano che gli
americani sono l'esempio da seguire, Washington e New York si' che
fanno sul serio (a Wall Street una perdita di -9.2% del Dow Jones
giovedi' ha cancellato in mezz'ora $1 trilione di dollari, prima dei
recuperare). Anche se sono numeri kolossal, l'Europa e l'Italia devono
capire che dobbiamo cominciare a fare sul serio per non incappare
nelle stesse punizioni.
Tornando alla riunione di Bruxelles, in precedenza il presidente della
Commissione Ue Durao Barroso e il presidente francese Sarkozy avevano
espresso insoddisfazione per il testo di dichiarazione che dovrebbe
uscire domenica dal vertice. A loro giudizio il messaggio "e' ancora
troppo debole" e "non contiene segnali abbastanza forti per un'azione
rapida, cosi' come richiesto dalla situazione".
Cio' lascia presupporre che finalmente potrebbero cominciare a volare
gli stracci, in quella patetica parvenza di governo europeo che e'
ormai la UE, proprio grazie ai duri cali di borsa, della moneta, dei
titoli di Stato. Nessuno per mesi ha deciso nulla ne' a Francoforte
ne' a Bruxells. Per fronteggiare la devastante crisi finanziaria
scoppiata in America nell'ottobre 2008, Washington ha dibattuto per
giorni al Congresso, anche con aspri litigi tra democratici e
repubblicani, ha soppesato e valutato le misure urgenti da prendere,
ma alla fine un immane piano di salvataggio da oltre $750 miliardi di
dollari e' stato approvato, allo scopo di evitare all'America la
terribile accoppiata crash/recessione.
In Europa all'inizio nessuno aveva capito cosa accadeva, oppure se lo
aveva capito per mesi non ha voluto ammettere in pubblico la gravita'
della situazione (debiti pubblici fuori controllo, conti truccati,
pesante arretramento delle economie, disoccupazione record,
maxi-debiti e asset tossici nel sistema bancario). Adesso la
consapevolezza c'e', ben chiara, e tutti hanno sbattuto contro il
muro. Eppure all'UE e alla BCE ancora chiacchierano, ipotizzano,
valutano, si riuniscono, pensano di approvare... Ma ci facciano il
piacere! A casa tutti, da Trichet in giu'.
Solo per fare un raffronto concreto, valutate la sinteticita' e
consapevolezza di un vero investitore/speculatore di fronte ai
drammatici eventi di questi giorni: "O l'Unione Europea si decide a
prestare soldi ad Atene ad un tasso dello 0% oppure la Grecia dovra'
ristrutturare il debito". "L'euro resistera', ma si va
verso un'eurozona piu' piccola, con i paesi deboli fuori". Parole di
Mohamed El-Erian, un signore che gestisce Pimco, il piu' grande fondo
obbligazionario del mondo con un patrimonio di $1 trilione di dollari.
Parole di verita', quelle di El-Erian. Esatto: la Federal Reserve
americana - nell'iconografia popolare dei trader di Wall Street
soprannominata "elicottero Bernanke" (il chairman Fed che da un
elicottero sorvola il territorio Usa gettando dall'alto dollari,
liquidita', denaro) - la Fed, dicevamo, nel momento di massima crisi
del 2008 e' intervenuta in modo massiccio, con una forza d'urto
immensa, per risollevare un mercato finanziario in coma. Ancora oggi,
18 mesi dopo, la Banca Centrale degli Stati Uniti presta denaro alle
banche Usa ad un tasso compreso tra lo 0.0% e lo 0.25%. Una valanga
obbligata di cash per evitare l'apocalisse. E' chissa' per quanto
tempo durera'.
Da Trichet & Soci, espressione di un'Europa senza volonta' politica,
senza omogenita' di culture e lingue, che non ha esercito ma solo una
moneta che potrebbe anche essere quella di Monopoli e non farebbe gran
differenza; da Trichet & C., invece, solo piccoli aborti, mezze frasi,
piani stitici, dichiarazioni fuorvianti. Soprattutto: no al denaro a
tassi zero e no al riacquisto di bond dei paesi in difficolta'. Il che
equivale ad ammettere: misure concrete nada, nein, nulla, rien. Allora
scusate, che ci state a fare ai vertici di quest'Europa?
Che senso ha per esempio, cari euroburocrati e signori della BCE,
continuare a insistere con quell'idiozia del rapporto deficit/pil
fissato rigidamente (dal 1999) al 3.0%, quando tutti i paesi si
posizioneranno in media al 6.6% nel 2010 e al 6.1% nel 2011?
Cambiamolo, questo parametro. Aggiustiamolo alla realta' di oggi.
Bisogna essere flessibili e non ideologici, la rigidita' e la poca
agilita' ha estinto i dinosauri ma preservato la vita a piccoli
volatili, in epoche antiche di sommovimenti violenti.
Se la Grecia, un paese con tanta storia, arte e filosofia si', ma
irrilevante nella geo-politica globale per forza di pil e popolazione
(appena 11 milioni di persone di cui 4.5 milioni lavorano nel
parassitario settore pubblico in un'economia come quella UE di poco
inferiore a quella Usa); se la Grecia oggi e' in grado di mandare a
scatafascio il castello di carte su cui si fonda l'euro, che senso ha
mantenere in piedi tutto l'ambaradam? Che senso ha stanziare 140
miliardi di dollari per salvare una nazioncina parte di un blocco
economico da $12 trilioni di dollari, quando incertezze e rigidita' di
gestione rischiano di affossare gli altri paesi legati da questo patto
ormai scellerato? Fuori Atene! Addio Mikonos, Santorini e l'Acropoli.
E il patto Ue, si puo' anche riscrivere no?
Immaginiamo se la speculazione cominciasse veramente (ma sul serio) ad
attaccare gli stati a pil forte e debito fuori-misura: nell'ordine
appunto Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Portogallo, Grecia
(l'acronimo dei famosi P.I.I.G.S. di cui parliamo sempre qui su WSI
dovrebbero in verita' essere I.S.I.P.G. ma ovviamente il doppio
significato di "maiali" risulta piu' efficace; vedere a questo
proposito un
bel grafico del New York Times con i debiti e gli intrecci
debitori tra i paesi europei). Bhe', come si vede chiaramente dal
disegno, fino ad ora non abbiamo bevuto che l'aperitivo di quel che si
prospetta per gli speculatori come un lauto pranzo e per noi cittadini
come un disastro non solo annunciato ma ineluttabile (mentre il
premier pensa di piu' a come censurare la satira della Dandini in Rai:
ma ci faccia il piacere, sig. premier!). Stando cosi' le cose i
signori speculatori mondiali ovunque essi si annidino non sono
cattivi, fanno solo il loro mestiere che e' perfino utile in casi
simili, per smascherare ipocrisie e inadeguatezze della "Casta", che
purtroppo si ripercuotono negativamente sullo standard di vita di noi
cittadini.
Insomma siamo in balia - detto con molta prudenza e cautela - di una
classe dirigente di politici italiani ed europei incompetenti, per non
dire collusi e conniventi.
Trichet era il personaggio che due anni fa, nel momento in cui l'euro
aveva tassi molto piu' alti rispetto al dollaro, dichiarava tronfio:
"I fondamentali sono solidi, l'economia dell'eurozona e' solida, noi
in Europa e la nostra moneta siamo solidi (s'e' visto, col senno di
poi...). Ebbene i Trichet sono ovunque purtroppo in questa
disgraziatissima Europa.
Facciamo un altro rapido esempio terra-terra con uno dei nostri
politici.
Ieri su SkyTG24 (l'unica televisione vedibile in Italia per capire
come vanno davvero le cose) abbiamo ascoltato una dichiarazione
dell'Umberto Bossi, poveretto, che farfugliava col suo idioma
strascicato da post-ictus... alcune tesi come dire? leghiste? su
economia, debito, mercato.
Diciamo subito la verita': tali imbecillita' - di questo si tratta -
non dovrebbero essere consentite ad un ministro del governo della
Repubblica Italiana nonche' massimo alleato del presidente del
consiglio Silvio Berlusconi nella slabbrata coalizione di
centro-destra. Non c'e' scusante che tenga, neppure la malattia. "Noi
italiani siamo fortunati - ha blaterato a fatica il Senatur
federalista/secessionista - noi italiani siamo fortunati.... perche'
abbiamo un ministro dell'Economia fantastico come il Tremonti.... lui
ci ha curato la tenuta dei conti... ci ha tenuto a galla anche nei
momenti difficili... e infatti l'Italia sta meglio degli altri
paesi... le banche italiane sono solide... Tremonti e' come una brava
massaia che ha risparmiato per non spendere troppo nei momenti di
crisi". Testuali parole.
Ora dite voi se non e' giusto, sacrosanto, addirittura liberatorio che
gli speculatori - che certo stupidi non sono - non abbiano avuto
assolutamente ragione venerdi' a far schizzare al rialzo il CDS Italia - credit
default swap, cioe' lo strumento finanziario utilizzato come copertura
assicurativa contro un'eventuale bancarotta del paese - al massimo
assoluto di tutti i tempi, praticamente al livello del Kazakistan e
subito dopo Portogallo e Spagna. Ecco: la speculazione serve anche a
smascherare i cialtroni e furbi a tempo pieno come Bossi, che per le
loro trame jurassiche (la Padania? la secessione? il federalismo?)
tengono in scacco l'Italia proprio nel momento piu' drammatico degli
11 anni di vita dell'euro e del paese. "Brava massaia": certo come no.
Ma ci faccia il piacere, Senatur. Studi un po' di macroeconomia,
oppure taccia.
"Questi giocano col fuoco" - come disse giustamente la Emma
Marcegaglia venerdi' in uno dei pochi (forse l'unico) sound-bite degno
di nota in tempi recenti; "giocano col fuoco" ma non l'hanno ancora
capito. Non sanno nulla, i nostri governanti, per ignoranza, ignavia o
perche' vivono da ricchi blindati nel lusso, scarrozzati da auto-blu',
circondati da scorte e poliziotti, spupazzati in cene, inaugurazioni,
festini (e anche
molto peggio). "Questi qui" non sono consapevoli che la
festa e' finita, il vento e' cambiato, la storia e l'economia globale
impongono scelte diverse, coraggiose, dolorose, non da Grande
Fratello. Classi dirigenti di questa fatta non sono piu' in grado di
governare un paese moderno e vitale che ha bisogno come l'aria di
intelligenza, stimoli, progetti, giovani, investimenti, futuro,
dinamismo, coraggio, visione. Questa classe dirigente ha fallito, lo
sappiamo tutti che non ci porta da nessuna parte e anzi ci fa
arretrare.
L'Economist: il
Sud Italia?
È un "Bordello"
Il periodico stacca il Sud dalla Penisola e lo battezza «Bordello». E
aggiunge che «potrebbe formare una unione monetaria solo con la
Grecia»
NAPOLI - I vicini sono un po' come i parenti, non te li scegli,
capitano. Quelli di casa, ma anche i Paesi, ovvero le nazioni
confinanti, ereditate da una divisione storico-politica
cristallizzata. A partire da questo assunto «The Economist» riflette
sull'Europa contemporanea che, così com'è, non rispecchierebbe la
reale vicinanza, fatta di affinità di modelli e specularità di
situazione economica. Per ovviare a questo dogma immutabile, il
periodico economico propone una fanta-cartina del nostro continente,
ridisegnandone i confini in base al new deal delle nazioni. E,
sorpresa, il Sud Italia finisce con la Grecia e viene ribattezzato
«Bordello».
LA PROPOSTA - «The Economist» scrive: «Se le persone trovano i loro
vicini noiosi, per loro è possibile trasferirsi in un altro quartiere,
mentre i Paesi non possono. Ma supponiamo che questo sia praticabile.
Di certo una riorganizzazione della carta d'Europa renderebbe la vita
degli Stati più logica e più "amichevole"». Nella fanta-cartina la
prima ad essere spostata sarebbe la Gran Bretagna che ora si trova ad
affrontare la terribile situazione delle finanze pubbliche. Per questa
grave piaga, starebbe a suo agio con i Paesi sud-europei «che si
trovano in una condizione analoga. Potrebbe, insomma, essere
rimorchiata in una nuova posizione nei pressi delle Azzorre». E così
via.
UNA CONFEDERAZIONE DEL NORD GUIDATA DA UN DOGE - Va meglio alla
Germania e alla Francia che per il settimanale potrebbero rimanere
dove sono. «Ma l'Austria dovrebbe spostarsi verso ovest, in posizione
della Svizzera». Per l'Italia settentrionale, poi, «The Economist» si
fa leghista e immagina «una nprio non aveva pensato.
Natascia Festa
http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/
LONDRA (6 maggio) - L'Inghilterra va a Sud, la Polonia si tuffa in
mare, l'Italia si divide in due. È la mappa dell'Europa ridisegnata
dall'Economist, una cartina dove gli Stati "traslocano", prendono i
bagagli e si spostano vicino a quelli a loro più affini. L'importante
testata inglese si lancia in un esperimento teorico che, a suo dire,
renderebbe più tranquilla la vita dei cittadini.
L'articolo inizia con la Gran Bretagna: dopo le elezioni del 6 maggio
sarà costretta a fronteggiare il problema dei conti pubblici e questo
la sposterebbe un po' più a Sud, vicina a quei paesi che hanno le
stesse difficoltà, ossia Francia, Spagna e isole Azzorre.
La Polonia prenderebbe il largo, lontana da Russia e Germania che in
passato le hanno causato non poche tribolazioni. Ma i polacchi non si
illudano, non resterebbero soli a lungo: Estonia, Lettonia e Lituania
slitterebbero al suo fianco per allontanarsi dalla Russia e
avvicinarsi agli Stati Uniti.
La Svizzera, sempre un po' confusa, starebbe molto meglio verso Nord,
accanto a Finlandia, Norvegia e Svezia, paesi di vocazione "neutrale".
La Repubblica Ceca cambierebbe il posto con il Belgio, finendo vicina
ai Paesi Bassi: le due nazioni, a maggioranza protestante, non
avrebbero difficoltà ad interagire e andare d'accordo.
Per l'Italia la sorte è scontata: si dividerebbe in due. L'Italia del
Nord, alleata di Slovenia e Croazia, e quella del Sud (Roma compresa)
dove rinascerebbe il Regno delle Due Sicilie, per gli amici
soprannominato il “Bordello”.
UNA
TEMPESTATA SENZA FINE:VERDINI, STORACE, CIARRAPICO, MASTELLA, PROSPERINI, ANEMONE, DI
GIROLAMO, COSENTINO, BERTOLASO, ROMEO, CUFFARO, FITTO, DELL'UTRI ED ORA
SCAJOLA:
Scajola lascia: "Mi devo difendere
forse la mia casa pagata da altri",Bersani:
"Il governo è nella palude"Le dimissioni del ministro, le prime ammissioni. "Giorni terribili,
non posso restare al mio posto" (video-
foto).
Cinque i
testimoni che smentiscono la ricostruzione dell'ex titolare delle
Attività produttive. I pm: "Non è indagato"Il segretario Pd: "Vicini a
blocco della situazione politica" (video)
Commenta -
Blog-
Il politico salamandradi F.CECCARELLI
Da "Biagi rompicoglioni" alla casa, la storia di un ministro 'a termine'.
Editoria, Ciarrapico indagato per truffa
Sequestrati beni per venti milioni,L'imprenditore, e senatore pdl,
indagato assieme al figlio e ad altre persone per contributi percepiti
illegalmente tra 2002 e 2007 dalle sue società. Tra i beni sequestrati
un'imbarcazione di lusso. VI RICORDATE IL GONZO "SIMPATICONE" CHE DALLE
EMITTENTI PRIVATE DEL NORD RIGURGITAVA FRASI DEL TIPO: "AFRICA, CAMEL E
BARCHETA E TURNE' A CA' ". Eccolo patteggiare una pena di tre anni per
tangenti:L'ex assessore era stato arrestato il 16 dicembre, con l'accusa
di corruzione, turbativa d'asta e truffa per un giro di tangenti nella
promozione televisiva del turismo. Il patteggiamento, ratificato dal gup
di Milano, Gloria Gambitta, prevede anche un risarcimento di 80 mila
euro e la confisca di 380 mila euro che erano stati sequestrati. Davanti
al gup hanno patteggiato anche l'ex patron del gruppo Profit-Odeon Tv,
Raimondo Lagostena (una pena di 2 anni e 10 mesi), e il consulente
pubblicitario Massimo Saini (una pena di 2 anni e 3 mesi).Verdini
indagato per corruzione, il coordinatore DEL POPOLO DELLE CASE
CIRCONDARIALI.
"Appalti sull'eolico in Sardegna"
Berlusconi: "Complotto contro il governo"La procura di Roma indaga sul
coordinatore pdl. Oggi il premier dovrebbe salire al Quirinale. Scajola:
"Silvio mi ha mollato". Anemone anche dietro la ristrutturazione Attacco al Gruppo Espresso
in giunta immunità al Cavaliere L'ESPRESSOL'inchiesta sull'eolicoIl Vaticano condanna il fondatore dei
Legionari
"I suoi comportamenti sono veri delitti"
Berlusconi: l'amore trionfa con LECCACULI SENZA COGLIONI. FINI E'
UNA PISTOLA SCARICA, UNO CHE SI ACCORGE DOPO 17 ANNI CHE IL SUO PADRONE
E' PADRONE ANCHE DEI GIORNALI. Per i fatti di Rosarno ben 30 arresti,
dov'era il PDmenoelle che oggi lancia la campagna dei 10 punti per
definirsi (???) dopo aver perso in due anni 6 milioni di voti? In
Parlamento va sotto nell'approvazione della legge sull'arbitrato dei licenziamenti che aggira
l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, ma E' SULLA LEGGE SOPRA LE
INTERCETTAZIONI CHE SI FONDA L'OPPOSIZIONE? Anche in questo caso dov'è
il PDmenoelle? Il ministro Scajola è stato pizzicato con UN MILIONE DI
EURO IN NERO INTASCATI, MA COME FA AD ESSERE MINISTRO??CHE FINE HA FATTO
IL SENATORE PDL DI GIROLAMO ELETTO CON I VOTI DELL' N'DRANGHETA? CHE
FINE HA FATTO COSENTINO, IL SOTTOSEGRETARIO PDL REFERENTE DEI CASALESI?
ED I BERTOLASO BOYS CON IL GIRO VORTICOSO DI TANGENTI E PUTTANE SULLE
DISGRAZIE ITALIOTE??
IL RUGGITO D'ISLANDA,l'esplosione di un vulcano a
ridosso della banchina artica mette in ginocchio l'Europa!!(16
APRILE-16 MAGGIO 2010)
Sondaggi
politici: crollano PDL e PD, Fini al 6.6%, sale Vendola al
4,2%
Se si votasse domani mattina il partito
di Gianfranco Fini sarebbe al 6,6% e assieme agli alleati
del terzo polo di responsabilità lanciato da Casini
arriverebbe al 13% (Udc al 5,3% e Api di poco sotto l’1%):
questi i risultati del sondaggio effettuato da Spincon
dopo lo strappo di Futuro e Libertà e il voto alla Camera
che ha visto la maggioranza di centrodestra spaccarsi
sulla fiducia a Caliendo.
Il movimento del Presidente della Camera, secondo i flussi
elettorali analizzati da Spincon, pescherebbe un po’
dappertutto: 2 punti circa tra l’elettorato del Pdl ma – e
qui sta la novità principale – 2 punti tra Udc, Api e Mpa.
Il resto del consenso arriverebbe, frammentato, dall’area
del non-voto, dagli indecisi e da alcuni moderati del Pd.
Una situazione non facile per il Popolo della Libertà,
fermo al 30% e in calo di ben 7 punti rispetto alle
Politiche 2008. Non c’è solo Fini, infatti, a rosicchiare
voti al partito di Berlusconi. Al Nord la Lega va
fortissimo: in Veneto sarebbe ampiamente il primo partito
e il rischio sorpasso si starebbe materializzando anche in
Lombardia, con il partito di Bossi che guadagna posizioni
anche in province tradizionalmente rosse.
Non va meglio al Pd che non riesce ad andare oltre quota
25,4, con l’Idv in leggero affanno al 6,6% e un autentico
boom di Sinistra e Libertà. L’effetto Vendola si sente
tutto e svuota di consenso gli ex compagni di viaggio di
Rifondazione Comunista e pezzi importanti di Italia dei
Valori, Radicali e Pd con il partito del governatore
pugliese che vola al 4,2%.
****************
PARTITI / 5 AGOSTO 2010 / 2008 / VARIAZIONE %
PDL 30.1 / 37.4 / -7.3
LEGA NORD 11.3 / 8.3 / 3.0 LA DESTRA 1.7 / 2.4 / -0.7
Sondaggio sulle intenzioni di voto condotto da SpinCon per
Notapolitica.it. Metodologia CAWI. Interviste effettuate
dall'1 al 4 agosto. Campione 3520 casi per genere, eta'
area geografica e ampiezza dei comuini di residenza.
IL PRECURSORE
DELL'ANNIENTAMENTO: CEFIS
«Questa raccolta di
articoli, meglio di servizi speciali apparsi sull’agenzia
di stampa «Milano Informazioni» nell’arco di pochi mesi,
non è destinata al re del trapezio, ad Eugenio Cefis
appunto, ma ai suoi amici, ai suoi fidejussori, ai suoi
altissimi complici: politici, industriali, baroni vari
dell’economia e del potere in Italia.
Quando l’inchiesta giornalistica
prese inizio aprile 1971 il Cefis risultava ancora all’ENI
(con un piedone il Girotti già alla vice presidenza della
Montedison); oggi assistiamo ad un rovesciamento
significativo: Cefis alla presidenza del gigantesco
complesso chimico nazionale, Girotti presidente dell’Ente
Nazionale Idrocarburi. Dal piedone al braccio, in uno
scambio pirandelliano dei ruoli.
Certo il barone per eccellenza della
petrolchimica questi servizi li ha già letti, divertendosi
probabilmente – tanto può la leggenda che i misfatti
contribuiscono a indorare – e ammettendone il rigore, come
affermano taluni bene informati; ma letteralmente
sorvolandoli, come si conviene alle deità consacrate dalla
fama e dal favore dei potenti. Rammaricandosi magari se
dobbiamo stare ad altre versioni non meno attendibili –
che non si sia voluto cercare un accomodamento
preliminare: offrendo alle fiamme, insomma, il tutto, in
cambio d’un conveniente indennizzo per la fatica sprecata
nel mettere insieme il carteggio; tacitando in anticipo
con un modesto assegno di parecchi zeri.
L’uomo, misura di uno stile.
Rovesciamo la celebre equivalenza. La presunzione fa aggio
sulla tecnica e questa ne rimorchia in porto le ambizioni.
Le accuse infatti non toccano l’epidermide di Eugenio
Cefis. Per suo conto le ignora, irrobustendo invece le
proprie contro gli altri, i suoi predecessori: cosa
pensare della spudorata misura con cui si è presentato al
magistrato romano, nel gennaio 1972, per essere
interrogato e rilasciare, magari, spietate dichiarazioni,
sul caso Valerio? Si assicura infatti che la Giustizia gli
abbia chiesto una copiosa documentazione per mettere alle
corde l’ex manager della Montecatini, e di certo Cefis non
perderà l’occasione per magnificare il nuovo corso con le
ombre riflesse e ingigantite del vecchio.
Incidentalmente potremmo aggiungere
che un collega del magistrato di Roma possiede una
altrettanto copiosa documentazione, stavolta fornita da
noi senza secondi fini né richieste specifiche, sulle
malefatte di Cefis. Ma nessuna inchiesta prende l’avvio
contro di lui.
Che Giustizia sarebbe questa?
Spadolini, per portar acqua al mulino non sempre
efficiente di Montanelli, in giudizio a Milano per i noti
servizi diffamatori su Venezia, arriva ad affermare che
«il diritto di critica di un giornale appartiene alle
caratteristiche essenziali e irrinunciabili di una società
civile, organizzata democraticamente». Appunto: ma lo
stesso «Corriere della Sera» sapeva della denuncia
clamorosa portata dall’agenzia Milano Informazioni sul
conto di Eugenio Cefis. Perché dunque, in nome di un
sacrosanto e fondamentale diritto di critica non l’ha
neppure ripresa? Critica sì, ma a senso unico, dove fa
comodo (Montanelli e Venezia). Ma dove essa comporta una
preclusione di incassi pubblicitari (ENI, Montedison,
Cefis), silenzio assoluto.
In linea, ovviamente, con certa
Giustizia che intenta processi ai Presidenti decaduti – il
Giorgio Valerio lasciando perdere sui Presidenti in
carica, anche se lestofanti.
Eugenio Cefis: un personaggio
inquietante, integrazione perfetta del sistema. Sfrenato
nelle sue mire, freddo nella connessione scoperta dei suoi
intrighi privati con gli impegni della sua gestione
pubblica. Lo abbiamo scritto a chiare lettere, riportate
in questo dossier. Ma anche un leggendario mafioso: e lo
scriviamo ora, per vedere se l’accusa così configurata si
attaglia alla disarmante descrizione che ne andremo
ritessendo su queste pagine. Ad esse non aggiungiamo
nessun supplemento, non aggiorniamo alcun fatto. Lasciando
il signor Cefis presidente all’ENI; in tale veste
tratteggiandone diverse vicende curiose ed edificanti
tutt’altro che passate in giudicato. Adombrando ancora il
sospetto che la famosa «L.S.P.N» (Linea Società Pubblicità
Nazionale) la quale lavora pubblicità extra come certe
campagne per «cercar casa» chiaramente lasciano intendere
– appartenga a Cefis: mentre successive indagini ci hanno
rivelato conglobata nell’ENI aggravando le accuse da noi
formulate.
È questa l’avventura veridica
vissuta a capo di uno e dell’altro dei colossi
dell’economia di stato italiana dal boss più illustre (e
distraente) della mafia industriale e politica del nostro
Paese. Un’avventura che l’interessato ha scorso e ingoiato
anche se il boccone non può essergli andato di traverso.
Altri invece – è la ragione di questa raccolta hanno
ancora senso di responsabilità e rispetto per la Legge che
rappresentano. Deontologia coerente che il silenzio della
stampa rende per mortificante contrasto maggiormente
isolata e competente a rendere giustizia: non al signor
Cefis o a noi ma alla verità.»
Le strane
casse vuote
di Paolino, fratello Paperino
“Non chiamatemi
più Berluschino”, implorava tanti anni fa in
un’intervista sul settimanale “Il Mondo”. Niente da
fare: Paolo Berlusconi, nato 13 anni
dopo Silvio, resta il fratello minore.
Anche nei business, perfino nella percezione delle
imprese erotiche. Per non parlare della politica: il
fratello maggiore è a Palazzo Chigi, lui ha solo l’ex
moglie, Mariella Bocciardo, a
Montecitorio. Utile, però, al Grande Fratello. È Paolo
che si carica del Giornale quando la legge
Mammì, nel 1990, impedisce a Silvio di possedere tre
reti tv e anche un quotidiano. E quando viene arrestato
nel 1994, con l’accusa di aver pagato tangenti alla
Guardia di finanza, non riesce a convincere fino in
fondo di essere, neppure in quella occasione, il
protagonista assoluto: ai magistrati resta il dubbio che
il fratellino si fosse prestato a coprire qualcuno più
grande di lui.
Se poi Silvio è Gastone, il papero Disney fortunato a
cui vanno tutte bene, Paolo è Paolino Paperino: non
gliene va dritta una. Investe nelle discariche e, anche
grazie all’emergenza rifiuti decretata nel 1995
dall’amico presidente della regione Lombardia
Roberto Formigoni, la sua Simec accumula
tonnellate di rifiuti nella maxipattumiera di Cerro,
ricavandoci ben 243 miliardi di lire. Ma poi, nel 2002,
arrivano i magistrati e scoprono il trucco: falsi in
bilancio, false fatturazioni, truffa e corruzione.
Seguono patteggiamento parziale, condanna a 2 anni e 1
mese, indulto, pagamento di multa record: 49 milioni di
euro.
Poi Paolino si butta sulla tecnologia, acquisendo il
gruppo Solari. Con una buona carta in mano: la
commercializzazione dei decoder per il digitale
terrestre e per Mediaset Premium. Ma incappa in cattive
compagnie: socio di minoranza della sua Solari.com è
Giovanni Cottone, sospettato di essere
uomo vicino alle cosche. Non basta: gli affari vanno
male e l’azienda salta. Un amico di Paolo e suo socio di
minoranza, Fabrizio Favata, racconta di
operazioni poco chiare, di gestione dissennata e di un
fratello maggiore costretto, alla fine, a metterci di
tasca sua 100 milioni di euro per impedire un crac duro,
ma soprattutto pericoloso. Chissà: Favata è stato poi
arrestato con l’accusa di essere un ricattatore, dopo
essere andato in giro a spifferare di aver portato ai
fratelli Berlusconi la famosa intercettazione segreta di
Fassino (“Siamo padroni di una banca?”) comparsa a fine
2005 sulla prima pagina del “Giornale”. Paolo è invece
indagato per ricettazione, nell’ipotesi che abbia
ricevuto quella intercettazione, e per millantato
credito, per avere incassato 560 mila euro portati da
Favata a rate mensili nel suo ufficio al Giornale.
Il quotidiano oggi non riesce ad aggiustare i conti.
Perde soldi da tre anni: 17,7 milioni di euro nel 2009,
22,7 nel 2008, 23,2 nel 2007. Perdita complessiva nel
triennio: 63,6 milioni. I ricavi sono scesi da 70,2 a 69
milioni. Non sono bastati i tagli: i dipendenti sono
passati dai 260 del 2005 ai 195 di oggi. La società
editrice del “Giornale” ha inoltre appena rescisso il
contratto con la Sies, che ha mandato a casa una decina
di persone impegnate nella preparazione tipografica del
quotidiano. E ha chiuso dal 1 agosto le pagine della
cronaca romana, tentando (inutilmente) di mettere in
ferie forzate i giornalisti che ci lavoravano. Non vanno
bene le vendite: meno 4 per cento i ricavi in edicola
nel primo trimestre 2010, malgrado la direzione di
Vittorio Feltri abbia accresciuto le
copie vendute, rispetto al 2009 di Maurizio
Belpietro. Ancor peggio la raccolta
pubblicitaria. Ha tentato di fare miracoli la nuova
concessionaria, Visibilia 2: cioè Daniela Santanchè,
protagonista di scoppiettanti cene con gli imprenditori
grandi investitori pubblicitari, presente il
condirettore Alessandro Sallusti.
Nessun imbarazzo per il doppio (o triplo) ruolo di
Santanché, concessionaria di pubblicità e
sottosegretario del governo Berlusconi, né per i
simpatici appelli finali a investire nel giornale,
facendo contento Feltri, ma soprattutto Silvio. Di Paolo
non parlano mai: resta il Berluschino, il fratello
condannato a restare minore.
Dopo Unipol
e le grandi scalate
ecco la nuova agenda di Consorte
Cinque anni
dopo, il "furbetto rosso" tenta di rinascere. Vuole far
decollare Intermedia, la sua merchant bank
Cerca di
rinascere, tentando di far decollare Intermedia, la sua
nuova merchant bank. È il “furbetto rosso”. Quello che
ha offerto una copertura a sinistra alle scalate
dell’estate 2005. Giovanni Consorte era
il padre padrone di Unipol, la compagnia d’assicurazioni
delle coop. Sede a Bologna, via Stalingrado. Una storia
alle spalle: il collateralismo con il Pci, la finanza al
servizio del sol dell’avvenire. Poi quest’ingegnere di
Chieti ruvido e socievole aveva fatto diventare Unipol
un soggetto economico capace di trattare alla pari con
gli altri “player” della finanza italiana. Un gruppo da
10 miliardi di fatturato, quotato in Borsa, con 280
sportelli bancari. Già che c’era, ci aveva costruito su
un gioco di scatole cinesi e incroci azionari che
blindavano il controllo della compagnia. E si era messo
in cordata con amici tipo Emilio Gnutti, poi con
Gianpiero Fiorani, Stefano Ricucci… Nell’estate delle
tre scalate incrociate (Antonveneta, Bnl, Rcs), a lui
era toccato guidare l’assalto a Bnl, con il tifo dei
capi del suo partito di riferimento, Massimo D’Alema e
Piero Fassino, puntualmente informati al telefono sulle
sorti dell’avventura (“Allora, siamo padroni di una
banca?”, gli aveva chiesto Fassino).
Vivere senza Unipol
Dopo la sconfitta, ha perso il comando della sua
creatura, ha dovuto abbandonare Unipol. Ha passato un
periodo nero. Ora è di nuovo in pista. Ancora in affari
e a caccia di una nuova rispettabilità. Per la prima ha
creato Intermedia. Per la seconda ha varato un sito
personale, www.giovanniconsorte.it, nel quale ribatte
punto per punto a tutte le accuse che gli sono state
mosse. Nelle aule dei tribunali ha collezionato finora
nove vittorie, tra decreti di archiviazione, sentenze di
non luogo a procedere e annullamenti in Cassazione.
Ripete di non essere implicato nelle manovre occulte dei
concertisti scalatori di Antonveneta e di Bnl. Di aver
comprato azioni di quelle banche sempre alla luce del
sole, informando in anticipo le autorità di vigilanza e
in una logica industriale, per il bene Unipol.
Sarà vero? Lo decideranno i giudici, visto che per le
scalate del 2005 è ancora imputato di aggiotaggio e
ostacolo alle funzioni delle autorità di vigilanza. Ma
ha già dovuto pagare le avventure precedenti, fatte in
compagnia dei suoi spregiudicati amici. Insieme a Gnutti,
Consorte è stato condannato in primo e secondo grado per
aver fatto insider trading, nel 2001, su obbligazioni
Unipol. I due avevano comprato quei titoli prima della
scadenza, realizzando una bella plusvalenza. Ma il
presidente della compagnia si difende facendo notare che
la sua operazione ha fatto guadagnare Unipol, ha
favorito la società. Mentre Gnutti ha patteggiato,
Consorte è ricorso in Cassazione e ha ottenuto un
annullamento della sentenza d’appello, con trasferimento
del procedimento per competenza a Bologna. Ma poi a
chiudere la faccenda è arrivata la prescrizione.
Commenta Beppe Scienza, autore del volume “Il risparmio
tradito”: “Il rimborso dei due titoli, a 100 lire, viene
annunciato il 4 marzo 2002. Ma nelle settimane
precedenti le transazioni s’impennano. Evidentemente
qualcuno sapeva dell’imminente rimborso e ci ha
guadagnato. Chi ci ha rimesso è Unipol e di conseguenza
i suoi soci, perché era autolesionismo rimborsare
prestiti a tassi d’interesse così bassi. Il danno
arrecato alla società è di circa 14 milioni di euro”.
L’alta finanza in via Stalingrado
La sua prima scorribanda, però, Consorte l’aveva fatta
nel 1999, durante la madre di tutte le opa,
quell’assalto a Telecom da parte dei “capitani
coraggiosi” che tanto erano piaciuti a Massimo D’Alema.
Quattro anni dopo, sempre a fianco di Gnutti, aveva
partecipato al colpo grosso, la vendita della compagnia
telefonica a Marco Tronchetti Provera. Con annesso
giallo finanziario ancora aperto: i magistrati hanno
scoperto due tesoretti di 50 milioni di euro intestati a
lui e al suo vice, Ivano Sacchetti, accumulati su conti
esteri, poi “scudati” e fatti rientrare in Italia. Che
soldi sono? Consulenze private – giurano i due – rese
all’amico Gnutti durante vendita a Tronchetti.
Più breve (ma più dannosa) la frequentazione con i
furbetti Gianpiero Fiorani, Stefano Ricucci, Danilo
Coppola, Giuseppe Statuto. È ancora una volta Gnutti a
mettere insieme Consorte, il banchiere di Lodi e i nuovi
eroi della “razza mattona”. Così nell’estate del 2005
scattano gli arrembaggi sincronizzati ad Antonveneta e
Bnl. Incrocio perfetto per rendere bipartisan e
inattaccabile l’assalto, vera operazione da “bicamerale
della finanza”. E a lungo difesa, infatti, da Massimo
D’Alema, Nicola Latorre, Piero Fassino, Ugo Sposetti,
Pierluigi Bersani, Vannino Chiti… “Gianni, io mi sento
sangue del tuo sangue… Tu sai che io sono sempre pronto
e disponibile e lavoro anche un pò sott’acqua, come tu
hai capito bene”, dice (intercettato) Fiorani a Consorte
il 19 luglio 2005. I giochi erano cominciati qualche
mese prima, nel dicembre 2004. Consorte e Sacchetti
avevano ottenuto dalla Popolare di Lodi un prestito da 4
milioni di euro ciascuno, senza garanzie, il 28
dicembre, tra Natale e Capodanno. Subito dopo parte il
rastrellamento sotterraneo e incrociato delle azioni
Antonveneta e Bnl, realizzato da Unipol (che compra il
3,5 per cento di Antonveneta) e Popolare di Lodi (che
mette insieme l’1,4 di Bnl). Ben prima che le due
scalate fossero dichiarate al mercato: miracoli della
preveggenza. Sarà perché poi il diavolo non sa fare i
coperchi, o perché a volte trova un diavolo ancora più
diavolo di lui, ma quell’operazione geniale e
bipartisan, come l’altra Bicamerale, miseramente
naufragò.
Cercando la riabilitazione
Oggi il “furbetto rosso” punta tutto su Intermedia. Nata
nel 2007, ha 170 soci, tutti per regolamento sotto il 5
per cento, ed è attiva in tre settori: energie
rinnovabili (“fotovoltaico e biomasse, niente eolico”,
tengono a precisare i suoi collaboratori), immobiliare e
assicurazioni. Bilancio 2009: 3 milioni di euro (un
milione l’anno prima).
Dopo tanti sforzi per ottenere una pubblica
riabilitazione, nelle settimane scorse Consorte deve
aver letto con qualche brivido le cronache sulla “nuova
P2”. Già in passato aveva fatto affari (strane
compravendite d’immobili Unipol, passaggi di azioni Bnl)
con personaggi in odor di logge come gli immobiliaristi
Vittorio Casale e Alvaro Pascotto. Ora il suo nome è
comparso nell’agenda del faccendiere Flavio Carboni,
arrestato nell’ambito dell’inchiesta sull’eolico in
Sardegna e sull’associazione segreta definita dai
giornali “P3”. “Consorte” è scritto tra parentesi,
vicino a quello dell’“Avvocato Caputo”. Quest’ultimo è
probabilmente Francesco Caputo Nassetti, che in
Intermedia segue proprio il business delle rinnovabili,
alla guida della controllata Bioenergy Parks.
Ma il nome di Consorte al faccendiere sardo in cerca di
finanziamenti potrebbe averlo fatto anche un altro uomo
di Intermedia, Alessandro Fornari, amministratore della
Glasspak e, insieme al suocero commercialista Fabio
Porcellini, socio della Renewable Energy Projects srl di
Forlì, società che nel 2009 ha girato alla moglie e a
un’amica di Carboni, anche attraverso il Credito
Cooperativo Fiorentino di Denis Verdini, oltre 3 milioni
di euro. Difficile per Consorte, in questa compagnia,
portare a termine l’operazione finanze pulite.
Tirrenia,
dichiarato lo stato di insolvenza
Matteoli: "Non ci sarà lo spezzatino"
Si apre la
procedura di amministrazione straordinaria per la
compagnia. Il ministro annuncia la privatizzazione
"salvaguardando i livelli occupazionali e assicurando i
collegamenti marittimi". Il segretario della Uil Trasporti
pronto al ricorso alla corte d'appello
ROMA - Il tribunale
fallimentare di Roma ha dichiarato lo stato di insolvenza
per Tirrenia. Si apre così la procedura di amministrazione
straordinaria per la compagnia. Con questa decisione il
tribunale si è quindi ritenuto territorialmente
competente. "Non ci sarà lo spezzatino" assicura il
ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero
Matteoli, annunciando la procedura di privatizzazione
della Tirrenia per salvaguardare i posti di lavoro e i
collegamenti marittimi, replicando ai timori espressi da
sindacati e opposizione.
"Il governo e l'amministratore straordinario di Tirrenia -
spiega in una nota il ministro - non hanno alcuna
intenzione di suddividere le attività aziendali della
società di navigazione. Non ci sarà quindi il cosiddetto
spezzatino. Desidero rassicurare i lavoratori - aggiunge
Matteoli - che è intendimento del governo di procedere,
con la collaborazione dei sindacati e attraverso la legge
Marzano alla privatizzazione di Tirrenia, salvaguardando i
livelli occupazionali e assicurando nell'interesse della
collettività i collegamenti marittimi".
La sentenza è stata pubblicata questa mattina, dopo che il
collegio presieduto da Ciro Monsurrò, affiancato dai
delegati Francesco Taurisano e Fabrizio Di Marzio ha preso
la decisione ieri in Camera di Consiglio. L'istanza per la
dichiarazione dello stato di insolvenza era stata
presentata dal commissario straordinario Giancarlo
D'Andrea.
Il Tribunale di Roma con questa
decisione si è pertanto
ritenuto competente. L'eccezione di competenza
territoriale era stata sollevata dalla Uil-Trasporti,
secondo la quale il giudizio spettava al Tribunale di
Napoli, dove ha sede legale il gruppo. E proprio il
segretario generale della Uil Trasporti annuncia ricorso.
"Attendiamo - dice Giuseppe Caronia - di leggere le
motivazioni della sentenza del tribunale di Roma che
dichiara la stato di insolvenza di Tirrenia, e ci
riserviamo di ricorrere alla Corte di Appello. Rimangono
comunque per intero le nostre perplessità, e a prescindere
dalle questioni di carattere legale porteremo avanti con
determinazione la nostra azione sindacale di contrasto a
ogni ipotesi di 'spezzatino'". "Nessuna sentenza -
continua - può comunque far sì che il governo si scarichi
dalle proprie responsabilità e non apra immediatamente un
confronto sulle sorti della Tirrenia e delle migliaia di
lavoratori che rischiano il posto di lavoro".
Rilasciati 95 permessi di ricerca degli
idrocarburi: 24 in mare e 71 sulla terraferma. Riguarda
anche le aree marine protette
La produzione di olio
greggio a terra è concentrata in 7 Regioni
(Basilicata, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Molise,
Piemonte, Sicilia) e riguarda territori nelle province di
Potenza, Matera, Modena, Reggio Emilia, Frosinone,
Mantova, Milano, Campobasso, Novara, Caltanissetta e
Ragusa. La produzione nel 2009 è stata in totale di
4.024.912 tonnellate, di queste il 74%
arriva dalla sola Val d?Agri in provincia
di Potenza. Le aree date in concessione occupano 1.275 kmq
per un totale di 266 pozzi, considerando
solo quelli destinati allo sviluppo della coltivazione
La
folle corsa all'oro nero made in Italy. A
oggi nel Belpaese sono stati rilasciati 95
permessi di ricerca di idrocarburi, di cui
24 in mare, interessando un'area di circa
11 mila chilometri quadrati, e 71 sulla terraferma,
per oltre 25 mila chilometri quadrati. A queste si devono
aggiungere le 65 istanze presentate solo
negli ultimi due anni, di cui ben 41 in mare per una
superficie di 23 mila chilometri quadrati. Sono questi
alcuni dei numeri del dossier nazionale "Texas Italia" di
Legambiente.
LA MAPPA DEL PETROLIO ITALIANO
La corsa all'oro
nero italiano,
evidenzia Legambiente stando alla localizzazione delle
riserve disponibili, riguarda in particolare le
nostre coste e non risparmia neanche le
aree marine protette. Sono interessati il Mar
Adriatico centro-meridionale, lo Ionio e il Canale di
Sicilia. Nelle acque italiane oggi operano nove
piattaforme per un totale di 76 pozzi, da cui si estrae
olio greggio. Due sono localizzate di fronte la costa
marchigiana (Civitanova
Marche, Macerata),
tre di fronte quella abruzzese (Vasto,
Chieti) e le altre quattro nel Canale di
Sicilia di fronte il tratto di costa tra
Gela
e
Ragusa.
Passando dal mare alla terra, le aree del Paese
interessate dall'estrazione di idrocarburi sono
la Basilicata, storicamente sede dei più
grandi pozzi e dove si estrae oltre il 70% del petrolio
nazionale proveniente dai giacimenti della Val
d'Agri (Eni e Shell), l'Emilia Romagna,
il Lazio, la Lombardia, il Molise, il Piemonte e la
Sicilia.
Complessivamente lo scorso anno in Italia sono state
estratte 4,5 milioni di tonnellate di petrolio,
circa il 6% dei consumi totali nazionali di greggio. Ma la
quantità rischia di aumentare, perché si stanno
moltiplicando sempre di più le istanze e i permessi di
ricerca di greggio nel mare e sul territorio italiano. (Apcom)Pensiamo
a salvare le coste della
Louisiana,
guardiamo con costernazione e sgomento alla sciagura che
sta devastando il Golfo del Messico. Ma forse non sappiamo
che una decina di piattaforme petrolifere sono già in uiso
a poche miglia dalle nostre coste. I pozzi in acque
italiane sono sicuri?
Il dubbio deve essere sorto anche nelle menti governative
se è vero che, come si legge, il
Ministero dello Sviluppo Economico
ha disposto controlli urgenti
sui pozzi petroliferi attivi nelle acque italiane e ha
sospeso tutte le nuove autorizzazioni alle trivellazioni.
Gli impianti in Italia
Sono una decina le piattaforme off shore per l'estrazione
del petrolio, ma anche di gas e metalli, in funzione nei
mari italiani. Le principali piattaforme estrattive si
trovano nel canale di Sicilia e in Adriatico,
mentre una è nel mar Ionio, davanti a Crotone. In
Sicilia gli impianti sono stati costruiti nel tratto di
mare compreso tra Pozzallo, all'estremità sud-est
dell'isola, e Gela. Tre sono invece le piattaforme
in mare davanti ad Ortona, in Abruzzo, mentre una
si trova più a sud, all'altezza di Brindisi.
Dubbia sostenibilità ambientale
Il Mediterraneo è già purtroppo il mare più inquinato da
idrocarburi, essendo solcato in lungo e in largo da
petroliere che lavano le cisterne al largo, sporcando
le nostre spiagge. A queste si aggiungono le
piattaforme offshore che, sia nella fase esporativa
che in quella estrattiva, sono responsabili del 10%
dell'inquinamento totale da idrocarburi. Inoltre, per
potere trivellare nel mare, le compagnie petrolifere hanno
bisogno di speciali "fluidi e fanghi perforanti",
sostanze altamente tossiche e difficili da smaltire
(lasciano, infatti, tracce di cadmio, cromo, bario,
arsenico, mercurio, piombo, zinco e rame).
Va inoltre considerata la bassa qualità del petrolio
individuato nell'Adriatico, dove si concentrano le più
recenti ricerche: sabbioso e bituminoso (con un alto grado
di idrocarburi pesanti e ricco di zolfo), il cui prodotto
di scarto più pericoloso è l'idrogeno solforato (H2S),
dagli effetti letali sulla salute umana anche a piccole
dosi.
Ci si augura, come sempre, che le autorità nazionali e
locali tengano in debita considerazione i cosiddetti
"costi esterni" dei progetti estrattivi offshore,
ossia il costo che la collettività dovrà sostenere per
ripagare i danni causati alla salute dell'uomo,
all'agricoltura, al turismo, alla pesca, ecc.
Catastrofi dietro l'angolo?
Le relazioni ufficiali individuano tre tipologie di
possibili incidenti. - Blow-out di gas durante la perforazione. E' il
caso della sciagura della Piper Halfa, 6 Luglio
1988, quando, a causa di un malfunzionamento delle valvole
di sicurezza, un'enorme quantità di gas venne rilasciata
in aria, dando origine ad una serie interminabile di
esplosioni. Centosessantasette uomini persero la
vita. Anche le conseguenze ambientali non furono
irrisorie: finirono in mare il fango di perforazione
contenente i detriti perforati, le acque di lavaggio, gli
oli, i rifiuti solidi urbani e assimilabili, serbatoi di
gasolio che alimentano i generatori elettrici ecc.
- Blow-out con fuoriuscita di petrolio incontrollata.
E' il disastroso caso verificatosi nel Golfo del Messico,
conl'incendio
e il successivo crollo della piattaforma della BP.
Le relazioni prevedono la possibilità di tale evenienza ma
non una sola parola viene spesa per descrivere cosa
accadrebbe in caso di incidente. - Collisioni di navi con la piattaforma. Anche in
questo caso viene citato questo tipo di rischio ma vengono
nuovamente menzionate solo le misure di sicurezza per
evitarle.
Non va dimenticato, inoltre, che i disastri possono essere
originati, oltre che da errori umani, da cause naturali
(come tempeste e uragani) e che il
rischio di subsidenza,
nell'Adriatico è particolarmente alto.
Sedco 135F
- Bahia de Campeche, Messico, 1979. Fuoriuscirono
3.500.000 barili di greggio. La falla fu chiusa 9 mesi più
tardi. Ekofisk Bravo - Norvegia, 1977.
Fuoriuscirono 202.381 barili di greggio della Phillips
Petroleum's in 8 giorni. Funiwa - Delta del Niger, 1980. 200.000
barili di petrolio fuoriuscirono in modo incontrollato per
due settimane devastando il delta del fiume. Hasbah Platform - Golfo Persico, 1980.
L'esplosione del pozzo numero 6 fece 19 vittime e causò la
fuoriuscita di 100.000 barili di petrolio. Union Oil Platform Alpha Well - Canale di
Santa Barbara, 1969 - La fuoriuscita di greggio si
protrasse per11 giorni con un versamento complessivo di
80.000 barili
Robin Hood
al contrario
L’Italia non è
la Germania, con la maggioranza dei cittadini contraria
a una riduzione delle tasse per il timore di uno
smantellamento dello stato sociale. Non stupisce quindi
che la decisione di ridurre le imposte sugli affitti,
tramite la c.d. cedolare secca al 20%, abbia riscosso
apprezzamenti generalizzati. Fra i tanti commenti
plaudenti spicca però quello di Milano
Finanza-Mercati Finanziari (MF), testata che ormai
è diventata l’organo di stampa ufficiale del governo.
L’articolo “Inquilini e proprietari riuniti dalla
cedolare” di Gabriele Frontoni (6-8-2010, pag. 6) cita
in chiusura un confronto secondo cui l’Italia è lo stato
europeo che tassa meno i redditi da locazione.
Correttamente bisognerebbe dire solo che potrebbe
diventarlo, perché il testo approvato dal governo deve
ancora passare al vaglio della Conferenza Stato-Regioni
e del Parlamento, con possibilità di modifiche.
Però il punto è un altro. È che l’articolo conclude
inneggiando a questo che sarebbe “un primato di
convenienza che [...] potrebbe essere seguito da altri
con beneficio per l’intero Paese e senza gravare
sulle spalle dello Stato”.
Ma questa è una falsità bell’e buone. Sorvolando sui
pretesi (e inesistenti) benefici per l’intero Paese, una
minore tassazione equivale tautologicamente a inferiori
entrate per il fisco e dunque a un gravame per
lo Stato.
Per completezza aggiungiamo che è una favola che
aliquote più basse riducano l’evasione fiscale, essendo
la sua aliquota pari a zero.
In realtà con la cedolare secca sugli affitti si chiude
un cerchio. Con essa l’attuale governo vuole ridurre
fortemente le tasse sugli investimenti immobiliari per i
redditi alti. Nel 2003 un altro governo Berlusconi aveva
fatto di peggio, aumentandole sugli investimenti
azionari per i redditi medio-bassi. Aveva eliminato il
credito d’imposta sui dividendi, imponendo anche lì una
cedolare secca. Che però significava (e tuttora
significa) un danno nell’ordine del 20-25% per i piccoli
azionisti (vedi
la tabella).
Alla faccia dei ripetuti inviti all’impiego del
risparmio nei settori produttivi!
Quei 100
milioni da Berlusconi alla mafia
Il
quotidiano di via Solferino rivela: Massimo Ciancimino ha
consegnato ai giudici un 'pizzino' del 2001 del padre Vito
che documenterebbe passaggi di contante da distribuire ai
vertici di Cosa Nostra
Cento milioni
di vecchie lire versati da SilvioBerlusconi alla mafia nel 2001. La
relazione pericolosa per il premier sarebbe documentata
in un pizzino consegnato da MassimoCiancimino ai magistrati, secondo
quanto rivelato oggi dal Corriere della Sera.
Nel foglio dattiloscritto ma accompagnato da annotazioni
autografe di donVito
che si riferisce al boss BernardoProvenzano con l’appellativo di
ragioniere, si fa esplicitamente il nome del presidente
del Consiglio.
Scrive l’inviato Felice
Cavallaro: il testo è top secret ma chi lo ha
letto così sintetizza evocando conteggi in vecchie lire:
‘dei 100 milioni ricevuti da Berlusconi, 75 a Benedetto
Spera e 25 a mio figlio Massimo’. E poi: ‘Caro rag.
Bisogna dire ai nostri amici di non continuare a fare
minchiate … e di risolvere i problemi giudiziari”. Il
pizzino sarebbe stato scritto dal padre, secondo
MassimoCiancimino, nella
seconda metà del 2001, dopo il voto del 13 maggio per le
elezioni nazionali e del 24 giugno per la Regione
siciliana con la doppia vittoria schiacciante di Silvio
Berlusconi e di Totò Cuffaro. Don Vito chiede al capo
della mafia di intervenire sui politici usciti
vittoriosi dalle elezioni chiedendo di “non fare
minchiate” ingiustificate alla luce dei “numeri” della
vittoria: 61 seggi a zero per il centrodestra in
Sicilia.
Massimo Ciancimino ha consegnato il pizzino insieme a
una cartellina piena di lettere e documenti che sarebbe
stata trovata a casa della madre, la signora Epifania.
Mamma e figlio sono stati sentiti nei giorni scorsi dai
pm Antonio Ingroia e Antonino Di Matteo sul contenuto
del pizzino e in particolare la signora Ciancimino
avrebbe inserito questa novità in un rapporto
consolidato che risaliva a trenta anni prima: “mio
marito si incontrava negli anni settanta con Berlusconi
a Milano”, avrebbe detto la signora aggiungendo con un
pizzico di disappunto: “ma alla fine Vito si sentì
tradito dal Cavaliere”.
Il rapporto Ciancimino-Berlusconi non è una novità
assoluta delle indagini palermitane. Le prime tracce
risalgono a una serie di relazioni della Polizia degli
anni ’80 in cui si descrive la figura di
MarcelloDell’Utri e il suo
legame con un collaboratore di Ciancimino, l’ingegner
Francesco Paolo Alamia. Mentre già nel 2004, in una
telefonata intercettata dalla Procura di Palermo tra
Massimo Cinacimino e la sorella Luciana, il figlio di
don Vito sosteneva che esistesse un assegno di 25
milioni di lire da parte di Silvio Berlusconi a
beneficio del padre.
Anche su questo punto Massimo Ciancimino ha offerto
nuovi chiarimenti ai pm nei giorni scorsi: si sarebbe
trattato in realtà di soldi in contanti che lui stesso
avrebbe ritirato da un amico del braccio destro di
Provenzano, Pino Lipari.
Il fatto che Massimo Ciancimino abbia in due occasioni
ricevuto decine di milioni di lire dal boss Provenzano o
dai suoi amici sta modificando la posizione giuridica
del “testimone assistito”. Probabilmente la Procura di
Palermo sta valutando la sua iscrizione sul registro
degli indagati per favoreggiamento. Un elemento che però
paradossalmente rafforza la credibilità delle sue
affermazioni autoindizianti.
I rapporti tra il gruppo Berlusconi e la mafia comunque
non sono una novità assoluta. A parte la condanna nel
processo di appello contro Marcello Dell’Utri (nel quale
comunque le dichiarazioni del figlio di don Vito non
sono state recepite perché considerate contraddittorie e
a rate) già nelle indagini degli anni novanta sulla
famiglia mafiosa di San Lorenzo erano emerse le prove
documentali dei versamenti della Fininvest a titolo di
“regalo” ai boss. Nel libro mastro del pizzo,
sequestrato al clan, era stata trovata la dicitura “Can
5 5milioni reg”.
I collaboratori di giustizia avevano spiegato che a
partire dagli anni ’70, prima attraverso
VittorioMangano e poi per
tramite dell’amico di Dell‘Utri,
GaetanoCinà, ogni
anno il Cavaliere faceva arrivare soldi
alla mafia.
Non si trattava però di tangenti, ma di doni fatti per
mantenere i buoni rapporti. Il boss di Porta Nuova,
Salvatore Cancemi, aveva aggiunto di aver visto il
contante proveniente da Arcore ancora nel 1992. La
trafila del denaro allora prevedeva che i soldi di
Berlusconi finissero nelle mani dell’allora capo dei
capi Totò Riina per poi essere suddivisi tra le varie
famiglie mafiose.
Ora, se autentico, il nuovo pizzino conferma che
quell’abitudine non finì con la discesa in campo del
Cavaliere. Tanto che altri regali in contanti sarebbero
arrivati al successore di Riina. Un fatto che, se
provato, spiega bene perché Berlusconi nel 2006 fu
l’unica carica istituzionale italiana a non
complimentarsi per la cattura di Provenzano.
La legge ad
aziendam salva la Mondadori
la maxicausa chiusa con una transazione
Tasse evase, si conclude una
vicenda iniziata nel 1991 con una plusvalenza da 173
milioni. Una cifra su cui per il fisco andavano pagati
Ilor e Irpeg. Sono bastati 8,6 milioni
di SARA BENNEWITZ ed ETTORE LIVINI
La sede della Mondadori a Segrate
MILANO - Legge
salva-Mondadori doveva essere e legge salva-Mondadori è
stata. La casa editrice controllata dalla Fininvest si
avvia a chiudere con una mini-transazione da 8,6 milioni
un contenzioso quasi ventennale in cui l'agenzia delle
entrate le contestava il mancato pagamento di 173 milioni
di tasse evase nel '91, in occasione della fusione tra
Amef e Arnoldo Mondadori. Segrate ha già contabilizzato a
tempo di record nella sua semestrale il versamento della
sanzione per calare il sipario sulla partita con
l'amministrazione finanziaria "grazie al decreto
legge 25 marzo 2010 n. 40 sulla chiusura delle liti
pendenti". Si tratta - in soldoni - del cosiddetto
"Lodo Cassazione", un provvedimento contestato
dall'opposizione per il macroscopico conflitto d'interessi
del premier che consente di archiviare i processi
tributari arrivati in Cassazione con due sentenze
favorevoli al contribuente mediante il pagamento del solo
5% del valore della lite.
La società di Marina Berlusconi - che aveva vinto in
primo e secondo grado le cause con il fisco - ha colto
subito la palla al balzo archiviando questo delicatissimo
caso giudiziario prima della decisione della Corte
suprema. I vertici di Segrate hanno confermato nella
relazione di bilancio "la convinzione della correttezza"
del proprio operato ma hanno preferito metter mano al
portafoglio per "non esporre l'azienda a una situazione di
incertezza ulteriore". Anche perché negli ultimi mesi il
contenzioso
con l'erario aveva
causato più di un attrito tra Silvio Berlusconi e
Gianfranco Fini.
Il presidente della Camera negli ultimi due anni si è
messo di traverso per ben due volte alla norma
salva-Mondadori che la maggioranza ha provato a far
approvare a più riprese: in una prima occasione facendo
cancellare la cosiddetta "definizione agevolata delle
liti" dal pacchetto giustizia per il processo breve messo
a punto da Angelino Alfano e poi costringendo il governo a
sfilarla lo scorso novembre dalla finanziaria 2010 dopo
essere stato avvisato in extremis della presenza del
decreto tra le pieghe della legge di bilancio dal relatore
al Senato Maurizio Saia (Pdl).
L'ennesima legge ad personam, però, una volta uscita
dalla porta, è rientrata dalla finestra ben mimetizzata
all'interno del Dl incentivi. E a questo punto, nella
scorsa primavera, anche Fini ha ceduto, dando luce verde
al provvedimento che ha consentito tra l'altro alla
società di casa Berlusconi di evitare un imbarazzante
braccio di ferro con il ministero dell'economia di Giulio
Tremonti. La controllata Fininvest a dicembre 2009
aveva accantonato in bilancio solo 1,8 milioni a fronte
delle liti pendenti con l'erario.
Il vecchio contenzioso fiscale di Segrate era un serio
cruccio pure per lo stesso presidente del consiglio che in
una conversazione telefonica intercettata con l'ex
consigliere Agcom Giancarlo Innocenzi si lamentava delle
richieste per il divorzio di Veronica Lario - "mia
moglie vuole 45 milioni" - paragonandole alla voracità
di un fisco che gliene chiedeva 900 milioni. In realtà la
cifra richiesta dalle Entrate alla Mondadori (tecnicamente
legata al disavanzo di fusione con Amef) era di soli 173
milioni dell'epoca destinati a salire con gli interessi a
350 milioni. Una cifra comunque molto importante per la
casa editrice di Segrate che ha chiuso l'esercizio 2009,
un anno difficile per tutta l'editoria, con 34 milioni di
utile netto e un giro d'affari di 1,5 miliardi di euro.
I tagli
vittime dello “Strappo”
Il premier si
scontra con Fini. Tremonti sperava il contrario dopo aver
promesso a Europa e mercati un governo stabile per varare
le misure correttive necessarie
La scommessa di
Berlusconi sa di azzardo, non solo dal
punto di vista politico ma anche da quello di tenuta
economica del Paese. Dopo la conta dei deputati e
senatori “finiani” è ormai chiaro a tutti che si va
verso una situazione di instabilità politica ed
istituzionale permanente che avrà un esito disastroso
sulle finanze statali.
Le illusioni berlusconiane del “più grande partito
liberale d’Europa” e del “meno tasse per tutti” nel giro
di poche settimane si sono infrante contro lo scoglio
della crisi economica che ha portato ad una manovra da
25 miliardi di euro e contro l’azione politica del
presidente della Camera. Nessuno degli osservatori
finanziari si aspettava uno show down così veloce, lo
stesso Tremonti aveva incontrato
Berlusconi per due volte nelle ultime quarantotto ore
per sondarne le intenzioni e chiudersi poi in un
assordante silenzio stampa.
Complice la tregua concessa dai mercati ai titoli di
Stato dei paesi europei e forte dell’approvazione della
manovra economica, il presidente del Consiglio ha acceso
lo scontro con Fini rischiando il proprio governo per
ottenere il controllo totale del partito. Le
dichiarazioni di guerra dei fedelissimi del Cavaliere si
sono raffreddate man mano che arrivavano le notizie
sulla consistenza del drappello di deputati e senatori
che erano pronti ad uscire dal Pdl. I “quattro gatti” si
sono trasformati in poche ore in un soggetto politico in
grado di determinare la sorte della legislatura e quindi
di condizionare ogni scelta del governo. A tutti è
chiaro che ci si avvia verso una lunga campagna
elettorale nella quale ognuno dei contendenti tenterà
con ogni mezzo di screditare l’avversario e di fissare
la data delle elezioni nel momento a lui più favorevole.
Esattamente il contrario di quanto sperava Giulio
Tremonti che aveva promesso all’Europa e ai mercati “un
governo stabile” per tutta la durata della legislatura.
La strategia di finanza pubblica messa in campo dal
ministro dell’Economia è basata sul presupposto
fondamentale che ci sia una maggioranza capace di varare
misure correttive mano a mano che si manifestano le
necessità, senza una politica di risparmi programmata in
modo sistematico. Diluire gli annunci delle manovre in
un arco temporale più lungo serviva a mantenere in piedi
l’illusione della promessa di una minore pressione
fiscale.
L’ultima manovra economica aveva appannato l’immagine di
Berlusconi come leader capace di condurre l’Italia fuori
dalle secche fiscali e regalare un futuro fulgido alle
imprese e alle famiglie italiane. La negazione della
crisi è stata negli ultimi due anni la negazione di una
disfatta sul terreno della politica economica della
spesa facile. Tremonti ha individuato i pericoli che
potevano derivare da un ulteriore aumento delle uscite
di cassa e ha tirato un freno imponendo la propria linea
ed arrivando più volte vicino alle dimissioni. Una volta
raggiunto un compromesso sui provvedimenti, il ministro
dell’Economia ha potuto contare su un partito a gestione
unica, monolitico perché ancora riunito sotto un’unica
bandiera: tra mille mugugni nessuno si poteva sottrarre
al voto di fiducia.
Dall’altro ieri lo scenario è cambiato completamente,
Tremonti non dovrà più convincere solo il “capo” della
bontà dei suoi ragionamenti, delle sue scelte e dei suoi
tagli ma dovrà negoziarli con un nuovo gruppo
parlamentare di cui fa parte anche quel senatore
Baldassarri che più di ogni altro ha criticato
la sua politica economica. Dall’altro lato avrà
Berlusconi, alla ricerca disperata di consensi, che non
si accontenterà delle spiegazioni tecniche o di
generiche risposte sulla necessità di far quadrare i
conti. La politica, intesa come ricerca spasmodica del
consenso, prenderà il sopravvento sulla contabilità e
con essa sarà emarginato e forse sostituito il “genio
dei numeri” che si troverà fra l’incudine berlusconiana
e il martello degli investitori internazionali.
A Tremonti rimane la carta della riforma federale del
fisco, la nuova terra promessa che dovrebbe risolvere
tutti i mali, rilanciare l’immagine del premier e
rinsaldare i legami con il suo unico alleato la Lega.
Tuttavia il richiamo alla “coesione nazionale” fatto dal
fondatore della nuova formazione politica è un chiaro
alto là al federalismo penalizzante per il sud, area
d’Italia dove si pensa che sia più forte il radicamento
territoriale degli uomini del presidente della Camera.
Il “genio dei numeri” dovrà fare ora i conti con il
numero magico 33, tanti sono i deputati che sono
fuoriusciti dal Pdl e che bastano ad impedire qualsiasi
nuova azione sulle finanze pubbliche. I margini di
manovra per il superministro dell’Ecomomia ora sono
molto più stretti, i numeri sono contro di lui e questa
volta sarà difficile nasconderli con una frase ad
effetto o un escamotage contabile. Come avrebbe detto
lui stesso: è la politica bellezza!
Marchionne
grande manager…ma de che?
In questi
giorni un attacco violentissimo ai diritti dei
lavoratori viene mistificato dalla grande stampa
nazionale nel segno della necessità di competere
purchessia nell’arena globale. Marchionne,
il “supermanager”
della Fiat, viene presentato
come uno dei rari personaggi che porterebbe il nostro
Paese nell’Olimpo di un mercato senza altre regole che
quella di schiantare gli avversari.
Entreremmo così a pieno titolo in uno scenario da Blade
Runner in cui sarebbe proiettata senza scampo la
politica industriale del nuovo millennio: alla sola idea
questo Governo freme e si sente inorgoglire come capita
ai parvenues entrati nel salotto buono, non
importa se i suoi cittadini più sfortunati dovranno
rinunciare a diritti che hanno fatto la civiltà
dell’Italia del dopoguerra. Marchionne sarebbe la nuova
stella, elogiato perfino da Obama e incompreso da noi per via
di quei cocciuti sognatori della FIOM, che pensano
ancora che l’umanizzazione del lavoro e la difesa della
sua dignità siano i compiti elementari e irrinunciabili
per un sindacato di salariati. Manager
contro operai: di questi tempi una partita persa in
partenza, a meno che…
A meno che ci si metta ben piantati coi piedi per terra
e si ragioni sul fatto che Marchionne usa a sua
discrezione risorse umane e finanziarie che non sono
frutto della sua attività diretta ed indiretta (la Fiat
vende sempre di meno e compete sempre di meno in qualità
e innovazione), ma che provengono dall’alienazione dal
lavoro e dalle tasse dei contribuenti destinate a
riparare la crisi che quelli come lui hanno provocato.
Da qui, lavoro disumano e finanziamento pubblico fuor di
programmazione: si leggano, per comprenderne il peso,
gli accordi sindacali di Pomigliano
o di Detroit e si quantifichino
le autentiche donazioni a fondo perduto che Obama
ultimamente ed i governi italiani da sempre hanno
elargito alla sua azienda, pur in fase di incessante
scorporo e ridimensionamento di attività industriali.E varrebbe la pena di
chiedersi come mai sia saltato l’accordo con la
Opel, se non perché il sindacato tedesco non ha
accettato condizioni di lavoro insopportabili e la
cancelliera Merkel ha sollevato obiezioni insormontabili
sui costi pubblici per l’operazione. E ci si
interroghi ancora sul fatto che il manager
italo-canadese, che accusa il sindacato CGIL di essere
immobile e antiquato, glissa sul fatto che solo qualche
anno fa la Fiat si era opposta con tutte le forze al
progetto avanzato all’unanimità in assemblea (senza
alcun referendum!) dagli operai dell’AlfaRomeo di Arese, con la
proposta di trasformare il vecchio stabilimento in un
“Polo di mobilità sostenibile” propulsore indispensabile
per la ricerca e l’ingegnerizzazione di nuovi prodotti
ecocompatibili. Proprio allora il management Fiat
preferì ricorrere alla cassa integrazione (soldi
pubblici anch’essi) anziché far proprio un piano ideato
dall’Enea sotto la supervisione di Carlo Rubbia e con la
prospettiva di reinsediamento di 7000 posti di lavoro
nei settori della green economy.
Si vada infine a vedere su
Youtube, al link
http://www.youtube.com/watch?v=B97sTMZmgcE
, il filmato incredibile dell’abbattimento da parte
della Fiat, in una sola notte, delle allora nuovissime
linee della Panda 4×4 pagate da fondi UE, solo per
impedire il rientro in fabbrica dei cassintegrati
riammessi al lavoro da una sentenza del pretore del
lavoro! Ci si accorgerebbe allora che l’inderogabile
arroganza Fiat, alla cui scuola il nostro si adegua,
viene da ben più lontano…
Certo, in un’economia sempre più extraterritoriale e in
contrasto con la vita, si può, come Marchionne, puntare
allo scacchiere internazionale guardando solo al gioco
della finanza e al soccorso pubblico. Si possono
chiudere così gli occhi su paesaggi noti, luoghi di
produzione ricchi di storia, volti con una loro
irriducibile identità umana e professionale, braccia con
un cervello e piccole o grandi aspirazioni di donne e
uomini, che sono la ragione profonda che ha ispirato
l’articolo 41 della Costituzione, affinchè l’impresa non
diventi nemica della società. Ma, nonostante la
piaggeria dei media e la fanfara della propaganda,
quando si bypassa tutto ciò si perde di credibilità, si
confonde management con business a tutti i costi e,
nonostante il maglioncino trendy, difficilmente si può
diventare interlocutori per un futuro migliore.
Tentazione
Draghi. Ha giò pronto un programma per guidare un governo
tecnico
Lotta
all'evasione, nessun condono e federalismo fiscale. Rigore
nei conti, ma senza alzare le tasse
Silvio
Berlusconi ha chiaro il problema: se il governo
non ce la farà a sopravvivere all’allontanamento dal Pdl
dei 34 deputati vicini a Gianfranco Fini,
il Quirinale potrebbe non sciogliere le Camere ma
favorire un governo tecnico per assicurare la tenuta
finanziaria del Paese e approvare la probabile
manovra-bis in autunno. Oltre a quello di Giulio
Tremonti, il nome che circola per la guida di
un esecutivo di transizione è quello di Mario
Draghi.
Il ministro del Tesoro ha dimostrato in questi mesi, in
cui ha preso in mano tutta la gestione della manovra e
della politica economica, quale idea abbia di come
governare il Paese. E lo stesso, sia pure con i modi e i
toni che gli impone la sua funzione di governatore della
Banca d’Italia, ha fatto Draghi, uno degli invitati a
casa di Bruno Vespa, un mese fa, la
sera in cui Berlusconi inseguiva la stabilità della base
parlamentare del governo, cercando un’intesa con l’Udc
di Pier Ferdinando Casini.
Evasione e legalità. Per ora è solo un
esercizio teorico, ma nelle prese di posizione del
governatore nell’ultimo anno si può leggere un programma
di governo. La priorità per il governo Draghi sarebbe la
questione fiscale. A margine delle considerazioni finali
il 31 maggio, l’evasione è stata definita “la vera
macelleria sociale” e in un’altra occasione informale
Draghi ha ribadito che il carico del fisco è distribuito
in modo criminalmente diseguale. Il primo punto, quindi,
è far pagare le tasse a chi non le paga, anche perché il
governatore è convinto che la dimensione dell’imponibile
sottratto al fisco renda l’Italia pericolosamente simile
a Grecia e Portogallo, prossimi al collasso finanziario.
Nella testa – e nei testi – di Draghi è chiaro come
procedere: si fa pagare di più chi non paga per ridurre
subito le aliquote, “e il nesso tra le due azioni va
reso visibile ai contribuenti”, ha detto nelle
considerazioni finali. Proprio in quell’occasione ha
parlato per la prima volta in modo esplicito del
problema delle “relazioni corruttive tra soggetti
privati e amministrazioni pubbliche”, talvolta “favorite
dalla criminalità organizzata”. Alludeva alla “cricca”
degli appalti, con Guido Bertolaso e
Angelo Balducci, ma le parole si
adattano anche alla cosiddetta P3, l’alleanza occulta
tra faccendieri e uomini di governo. Uno di questi, il
coordinatore del Pdl Denis Verdini, era
presidente fino a pochi giorni fa del Credito
Cooperativo Fiorentino. Ora Bankitalia ha commissariato
la banca per le gravi irregolarità nell’amministrazione.
Priorità ai conti. Draghi non si è mai
dimenticato un viaggio in Jugoslavia alla fine degli
anni Ottanta, quando lavorava per la Banca mondiale. Il
ministro del Tesoro bosniaco gli spiegò che non si
preoccupava di avere un bilancio in deficit perenne,
perché tanto i loro titoli di Stato li comprava la
Slovenia. Un po’ come se la Campania acquistasse titoli
di debito emessi dalla Lombardia. Un trucco contabile
che, prima o poi, si paga. Europeista per necessità,
oltre che per convinzione, Draghi quindi pensa che sia
necessario costringere gli Stati (Italia inclusa) al
rigore anche subordinando un po’ di democrazia al
rispetto dei parametri di bilancio. Magari togliendo il
diritto di voto al Parlamento europeo ai rappresentanti
di Paesi che trasgrediscono troppo i vincoli di
Maastricht sul debito e il deficit.
Più tagli che tasse. Risanamento
subito, questa sarebbe la missione di un eventuale
governo Draghi. E l’allievo di Franco Modigliani
all’MIT di Boston ha una ricetta che potrebbe piacere
anche ai berlusconiani: i conti non si salvano
aumentando le tasse, che sono poco “growth friendly”.
Cioè frenano la crescita più dei tagli di spesa. La
politica economica draghiana si fa quindi riducendo gli
sprechi (cioè quelle sacche di spesa pubblica di cui
beneficiano solo piccoli gruppi) e non con imposte
patrimoniali o alzando le aliquote, misure che
finirebbero per soffocare una ripresa già flebile. Al
limite vanno bene anche i tagli orizzontali (automatici
e che non distinguono tra virtuosi e spreconi) amati da
Tremonti, tutto pur di evitare il pasticcio di questa
manovra dove le riduzioni sono quasi sempre
discrezionali. E infatti Bankitalia non si è mai spinta
ad approvarla, l’aggettivo più lusinghiero è stato
“inevitabile”.
Federalista, ma… Un governo Draghi
potrebbe trovare l’appoggio perfino della Lega. Perché
il governatore è un federalista convinto (sia pure con
riserva: tutto dipende da come si fissa il parametro dei
costi standard, su cui calcolare i trasferimenti dallo
Stato alle Regioni). In un famoso convegno del 2009,
poco gradito da Tremonti, Draghi ha chiarito che bisogna
finirla con politiche economiche meridionaliste, piani
straordinari e istituzioni ad hoc (come la tremontiana
Banca del Mezzogiorno). Meglio concepire “politiche
generali, che hanno obiettivi riferiti a tutto il Paese,
e concentrarsi sulle condizioni ambientali che rendono
la loro applicazione più difficile o meno efficace in
talune aree”. Musica per le orecchie leghiste: basta
finanziamenti a fondo perduto al Sud. E il federalismo
fiscale può essere un utile strumento a patto che sia
ambizioso e non punti soltanto a trasferire il potere di
spesa a livello locale per sopperire alla paralisi del
governo centrale.
Non si conosce l’opinione di Draghi su come modificare
la legge elettorale (uno dei probabili compiti di un
eventuale esecutivo tecnico).
Le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia,
nell’autunno 2011, con un grande convegno organizzato da
Bankitalia sulla storia e lo sviluppo del Paese,
potrebbero essere un’utile occasione per chiarire i
dettagli del “programma Draghi”. Sempre che, per allora,
il governatore non abbia già traslocato da tempo a
Palazzo Chigi.
Fervori azionari (e
ridicolaggini) del Corsera
Il caldo non ha
smorzato il fervore ideologico dei redattori del
Corriere della Sera. D’altronde questa è la linea del
giornale o, meglio, l’interesse di chi direttamente o
indirettamente lo controlla, sempre desideroso di
scaricare sul groppone dei risparmiatori carrellate di
azioni, tutte rigorosamente di minoranza, delle proprie
società.
Così il quotidiano milanese, nell’ultimo numero prima
delle ferie del suo supplemento CorrierEconomia di
lunedì 19 luglio 2010 (pag. 2), si premura di dare
consigli ai lettori. Già il sottotitolo vuole spingerli
ad affrettarsi all’investimento azionario: “Borse
europee mai così a buon mercato”. Peccato che l’articolo
non riporti neppure uno straccio di dato numerico a
suffragio di tesi strampalata. Perché mai le Borse
europee a metà luglio 2010 sarebbero al massimo della
convenienza degli ultimi cinque secoli?
Ma il colmo è ciò che gli autori dell’articolo (Giuditta
Marvelli e Marco Sabella) scrivono riguardo al rischio
di una cosiddetta doppia recessione; timori al riguardo
potrebbero infatti frenare chi pensa di comprare azioni:
“La Federal Reserve ha dichiarato che l’ipotesi è
accreditata per un massimo del 12%. Come dire: quasi
impossibile”.
Qui sprofondiamo nel ridicolo. Un 12% equivale a una
volta su otto, per la precisione una ogni 8,333 volte.
Ma un medico presenta come “quasi impossibile” l’esito
infausto di un intervento chirurgico, quando
statisticamente un paziente ogni otto finisce
all’obitorio? Oppure si direbbe “quasi impossibile”
morire per un incidente di volo, se si schiantasse un
aereo ogni otto?
L’articolo termina poi con un riferimento alla “ultima
accelerata di fine anno”, data chissà perché per
scontata. In effetti i mesi di fine 2010 potrebbero
benissimo essere invece di calma piatta, di turbolenze,
di tracollo ecc.
Per il resto tutta la pagina è la solita passerella
offerta a dirigenti di società del risparmio gestito che
sciorinano una banalità dopo l’altra, magari condita con
qualche scempiaggine. Opportunamente fotocopiata questa
pagina, come tante altre simili, servirà di supporto ai
venditori a domicilio o allo sportello per accalappiare
nuovi clienti.
Il governo
raschia il fondo del barile
Ieri ha
incassato la fiducia del Senato, oggi tocca alla Camera:
la Manovra economica era necessaria per calmare i
mercati che avevano iniziato a scommettere sullo
scarroccio dei conti pubblici italiani. Però si poteva
programmare sin da novembre 2009, quando nel Dpef
(documento di programmazione economico finanziaria) il
governo aveva volutamente sovrastimato la crescita
economica nel biennio 2011/2012 per non dover annunciare
tagli alla spesa alla vigilia della campagna elettorale
per le elezioni Regionali. “La nostra è una finanziaria
senza né tagli né tasse” disse il ministro del Tesoro
Giulio Tremonti nella conferenza stampa di presentazione
del provvedimento.
Nelle tasche degli italiani Dopo le elezioni regionali il ministro delle
Finanze si è rimangiato la sua promessa e ha imposto una
manovra da 25 miliardi di euro. Quella menzogna
propinata agli italiani ha influito profondamente sulla
qualità dei nuovi provvedimenti economici: il governo ha
dovuto in fretta e furia ridurre la spesa effettiva e
tagliare alla cieca colpendo le categorie più deboli
della popolazione italiana. È un provvedimento codardo
perché lascia alle Regioni (che ieri hanno ribadito
l’“insostenibilità dei tagli”) il compito di decurtare
servizi essenziali o di aumentare le tariffe: i settori
più colpiti saranno quello dei trasporti pubblici,
dell’assistenza sociale e del sostegno alle piccole
imprese. Un’ondata di rincari dei servizi o un taglio
drastico degli stessi ricadranno su quella fascia di
popolazione che più di ogni altra sta già soffrendo la
crisi economica. La tanto propagandata eliminazione
dell’Ici ritornerà maggiorata sotto forma di tassa
comunale per i servizi, il provvedimento arriverà a
colpire quelle stesse mura domestiche che ospitano già
un giovane disoccupato che vive a carico dei genitori
lavoratori dipendenti.
L’evasione e la P3 Al momento non pagheranno la multa coloro
che hanno superato le quote latte (incassando milioni di
euro), gli evasori fiscali che sono stati graziati da un
emendamento fortemente voluto da Confindustria, i
milionari e i miliardari, gli speculatori e i furbetti
in generale. È una manovra che si muove nel solco
politico di governo e maggioranza: i comportamenti
devianti vengono premiati e viceversa.
“Il Sud ha una classe politica cialtrona” tuonava
Tremonti nella fase di discussione con le Regioni, la
stessa che fino a ieri occupava il suo ministero con un
sottosegretario con delega al Cipe, Nicola Cosentino, su
cui pende un mandato d’arresto per i suoi rapporti con
la Camorra. “Faremo una vera lotta all’evasione” diceva
mentre la P3 tramava per liberare la Mondadori da un
contenzioso fiscale da 400 milioni di euro. La doppia
morale dell’esecutivo era stata fino ad ora coperta
dall’incremento della spesa pubblica che è aumentata di
30 miliardi all’anno negli ultimi 10 anni. Con la spesa
e l’aumento del debito si è coperto tutto, si è creata
la falsa illusione di un benessere stabile e diffuso,
sensazione consolidata da un lungo periodo di bassi
tassi d’interesse sui mutui casa. I consumi delle
famiglie sono decollati e con essi i prezzi degli
immobili, e anche delle derrate alimentari. Dalle banche
alle assicurazioni, dall’immobiliare alla grande
distribuzione l’establishment di questo Paese ha fatto
affari d’oro e uno stuolo di consulenti legali,
commercialisti e faccendieri erano pronti a suggerire
consigli e operazioni “di efficienza fiscale”, in
italiano corrente: elusione fiscale. Tutti benedetti da
“Cesare” che con il suo esempio di 24 società offshore,
processi per falso in bilancio e conflitti di interessi
in tutti i settori rappresenta la giustificazione morale
per ogni evasore che si rispetti.
La ricchezza nell’era Berlusconi Ma cosa è rimasto in piedi della ricchezza
prodotta negli anni d’oro del Berlusconismo? Poco o
nulla: il Pil del 2010 cresce nel primo semestre dello
0,9 per cento e le entrate tributarie calano del 1,3 per
cento. Come è possibile un andamento asimmetrico delle
tasse rispetto alla produzione di ricchezza ? Un
miracolo tutto italiano che continua a produrre fiumi di
flussi di denaro verso le banche svizzere, le quali
continuano a lavorare a pieno regime. Come un nuovo
dottor Jekyll, Tremonti dice e produce cose ragionevoli
di giorno: il rispetto degli impegni europei, la lotta
ai paradisi fiscali e agli sprechi, il miglioramento
della classe politica. Di notte il mister Hyde che è in
lui rinvia il pagamento delle quote latte, si piega alla
Confindustria sulle questioni fiscali e interloquisce
con Cosentino sulle delibere del Cipe senza lamentarsi.
Quelli della Pd4.
La lobby segreta del Pd, Perdere Dovunque e Comunque,
essere i migliori alleati di Testa d'Asfalto e fare finta
di opporsi (vedere Scudo Fiscale, vedere Decreto
Salvaliste poi decaduto e riesumato per salvare il vicerè
di merda Errani, vedere il mancato voto di sfiducia
richiesto all'indomani della distruzione da parte della
Consulta del Lodo Alfanobis ed all'indomani della sentenza
di condanna a quattro anni del commercialista di Testa
d'Asfalto Mills....)
D'Alema guidava da un sottoscala una cricca
spietata. Il "Piano di Implosione Democratica", la più
importante organizzazione autodistruttiva mai scoperta!
Capalbio come Castiglion Fibocchi. Le intercettazioni
delle riunioni notturne in uno scantinato del paese o a
bordo dell’Ikarus, il dodici metri di D’Alema
ancorato sulla costa maremmana, fanno
impallidire gli intrighi di Gelli e
quelli della P3, svelano molti dei misteri dell’Italia
repubblicana. La Pd3 è molto più della Gladio rossa, è
il crocevia di quindici anni di centrosinistra. Ora
sappiamo con certezza.
C’era una regia dietro l’idea della Bicamerale, che in
un colpo solo fa cadere Prodi e manda
D’Alema al suo posto, giusto il tempo di rianimare un
Berlusconi boccheggiante e
riconsegnargli l’Italia. E c’era del genio nella scalata
alla Bnl che fa dire a Fassino “Abbiamo
una banca”, con la banca che invece finisce agli amici
dei nemici. E anche nella ragionata scelta di tempo di
Veltroni che annuncia che il Pd non ha
più bisogno degli alleati, affonda Prodi un’altra volta
e regala a Berlusconi la più grande maggioranza
parlamentare della storia.
Ma quello che nessuno poteva immaginare è che questa
Spectre post-comunista avesse le mani in pasta in ogni
settore della società. Ascoltare Bersani che dice ad
Antonella Clerici “Ti prego fai vincere
Sanremo a Toto Cutugno” (trionfo di Scanu) e Veltroni
che telefona a Mandrake, lo scommettitore di Febbre da
cavallo, per convincerlo ad andare a Capannelle e
puntare tutto su Antonello da Messina (Mandrake si è
rovinato) non può che inquietare. E getta un’ombra
sinistra su tutta la vita del paese la registrazione di
D’Alema che a Rosella Sensi garantisce
“Con Cassano ci parlo io, ci farà battere la Sampdoria,
lo scudetto è della Roma” (blucerchiati vittoriosi,
scudetto all’Inter), o quella di Enrico Letta
e Marini che dettano a Lippi
convocati e formazioni della Nazionale (Italia
eliminata al primo turno ai Mondiali).
Ma le intercettazioni rivelano anche l’ultimo complotto,
ancora in corso. “Per battere Berlusconi l’uomo giusto è
Montezemolo, dobbiamo fermare Vendola”
dice D’Alema a Bersani. Parole che hanno portato
l’euforia nelle Fabbriche di Niki. I suoi supporter,
ancora memori della batosta presa da Boccia per conto
del leader maximo alle primarie pugliesi, gongolano: “
Berlusconi ha detto che quelli della P3 sono sfigati,
questi qua sono sfigati in servizio permanente
effettivo”.
Manovra:
serviranno altri 25 miliardi. E il debito pubblico
schizza a livelli record
Nei primi
mesi del 2011 saremo alla resa dei conti di una
politica economica basata sugli slogan e sulla
benevolenza agli evasori fiscali. E il Governo
indebolito dagli scandali non avrà la forza di trovare
soluzioni
Il debito
pubblico è cresciuto, al netto della cassa, di 13
miliardi fra aprile e maggio di quest’anno,
raggiungendo la cifra record di 1.827 miliardi.
Anche se il ministro dell’Economia
Giulio Tremonti minimizza dicendo che il
fatto ha “importanza relativa”, facendo le
proiezioni vuol dire che, anche supponendo che la
manovra appena varata sia pienamente efficace e che
il Pil italiano cresca nei prossimi tre anni
dell’1,3 per cento, per mantenere gli impegni presi
in Europa serve un’altra manovra da 25 miliardi di
cui 16 nel biennio 2011/2012.
Gli operatori finanziari hanno concesso una tregua
ai nostri titoli di Stato, la rigidità mostrata da
Tremonti nella difesa dei conti pubblici e una
minima ripresa economica hanno contribuito a
mantenere su livelli accettabili i tassi d’interesse
che l’Italia paga per rifinanziare il proprio
debito. Questa apertura di credito durerà solo fino
alle prossime verifiche dei numeri di finanza
pubblica e di andamento dell’economia.
Il
downgrading del Portogallo di ieri è un
promemoria per ricordare che i problemi sono tutti
sul tappeto e possono deflagrare in una nuova crisi
da un momento all’altro. La politica estera del
“cucù”, ufficializzata due giorni fa da
Silvio Berlusconi non ha infatti convinto
la Germania a recedere dal proposito di comprimere i
propri consumi attraverso una politica di bilancio
restrittiva e puntare tutto sulle esportazioni. Una
ricetta economica tagliata su misura per il tessuto
industriale, economico e sociale tedesco ma che
stringe in una morsa recessiva tutti gli altri
partner europei.
Alla
fine del primo trimestre 2011 saremo alla resa dei
conti di una politica economica basata sugli slogan
e su messaggi chiari di benevolenza agli evasori
fiscali. L’Istat ci dice che siamo il Paese con la
più alta percentuale di economia sommersa, ogni anno
255 miliardi di euro di ricchezza prodotta sfuggono
a qualsiasi controllo e chiaramente a ogni tipo di
imposta. La fortunata formula politica “meno tasse
per tutti” si è tradotta in una divisione economica
e sociale fra lavoratori dipendenti e lavoratori
autonomi. L’evasione non è un fenomeno isolato,
concentrato in alcuni settori o gruppi, è
consolidato e diffuso dall’idraulico all’avvocato,
dal fruttivendolo al grande imprenditore, chi più
chi meno arrotonda i propri introiti pagando meno
imposte. In questo andazzo diffuso anche il
lavoratore dipendente dove può risparmia, tutti
sanno che esistono due prezzi differenti per ogni
bene e ogni servizio che si acquista: il prezzo con
fattura e il prezzo senza fattura.
Il governo
si troverà presto di fronte al dilemma di operare
altri 25 miliardi di tagli alla spesa o di
perseguire in maniera efficace l’evasione fiscale
magari reintroducendo la norma sulla tracciabilità
del contante varata da Romano Prodi
e solo parzialmente ripresa nell’ultima finanziaria.
C’è il ragionevole dubbio che Berlusconi e la sua
maggioranza non abbiano la forza di fare né l’una né
l’altra cosa, troppo deboli e minati nella
credibilità dagli scandali per imporre nuovi
sacrifici, troppo sbilanciati con il loro elettorato
per stringere sui controlli fiscali.
La dura reazione del presidente della Lombardia
Roberto Formigoni alla Finanziaria ci dice
che anche la strada di scaricare sugli enti locali
il peso dei tagli è difficilmente percorribile
nell’immediato futuro. Intanto protesta anche il Pd
per un emendamento che toglie il tetto di 20 alunni
per le classi con bimbi disabili. Negli ambienti
economici finanziari italiani cresce la
preoccupazione di un esecutivo paralizzato di fronte
a nuove necessità di cassa e prende sempre più forza
l’idea di una maggioranza più ampia dell’attuale, di
larghe intese o meno ma che garantisca
all’establishment del Paese una guida certa dei
conti pubblici e dell’economia.
In questo quadro la presenza di Cesare
Geronzi e Mario Draghi
alla cena in casa Vespa con
Berlusconi e Casini non sembra né
casuale né improvvisata: gli interessi della finanza
italiana coincidono con le preoccupazioni del
cardinale Bertone (altro
commensale) sulla tenuta sociale del Paese.
Probabilmente a casa di Vespa è iniziato un
ragionamento sul futuro dell’Italia che andrà al di
là e oltre le portate servite al tavolo e che
riemergerà con le scadenze di bilancio dei prossimi
dodici mesi. Noi speriamo vivamente che sia così,
anche per dare un senso alla presenza a quella cena
del governatore di Bankitalia Mario Draghi che è
anche presidente del Financial Stability Board. Se
invece, come sostiene Vespa, alla cena non si è
parlato di niente del genere saremmo veramente in
pieno basso impero, epoca nella quale si può
chiedere alla massima autorità monetaria del Paese
di passarci il sale.
IL MERDA IN
LEGGERO AFFANNO: CHIEDE AIUTO AL VATICANO ED ALLA FIGA.GIOVEDI'
SERA. Poco prima di mezzanotte, una mercedes nera targata
Città del Vaticano s'allontana per la discesa di via
Gregoriana, a due passi da piazza di Spagna. Seduto
dietro, il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di
Stato. Poco dopo, dallo stesso portoncino, escono nella
notte romana Cesare Geronzi e Mario Draghi. Cosa ci
facevano alla stessa tavola il primo collaboratore del
Papa, il governatore della Banca d'Italia e il presidente
di Generali? Assistevano all'ultimo, caparbio, tentativo
del Cavaliere di evitare lo sfarinamento della sua
maggioranza, iniettando forze fresche - quelle dei
centristi di Pier Ferdinando Casini - in un momento di
grande difficoltà.
L'occasione la crea Bruno Vespa che, con l'idea di voler
festeggiare "con qualche amico" i suoi 50 anni di
giornalismo, offre la sua terrazza su Trinità de Monti per
una spericolata (e per ora infruttuosa) operazione
politica. Dunque Berlusconi. Accompagnato da Gianni Letta,
il premier appare da subito deciso a tentare l'affondo
finale. Anche la cornice - da Bertone, rappresentante del
Vaticano a Geronzi, custode del nuovo assetto finanziario
italiano - sembra creata apposta per accerchiare Casini.
Almeno così spera Berlusconi, che stavolta è pronto a
mettere tutto sul piatto pur di imbarcare "Pier
Ferdinando" e lasciare a terra quel "traditore" di Fini.
La presenza del segretario di Stato vaticano, agli occhi
del premier, dovrebbe rendere più "ragionevole" il
cattolico Casini. Una convinzione tratta dai contatti con
i vertici d'Oltretevere, per i quali Letta aveva
ricevuto un incarico preciso. Così, dopo un vago richiamo
alle "comuni radici del Ppe", il Cavaliere mette i piedi
nel piatto: "Pier, noi apparteniamo alla stessa famiglia,
i nostri elettori sono gli stessi. Cosa ci fai in quella
compagnia di giro? Il tuo posto è alla guida del paese
accanto a me. Se solo volessi potresti fare il
vicepresidente del Consiglio, saresti il numero due del
governo. Sceglieresti tu il successore di Scajola e magari
potreste avere anche la Farnesina". Un'offerta succulenta
e del resto il premier ha assoluto bisogno di tamponare
l'emorragia finiana, costi quel che costi. Di cedere alle
richieste del presidente della Camera non lo prende
nemmeno in considerazione. Anzi, sta provando a sfilare a
Fini tutti gli interlocutori. Compreso Francesco Rutelli,
che non a caso è stato invitato da Gaetano Quagliariello
ad aprire gli incontri estivi della fondazione Magna
Carta.
"Fini ti ha già fregato una volta - ricorda Berlusconi a
Casini - ha detto che rompeva con me e poi è corso a fare
il Pdl lasciandoti da solo. Se tornassi con noi nessuno
potrebbe dirti niente". Ma il leader dell'Udc, nonostante
molti dei suoi non aspettino altro, anche stavolta delude
il suo interlocutore. E non è solo la volontà di non farsi
utilizzare contro Fini, prestandosi all'accusa di
trasformismo parlamentare. Casini i suoi 39 deputati
sarebbe anche disposto a concederli, ma solo in cambio di
un "forte segnale di discontinuità" rispetto all'attuale
maggioranza. Un "cambio di passo" che non potrebbe che
essere marcato da una "crisi di governo" e dalle
conseguenti dimissioni del premier. "Non posso
semplicemente aggiungermi a voi - spiega dunque al
Cavaliere - perché vorrebbe dire rinnegare tutto quello
che abbiamo detto e fatto finora. Non si può cambiare la
base parlamentare del governo senza tornare al Quirinale e
noi non facciamo la ruota di scorta, mi dispiace". Altra
cosa sarebbe se si presentasse un nuovo governo: "Silvio,
a guidarlo saresti sempre tu, ma sarebbe una nuova
maggioranza per un nuovo programma. Riforme difficili,
anche impopolari, da fare insieme per uscire dalla crisi.
In questo caso potremmo anche valutare l'ipotesi". Bertone
ascolta in silenzio e non si intromette. Berlusconi appare
teso, protesta. "Io non posso aprire una crisi al buio,
come puoi chiedermi questo? Dovrei ammettere che abbiamo
fallito e invece stiamo facendo e abbiamo fatto tanto".
C'è poi un'altra preoccupazione che agita il Cavaliere e
gli impedisce di dar corpo alla richiesta di Casini. Alla
cena da Vespa non ne fa cenno, ma ieri - riferendo della
serata a più di un ministro - confessa il suo vero
cruccio: "Se si apre una crisi di governo la palla passa
al Quirinale. Come faccio a fidarmi?". È lo spettro di un
nuovo Dini, di un governo di transizione come quello nato
nel '95 sotto l'ala protettrice di Scalfaro.
LA MANOVRA
ABRACADABRA
Il governo accoglie le richieste
degli industriali. Il conto lo pagano gli altri
Il suk è
finito. Non si tratta più sulla manovra da 25 miliardi.
Ieri è finito l’esame degli emendamenti in Commissione
Bilancio al Senato e martedì arriverà in aula, giovedì
ci sarà il voto di fiducia. Il disegno di legge che
interviene sul bilancio per il biennio 2010-2012 sarà
superblindato. Con un comunicato congiunto, il
presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il ministro
dell’Economia Giulio Tremonti hanno fatto sapere che la
fiducia sarà chiesta anche alla Camera. “Un atto
incommentabile”, secondo il segretario del Pd Pier Luigi
Bersani. Per la maggioranza la fatica di arrivare a
questa sintesi è stata tanta che non può più permettersi
di trattare ancora. Alla fine è stato smontato
l’impianto originario dei tagli orizzontali ma sono
rimasti i saldi di bilancio finali. Ecco chi ha vinto e
chi ha perso nelle trattative degli ultimi giorni.
CHI VINCE.
Confindustria ha chiesto e ottenuto quello che voleva.
Come promesso da Berlusconi in una telefonata con Emma
Marcegaglia, presidente degli Industriali, sono state
cancellate le misure anti-evasione (da
“stato di polizia” secondo altri)
che dovevano generare sei miliardi di
gettito in due anni. In particolare
cambia l’articolo 38 della manovra, quello che
accelerava i tempi di riscossione, da parte dell’erario,
nei casi di contenzioso. La lobby farmaceutica ottiene
il risultato minimo per cui stava combattendo: il taglio
di 600 milioni alla spesa farmaceutica viene ripartito
sull’intera filiera. Il grosso del taglio ai margini di
profitto sui farmaci di fascia A (quelli gratuiti per i
cittadini) viene scaricato sui grossisti e sulle
aziende. Le farmacie possono essere soddisfatte, il
presidente di Farmindustria (associazione delle imprese
farmaceutiche) Sergio Dompé parla di “appropriazione
indebita” da parte dello Stato. Come aveva promesso
Berlusconi, nella versione finale viene cancellata la
possibilità di tagliare le tredicesime mensilità di
alcune categorie di dipendenti pubblici come vigili del
fuoco, professori universitari e magistrati. Spiega
Azzollini che “quella sulle tredicesime era solo
un’opzione. Togliendo questa parte i saldi rimangono
invariati”. Non è quindi chiarissimo perché fosse stato
introdotto. Stesso discorso per
l’innalzamento della soglia di invalidità che dà diritto
alla pensione dell’Inps. Come previsto nei giorni
scorsi, resterà al 75 per cento senza salire all’84.
Trionfa la lobby trasversale dei politici romani:
arrivano 50 milioni di euro a Roma Capitale. E si riduce
quindi la necessità per il sindaco Gianni Alemanno di
mettere i pedaggi sul Grande raccordo anulare.
CHI PAREGGIA. Dopo il terremoto il
governo aveva sospeso e imposte ai cittadini de
L’Aquila, per evitare che venissero gravati anche dal
fisco oltre che dalla sorte.
Dopo una lunga trattativa, il governo ha deciso che
nella manovra ci sono abbastanza soldi solo per
continuare a sospendere le tasse di lavoratori autonomi
e piccole imprese aquilane (con fatturato inferiore a
200 mila euro) per altri cinque mesi. Dal primo luglio,
invece, per dipendenti, pensionati e grandi aziende
tutto tornerà alla normalità. È la sospensione
tributaria di minor durata della storia recente delle
politiche post terremoti. Il recupero
delle imposte non versate durante il periodo di
sospensione (non sono state condonate ma solo congelate)
dovrebbe avvenire in cinque anni. Ma ieri sera il
sottosegretario Gianni Letta ha promesso un nuovo
emendamento per allungare a dieci anni. Non è chiaro
come la cosa sia attuabile, visto che la manovra
dovrebbe essere blindata, forse ci potrebbe essere un
maxi-emendamento prima della fiducia. Ma per ora sembra
poco plausibile. Il comparto sicurezza lamentava
un taglio da 600 milioni in due anni che colpirebbe
dalle forze armate alla polizia e ai vigili del fuoco.
Negli ultimi emendamenti di ieri sera, dopo giorni di
proteste, i rappresentanti del settore hanno ottenuto
solo 160 milioni di euro in due anni di stanziamenti.
Meglio di niente ma molto meno di quello che chiedevano.
Viene però introdotto un blocco del turn over nei
servizi segreti che dovrebbe assicurare una riduzione
del personale di 570 unità (su 2500 in totale).
CHI PERDE. La
grande sorpresa di ieri è la stangata sulle
assicurazioni che vale 234 milioni di euro.
L’emendamento presentato ieri dal solito Azzollini
prevede un aumento della tassazione Ires per le imprese
assicurative stabilendo che “la variazione delle riserve
tecniche obbligatorie relative al ramo vita concorre a
formare il reddito dell’esercizio in misura pari al 90
per cento”. E le assicurazioni dovranno pagare il conto
della misura già da novembre, quando sono chiamate a
versare la prima parte delle imposte. È molto probabile
che il rincaro, in assenza di vincoli specifici, venga
scaricato sui clienti tramite un rincaro dei prodotti
assicurativi. Saranno quindi i
consumatori a pagare di fatto i 234 milioni, che
servivano al governo per compensare il mancato gettito
dovuto alla cancellazione delle misure sgradite a
Confindustria.
Poi ci sono ovviamente le Regioni e i Comuni (vedi pezzo
qui sotto). I tagli ai
trasferimenti dallo Stato agli enti locali non sono mai
stati rimessi in discussione: 8,5 miliardi di euro in
due anni. Non sono servite le proteste di sindaci e
governatori, Berlusconi si è perfino rifiutato di
incontrarli prima che la manovra fosse chiusa in
Commissione Bilancio. “I saldi della
manovra erano, sono e saranno intangibili”, recita il
comunicato congiunto di Berlusconi e Tremonti. Perché si
poteva trattare su tutto, ma non sul cuore della
manovra, che era proprio il taglio ai trasferimenti (che
gli enti locali potranno provare a compensare con più
lotta all’evasione e, forse, la nuova service tax su
immobili e servizi). L'eroica
settimana del "ghe pensi mi" precipita nella prosaica
entropia della manovra economica.
Berlusconi ha disinnescato la mina Brancher, al prezzo
di una penosa rinuncia che ha svelato il patto diabolico
tentato sulla pelle delle istituzioni: un ministero ad
personam in cambio di un'impunità personale. Ma non
riesce a disinnescare la bomba del decretone da 25
miliardi, sul quale si concentrano le tensioni della
maggioranza e le pressioni della società. La ragione è
semplice. Per un governo non c'è atto politico più
costitutivo di una legge finanziaria. E poiché questo
governo non ha una proposta politica, non può sperare
nel consenso del Paese sulla sua manovra economica.
C'è un'evidente confusione "tecnica", che in queste ore
supera i limiti della decenza. In una manovra già nata
male, perché iniqua nella distribuzione dei tagli di
spesa e incerta nella quantificazione delle voci di
entrata, si stanno moltiplicando emendamenti sulle
materie più astruse e disparate.
A colpi di "refuso" quotidiano, e di
blitz notturni di fugaci peones e audaci relatori, si
aggiungono e si sottraggono impreviste stangate sulle
assicurazioni e improbabili riforme del processo civile,
intollerabili batoste sulle tredicesime e incredibili
abbattimenti degli stipendi Rai.
Il tutto accompagnato dall'ennesima celebrazione
del conflitto di interessi: l'immancabile norma ad
aziendam (questa volta la Mondadori) che pagando un
misero obolo del 5% sul dovuto potrà CHIUDERE
DEFINITIVAMENTE estinguere il suo contenzioso da 400 milioni con
il Fisco (C'E' UN PROCESSO IN CORSO). Il risultato di
questo caos è a somma zero. Nessuno può alterare
i saldi finali, come esige il ministro dell'Economia. Ma
nessuno capisce più niente, come teme il presidente del
Consiglio. Meno male che la riforma del bilancio su base
triennale avrebbe dovuto metterci al riparo dagli
indecorosi assalti alla diligenza della Prima
Repubblica. Le cavallette all'opera nella Seconda
Repubblica sono molto peggio.
Ma c'è soprattutto una patente convulsione politica, che
in questi giorni mette a nudo i vizi di questo
centrodestra in cui la logica irriducibile della
monarchia assoluta comincia a patire il parziale
squilibrio di una diarchia relativa.
Lo scontro con le Regioni è forse il
sintomo più inquietante. Il presidente del Consiglio
sarebbe pronto ad ascoltare le grida di dolore che
arrivano dai governatori, molti dei quali appartengono
alla sua maggioranza, uscita già molto provata dalle
elezioni amministrative della primavera scorsa.
Berlusconi sarebbe pronto a venire incontro alle
richieste non solo delle virtuose regioni del Nord di
fresca marca leghista, ma anche delle disastrate regioni
del Sud di vecchia marca forzista. Ma il
suo ministro del Tesoro non può permettersi questo
lusso: i tagli pesanti agli enti locali, insieme al
salasso dilazionato sul pubblico impiego, sono l'unica
certezza di questa manovra scritta sull'acqua. Tremonti
non si può permettere di cedere su questo: non può dare
ai mercati l'impressione che il governo italiano sia
pronto a scendere a patti su una manovra che per il
Paese (e per l'Eurozona) rappresenta la linea del Piave
da opporre agli attacchi speculativi.
Questo spiega la resistenza del governo ad incontrare i
governatori (con la discutibile eccezione dell'udienza
"privata" concessa a Palazzo Grazioli agli azzurri
Formigoni, Polverini, Caldoro e Scopelliti) e ad
ascoltare le proteste delle categorie (con
l'inaccettabile eccezione del presidente di
Confindustria Marcegaglia, rassicurata personalmente al
telefono sull'eliminazione dei nuovi adempimenti fiscali
per le imprese). Questo spiega anche l'ennesimo schiaffo
della doppia fiducia imposta a Camera e Senato, per
blindare un testo che con tutte le sue clamorose
storture deve comunque assicurare i 25 miliardi promessi
sulla carta. Ma è evidente che, al di là delle smentite
di rito, Berlusconi ha un problema serio con Tremonti.
Persino più serio di quello che ha con Fini. Per la
legge sulle intercettazioni si trova a dover
fronteggiare il presidente della Repubblica e il
presidente della Camera, dentro una cornice
istituzionale difficile ma con un margine interno
gestibile. Per la manovra deve fronteggiare il suo
ministro del Tesoro che si propone come unico garante
della stabilità economica, dentro un quadro di
compatibilità politiche aperte ma con un vincolo esterno
indisponibile.
Per questo la battaglia sulla manovra è più insidiosa
per il premier, che su questo deve fare i conti non
tanto e non solo con l'opposizione, ma con la sua
constituency politica e, in definitiva, con il Paese. A
parte le Regioni, i focolai di conflitto si diffondono
con velocità e intensità impressionanti. Protestano i
sindacati nel pubblico e nel privato. Protestano i
docenti e i ricercatori. Protestano i medici. Protestano
le forze dell'ordine. Protestano i generali
dell'esercito. Protestano i diplomatici. Protestano i
magistrati. E protestano anche i terremotati aquilani.
Un dissenso concentrico così vasto non si era mai visto.
Meno che mai nei confronti del leader che, più di
chiunque altro non solo in Italia ma forse nell'intero
Occidente, ha fatto della sua popolarità l'unico metro
per misurare la sua politica.
Qui sta il drammatico limite del berlusconismo, che
forse per la prima volta assaggia, anche tra la sua
gente, il frutto amaro dell'impopolarità. Mai come in
questo momento, sulla manovra e non solo su questa,
servirebbe un presidente del Consiglio capace di fare
una sintesi più avanzata tra le tesi del suo ministro
dell'Economia e le antitesi espresse dagli enti locali e
dalla società civile. Mai come in questo momento
servirebbe una vera politica del fare, e non la solita
mistica del potere. E invece, con quel grottesco "ghe
pensi mi", il Cavaliere ci ripropone l'eterno ritorno
dell'uguale. Se in campo c'è lui, la politica non serve:
Silvio è il messaggio. È stato vero per molto tempo,
nell'Italia dell'egemonia sottoculturale televisiva. Ora, forse, non lo è più. Mentre
ci si arrovella sul messaggio salvifico di Silvio,
nell'emendamento presentato ieri dal governo alla
Manovra che introduce la figura dell'ausiliario del
giudice spunta una norma che potrebbe di fatto
sospendere il processo Fininvest-Cir per nove mesi. La
norma, destinata a far discutere, è contenuta nel comma
18 dell'emendamento 48.0.1000.
A confermare l'ipotesi è il capogruppo del Pd in
commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti,
che ribattezza la previsione
del governo come "anti-Mesiano" dal nome del giudice
"duramente attaccato dalle reti tv della famiglia
Berlusconi per aver firmato la sentenza che obbliga la
Fininvest a risarcire la Cir di 750 milioni per l'affare
Mondadori".
Il comma 18 dell'emendamento del governo recita
testualmente: "Nei procedimenti civili contenziosi
aventi ad oggetto diritti disponibili che, alla data di
entrata in vigore della presente legge, pendono dinanzi
alla Corte d'Appello, il giudice, su istanza di parte,
anche con decreto pronunziato fuori udienza, rinvia il
processo per un periodo di sei mesi per l'espletamento
del procedimento di mediazione".
Secondo la Ferranti, "nelle pieghe dell'emendamento
governativo c'è l'ennesima scandalosa norma ad personam
che serve unicamente a salvare gli interessi della
famiglia Berlusconi". La parlamentare democratica
prosegue ironizzando sulle dichiarazioni d'intenti del
Guardasigilli a proposito della velocità della
giustizia: "Il ministro Alfano per fare un favore al
premier tira il freno a mano e rallenta
tutti i processi civili".
Ieri il gruppo democratico aveva individuato un'altra
norma che poteva influire sul contenzioso, in quanto
volta a ridurre i processi tributari pendenti. Secondo
il Pd, in base all'emendamento, Mondadori potrebbe
estinguere la pendenza pagando il 5% del dovuto.
L'ipotesi era stata smentita dal sottosegretario
all'Economia, Luigi Casero.
Nel frattempo le modifiche al testo originario
continuano. Dopo i rilievi della commissione Giustizia
del Senato il cancelliere non potrà assumere la prova,
l'ausiliario potrà sostituire il giudice "solo se le
parti ne facciano concorde richiesta" e sarà il giudice
a fissare l'udienza per il giuramento dell'ausiliario.
Gli ausiliari potranno essere magistrati onorari, anche
se cessati dal servizio da non più di 5 anni, avvocati
con anzianità di iscrizione all'albo di almeno 5 anni,
notai, anche collocati a riposo, magistrati collocati a
riposo, avvocati dello Stato collocati a riposo, docenti
o ricercatori universitari, anche collocati a riposo. La merda non finisce quì:
Tenetevi forte. Quello che leggerete può avere serie
controindicazioni sul vostro stato di salute.
Soprattutto se siete insegnanti e nei prossimi tre anni
vi sarà bloccato l’aumento automatico delle
retribuzioni. Oppure medici precari a cui presto non
sarà rinnovato il contratto. I circa 900 milioni di euro
che Tremonti conta di recuperare con i
tagli al personale della sanità e il miliardo scarso che
si dovrebbe ottenere dal blocco delle carriere nella
scuola potevano arrivare nelle casse dello stato con
un’operazione semplice e già collaudata da paesi come
Stati Uniti, Germania e perfino
India: un’asta pubblica
per l’attribuzione delle frequenze televisive liberate
dalla tecnologia digitale. Un procedimento semplice, che
l’Italia ha però scelto di non seguire. Ma andiamo con
ordine e cerchiamo di capire di che cosa si tratta.
L’innovazione tecnologica ha rapidamente cambiato il
modo in cui si trasmettono i segnali televisivi. Dalla
tecnologia analogica si sta passando a quella digitale,
che permette di comprimere i dati, riducendo la banda di
frequenze utilizzate per la trasmissione. In pratica si
liberano spazi, che possono essere occupati da altri
segnali. Tutti i paesi europei si stanno organizzando
per gestire quello che si chiama switchover, il
passaggio da analogico a digitale, cercando di sfruttare
al meglio il “dividendo digitale“, e
cioè la parte di frequenze che si liberano. Gli Stati
Uniti si sono mossi prima di tutti. Già nel marzo del
2008 hanno messo all’asta frequenze per 19,6
miliardi di dollari. Se le sono spartite grandi
nomi della telefonia come Verizon Wireless
e AT&T, ma anche operatori di nicchia,
come Triad 700, una start-up della
Silicon Valley o Cavalier Wireless. Il
mercato si è aperto e lo stato ha incassato risorse
preziose.
In Italia, invece, le aste sulle frequenze televisive
non si fanno. Si procede per delibere emesse
dall’Autorità garante nelle Comunicazioni. L’8 aprile
del 2009 una delibera Agcom ha
stabilito la suddivisione delle 21 (oggi 25) reti
nazionali accese dalla tecnologia digitale. Venti reti
sono andate di diritto, e praticamente a titolo
gratuito, a chi aveva già le frequenze analogiche. Di
queste, cinque sono state assegnate rispettivamente a
Rai e Mediaset, tre a
Telecom Italia e le rimanenti agli altri
“network nazionali”: da Rete A (Gruppo
L’Espresso) a Telecapri a
Europa 7. Le cinque reti rimanenti, il nostro
“dividendo digitale interno” (frequenze da assegnare a
operatori televisivi alternativi, come ha intimato
Bruxelles con una procedura d’infrazione) non saranno
soggette ad asta pubblica ma, come ama dire
Corrado Calabrò, presidente Agcom, a un “beauty
contest” (procedura comparativa): un concorso
di bellezza nella cui giuria siederà il governo, che
sceglierà in base a parametri autonomamente determinati.
A decidere sarà alla fine il Ministero per lo
Sviluppo Economico, guidato ad interim dallo
stesso Berlusconi. Il concorso di
bellezza non sarà però riservato solo a nuovi operatori,
ma potranno parteciparvi anche Rai e Mediaset, che
potrebbero portarsi a casa due delle cinque reti (ognuna
delle quali, come le altre, permette di irradiare fino a
sei canali).
In sostanza si conserva lo status quo, ribaltando sul
digitale il duopolio Rai-Mediaset. Con lo stato che
incasserà solo le briciole: l’1% del fatturato annuo
degli operatori (contro il 4-5% medio europeo) a titolo
di canone di affitto delle frequenze.
Se si prendono per buoni i dati di uno studio pubblicato
in giugno da Carlo Cambini,
Antonio Sassano e Tommaso Valletti
su lavoce.info, lo spettro di frequenze italiano
regalato alle emittenti nazionali e locali varrebbe
circa 12 miliardi di euro di fatturato annuo totale per
gli operatori. Da cui lo stato ricaverebbe 120 milioni
all’anno di canoni (1%). Che potrebbero però diventare
già 600 applicando canoni più “europei” (5%) e molti di
più se si decidesse di attribuire il “dividendo
digitale” con aste competitive.
Porte chiuse a internet. Precedenza alle TV
L’aspetto ancora più grave della lottizzazione
televisiva del digitale è l’esclusione degli operatori
di telefonia dalla spartizione delle frequenze. Telecom
e gli altri operatori di telecomunicazioni, potrebbero
usare la parte di banda liberata dal digitale per
portare Internet mobile veloce in
quelle zone del Paese non ancora raggiunte dalla rete
fissa in fibra o in rame, aiutando a superare il “digital
divide“. Ma, almeno per ora, non potranno
farlo. Perché tutta la banda che si è liberata è stata
destinata alle televisioni.
Dal 12 aprile al 20 maggio 2010 la Germania ha messo
all’asta frequenze precedentemente occupate dalle
emittenti televisive offrendole agli operatori
telefonici. Dopo 224 round le frequenze sono state
assegnate in gran parte a Vodafone,
Deutsche Telekom e O2
per un totale di 4,38 miliardi di euro
incassati dallo stato, dei quali 3,68 miliardi, sono
stati ottenuti dall’assegnazione di frequenze sugli
800 Mhz, le stesse che l’Agcom ha
riservato agli operatori televisivi locali in Italia. Se
nel nostro paese si decidesse di mettere all’asta per
gli operatori telefonici anche solo un terzo di questo
spettro, si potrebbero recuperare – sempre secondo i
calcoli de lavoce.info – almeno 4 miliardi di euro.
Si può ancora intervenire? A quanto pare sì. Prima di
tutto assegnando con una gara seria, e non tramite
“beauty contest”, le cinque reti destinate ai “nuovi”
entranti, ma non ancora attribuite. In secondo luogo
chiedendo che una parte delle frequenze liberate dal
digitale e regalate alle TV locali e nazionali (che
risultano sottoutilizzate), venga messa all’asta a
favore degli operatori di telefonia, per la diffusione
della banda larga mobile. A tale proposito il Pd,
guidato dall’ex ministro delle Comunicazioni
Paolo Gentiloni, la settimana scorsa ha
presentato una mozione per correggere la manovra
economica. Mentre l’Idv ha presentato una proposta di
legge, ribattezzata “Contromanovra”, che chiede di
mettere all’asta le frequenze del dividendo digitale per
“incassare fino a 3 miliardi di euro”. Martedì si è
mosso perfino il presidente dell’Authority Corrado
Calabrò, preoccupato per la diffusione degli smartphone,
che potrebbero presto portare la rete mobile italiana al
collasso. “L’Agcom sta portando avanti una politica
finalizzata alla liberazione in tempi brevi delle
frequenze radio”, ha dichiarato il garante. “Contiamo di
rendere disponibili circa 300 Mhz da mettere all’asta
per la banda larga”. Avete capito bene: ha detto “asta”.
La stessa con cui lo stato tedesco, mettendo a gara un
quinto dei Mhz proposti da Calabrò, ha guadagnato 3,68
miliardi. Se il presidente dell’autorità di garanzia
manterrà le promesse, i medici e gli insegnanti italiani
un giorno potrebbero essergliene grati. Forse anche i
governatori delle regioni.
SOTTO
ASSEDIO
Ora
Santoro perde una causa: voleva far chiudere un giornale.
" Però io pago tutto, non sono mica come il testa di cazzo
lassù...", queste le parole del giornalista mentre
sorseggiava una birretta sul suo yacht in pieno Tirreno.
Roma - Rai per
una notte, e direttore della Rai per un pomeriggio. Ma
non era lui la vittima sacrificale di diktat e editti?
Adesso invece è Michele Santoro a farli, direttamente e
in persona, investendo presidenti di garanzia o giornali
di provincia, rei di lesa maestà (ovviamente la sua).
L’ultimo ultimatum è per Paolo Garimberti, l’ineffabile
presidente Rai, cui Santoro ha scritto con la consueta
grazia una simpatica letterina che contiene il seguente
ordine: riferire al direttore generale che lui andrà in
onda a settembre, cascasse il mondo, dopo le meritate
vacanze nella nuova villa di Amalfi. E che si sbrigasse,
questo signor presidente, e provvedesse immantinente a
far togliere quell’odioso punto di domanda vicino al
nome Annozero, nei palinsesti autunnali. Che si mettesse
un punto e basta, comanda Santorescu, al limite un punto
esclamativo. Non bastasse nemmeno questo, il giornalista
ricorda quel che sanno benissimo gli uffici legali e la
direzione generale Rai - ah, se lo sanno -, e cioè che «Annozero
è in onda grazie a una sentenza del giudice confermata
in Appello e che chiunque ne ostacolerà la regolare
programmazione sarà personalmente responsabile».
Garimberti avvisato, mezzo salvato.
Forte della sentenza e di uno share invidiabile, pompato
dall’aura di martirio in cui è maestro, è Santoro che
comanda il presidente Rai, è lui che si autorinnova il
mandato televisivo includendo se stesso nei programmi
dell’anno a venire. Con un tono perentorio che i suoi
collaboratori conoscono benissimo, a meno di non far
parte della «Cupola», come in Rai chiamavano il cerchio
ristretto dei fidati di Don Michele. Sembra di
indovinare, nel campione dell’antibavaglio Santoro, un
ego talmente vasto da farli sopportare male le decisioni
avverse o le critiche. Infatti, lui paladino
dell’informazione urticante e scomoda, appena può
querela i giornali. Poi però, come ricorda lui alla Rai,
ci sono le sentenze. E non sempre vanno nel verso
sperato.
Come quest’ultima, fresca di
qualche giorno, località Rimini. Il tribunale della
città romagnola ha appena rigettato l’atto di citazione
fatto da Santoro quattro anni fa contro La Voce di
Romagna, condannando l’anchorman a pagare le spese
legali. La vicenda è esemplare per gli studiosi del
santorismo, perché si vede - lo rileva il giudice - come
Santoro applichi un metro diverso per sé e per gli altri
giornalisti. Tutto parte da una puntata di Annozero del
2006, su San Marino, l’evasione fiscale, la bella vita
dei furbetti, sparsi tra il Titano e Rimini, piccola
capitale - nella vulgata santoresca - del briatorismo in
salsa romagnola: tutti con lo yacht, tutti habitué del
paradiso fiscale a due passi da casa. Normale che
qualcuno si offendesse, e infatti è successo, tanto che
la Voce di Romagna ha replicato facendo il verso a
Santoro: se tutti in Riviera sono furbetti dall’evasione
facile, Don Michele è uno di noi. E perché? Presto
detto. Succede che la consorte di Santoro, la signora
Sanya Podgayansky, sia figlia della seconda moglie di
Iliano Annibali, famoso imprenditore della zona,
proprietario di uno yacht, di una lussuosa villa a
Covignano e con ottimi rapporti con San Marino. Insomma
l’identikit perfetto del generico j’accuse santoriano ad
Annozero. Una provocazione (meglio, «una operazione
speculare a quella utilizzata da Annozero» scrive il
giudice), che però Santoro aveva preso malissimo,
citando in giudizio l’editore (Giovanni Celli, fratello
dell’ex direttore generale Rai, una maledizione
proprio...) e il direttore, con una richiesta di
risarcimento danni esorbitante: 6 milioni e 200mila
euro. La Voce aveva anche raccontato altri dettagli del
Santoro in versione romagnola: i suoi soggiorni al Gran
Hotel di Rimini (simbolo del lusso in Riviera), i lavori
di ristrutturazione di una villa vicina a quella del
suocero Annibali, sul colle di Covignano. Quanto basta
per far infuriare il difensore della libera stampa e
fargli chiedere il bavaglio per i presunti diffamatori.
Il tribunale di Rimini però gli ha dato torto, e il 26
giugno ha stabilito che «gli scritti, nel loro
complesso, non hanno travalicato il limite connesso
all’esercizio del diritto di critica, ricorrendo
all’esposizione di un fatto sostanzialmente vero». Chi
di sentenza colpisce, di sentenza....
L'ANNIENTAMENTO, PARTE III
Ghe pensi mi, ci penso io, ha detto
Berlusconi pensando alla settimana di fuoco iniziata ieri.
E in effetti nelle prossime settimane si deciderà la sorte
di due provvedimenti fondamentali, il disegno di legge
sulle intercettazioni e la manovra economica, con i suoi
possibili assaggi di federalismo (minori tagli alle
Regioni virtuose).
Il momento è dei più rischiosi per il governo, perché su
entrambi i testi di legge potrebbero esserci defezioni e
proteste da parte di importanti settori della maggioranza.
Il decreto sulle intercettazioni, specie dopo le
osservazioni critiche del procuratore nazionale antimafia
Piero Grasso, è osteggiato apertamente dai cosiddetti
finiani (seguaci di Fini), che vedono in esso un pericolo
per la legalità e per la lotta al crimine. Quanto alla
manovra, le parole di Tremonti sulla «cialtroneria» della
classe politica meridionale hanno scaldato ulteriormente
gli animi dei governatori del Sud, già molto preoccupati
per l’entità dei tagli che la manovra prevede per le
Regioni. Quel che potrebbe accadere, in altre
parole, è che nei prossimi giorni i due tipi di protesta -
finiani e politici del Mezzogiorno - si saldino, magari in
nome di qualche più o meno astratto principio di coesione
nazionale.
E che tale saldatura, anziché
risolversi in un voto parlamentare di sfiducia al governo,
si concretizzi invece - molto italianamente - in qualche
scambio e concessione reciproca. Fra tutti
gli scambi possibili, il più perverso - a mio parere -
sarebbe quello fra intercettazioni e federalismo. E cioè
che i finiani accettassero un cattivo compromesso sulle
intercettazioni, in cambio di un gesto di clemenza nei
confronti delle Regioni meridionali in dissesto. In parole
povere: noi diamo soddisfazione a Berlusconi sul terreno
della giustizia (intercettazioni), lui mette un freno a
Tremonti sul terreno dell’economia (manovra e federalismo
fiscale). Una scena, del resto, già vista ai tempi del
secondo governo Berlusconi, quando - nel giro di una notte
- Tremonti fu costretto alle dimissioni da Fini.
Perché dico che questo scambio sarebbe perverso?
Per le conseguenze che produrrebbe su tutti noi. Se sulle
intercettazioni dovesse prevalere la linea dei falchi
governativi, e soccombere quella dei seguaci di Fini,
avremmo sicuramente più privacy, ma anche più intralci
alla magistratura, meno strumenti di lotta alla
criminalità, in definitiva meno legalità e meno sicurezza.
Da questo punto di vista considero un grave errore
politico dell’opposizione (e della stampa) aver chiamato
legge-bavaglio la legge sulle intercettazioni, come se
l’informazione ne fosse la prima vittima. No, dovevano
chiamarla legge-mordacchia, perché la prima vittima della
legge sarebbe la capacità di mordere della magistratura, e
con essa la sicurezza dei cittadini.
Quanto alla manovra, se dovesse prevalere ancora una
volta la linea dello sconto alle Regioni in dissesto,
patrocinata innanzitutto dai governatori di tali Regioni,
ne sarebbe gravemente compromesso il cammino verso il
federalismo. Anziché iniziare un percorso di
risanamento e di responsabilizzazione, verrebbe reiterato
e ripetuto il classico segnale che negli ultimi decenni ha
distrutto i conti pubblici: chi ha avuto ha avuto, chi ha
dato ha dato. È questo, in ultima analisi, che invocano
gli amministratori degli enti in dissesto, quando si
proclamano «non colpevoli» dei dissesti che hanno
ereditato, e disquisiscono sulla distinzione fra
amministrazioni viziose e comportamenti viziosi, come se
un governatore che eredita un dissesto non fosse chiamato
a farsene carico.
Su questo punto, invece, hanno sostanzialmente ragione
Tremonti e il governo quando stabiliscono che
un’amministrazione che dissipa risorse pubbliche ha solo
due alternative, eliminare gli sprechi o alzare le tasse,
e che l’alternativa di far pagare i territori-formica
anche per gli sperperi dei territori-cicala non esiste. E
questo per almeno tre buoni motivi.
Primo: gli sprechi di un territorio sono anche privilegi,
sotto forma di posti di lavoro superflui, commesse e
acquisti generosi con i fornitori, favori di ogni tipo
agli amici degli amici; dunque gli aumenti di tasse
imposti ai territori in dissesto compensano anni e anni di
privilegi indebitamente goduti. Secondo: là dove ci sono
meno sprechi, ci sono meno margini per fare tagli, là dove
ci sono più sprechi ci sono più margini per riorganizzare,
e semmai il punto è che chi è chiamato a farlo dovrebbe
disporre di maggiori poteri. Terzo: quando Marchionne si è
assunto il compito di rimettere in sesto la Fiat, si è ben
guardato dal trincerarsi dietro la «pesante eredità»
lasciatagli dai suoi predecessori; sarebbe bello che i
governatori delle Regioni in dissesto affrontassero il
loro mandato con il medesimo spirito, visto che è anche
per rimettere i conti in sesto che hanno chiesto il voto.
(questa stronzata su marchionne la lascio all'autore di
sta merda di articolo...)
Ma l’eventualità di una saldatura tra finiani e
meridionalisti non è solo rischiosa per il governo (perché
lo indebolirebbe), e pericolosa per il Paese (perché
potrebbe finire in un compromesso perverso). È anche una
mina vagante per l’opposizione, e in particolare per il
Pd. La tentazione di allearsi con i finiani per scacciare
il tiranno è molto forte, e si è già manifestata
esplicitamente con la promessa di Franceschini di votare
tutti gli emendamenti dei finiani al disegno di legge
sulle intercettazioni. Il suo prezzo, però, potrebbe
essere l’ennesimo rinvio del federalismo, che i finiani,
il partito di Casini e una parte dello stesso Pd vedono
come una minaccia alla coesione sociale, se non come un
attentato all’unità nazionale.
Così il rebus di luglio è completo. Qualsiasi cosa
facciano i finiani, il federalismo è in pericolo. Se
cedono a Berlusconi sulle intercettazioni, è difficile non
pretendano una contropartita, sotto forma di una robusta
frenata al federalismo, con conseguente ridimensionamento
di Tremonti e ampie concessioni ai governatori del
Centro-Sud. Se accettano i voti dell’opposizione per
cambiare la legge sulle intercettazioni, è difficile che
il nuovo asse politico tra finiani, Pd e Udc non operi
nella medesima direzione, quella di un freno al rigore
antimeridionalista di Tremonti. Alla fine, chi rischia
veramente è la Lega, cui il sogno federalista potrebbe
sfuggire ancora una volta proprio sul filo di lana.
L'ANNIENTAMENTO, PARTE I
"Non bastano 40
anni di contributi"
Incidente del governo sulle pensioni
Un modulo per
la richiesta di pensione in un'immagine d'archivio
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Un emendamento
alla manovra
lega gli scatti alla speranza di vita.
Poi Sacconi frena: "Era un refuso"
ROMA
Dura appena poche ore la novità proposta per emendamento
alla manovra sulle pensioni che, dal 2016 (un anno dopo
quanto previsto) avrebbe agganciato anche i lavoratori
con 40 anni di contributi al sistema delle «quote» con
l’allungamento dei tempi di età pensionabile legato
all’aumento dell’aspettativa di vita. In pratica in
alcuni casi per andare in pensione non sarebbero bastati
40 anni. La proposta, firmata dal relatore, Antonio
Azzollini, viene infatti rigettata dopo poco dal
ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, che arriva di
corsa in Senato, incontra il relatore e poi spiega: «La
norma sui 40 anni è stata un refuso. La cancelleremo».
La novità aveva già allarmato i sindacati: Vera Lamonica
della segreteria confederale della Cgil aveva spiegato
che «l’emendamento peggiora la situazione perchè un
lavoratore con 40 anni di contributi incappa non solo
nella finestra mobile, che significa l’allungamento di
un anno, ma anche nell’applicazione dei coefficienti
sull’attesa di vita». Si era registrato poi anche
l’altolà di Raffaele Bonanni: «ai lavoratori che hanno
già raggiunto 40 anni di contribuzione con la manovra
correttiva è stato chiesto un sacrificio enorme,
applicando anche a loro la finestra scorrevole di 12
mesi. Ora è necessario evitare che debbano subire, dopo
il 2015, ulteriori penalizzazioni». E anche la Uil si
era espressa in modo critico: «E' un ulteriore aumento
dell’età di pensione - dice il segretario confederale
della Uil, Domenico Proietti - che penalizza chi ha 40
anni di contribuzione senza per altro aumentare la
prestazione pensionistica futura».
Poi il dietrofront del ministro: «ne ho parlato con il
presidente della Commissione Azzollini - ha detto
Sacconi ai giornalisti -. È stato per tutti e due un
refuso. Non era intenzione nè del governo nè del
presidente della Commissione Bilancio introdurre questa
norma». Ma l’emendamento Azzollini introduce anche altre
novità: l’aggancio all’aspettativa di vita che l’Istat
ogni 3 anni verificherà parte non più dal 2015 ma dal
2016 e riguarda anche le pensioni più basse, cioè quelle
’socialì che il precedente governo Berlusconi aveva
innalzato a 516 euro (il vecchio milione di lire).
Inoltre slitta di un anno, passando dal primo gennaio
del 2015 al primo gennaio del 2016, l’adeguamento
periodico dei requisiti di pensionamento all’aspettativa
di vita. L’incremento dei requisiti dal primo gennaio
2016 è stimato pari a 3 mesi, evidenzia la relazione
tecnica della Ragioneria dello Stato, presentata questa
mattina in commissione Bilancio al Senato. Strada
facendo si arriva a un adeguamento «cumulato» nel 2050 è
pari a 3,5 anni. Cioè nel 2050 si dovrà stare al lavoro
fino a 68,5 anni. I risparmi che arriveranno
dall’adeguamento sono pari, tra il 2016 e il 2020, a
circa 7,8 miliardi. Il «numero di soggetti annui che
maturano i requisiti interessati nel periodo 2016-2020 è
pari a circa 400mila in media».
Per quanto riguarda poi l’adeguamento dell’età delle
donne nella pubblica amministrazione «complessivamente»
le donne interessate al 2012 dall’innalzamento sono tra
le 20mila e le 25 mila donne con risparmi, comprensivi
anche della finestra mobile, al 2020 per poco più di 1,4
miliardi. Arriva inoltre un taglio di 87 milioni nel
2011 dei finanziamenti ai patronati che andranno a
’sterilizzarè il previsto aumento (dal protocollo
welfare) dal 2011 dei contributi a carico dei
lavoratori. Tra le altre novità della giornata
l’esclusione degli enti di previdenza privatizzati, tra
cui quindi anche l’Inpgi, dalla stretta prevista dalla
manovra e la copertura della proroga della sospensione
delle tasse per l’Abruzzo che costerà 617 milioni e sarà
coperto dal gettito dello scudo fiscale.
ANNIENTAMENTO,
PARTE II,
l'estate degli omicidi a carattere "industriale" (nel
senso che la cadenza è così elevata da assomigliare ad una
catena di montaggio...)
Gaetano De Carlo, 55 anni, spara a
una sua ex compagna di 36 anni a Riva di Chieri, nel
Torinese. I carabinieri lo cercano ma non fanno in tempo a
evitare che qualche ora dopo uccida un'altra ex di 42 anni
in provincia di Cremona. Alla fine si è tolto la vita
La prima vittima
Maria Montanaro
ROMA - Si è conclusa
tragicamente, come era iniziata, la giornata di Gaetano De
Carlo, 55 anni, carrozziere di origini pugliesi. Lavorava
in provincia di Bergamo e abitava a Vailate (Cremona),
divorziato e con una figlia, precedenti per minacce. Una
giornata di follia omicida, conclusa con il suicidio. Nel
giro di poche ore, De Carlo ha assassinato due ex. La
prima a Riva di Chieri, nel Torinese, con tre colpi di
pistola, una calibro 7,65. La seconda a Rivolta d'Adda, in
provincia di Cremona, sparandole un colpo alla testa.
Infine si è suicidato a Corneliano di Truccazzano
(Milano). L'uomo era sotto inchiesta per stalking. E'
stata proprio la prima vittima, Maria Montanaro, a fare il
nome dell'uomo pochi istanti prima di morire: "E' stato
lui - ha detto ai soccorritori - è stato Gaetano".
"Vengo lì e ti ammazzo". La prima vittima
si chiamava Maria Montanaro, aveva 36 anni e viveva a Riva
di Chieri, a una ventina di chilometri da Torino. Lavorava
come grafica presso una tipografia. Si era trasferita a
Riva, in campagna, da pochi mesi, pare per lasciarsi alle
spalle la turbolenta relazione con De Carlo. Lui non si
era rassegnato all'allontanamento della donna. Chi viveva
nello stesso comprensorio racconta della vittima come di
una persona riservata, che non amava parlare di quella
relazione finita. Stamattina De Carlo ha bussato alla
porta di Maria, che lo ha fatto entrare in casa.
L'incontro si è trasformato in una nuova, accessa
discussione, conclusa con tre colpi di pistola esplosi
contro il volto di Maria.
Spari sentiti dai vicini, che hanno trovato Maria
agonizzante e hanno chiamato i soccorsi. Condotta
all'ospedale Molinette di Torino, Maria Montanaro è morta
poco dopo il ricovero. Dalle testimonianze emerge un
dettaglio da brividi: un sms che la vittima avrebbe
ricevuto ieri sera da De Carlo: "Vengo lì e ti ammazzo". E
proprio Maria Montanaro, prima di morire, ha pronunciato
la frase "è stato Gaetano". Da lì è partita la caccia
all'uomo che, poche ore dopo, ha colpito di nuovo,
spostandosi dal Piemonte alla Lombardia.
Poche ore dopo, a Rivolta d'Adda, il secondo omicidio.
De Carlo è fuggito in auto, sulle sue tracce i carabinieri
che non hanno impiegato molto a risalire a lui. Scattano i
posti di blocco e partono le prime intercettazioni
telefoniche. Si teme che il ricercato stia scappando
all'estero, ma le ricerche ai confini con la Francia danno
esito negativo. De Carlo è invece diretto a Rivolta
d'Adda, dove nel pomeriggio viene trovato il cadavere di
una donna a bordo di un auto parcheggiata in una piazzola
del Parco della Preistoria di Rivolta d'Adda. E' Sonia
Balcone, 42 anni, anche lei un passato da ex di De Carlo.
Sonia poi si era sposata e aveva avuto una bambina, che
oggi ha cinque anni. Suo marito aveva denunciato De Carlo
per ben sette volte, per molestie e minacce. De Carlo le
ha sparato quattro volte, una alla testa e tre al petto.
Ferita una prima volta, la donna ha percorso una
sessantina di metri prima di fermarsi. Scesa dalla vettura
ed è stata raggiunta da altri tre colpi che l'hanno
finita. Una richiesta d'aiuto è giunta al 118 poco prima
delle 18. Inutili i tentativi di rianimazione a
l'intervento dell'elisoccorso di Bergamo.
La fuga di Gaetano De Carlo termina di lì a poco, alle
17.45 davanti al cimitero di Corneliano di Truccazzano, in
provincia di Milano, dove si uccide con un colpo alla
testa esploso con la stessa arma, la pistola calibro 7,65.
L'EXPO
SIZIONE DEL CANCRO, DEL CEMENTO, DEL FINANZIAMENTO
PUBBLICO A PRIVATI
Nel
sito
di Expo 2015 è riportata la "mission":
"Nutrire il Pianeta,
Energia per la Vita, abbraccia tutta la sfera
dell’alimentazione, dal problema della mancanza di
cibo in alcune zone del mondo a quello dell'educazione
alimentare, fino alle tematiche legate agli OGM.".
In realtà, come spiegato nel video, la sua "mission" è
un'altra: rendere edificabili zone
agricole, costruire palazzi,
cementificare. Non sarà il pianeta a essere nutrito,
ma palazzinari, immobiliaristi, politici, faccendieri
di ogni genere. Chi li nutrirà? Chi
finanzierà la cementificazione di quello
che resta della Provincia e del Comune di Milano? Non
le banche, non i costruttori e certamente non Mortizia Moratti. Il conto
dell'Expo 2015 sarà pagato dai cittadini, a iniziare
dai milanesi, che al posto dello sviluppo
della mobilità privata (nuove linee
metropolitane, la mappatura della città con piste
ciclabili) e di nuove aree verdi (la riqualificazione
dei Navigli, nuovi parchi urbani) avranno in cambio
delle loro tasse, un'immensa colata di
cemento. Che cazzo c'entra la nutrizione
del pianeta con la porcata chiamata Expo 2015? Nulla.
Per questo Expo 2015 non si ha da fare. I miliardi di
euro (nostri) per l'Expo non ci sono. Il Comune di
Milano si indebiterà e scaricherà i costi sui
cittadini e Tremorti sulle casse vuote dello Stato.
Per cosa? Per quattro palazzinari
che fanno il bello e il cattivo tempo con il culo
degli altri e spadroneggiano nei Comuni?
Una buona notizia. La prima fatwa del blog
ha colpito. Il bersaglio era il doppio stipendista
Lucio Stanca, deputato e amministratore delegato di
Expo 2015. Si è
dimesso
da amministratore e ora è "solo"
monostipendista. Uno di meno. In settimana la prossima fatwa del blog. Si
accettano suggerimenti. Nonostante Expo sia stato
assegnato a Milano crediamo che ci sia la necessità di
mobilitarsi per provare a mettere tanti granellini di
sabbia nell’ingranaggio della macchina e provare a evitare tante sciagure e tanti
disastri in termini economici di territorio per il
futuro di Milano, della Provincia e più in generale
delle aree che saranno coinvolte in Expo. A chi serve
Expo? Expo da questo
punto di vista è una splendida occasione, da un lato
per perpetuare quel famoso modello lombardo o modello Milano di cui tanto spesso
a vuoto e a vanvera si parla, quel modello che di
fatto è fatto da 3 o 4 caratteristiche peculiari,
completa finanziarizzazione, messa a profitto di tutto
ciò che può essere finanziarizzato e messo a profitto
in questa città, quindi dai beni comuni, la gestione
ovviamente di servizi e istruzione, sanità, altri
servizi alla persona in ambito della macchina comunale
e degli enti locali, vuole dire privatizzazione del
territorio, vuole dire territorio messo a rendita
ovunque ce ne sia la possibilità e lo spazio e quindi
cemento ovunque, per case, per strade, per ipermercati
e centri commerciali.
L’altra faccia di questo modello lombardo è che tutto
questo si basa fondamentalmente su un
dumping sociale,
su una sorta di corsa a precarizzare tutto ciò che è
precarizzabile, diritti, redditi, condizioni di vita,
condizioni di salute degli abitanti che abitano questi
territori, pensiamo all’aria, all’acqua, ai milioni di
metri quadrati di aree agricole, verdi che ogni anno
vengono consumate tra Milano, Bergamo, Brescia, la
direttrice Malpensa, tutte aree che da quando è
scattata l’operazione Expo non hanno visto altro che
un’ulteriore corsa al mattone, al progetto,
all’edificio, al “facciamo qualcosa in nome di Expo”
questo sulla testa delle popolazioni e quindi a chi
serve? Serve fondamentalmente ai signori del mattone,
alle banche, alle compagnie di assicurazioni che in
questa città controllano i grandi progetti come
questo, come
CityLife,
servono ai soliti nomi: Pirelli, Ligresti,
Cabassi, Compagnia
delle Opere, Lega delle
Cooperative perché il modello Milano poi è
il modello che di fatto nel Paese sta andando avanti
da anni. Costruire, quindi speculazione immobiliare e
rendita fondiaria come unici elementi di traino del
Paese e dell’economia. E per fare questo si svende
tutto, si svende la storia della città, il suo tessuto
urbano, sociale, si regalano parti di questo sistema
di potere, nella fattispecie milanese, alla Compagnia
delle Opere, i servizi pubblici o i beni pubblici che
gli enti locali devono privatizzare perché le spese di
Expo qualcuno le dovrà pagare.
Tutto questo nel corso della più grande crisi che
questo sistema ricordi da 80/100 anni a questa parte,
quindi nella crisi Expo diventa ancora di più un
catalizzatore di risorse, quindi uno strumento per
guerre di potere, per spartirsi le spoglie di quel
poco che resta di pubblico di questa città. Se
Expo è un alibi di fatto, quello che non è un alibi,
che anzi sono conseguenze oggettive purtroppo sono i
danni che Expo lascerà nel tempo, in eredità, Expo era
l’occasione per rifare la città, era l’occasione per
un rilancio dell’immagine di Milano nel mondo e
soprattutto per fare tutte quelle cose che servivano
alla città ma che altrimenti non si poteva fare.Grazie
a quello che ha fatto l’Amministrazione Comunale il
primo atto ufficiale di Expo è stato decidere che quei
terreni dopo Expo non saranno più terreni agricoli ma
chi li ha di proprietà o chi li gestirà, quindi
attualmente la proprietà è Fiera e Cabassi
soprattutto, maturerà dei diritti volumetrici su
quelle superfici, quindi un’area agricola
che sparirà.
Seconda conseguenza di Expo l’abbiamo su tutte quelle
opere che grazie a Expo sono diventate indispensabili,
opere pensate quando ancora scrivevamo con le lettere
A22, quindi i personal computer erano ancora un sogno,
parlo di Pedemontana, di
Brebemi,
di questo gigantismo autostradale e di tangenziali
ovunque che nell’epoca del riscaldamento globale, dei
problemi climatici, di inquinamento, delle scarsità
delle risorse petrolifere sono assolutamente
anacronistici e noi nel 2015 ci fregeremo di avere
realizzato qualche centinaio di chilometri in più tra
bretelle, strade, autostrade, raccordi che
consumeranno territorio e che saranno l’eredità delle
future generazione, secoli a dimostrare quanto stupida
è la razza umana quando pensa con un grande evento di
risollevare le sorti di una popolazione, di un
territorio.
Poi c’è il lavoro finto perché il lavoro
finto di Expo che è il lavoro finto della
fiera, che è il lavoro finto su cui questa città si
basa sempre di più, sta prendendo il posto del lavoro
vero perché ovunque nei comuni dell’hinterland si
respira l’odore di soldi che potrebbero arrivare con
qualche progetto legato a Expo, ecco che
miracolosamente le aziende non diventano più
interessanti, chiudono per lasciare spazio alla
speculazione, dai casi più noti: l’Alfa di
Arese, doveva essere il polo della
mobilità sostenibile, probabilmente diventerà un
ammasso di alberghi e centri commerciali. Per arrivare
a realtà più piccole, meno conosciute passando per Eutelia, all’Ares di Paderno
Duniano, perché la cosa bella di Expo, bella
chiaramente in senso ironico, è che non c’è comune che
non stia trovando la scusa per fare qualcosa in nome
di Expo, ma l’unica cosa che ci sembra che non venga
fatta in nome di Expo è pensare seriamente a cosa
vuole dire energia per il pianeta e alimentazione e
cibo per tutti, questa è l’unica cosa che non verrà
lasciata a seguito di Expo. C’è poi la terza
bufala di Expo, quello che sarebbe un
grande affare,certo è un grande affare per
chi farà gli affari con Expo perché quello che ci
hanno raccontato è che Expo si sarebbe ripagato da
solo, che Expo l’avrebbero pagato i privati, che Expo
non sarebbe costato ai cittadini, ma andiamo a vedere
un attimo in realtà. Oggi Expo cosa
sta costando e cosa costerà in divenire, oggi Expo sta
innanzitutto costando quei 1.400.000 di
Euro, stanziati, poi che ci siano
veramente è ancora tutto da dimostrare, ma a bilancio
dello Stato sono stati messi con la
Finanziaria 2009, la famosa legge 133 e
che fanno parte di quei tanti miliardi spostati da
scuola, università, ricerca scientifica, cultura e
spostati dove? Cemento, grandi opere, Tav, autostrade,
ponte sullo stretto e Expo, poi Expo chi lo sta
pagando? Lo stanno pagando i cittadini milanesi e i
cittadini lombardi, lo stanno pagando perché? Perché
comune, provincia e regione devono pagare i debiti
della società Expo Spa, debiti per il momento minimi
perché non avendo fatto per il momento niente,
chiaramente parliamo di normali costi di gestione, ma
è già qualche milione di Euro di debiti che gli enti
locali dovranno ripianare e quindi giocoforza usando
soldi pubblici.
Adesso poi c’è la grande bufala di
Formigoni, facciamo gli affari con Expo,
compriamoci l’area e per comprare l’area fa un
giochino per cui crea una società, crea una società
dove di fatto gli uomini al vertice saranno molto
probabilmente Mondo e Compagnia delle Opere, lo stesso
Mondo che esprime i vertici di ente Fiera, ossia ente
Fiera il principale proprietario dell’area sito Expo,
Ente Fiera che era nel Comitato promotore di Expo
Milano 2015 e che ha scelto, essendo nel Comitato
promotore la propria area come sito su cui realizzare
l’eventuale esposizione e come poi nei fatti sta
avvenendo. Non so se questo gioco di parole ha reso
l’effetto, ma credo che siamo di fronte all’ennesimo
gigantesco conflitto di interesse all’italiana, che
parte da Fiera e ritorna a Fiera passando per quella
banda di potere chiamata Compagnia delle Opere,
entourage di Formigoni che governa in questa Regione
da 20 anni e che sta facendo con denaro
pubblico ogni schifezza possibile,
arricchendo i soliti noti e quindi il risultato è che
con i soldi pubblici andremo non solo a far guadagnare
Fiera ma a fargli un grosso favore perché nel
frattempo la vecchia Fiera che non è CityLife ma la
Fiera Milano City quella che nel 1996 era
l’orgoglio di Albertini che veniva inaugurata come la
vetrina con cui Milano si presentava al mondo oggi è
obsoleta, non è più economica, non rende più, ecco che
quindi c’è un altro regalo a Fiera perché lì
sorgeranno di nuovo centro congressi, valorizzazione
ennesima e i privati in questo ci stanno mettendo poco
o nulla, un po’ perché le banche dei privati non si
fidano e essendo gli immobiliaristi tra i più
indebitati, non solo in Italia, le banche oggi agli
immobiliaristi, alle società di costruzione non
prestano nulla se non c’è il pubblico a farsi da
garante.
In secondo luogo perché al di là di questi costi ci
sono poi quelle opere connesse che dicevamo prima che
anche lì sanno partendo solo con soldi pubblici, i
famosi
project financing,
ma qui non se ne vede traccia. Allora in buona
sostanza a pagare saremo sempre noi e i profitti li
faranno gli altri e pagheremo non solo soldi, ma
pagheremo quelle risorse pubbliche che come dicevo
inizialmente dovranno essere privatizzate per fare
cassa, pagheremo i beni immobiliari svenduti per fare
cassa, pagheremo il territorio consumato che è un bene
comune anche quello, che non tornerà più, anche quello
svenduto per fare soldi, ma alla città rimarrà ben
poco, sicuramente non le metropolitane che avevano
promesso e che invece guarda caso sono state tagliate
quasi subito!
Pyongyang
si ribella all'accusa ufficiale di aver affondato una nave
militare del Paese vicino. "Solo bugie, risponderemo con
un colpo di forza fisica senza pietà". Stati Uniti, Gran
Bretagna e Giappone contro il regime comunista. Ban
Ki-moon: "Fatti molto preoccupanti"
Commenta /
LIMES
L'ordine -
scrive l'agenzia sudcoreana Yonhap - impartito dal leader
nordcoreano. La tensione ha avuto un'escalation con le
sanzioni, ieri, di Seul contro Pyongyang, accusata di aver
affondato una corvetta del Sud. Morte 46 persone
L'incidente
è avvenuto stamattina in acque malaysiane, 13 chilometri
al largo della città-stato asiatica, tra una petroliera e
una nave cargo. Le autorità portuali hanno subito inviato
nella zona le imbarcazioni dotate di attrezzatura per la
ripulitura della marea nera
Una
"fedelissima" contro Grillo
E continua la tensione con l'Idv
Il "Cinque
stelle" è stato la sorpresa delle elezioni regionali. Ecco
come si sta muovendo, fra progetti locali sull'acqua,
proposte sul sofware libero. E qualche tensione interna
Beppe Grillo
ROMA - E' stata la
sorpresa delle ultime elezioni. 400mila voti di lista.
Quattro consiglieri eletti. Una strategia politica
ispirata al guerrilla marketing: provocare, disturbare e
rompere equilibri esistenti. Sono il MoVimento 5 stelle,
grillini o grillisti che dir si voglia. Diretta emanazione
di Beppe Grillo e del suo blog. Accusati dalla sinistra di
averla sfasciata e dal Pd di essere il cupio dissolvi
della politica. Evitati e snobbati con cura dal centro e
dal centrodestra. Unico rapporto non conflittuale con i
partiti: quello con l'Idv di Antonio Di Pietro. Un flirt
che sembra già preistoria. E a tre mesi dall'inaspettato
ingresso nelle istituzioni, i grillini si dimenano tra
progetti di legge anti-casta e conflitti interni.
Gli attacchi a Sonia Alfano. L'ultima
spaccatura al MoVimento è quella tra l'eurodeputata Sonia
Alfano, grillina eletta come indipendente nelle liste di
Idv, e Beppe Grillo. In una lettera aperta indirizzata al
comico genovese, la Alfano lo accusa di essere stata
attaccata per il suo lavoro in Europa. "Caro Beppe, ti
chiedo le ragioni del comportamento che negli ultimi mesi
hai avuto nei miei confronti". La Alfano ricostruisce il
suo legame politico con Grillo: "Nel 2009 hai appoggiato
la mia candidatura alle elezioni europee nelle liste di
Italia dei Valori come indipendente". Poi sono seguiti
"veri e propri attacchi alla mia persona". Attacchi che
"mi sono giunti improvvisi, immotivati e soprattutto che
non hai avuto il coraggio di fare direttamente ma
attraverso terze voci
tramite il blog".
Le accuse al blog di Grillo. Per Sonia Alfano,
"il blog è stato disposto a rinnegare il suo impegno verso
la tutela del consumatore, la trasparenza e la pubblicità
non ingannevole, schierandosi a fianco di Castelli, de "Il
Giornale", de "La Padania" pur di attaccare la mia
persona". Alla Alfano numerosi attacchi anche dalla base
dei grillini. Al centro delle polemiche anche una foto,
che la ritrae a un convegno sulla mafia organizzato da
Forza Nuova. Nonostante le giustificazioni della Alfano,
figlia di Beppe, giornalista ucciso dalla criminalità
organizzata nel 1993, le critiche all'eurodeputata non si
sono mai placate.
Grillini, Idv e questione morale. D'altro
canto, i grillini non sono certo morbidi con Italia dei
Valori. Roberto Fico, 36 anni, candidato alla presidenza
della Regione Campania alle ultime amministrative, è
membro del Meetup degli amici di Beppe Grillo di Napoli,
il più numeroso d'Italia con 4mila iscritti. A Repubblica.
it dice: "Alle europee abbiamo votato per De Magistris, e
la nostra stima per lui resta intatta. Ma l'Idv è un
partito che, soprattutto in Campania, non ha risolto
nessuna questione morale al suo interno". E a Napoli il
MoVimento va avanti, "stiamo lavorando per il referendum
sull'acqua pubblica. E ci presenteremo alle comunali solo
se riusciremo a elaborare progetti di qualità. Non abbiamo
nessun obbligo, non dobbiamo candidarci per forza.
Vogliamo solo portare un valore aggiunto alla città".
Due grillini per una poltrona. In Emilia
Romagna il MoVimento ha conquistato il sette per cento dei
voti. Ma polemiche e divisioni scattano non appena finisce
la festa. Il motivo è una poltrona da consigliere
regionale. Ad essere eletto nelle due circoscrizioni di
Bologna e Modena è Giuseppe Favia. Che, per legge, ne deve
indicare solo una. E così per i secondi in lista, Andrea
Defranceschi a Bologna e Sandra Poppi a Modena, nasce la
possibilità di diventare consigliere regionale. Sandra
Poppi ha più voti di preferenza, ma il politburo del
MoVimento opta per Defranceschi. E tra i grillini modenesi
scoppia la delusione: "Siamo come tutti gli altri
partiti".
Ridurre i compensi dei consiglieri. In
Piemonte i grillini hanno ottenuto due consiglieri
regionali. Un'affermazione netta, costruita anche con i
consensi arrivati dal movimento No Tav. E dopo le
polemiche con il comitato del presidente uscente Mercedes
Bresso, Davide Bono, il leader dei grillini, si è subito
messo al lavoro per fornire di software gratuito i
computer della Regione e per tagliare i compensi dei
consiglieri regionali. Nessun rimborso, riduzione
dell'indennità, cancellazione di ogni vitalizio. Una
proposta di legge che "ci auguriamo venga sostenuta anche
da altri", ha dichiarato Bono. Aggiungendo: "Ma, direi,
che ci sono scarse probabilità che possa essere
approvata".
"Beppe, te la ricordi la politica dal basso?".
Insoddisfazioni e polemiche della base del moVimento sono
affidate al web. Post, commenti, videolettere. In un video
su YouTube: "Caro Grillo, le scelte si fanno insieme.
Ricordi la politica dal basso?". Poi ancora: "Ti chiediamo
democrazia, hai scelto tu i candidati, non il popolo. Così
non ci stiamo". E Grillo? Continua a lanciare campagne
d'opinione e proclami. Le ultime: "Merkel for president" e
"Un grillo mannaro a Londra" spettacolo teatrale
"sull'incredibile Italia". E tra le ultime dichiarazioni:
"L'Unità d'Italia non c'è mai stata" e "Non saremo mai un
partito, siamo rivoluzionari".
L'APOTEOSI DEL
MERDA
Re Mida all’incontrario
21 giugno 2010
Se non fosse
che ha sette vite come i gatti, il ducetto farebbe quasi
pena. Il Re Mida che
trasformava in oro qualunque cosa toccasse è diventato
un Re Merda. Ha due ministri pregiudicati e cinque
inquisiti o imputati (l’ultimo, Brancher,
l’ha aggiunto lui per fare cifra tonda). Il coordinatore
dei Servizi segreti De Gennaro l’hanno
appena condannato in appello per il G8. I suoi
ex capi dei servizi, Pollari e
Mori, sono imputati rispettivamente per
peculato e favoreggiamento alla mafia. Il suo cappellano
don Gelmini va a processo per molestie
sessuali. E il suo pappone di fiducia Giampi
Tarantini per spaccio di coca. Il
suo commissario Agcom, Innocenzi,
è sotto inchiesta per i traffici anti-Annozero. Suo
fratello Paolo, già pregiudicato, è di
nuovo indagato per il nastro Fassino-Consorte.
Sulla faccenda dovrà testimoniare obtorto collo
il suo on. avv. Ghedini. Il
coordinatore del suo partito, Verdini,
è indagato un po’ dappertutto con la Cricca, mentre l’ex
coordinatore Scajola è ancora lì che cerca chi gli ha
pagato la casa.
I fuoriclasse del Partito del Fare se la passano peggio
di quelli del Milan. Gianni Letta, già
“uomo della Provvidenza”, sbuca da un bel po’ di
inchieste imbarazzanti. San Guido Bertolaso,
l’uomo che insegnava la protezione civile agli americani
e fermava le catastrofi con le nude mani, è indagato per
corruzione; appena apre bocca si fanno tutti il segno
della croce; e ha ormai l’immagine di uno scroccone che
non paga non solo i massaggi e l’affitto, ma nemmeno le
bollette. Come quell’altro genio dell’ingegner
Lunardi: B. lo presentò a Porta a Porta
come l’homo novus della politica del fare,
il fulmine di guerra che avrebbe sbloccato le grandi
opere, una gallina dalle uova d’oro. Ora scopriamo che
anche lui faceva e riceveva favori dalla Cricca, ma –
beninteso – “come persona, non come ministro, perché
sono una persona corretta” (infatti è indagato).
E Stanca? Ricordate Lucio Stanca? Il
Cavaliere tenne il nome segreto per giorni e giorni,
annunciò soltanto che aveva trovato un gigante del
pensiero, un tecnico da paura, un cervello fuori misura
che, con la sola forza del pensiero, avrebbe cablato e
informatizzato l’Italia tutta, isole comprese, come
ministro dell’Innovazione tecnologica (una delle tre
“i”, quella dedicata a Internet, era tutta sua). Quando
poi si seppe che era Stanca, e soprattutto se ne vide la
faccia lievemente più inespressiva di un termosifone
spento, qualcuno timidamente domandò: “E chi cazz’è?”.
La risposta fu: “L’ex presidente dell’Ibm, che
diamine, mica un pirla qualsiasi!”. Roba forte. Dal 2001
al 2006 passò talmente inosservato che a volte
dimenticavano di invitarlo alle riunioni, senza peraltro
accorgersi della sua assenza. Nel 2008, tornato al
governo, B. si scordò sia di lui sia del suo ministero:
dispersi.
Fu recuperato come ad di Expo 2015, anche se è
già deputato, ma ora pare che dovrà sloggiare pure di
lì: dopo che Tremonti gli ha tagliato i fondi,
commissariato le deleghe e asportato lo stipendio (deve
accontentarsi di quello di parlamentare), la presidente
Bracco gli ha inviato un’ingiunzione di sfratto
per scarso rendimento. Un altro monumento che crolla
miseramente, mentre i miracoli evaporano l’uno dopo
l’altro. Quello della ricostruzione de L’Aquila, grazie
ai pm, a Draquila e al popolo della carriole, è una
tragica barzelletta: si sbriciolano anche le casette
della leggendaria New Town a prova di
bombardamenti, inaugurate in pompa magna sotto lo
sguardo lubrico di Vespa.
Il miracolo dei rifiuti scomparsi in Campania funziona a
tal punto che ora la monnezza rispunta pure a Palermo,
altra capitale del buongoverno grazie al sindaco
Cammarata (ora è in Sudafrica: a casa c’era
troppo tanfo). Persino Minzo fatica a
nasconderla. E la legge bavaglio è talmente sfigurata
che non la riconoscono più nemmeno i mafiosi. Ma B.
insiste: “Approviamola comunque”. Come viene viene.
Ormai è un pugile suonato che mena fendenti all’aria. Se
non fosse che l’altro pugile ha abbandonato il ring,
rischierebbe persino di perdere la partita.
Carlo
Calcagni, ammalato per l'uranio impoverito: neanche un
euro per le cure
Il corpo del maggiore Carlo Calcagni è
una discarica tossica: tungsteno, arsenico, piombo,
mercurio, ferro, acciaio, alluminio, zinco, rame,
carbonio. Nessuno glielo aveva detto, quando è andato in
Bosnia nel 1996, che l’uranio impoverito un giorno lo
avrebbe obbligato a farsi quattro punture solo per
riuscire ad alzarsi la mattina. Ma quello che non gli
avevano detto, soprattutto, è che per lo Stato sarebbe
diventato un fantasma. Da quando ha scoperto di essere
malato, nel 2002, per curarsi non ha avuto un euro.
Carlo ha 42 anni e un’invalidità del 100%. Lo hanno
riconosciuto la Commissione militare e il Ministero
della difesa nel 2007. Causa di servizio, si chiama.
FOTO
L'eruzione vista dalla Nasa1
La nube di cenere è arrivata in Italia
Stop agli scali del Nord ovest
Le correnti d'alta quota spingono la nuvola vulcanica sui nostri
cieli. Enac: "Fino alle 14 di domani aeroporti chiusi nel
Settentrione, tranne che nel Nord est". Per ore blocchi in
Spagna, Portogallo e Francia meridionale. Cancellati voli per la
penisola iberica a Fiumicino, Ciampino, Linate, Malpensa, Orio
al Serio, Pisa e Firenze. Sarà una domenica di passione
Passeggeri in attesa all'aeroporto di Vigo
ROMA - Sarà una domenica di passione per i voli nei cieli
italiani. Questo attende il trasporto aereo stando alle
previsioni del Vaac, il Centro di controllo europeo delle
polveri vulcaniche per la sicurezza del volo. La nuova nube di
cenere generata dall'eruzione del vulcano islandese
Eyjafjallajokul, dopo aver tormentato gli aeroporti della
penisola iberica, è arrivata sullo spazio aereo italiano. E
l'Enac ha annunciato la chiusura di tutti gli scali del Nord
Italia fino alle 14 di domani, a eccezione di quelli dell'Italia
nordordientale, vale a dire Venezia, Trieste e Rimini.
La parte bassa della nube, compresa fra il suolo e circa 6500
metri di quota - si legge nell'ultimo aggiornamento del
bollettino Vaac - "è quella più pericolosa per il volo. Invaderà
il mar Ligure e Tirreno e poi man mano il resto dell'Italia a
cominciare dalla parte occidentale, mentre la parte alta della
nube (compresa fra i 6500 metri e circa 11 mila metri) invaderà
tutta l'Italia settentrionale ma tenderà a dirigersi sui
Balcani". Entro le ore 13 la parte bassa della nube coprirà
tutta l'Italia, esclusa la Sicilia e la Sardegna, ma compreso
l'Adriatico, per spingersi fino alla Grecia.
Un anno e 4 mesi
all'ex capo della polizia. "Indusse a false testimonianze
sulla ricostruzione dei fatti del G8 2001". Condannato a
un anno e due mesi anche l'ex capo della Digos e
attualmente vicequestore di Torino Spartaco Mortola.
Insorgono i ministri dell'Interno Maroni e della Giustizia
Alfano. In primo grado i due erano stati assolti "per
mancanza di prove sufficienti" di M.
CALANDRI e C. BONINI
C’è una strategia
dietro le ultime mosse della maggioranza. La scelta di
togliere al pentito Spatuzza il programma
di protezione, l'accelerazione sulla legge bavaglio e il
trattamento duro ai giornalisti che svelano gli scandali
berlusconiani seguono un disegno: colpirne uno per
educarne cento. Dalla censura alla ritorsione, è questa
l’ultima fase del berlusconismo. Fino a pochi mesi fa il
Cavaliere sembrava convinto di poter nascondere i fatti.
Se una sentenza condannava Marcello Dell’Utri
raccontando i suoi rapporti con i boss stragisti,
nessuno spiegava in tv la notizia. Se Bertolaso
e il Cavaliere venivano sorpresi sul lettino di un centro
benessere, Bruno Vespa montava pronto una
puntata di Porta a Porta.
Il
tribunale Ue boccia il ricorso di Segrate:
“Illegittimi i contributi pubblici, restituiteli”
Almeno 220 milioni di euro: è questa la cifra,
interessi esclusi, che Mediaset dovrà restituire per
gli “aiuti di Stato che le sono stati concessi
illegittimamente” dal governo. Lo stabilisce una
sentenza di primo grado della Corte di Giustizia
europea, che conferma una decisione già presa dalla
Commissione Ue nel 2007, contro cui Mediaset aveva
fatto ricorso. Un ricorso che ieri, da Lussemburgo,
è stato respinto “in toto”. Ecco i fatti: durante il
passaggio al digitale terrestre, iniziato in Italia
nel 2001 e che si completerà nel 2012, il secondo
governo Berlusconi ha stanziato
nella Finanziaria 2004 un contributo (a carico dello
Stato) di 150 euro per ogni utente che avesse
acquistato un apparecchio per la ricezione di
segnali televisivi digitali terrestri. Lo stesso
aiuto viene confermato nella Finanziaria 2005, con
un importo però ridotto a 70 euro.
CI SARA'
ANCORA L'ITALIA UNITA?? O MEGLIO, CHE COSA SI
INDICHERA' COL TERMINE ITALIA??
L’obiettivo di fondo non è cambiato da più di
vent’anni a questa parte. La Lega non ha affatto
rinunciato alla ragione sociale che si trova
chiaramente espressa nella denominazione dei suoi
gruppi parlamentari: “Lega nord per l’Indipendenza
della Padania”. D’altronde, di volta in volta,
Bossi, Calderoli, Maroni vengono
assecondati a pensare che sul federalismo, che sia
più o meno demaniale che sia incalcolabilmente
fiscale che sia, infine, improbabilmente solidale,
nessuno li ostacola. Anzi, strada facendo la Lega
trova nuovi, sospettabili adepti, come l’on.
Enrico Letta del Partito democratico al
quale qualcuno dovrebbe chiedere dove pensa di
andare a finire, con la Lega, e se crede, molto
mondana-mente, di ottenere un pugno di voti in più
facendosi federal-leghista..
La
presidente di Confindustria: "Posizione incomprensibile
davanti a un'azienda che investe 700 milioni di euro,
prende produzioni dalla Polonia e le riporta in Italia".
Il 22 giugno il referendum tra i lavoratori sull'intesa
L'annuncio
del governo sulla proroga fiscale non rassicura la
popolazione.
Diecimila persone in piazza
senza bandiere politiche. Il sindaco: "Non chiediamo
niente, ma rivendichiamo i nostri diritti" VIDEOREPORTAGE
di G. FERRANTE
Giornali:
crollano a candela le copie vendute dai "poteri forti"
La stampa quotidiana viaggia a tre
velocità verso la ripresa. Ci sono i soliti giornali che,
nonostante tutto, aumentano le diffusioni come "Avvenire"
a quota 106.520 (su dell'1%) e "l'Unità" con le sue 52.621
copie ( 5%), secondo le rilevazioni Ads sul periodo marzo
2009-febbraio 2010 rispetto a quello marzo 2008-febbraio
2009.
Ci sono poi i grandi quotidiani con decrementi ancora a
doppia cifra, come "il Corriere della Sera" giù del 14,7%
attestandosi sulle 519.099 copie, "Repubblica" giù
dell'11% a 473.788 copie e "il Sole 24 Ore" a -15,3% con
281.194 copie, alle prese col lancio del suo nuovo sito e
soprattutto con il tavolo tra editori e sindacati per la
verifica della fattibilità delle nuove assunzioni volute
dal direttore Gianni Riotta durante lo stato di crisi.
E infine restano sul campo quei giornali che contengono le
perdite ma si fermano su quote psicologiche di diffusioni:
"il Messaggero", per esempio, scende dalle precedenti
210.273 copie sul crinale delle 200.646, in calo del 4,6%,
"il Secolo XIX" si arrocca sulle 90.466 (-11,3%).
In calo anche il quotidiano gratuito E Polis (-3,5% con
463.238 copie), per il quale l'omonimo gruppo starebbe
trattando la cessione delle due testate sarde (il
Sardegna, diviso in due edizioni per il nord e il sud
dell'isola) a una cordata di imprenditori guidati dall'ex
editore del giornale Nichi Grauso e di cui farebbe parte
anche Renato Soru, editore dell'"Unità".
Sul tavolo l'offerta degli acquirenti oscillerebbe tra i
10 e i 12 milioni. Nel frattempo, E Polis aspetta ancora
l'omologa per la ristrutturazione del debito (a cui
dovrebbe aderire l'Agenzia delle entrate), ma allo studio
ci sarebbe già un piano di riorganizzazione, una volta
ricevuto l'ok dal tribunale di Cagliari.
Già prima dell'estate, la redazione centrale si dovrebbe
spostare a Roma. In attesa degli esiti delle trattative,
anche l'Unità di Concita De Gregorio che non ha ancora
lanciato la sua edizione sarda, così come annunciato. Tra
gli altri quotidiani, "il Giornale" lima le perdite a
-1,5% (con 185.873 copie), mentre "Libero" cala del 7,4%
(112.944). "La Stampa" di Torino è a -4,1%. Sul versante
sportivo, "la Gazzetta dello Sport" incassa un -7,8%
(338.281 copie).
Segno positivo invece per i settimanali "A" ( 4,4%,
206.896 copie), "Gioia" ( 2%, 199.611), "Grazia" ( 7,8%,
226.081) e "Vero" ( 4%, 325.583). Panorama porta a casa un
-5,5%, "l'Espresso" un -6,5%. Meno bene invece per "il
Mondo" (-22,4%, 54.140 copie), "Visto" (-10,8%, 186.350
copie) e per "Diva e Donna" (-15,6%, 182.375 copie).
Sempre in casa Cairo editore, ma tra i mensili,
"Bell'Europa" è a -28,6% (34.257) e "Bell'Italia" a -8,6%
(62.248). Giù anche "Traveller" di Condè Nast, fresco di
restyling (-16,5%, 63.201), "Focus" arretra del 12,2%
(501.221) e in casa gruppo Espresso calano sia "Velvet"
(giù del 26,7%, 103.643 copie) sia Repubblica "XL" (-27%,
83.626
Rapporto Istat: il nostro Paese porterà a lungo
segni del disastro economico degli ultimi due
anni. E a pagare sarà soprattutto la fascia 15-29
anni. Oltre due milioni non lavorano, non
studiano, non si formano. I padri aiutati dalla
cassa integrazione. Giovannini:
"Forti rischi
di instabilità"
di
ROSARIA AMATO
IL GIORNALE DI TESTA D'ASFALTO ACCUSA IL
SIGNORAGGIO BANCARIO
Abbiamo
ricominciato a tremare per le banche. Abbiamo ricominciato
a tremare addirittura per gli Stati, a rischio di
fallimento attraverso i debiti delle banche. Si è alzata
anche, in questi frangenti, la voce di Mario Draghi con il
suo memento ai governanti: attenzione al debito pubblico e
a quello privato; dovete a tutti i costi farli diminuire.
Giusto. Ma l’unico modo efficace per farli diminuire è
finalmente riappropriarsene. Non è forse giunta l’ora,
dopo tutto quanto abbiamo dovuto soffrire a causa delle
incredibili malversazioni dei banchieri, di sottrarci al
loro macroscopico potere? Per prima cosa informando con
correttezza i cittadini di ciò che in grande maggioranza
non sanno, ossia che non sono gli Stati i padroni del
denaro che viene messo in circolazione in quanto hanno
delegato pochi privati, azionisti delle banche centrali, a
crearlo. Sì, sembra perfino grottesca una cosa simile; uno
scherzo surreale del quale ridere; ma è realtà. C’è stato
un momento in cui alcuni ricchissimi banchieri hanno
convinto gli Stati a cedere loro il diritto di fabbricare
la moneta per poi prestargliela con tanto di interesse. È
così che si è formato il debito pubblico: sono i soldi che
ogni cittadino deve alla banca centrale del suo paese per
ogni moneta che adopera. La Banca d’Italia non è per nulla
la «Banca d’Italia», ossia la nostra, degli italiani, ma
una banca privata, così come le altre Banche centrali
inclusa quella Europea, che sono proprietà di grandi
istituti di credito, pur traendo volutamente i popoli in
inganno fregiandosi del nome dello Stato per il quale
fabbricano il denaro. Ha cominciato la Federal Reserve
(che si chiama così ma che non ha nulla di «federale»),
banca centrale americana, i cui azionisti sono alcune
delle più famose banche del mondo quali la Rothschild Bank
di Londra, la Warburg Bank di Berlino, la Goldman Sachs di
New York e poche altre. Queste a loro volta sono anche
azioniste di molte delle Banche centrali degli Stati
europei e queste infine, con il sistema delle scatole
cinesi, sono proprietarie della Banca centrale europea.
Insomma il patrimonio finanziario del mondo è nelle mani
di pochissimi privati ai quali è stato conferito per legge
un potere sovranazionale, cosa di per sé illegittima negli
Stati democratici ove la Costituzione afferma, come in
quella italiana, che la sovranità appartiene al popolo.
Niente è segreto di quanto detto finora, anzi: è
sufficiente cercare le voci adatte in internet per
ottenere senza difficoltà le informazioni fondamentali
sulla fabbricazione bancaria delle monete, sul cosiddetto
«signoraggio», ossia sull’interesse che gli Stati pagano
per avere «in prestito» dalle banche il denaro che
adoperiamo e sulla sua assurda conseguenza: l’accumulo
sempre crescente del debito pubblico dei singoli Stati.
Anche la bibliografia è abbastanza nutrita e sono
facilmente reperibili sia le traduzioni in italiano che i
volumi specialistici di nostri autori. Tuttavia queste
informazioni non circolano e sembra quasi che si sia
formata, senza uno specifico divieto, una specie di
congiura del silenzio. È vero che le decisioni dei
banchieri hanno per statuto diritto alla segretezza; ma
sappiamo bene quale forza pubblicitaria di diffusione la
segretezza aggiunga alle notizie. Probabilmente si tratta
del timore per le terribili rappresaglie cui sono andati
incontro in America quegli eroici politici che hanno
tentato di far saltare l’accordo con le banche e di cui si
parla come dei «caduti» per la moneta. Abraham Lincoln,
John F. Kennedy, Robert Kennedy sono stati uccisi, infatti
(questo collegamento causale naturalmente è senza prove)
subito dopo aver firmato la legge che autorizzava lo Stato
a produrre il dollaro in proprio. Oggi, però, è
indispensabile che i popoli guardino con determinazione e
consapevolezza alla realtà del debito pubblico nelle sue
vere cause in modo da indurre i governanti a
riappropriarsi della sovranità monetaria prima che esso
diventi inestinguibile. È questo il momento. Proprio
perché i banchieri ci avvertono che il debito pubblico è
troppo alto e deve rientrare, ma non è possibile farlo
senza aumentare ancora le tasse oppure eliminare alcune
delle più preziose garanzie sociali; proprio perché le
banche hanno ricominciato a fallire (anche se in realtà
non avevano affatto smesso) e ci portano al disastro;
proprio perché è evidente che il sistema, così
dichiaratamente patologico, è giunto alle sue estreme
conseguenze, dobbiamo mettervi fine. In Italia non sarà
difficile convincerne i governanti, visto che più volte è
apparso chiaramente che la loro insofferenza per la
situazione è quasi pari alla nostra.
La crisi che non esisteva ed era un'invenzione dei
giornalisti e le colpe degli italiani che non comprano più
automobili e lavatrici per far girare l'economia e che noi
non siamo la Grecia e neppure la Spagna e l'intervento del
presidente del Consiglio con la sua telefonata nel cuore
della notte che è stato risolutivo per salvare l'euro e i
PIGS che sono sempre gli altri e l'ottimismo
della volontà che fa crescere il PIL e i conti dello Stato
che sono in ordine e il debito pubblico che è più basso
degli altri Paesi e Tremorti che è un genio della finanza
e ha inventato lo Scudo Fiscale che ha sanato i capitali
degli evasori all'estero e le Grandi Opere da decine di
miliardi di euro senza copertura economica e il partito
dei pessimisti che diffondono menzogne e gli italiani che
si devono rimboccare le maniche e mettersi a lavorare e le
missioni di pace che costano miliardi di euro. E ora, che
la crisi è arrivata e non si può più negare, ecco le palle
di giornata. Non ci sarà "macelleria
sociale" (forse nel senso che non ci saranno
pestaggi stile Diaz e Bolzaneto: le
macellerie messicane) e che "non metteremo
le mani nelle tasche degli italiani". Ecco, ma
allora, i 28 miliardi di euro se non li prende mettendoci
le mani in tasca, dove le metterà le mani? Nel dubbio non
chinatevi a raccogliere le margherite.Il
MoVimento 5 Stelle mantiene le promesse e ha presentato un
ricorso per mandare a casa
Formigoni. I nostri avvocati hanno verificato che
Formigoni in Lombardia e Errani in Emilia Romagna sono
ancora ineleggibili nonostante il
decreto del Parlamento del 15 aprile scorso. Il
duo Pdl-Pdmenoelle ha superato i due mandati
consecutivi. Formigoni e Errani non potevano
essere eletti. La
legge è chiarissima, articolo 2, comma
f: "previsione della non immediata
rieleggibilità allo scadere del secondo
mandato consecutivo del Presidente della Giunta
regionale eletto a suffragio universale e diretto, sulla
base della normativa regionale adottata in materia".
Il presidente emerito della Corte Costituzionale
Valerio Onida lo ha confermato in una
intervista. Nelle prossime settimane ci sarà
un'udienza al Tribunale di Milano per discutere sulla
eleggibilità di Formigoni. Il blog la seguirà. Il
silenzio di TUTTI i partiti sulla ennesima
violazione della legge e l'indifferenza verso gli elettori
è la prova che le elezioni per loro sono solo una
spartizione di seggi e di rimborsi elettorali.
"Il 20 maggio 2010 il MoVimento 5 Stelle ha presentato
ricorso contro Roberto Formigoni.
Il ricorso è stato depositato presso il Tribunale di
Milano, sezione civile, e richiede la decadenza della
nomina a Presidente della Regione Lombardia di Roberto
Formigoni in quanto eletto per la quarta volta consecutiva
in aperta violazione della legge 165/2004 che prevede l’ineleggibilità per
chi ha già svolto due mandati elettorali. Dopo le elezioni
hanno provato a varare una legge interpretativa,
l’ennesima legge interpretativa, per aggiungere che la sua
efficacia non è retroattiva.
Hanno inserito un emendamento nella legge di conversione
del decreto salvaliste, ma è stato bocciato dal
Parlamento, un moto di orgoglio, un senso di vergogna
forse, no semplici giochi politici all’interno della
maggioranza. Successivamente, il 15 aprile, è stata
approvata la legge di conversione del decreto legge salva
liste senza quell’emendamento, pertanto non esiste alcun
provvedimento che possa salvare Formigoni ed Errani.
Si, perché anche Vasco Errani in Emilia Romagna è
ineleggibile per le stesse motivazioni, e per questo
motivo il PD è stato in silenzio, ha dormito in tutta
questa campagna elettorale.La legge è chiara: è
ineleggibile chi ha svolto due mandati elettorali, e
quindi immediatamente applicabile.
A chi obietta che per applicare quella norma la Regione
avrebbe dovuto promulgare la propria legge elettorale
regionale recependola, noi rispondiamo che c’è un palese
conflitto di interessi (ormai normalità in questo paese),
il Presidente della Giunta che dovrebbe promulgare questa
legge è lo stesso che da questa legge subirebbe la
dichiarazione di ineleggibilità.
Paradossalmente, ma forse non troppo, se questa legge non
venisse mai promulgata in Regione Lombardia, Formigoni
potrebbe ricandidarsi a vita, eludendo volutamente una
precisa prescrizione statale.
Il Tribunale di Milano fisserà un’udienza e a
quell’udienza ci saremo tutti a ricordare che Formigoni
che sta occupando illegittimamente il posto di Presidente
della Regione.
A breve presenteremo lo stesso ricorso anche in
Emilia Romagna. Loro non molleranno mai, noi
nemmeno." Vito Crimi,
MoVimento 5 Stelle - Lombardia E' uno di
quei giorni in cui ti svegli e ti sembra di vivere in una
dittatura. E' un'impressione, ma ti
disturba. Sarà anche falsa, ma sembra vera come la visione
di un ometto che tiene per le palle una nazione insieme ai
suoi compari che ha piazzato un po' dovunque e che può
ricattare quando vuole con le buone o con le cattive.
Anche questa è una sensazione, ma
persistente di cui non ti liberi quando rifletti su
un'opposizione ridotta a una puttana che non sa neppure il
significato della parola resistere. Una che la dà gratis,
come le ragazzine un tempo a Porta Romana. Gode nel
cedere, opporsi è contro la sua natura. E questo ti turba
molto quando guardi Enrico Letta, il nipote di suo zio,
che conciona in televisione o il relitto umano Uòlter
Veltroni che mendica interviste sui quotidiani (e
purtroppo le ottiene) per emettere il ruggito del topo (di
Topo Gigio per l'esattezza). Passi le ore in preda a
una visione d'altri tempi, del ventennio
fascista per essere precisi, che, per quanto ti sforzi,
non ti abbandona. Un popolo senza diritti, neppure di
votare il suo candidato, di veder discussa in Parlamento
una legge popolare come "Parlamento
Pulito", di poter votare un referendum come
quello sull''informazione libera respinto da Carnevale,
l'ammazza processi. E' un giorno un po' così, il problema
è che tutto ricomincia il giorno successivo. E allora
decidi di riprenderti le 350.000 firme
che hai lasciato negli scantinati del Senato. Ed è quello
che farò. Quelle firme non meritano di essere abbandonate
ai capricci di uno
Schifani qualunque. Un uomo troppo impegnato ad
assistere a nostre spese alla finale Inter- Bayern
per poter discutere una legge di iniziativa popolare.
Quelle firme di persone per bene che si sono rotte i
coglioni di questa classe politica non possono essere
lasciate marcire nei sotterranei di Palazzo Madama. E più
ci pensi, più ti incazzi. Gli scatoloni sono lì, fermi dal
dicembre del 2007, giorno in cui li
consegnai a Marini. Quasi trenta mesi. Oggi
quelle richieste sembrano innocenti, la votazione diretta,
massimo di due mandati, nessun condannato in via
definitiva in Parlamento. Sono passati due anni e mezzo ed
è sempre uno di quei giorni che i politici se ne sbattono
dei cittadini. E ascolti parole inaudite che sembrano
venire dall'oltretomba della democrazia. Non proprio
parole, ma stronzate, insulti alla ragione, alla decenza,
che non possono essere vere: "L'Europa ha vissuto al
di sopra dei propri mezzi", pronunciate da chi è
vissuto al di sopra dei nostri mezzi e
della nostra pazienza per vent'anni. E' tutto irreale, ma
sembra autentico, vero, tangibile. L'Italia dorme, forse
sogna un'anima che ha perduto. Verrà l'economia e avrà i
suoi occhi.
All'indomani del
rimando alle camere della legge SULL'ARBITRATO il governo
cambia lo Statuto del lavoratori
Insorgono il Pd e la Cgil, altolà di Cisl e Uil
Ddl delega in pochi giorni. Alcuni
militanti della Uil hanno fsichiato il ministro Brunetta
per un suo riferimento ai fannulloni nella pubblica
amministrazionedi
ROBERTO MANIA
ROMA - Cambiare lo
Statuto dei lavoratori. Esattamente dopo quarant'anni
dall'entrata in vigore della legge sui diritti di chi
lavora, il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, ha
voluto confermare che il governo intende mettere mano a
quelle norme. E che lo farà in tempi rapidi: nei
prossimi giorni arriverà il Piano triennale per il
lavoro al quale seguirà un disegno di legge delega sullo
"Statuto dei lavori". Un vecchio progetto di Sacconi
articolato su due livelli: il riconoscimento dei diritti
di tutti i lavoratori indipendentemente dalle dimensioni
aziendali e dal tipo di contratto (lo Statuto
attualmente si applica a poco meno della metà dei
lavoratori) e un sistema di tutele variabili a seconda
del settore di appartenenza, del territorio e della
stessa impresa. "Un attacco alla Costituzione", secondo
il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani,
convinto che lo Statuto "non sia il caro estinto" .I
quarant'anni dello Statuto sono stati celebrati da Cgil,
Cisl e Uil in tre distinti convegni. Segno delle
divisioni di questa stagione sindacale. Eppure, al di là
dei toni e degli argomenti, nessuno tra i sindacalisti
ha detto di considerare quello della riforma della legge
300 del 20 maggio 1970 una priorità. Lo stesso leader
della Cisl, Raffaele Bonanni, ha preso le distanze dalla
tempistica prospettata da Sacconi. "Il governo - ha
detto - dovrebbe occuparsi d'altro in questo momento.
C'è altro da fare adesso piuttosto che aprire spaccature
o creare altre difficoltà". E, in ogni caso - secondo la
Cisl - le modifiche andranno prima individuate dalle
parti sociali (imprese e sindacati) e poi trasferite in
una legge del governo o del Parlamento.
Linea condivisa dalla Uil di Luigi
Angeletti secondo il quale il vero obiettivo deve essere
quello di estendere le tutele ai tanti lavoratori che
oggi ne sono privi. "Di questi dobbiamo preoccuparci",
ha detto Angeletti nel convegno organizzato dalla Uil a
Roma al Cinema Capranica dove è stato fischiato il
ministro della Pubblica amministrazione, Renato
Brunetta. A provocare il dissenso di una parte della
platea è stato il passaggio nel quale Brunetta ha
sostenuto che "c'è qualcuno che ha considerato lo
Statuto come strumento per difendere i fannulloni".
Fischi e brusii ai quali ha replicato il ministro: "Si
vede che c'è qualche fannullone anche in sala. Ma io non
mi faccio intimidire. Io sono un privilegiato perché da
riformista sono qui a parlare. Altri non l'hanno potuto
fare". Con chiaro riferimento, tra gli altri, a Massimo
D'Antona e Marco Biagi, uccisi dai terroristi. La
giornata di ieri si è così sviluppata su due piani:
quella sul progetto del nuovo Statuto e quello sulle
polemiche legate al passato. Rinfocolate anche dal
ministro Sacconi che nel suo intervento nell'aula del
Senato ha ricordato l'astensione del Partito comunista
(il Pci) sullo Statuto, le durissime critiche che
vennero da alcuni esponenti di quell'area, fino
all'omicidio di D'Antona e il rischio che si torni a una
stagione di violenza. Una connessione che ha provocato
la reazione del capogruppo del Pd a Palazzo Madama, Anna
Finocchiario: "Associare, come ha fatto il ministro
Sacconi, il voto di astensione del Pci in Parlamento
sullo Statuto alla stagione di violenze che poi condusse
al terrorismo è un'indecente aberrazione".
La
conduttrice lo scrive in una lettera affissa nella bacheca
della redazione: "Non mi riconosco più nella testata". La
decisione dopo le dure polemiche con Minzolini. Ad
Annozero attacchi a Repubblica, Corriere e
Stampa. Contestata maggioranza e opposizione. "Se
volete che resti chiedetemelo"
Vedo le due righe di notizia negli
sms del “Corriere della Sera” sul telefonino e
scopro, nel leggere quel brevissimo flash (“È morto
nella clinica di Genova Villa Scassi il poeta e
scrittore Edoardo Sanguineti.
L’intellettuale aveva 79 anni”) un senso disturbante di
irrealtà. A un certo punto della vita capita spesso
(esito a dire “sempre più spesso”) di dover ricordare
con dolore e rimpianto qualcuno, qualcuna che a un certo
punto hai affiancato o ti ha affiancato nella vita. Come
i missili terra-aria, vai a cercare il calore di
momenti, fatti, situazioni, cose dette, cose scritte,
lampi di memoria. Qui è diverso. Sanguineti era il mio
compagno di banco al liceo D’Azeglio a Torino. Insieme
conducevamo una nostra battaglia contro il professore di
greco, fresco di Salò e non in vena di pentimenti. E
abbiamo dato vita a un nostro “giorno della memoria” in
classe con il prof. Vigliani (letteratura italiana e CLN).
Torino era stata straziata dalle leggi razziali. E quasi
tutta la classe ci seguiva.
È
più utile per l’Italia comprare aerei da combattimento
per 17 miliardi di euro o investire nell’università e
nella ricerca?”.
La provocazione
arriva per bocca del governatore
della Regione Puglia, Nichi Vendola, ma
rispecchia l’interrogativo che si pongono in molti
all’interno degli Atenei: a che punto delle priorità di
questo governo arriva la cultura? Evidentemente è molto
in basso nella lista. Di anno in anno i finanziamenti
calano, non ci sono posti di lavoro, né risorse per fare
ricerca, e i cervelli continuano a fuggire all’estero.
La nuova riforma dell’Università procede in Parlamento e
non è certo ciò che gli atenei si aspettavano. Non
scontenta solo studenti e ricercatori (i primi hanno
occupato ieri la maggior parte dei rettorati in
tutt’Italia, da Milano, a Trieste, da Roma a Palermo, i
secondi protestano oggi alle 10 davanti al Senato a Roma
dove si discute la nuova legge) ma anche docenti e
rettori.
Il mio slogan è: morire prima, morire tutti. La seconda
parte è incontrovertibile, la prima, ovviamente,
discutibile. Già dal 1919, quando gli orrori della
medicina tecnologica non avevano ancora raggiunto i
livelli attuali, Max Weber scriveva:
“Il presupposto generale della medicina moderna è che
sia considerato positivo, unicamente come tale, il
compito della conservazione della vita...
Tutte le scienze danno una risposta a
questa domanda: che cosa dobbiamo fare se vogliamo
dominare ‘tecnicamente’ la vita? Ma se vogliamo e
dobbiamo dominarla tecnicamente, e se ciò, in
definitiva, abbia veramente un significato, esse lo
lasciano del tutto in sospeso oppure lo presuppongono
per i loro fini”.
Nella società contemporanea, dimentichi non solo di
Weber ma di una sapienza millenaria, l'allungamento
della vita non è solo un must ma la bandiera che
sventola orgogliosamente sul più alto pennone della nave
della Modernità. Bisogna sgombrare subito il campo da un
voluto e non innocente equivoco diffuso dagli
scienziati, dai medici e dagli storici:
che in era preindustriale la vita
fosse cortissima, 32 anni o poco più. Un falso
ideologico. Gli uomini e le donne del Medioevo si
sposavano, in media, rispettivamente a 29 e 24 anni, non
avrebbero avuto neppure il tempo di tirar su i primi
figli e, tantomeno, di farne a dozzine come invece
accadeva. Il fatto è che si confonde la
vita media, che scontava l'alta mortalità natale e
perinatale (che peraltro selezionava naturalmente i più
robusti) con la vita effettiva di quegli uomini.
Senza addentrarci in complesse comparazioni statistiche
ricordiamo che padre Dante colloca “il
mezzo del cammin di nostra vita” a 35 anni e che,
duemila anni prima di lui, il biblista afferma “Settanta
sono gli anni della vita dell'uomo”.
Il confronto non va fatto quindi con la vita media (che
è una statistica alla Trilussa)
ma con l'aspettativa di vita dell'adulto. Su questo
piano abbiamo effettivamente guadagnato qualcosa, perché
oggi gli uomini hanno un'aspettativa di vita di 78 anni
e le donne di 83. Una decina di anni in più, che non son
pochi. Ma bisogna vedere come li si vive.
In prima fila ci sono
gli orrori dell’“accanimento terapeutico”, per cui alla
naturale paura della morte si è aggiunto un abbietto
terrore che ti “salvino”, condannandoti, per anni, a
un'esistenza dimidiata, umiliata, indegna di un essere
umano. In fondo la morte, se rispetta i tempi naturali,
è una cosa pulita, noi siamo riusciti a renderla una
vicenda sporca, disumana.Poi c'è la terrificante
solitudine dei vecchi e la loro perdita di ogni ruolo.
In Europa solo il 3,5% degli anziani vive con i propri
figli. E il vecchio, a differenza di un tempo, non è più
il detentore del sapere ma, superato dalle continue
innovazioni tecnologiche, ha perso questo ruolo. Come
scrive lo storico Carlo Maria Cipolla
“nella società agricola il vecchio è il
saggio, in quella industriale un relitto”. A ciò si
aggiunge quell'astrazione crudele che solo la smania
codificatoria della borghesia e della Modernità poteva
inventarsi: la pensione. Da un giorno all'altro tu perdi
il posto, sia pur modesto, che avevi nella società e
vieni sbattuto nel magazzino dei ferrivecchi.
E adesso vai a curare le gardenie, povero, vecchio e
inutile stronzo. Come antipasto ci sono la prevenzione e
il terrorismo diagnostico. Qualsiasi età si abbia
bisogna controllarsi, palpeggiarsi, auscultarsi, fare
una mezza dozzina di esami clinici l'anno. Non si può
più fumare, non si può bere, bisogna stare a dieta.
Dobbiamo vivere ibernati, vecchi fin da giovani.
Il greco Menandro (III secolo a.C.)
vedeva lontano, molto lontano, la nostra società, quando
canta: “Caro agli Dei è chi muore giovane”.
Alfredo Mantovano,
sottosegretario agli Interni, dopo
la sentenza
che ha condannato 25 imputati sui 27 che erano sotto
processo per le violenze durante il G8 del 2001. "Questi
uomini hanno e avranno la nostra piena fiducia" /
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La trasmissione in onda fino a giugno. Per il
conduttore, che non ha ancora dato spiegazioni
ufficiali, progetti da collaboratore
Il comunicato di poche righe, a tarda sera, chiude una
stagione e cala il sipario su Annozero: “La Rai
ha approvato una risoluzione consensuale del rapporto di
lavoro dipendente con Michele Santoro”.
Fine. E poi un'apertura, per un futuro diverso: un
accordo da firmare - con licenza di spaziare dalla prima
alla terza rete – per realizzare progetti editoriali e
sperimentali (anche docufiction) nei prossimi
due anni. Il consiglio di amministrazione ha votato con
sette voti a favore e due astenuti, maggioranza e
opposizione insieme, una proposta del direttore generale
Masi che, a due mesi dall'ultima puntata di
Annozero, congeda una trasmissione di successo.
Berlusconi è stretto
all’angolo. Potrebbe uscirne una volta di più, purtroppo,
se la dabbenaggine delle opposizioni gli regaleranno anche
in questa circostanza il monopolio dell’antipolitica. Ma
questa volta il caimano di Arcore ne approfitterebbe non
già per consolidare il suo strapotere, bensì per
infliggere alla Costituzione il colpo del ko.
“Antipolitica” è in realtà espressione fuorviante,
coniata
dagli editorialisti della Casta per infangare di
aprioristico qualunquismo ogni movimento che metta
radicalmente in discussione i privilegi e il malgoverno
della Casta stessa. L’anatema contro la pretesa
“antipolitica” fu infatti il leitmotiv con cui il
giornalismo unico cercò di sbarazzarsi del milione di
persone che diede vita al gigantesco “girotondo” di otto
anni fa, e più di recente alla piazza san Giovanni del
“Popolo viola”. Si tratta in realtà dell’anelito verso una
politica nuova, che restituisca nella misura più grande
possibile quote di sovranità ai cittadini, sempre più
espropriati da una partitocrazia autoreferenziale.
Del resto è dal 1992, quando “Mani Pulite” scoperchiò la
fogna di Tangentopoli, tra l’unanime consenso degli
italiani che verso la partitocrazia erano arrivati al
disgusto e al vomito, che le elezioni le vince chi riesce
ad accreditarsi come paladino dell’antipolitica. Da parte
di Berlusconi ovviamente si è trattato e si tratta di
un’appropriazione indebita, di un gioco delle tre carte
demagogico che può riuscire solo grazie alla truffa
mediatica permanente del suo monopolio televisivo. Che con
Berlusconi scenda in politica la società civile del
“fare”, e dunque un grande imprenditore che la rappresenta
al meglio poiché “si è fatto da sé”, è pura e semplice
leggenda, visto che senza Craxi e senza
P2 Berlusconi sarebbe ancora a Milano 2, e semmai in
galera. Ma anche le leggende metropolitane funzionano, se
nessuno prova a smascherarle e a proporre la versione
autentica di una esigenza diffusa. E la sinistra non ci
provò la prima volta nel 1994, quando preferì candidare
Occhetto (ultimo segretario comunista)
con la sua patetica “gioiosa macchina da guerra”, anziché
un indipendente di sinistra scelto nella società civile.
Sappiamo come è andata. Bastò addirittura una forma soft,
molto soft, quasi omeopatica, di “antipolitica” e di
società civile (la candidatura Prodi) per
vincere due volte. Ma quella forma già neghittosa, anziché
segnare l’inizio di una svolta, fu subito ulteriormente
annacquata da un centrosinistra di nuovo in balia della
nomenklatura di apparato e della faida D’Alema,
Veltroni e altri cloni. Ora Berlusconi, assediato
dagli scandali dei suoi feudatari (che pretendono – come
dar loro torto? – di imitarlo nel diritto all’impunità),
ci riprova. Reciterà l’anticasta, ha fatto sapere che alle
prossime elezioni ricandiderà al massimo una dozzina dei
suoi parlamentari. Del resto sono SUOI, come i vassalli e
i lacchè. Tutti gli altri a casa, e il popolo grato lo plebisciterà. Le cose andranno esattamente così, se ad
andare a casa non saranno anche le nomenklature di
opposizione.
Perché un’opposizione raramente, anzi mai, ha avuto in
Italia una situazione più facile: le cricche di governo
invise fino all’odio per le grassazioni sfacciate e
sistematiche, mentre lavoratori alla fame, come disperata
forma di protesta sono costretti all’autoreclusione
all’Asinara o al suicidio. Basterebbe un minimo di
coerenza politica e di credibilità personale dei suoi
dirigenti, e il centrosinistra vincerebbe in carrozza. Ma
latitano entrambe. Perciò, se non si vuole che il regime
di Berlusconi passi al nuovo fascio-feudalesimo di una
vera e propria “dittatura proprietaria”, resta solo la
strada – statisticamente vincente – di una politica
anti-Casta, nei contenuti e nei candidati. In Germania
“die Linke” ha cambiato l’intero gruppo dirigente in una
sola giornata di congresso.
Qui da noi, il dramma dei democratici, intesi come
cittadini, è la palude irredimibile e la paralisi
definitiva dei democratici intesi come nomenklatura
del Pd. Non basta un “Papa straniero”, ormai, come pure
autorevolmente suggerito, vanno pensionati anche tutti i
vescovi. Se la base del Pd non è in grado di compiere
l’operazione, bisognerà che la “antipolitica democratica”
cominci a ragionare su come dotarsi direttamente e in
prima persona degli strumenti elettorali per evitare il
baratro. Ormai sta diventando una questione di pura e
semplice responsabilità verso la Repubblica, la sua
Costituzione, la Resistenza che l’ha fatta nascere.
Sequestrato il
megayacht di Briatore
Il megayacht
di Briatore batte bandiera extraeuropea
L'ipotesi di
reato è contrabbando
A bordo palestra e cinema
Per averla una settimana
si spendono 245 mila euro
Il megayacht in
uso a Flavio Briatore, il «Force Blue», è stato
sequestrato al largo della Spezia dai finanzieri del
Gruppo Genova su mandato del pm Walter Cotugno.
L’ipotesi di reato è contrabbando.
La nave, battente bandiera extra Ue, era intestata ad
una società di charter, ovvero col mandato di affittarla
al migliore e più affidabile offerente, ma i militari
hanno accertato che il «Force blue» sarebbe stato
piuttosto in uso esclusivo al solo Briatore. La notizia
è stata anticipata stamani dal quotidiano «Corriere
Mercantile». Secondo indiscrezioni, al momento del
sequestro a bordo del megayacht di 62 metri non c’era
Briatore, ma la moglie Elisabetta Gregoraci, col
figlioletto Falco Nathan.
Il «Force Blue», già «Big Roi», è uno yacht oceanico in
acciaio costruito dai cantieri Royal Denship nel 2002 su
disegno dell’architetto Tom Fexas, ridisegnato e
riadattato nel 2006 in Arredamenti Porto di Genova e poi
ancora nel 2007, con interni curati da Celeste
dell’Anna. L’imbarcazione, che raggiunge i 62,33 metri,
è larga 11,38; può ospitare dodici persone, ha cabine
per 17 membri di equipaggio, e può raggiungere 17 nodi
di velocità massima.
Tra i comfort offerti: una sala cinema con tv al plasma
da 60 pollici, sala per incontri, sala parrucchiere, una
palestra con un centro Spa (bagno turco, idromassaggio,
sauna, stanza per i massaggi e bagno di fanghi). Dispone
inoltre di varie altre vasche idromassaggio nelle cabine
e sul ponte. Su un sito Internet viene pubblicizzato per
viaggi charter al costo di 245mila euro alla settimana
per viaggi nel Mediterraneo in alta stagione e 235mila
euro nella bassa, oltre alle spese.
50 MILIARDI DI EURO DI
TAGLI, BLOCCO PENSIONI, SPREMUTE DI SANGUE, SCANDALI A
TONNELLATE, GENTE CHE SI FA SFACCIATAMENTE I CAZZACCI
PROPRI E CONTINUANO A FARSELI. MA CHE FINE HA FATTO LA
CAMERIERA FINI DI BERLUSCONI?? NON FA PIU' SCENATE
ISTERICHE DA TROIA COL COLLARE??
PRONTA LE LEGGE
BAVAGLIO(DOPO SCUDO FISCALE PER I MAFIOSI, LODI
ALFANO-SCHIFANI,LEGITTIMO IMPEDIMENTO,I DECRETI MAGICI
PER L'AQUILA,IL DECRETO SALVA LISTE, IL NON FALLIMENTO
DI ALITALIA solo per citare...)
ROMA - Sta per
cambiare la storia delle inchieste giudiziarie in Italia.
Ormai è solo questione di giorni. Uno strumento
fondamentale d'indagine come le intercettazioni non sarà
più quello di prima. Si cambia definitivamente pagina. Il
primo passo c'è stato ieri sera, al Senato, in commissione
Giustizia. In una seduta notturna, e del tutto
straordinaria trattandosi di lunedì quando a palazzo
Madama di solito non c'è neppure l'ombra di un senatore,
con un fortissimo scontro tra maggioranza e opposizione, è
passata la totale riscrittura delle regole per registrare
una telefonata, mettere una microspia, richiedere un
tabulato. Con parole grosse volate tra il dipietrista
Luigi Li Gotti e il sottosegretario alla Giustizia Ciacomo
Caliendo. E con il tentativo disperato dell'opposizione di
rinviare ancora un voto che ormai, dopo decine di
interventi, era ormai inevitabile.
Alle 22, dopo un braccio di ferro durato per tre sedute, è
stato votato l'emendamento del governo che riscrive
interamente l'articolo 266 del codice di procedura penale.
Quello che stabilisce cosa deve fare un pm, cosa deve fare
il giudice, quanto può durare un ascolto, quali sono le
condizioni per disporlo.
Il pm dovrà avere in mano "gravi indizi di reato". È così
anche oggi, ma bastano solo quelli, non ci sono altri
paletti. Invece, se l'aula del Senato e poi la Camera in
terza lettura, dovessero confermare le nuove norme imposte
dal governo, accanto ai "gravi indizi" il pm dovrà contare
su "specifici atti di indagine" che provino la
responsabilità dell'indagato o delle altre persone che si
vogliono controllare.
Come hanno
denunciato tutti i più noti magistrati, il riferimento
all'articolo 192 dello stesso codice, quello che
disciplina la valutazione della prova, comporterà per il
pm l'onere di ottenere le pezze d'appoggio contro
l'indagato ancora prima di richiedere l'intercettazione
dalla quale, invece, dovrebbe venire lo stesso materiale
di prova. Ma non basta. Ecco il colpo per tabulati e
microspie. Per gli uni e le altre varranno le stesse
regole rigide. Niente tabulati, cioè una documentazione
che non certo viola la privacy come le intercettazioni
pubblicate sui giornali, senza prove preventive. E niente
cimici, a meno che il pm non sia certo che proprio in quel
luogo non si stia commettendo o non si commetterà un
reato.
A queste si aggiungono altre due zeppe: la durata "breve"
e la necessità di rivolgersi non più al solo gip, che
magari stava al piano di sotto nello stesso palazzo, ma al
tribunale collegiale del capoluogo di distretto. Come ha
denunciato l'Anm, una scelta incomprensibile e
destabilizzante. Gli ascolti, che oggi possono essere
prorogati finché è necessario alle indagini, non potranno
superare i 75 giorni, 30 per la prima fase, poi di 15 in
15 giorni con continue richieste di conferma. Ogni volta
il pm dovrà mandare le carte ai tre giudici che, per
scritto, dovranno confermare il lasciapassare motivandone
di loro pugno l'effettiva necessità. Una gara ad ostacoli.
Che l'opposizione ha cercato di fermare. Con momenti di
pesante polemica, come quando Li Gotti ha gridato a
Caliendo: "Lei è davvero ignorante. Se non conosce il
codice se lo vada a studiare". I due litigavano sul
rapporto tra gli articoli 266 (intercettazioni) e 295
(ricerca dei latitanti) del codice. Per Li Gotti, cambiato
il primo bisogna sistemare il secondo, e c'è il rischio
che non si possano più disporre ascolti contro i
latitanti. Il secondo la pensava all'opposto. E proprio
sulla mafia, che secondo le toghe non potrà più essere
investigata come prima dopo la riforma, la pd Donatella
Ferranti ha chiesto conto delle dichiarazioni di Daniela
Santanché a Mattino5, dove la sottosegretaria ha sostenuto
che registrare i colloqui tra i boss e i loro familiari
significa violarne la privacy. La Ferranti chiede al
governo di "prendere le distanze". Palazzo Chigi tace.
L'Italia
è un sistema vassallatico-democratico.
Tutti i deputati e i senatori sono stati nominati dai
padroni dei partiti. Coloro che comandano in Parlamento, e
quindi nel Paese, si contano sulle dita di una sola mano.
Pdl e Pdmenoelle hanno instaurato una dittatura
parlamentare.
Nessun deputato o senatore chiede la revisione immediata
della legge elettorale che impedisce la nomina
diretta del candidato da parte dei cittadini.
Nessuno di loro si dimette dalla vergogna. Nessuna
Istituzione interviene, men che meno Morfeo Napolitano.
Eppure, con questa legge elettorale, nuove
elezioni politiche sono inutili. Una presa per il
culo e uno spreco di denaro pubblico. Non ha senso andare
a votare con una legge incostituzionale (a proposito
perché non si esprime la Divina Corte Costituzionale?). In
caso di fine della legislatura è più semplice e corretto
che Casini, Berlusconi, Bersani e gli altri si riuniscano
in concilio, decidano le liste elettorali e le comunichino
al popolo. Il risultato sarebbe uguale senza scomodare
decine di milioni di italiani.
Siamo ritornati ai vassalli e ai servi della gleba,
come nel Medio Evo. "Il vassallaggio
era un rapporto di tipo personale che si instaurava nel
sistema vassallatico-beneficiario. Si trattava di
"contratto" privato tra due persone, il vassallo e il
signore: il primo si dichiarava "homo" dell'altro, durante
la cerimonia dell'"omaggio", ricevendo, in cambio della
propria fedeltà e del servizio, protezione dal signore. Il
sistema feudale prevedeva l'immunità, il privilegio di non
subire, nei confini della signoria feudale, controlli da
parte dell'autorità pubblica." Il sistema
vassallatico-democratico italiano è identico, anche nel
privilegio dell'immunità parlamentare. Ma forse oggi è
peggio. Io ho un sospetto, pur non avendone le prove, che
l'attuale "contratto" tra vassallo e "homo"
per rivestire una carica parlamentare possa essere
economico. Un milione di euro o una cifra
importante in cambio di un posto assicurato in Parlamento.
Non sarebbe strano, né improbabile. Chi
dispone dei seggi li può vendere o mettere all'asta. Il
seggio è un bene tangibile, centinaia di migliaia di euro
all'anno, pensione assicurata, visibilità, benefit di ogni
tipo. E' il miglior investimento possibile, meglio dei
fondi o dei titoli di Stato. Molti sarebbero disponibili a
pagare.
Nel
capoluogo confermato Spagnolli, scambio di accuse nel
centrodestra indietro in tutta la Regione. Svp a
Bressanone e Merano. Il fenomeno di una nuova lista civica
a Rovereto. Fallisce la destra tedesca, buon risultato dei
grillini /
LA VECCHIA ALITLIA NON FALLIVA CON UN
DEBITO DA TRE MILIARDI DI EURO SCARICATI SULLO STATO DA
TESTA D'ASFALTO. LA NUOVA ALITALIA DEI CAPITANI CORAGGIOSI
DOPO 18 MESI HA GIA' 326 MILIONI DI EURO DI ROSSO....Anche
la nuova Alitalia, come la vecchia compagnia di bandiera
pubblica, continua a chiudere i suoi bilanci in rosso: 326
milioni di perdita nel 2009. Non bastano il monopolio
sulle rotte più redditizie e le tattiche che, a quanto
risulta al Fatto Quotidiano, usano i suoi call
center per strappare ai clienti qualche decina di euro in
più sui biglietti acquistati via telefono.
LE DENUNCE. Sono molte le denunce di chi,
telefonando al call center Alitalia per comprare un
biglietto, non si vede indicare la tariffa più economica
nemmeno su esplicita richiesta. Basta andare sul sito
Internet della compagnia per scoprire, però, che esistono
voli più economici di quelli suggeriti dagli operatori del
call center. Ecco cosa succede se, per esempio, si chiama
il numero 062222 (il call center Alitalia) per prenotare
la tratta Milano-Roma con partenza l’8 maggio e ritorno il
giorno successivo: alla richiesta precisa del volo più
economico, in qualsiasi fascia oraria ed esplicitando che
va bene qualunque aeroporto, il prezzo proposto
dall’operatrice è di 201 euro.
Ma basta accedere al sito per verificare che c’è una
soluzione che costa quasi la metà: 133 euro, è sufficiente
atterrare a Malpensa invece che a Linate. Com’è possibile?
Perché il call center non indica il volo più economico?
L’operatrice, messa di fronte all’evidenza, si corregge
subito: "Certo, scusi. Se le va bene anche Malpensa allora
sì, può partire con 133 euro". Non è un caso unico. Il
Fatto Quotidiano ha telefonato al call center
prenotando anche voli di sola andata, nazionali e
internazionali: le offerte ricevute sono state, in cinque
casi su cinque, notevolmente superiori a quanto indicato
sul web per combinazioni analoghe. Lo scarto minimo è
stato di 50 euro e quello massimo di 68. A volte gli
operatori hanno danno per scontato che si volesse per
forza atterrare in un determinato aeroporto, altre hanno
deciso autonomamente che un aereo decollava troppo presto
o troppo tardi per essere preso in considerazione. Altre
ancora, senza particolari spiegazioni: "Davvero c’è lo
stesso volo alla metà del prezzo sul sito? Si affretti".
"È una grave scorrettezza", commenta Carlo Rienzi,
presidente del Codacons, l’associazione che
difende i diritti dei consumatori. E aggiunge: "Trattano
l’utente come il turista straniero che al ristorante non è
in grado di valutare i prezzi. Anche se non si configura
alcuna ipotesi di reato, reputo che sia un modo assai poco
etico per guadagnare più denaro".
I CALL CENTER. Esistono due tipi di call center Alitalia:
uno in appalto alla società per azioni Alicos e uno
interno all’azienda. In entrambi i casi i dipendenti
percepiscono uno stipendio fisso, non in percentuale alle
vendite portate a termine. Dunque che incentivo hanno a
proporre tariffe più salate rispetto a quelle disponibili
sul sito aziendale? "Ricevono istruzioni da chi dirige il
call center di proporre opzioni che, pur esistendo, non
sono mai le più convenienti", sostiene Rienzi. Alitalia
replica al Fatto Quotidiano: "Quello che
denunciate non dovrebbe succedere. A noi non risulta ma,
nel caso fosse vero, la responsabilità sarebbe interamente
dell’operatore". L’ufficio stampa della ex compagnia di
bandiera rivendica che non c’è alcuna discriminazione
economica telefonando al call center: "Abbiamo provato
anche noi a fare l’esperimento confrontando i due canali
d’accesso alla biglietteria. Tramite il call center è
stato proposto un prezzo addirittura più basso che sul
web". Anche Adoc, altra associazione di
consumatori, in un comunicato ha scritto: "A seguito di
centinaia di telefonate giunte all’Adoc relative
a un’anomalia dei prezzi dei voli internazionali europei
ed extraeuropei dell’Alitalia, che mostrava uno
scostamento tra l’offerta online e quella del call center
(a parità di volo, destinazione, data, orario), l’Adoc
ha chiesto chiarimenti". Alitalia, sollecitata dal Fatto e
dai consumatori, rassicura: "Provate ora, vedrete che i
prezzi corrispondono".
Mariarca
Terracciano, 45 anni e due figli, aveva protestato contro
i ritardi dei pagamenti facendosi togliere 150 ml di
sangue al giorno. Dal 3 maggio aveva interrotto i
prelievi. Tre giorni fa ha avuto un malore ed è entrata in
coma
Soprattutto la bassa crescita. E’ come se avessimo vissuto
due recessioni: tra il 2000 e il 2007 abbiamo avuto 6
punti di crescita in meno di Francia e Germania, poi
abbiamo pagato la crisi internazionale più di loro e
adesso le previsioni parlano di una ripresa molto più
tenue da noi che altrove.
Gli impegni che abbiamo preso con la Commissione
europea riguardano i rapporti tra debito, deficit e Pil.
Se il Pil non cresce, però, non potremo rispettarli. E i
mercati ci giudicano su questo.
Infatti: la crescita è un modo per ridurre il problema dei
conti pubblici. E' la lezione che abbiamo imparato durante
la recessione. Il governo italiano non ha fatto nulla per
contrastare la crisi, nessuna politica discrezionale,
nessun salvataggio di banche, ma i conti pubblici sono
comunque peggiorati. E se ripartisse il Pil
migliorerebbero, anche in questo caso senza interventi del
governo. Le riforme per ottenere più crescita hanno
bisogno di qualche anno prima di produrre effetti, bisogna
farle subito.
Spagna e Portogallo stanno già annunciando misure
straordinarie, tagli di spesa e aumenti delle tasse per
riportare sotto controllo i conti pubblici. Cosa dovremmo
fare noi?
Il governo dovrebbe dare un annuncio chiaro e forte che
vista la congiuntura si è deciso di rinviare il
federalismo fiscale, visto che rischia di aver effetti
pesanti sui conti pubblici. Non è un caso che il governo
continui a non dare cifre sul suo impatto. Per rassicurare
gli investitori ed evitare di pagare interessi più alti
sul debito pubblico per molti anni, sarebbe bene chiarire
che il federalismo fiscale è rinviato, magari affidando
l'annuncio allo stesso Umberto Bossi, per renderlo più
credibile. Non significa cancellare il federalismo ma
rinviarlo a tempi migliori. Il secondo intervento dovrebbe
riguardare l'economia sommersa: contrastando il lavoro
sommerso possiamo migliorare i conti pubblici e aumentare
la base imponibile senza alzare le tasse, ma serve un
segnale di discontinuità rispetto a quanto fatto fin qui.
Lo ha ammesso anche il ministro Saccconi,
nella sua audizione in aprile, che le ispezioni sui posti
di lavoro si sono ridotte del 7 per cento. E nel 2009 c’è
stato lo scudo fiscale.
Torniamo alla crescita. E’ credibile, come dice il
governo, che il Pil dell’Italia cresca dell’1,5 per cento
nel 2011 e del 2 per cento nel 2012?
Le stime del governo continuano a essere molto più
ottimistiche di quelle di tutte le istituzioni
internazionali. Ma non ci sono segnali di un cambio di
passo. Stiamo risalendo la china molto, molto lentamente.
Ieri alcuni giornali online titolavano con toni enfatici
sui dati della produzione industriale di marzo come se
segnalassero una crescita del 6,4 per cento sul mese
precedente e non invece sul punto più basso della crisi.
Ma siamo al 21 per cento in meno della produzione
industriale pre-crisi.
Quindi, per rispettare gli impegni presi con
l’Europa, Tremonti dovrà fare una manovra anche superiore
ai 25 miliardi annunciati pochi giorni fa?
Tremonti, nella Relazione unificata economia e finanza
pubblica di giovedì, ha confermato gli obiettivi sul
debito pubblico previsti nella nota di aggiornamento sul
piano di stabilità, pur avendo ridotto leggermente le
stime di crescita e questo ha fatto sì che dovesse
aumentare l’entità della manovra 2011-2012. Ed è quindi
probabile che sarà necessario fare di più anche perché,
visto quello che sta succedendo, l’Italia deve ridurre il
debito pubblico non limitarsi a stabilizzarlo, come
prevedono questi documenti, ai livelli del record storico
del 1992.
Il piano europeo approvato dai ministri economici
dell'area euro la convince?
L’aspetto più importante è la scelta della Banca centrale
europea di garantire liquidità ai titoli di Stato dei
Paesi a rischio. Il resto sono misure soprattutto di
facciata. Quella della Bce è una scelta
importante, giustificata dalla situazione, che scoraggia
gli investitori che scommettono sul contagio, ma non
risolve tutto visto che è un intervento di politica
monetaria, ma la crisi è fiscale. E’ da notare, comunque,
che abbiamo rischiato di far fallire questa misura prima
ancora che venisse adottata, con dichiarazioni inopportune
di alcuni capi di governo, tra cui purtroppo il nostro,
che, presentando la scelta della Bce come una loro
decisione, hanno messo in discussione l’indipendenza della
Bce. E hanno rischiato di mandare tutto all’aria.
IL RUGGITO DEL SIGNORAGGIO METTE IN GINOCCHIO
L'EUROPA !!!
Gli stati sovrani come creano il debito? Come si
forma il debito? Perchè è impossibile restituirlo??
Le nazioni, gli
stati, il debito lo creano con la bilancia dei pagamenti con
l'estero, ovvero importazioni ed esportazioni, e con i costi di
gestione interni della macchina stato, ovvero
uffici,infrastrutture,stato sociale,scuola,sanità pubblica, ceto
politico a tutti i livelli, esercito, polizia. Non finisce quì:
gli stati infatti si indebitano FACENDO STAMPARE CARTA MONETA.
Tutti quanti infatti sono convinti che la moneta che uno stato
stampa, è di sua proprietà. NON E' COSI'. Infatti tutti gli
stati fanno stampare carta moneta ALLE BANCHE CENTRALI
NAZIONALI, che non sono di sua proprietà, ovvero NON SONO
PUBBLICHE, MA SONO PRIVATE, sono Società per Azioni. Quindi gli
stati per stampare carta moneta emettono titoli di stato alla
banca centrale, OVVERO UN DEBITO VERSO LA BANCA CENTRALE, SULLA
PROMESSA DI RESTITUIRE I SOLDI. Ecco quindi che dal nulla lo
stato crea della carta moneta SENZA AVERE DIETRO UN
CORRISPETTIVO DA DARE SE NON UNA PROMESSA: E' QUINDI UN DEBITO,
UN PAGHERO'. A sua volta la banca INTASCA LA DIFFERENZA TRA IL
COSTO REALE DELLA CARTA MONETA STAMPATA ED IL SUO VALORE
NOMINALE, massa cartacea che poi immette sul mercato dando
possibilità al circuito bancario privato nazionale di duplicare
,quasi all'infinito, lo stesso sistema di creazione dal nulla di
danaro attraverso l'elargizione di prestiti, COME MUTUI, CREDITO
AL CONSUMO, CARTE DI CREDITO, FONDI DI INVESTIMENTO, IL TUTTO
FONDATO SEMPRE SULLA PROMESSA DI UNA FUTURA RESTITUZIONE DI
DANARO. La differenza tra il valore nominale ed il valore
intrinseco si chiama SIGNORAGGIO BANCARIO, la duplicazione dal
nulla del danaro basato sul pagherò si chiama MECCANICA DELLA
MONETA MODERNA (MODERN MONEY MECHANICS). Lo stesso identico
sistema si crea a livello CONTINENTALE: ovvero uno stato sovrano
SI INDEBITA PRESSO LA BANCA CENTRALE EUROPEA attraverso TITOLI
DI STATO SOVRANI che non sono altro che la promessa di
restituire il debito contratto verso la Banca Centrale Europea.
C'è una differenza: mentre all'interno, lo stato sovrano
teoricamente può far stampare a piacimento carta moneta
sollecitando inflazione, all'esterno non lo può fare perchè la
Centrale Europea sostanzialmente elargisce carta moneta in
relazione al CREDITO DELLO STATO SOVRANO, ovvero in relazione
alla sua capacità ipotetica di restituire i soldi basandosi su
parametri APRIORISTICI ( il così detto rapporto DEFICIT-PIL).
Perchè quindi i grossi calibri europei cercano di salvare IL
DEBITO GRECO?? Perchè si tratta di un loro credito: infatti ogni
stato sovrano HA UNA QUOTA DI PERTINENZA ENTRO LA CENTRALE
EUROPEA RAPPRESENTATA DALLA PROPRIA BANCA CENTRALE NAZIONALE che
quindi perderebbe per sempre dei soldi.
Gli stati dell’Eurogruppo, cioè dei Paesi dell’euro, daranno 80
miliardi di euro alla Grecia in 3 anni sotto forma di un
prestito.( I restanti 55 miliardi
arriveranno dal Fondo Monetario Internazionale, ovvero dagli
USA. Teniamo presente che dall'ottobre 2008 tutti i grossi
istituti monetari mondiali hanno immesso sul mercato qualcosa
come 5000 miliardi di dollari per tamponare una falla prodotta
dai CDO BANCARI PRIVATI di 17.000 miliardi di dollari...)
Contestualmente la Banca centrale europea ha rimosso i
vincoli di rating per l’uso dei titoli greci come
collaterale per i prestiti che concede alle banche.(COME
DESCRITTO SOPRA nel spiegare la formazione del debito di uno
stato sovrano a livello continentale)
Questo
significa che le istituzioni finanziarie che detengono titoli di
Stato ellenici possono convertirli in moneta sonante
depositandoli a garanzia presso la Banca centrale ( LA CREAZIONE
DAL NULLA DI DENARO FONDATA SULLA PROMESSA). Con questo
meccanismo l’Italia, che sarà chiamata a contribuire con circa
nove miliardi potrà iscrivere a bilancio un credito verso la
Grecia, contestualmente per reperire i fondi da trasferire ad
Atene dovrà aumentare il proprio debito in misura
corrispondente. Il credito e il debito si elideranno ai fini dei
parametri di finanza pubblica (in primis il rapporto tra
deficit e Pil e quello tra debito e Pil).
E quindi avremo creato nove miliardi di euro dal nulla. Come noi, faranno tutti i partner europei: senza creare una
tassa pro Grecia e senza aumentare l’indebitamento
complessivamente trasferiranno denaro creato dal nulla a un
Paese che ha probabilità molto basse di riuscire a ripagarlo. E’
il primo subprime di Stato della storia monetaria:
a un
creditore insolvente si concede un prestito con un alto tasso
d’interesse utilizzando come garanzia delle cambiali (titoli di
Stato) che probabilmente non riuscirà a pagare e che non saranno
liquidabili sul mercato.
Questo meccanismo lo hanno inventato gli stessi governanti
europei che hanno tuonato contro le banche americane, contro la
speculazione ed invocano ad ogni piè sospinto regolamentazioni
più rigide per la finanza mondiale. Nessuno ha avuto il coraggio
di assumere una decisione politica chiara facendo affondare la
Grecia con i suoi debiti fuori bilancio, oppure chiedendo a
tutta Europa un sacrificio reale per salvarla. Si è preferita la
via monetaria/contabile forzando al massimo il sistema monetario
europeo e piegandolo a necessità per il quale non era stato
progettato. Si è preferito stampare denaro in forma indiretta
attraverso l’emissione di un prestito ad Atene che può essere
convertito in liquidità dagli Stati tramite le banche. Da quando nel 1971 è stata eliminata la convertibilità della
moneta in oro, agli stati e alle Banche centrali (ATTENZIONE
C'E' UN ERRORE SEMANTICO: SOLO ALLE BANCHE CENTRALI NON AGLI
STATI, PERCHE' LE BANCHE NON SONO PUBBLICHE !!!) è stata data la
grande responsabilità di gestire la quantità di debito
(controllando i tassi di interesse) e di moneta in circolazione.
Gli Stati emettono titoli che possono essere convertiti in
denaro presso le Banche centrali, poi incamerano le tasse dei
propri cittadini, ripagano i debiti pregressi, ne emettono di
nuovi e così via. Tutto il meccanismo si basa sull’equilibrio e
sulla fiducia, il sistema è disegnato per consentire
all’economia di utilizzare la cartamoneta con la certezza che
potrà essere scambiata in qualsiasi momento per beni e servizi,
perché alla base della moneta c’è la capacità degli Stati di
pagare i propri debiti con i proventi derivanti dalla
tassazione. Dal 2008 in poi governi e Banche centrali hanno iniziato a
utilizzare la moneta e il debito in modo improprio rispetto al
progetto originario, gli Stati Uniti hanno immesso nel mercato
un quantitativo di moneta doppio rispetto a quello della massima
espansione economica del 2006, contestualmente hanno quasi
raddoppiato il proprio debito pubblico portando il rapporto tra
deficit e Pil a più dell’8 per cento. In Europa il
rapporto tra debito e Pil è arrivato mediamente al 78,7
per cento e il deficit al 6,3 per cento, con una massa
monetaria aumentata del 35 per cento.
Nessuna delle nazioni occidentali ha avuto il coraggio di
affrontare la crisi con la serietà che meritava, si è preferito
allargare i cordoni della borsa del debito e ungere le rotative
della zecca piuttosto che riformare il sistema finanziario, che
ci ha portati sull’orlo del collasso, e affrontare l’opinione
pubblica confessando che abbiamo vissuto al di sopra delle
nostre possibilità per più di 15 anni. Ora attraverso un
escamotage monetario/contabile si tenta di coprire la falla
che si è creata nel muro di liquidità abbondante e denaro a
basso costo che tiene insieme i pezzi del sistema. Ancora una
volta non si prende atto della realtà ma si rimanda al futuro il
problema sperando che nei prossimi tre anni il governo di Atene
riporti i conti in pareggio e possa tornare a rifinanziarsi sui
mercati internazionali. Tutti lo sperano, ma ormai si è
costruito un gioco d’azzardo fatto di valute, debito e
contabilità creativa che non è affatto certo che andrà a buon
fine.
BEPPE GRILLO NON
PARLA DEL PESO DEL SIGNORAGGIO, IN QUESTO MODO LA REALE
FATTEZZA DEL DEBITO PLANETARIO SI TRASFORMA SOLO IN UNA
MERA RESPONSABILITA' DI CRANIOLESI. SOLO IN PARTE E'
VERO... OBAMA PROPONE UNA MANCETTA PER TAMPONARE DISASTRI
PLANETARI SCOMPOSTI: COME DARE UN CEROTTO AD UNO
SPAPPOLATO...SEMPRE OBAMA E' RESPONSABILE DI UNA RIFORMA
SANITARIA DI SERIE B, INGINOCCHIANDOSI DI FRONTE ALLA
POTENZA DELLE ASSICURAZIONI AMERICANE, DI UN RITIRO
DALL'IRAQ CHE STA LASCIANDO UNA STRISCIA DI SANGUE
INFINITA, CENTINAIA DI MORTI OGNI GIORNO, DI AVER FATTO
PRESSIONE SULL'EUROPA AFFINCHE' ADOTTASSE UN PIANO DI
SALVATAGGIO CHE PREVEDA L'USO SCOMPOSTO DELLE ROTATIVE PER
COMPRARE DEBITI SU DEBITI....PER NON PARLARE DELLA MERDA
STARS AND STRIPES IN AFGHANISTAN, OCCUPATO ORMAI DA 8 ANNI
ED ASSAI LONTANO DA UNA STABILIZZAZIONE (A PROPOSTITO, 25
MORTI IL CONTRIBUTO ITALIANO....)
Obama ha
proposto una tassa di un centesimo di dollaro a
barile per la sicurezza. Per disporre di fondi sufficienti
a contrastare disastri come la marea nera che continua a
eruttare come un vulcano sotterraneo nel Golfo del
Messico. Il totale è di 118 milioni di dollari all'anno,
una mancetta per le società petrolifere di fronte ai
disastri ambientali. Obama vuole contrastare il petrolio
con il denaro, ma i danni prodotti dall'esplosione della
piattaforma BP sono inestimabili. E allora a cosa serve
una tassa invece di intervenire alla radice vietando ogni
pozzo petrolifero a rischio? A dare lavoro a chi
interverrà a limitare i danni (nel caso migliore)?
L'energia è necessaria, ma la Terra è indispensabile. La
Terra non ha prezzo. Per tutto il resto c'è
l'autodistruzione.
L'agenzia parla di "potenziale contagio" dei rischi
di debito sovrano ai sistemi bancari di Portogallo,
Spagna, Irlanda, Gran Bretagna e nostro. Reazioni da
Bankitalia e Tremonti: "Siamo solidi". Lettera di
Merkel-Sarkozy: "Regole più rigide per l'Europa"
Sulle Borse gli artigli dell'Orso
Piazza Affari crolla del 4,47%
La tesi secondo cui il pacchetto di
aiuti non basterebbe a risolvere i problemi greci provoca
anche un nuovo minimo per l'euro. Indici giù fino al 5,5% di
Madrid e al 7,3 di Atene. A picco i titoli finanziari. Euro
sotto quota 1,30 dollaridi
SARA BENNEWITZ
MILANO -Viene
tutto giu'. Pioggia di vendite su Atene (-7%) e Madrid
(-5%), mentre Milano boccheggia con -4.7%, con il CDS Italia
in difficolta (vedi sotto).
Euro
sprofonda,
avvicinandosi a quota $1.30. Il contagio ai paesi deboli
dell'Europa dopo si estende dopo il salvataggio della Grecia
(nessuno crede all'efficacia di lungo termine), mentre la
politica e' in un angolo, sbugiardata dai mercati
finanziari. La Commissione Europea ha paura al punto da aver
avvertito che che investighera' sulle agenzie di rating
(tutte con sede negli Stati Uniti), denuncera' Standard &
Poor's, Moody's e Fitch se riscontrera' anomalie sui rating
dei paesi UE, promettendo di voler creare presto agenzie di
rating europee.
Sul mercato hanno iniziato a circolare rumor di un ulteriore
declassamento del rating sul credito di Madrid, che hanno
alimentato la paura che il contagio in area euro dalla
Grecia passi alla Spagna (leggere
PIIGS: QUESTO SALVATAGGIO NON SI
DOVEVA FARE). Le agenzie Fitch
Ratings e Moody's Investors Service hanno provveduto a
smentire tali voci, confermando che il rating restera'
quello di tripla A. Il Fondo Monetario Internazionale ha
smentito stasera, definendole senza "alcun fondamento", le
voci secondo le quali la Spagna si appresterebbe a chiedere
massicci aiuti internazionali per far fronte a una crisi
debitoria sul modello greco.
Affondano le Borse europee in
chiusura spinte in basso timori che il piano da 110 miliardi
di euro messo a punto dall'Ue e dal Fondo monetario
internazionale non sia sufficiente per salvare la Grecia. La
Borsa di Atene ha chiuso in forte perdita. L'Indice Generale
segna alla fine delle contrattazioni -6,68%. Crescono i
timori sulle capacita' del governo di applicare il piano di
austerita', di far fronte alle reazioni sociali, e alle
conseguenze di tali misure sull'economia. L'Indice e' sceso
sotto la quota critica dei 1750 punti, a 1729,68. A Milano
l'indice Ftse It All Share è sceso del 4,47%, il Cac 40 di
Parigi ha chiuso la giornata segnando -3,64%, il Dax di
Francoforte -2,6%, Londra -2,56%, Madrid -5.41%. I listini
del vecchio continente hanno azzerato tutti i guadagni messi
a segno da inizio anno. L'indice DJ Stoxx 600 si e'
riportato infatti sui livelli toccati lo scorso 4 gennaio.
Chiusura in forte calo per Piazza
Affari che ripiomba ai minimi di fine luglio 2009.
Il Ftse Mib ha perso il 4,70% a 20.613 punti. Il Ftse All
Share ha perso il 4,47% a 21.225 punti. A Piazza Affari
Intesa cede il 7%, Unicredit il 6.5%, Fiat il 6.5%,
L'Espresso il 7.2%. Ulteriore giro di vite sulle principali Borse
europee, che bruciano 140 miliardi di capitalizzazione sui
timori di un contagio della crisi greca agli altri paesi
denominati Pigs (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna). A
valutare l'andamento così negativo dei mercati di oggi,
sembra di capire la ciambella di salvataggio da 110 miliardi
di aiuti lanciata alla Grecia non sia sufficiente e che di
conseguenza la crisi ellenica rischierebbe di intaccare
anche le economie di tutto il Vecchio continente. Anche Wall
Street ha aperto in calo, ma niente a confronto del -7,3% di
Atene e ai crolli incassati da Lisbona (-4,5%) e Madrid
(-5,5%). A questo proposito, il primo ministro spagnolo,
José Luis Zapatero, ha respinto categoricamente l'idea di un
contagio della crisi greca al resto dell'Eurozona.
"Ho fiducia nella forza della solvibilità e
dei conti pubblici del nostro paese e nella nostra capacità
di avere una ripresa economica - ha detto Zapatero - e ho la
stessa fiducia nel Portogallo. La Spagna ha un debito
rispetto al Pil di 20 punti inferiore alla media europea ".
Intanto l'euro è tornato sui minimi annuali rispetto al
dollaro. Oggi il movimento ribassista è stato piuttosto
violento e la moneta unica è scesa da 1,3214 a 1,3024, un
livello che non rivedeva più dal 28 aprile del 2009. Poi ha
sfondato in basso il muro di 1,30. Il piano di salvataggio
da 110 miliardi di euro, messo a punto dalla Ue e dall'Fmi,
ha ricevuto una buona accoglienza solo domenica, forse
perché i mercati finanziari erano chiusi. Oggi che si è
ritornati alla piena operatività del mercato dei cambi -
lunedì erano chiuse le piazze di Tokyo e Londra - sono
ripartite le vendite sull'euro, che secondo gli esperti è
destinato a scivolare ancora nelle prossime sedute. Il
mercato ha compreso che l'Eurozona, per come è concepita,
assomiglia a una sorta di gold standard degli anni 30, senza
un fondo monetario europeo capace di intervenire sulle crisi
finanziarie e con una Banca Centrale che non può stampare
moneta.
Il
selloff coincide con il persistente calo dell'euro, sceso
sui
minimi
di un anno nei confronti del dollaro. Il rafforzamento del
biglietto verde si fa sentire anche sui prezzi dei metalli
preziosi. L'oro e l'argento, che avevano inziato bene la
seduta, scivolano a quota $1169.50 e $17.955 l'oncia,
rispettivamente. Le quotazioni del petrolio lasciano sul
campo $2.67 a quota $83.52.
Ad affliggere gli investitori e'
inoltre la paura che il debito greco abbia bisogno di
essere ristrutturato anche dopo che l'Unione Europea e il
Fondo Monetario Internazionale offriranno un pacchetto di
aiuti da 110 miliardi di euro. Lazard ha specificicato che
una fase di risanamento del debito non e' stata presa in
consideraazione, essendo gli analisti stati chiamati in
causa dalle autorita' greche per una consulenza
finanziaria.
Un quadro senza tante ombre della situazione lo offrono i
CDS (credit default swaps, cioe' i titoli usati dagli
investitori istituzionali per proteggersi dal fallimento
di aziende o eventualmente di stati). Il prezzo dei CDS
spagnoli e' salito a 212 punti base da 163. Cio' significa
che per assicurare $10 milioni di debito spagnolo contro
il default, ogni anno servirebbero $212000, rispetto ai
$163000 di lunedi'.
I CDS portoghesi sono schizzati a 366 punti base da 284,
mentre i CDS irlandesi sono saliti di 36 punti base a 225.
IL CDS della Repubblica Italiana e' salito alla chiusura
delle borse europee sui massimi . Gli spread sui CDS
greci si sono invece ristretti leggermente, a 698 punti
base, ma rimangono ancora su livelli eccezionalmente alti.
Sul mercato del debito intanto lo spread
tra il rendimento del decennale greco e il bund tedesco,
benchmark dell'area euro, e' salito a 600 punti base per
la prima volta dal 30 aprile. Grande fuga degli
investitori istituzionali sui titoli di stato USA, con i
Treasuries
al record assoluto di molti mesi e i rendimenti ai minimi.
Fuga verso la qualità e' il tema di oggi, con la pioggia
di vendite sull'azionario. Con i rinnovati timori sulla
reale entità della crisi greca e su possibili problemi
finanziari per la Spagna, il mercato dei titoli di Stato
ha visto gli investitori aumentare nuovamente la domanda
per i titoli di stato percepiti come più sicuri, come i
bund tedeschi che hanno registrato prezzi in rialzo e di
riflesso rendimenti in calo.
Parallelamente le nuove pressioni di vendita sui titoli
percepiti a rischio hanno mandato i rendimenti in forte
rialzo con un ampliamento del differenziale sui titoli
tedeschi. E i Btp? I titoli italiani a 10 anni hanno
mostrato maggiore stabilità anche se lo spread nei
confronti dei bund, che ieri sera era calato a 94 punti
base - il margine più stretto da una settimana - oggi è
tornato a salire per toccare i 109 punti base.
La tempesta come detto è tornata
innanzitutto sui titoli greci, con il titolo a due anni
che ha visto il suo rendimento schizzare di 400 punti base
a oltre il 16% mentre il paragonabile titolo tedesco, per
la 'fuga verso la qualità' opposto è sceso al minimo
storico dello 0,706%. Stessa musica sui decennali, con il
premio che gli investitori chiedono per detenere un titolo
greco che è schizzato a 715 punti base rispetto ai 575
punti dei primi scambi odierni. Ma male sono andati anche
i titoli portoghesi e spagnoli con gli spread sui
decennali sui bund che sono cresciuti rispettivamente a
266 punti base e a 120 punti contro i 218 e i 99 punti
rispettivamente registrati a inizio giornata.
Sul'azionario Usa, dal punto di vista tecnico, il
benchmark S&P 500 ha testato la media mobile di 50 giorni
a quota 1171, mentre il Dow Jones Industrials accusa un
calo medio a meta' giornata di circa 230-240 punti e il
Nasdaq di 75-80 punti, tutti sui non lontani dai minimi
intraday. Per il paniere industriale e' la peggiore seduta
in tre mesi. Se non si verifica un netto rimbalzo,
nell'ultima ora di contrattazioni gli indici potrebbero
accelerare al ribasso.
A livello settoriale la lettera si abbatte sulle banche.
Bank of America e JP Morgan lasciano sul campo oltre l'1%
e Citigroup piu' del 2%. Sul Nasdaq si fanno sentire i
cali del colosso Apple (-1.9%), che paga le notizie
secondo cui il Dipartimento di Giustizia e la Federal
Trade Commission potrebbero avviare un'indagine
antitrust contro l'azienda di Cupertino. Nel mirino ci
sarebbe la decisione di bandire gli strumenti di
programmazione per iPhone e iPad realizzati da terzi e
studiati per la realizzazione di applicazioni su piu'
piattaforme.
Mentre si segnala un incremento del
nervosismo
(Indice VIX di volatilita' 9.5%), l'attenzione degli
investitori e' ancora una volta rivolta alla stagione
delle trimestrali, con ben 78 societa' che hanno riportato
i conti questa mattina e altre 90 che lo faranno dopo il
suono della campanella.
Anche se per il momento nessuno scossone e' arrivato da
questo fronte, Mastercard, Merck e
Pfizer
hanno registrato conti positivi, mentre Archer Daniels,
azienda che si occupa di trasportare, commercializzare e
conservare materie prime agricole, non ha centrato le
stime. Piu' di due terzi delle societa' componenti il
paniere allargato S&P 500 ha gia' riportato i risultati
trimestrali e questa e' l'ultima settimana ricca di
appuntamenti.
E il rafforzamento del biglietto verde ha fatto scivolare il
petrolio quotato a New York nuovamente sotto quota 85
dollari al barile. Sulle quotazioni del greggio pesano
inoltre i timori che siano nuovamente aumentate le scorte
negli Usa: il dato sugli stock settimanali è atteso per
domani.
A parte Spagna e Portogallo tra i mercati del Vecchio
continente Piazza Affari si è rivelato il listino con la
perfomance peggiore con l'indice Ftse Mib ha perso il 4,70%,
a 20.613 punti, mentre il Ftse All Share è sceso del 4,47% a
21.225 punti. A seguire Parigi (-3,6%), Fraconforte (-2,6%)
e Londra (-2,5%). Banche e titoli finanziari sono i valori
che hanno sofferto di più con Intesa Sanpaolo (-7,2%) e
Unicredit (-7,4%) in profondo rosso. Perdono quasi cinque
punti percentuali anche Bpm, Mediobanca, Mediolanum, Ubi e
Unipol.
Nell'industria i titoli del settore auto sono stati
duramente colpiti dai dati delle immatricolazioni usciti
ieri in serata: Fiat è crollata del 6,5% trascinando Exor in
calo del 6,9 %, e Pirelli - che aveva aperto bene in
attesa della trimestrale e dei dettagli sullo scorporo
immobiliare - sul finale ha perso il 6,6%. Telecom Italia
(-3,5%) ha contenuto le perdite grazie ai positivi risultati
di Tim Brasil nel periodo gennaio-marzo. Seduta pesante
invece per Stm (-5,1%), dopo che Chevreux ha rimosso il
colosso dei chip dalla lista dei suoi titoli preferiti.
Terna (meno 0,65%) resta il titolo difensivo per eccellenza,
ma anche Campari (-1,3%) e Parmalat (-1,5%) si confermano i
titoli meno volatili per i momenti di crisi.
Il
viaggio di Angela Merkel
per scaricare Atene e Lisbona. Prossima tappa:Madrid. L'INTERA
EUROPA DEL SUD VERSO LA BANCAROTTA.
Come ha detto bene Nouriel Roubini, il professore di
economia della New York University che previde la scorsa
crisi finanziaria: "Se la Grecia va a picco per la Zona Euro
e' un problema, se va giu' la Spagna e' un disastro".
La differenza e' che la Grecia ha l'euro e fa parte di un
blocco mai prima d'ora cosi' in crisi. Il caso dei PIIGS e'
emblematico del problema che Bruxelles si trova a dover
risolvere. I Paesi non sono dotati delle infrastrutture
umane e fisiche necessarie per essere piu' competitivi,
tuttavia e' proprio in quelle aree – investire nella
costruzione di strade, universita' e capacita' personali -
che la scure si abbattera'.
Cio' presenta un problema che non riguarda solo il presente,
ma anche il futuro e pertanto va affrontato subito, prima
che l'invecchiamento della generazione dei baby boomer non
riempia troppo le mani dei governi nazionali. L'Europa
rischia di accusare un netto calo della popolazione
lavorativa.
MA COME
USCI' L'ARGENTINA DAL DEFAULT DEL 2002??
Per uscire da una situazione di moratoria
sul debito, un governo può scegliere di dare priorità alla
propria reputazione di «debitore affidabile» di fronte alla
comunità internazionale, oppure
arroccarsi sulla difesa della sostenibilità della nuova
offerta di obbligazioni.
La misura del taglio del valore delle
obbligazioni in moratoria dipende da questa scelta. La
ristrutturazione del debito dell’Uruguay, nel 2003, è il più
limpido esempio della prima opzione: in termini nominali i
tagli furono praticamente nulli, e il governo mantenne
ottime relazioni con il mercato e i creditori. Nel breve
periodo i problemi di liquidità vennero risolti, ma oggi il
valore del debito supera il 100 per cento del Pil del Paese,
e minaccia i bilanci fiscali dei prossimi anni.
L’Argentina ha
deciso di imboccare l’altra strada, instaurando un
precedente pericoloso e seducente per tutti i Paesi
altamente indebitati. Nel caso del default argentino non c’è
stato alcun negoziato con i creditori: il governo ha imposto
la propria linea con una forza inaspettata. Il presidente,
Néstor Kirchner, e il ministro dell’Economia, Roberto
Lavagna, hanno puntato tutte le loro carte sulla mancanza di
volontà/capacità da parte dei Paesi più colpiti dal default
- Italia in primis - di costringere l’Argentina a più
generose offerte. La volontà di rimborsare un terzo del
debito in trent’anni deriva dalla scelta di massimizzare la
sostenibilità delle nuove obbligazioni, a inevitabile
detrimento della reputazione del Paese, per lo meno nel
breve termine. Salutata in patria come «la
migliore negoziazione della storia del mondo», l’uscita dal
default permette al governo argentino di voltare pagina.
Quindi l'Argentina stabilendo lo stato di insolvibilità
abbatteva del 75% il debito in obbligazioni, svincolava il
Peso dal Dollaro USA, dava vita ad una inflazione sostenuta
con riflessi a breve devastanti.
DA UN CRASH
AD UN ALTRO: IL MOSTRO CINESE
L'economia della Cina
e' destinata a rallentare il passo e poi, con ogni
probabilita', a crollare clamorosamente entro un anno.
La prova la stanno offrendo i recenti cali dei mercati
di materie prime e azionario di Pechino, chiari
indicatori del fatto che la bolla immobiliare sta per
esplodere. Anche per via dell'aumento delel riserve
obbligatorie decise dalle autorita' cinesi (vedi a fondo
pagina).
A lanciare l'avvertimento e' l'investitore super-gufo e
super-short Marc Faber (vive e gestisce il suo fondo di
investimento a Singapore e conosce i mercati asiatici
come le sue tasche) il quale, intervistato da Bloomberg
TV, ha sottolineato come quello che "il mercato ci sta
dicendo non e' molto confortante. L'economia cinese
rallentera' a prescindere da altri fattori. E' probabile
che avremo persino un crash in Cina, nei prossimi
nove-dodici mesi".
L'investitore e autore del
Gloom, Boom & Doom Report
(uno degli short piu' famosi e accaniti di Wall Street,
come dimostrano le allegre immagini sul suo sito...) ha
elencato a Bloomberg TV gli elementi a supporto della
sua tesi: i titoli delle societa' australiane
esportatrici di risorse, la Borsa di Shanghai e le
commodity industriali stanno tutte uscendo dalla bolla,
e nelle ultime settimane prezzi e valori hanno ceduto
pesantemente terreno.
"Inoltre l'inaugurazione dell'Expo mondiale di Shanghai
la settimana scorsa non e' un segnale particolarmente
buono", ha aggiunto Faber, citando vari casi in cui
questi eventi di solito sono simbolici di un top gia'
toccato, dopo il quale c'e' solo il declino.
Cio' e' valso anche per le Olimpiadi di Pechino nel 2008
(li' ci fu l'apex sul mercato azionario cinese) e come
ben sa chi si occupa di mercati finanziari, lo stesso
discorso vale ogni volta che un'azienda, un gruppo o una
banca costruiscono il piu' alto o piu' bel grattacielo
del momento: e' un picco massimo per molto tempo.
Piu' in concreto, la negativita' di Marc Faber si
manifesta dopo che le autorita' in Cina hanno approvato
un aumento delle riserve obbligatorie (RRR) misura che
ha ovviamente brutti effetti sull'azionario. Nonostante
cio' la decisione di Pechino per raffreddare un'economia
e un mercato immobiliare surriscaldati, non e'
sufficiente. Un report di JP Morgan ammette: "Il rialzo
di 50 punti base delle riserve (RRR) da parte della
Banca Centrale di Pechino conferma due messaggi di
politica monetaria: (1) C'e' bisogno di ulteriori
strette sui tassi da parte della Cina; (2) Il "passo" di
queste strette sara' moderato, anche perche' Pechino
vuole dimostrare di non avere fretta".
Giovedì, ad Annozero, sono
accadute cose che sarebbero normali in un Paese normale, ma in
Italia rasentano lo stupefacente. Pier Luigi Bersani –
diversamente dal suo mèntore baffuto e dal cavalier Berlusconi
– ha accettato di misurarsi senza rete di protezione con
cinque giornalisti di vari orientamenti che gli rivolgevano
domande e gli muovevano contestazioni anche aspre. Ha fatto
buon viso, ha sorriso, s’è infervorato, s’è incazzato, ha
risposto per le rime, a tratti è parso addirittura a un passo
dal commuoversi. Insomma, a contatto con alcuni esseri
viventi, ha ripreso vita proprio quando lo stavamo perdendo.
Lo stato pre-comatoso di partenza non è colpa sua: provate voi
a frequentare tutti i santi giorni luoghi sepolcrali come
quelli del Pd, antri spettrali popolati di salme e anime
morte, ossari e fossili, in cui si aggirano raminghi i
D’Alema, i Veltroni, i Fioroni, i Fassino, i Marini, i
Follini, i Violante, i Letta (junior), facendosi largo fra
residui del cilicio della Binetti e della cicoria di Rutelli e
altri giurassici relitti del passato che non passa. Scene e
ambienti che intristirebbero un battaglione di clown del Circo
di Mosca.
Ma poi le prime domande hanno sortito l’effetto del
defibrillatore: il paziente s’è prontamente rianimato come
nella serie E.R. e, dopo un istante di comprensibile
disorientamento ("Dove sono?"), ha pronunciato alcune frasi
tratte da un passato ormai lontano ma ancora impresse nei
meandri del subconscio: "Opposizione", "Costituzione",
addirittura "conflitto d’interessi". Paolo Mieli ne ha
concluso che in quel momento è nato un leader. Può darsi, lo
sperano in molti.
Intanto i suoi elettori non possono che aver apprezzato alcune
frasi finalmente complete (prima le lasciava quasi tutte a
metà), dunque chiare, comprensibili, non politichesi.
Soprattutto una: "La nostra Costituzione è la più bella del
mondo: al massimo va un po’ aggiornata, ma guai a chi la
tocca. Per difenderla siamo pronti a chiamare a raccolta tutti
quelli che ci stanno, a partire da Fini". Una svolta non da
poco, visto che fino al giorno prima il responsabile Pd per le
riforme, Luciano Violante, dichiarava restando serio: "Ho il
dovere di credere al presidente del Consiglio e di dialogare
sulle riforme". Frase che ha indotto Ficarra e Picone, a
Striscia la notizia, a domandare se per caso non sia cambiato
il presidente del Consiglio, visto che il Pd gli crede. E a
ipotizzare che, in vista dell’incontro per le riforme,
Berlusconi abbia invitato Violante a presentarsi a Palazzo
Grazioli col trucco leggero e il tubino nero d’ordinanza.
Se le parole di Bersani hanno un senso – e si spera che
l’abbiano, è il segretario del Pd – la "bozza Violante" per
rafforzare (ancora?) i poteri del premier, porre fine al
bicameralismo e saltare nel buio del federalismo va in
soffitta, visto che prevede ben di più e di peggio che
"qualche aggiornamento" alla "Costituzione più bella del
mondo".
Così come le tragicomiche avances per l’ennesima riforma
anti-magistratura affidate dal responsabile Giustizia Andrea
Orlando al Foglio di Ferrara (forse sperando che non le
leggesse nessuno). Vedremo se, alle parole di Bersani,
seguiranno i fatti (intanto ci accontentiamo delle parole:
prima non c’erano neppure quelle): è cioè la fine del
"dialogo" e dei "tavoli" per le "riforme" e l’inizio di
un’opposizione dura, proporzionata alla gravità della
minaccia.
Chissà che, trovando una sponda energica nel Pd, il capo dello
Stato non racimoli un po’ di coraggio per rispedire al
mittente le leggi vergogna della banda del buco prossime
venture.
Mentre un
vulcano mette in
discussione le nostre certezze riguardo ai cieli, un nuovo
allarme arriva dal fondo degli oceani.
Secondo un rapporto dell'Institute
of Electrical and Electronics Engineers (IEEE),
è necessario studiare alternative al network di cavi
sottomarini su cui viaggiano i dati che nutrono la
società contemporanea, tra cui le
transazioni finanziarie e
la comunicazione via Internet.
La sicurezza di questa rete è a rischio - spiega il
documento - e se qualcosa andasse storto si rischia l'apocalissi
economica.
Il motivo è semplice: in quei "tubi" passa tanta roba
importante. L'altra faccia della medaglia della loro enorme
capacità, è quindi il fatto che costituiscono una
strozzatura a rischio: a dicembre del 2008 la rottura di
un cavo nel Mediterraneo bloccò ad esempio le comunicazioni
tra Europa, Medio Oriente e Sud est asiatico per oltre 24 ore.
E' necessario quindi creare "dorsali di backup globali"
(in pratica, una rete alternativa di trasmissione dati).
"I satelliti non sono in grado di gestire lo stesso
volume di traffico - si legge - la loro capacità non è neanche
paragonabile".
E il punto su cui riflettere è che il bisogno sempre
maggiore di banda è soddisfatto quasi esclusivamente da
cavi sottomarini.
Cresce la dipendenza dalla comunicazione e più tecnologia
significa quindi anche più esposizione al rischio.
Ma cosa potrebbe succedere?
Sabotaggi umani legati a terrorismo e
pirateriama anche
eventi naturali o fortuiti. E in questo caso, il pensiero
corre a eruzioni vulcaniche o terremoti sottomarini.
Quali sono i punti deboli della rete, quelli in cui c'è
maggiore densità di cavi?
Il rapporto cita, tra gli altri, lo Stretto di Luzon a
sud di Taiwan, lo Stretto di Malacca e il Mar Rosso.
Nel gennaio 2008, un'interruzione dei cavi sottomarini ha
bloccato i collegamenti tra Europa e Stati Uniti, da una
parte, Egitto, India e Paesi del Golfo Persico dall'altra.
Risalendo nel tempo, a dicembre 2006 un terremoto al largo
delle coste meridionali di Taiwan ha rallentato il traffico
telefonico e internet in buona parte dell'Asia orientale.
Le ricadute di un evento simile sarebbero anche e soprattutto
economiche, di tipo traumatico. Steve Malphrus della federal Reserve Usa ha scritto:
"Quando i network di comunicazione cadono, non è che i servizi
finanziari rallentino fino ad arrestarsi. Crollano".
Così, varie lobby e think tank sono già all'opera per
promuovere quella che si potrebbe definire una mega opera
pubblica su scala planetaria. Ci sono interessi
strategici (chi controllerà la rete?) e anche tanti bei
quattrini in ballo: quanto costerà una "dorsale di backup
globale"?
Migliaia
di istantanee rimaste per decenni negli archivi di una casa
editrice, ritrovate e raccolte in un libro da un giornalista.
Uno sguardo insolito sulla fine della guerra
dal nostro corrispondente ANDREA TARQUINI
Bergamo, Facebook fa cadere la giunta
per il saluto romano del consigliere leghista
Il leghista Milesi aveva pubblicato
immagini che lo ritraevano mentre faceva il saluto romano,
davanti a una Lombardia dipinta di nero con la scritta
"Fascismo e libertà" o tra cimeli del Ventennio
GUERRA DI GENERAZIONI
VENEZIA - Tempi duri per i "bamboccioni". In
momenti di crisi, stress, difficoltà economiche, i genitori
non guardano in faccia a nessuno: per mandare fuori di casa i
figli ultratrentenni, sono disposti a tutto. Anche a chiedere
aiuto al giudice. Sono finiti i tempi degli annunci del
ministro Brunetta, che invocava una legge per obbligare i
figli a uscire di casa a 18 anni. E sembra addirittura passato
un secolo, da quando un altro (ex) ministro, Tommaso Padoa
Schioppa, cui va attribuito il copyright di "bamboccione",
prometteva agevolazioni finanziarie per spingere i maggiorenni
fuori di casa.
Quelle furono solo chiacchiere, che evidenziavano però un
disagio vero nelle famiglie. Lo dimostra il fatto che, solo
nel mese di marzo, all'Adico (Associazione difesa dei
consumatori) di Mestre, si sono presentate due famiglie
disperate per chiedere supporto legale contro i figli di 38 e
39 anni, che non ne vogliono sapere di lasciare mamma e papà.
Ma ce di più. C'è anche il caso della "bimba" quarantenne che
chiede aiuto all'Adico per difendersi dai genitori che hanno
già depositato l'istanza al giudice per cacciarla di casa. Una
richiesta d'assistenza legale alla rovescia, che dimostra come
ormai tra genitori e figli sembra essersi ingaggiato un vero e
proprio braccio di ferro legale, senza esclusione di colpi.
La quarantenne in questione è la prima a doversi difendere in
tribunale dai genitori. Mamma e papà si sono appellati
all'articolo 342 bis del codice civile, sull'ordine di
protezione contro gli abusi familiari. Una volta la norma
veniva utilizzata solo per risolvere conflitti tra coniugi,
successivamente è stata usata anche per redimere conflitti tra
genitori e figli adulti in presenza di episodi violenti.
Infine, una successiva evoluzione interpretativa consente di
ricorrere all'articolo anche per chiedere l'allontanamento dei
figli adulti che non c'è verso di mandare fuori casa.
Ma si tratta di "bamboccioni" o di vittime della crisi?
"Attenzione - avverte l'avvocato Andrea Campi, dell'Adico -
Siamo in presenza di un fenomeno completamente nuovo
determinato soprattutto della crisi economica. Il caso in
questione riguarda una famiglia veneta con i genitori
settantenni pensionati alle prese con una figlia che vive
ancora con loro perché con un lavoro part-time non riesce a
mantenersi. Nella stessa situazione ci sono migliaia di
persone. In questa circostanza però la madre non ne può più. E
i litigi con la figlia sono pressoché quotidiani. In un paio
di occasioni sono intervenute anche le forze dell'ordine".
Simili i casi delle due famiglie che chiedono di allontanare i
figli di 38 e 39 anni.
Entrambi precari che passano da un lavoretto all'altro senza
riuscire a rendersi indipendenti. Il trentottenne mestrino è
arrivato ai ferri corti con i due anziani genitori. "Il padre
deve averlo rimproverato - ricostruisce Carlo Garofolini,
presidente dell'Adico - accusandolo di essere un buono a
nulla. Il clima in casa è divenuto giorno dopo giorno sempre
più pesante, finché i genitori hanno deciso di rivolgersi a
noi per allontanarlo di casa. Ma la loro iniziativa serve a
scuotere il figlio". Analoga la situazione dell'altro
"ragazzo" di 39 anni che dovrà andare in tribunale a
difendersi contro i genitori che lo vogliono cacciare di casa.
"Oggi è disoccupato e si è chiuso in se stesso, non reagisce
più. È completamente a carico dei genitori che non sanno più
che pesci pigliare. Sono storie della disperazione - conclude
Garofolini - frutto della crisi economica che sta consumando".
Forse pochi se ne saranno accorti,
ma la crisi della Grecia ha dato una mano alle famiglie
italiane alle prese con il mutuo, almeno fino a questo
momento.
Il motivo è semplice: le difficoltà di Atene (e delle banche
esposte sul paese) hanno costretto la Banca centrale europea
(Bce) a tenere ancora allargati i cordoni della borsa, con il
risultato di schiacciare gli Euribor (i tassi interbancari ai
quali sono indicizzati i prodotti a rata variabile) sui minimi
storici e di allontanare nel tempo l'inizio della possibile «exit
strategy».
Ai più attenti non sarà però probabilmente sfuggito il
movimento che gli Euribor hanno registrato nelle ultime due
giornate: il tasso a un mese è passato da 0,405% a 0,411%,
quello a 3 mesi da 0,646% a 0,659%, quello a 6 mesi dallo
0,958% allo 0,967 per cento.
Un'«increspatura», come gli operatori la definiscono, che
qualcuno però ha guardato con sospetto, memore di ciò che era
avvenuto dopo il crack Lehman: allora il mercato interbancario
si era praticamente bloccato e i tassi avevano raggiunto i
massimi storici nell'età dell'euro oltre il 5%, mandando in
crisi molte famiglie italiane.
Ma la situazione generale di oggi sembra essere ben diversa
rispetto all'autunno 2008, per molti aspetti più
tranquillizzante. «Il rischio di un congelamento dei mercati
interbancari mi sembra abbastanza remoto», osserva Luca
Cazzulani, strategist sul reddito fisso di UniCredit Mib. Che
poi spiega: «Rispetto ad allora la liquidità presente sui
mercati è enorme e sono già in atto misure che in caso di
necessità la Bce può mantenere ancora a lungo».
Del resto, Francoforte non può al momento permettersi mosse di
politica monetaria restrittive e lo dimostra anche l'esito
dell'asta di rifinanziamento a tre mesi di due giorni fa. «Il
fatto che ben 24 banche dell'Eurozona abbiano chiesto denaro a
prestito a un tasso uguale o superiore all'1%, ben oltre lo
0,65% del mercato, è un segnale inequivocabile di come ci
siano ancora istituti di credito che devono attingere alla Bce
per rifinanziarsi», sottolinea Cazzulani.
Chi siano queste banche lo sanno soltanto all'Eurotower, ma è
presumibile che si tratti di istituti di piccola taglia o
addirittura di banche greche.
La sostanza però non cambia: Jean Claude Trichet e soci
dovranno fare attenzione e rimandare probabilmente la prima
stretta sul costo del denaro, che da un anno a questa parte
resta ancorato all'1 per cento.
La schiera degli economisti che non prevedono un aumento prima
della primavera 2011 si ingrossa ogni giorno e anche le attese
dei mercati sull'Euribor a 3 mesi (vedi grafico a fianco)
indicano una ripresa graduale, più che altro una
normalizzazione: 0,80% a giugno, 1,04% a dicembre e via a
salire fino all'1,72% di fine 2011. Se così fosse, le famiglie
potrebbero continuare a stare tranquille ancora per un po'.
L'effetto Grecia si è fatto invece sentire sui tassi Irs,
quelli in base ai quali le banche determinano il valore della
rata di un mutuo fisso, ma è stato benefico. «Questi valori –
spiega Stefano Pignatelli responsabile ufficio studi di Aritma
I.F. – sono legati all'andamento dei tassi del bund, che in
questi giorni hanno raggiunto i minimi storici proprio perché
nell'incertezza gli investitori preferiscono rifugiarsi nei
titoli di stato tedeschi». Chi ha intenzione di stipulare un
prodotto a tasso fisso, insomma, si deve augurare che la
situazione di Atene resti avvolta nella nebbia.
A patto, naturalmente, che non aumenti lo spread, cioè quel
ricarico che le banche effettuano sui parametri di riferimento
(Euribor e Irs, appunto). E qui rientra in gioco la Grecia,
perché in caso di difficoltà qualche banca potrebbe essere
costretta a ritoccare il margine sui mutui di nuova emissione,
una scena già vista nel post-Lehman. I dati rilevati dal
broker MutuiOnline sui prodotti disponibili in rete (si veda
il grafico e l'articolo a fianco) non sembrano per il momento
indicare nuovi ritocchi, semmai un miglioramento: c'è da
augurarsi che le forze della concorrenza continuino a fare il
proprio dovere.
Il
rapporto dell'agenzia Standard&Poor's affonda il
debito pubblico di Atene e declassa quello di Lisbona,
mentre il governo greco lancia l'allarme a Ue e Fmi:
"Non siamo in grado di rivolgerci ai mercati". La
differenza con i titoli tedeschi sale al massimo da 12
anni / Speciale Rep Tv
IL TRACOLLO DELLA GRECIA
E' QUESTIONE DI ORE,LA GERMANIA NON HA INTENZIONE DI CORRERE
IN SOCCORSO DI NESSUNO SE NON PER TUTELARE LA PROPRIA SFERA DI
INFLUENZA
Aiuti
per sanare il debito ellenico, Berlino frena: "Dare i soldi
troppo presto li allontanerebbe dal dovere di risanare" ma la
Merkel dice: "Che vada fuori dall'euro non è un'opzione".
Scioperi, tensione ad Atene dall'inviato
ETTORE LIVINI
Commento L'euro diventa scudo di vetrodi TITO BOERI
Il Paese ellenico si è portato al secondo
posto nella classifica delle nazioni a rischio default,
scalzando l'Argentina. Stando alle indicazioni di CMA
Datavision, il premio dei titoli greci è salito a 717,56
punti, pari ad una probabilità...
Ancora brutte notizie per la
Grecia. Il Paese ellenico si è portato al secondo posto
nella classifica dei Paesi a rischio default, scalzando l'Aregntina.
Stando alle indicazioni di CMA Datavision, il premio dei
titoli greci è salito a 717,56 punti, pari ad una
probabilità del 43,86% di default.
Prima della Grecia si colloca solo il Venezuela (43,99)
mentre la seguono Argentina (42,66% e Pakistan (36,42%).
Resta ampio il differenziale del rendimento dei titoli
decennali della Grecia e del Bund tedesco, che sosta a 639
punti, con il rendimento dei titoli di stato greci a dieci
anni al 9,43%. Ad appesantire la situazione già difficile
del paese ellenico, non solo i timori per l'inadeguatezza
del piano di salvataggio e quelli di un effetto contagio
sugli altri paesi della zona euro ma anche la
posizione dura
presa dalla Germania nei confronti del piano di aiuti. Ieri,
il cancelliere tedesco Angel Merkel ha annunciato che la
Germania aiuterà la Grecia solo se questa attuerà concrete
misure per ridurre il proprio deficit, e che la timeline
degli aiuti potrebbe essere di 3 anni. Per suo
conto, il primo ministro delle Finanze greco Georges
Papaconstantinou ha affermato che la Grecia metterà in atto
misure "draconiane" per risollevarsi.
Nel frattempo, si apprende che questa volta i greci non
sembrano sostenere il governo del premier George Papandreou:
secondo un sondaggio diffuso dalla rete televisiva Mega, al
60,9 per cento sono contrari alla decisione di chiedere
l'attivazione del meccanismo di aiuto di Unione europea e
Fondo monetario internaizonale. E sul coinvolgimento della
sola istituzione di Washington, che evidentemente è quella
più percepita come legata a politiche di bilancio
restrittive a corollario degli aiuti, la quota dei contrari
a chiedere assistenza sale al 70,2 per cento. L'indagine è
stata effettuata dalla società Public Opinion su un campione
di 1.400 cittadini, e va segnalato che è stata condotta
prima che Atene chiedesse effettivamente di attivare il
meccanismo di soccorso, venerdì scorso. Tuttavia segna un
possibile mutamento dell'orientamento dell'opinione pubblica
greca verso le scelte del governo in merito alla cruciale
politica di bilancio. In precedenza infatti altri sondaggi
avevano indicato che la maggioranza dei greci appoggiava
l'esecutivo nei suoi duri piani di risanamento.
Un'immagine dello sciopero di ieri ad Atene contro i tagli
del governo
LONDRA - Salgono ancora i credit default swap sul
debito greco oggi sui mercati. Il cds che permette di
assicurarsi contro un default greco per cinque anni quota
stamane al rialzo a 645,7 punti, contro i 634 della chiusura
di ieri a New York, secondo i dati di CMa Datavision. Si
tratta di nuovi livelli record.
Lo spread di rendimento tra titoli governativi greci e
tedeschi, sulla scadenza decennale, si mantiene stamattina
sui valori di chiusura di ieri, ovvero attorno ai 606 punti
base, ai massimi degli ultimi 12 anni. Il rendimento dei
bond di Atene è così il triplo rispetto al Bund.
Le
notizie di ieri sulla revisione da parte di Eurostat dei
conti pubblici greci, con il rapporto deficit/Pil al 13,6% e
che, secondo l'ufficio europeo di statistica, "potrebbe
salire ancora", hanno ridato fiato alla speculazione e la
decisione di poco successiva dell'agenzia di rating Moody's
di declassare il paese ha gettato altra benzina sul fuoco.
Secondo gli operatori ci sono imponenti vendite allo
scoperto di titoli di Stato greci.
Ieri una lunghissima riunione del governo greco si è
conclusa senza che venisse formalizzata alcuna richiesta di
aiuti, né all'Unione europea, né al Fondo monetario
internazionale. Secondo indiscrezioni, comunque, si starebbe
preparando un presito-ponte per fronteggiare la difficile
situazione.
Intanto, nell'ambito degli Spring meeting del Fondo
monetario internazionale, Mario Draghi, presidente del
Financial stability board, ha incontrato ieri sera il
segretario del Tesoro Usa Timothy Geithner e il capo del
consiglio economico della Casa Bianca Larry Summers.
L'incontro aveva in agenda le riforme finanziarie alla
vigilia del meeting finanziario del Gruppo dei Venti in
agenda oggi durante il quale Fmi e Fsb discuteranno con i
ministri dei paesi industrializzati e degli emergenti
l'avanzamento delle riforme decise nel G20 di Pittsburgh e
l'opportunità di varare nuove tasse sul settore bancario. Lo
riferisce una fonte del G20.
Ieri sera, dopo l'incontro con Geithner e Summers, Draghi ha
fatto un intervento alla cena del Gruppo dei Sette per
relazionare i ministri sulla stabilità del sistema
finanziario uscito da pochi mesi dalla crisi mondiale.
Il presidente dell'Fsb ha già sottolineato nei giorni scorsi
che ritiene l'ipotesi di nuovi prelievi per il settore
finanziario complementare con il proseguimento della riforma
della regolamentazione che, per i paesi europei, significa
soprattutto il completamento del rafforzamento dei requisiti
di capitale secondo Basilea III, mentre negli Stati Uniti
l'amministrazione Obama sta portando avanti un complesso
pacchetto di interventi normativi sul settore finanziario.
Tassi di interesse: la cautela tedesca nel concedere i
finanziamenti alla Grecia continua a stressare i mercati.
Gli spread sui periferici si sono allargati fortemente
continuando a segnare nuovi massimi. Il differenziale
Grecia-Germania in mattinata si è portato oltre 650 pb,
quello Portogallo-Germania a 218 pb, mentre quello
Spagna-Germania si è attestato intorno ai 100pb, alla
stregua dell’Italia.
La Cancelliera Merkel, in un discorso sulla crisi greca, ha
dichiarato che l’uscita fuori dall’Euro della Grecia non è
un’opzione, ma ha aggiunto che Atene deve presentare un
piano di risanamento credibile ed accettare misure pesanti
per diversi anni.
La Merkel ha infine aggiunto che la Germania prenderà una
decisione solo dopo che il Fmi e la Commissione europea
avranno completato i colloqui con Atene. La Germania rimane
combattuta tra le pressioni all’interno dell’area Euro e la
necessità di non mostrarsi troppo generosa nei confronti di
Atene in vista della scadenza elettorale del 9 maggio.
Gli ultimi sondaggi segnalano infatti che al momento la
coalizione di governo non sarebbe in maggioranza, con una
percentuale di voti pari al 46%.
Il presidente francese, Sarkozy, e della Commissione
europea, Barroso, hanno fatto pressioni per un’azione rapida
contro la speculazione che sta colpendo la Grecia ed altri
paesi periferici.
Gli operatori però sembrano intenzionati a non cedere
fino a quando non avranno una risposta concreta sul
prestito, ma allo stesso tempo sembra sempre più probabile
che la soluzione si avrà nei giorni compresi tra il 9 maggio
(elezioni in Germania) ed il 19 maggio (quando la Grecia
dovrà tornare a rifinanziarsi sui mercati in vista della
scadenza di 10 Mld€ circa di bond).
Nel frattempo si accentua la pendenza negativa della curva
greca, con il tasso biennale superiore di oltre il 3,5%
rispetto a quello decennale.
Oggi sarà la volta dell’Olanda che effettuerà una riapertura
del titolo 2012 e 2023 per un ammontare fino a 2 Mld€, in
attesa domani dell’emissione del nuovo decennale tedesco
fino a 6Mld€.
Negli Usa tassi di mercato sostanzialmente stabili in una
giornata in cui i listini azionari sono risultati in calo
soprattutto a causa del comparto finanziario. In
quest’ultimo caso ha pesato soprattutto la perdita del 5% di
Citigroup in seguito all’annuncio del Tesoro Usa di inizio
di vendita di parte della propria quota nella banca Usa, su
cui al momento presenta una plusvalenza potenziale di circa
11 Mld$. L’amministrazione Obama intende così procedere al
rientro di parte dei fondi pubblici concessi a vari settori
nel corso della crisi. Alcuni giorni fa General Motors aveva
ad esempio annunciato il rimborso anticipato di 4,7Mld$
ricevuti dal fondo Tarp.
Sono passate pertanto in secondo piano i buoni dati
trimestrali segnali da alcune grandi aziende Usa come
Caterpillar ( 4,1%) e di Whirlpool ( 10%, ai massimi da
circa 3 anni), che hanno battuto le stime degli analisti con
riferimento ai dati trimestrali consuntivi, migliorando
anche le prospettive per l’intero anno.
In particolare Caterpillar ha rivisto al rialzo le stime di
crescita dell’economia mondiale e più in particolare di
quelle Usa portando entrambe al 3,5% per il 2010.
Nel frattempo i senatori repubblicani hanno bloccato
l’approvazione dell’inizio della discussione in Senato della
riforma finanziaria proposta dall’amministrazione Obama. Sul
fronte emergente, è risultato in calo l’indice della borsa
brasiliana Bovespa, sull’attesa di un rialzo del tasso di
riferimento da parte della banca centrale per frenare le
spinte inflattive.
Valute: euro sempre in prossimità di 1,3350, in attesa di
nuove notizie sul fronte della crisi greca. Nel breve l’area
di supporto più importante continua ad essere 1,32. Prima
resistenza a 1,3420.
Yen in apprezzamento durante la notte sulla scia delle
preoccupazioni circa la vicenda greca e gli sforzi in atto
in Cina per calmierare il mercato immobiliare locale. Per
oggi, verso euro la resistenza più vicina oggi si colloca a
126,30, i supporti a 125 e 123,30.
Materie Prime: in calo il greggio Wti (-1,1%) a causa
dell’apprezzamento del dollaro. Giornata positiva per i
metalli industriali guidati dal piombo ( 2,5%). Tra i
preziosi in rialzo l’argento ( 0,8%). Tra gli agricoli forte
ribasso per il grano (-3,5%) sulla speculazione di
condizioni meteo favorevoli al raccolto Usa.
Dopo la
ratifica del prolungamento dell'accordo per l'utilizzo da
parte della Flotta russa del Mar Nero di un'area in Crimea.
Folla di manifestanti in piazza. Il leader ucraino oggi a
Bruxelles
Il
Questore: "Gesto vergognoso". Catturato a Reggio, in fuga
dal 1993, deve scontare l'ergastolo. Le urla dei parenti:
"Uomo di pace". In serata sit-in di sostegno alle forze
dell'ordine / Il ritratto di Tegano
Il presidente del Senato chiede 720.000
euro di risarcimento per le inchieste pubblicate dal
quotidiano. La direzione risponde: "Le indagini
giornalistiche proseguono, noi non ci faremo intimidire".
Il presidente del Senato, Renato Schifani, ci ha notificato ieri
una citazione civile con cui domanda 720 mila euro di
risarcimento per le inchieste giornalistiche che lo
riguardavano da noi pubblicate. La somma richiesta è
superiore al nostro capitale sociale, ma noi non ce ne
lamentiamo. Schifani, al pari di qualsiasi altro cittadino,
se si ritiene diffamato ha il diritto di rivolgersi al
Tribunale per veder riconosciute le proprie ragioni. Anche
se, dopo aver letto le 54 pagine della citazione, dobbiamo
confessare la nostra sorpresa: nonostante gli sforzi non
abbiamo ancora capito quali delle notizie riportate su
il Fatto Quotidiano non
siano vere. A questo punto chi ha ragione e chi ha torto non
lo potrà che stabilire il giudice. (Leggi
tutto)
L'unico occhio vivo, con una
sua luce interna che brillava, ai funerali era quello di
Sandra. Uno soltanto, l'occhio destro,
perché il sinistro era fasciato. Nella chiesa "Dio Padre"
di Milano 2 si è celebrata l'estrema unzione ai guitti del
Potere. Nessuno è mancato all'appello. La morte di
Raimondo Vianello è stata un pretesto per
rivedersi, ancora una volta, tutti insieme, prima di essere
tumulati dalla Storia. Morti viventi che presenziavano,
inconsapevoli, alle loro esequie. Non ricordavano l'attore
scomparso, ma sé stessi. E' stato il primo funerale
di plastica della seconda Repubblica e anche
l'ultimo. Con un cadavere confezionato come un bastoncino
Findus, e la claque, gli applausi, capelli finti, zigomi da
lupe di attrici improbabili, rossetti cremisi un po' spenti,
tendenti al grigio per l'occasione, corone di fiori con
tributi allo scomparso mischiate tra loro alla rinfusa: il
presidente della Camera dei deputati, la Rai e i Ricchi e
Poveri, Mortizia Moratti con la borsetta
per il trucco.
Il protagonista, come gli capita sempre ai funerali degli
altri, è stato lo psiconano. E quando monsignor Carlo
Faccendini ha detto, in diretta su Canale 5, che era "Innaturale
immaginarli separati" ha pensato che non si rivolgesse
alla moglie in lacrime, ma a lui medesimo, il morto politico
che cammina, e ha cercato di entrare nella bara trattenuto
dalle guardie del corpo. I simboli di un'Italia cialtrona in
cui abbiamo convissuto per vent'anni, complici o meno, erano
tutti presenti. L'informazione impunita di
imbrattacarte a pagamento, la televisione culi
tette calcio, i ripetitori di Mediaset, il craxismo, la
mafia in Parlamento, la massoneria imbelle e sfrontata, il
Vaticano nelle nostre camere da letto, i buffoni di corte.
Volti di un'Italia invecchiata e pronta per l'ultimo
cammino. Il funerale di Raimondo mi ha trasmesso
ottimismo, lui non c'era, altrimenti avrebbe condiviso. Le
campane a martello erano per tutti. Ci sono momenti nella
Storia dell'uomo che segnano uno spartiacque, una linea di
confine, un prima e un dopo. La loro importanza diventa
chiara con il tempo. La scoperta dell'America, la presa
della Bastiglia, Stalingrado, il funerale
di Vianello.
Il fiume Lambro ridotto a una fogna,
specchio della Repubblica Italiana, scorreva poco lontano
dalla parrocchia piena di fiori recisi il cui profumo
intenso ci ricorda sempre i funerali passati. Un fiume senza
vita, stuprato dal benessere di pochi. I bambini, sembra
impossibile, si tuffavano un tempo nelle sue acque e i padri
vi pescavano la domenica. Vicino, Milano 2
sembrava il ricordo di un passato remoto. E poi, con la bara
sulle spalle, all'uscita della chiesa, scattarono gli
applausi.
Le immagini della
rissa verbale tra Silvio Berlusconi e
Gianfranco Fini alla direzione nazionale del Pdl e
quelle del volto gonfio d'odio e di fastidio del
premier fotografano bene il Viet-Nam politico che
attende il centro-destra nei prossimi mesi. Anche se
il momento della rottura definitiva non è ancora
arrivato, è ormai chiaro che cosa succederà. Al di là
delle dichiarazioni ufficiali, nelle segrete stanze
del poteresi andrà settimana dopo
settimana alla (vera) conta. Tra sgambetti, imboscate
e un'alluvione di dossier fatti
circolare dai media legati al presidente del
Consiglio.
Il documento finale approvato dall'assemblea con
170 voti a favore solo 12 voti
contrari (astenuto Beppe Pisanu) sembra sancire un
trionfo di Berlusconi su tutta la linea. Ma non è
così. Fini non se ne va. Resta al suo posto, resta
presidente della Camera e soprattutto può godere di un
seguito in parlamento superiore - ma di quanto? -
rispetto ai numeri registrati in direzione (un
organismo in cui non sono presenti molti deputati e
senatori considerati suoi fedeli).
Nella mozione prova di forza votata
si esclude la creazioni di correnti, si stigmatizzano
le "ambizioni dei singoli" e si definiscono non
"comprensibili le polemiche dopo le continue vittorie
del Pdl". Ma proprio qui sta il problema.
Come molti parlamentari di centro-destra dichiarano in
privato, nel Popolo della Libertà si
sa benissimo che le ultime vittorie elettorali sono
frutto più del caso (assenza, o quasi, di avversari)
che della reale forza del partito. Dal 2008 a oggi il
Pdl ha perso poco meno di quattro milioni di voti. E
altri ne perderà se le annunciate presunte
riforme volute da Berlusconi (dalla legge
bavaglio sulle intercettazioni telefoniche, sino a
quelle costituzionali) invece che passare con un
blitzkreitg, peraltro impossibile quando si parla di
riscrivere la carta fondamentale, causeranno nuove
fibrillazioninel Paese e nel
partito.
Il sentiero nella boscaglia si
preannuncia così parecchio pericoloso per il premier.
Anche perché a sovrintendere il passaggio delle leggi
a Montecitorio sarà ancora Fini. Che
intanto continua a lavorare per creare un suo gruppo.
L'ideale per lui sarebbe avere 37 deputati alla
Camera, ma contando il Mpa di Lombardo ormai in rotta
totale con i berlusconiani in Sicilia, per far cadere
o condizionare il governo, ne potrebbero bastare solo
27. La guerra, o meglio la guerriglia, insomma è solo
cominciata.
DIRETTA.
Direzione Pdl al calor bianco. Il presidente della
Camera: "Criticare non è tradire". E poi: "Pdl
schiacciato sul Carroccio". Immigrazione: "Sulla
dignità umana non siamo come i leghisti". Critiche
sulle riforme. Il premier replica subito e lo invita a
dimettersi dalla presidenza della Camera. L'altro si
alza e replica. Un'ora dopo: "Non lascio né partito né
Montecitorio". Poi al voto un documento che non
risponde a nessuna delle questioni poste
di M. TONELLI Commenta
/ BLOGLe truppe
invisibilidi
Berlusconi va all'attacco e prova l'affondo, ma la
direzione si trasforma in rissa mediatica
"Perché, che cosa fai?
Mi cacci? Eh?". E allora Gianfranco Fini sorride
ironico, fa il gesto della mano a pendolo, via-via e
di nuovo: "Che fai, mi cacci?". Poi si alza in piedi,
avanza verso Silvio Berlusconi, punta il dito e gli
ripete la frase a un metro di distanza rovinandogli il
finale del discorso. Una delle immagini che resteranno
di questa giornata, assieme alle mani impotenti del
premier che fanno stringi-stringi per chiedere a
Verdini di mettere fine all’intervento del rivale.
Insieme a quel moto di rabbia che lo porta sul palco
subito dopo. Insieme alle parole a pesce, gridate
senza audio dal microfono non collegato, mentre parla
il suo grande nemico. Ai materassi. Alla fine del
discorso di Fini c’è una stretta di mano algida, tra i
due, senza guardarsi in faccia. Poi Berlusconi sale
sul palco per replicare. E’ furibondo, nero, gli occhi
sono due fessure, sembrano pesti. Ma al contrario di
Fini non ha una scaletta pronta. Parla a braccio, e
finisce il suo discorso nel battibecco: "Un presidente
della Camera – grida – non deve fare dichiarazioni
politiche! Se le vuoi fare devi lasciare la carica, ti
accoglieremo a braccia aperte, ma ti devi dimettere!".
Leso format. Alla fine, il gesto che Berlusconi non
perdona all’ex leader di An è il reato di lesa maestà.
Anzi, di più: leso format. Ovvero il peggio che
potesse capitare a un cultore del rito catodico come
Silvio Berlusconi: allestire una coreografia studiata
nei minimi dettagli, una liturgia mediatica, una
scaletta precisa, e vedersela stravolta da un
imprevisto. Prepararsi la scena come protagonista, sul
podio dell’Auditorium di via della Conciliazione,
trasformato ancora una volta in set televisivo dal
fido regista Giuseppe Sciacca (un maestro, quello
della Corrida e dei congressi di Forza Italia) e
ritrovarsi poi, invece, nel ruolo del co-protagonista,
relegato nel controcampo delle inquadrature che
facevano da contrappunto al discorso di Fini, avendo
dietro alle spalle una tenda nera (quella alle spalle
della presidenza) invece del fondale azzurrino. Lui
seduto e livido; Fini in piedi, ironico. La scaletta
predisposta dalpremier era questa: prima il suo
saluto, poi l’intervento di tutti i ministri
anti-finiani, persino qualche sottosegretario (come
Alfredo Mantovano), quindi – come aveva detto lui
stesso – "la parola ai co-fondatori del partito, Fini,
Rotondi, Giovanardi". Orologio alla mano Fini avrebbe
parlato non prima delle 16, unica voce dissonante nel
coro. E Berlusconi avrebbe concluso.
Intervento imprevisto. Ma tutto il programma salta.
Dalla sera prima il presidente della Camera fa sapere
che non accetterà il ruolo di comparsa. La mattina il
nodo non è sciolto. Al premier arrivano diversi
messaggi: "Gianfranco non ci sta". Alle 11:50
Berlusconi guarda Fini, lo vede alzarsi. Forse pensa
che stia per andare via. Allora improvvisa: “Gli
chiediamo se vuole prendere la parola, siamo qui ad
ascoltarlo...". Fini non se lo fa dire due volte. Sale
sul podio: invece di dieci minuti parlerà un’ora. Una
vera e propria relazione. La prima bordata arriva
subito: "Anche nella regia, oggi sembra che ci sia
l’atteggiamento un po’ puerile di chi vuole nascondere
la polvere sotto il tappeto!". Poi le mozioni
d’orgoglio: "Sono abituato a dire quello che
penso...". Quindi la prima stoccata: "Vedi, Bondi!
Sono stato oggetto di trattamenti mediatici, da
colleghi, mi riferisco ai giornalisti, lautamente
pagati da stretti familiari del presidente del
Consiglio!".
Sulla sala cala il silenzio, il discorso di Fini si
impenna: "Sono stato accusato di alto tradimento,
oggetto di bastonate mediatiche, roghi, ipotesi di
licenziamento...". Poi il cambio di passo che taglia
il fiato ai membri della direzione. Si rivolge
direttamente al premier, guardandolo: "Berlusconi te
lo dico in faccia: il tradimento che è certamente poco
dignitoso, viene da chi alle spalle dice il contrario
di ciò che dice pubblicamente, raramente il tradimento
è nella coscienza di chi si assume la responsabilità
di quel che pensa in privato e in pubblico...". E qui
il premier sbotta. La regia lo inquadra. Si agita. Non
si sente cosa dice. Quando arriva l’audio la voce è
strozzata: "...Non attribuire a me cose che non ho mai
dettooo!". Il palco è diventato un ring, un corpo a
corpo. Formalmente Fini ribadisce la fiducia al
governo, tributa al premier i suoi meriti, ma allo
stesso tempo compone il suo j’accuse spietato: "Al
nord siamo diventati come la fotocopia della Lega!".
Fini cita le mire di Bossi sulle banche, la rinuncia
del Pdl ad abolire le province, i decreti sul
federalismo, il fatto che "difendere il bambino del
padre extracomunitario che perde il lavoro, cacciato
dalle scuole è rispetto della dignità dell’uomo".
Spara una raffica di domande retoriche: "E’ eretico
dire che i medici non devono fare la spia?". Si può
accettare che "in Lombardia ci siano solo professori
lombardi, e in Veneto veneti?".
Processi cancellati. Il vero show-down è sul conflitto
di interessi. Prima Fini attacca sulla proprietà de Il
Giornale, poi sulla giustizia: "Difendere la legalità
significa andar fieri degli arresti, ma anche non dare
l’idea che la riforma della Giustizia non serve a
creare sacche di privilegio...". La platea a questo
punto fischia. Fini insiste: "Ricordi la nostra
litigata sul processo breve? 600 mila processi
cancellati dalla sera alla mattina!". Di nuovo
Berlusconi grida, dalla presidenza: "Ma dai,
Gianfrancoooo!": E lui, passando al chiamarsi per
nome: "Silvio, è inutile che mostri insofferenza...".
Il premier sale sul palco infuriato, contrattacca: "Il
nostro partito è stato esposto al pubblico ludibrio
con le presenze in televisione di Bocchino, di Urso e
Raisi!". E sul Carroccio: "La verità, come mi ha
spiegato La Russa, è che la Lega è la fotocopia delle
posizioni abbandonate da An!". Allora Fini pizzica il
suo ex colonnello, sarcastico: "Bravo, Ignazio,
bravo...". La Russa si sbraccia come per dire no-no.
Si arriva al cataclisma. Berlusconi: "Sei venuto da me
a dire: 'Mi sono pentito di aver fatto il Pdl! A
dirmi: ‘Voglio fare un altro gruppo'!!!". E Fini, in
piedi: "Ma che stai dicendo!". Il retroscena è morto,
meglio: è tutto sulla scena. Il voto finale conta
zero. L’uomo che ha vinto grazie alla tv, ha perso un
duello tv, sulla sua tv: una vittoria numerica, una
sconfitta mediatica. Il partito dell’amore finisce a
pesci in faccia. LE MACERIE DI TELECOM
ITALIA: 35 MILIARDI DI EURO DI DEBITI (70.000 MILIARDI
DI VECCHIE LIRE)
La compagnia,
privatizzata nel 1997, ha chiuso i conti nel 2009 con
34 miliardi di euro di debiti. Fronteggia lo stesso
rosso di 10 anni fa ma ha dimezzato i dipendenti e ha
ceduto asset e patrimonio immobiliare
Per capire come si è arrivati a questo punto più che
gli esperti di bilanci servono quelli di linguistica.
Bisogna infatti consultare il dizionario per
comprendere l’esatto significato di spolpare - cioè
ridurre all’osso - il verbo che meglio descrive la
parabola di Telecom. Quella che un tempo era la più
grande multinazionale italiana,
undici anni dopo la
scalata dei "capitani coraggiosi", guidata
dall’attuale patron di Piaggio e presidente di
Alitalia, Roberto Colaninno, nei fatti non esiste più.
Due giorni fa i conti del 2009 si sono chiusi con 34
miliardi di debiti. Il nuovo amministratore delegato
Franco Bernabè promette che la (spaventosa) cifra
diminuirà di altri 6 miliardi entro il 2012. Ma anche
se così fosse un fatto è certo: Telecom oggi
fronteggia più meno lo stesso indebitamento di due
lustri fa, solo che ha dimezzato i dipendenti - ora
sono circa 60.000 - ha ceduto tutto il suo patrimonio
immobiliare, non ha ammodernato la rete rimasta ferma
al 1994, ha ridotto il numero di clienti e ha venduto
società e partecipazioni per più di 15 miliardi di
euro. Insomma è stata a poco a poco spolpata.
Non è un caso, perché questa storia di predatori e
prede nasce col trucco: una scalata a debito - quella
di Colaninno - che ha causato un enorme buco nel
bilancio finora impossibile da ripianare, anche perché
la società ha continuato a distribuire sontuosi
dividendi.
Privatizzata nel 1997
dal governo Prodi, che era alla disperata ricerca di
26.000mila miliardi di lire per entrare nell’euro,
Telecom a partire dal 1999 è stata un continuo teatro
di scorribande e battaglie. Non solo finanziarie. Ma
anche - e soprattutto - politiche.
La prima scoppia quando al governo c’è Massimo
D’Alema. È in quel momento che
Colaninno, il finanziere
bresciano, Emilio Gnutti, e Giovanni Consorte, patron
di Unipol, con 180 piccoli imprenditori padani,
lanciano l'assalto a Telecom tramite una società
lussemburghese: la Bell. Chi mette i soldi? Pochissimi
gli imprenditori, moltissimi le banche: la sola Chase
Manhattan presta 50 mila miliardi di lire. L’Opa
(offerta pubblica di acquisto) viene lanciata il 20
febbraio ‘99: 24 ore prima D’Alema, scende in campo in
favore degli scalatori, col celebre elogio dei
"capitani coraggiosi".
La nuova rude "razza
padana" così audace da sfidare l’establishment
dell’asfittico ed esangue capitalismo italiano.
La scalata si conclude in tre mesi. L’appoggio del
governo e della Banca d’Italia si rivela decisivo.
Il 10 aprile 1999 per
scongiurare la scalata rosso-verde [Unipol-Gnutti
defilato Testa d'Asfalto], infatti, Bernabè - già
allora amministratore delegato - convoca un’assemblea
straordinaria per deliberare un’opa di Telecom sulla
controllata Tim: una mossa che manderebbe alle stelle
il prezzo di Telecom, rendendo impossibile l’assalto
dei “capitani coraggiosi”. Per la validità
dell’assemblea, però, devono essere presenti i
titolari di almeno il 30 per cento del capitale
sociale. Si registrano invece azionisti soltanto per
il 28 per cento. Chi manca all’appello? Oltre a molti
fondi internazionali, non ci sono il Tesoro (maggiore
azionista con il 3,46 per cento) e il fondo pensioni
della Banca d’Italia. Cioè gli azionisti pubblici.
Perché? Il direttore generale del Tesoro è Mario
Draghi, futuro governatore di Bankitalia. Vorrebbe
partecipare all’assemblea. Ma D’Alema gli ordina di
astenersi. Il ministro Ciampi si allinea. Draghi
allora chiede al premier di mettere il suo ordine nero
su bianco. D’Alema prende carta e penna e invia al
Tesoro una lettera "d’indirizzo" attorno alla quale
nasce un giallo: il documento scompare in seguito
dagli uffici del ministero. Guido Rossi, ex presidente
di Telecom, commenta acido: “Palazzo Chigi è l’unica
merchant bank dove non si parla inglese". E definisce
"gravissima" la condotta del governo.
La Telecom diventa un
castello di scatole cinesi. Al vertice c’è Hopa, la
finanziaria di Gnutti in cui siedono Fininvest, Unipol
e Montepaschi: una specie di Bicamerale della finanza,
con Silvio Berlusconi alleato dei "rossi". Hopa
controlla Bell -IL FONDO LUSSEMBURGHESE CHE SGANCIO'
50.000 MILIARDI DI VECCHIE LIRE ovvero 25 miliardi di
euro -, che controlla Olivetti, che controlla Tecnost,
che ha la maggioranza di Telecom. A render ancora più
oscura la storia è la scarsa chiarezza sui veri soci
di Bell.
Il presidente è Raffaello Lupi, fiscalista
collaboratore del ministro Visco. Ma il regno di
Colaninno dura poco.
Nel 2001 torna
Berlusconi e Telecom cambia padrone. Arriva Marco
Tronchetti Provera. Nel luglio 2001, Colaninno, Gnutti
e Consorte vendono a Tronchetti il 23% di
Olivetti-Telecom posseduto da Bell posseduta da Hopa,
intascando una plusvalenza di 1,5 miliardi di euro.
Alla faccia dei tanti piccoli azionisti che restano a
bocca asciutta.
Per i magistrati di
Milano, Bell sottrae al fisco 680 milioni, ma poi la
partita con le tasse viene chiusa con una transazione
di "soli" 156 milioni. Anche Consorte e il suo braccio
destro Sacchetti, hanno comunque da gioire. Per loro
alla fine dell’avventura di Telecom ci sono 43 milioni
DI EURO ufficialmente versati come consulenze.
A quel punto il problema
del gigantesco debito accumulato per la scalata passa
nelle mani di Tronchetti. Dal punto di vista politico
il numero uno di Pirelli si mette a posto con
Berlusconi chiudendo prima ancora che nascessero tutti
i programmi de La7 -LA TELEVISIONE NAZIONALE
CONTROLLATA DA TELECOM ALL'INDOMANI DEL TRACOLLO DI
CECCHI GORI - che potevano far concorrenza a
Mediaset (per questo vengono dati molti milioni di
euro a Gal Lerner e Fabio Fazio), sponsorizzando il
Milan con Pagine Gialle -IL TRONCHETTO CHE ERA GIA'
VICE PRESIDENTE DELL'INTER E CHE PROMOSSE LA CESSIONE
DI SEEDORF,PIRLO,SIMIC A COSTO ZERO SEMPRE AL MEDIASET
- e tentando l’acquisto di Pagine Utili
(operazione che si concluderà con il pagamento di una
penale a Fininvest di 55 milioni di euro). Sul fronte
dei bilanci si ricorre invece alle vendite di società
e partecipazioni e a una dissennata politica
commerciale condotta dall’ad Renato Ruggiero che sul
momento aumenta i ricavi, ma che poi farà perdere
molta clientela.
Un esempio su tutti: Aladino il videotelefono spinto a
suon di spot che poi si rivelerà ben poco funzionante
e spingerà chi può a cambiare gestore. Così nel giro
di pochi anni, mentre si continuano a distribuire
dividendi, prima Colaninno e
poi Tronchetti vendono società su società, come
l’assicurazione Meie, l’Italtel, la Sirti, Telespazio,
l’operatore mobile venezuelano Digitel, la
software-house Finsiel, Tim Hellas, Alice France e
altre partecipazioni. Anche il patrimonio immobiliare
scompare. A partire dal 2000, ma l’accelerazione più
grande si verifica con Tronchetti, a poco a poco
tutto, o quasi, passa a Pirelli Real estate.
Un'operazione supportata da perizie e pareri legali,
ma da più parti criticata perché considerata in
evidente conflitto d'interessi. Mille-duecento cespiti
cambiano così padrone solo nel 2005-06.
Alla fine Telecom incassa molti soldi, ma si trova
anche sul groppone una spesa per affitti di 400
milioni l’anno. Che sommati agli interessi
sull’indebitamento e al buco da ridurre, spiega bene
perché la società ogni anno trovi il denaro necessario
per pagare i dividendi e non quello per fare
investimenti.
Ecco nel frattempo come
è nata L'IMMOBILIARE PIRELLI REAL ESTATE: TUTTI GLI
IMMOBILI DI TELECOM SVENDUTI A PIRELLI CHE POI DA
PROPRIETARIA FA PAGARE AFFITTI PER 400 MILIONI DI EURO
L'ANNO A TELECOM!!!
IL QUADRUMVIRATO LOMBROSIANO