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Locandina Todo modo

Mentre infuria un'epidemia un centinaio di notabili della DC si riunisce in un convento-albergo ufficialmente per un corso di esercizi spirituali, ma in realtà per una nuova spartizione del potere. Dal romanzo (1974) di Leonardo Sciascia, giallo politico ma anche apologo metafisico, Petri ha tratto un film sbilanciato, ripetitivo, enfatico, così proteso nel cielo della fantapolitica da perdere i contatti col pianeta della politica reale, nonostante il rilievo di alcuni personaggi (Volonté è 80% Moro e 20% Andreotti) e la graffiante sagacia di certe scene.

 

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Immagine tratta dal film TODO MODO

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"Andreotti, Fanfani, Rumor, e almeno una dozzina di altri potenti democristiani, dovrebbero essere trascinati sul banco degli imputati e quivi accusati di una quantità sterminata di reati... "
Pier Paolo Pasolini

E' il 28 agosto 1975 quando Pier Paolo Pasolini invocava un processo pubblico alla Democrazia Cristiana, appena qualche mese prima di essere barbaramente ucciso all'Idroscalo di Ostia in circostanze piuttosto controverse.
Sempre nello stesso anno la Democrazia Cristiana si trovava in grosse difficoltà dovute all'esito negativo prima delle elezioni politiche, che segnavano una fortissima avanzata del Partito Comunista, e dalla cocente bocciatura del referendum sul divorzio al quale alcuni grossi nomi, come quello di Fanfani, avevano investito molto per poi rimanere a bocca asciutta.

In tale contesto Petri adatta per grande schermo l'omonimo romanzo di Leonardo Sciascia mettendo in scena un feroce atto di accusa verso un'intera classe dirigente, al governo sin dal secondo dopoguerra ininterrottamente da trent'anni, in cui troppi erano ancora i problemi irrisolti e nulla o quasi era stato fatto per risolverli. Ormai dopo trent'anni di potere, la classe politica dominante era occupata maggiormente verso il mantenimento del potere in perpetuo.
Una classe politica autoreferenziale, una casta legata ancora alle sue radici cristiane solo in apparenza, ma che sotto la maschera cercava di svicolarsi anche dall'ingombrante presenza della Chiesa cattolica come istituzione.
"Todo modo" quindi è un'istantanea su un potere marcio e dilaniato dalle lotte intestine e pur senza nominarla apertamente, appare fin troppo evidente che il soggetto in questione è la grande "balena bianca" democristiana e Aldo Moro, mai nominato anch'esso, il suo "presidente".

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Un gruppo di uomini politici, rappresentanti del partito di maggioranza che da trent'anni governa l'Italia, si rinchiude in un convento costruito nel sottosuolo di una pineta per il periodico corso di esercizi spirituali condotti dal gesuita Don Gaetano, mentre il paese è messo in ginocchio da un'epidemia.

"Todo modo" rappresenta, sotto certi aspetti, la fine di una fase molto feconda per il cinema italiano, quello del cinema politico, iniziato nel 1961 con Salvatore Giuliano di Francesco Rosi proseguito sotto l’egida dello stesso regista napoletano in aggiunta a nomi molto importanti come appunto Elio Petri, Gillo Pontecorvo passando anche per Damiano Damiani e Citto Maselli.
Il contesto storico per una pellicola come "Todo modo" non era certo dei più favorevoli. Già era percepibile quell’aria di "compromesso storico" tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista, il cui fautore principale era lo stesso Aldo Moro e il film di Petri non era certamente un esempio nel cercar di buttare acqua sul fuoco, tutt’altro.

Fin dall’inizio siamo trasportati in un’atmosfera spettrale di strade semi deserte con ripetuti annunci di una misteriosa epidemia che sta propagandosi nel paese. Lo stesso albergo Zafer, luogo scelto per l’annuale periodo degli esercizi spirituali, ha una tipologia piuttosto anomala: una costruzione che si sviluppa interamente verso il basso, dalla struttura labirintica e dotato di camere che non sembrano stanze di un albergo quanto più simili alle celle di un convento.
In questo luogo convergono i più alti rappresentanti del partito oltre naturalmente esponenti illustri a loro modo collegati dalla stessa matrice cattolica: banchieri, grandi industriali, giornalisti, magistrati, alti dirigenti statali. Tutti accomunati dalla detenzione e dall'uso del potere in misura più o meno grande, con lo scopo di purificarsi per il tramite degli esercizi spirituali.
Ben presto però la pratica degli esercizi è solo una copertura per una ridefinizione dei ruoli, per una nuova spartizione della torta pubblica determinata da un nuovo riequilibrio dei rapporti delle varie correnti all'interno dello stesso partito, come era ad uso si tempi della Democrazia Cristiana, tutt'altro che un blocco monolitico, anzi un vero parlamento a sé stante all'interno dello stesso Parlamento costituzionale.

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I due attori principali di questa nuova ridefinizione sono da una parte Don Gaetano, prete gesuita e direttore degli esercizi spirituali e il Presidente del partito. Intorno a queste due figure principali si gioca in un certo senso la leadership carismatica nei confronti dei convenuti.
Don Gaetano utilizza la forza psicologica degli esercizi spirituali come un guinzaglio per imporsi su quel gruppo di persone che dominano la maggior parte dei centri vitali del paese: politica, imprenditoria e informazione. Si serve della stessa ipocrisia dei convenuti, del loro bisogno di purificarsi dai peccati derivato dall'uso dell'esercizio del loro potere per imporre la propria leadership, assecondando la sua personale sete di potere.
Lui stesso o per interposta persona (il "Lui", misterioso e influente personaggio politico interpretato da Michel Piccoli) vuole porre il suo personale sigillo sul cambiamento da operare all'interno del partito. E' pienamente consapevole della profonda corruzione dei notabili, della loro impossibilità ad essere redenti, ma al tempo stesso si autodefinisce un "prete cattivo" che non ha paura di sporcarsi le mani, perché in fondo sono stati i "preti cattivi" a fare la storia della Chiesa, a confermare ed esaltare la sua santità.
"Mediazione e mutamento nella strategia della stabilità"

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Grazie alla straordinaria interpretazione di Gian Maria Volontè, si erge la figura del Presidente, uomo che si pone come il fulcro per la creazione dei nuovi equilibri di partito, equilibri delicatissimi che si possono spezzare in un istante, dove la singola frase o la singola parola, mal interpretati come pesanti allusioni, possono distruggere il lavoro di lunghi ed estenuanti compromessi faticosamente trovati tra le varie correnti di partito.
Modellato sulla figura di Aldo Moro, ma con movenze e talvolta pungente ironia tipicamente andreottiana, il Presidente del partito rappresenta trent'anni di malgoverno del paese, una vita dedicata alla mediazione in maniera totale all'interno delle correnti di partito, tanto da compromettere ogni sua funzione propositiva relegata ormai alla propria dimensione onirica ed inconscia.
Un uomo impotente e frustrato che repelle qualsiasi contatto fisico, dalla psiche dissociata dal dualismo tra ciò che desidera e l'impossibilità di operare una qualsiasi scelta di ordine politico che possa scontentare qualcuno. Una moltitudine di erezioni mancate come poi sottolineerà a Don Gaetano. Un camminare perennemente sul filo del rasoio ormai insopportabile, evidenziata dall'enfasi in cui recita delle semplici preghiere, simile a degli orgasmi mai raggiunti.
Desideri inappagati che nemmeno la presenza della moglie Giacinta, unica presenza femminile del film, riescono a lenire fino in fondo. Dopotutto la stessa personalità di Giacinta è annullata in funzione del marito, votata al desiderio di vederlo ai vertici della Stato.
Di fronte a tale sfascio in cui gli onorevoli si azzuffano come animali e dal raggiungimento della consapevolezza che nessun cambiamento potrà avvenire, il Presidente opera in modo da annullare lentamente Don Gaetano, facendogli terra bruciata intorno e usurpandone il ruolo. Con Don Gaetano fuori dai giochi, il Presidente sarà l'unica figura ad assurgere al ruolo di unico pastore del gregge.
Un piano semplice ed ispirato dalle parole di Ignazio di Loyola, fondatore dell'ordine gesuiti, dove la metodologia per il raggiungimento dell'obiettivo risiedono nel senso di responsabilità del singolo individuo.

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"Todo modo para buscar la voluntad divina"
Ignazio di Loyola

Il motto del fondatore dell'ordine dei Gesuiti è la chiave per dipanare, se così vogliamo dire, la falsa trama gialla che si innesca nella seconda parte del film. Falsa nel senso che si tratta soltanto di una sequenza di uccisioni, mai annunciate e mostrate da Petri nel loro svolgersi, annullando qualsiasi suspence e raffigurando sempre il "dopo" con la semplice scoperta del cadavere, spesso in una postura sconcia, a sottolineare maggiormente la bassezza morale dei cosiddetti notabili di partito e con evidenti segni dell'epidemia che dall'esterno comincia a dilagarsi anche all'interno dell'eremo sotterraneo dello Zafer seguendo uno schema che ricorda "La maschera della Morte Rossa".
Tutta la sequenza di omicidi ha un ordine prestabilito ben preciso che, prendendo spunto dal motto "Todo modo para buscar la voluntad divina", decide chi debba essere ucciso creando un effetto domino.
Infatti estrapolando le lettere degli acronimi dei vari enti di cui i convenuti sono presidenti o amministratori delegati ed i legami tramite partecipazioni azionari reciproche, si riesce a scoprire il perché sia stato ucciso una persona piuttosto che un'altra, ma anche a prevedere con una certezza molto alta chi è sotto il mirino del misterioso assassino.

Il Presidente quindi mette in moto quella che può essere considerata una solenne cerimonia sacrificale di purificazione del partito: un atto politico in piena regola rivestito da un significato divino, dettato dal motto di Sant'Ignazio di Loyola e soprattutto dettato dalla propria coscienza etica ed individuale che si concluderà con il sacrificio di se stesso sull'altare del tanto agognato rinnovamento (annullamento) del partito. Raggiunge così l’obiettivo di coniugare entrambi gli aspetti, politico e religioso, a scapito di Don Gaetano il quale pur partendo dal lato opposto, quello religioso, mirava a rivestire le sue azioni di un significato politico.
E’ interessante e curioso inoltre che solo due anni dopo l’uscita del film si verificherà nella realtà il finale opposto proposto da Petri: il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, verrà ucciso dalle Brigate Rosse, ma con l’avallo di gran parte del suo stesso partito che, dietro la facciata della linea di fermezza nei confronti dei terroristi, era realmente spaventata dalla politica del "compromesso storico" ideata da Moro.

"Todo modo" non è un film di facile lettura, infatti la sua struttura assai complessa e stratificata permette una lettura a vari livelli a scapito però di una scarsa linearità narrativa. Tuttavia a distanza di oltre trent'anni possiede ancora una forza visionaria di prim'ordine che ne fanno una pellicola molto particolare e per certi versi molto attuale.
Petri sceglie volutamente una cifra stilistica votata al grottesco portandolo ad eccessi molto elevati e, con l'ausilio della scenografia curatissima, per quanto apparentemente scarna, di Dante Ferretti e dalla fotografia dominata da grossi contrasti di luce da parte di Luigi Kuveiller crea un'atmosfera straniante all'interno dell'albergo Zafer, quasi astratta che forma un contesto tragico e funereo che decreta la morte vera propria della politica in cui questi piccoli grandi uomini di partito vengono visti, o meglio smascherati in tutte le loro nefandezze e rendendoli ridicoli oltre ogni misura.

Detto di Gian Maria Volontè e di Marcello Mastroianni tutto il cast di attori offre una prova d'insieme eccellente, ma merita una citazione particolare Ciccio Ingrassia nel ruolo di Voltrano, certamente la sua migliore prova di attore.

La scelta operata da Petri può apparire eccessiva e fuori luogo e che può prestare il fianco a molte accuse (cosa che accadde ovviamente all'uscita del film) di fanatismo ideologico, ma se andiamo alla memoria del processo Cusani, in piena Tangentopoli, dove si vedeva un pezzo da novanta come Forlani con la bava ai lati della bocca, non si può certo nascondere l'effetto ridicolo che suscitò in molti che lo videro in diretta televisiva.

"Todo modo" scatenò all'epoca polemiche roventi da entrambe le parti: da destra per ovvie ragioni e una certa freddezza da sinistra, per motivi soprattutto di opportunità visto che, come detto sopra, il compromesso storico non era solo una voce di corridoio bensì un progetto molto concreto sotto l'egida di Aldo Moro, poi naufragato con il rapimento e la successiva uccisione dello statista democristiano.
Le polemiche sono molte volte fonte di pubblicità che in molti casi sono in grado di fare la fortuna, anche e soprattutto commerciale, di un film. In questo caso però la pellicola di Petri subì un destino di oblio che dura ancora tutt'oggi vista la sua difficile reperibilità e i pochi passaggi televisivi.
Da rilevare inoltre il ritrovamento del negativo della pellicola custodito alla Cineteca Nazionale, bruciato. Analogo destino anche al suo autore, Elio Petri, uno dei nostri migliori autori in assoluto e con il passare degli anni messo forse un po' troppo in un angolino, poco citato dalla critica ufficiale e praticamente quasi sconosciuto alle nuove generazioni.

"Ogni mezzo per realizzare la volontà divina"

Elio Petri

Elio Petri (Roma, 29 gennaio 1929 Roma, 10 novembre 1982) è stato un regista e sceneggiatore italiano.

Indice

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Biografia [modifica]

Filmografia [modifica]

 

Senzani, il leader brigatista torna libero
"Dopo 23 anni di carcere sono un uomo diverso"

Il capo delle Br più sanguinarie esce per "estinzione della pena". Con Mario Moretti guidò il gruppo terroristico dopo il sequestro Moro

ROMA - "I giudici che m'hanno esaminato negli ultimi dieci anni hanno potuto constatare che sono una persona cambiata e infatti hanno sentenziato l'estinzione della pena. Sono stato in galera 23 anni. Ho riconosciuto i miei errori davanti al tribunale di sorveglianza. Ora sono un uomo libero. La politica del resto l'ho abbandonata da un pezzo, ma non le mie idee di sinistra". La politica Giovanni Senzani la praticava nelle colonne delle Brigate Rosse. Una parabola terribile.

Aveva studiato a Berkeley. Era un criminologo di un certo talento. Insegnava nelle università di Firenze e Siena. Scrisse perfino un libro per Jaca Book, la casa editrice legata a Comunione e Liberazione. Poi il demone della violenza politica lo risucchiò nel gorgo degli anni di piombo. A metà degli anni Settanta s'era accostato alle Br, nella cui sezione genovese militava suo cognato Enrico Fenzi: nel 1970 aveva sposato la sorella, Anna. Dopo il sequestro Moro ne assunse di fatto il comando, insieme a Mario Moretti. "Figura assolutamente atipica nel panorama del terrorismo di sinistra italiano: il leader dell'ala più sanguinaria", lo definì l'ex presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle stragi Giovanni Pellegrino. Si disse che coltivasse legami con pezzi deviati dei servizi segreti. In carcere divise la detenzione con Ali Agca, indottrinandolo, secondo una certa vulgata, sulla pista bulgara. Fu lui a trovare l'appartamento in via della Stazione di Tor Sapienza a Roma dove venne sequestrato il giudice Giovanni D'Urso e che Moretti, in tuta da ginnastica e attrezzatura da carpentiere, trasformò velocemente in una prigione. E al compagno titolare dell'immobile, che osò fargli un'osservazione, sibilò gelido: "Non puoi saperlo meglio di me, che ho già fatto cinque sequestri".

Senzani gestì il sequestro di Ciro Cirillo ed ebbe l'ergastolo per l'uccisione di Roberto Peci, trucidato il 3 agosto 1981 in un casolare sull'Appia dopo un sequestro durato 53 giorni. Aveva la sola colpa di essere il fratello del primo pentito delle Br, Patrizio. Con una telecamera Telefunken avevano registrato tutti gli interrogatori e quando lo finirono con undici colpi di pistola - avvolgendo il cadavere in un drappo rosso sormontato dalla scritta "Morte ai traditori" - uno dei sicari immortalò la scena con la Polaroid. Fu una ferocia assoluta. Il sostituto procuratore Macchia giunse sul posto, vide la scena e finì a terra svenuto.

Senzani lo presero sei mesi dopo. Gli anni Settanta erano finiti da un pezzo. Nella foto segnaletica scattata in questura ha la zazzera in disordine, un barbone incolto, lo sguardo scocciato. Non si è mai pentito, né dissociato. Otto mesi fa ha quindi finito di scontare la sua pena, ma la notizia è trapelata solo ora. Gli ultimi cinque anni li aveva trascorsi in regime di libertà condizionale. Non poteva uscire di casa dopo le ore 23 e aveva l'obbligo di presentarsi due volte al mese in questura. Ci furono aspre polemiche per quella concessione fatta dal tribunale di sorveglianza. "Risponderà davanti a Dio di quello che ha fatto" commentò la madre di Peci, Amelia. Per la Procura generale di Firenze non sussisteva "il requisito del sicuro ravvedimento" e così fece ricorso. Ma la Cassazione alla fine diede ragione a Senzani. "La nostro fortuna è stata quella di aver trovato giudici scevri di condizionamenti" chiosa l'avvocato Bonifacio Giudiceandrea. Dice Senzani, che oggi ha 68 anni: "Sono in pensione, anche se continuo a collaborare con le Edizioni della Battaglia. Verrà il tempo di parlare del mio passato".
Giovanni Senzani, il capo più ambiguo e sanguinario delle Brigate Rosse, ha finito di scontare definitivamente la sua pena otto mesi fa. Ma la notizia è trapelata soltanto ieri, nessuno finora se ne era accorto. Del resto l’ex criminologo, che fu consulente del ministero di Grazia e Giustizia durante il sequestro Moro, era in libertà condizionale da almeno cinque anni e precedentemente aveva ampiamente usufruito del beneficio di lavorare, all’esterno del carcere, presso una piccola casa  editrice che ogni giorno da anni raggiungeva pedalando la sua bicicletta. A darne la notizia è stato l’edizione locale de La Repubblica, al quale l’ex brigatista ha detto: ”I giudici hanno potuto constatare che sono una persona cambiata e infatti hanno sentenziato l’estinzione della pena. Sono stato in galera 23 anni. Ho riconosciuto i miei errori davanti al Tribunale di sorveglianza. Ora sono un uomo libero. La politica l’ho abbandonata da un pezzo, ma non le mie idee di sinistra”. Ottimo, peccato che per sostenere che Senzani è cambiato bisognerebbe sapere chi sia davvero stato in passato. E questo nessuno sembra in grado di dirlo.

Nella sua scarna biografia è scritto che negli anni Settanta fu un criminologo di un certo talento. Si era laureato nella città californiana di Berkeley, insegnava nelle università di Firenze e Siena, scrisse persino un libro per Jaca Book, la casa editrice legata a Comunione e Liberazione. Poi il prestigioso incarico di consulente di via Arenula, proprio negli anni in cui cadevano uno dopo l’altro, ammazzati dalle Brigate Rosse, magistrati come Palma, Minervini, Tartaglione, i più impegnati nella riforma delle carceri. Omicidi rivendicati da comunicati Br che grondavano di informazioni riservate, si parlò di una Talpa interna ma lui rimse al suo posto. A Roma usufruiva in via della Vite di un appartamento che divideva a metà con un regista, che era però anche un informatore del Supersismi, la tecnostruttura di stampo piduista ancora avvolta dal mistero.

Le note di agenzia ribadiscono ancor oggi che “Senzani guidò con Moretti il gruppo terroristico dopo il sequestro Moro”. In effetti non fu mai condannato per il rapimento e l’uccisione del Presidente, fu proprio il Sismi, allora diretto dal generale Santovito (tessera P2 1630) a tirarlo fuori dal processo grazie a un affidavit in cui si sosteneva che il professor Senzani era in quei mesi impegnato in uno stage negli Usa. Nessuno mai ritenne di approfondire la validità di una simile informativa, anche se disperatamente l’ex vice questore di Genova Arrigo Molinari andava sostenendo di avere le prove certe della presenza di Senzani in Italia in quel periodo grazie intercettazioni telefoniche, aprile 1978, tra alcuni medici genovesi e il criminologo che appariva preoccupato dal fatto che un brigatista torinese, gravemente ferito durante un attentato, potesse riprendere conoscenza (e parlare).

Fu la commissione d’inchiesta sulle Stragi di Giovanni Pellegrino a illuminare  le molte zone d’ombra del brigatista-criminologo. L’indagine, affidata al maggiore del Ros Massimo Giraudo, focalizzò l’attenzione su Palazzo Caetani, proprio quello di fronte al quale fu ritrovata la Renault Rossa con all’interno il cadavere di Moro il 9 maggio 1978. L’indagine condusse al sospetto che fosse proprio quella l’ultima prigione di Aldo Moro, a partire dai filamenti di tessuti, ritrovati sui suoi vestit che riportavano ai magazzini sotterranei dei commercianti ebrei. Ebbene Senzani, quale studioso apprezzato negli Usa, sembra frequentasse all’interno di Palazzo Caetani un misterioso Centro Studi.

All’epoca dominus di Palazzo Caetani era Hubert Hòward, un naturista americano che fu anche presidente di  Italia Nostra, cognato del musicista Igor Markevitch sul cui ruolo di Anfitrione nel rapimento Moro si è molto fantasticato. Hòward aveva partecipato alla liberazione di Firenze, era rimasto molto legato ad ambienti importanti della città. Molti passaggi riportano al capoluogo toscano, a quel Comitato esecutivo delle Br, regia di comando del sequestro Moro. Proprio lì, tanti anni dopo, il 3 marzo 1993 – la Prima Repubblica era già stata travolta da  Tangentopoli e Andreotti stava per essere indagato dai magistrati di Palermo – ecco che ricompare  l’ombra del Superservizio durante i lavori di ristrutturazione nel palazzo nobiliare del defunto marchese Bernardo Lotteringhi della Stufa. Si scoprì una soffitta piena di armi, tutte avvolte con giornali risalenti al 1978. Il marchese rivelò che il padre Alessandro aveva messo disposizione di un amico “importante” il primo piano dell’edificio per incontri riservati e colloqui telefonici (era stata collocata una cabina con segreteria telefonica) per consentire contatti con una “fonte” in grado di riferire sul sequestro Moro. L’amico era il colonnello Federigo Mannucci Benincasa, capo del centro di Controspionaggio di Firenze, mosaico di oscurità e depistaggi. La fonte? I sospetti si concentrarono su Giovanni Senzani, nessuno del resto ha mai creduto che il capo del Comitato rivoluzionario toscano fosse negli Usa durante il sequestro Moro. E lo storico Giuseppe De Lutiis insinua che sia stato lui a condurre l’interrogatorio di Moro nel carcere, del resto era l’unico in grado di farlo.

E’ questa la zona più in ombra della biografia di Senzani. Tutte le informazioni che abbiamo riferito sono frutto dell’indagine parlamentare, mai acquisite dal processo giudiziario. Il suo ruolo di capo Br diventa esplicito a partire dal 3 agosto 1981, quando fu ritrovato in un casolare sull’Appia il corpo trucidato di Roberto Peci, dopo 53 giorni di prigionia con tanto di interrogatorio, processo e condanna finale. Macabra pantomima del processo Moro, chi sa mai a chi rivolta e perché. L’unica colpa di Roberto era quella di essere fratello di Patrizio, il primo brigatista pentito. Ci sono poi le cupe pagine del sequestro Cirillo che vedono Senzani spartirsi con i vertici del Sismi che facevano capo al generale Pietro Musumeci (anche lui piduista) il riscatto cui generosamente avevano partecipato gli imprenditori napoletani interessati a spartirsi la torta degli appalti post-terremoto. Non sappiamo chi sia oggi Giovanni Senzani, soprattutto non sappiamo chi sia mai stato. Vale la pena di citare l’ironica risposta che diede il pm Tindari Baglioni alla domanda di un giudice che voleva sapere se davvero lo Stato fosse impreparato di fronte alle Br. “Non so, certo  sia noi che le Brigate rosse avevamo lo stesso consulente, e cioè il Senzani”.


 

 

Questo elenco delle principali organizzazioni armate di estrema sinistra in Italia include gruppi attivi in Italia in diversi periodi storici, differenti tra loro per entità e scopi, ma accomunati dall'uso delle armi a scopo eversivo e dall'orientamento politico di sinistra. La maggior parte di queste organizzazioni si sviluppò nei cosiddetti anni di piombo, tra la fine degli anni sessanta e la seconda metà del decennio successivo. Per un analogo elenco di organizzazioni ispirate a ideologie di destra, vedi le organizzazioni armate di destra in Italia.

Nome esteso Sigla Periodo Luogo Ispirazione Principali azioni
 
Azione Rivoluzionaria AR 1977-1980 Centro-Nord Italia situazionismo, RAF Attentati a quotidiani
Barbagia Rossa BarbRo 1978-1982 Sardegna Brigate Rosse Attentati a Carabinieri
Brigate Comuniste BC 1973-1979 Nord Italia   sabotaggio alla International Telephone and Telegraph Corporation di Fizzonasco, demolizione del carcere di Bergamo
Brigate Rosse BR 1970-1989 Italia Lotta armata metropolitana Rapimento e omicidio Moro, rapimenti ed omicidi politici
Brigata XXVIII marzo XXVIII marzo 1980 Lombardia Brigate Rosse omicidio di Walter Tobagi
Cellule di Offensiva Rivoluzionaria COR 2003-2004 Toscana, Roma Lottarmatismo Attentati intimidatori contro membri di AN e incendiari contro sedi di FI
Collettivi Politici Veneti CPV 1974-1985 Italia  
Comitati Comunisti Rivoluzionari CoCoRi 1975-1978 Nord Italia   Assassinii di guardie giurate
Comunisti Organizzati per la Liberazione Proletaria COLP 1981-1983 Italia Prima Linea Evasione di Cesare Battisti dal carcere di Frosinone. Evasione dal carcere di Rovigo di Susanna Ronconi, Marina Premoli, Loredana Biancamano, Federica Meroni
Formazioni Comuniste Armate FCA 1975-1976 Centro Italia  
Formazioni Comuniste Combattenti FCC 1978 Centro Italia Prima Linea Omicidio di Fedele Calvosa, procuratore capo di Frosinone
Gruppi d'Azione Partigiana GAP 1970-1972 Nord Italia Insurrezionalismo di liberazione nazionale attentato dinamitardo a Segrate in cui morì il leader Giangiacomo Feltrinelli
Gruppo XXII Ottobre XXII Ottobre 1969-1971 Nord Italia marxismo-leninismo Attentati a sedi istituzionali, Omicidio di Alessandro Floris, rapimento di Sergio Gadolla.
Volante Rossa Martiri Partigiani La Volante Rossa 1945-1949 Nord Italia Resistenza italiana Omicidi di ex-fascisti e liberali o industriali, in genere anticomunisti
Movimento Comunista Rivoluzionario MCR 1979-1980    
Nuclei Armati Proletari NAP 1974-1977 Sud Italia Brigate Rosse Sequestri ed agguati a personalità istituzionali
Nuove Brigate Rosse Nuove BR 1999-2007 Centro-Nord Italia Brigate Rosse Attentati e omicidi di politici
Nuclei Comunisti Territoriali NCT 1979-1980 Piemonte Prima Linea sabotaggio alla fabbrica FRAMTEK
Partito Comunista Politico-Militare PCPM 2007 Nord Italia Seconda Posizione
Prima Linea PL 1976-1980 Nord Centro Sud Italia   Omicidi di personalità istituzionali
Primi Fuochi di Guerriglia PFG 1977-1978 Centro-Sud Italia Questione meridionale Attentati a sedi militari
Proletari Armati per il Comunismo PAC 1977-1979 Nord Italia   Rapine in banca e omicidi di commercianti
Reparti Comunisti d'Attacco RCA 1978-1980 Lombardia Formazioni Comuniste Combattenti Ferimenti di personalità, irruzione a Radio Torino Internazionale.
Unità Comuniste Combattenti UCC 1976-1979 Centro-Nord Italia Formazioni Comuniste Armate

 

Il Partito Comunista d'Italia- 1921-1943- (Sezione della Internazionale Comunista) è stato un partito politico italiano attivo legalmente dal 1921 al 1926 e clandestinamente dal 1926 al 1943, quando riprese l'attività legale come Partito Comunista Italiano (1943-1990)[1]( svolta di salerno, aprile 1944). Avente sede a Milano nella palazzina di Porta Venezia, ebbe come organo di stampa quotidiano centrale Il Comunista fino al 1922 e, dal 1924, l'Unità.
 

Le origini (1920-1921) [modifica]

Il II Congresso del Comintern fra luglio e agosto del 1920 decide che i suoi membri avrebbero dovuto sottoscrivere 21 condizioni che prevedevano, fra l'altro, l'espulsione di ogni riformista e il mutamento di nome dei in partiti in "Partito Comunista". Alla fine del Congresso, il 27 agosto il presidente del Comintern Zinov'ev con Bucharin e Lenin inviavano al Psi e a «tutto il proletariato rivoluzionario» italiano l'invito a discutere al più presto in un Congresso le 21 condizioni. L'appello sarà pubblicato in Italia solo il 30 ottobre su L'Ordine Nuovo, quindicinale socialista torinese diretto da Antonio Gramsci.

Il 15 ottobre 1920 a Milano ha luogo una conferenza di tutti coloro che accettano senza riserve le 21 condizioni del Comintern. Si incontrano così gli astensionisti vicini ad Amadeo Bordiga, gli ordinovisti di Gramsci e massimalisti terzinternazionalisti come Egidio Gennari, Nicola Bombacci, Bruno Fortichiari e Francesco Misiano. La conferenza si concluderà con l'approvazione del manifesto Ai Compagni e alle Sezioni del Partito Socialista Italiano. Il manifesto si conclude con la proposta del cosiddetto programma di Milano in 10 punti ed è sottoscritto da Bombacci, Bordiga, Fortichiari, Gramsci, Misiano, Umberto Terracini e il segretario della Federazione Giovanile Socialista Italiana, Luigi Polano. Nasce così la frazione comunista del Psi.

 

 DALLA SCONFITTA DEL CENTRALISMO ORGANICO e dal rifiuto del "partigianismo" ALLA NASCITA DEL PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE (1943-1952)

 

 

 

Germania Federale, 1967. Durante una manifestazione pacifica contro la visita di Stato dello Scià di

Germania Federale, 1967. Durante una manifestazione pacifica contro la visita di Stato dello Scià di Persia Reza Pahlavi e consorte, la polizia attacca duramente i manifestanti e spara e uccide lo studente Benno Ohnesorg. Ulrike Meinhof, moglie, madre e giornalista militante della sinistra radicale tedesca, scrive articoli di fuoco contro l’intervento americano in Vietnam e in difesa degli studenti liquidati dal governo e dalla stampa come meri teppisti. Dopo l’incendio acceso in un magazzino di Francoforte, Ulrike conosce e intervista in carcere una delle responsabili: Gudrun Ensslin, figlia disinibita di un pastore protestante, madre di un figlio ripudiato e compagna di politica e di cuore di Andreas Baader. Affascinata dalla forza delle loro idee e della loro azione politica, la giornalista aiuta Gudrun a far evadere il suo compagno nella primavera del ‘70. L’evasione di Baader diventa l’atto di nascita della RAF (Rote Armee Fraktion) e avvia la clandestinità della Meinhof. Elaborato il manifesto programmatico del gruppo armato, la Meinhof segue i compagni nei campi militari palestinesi, dove verranno addestrati alle armi e alla guerriglia urbana. Baader, Meinhof e Gudrun, rientrati in patria, rapinano le banche e compiono attentati dinamitardi e omicidi per abbattere il capitalismo e lo “Stato maiale”. Inaugurano in questo modo dieci anni di piombo e sangue che li condurranno dritti all’inferno, condannandoli all’isolationsfolter e al suicidio collettivo nella divisione di massima sicurezza di Stammheim. Dietro di loro resteranno soltanto l’ottusità dogmatica e i troppi caduti incolpevoli.
È incredibile come due film distanti anni luce per concezione di linguaggio e per intenzioni artistiche, come La banda Baader Meinhof di Uli Edel e Buongiorno, notte di Marco Bellocchio, attraversino lo stesso territorio (la ribellione collettiva delle lotte sociali confluita e seppellita definitivamente dalla lotta armata) legati da innumerevoli interferenze e da sorprendenti contiguità. Concepiti in una libertà di ispirazione completa e disinteressata a dimostrare una tesi, le due opere si muovono dentro il sogno o dentro l’action a partire dai dati di realtà, dalla cronaca e dalle testimonianze di eventi cruciali che hanno generato infinite storie e mitologie. È evidente che combinati i due aspetti finiscano col rimandare e alludere a questioni politiche ancora brucianti, generando nello spettatore rimproveri o encomi secondo le differenti sensibilità chiamate in causa dai film. Innestando immagini documentarie nel fluire di un racconto di finzione, Edel, come Bellocchio, non vuole tanto restituire all’epoca la sua verità in termini di “costume” ad uso della verosimiglianza dell’assunto, quanto creare il contrappunto della Storia con cui finiscono per interagire i personaggi in una sorta di montaggio delle attrazioni fra gli eccidi legittimati dai governi (Vietnam, Cambogia, Palestina) e le esecuzioni dell’uomo politico (o economico), segnalando l’equivalenza fra gli atti criminali statali e quelli dei combattenti della RAF. Chi ha accusato Edel di aver fallito l’obiettivo dichiarato di smontare il mito della RAF o di essersi magari soltanto limitato a questo, non ha intuito l’insistenza su una prospettiva altra, più profondamente umana e lucida. Non ha avvertito il dolore costante che attraversa il film e che pesa sulle spalle dei suoi straordinari interpreti, sulla morte “per fame” di Holger Meins e sull’epilogo, l’omicidio a sangue freddo dell’industriale Hanns Martin Schleyer eseguito dalla “seconda generazione”.
In quelle due immagini c’è l’impatto dell’emozione, il dolore per la perdita di una vita, il rimpianto per tutto quello che avrebbe potuto essere e non è stato, per il funerale dell’essere umano lasciato senza consolazione in un bosco o nel corridoio di un penitenziario. La banda Baader Mainhof ci rammenta che se gli anni Sessanta furono quelli del rinnovamento e dei movimenti, gli anni Settanta furono quelli del dolore e del rimpianto. Furono la strana normalità di tre ragazzi chiusi in casa e scesi in strada per godere della libertà come violenza, saltando da una finestra in un vuoto allucinatorio, nell’utopia della distruzione e del suo potere salvifico. Nella velocità dell’action Edel coglie e abita fino in fondo la dimensione sospesa della decennale esperienza terrorista, ostaggio del proprio delirio. Se la notte di Bellocchio riscopriva il (buon)giorno, quella di Edel non sa sognare albe né può offrire fughe immaginarie ai prigionieri di questa tragedia.

Locandina Il silenzio dopo lo sparo

Rita, una donna dal carattere forte e ribelle, in passato ha fatto parte della RAF, organizzazione terroristica attiva in Germania negli anni '70. Rifugiatasi nell'allora Repubblica Democratica Tedesca, ha cercato di lasciarsi alle spalle il passato, ricostruendosi una vita all'apparenza normale nell' "altro mondo" che sognava: qui trova l'amore e diventa amica di Tatjana, una donna che invece sogna di andare a vivere oltre il Muro, nella Germania Ovest. Ma proprio la riunificazione delle due Germanie segnerà la fine di tutto questo: Rita, braccata ancora una volta, dovrà infine fare i conti con il suo passato. Il film è stato presentato alla Berlinale 2002, dove le due attrici protagoniste sono state premiate con l'Orso d'Argento.

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1989. Christiane (Katrin Sass) vive nella Germania dell'Est ed è una socialista convinta. La donna cade in coma poco prima della caduta del muro di Berlino. Quando si risveglia, otto mesi dopo, il figlio Alex tenta di evitarle lo shock e fa di tutto per evitare che la madre scopra che il paese è "caduto nelle mani dei capitalisti". Campione di incassi in Germania. Che fare quando la storia va avanti per tenere tranquilli coloro i quali credevano di essere nel giusto? Raccontargli menzogne come gli venivano raccontate prima. Con la non secondaria differenza che a Lenin si è detto goodbye ma il futuro non è rose e fiori. Satira ben calibrata quella di questo film che i tedeschi ( e in particolare i berlinesi) hanno gradito moltissimo. Nel film non c'è un pacchetto di caffè o di sigarette che non ricordi loro un passato recente e non piacevole.

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Berlino Est, 1984. Il capitano Gerd Wiesler è un abile e inflessibile agente della Stasi, la polizia di stato che spia e controlla la vita dei cittadini della DDR. Un idealista votato alla causa comunista, servita con diligente scrupolo. Dopo aver assistito alla pièce teatrale di Georg Dreyman, un noto drammaturgo dell'Est che si attiene alle linee del partito, gli viene ordinato di sorvegliarlo. Il ministro della cultura Bruno Hempf si è invaghito della compagna di Dreyman, l'attrice Christa-Maria Sieland, e vorrebbe trovare prove a carico dell'artista per avere campo libero. Ma l'intercettazione sortirà l'esito opposto, Wiesler entrerà nelle loro vite non per denunciarle ma per diventarne complice discreto. La trasformazione e la sensibilità dello scrittore lo toccheranno profondamente fino ad abiurare una fede incompatibile con l'amore, l'umanità e la compassione.
All'epoca dei fatti, quando le Germanie erano due e un muro lungo 46 km attraversava le strade e il cuore dei tedeschi, il regista Florian Henckel von Donnersmarck era poco più che un bambino. Per questa ragione ha riempito il suo film dei dettagli che colpirono il fanciullo che era allora. L'incoscienza e la paura diffuse nella sua preziosa opera prima sono quelle di un'infanzia dotata di un eccellente spirito di osservazione. La riflessione e l'interesse per il comportamento della popolazione, degli artisti e degli intellettuali nei confronti del regime comunista appartengono invece a uno sguardo adulto e documentato sulla materia. Ricordi personali e documenti raccolti rievocano sullo schermo gli ultimi anni di un sistema che finirà per implodere e abbattere il Muro.
La stretta sorveglianza, le perquisizioni, gli interrogatori, la prigionia, la limitazione di ogni forma di espressione e l'impossibilità di essere o pensarsi felici sono problemi troppo grandi per un bambino. Le vite degli altri ha così il filo conduttore ideale nel personaggio dell'agente della Stasi, nascosto in uno scantinato a pochi isolati dall'appartamento della coppia protagonista. È lui, la spia, il singolare deus ex machina che non interviene dall'alto, come nella tragedia greca, ma opera dal basso, chiuso tra le pareti dell'ideologia abbattuta dalla bellezza dell'uomo e dalla sua arte. Personaggio dolente e civilissimo, ideologo del regime che in un momento imprecisato del suo incarico si trasforma in oppositore. Il "metodo" della sorveglianza diventa per lui fonte di disinganno e di sofferenza, perchè lo costringe a entrare nella vita degli altri, che si ingegnano per conservarsi vivi o per andare fino in fondo con le loro idee. Gerd Wiesler contribuisce alla riuscita dello "spettacolo" con suggerimenti, correzioni (alle azioni della polizia), aggiustamenti (dei resoconti di polizia) e note di regia che se non avranno il plauso dei superiori avranno quello dei sorvegliati. "Attori" che recitano la vita ai microfoni della Stasi e nella cuffia stereo dei suoi funzionari. La vita quotidiana fatta di paure ed espedienti è restituita da una fotografia cupa e bruna, tinte monocromatiche che avvolgono i personaggi decisi a sopravvivere, a compromettersi e a resistere. La Stasi aveva un esercito di infiltrati, duecentomila collaboratori, Donnersmarck ne ha scelto uno e lo ha drammatizzato con la prova matura e sorprendente di Ulrich Mühe. Il drammaturgo "spiato" è invece Sebastian Koch, l'ufficiale riabilitato di
Black Book, intellettuale "resistente" per salvare l'anima del teatro e della Germania.

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 

Tirpitz (52000t,affondata a Tromso il 14 novembre 1944)

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Coordinate: 69°38′50″N 18°48′30″E / 69.64722, 18.80833

Tirpitz
Tirpitz altafjord.jpg
La corazzata Tirpitz
Descrizione generale
War Ensign of Germany 1938-1945.svg
Tipo  Corazzata
Classe  Bismarck
Numero unità {{{numero_unità}}}
Costruttori  {{{costruttori}}}
Cantiere  Marinewerft di Wilhelmshaven
Matricola   
Ordine  14 giugno 1936
Impostazione 24 ottobre 1936
Varo  1º aprile 1939
Completamento  {{{completata}}}
Entrata in servizio  25 febbraio 1941
Proprietario  Kriegsmarine
Radiazione  {{{radiata}}}
Destino finale  affondata in un attacco aereo britannico il 12 novembre 1944 presso Tromsø
Caratteristiche generali
Dislocamento  a vuoto: 42.900 t (di cui il 40% dedicato alle corazze)
a pieno carico: 52.600 t
Stazza lorda  t
Lunghezza  sulla linea di galleggiamento: 241 m
complessivo: 253,60 m
Larghezza  36 m
Altezza  m
Pescaggio  standard: 8,7 m
a pieno carico: 10,2 m
Profondità operativa  {{{profondità_operativa}}} m
Ponte di volo   
Propulsione  12 caldaie a vapore modello Wagner, 3 assi d'elica (138.000 HP)
Velocità  30 nodi
Autonomia  17.200 km a 16 nodi
Capacità di carico   
Numero di cabine  {{{numero_di_cabine}}}
Equipaggio  2.608 (103 ufficiali)
Passeggeri   
Equipaggiamento
Sensori di bordo   
Sistemi difensivi   
Armamento  artiglieria:
  • 8 cannoni da 380 mm (4 torri binate)
  • 12 cannoni SK-C/28 da 150 mm (6 barbette binate)
  • 16 cannoni FlaK SKC/28 da 105 mm (su affusto binato)
  • 16 cannoncini FlaK da 37 mm
  • 46 cannoncini FlaK da 20 mm

siluri:

  • 8 tubi lanciasiluri da 533mm
Corazzatura  protezione verticale: 320 mm, orizzontale 50/80 mm
torre 340 mm
Mezzi aerei  due catapulte con quattro idrovolanti Arado Ar 196
Note
Motto   
Soprannome  "Den ensomme Nordens Dronning", ovvero La Regina solitaria del Nord, datole dai Norvegesi
 

La Tirpitz fu una nave da battaglia della Kriegsmarine tedesca, seconda e ultima unità della Classe Bismarck. Essa fu concepita, insieme alla gemella Bismarck, per essere la punta di diamante della marina tedesca. Entrata in servizio molto dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, la nave partecipò a pochissime azioni belliche, passando la maggior parte della sua vita a nascondersi nei fiordi norvegesi dagli attacchi degli Alleati; di fatto essa ebbe funzione di "fleet in being", cioè quella di tenere occupata una gran quantità di forze nemiche per via della sua pericolosità potenziale.

Dopo l'affondamento della gemella Bismarck, fu soprannominata dai norvegesi "La regina solitaria del Nord" ("Den ensomme Nordens Dronning").

Indice

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Vita operativa [modifica]

La nave venne ordinata ai cantieri navali Marinewerft di Wilhelmshaven il 14 giugno 1936, ed impostata sullo Scalo n.2 il 24 ottobre dello stesso anno (anche se la cerimonia ufficiale di impostazione si tenne il 2 novembre). La nave venne varata il 1º aprile 1939 e battezzata con il nome di Tirpitz in onore di Alfred von Tirpitz, ammiraglio della Kaiserliche Marine; madrina del varo fu la figlia dello stesso ammiraglio, Frau von Hassel [1].

Ancor prima di essere dichiarata operativa, la nave venne ripetutamente attaccata dalla Royal Air Force britannica: tra il luglio 1940 e il febbraio 1941 la nave subì ben 16 bombardamenti aerei ad opera di bombardieri Hampden, Whitley e Wellington della RAF, ma non riportò danni apprezzabili. La nave entrò in servizio il 25 febbraio 1941 al comando del capitano Friedrich Carl Topp.

Le prime operazioni [modifica]

Inizialmente la nave venne assegnata alla flotta che operava nel Mar Baltico, ma questa formazione venne sciolta dopo poco tempo e la Tirpitz venne inviata in Norvegia, da dove avrebbe dovuto prendere parte alle missioni contro i convogli che rifornivano l'Unione Sovietica; la nave giunse a Trondheim il 12 gennaio 1942. Il 6 marzo 1942 prese parte alla sua prima missione operativa (Operazione Sportpalast) cercando di attaccare il convoglio PQ-12, ma le avverse condizioni del mare impedirono l'intercettamento; la portaerei britannica HMS Victorious lanciò contro la nave dodici aereosiluranti Fairey Albacore, ma l'attacco non ebbe esito e due aerei furono abbattuti. La breve missione mise subito in luce un grave aspetto negativo che avrebbe fortemente condizionato le future operazioni della nave: in un solo giorno di navigazione la Tirpitz e i suoi cacciatorpediniere di scorta avevano consumato 8.100 tonnellate di carburante, una cifra insostenibile in quel momento per la Germania [2].

Nella notte tra il 30 e il 31 marzo, la nave, ancorata a Trondheim, fu oggetto di un pesante attacco aereo ad opera di bombardieri Halifax e Lancaster, i soli velivoli dotati di sufficiente autonomia per raggiungere Trondheim dalla Gran Bretagna; la scarsa visibilità e la cortina fumogena stesa sopra la corazzata fecero fallire la missione, e dodici aerei furono abbattuti. Il 2 luglio la Tirpitz uscì in mare per attaccare il convoglio PQ-17 (Operazione Rosselsprung), ma le avverse condizioni meteo fecero ancora una volta fallire l'intercettamento; il sommergibile sovietico K 21 dichiarò di aver colpito la corazzata con un siluro, ma la nave non riportò alcun danno. Le difficoltà riscontrate nella navigazione nelle acque artiche obbligarono la nave a sottoporsi ad alcuni lavori di manutenzione a Trondheim.

Tra il 26 e il 30 ottobre 1942, i britannici cercarono di attaccare la Tirpitz impiegando i sommergibili tascabili Chariot, copia britannica dei SLC italiani (Operazione Title). Il peschereccio Arthur, dotato di equipaggio norvegese, trasportò due Chariot e sei sommozzatori britannici fino all'imboccatura del fiordo di Trondheim; i Chariot vennero calati in acqua e agganciati all' Arthur con una speciale attrezzatura, che permetteva al peschereccio di rimorchiarli mantenedoli sotto il pelo dell'acqua. La nave riuscì ad avvicinarsi ad una distanza di 5 miglia dalla Tirpitz, ma una improvvisa tempesta ruppe i cavi di rimorchio, e i Chariot affondarono prima che i sommozzatori britannici potessero riprendere il controllo. L'equipaggio dell' Arthur e i sommozzatori vennero tutti fatti prigionieri dai tedeschi [3].

Il 6 marzo 1943 la nave tornò in mare (Operazione Sizilien), bombardando con i suoi grossi calibri alcune istallazioni britanniche sull'isola di Spitsbergen insieme all'incrociatore Scharnhorst. Poco dopo, la nave si trasferì nel fiordo di Alta.

L'Operazione Source [modifica]

Nel settembre del 1943, l'Ammiragliato britannico decise di tentare un nuovo attacco alla Tirpitz impiegando i minisommergibili Classe X (Operazione Source); sei di questi vennero traninati da sommergibili normali fino all'imboccatura del firdo di Alta. Due X Craft andarono dispersi durante il lungo viaggio verso la Norvegia, mentre un terzo (l'X 5) si guastò durante la navigazione e dovette essere affondato. Nelle prime ore del mattino del 22 settembre, i tre minisommergibili superstiti penetrarono in immersione nel fiordo di Alta. Uno di essi, l'X 10, ebbe dei gravi problemi meccanici e dovette tornare indietro. Il tenente Donald Cameron, al comando dell'X 6, riuscì invece ad avvicinarsi alla Tirpitz e a trovare un varco nella rete parasiluri disposta intorno alla nave; mentre si avvicinava allo scafo, tuttavia, l'X 6 urtò un banco di sabbia, facendo spuntare dall'acqua parte della torretta e mettendo così in allarme le sentinelle tedesche. Mentre i tedeschi aprivano il fuoco con le mitragliatrici e i cannoncini, Cameron riuscì ad avvicinarsi ulteriormente alla Tirpitz, riuscendo anche a sganciare le due cariche a tempo di cui era dotato, che rotolarono però a poca distanza dallo scafo della nave. Poco dopo l'X 6 riemerse, e Cameron e gli altri tre membri dell'equipaggio vennero fatti prigionieri. Mentre i tedeschi erano impeganti a prestare soccorso all'equipaggio dell'X 6, davanti alla Tirpitz emerse dall'acqua l'X 7 del tenente Basil Place; l'X 7 era riuscito ad aprirsi un varco nella rete parasiluri e ad avvicinarsi allo scafo della corazzata, depositando come previsto le due cariche a tempo di cui era dotato. Mentre si allontanava, l'X 7 rimase impigliato nella rete parasiluri, e nel tentativo di liberarsi era riemerso; i tedeschi aprirono subito il fuoco sul piccolo mezzo, che tuttavia fu in grado di divincolarsi dalla rete e di fuggire.

Informato dell'accaduto, il capitano della Tirpitz Hans Meyer ordinò di condurre la nave in acque più profonde. Mentre erano in corso queste manovre, la corazzata venne investita da due potenti esplosioni. L'onda d'urto delle detonazioni raggiunse anche l'X 7, facendolo riaffiorare; Place e un altro marinaio riuscirono ad abbandonare il sommergibile, che poco dopo affondò trascinando con se gli altri due membri dell'equipaggio. La Tirpitz rimase a galla, ma riportò danni gravissimi: le quattro torri dei cannoni da 380 mm si staccarono dai basamenti, uno dei cannoni da 150 mm rimase completamente bloccato, i meccanismi di tiro subirono gravi danni, e il rivestimento della turbina di babordo si piegò impedendo alle eliche di girare; la tenuta stagna aveva impedito l'affondamento, ma nello scafo si aprirono varie falle e un certo numero di intelaiature venne spezzato [4].

Il fatto che la nave fosse ancora a galla trasse in inganno la ricognizione britannica, che si rese conto dei danni riportati dalla corazzata solo al termine della guerra. I tenenti Cameron e Place vennero decorati con la Victoria Cross, mentre agli altri membri dell'equipaggio dei due sommergibili vennero distribuite tre Distinguished Service Order e una Conspicuous Gallantry Medal.

L'Operazione Tungsten e gli attacchi delle portaerei [modifica]

La Tirpitz venne trainata nel fiordo di Kaa, un crepaccio al largo del fiordo di Alta; sulle scogliere venne disposto un gran numero di batterie contraeree, mentre sulle pareti del fiordo venne installata una conduttura in grado di avvolgere in breve tempo la nave con una cortina fumogena. Vista la mancanza di strutture portuali adeguate ad una nave delle dimensioni della Tirpitz, le riparazioni dovettero essere effettuate in acqua, e, nonostante l'arrivo di numerosi tecnici ed operai direttamente dalla Germania, procedettero lentamente. L'11 febbraio 1944, bombardieri sovietici decollati da Arcangelo tentarono di attaccare la corazzata, ma 11 bombardieri su 15 non trovarono il fiordo, mentre gli altri mancarono il bersaglio.

Nell'aprile del 1944, la Royal Navy pianificò una nuova serie di bombardamenti contro la corazzata, questa volta ad opera di bombardieri in picchiata imbarcati su portaerei. Il 3 aprile venne lanciato il primo attacco (Operazione Tungsten): una grossa squadra navale, composta dalle portaerei HMS Victorious e HMS Furious, dalle navi da battaglia HMS Duke of York e HMS Anson e da 14 tra incrociatori e cacciatorpediniere, lanciò 42 bombardieri Fairey Barracuda e vari caccia Corsair, Hellcat e Wildcat di scorta. Attaccando in due ondate, i bombardieri britannici piazzarono 15 bombe da 500 kg sulla corazzata: alcune bombe esplosero sulle torrette corazzate provocando pochi danni, ma altre penetrarono il ponte superiore ed esplosero nei compartimenti sottostanti, provocando 122 morti e 316 feriti tra i membri dell'equipaggio; nonostante l'incendio scoppiato, la nave non riportò danni gravi. I britannici persero due Barracuda e un Hellcat [5].

Altre tre missioni delle portaerei britanniche, previste per il 24 aprile, il 15 maggio e il 28 maggio vennero annullate a causa delle condizioni del mare, mentre il 17 luglio (Operazione Mascot) i Barracuda trovarono la nave completamente avvolta dal fumo e mancarono il bersaglio. Il 24 agosto (Operazione Goodwood III) un Hellcat riuscì a piazzare una bomba sulla torre n.2, mentre un Barracuda sganciò una bomba perforante che trapassò due ponti ma non esplose; questi attacchi non provocarono che danni minimi, ma rallentarono i lavori di riparazione della nave.

L'affondamento [modifica]

La Tirpitz capovolta nel fiordo di Tromsø

Il compito di attaccare la Tirpitz tornò di nuovo ai bombardieri pesanti della RAF. Il 15 settembre 27 Lancaster attaccarono la corazzata impiegando le bombe Tallboy dal peso di 5.400 kg; delle 16 bombe effettivamente lanciate, una sola colpì la nave, trapassando il ponte e il rivestimento laterale ed esplodendo in acqua, deformando gravemente lo scafo a prua.

Vista l'impossibilità di riportare la nave in Germania per le riparazioni, l'ammiraglio Karl Dönitz, comandante della Kriegsmarine, ordinò di trasferire la nave in acque più basse, dove, in caso di affondamento, sarebbe stato possibile recuperarla. Spostandosi alla velocità ridotta di 10 nodi, la Tirpitz giunse a Sørbotn, presso Tromsø, dove venne adibita a batteria costiera galleggiante.

Il 12 novembre 1944, la nave venne attaccata da 31 Lancaster (Operazione Catechism); delle 29 Tallboy effettivamente lanciate, tre colpirono la corazzata, perforando il ponte corazzato al centro della nave, distruggendo due caldaie e una sala macchine e provocando uno squarcio lungo 14 metri nello scafo. Le fiamme avvolsero in breve tempo la nave, che iniziò ad inclinarsi. Dopo che un'altra esplosione ebbe squarciato la torre n.3, la nave si capovolse completamente e affondò, anche se la cima della chiglia rimase fuori dall'acqua. Dei 1.700 membri dell'equipaggio presenti a bordo, 1.058 persero la vita (tra cui il nuovo comandante, capitano di vascello Weber), mentre 87 furono salvati dalle squadre di salvataggio che praticarono fori nella chiglia con le fiamme ossidriche [6].

Al termine della guerra, lo scafo venne venduto come ferraglia al governo norvegese e demolito tra il 1948 e il 1957.

 

Yamato (nave da battaglia,72000 t,affondata ad Okinawa, 7 aprile 1945)

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Coordinate: 30°22′N 128°04′E / 30.367, 128.067

Yamato
Yamatotrials.jpg
 
Descrizione generale
Naval Ensign of Japan.svg
Tipo  nave da battaglia
Classe  Yamato
Numero unità {{{numero_unità}}}
Costruttori  {{{costruttori}}}
Cantiere   
Matricola   
Ordine  Marzo 1937
Impostazione 4 novembre 1937
Varo  8 agosto 1940
Completamento   
Entrata in servizio  16 dicembre 1941
Proprietario   
Radiazione   
Destino finale  Affondata 8 aprile 1945
Caratteristiche generali
Dislocamento  a vuoto: 65.027 t (di cui 21.266 t di corazzatura)
a pieno carico (stima): 72.800 t
Stazza lorda  t
Lunghezza  263 m
Larghezza  38,9 m
Altezza  m
Pescaggio  11 m
Profondità operativa  m
Ponte di volo   
Propulsione  12 caldaie a vapore surriscaldato Kanpon, 4 turboriduttori Kanpon, 150,000 CV (110 MW)
Velocità  27 nodi (51 km/h)
Autonomia  8.000 mn a 18 nodi (14.800 km a 33 km/h)
Capacità di carico   
Numero di cabine  {{{numero_di_cabine}}}
Equipaggio  2.750 uomini
Passeggeri   
Equipaggiamento
Sensori di bordo   
Sistemi difensivi   
Armamento  (1941): Cannoni: 9x460 mm (3x3), 12x155 mm (4x3), 12x127 mm (6x2); armamento antiaereo: 24x25 mm, 8x13 mm. Nel 1945 sei dei cannoni da 155 mm vennero sbarcati e le 2 torri laterali di questo tipo vennero rimpiazzate da altre 6 binate da 127/40 mm mentre la difesa antiaerea ravvicinata venne incrementata a 146 mitragliere da 25 mm per lo più in impianti binati
Corazzatura  torrette, 650mm frontale, 190 posteriore, 180 mm tetto, 400 fianchi; Cintura principale 409 mm degradanti a 80 verso il fondo dello scafo, non accertata la presenza di una cintura superiore da 152 mm; ponti corazzati, 200 principale, 9 mm antischegge inferiore, 35-50 sul ponte di coperta; Torrione comando, 550 mm.
Mezzi aerei  7, tra Aichi E13A e
Mitsubishi F1M
Note
Motto   
Soprannome   
 

La Yamato (大和), fu una nave da battaglia della Marina Imperiale Giapponese. Insieme alla pariclasse Musashi fu la più grande nave da battaglia mai costruita, con un dislocamento di 65.027 tonnellate ed armamento principale costituito da 9 cannoni da 460 mm.

Indice

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La costruzione [modifica]

Lo sviluppo della Yamato giunse al termine di un lungo processo di revisione dei piani di sviluppo della Marina Imperiale Giapponese, nella ottica di adeguare le unità belliche navali giapponesi nel contesto di grande potenza economica e commerciale quale già il Giappone si apprestava a divenire in quegli anni.

Nel marzo 1937, dopo una lunga sperimentazione su modelli in scala condotta nella vasca del Centro per le Ricerche Tecniche Navali di Tokio, venne elaborato il progetto definitivo che prevedeva una nave da 68.000 tonnellate. La Yamato venne impostata presso l'Arsenale di Kure il 4 novembre 1937, fu varata l'8 agosto 1940 ed entrò in servizio il 16 dicembre 1941 (nove giorni dopo l'attacco a Pearl Harbor). Era nelle intenzioni della Marina Imperiale Giapponese di costruire quattro navi di questa classe, ma la Shinano, ancora sullo scalo, venne convertita in portaerei e fu affondata nel 1944 silurata dal sommergibile americano Archerfish, la quarta nave, identificata solo come Nave da Guerra N. 111 venne smantellata nel 1943, quando era completata per circa il 30%. I piani per una classe Super Yamato dotata di cannoni da 508 mm vennero abbandonati.

Le navi da battaglia della classe Yamato erano superiori come armamento e stazza alle nuove navi da battaglia statunitensi classe Iowa che vennero progettate per sostenere le flotte portaerei vista la loro grande velocità di progetto di ben 33 nodi ed erano usate come le giapponesi classe Kongo. La lenta e inutilizzata Yamato rimase ferma in porto per gran parte della guerra. Poteva essere usata solo a sostegno di sbarchi in aree intensamente difese. Situazione che non si presentò mai ai giapponesi. Per le navi da battaglia statutitensi l'armamento principale previsto era costituito da cannoni da 406 mm, mentre la scelta Giapponese cade su un calibro superiore (460mm).

Le torri trinate da 460mm, due a prua e una a poppa, pesavano ciascuna 2.510 tonnellate senza munizionamento. Lo sviluppo di questi nuovi cannoni venne mantenuto segreto, ufficialmente l'armamento di questa classe di navi era stabilito fossero pezzi da 406mm, lo stesso calibro previsto per la classe statunitense Classe Iowa; nei bilanci annuali della Marina Imperiale Giapponese, gli ingenti costi di sviluppo di questi nuovi cannoni vennero ripartiti su voci diverse, di modo che potessero passare inosservati ai servizi di spionaggio stranieri. Ma il complesso di artiglierie non è da considerarsi per via del calibro superiore a quello delle navi statunitensi, questi avevano disponibilità di acciai migliori.

La Yamato in costruzione


 

Tavola prospettica della Yamato nella sua configurazione finale

In servizio [modifica]

Dal 12 febbraio 1942 all'11 febbraio 1943 la Yamato fu la nave ammiraglia del comandante Yamamoto, avvicendata poi dalla Musashi. Prese parte alla battaglia delle Midway (giugno 1942), senza tuttavia riuscire ad arrivare a distanza utile per poter ingaggiare le portaerei americane. Nel corso del 1943, la Yamato tornò nel cantiere di Kure ove la sua dotazione di artiglieria antiaerea venne notevolmente potenziata. Verso la metà del 1943 fece ritorno a Truk, assieme alla gemella Musashi per proteggere le isole Marshall e le isole Gilbert, senza però mai giungere a contatto con le forze americane e restando a Truk per la maggior parte del tempo. Il 24 dicembre 1943, venne gravemente danneggiata da un siluro del sommergibile USS Skate ed i lavori di ripristino furono conclusi solo nell'aprile 1944. Durante questi lavori due delle torrette da 155mm furono rimosse e sostituite da ulteriori armi antiaeree. Tornata in servizio attivo, prese parte alla battaglia del Mare delle Filippine (giugno) e a quelle del Golfo di Leyte e del Golfo di Samar (ottobre); qui, per la prima volta, fece uso del suo armamento principale, sparando 104 colpi da 460mm e, probabilmente, colpì un cacciatorpediniere ed una portaerei. Tornò in patria nel mese di novembre. Durante l'inverno venne ulteriormente potenziato il suo armamento antiaereo.

L'ultima missione della Yamato fu l'Operazione Ten-Go (l'ultima sortita della marina imperiale Giapponese), organizzata in seguito all'invasione di Okinawa (1 aprile 1945). Sotto il comando del Vice-ammiraglio Yokuyama e con la scorta di un incrociatore leggero ed otto cacciatorpediniere, fu mandata ad attaccare la flotta americana che appoggiava lo sbarco nella parte occidentale dell'isola. Lo scopo era quello di allontanare da Okinawa le portaerei per favorire l'attacco dei kamikaze contro la flotta di invasione (circa 1.500 navi) che appoggiava lo sbarco. Se fosse riuscita a raggiungere Okinawa, la Yamato sarebbe dovuta andare ad arenarsi tra Hagushi e Yontan e combattere sino all'ultimo come batteria costiera, in appoggio ai difensori dell'isola.

Poiché fin dall'inizio questa era stata intesa come una missione suicida, fu rifornita del carburante sufficiente per il solo viaggio di andata verso Okinawa; comunque gli addetti al deposito di carburante di Tokiuyama, coraggiosamente, ignorarono gli ordini e fornirono molto più carburante alla squadra. La Yamato e la sua scorta lasciarono il porto di Tokuyama il pomeriggio del 6 aprile 1945. La mattina del 7 aprile la squadra fu avvistata all'uscita del Mare Interno del Giappone da due sottomarini USA e da un ricognitore della portaerei Essex.

Verso mezzogiorno, una forza di quasi 400 aerei americani della Task Force 58, in ondate successive, attaccò le unità giapponesi. Alle 12:41 la Yamato fu colpita dalle prime due bombe. Fu colpita complessivamente da almeno 13 siluri e 10 bombe prima che, verso le 14:20 esplodesse il deposito munizioni N.1. La nave si inclinò sul fianco sinistro ed affondò, mancavano circa 370 miglia a Okinawa. Nell'affondamento persero la vita circa 2.375 uomini e ci furono 269 sopravvissuti. Delle navi della sua scorta, quattro furono affondate e cinque gravemente danneggiate e costrette a rientrare in Giappone. Le perdite americane furono 10 aerei e 12 piloti. Il relitto giace a circa 300 metri di profondità ed è stato esplorato nel 1985 e nel 1999.

La Yamato nel 1941

L'esplosione della Yamato


 

La Yamato nella cultura e nella finzione [modifica]

Musashi (nave da battaglia, 72000T,affondata a Leyte il 26 ottobre 1944)

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Coordinate: 13°07′N 122°32′E / 13.117, 122.533

Musashi
Japanese battleship Musashi.jpg
La Musashi nell'ottobre 1944 mentre si dirige al Golfo di Leyte
Descrizione generale
Naval Ensign of Japan.svg
Tipo  nave da battaglia
Classe  Yamato
Numero unità {{{numero_unità}}}
Costruttori  {{{costruttori}}}
Cantiere   
Matricola   
Ordine  29 marzo 1938
Impostazione 1 novembre 1940
Varo  5 agosto 1942
Completamento   
Entrata in servizio   
Proprietario   
Radiazione   
Destino finale  Affondata 24 ottobre 1944
Caratteristiche generali
Dislocamento  a vuoto: 68.200 t
Stazza lorda  t
Lunghezza  263 m
Larghezza  38,9 m
Altezza  m
Pescaggio  11 m
Profondità operativa  m
Ponte di volo   
Propulsione  12 caldaie a vapore surriscaldato Kanpon, 4 turboriduttori Kanpon, 150.000 CV (110 MW), 4 eliche tripala da 6 m di diametro
Velocità  27,46 nodi (50,86 km/h)
Autonomia  7.200 mn a 16 nodi (13.000 km a 30 km/h)
Capacità di carico   
Numero di cabine  {{{numero_di_cabine}}}
Equipaggio  2.399 uomini
Passeggeri   
Equipaggiamento
Sensori di bordo   
Sistemi difensivi   
Armamento  (1942): Cannoni: 9x460 mm (3x3), 12x155 mm (4x3), 12x127 mm (6x2); armamento antiaereo: 24x25 mm (8x3), 4x13 mm (2x2). Nel 1944 sei dei cannoni da 155 mm vennero sbarcati , mentre la difesa antiaerea ravvicinata venne incrementata a 130 mitragliere da 25 mm perlopiù in impianti binati
Corazzatura  torrette, 650mm frontale, 190 posteriore, 180mm tetto, 400 fianchi; Cintura principale 409 mm degradanti a 80 verso il fondo dello scafo, non accertata la presenza di una cintura superiore da 152mm; ponti corazzati, 200 principale, 9mm antischegge inferiore, 35-50 sul ponte di coperta; Torrione comando, 550mm
Mezzi aerei  7, tra Aichi E13A e
Mitsubishi F1M, due catapulte di lancio
Note
Motto   
Soprannome   
 

La Musashi (武蔵?), dal nome dell'antica provincia giapponese di Musashi, fu una nave da battaglia della Marina Imperiale Giapponese, e fu la seconda e ultima nave della classe Yamato ad essere completata come nave da battaglia. Assieme alla nave gemella, la Yamato, faceva parte della più grande, pesante e potente classe di navi da battaglia mai costruite.

Storia [modifica]

Nel giugno 1937, degli ingegneri del cantiere Mitsubishi di Nagasaki, incluso il direttore Kensuke Watanabe e l'ingegnere navale Kumao Baba, ricevettero ordine di iniziare i preparativi per la costruzione di una nave da battaglia della nuova classe. L'espansione dello scivolo numero 2 ispirò gli esecutivi della marina ad ingaggiare il cantiere di Nagasaki per l'oneroso contratto. Appositamente per questa nave furono costruite delle gru galleggianti della capacità di 150 e 350 tonnellate per sollevamenti pesanti. Costruita sotto le più strette misure di segretezza, tra cui l'erezione di grandi schermi per nascondere la costruzione dall'ambasciata statunitense di fronte al porto, la nave da battaglia fu impostata il 1 novembre 1940, e trascorse quasi diciotto mesi in allestimento. La data del varo fu rivista varie volte per consentire le modifiche richieste dalla marina, incluse una corazzatura maggiore sulle torrette da 155 mm e l'installazione di sistemi di comunicazioni agguntivi.

Varata il 5 agosto 1942, si diresse all'arcipelago di Truk, dove divenne la nave ammiraglia dell'ammiraglio Isoroku Yamamoto. Dopo la sua morte avvenuta il 18 aprile 1943, la Musashi trasportò in Giappone le sue ceneri. Fece ritorno a Truk il 5 agosto 1943, e vi rimase fino al 10 febbraio 1944. La sua unica attività in questo periodo fu un'uscita verso le isole Marshall , durante la quale non incontrò alcuna forza nemica. Il 29 marzo 1944, fu colpita da un siluro del USS Tunny, e dovette ritornare in Giappone per delle riparazioni e delle modifiche al suo armamento antiaereo.

Durante la battaglia del golfo di Leyte, assieme alla Yamato, fece parte della forza centrale del vice ammiraglio Takeo Kurita. In questa battaglia il 24 ottobre 1944, venne attaccata nel mare di Sibuyan da aerei delle navi americane: il primo contatto con gli aerei nemici avvenne alle 10:27, quando otto bombardieri SB2C Helldiver provenienti dalla USS Intrepid attaccarono la nave con bombe da 227 kg. Ondata dopo ondata, gli attacchi dalle navi USS Intrepid, USS Essex e USS Lexington centrarono la nave con 17 bombe e 20 siluri. La Musashi si rovesciò a babordo, e affondò alle 19:25 del 24 ottobre, portando con sé più di 1000 dei suoi 2399 membri dell'equipaggio; 1376 uomini vennero soccorsi dalle cacciatorpediniere Kiyoshimo e Shimakaze.

L'imperatore Hirohito mentre visita la Musashi

La Musashi sotto attacco durante la Battaglia del mare di Sibuyan, il 24 ottobre 1944.


 

Altri progetti [modifica]

 

 

 

 
 

 

 

 

 

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Armata Rossa giapponese

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Japanese Red Army Armata Rossa Giapponese
日本赤軍 日本赤军

Dates of operation Date del funzionamento

1971–2001 1971-2001

Leader Leader

Fusako Shigenobu Fusako Shigenobu

Motives Motives

Proletarian revolution in Japan, World Revolution rivoluzione proletaria in Giappone, World Revolution

Active region(s) regione attiva (s)

Japan , Southeast Asia and Middle East Giappone , Sud-Est Asiatico e Medio Oriente

Ideology Ideologia

Communism Comunismo

Notable attacks Notevoli gli attacchi

Lod Airport massacre , Hijacking of Japan Airlines Flight 351 , Malaysia Airlines Flight 653 (suspected) Aeroporto di Lod massacro , dirottamento del volo 351 della Japan Airlines , Malaysia Airlines Flight 653 (sospetta)

 

Struttura economica e sociale della Russia d'oggi

Struttura economica e sociale della Russia d'oggi

di Bordiga Amedeo

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STRUTTURA ECONOMICA E SOCIALE DELLA RUSSIA D'OGGI (I)
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[Premessa] [Parte prima] [Parte seconda] [Parte terza] [Intermezzo] [Collegamento] [Appendice]


Content:

Amadeo Bordiga (Ercolano, 13 giugno 1889 Formia, 23 luglio 1970) è stato un politico, rivoluzionario comunista italiano. Fu a capo della principale corrente (quella degli astensionisti del PSI) che portò alla fondazione del Partito Comunista d'Italia dopo la scissione avvenuta al Congresso di Livorno del PSI nel 1921. Da militante rivoluzionario, lottò apertamente contro l'involuzione stalinista della Terza Internazionale e si adoperò, fino ai suoi ultimi giorni, per il partito comunista mondiale, cioè per un partito che fosse sempre perfettamente coerente con la dottrina marxista e che superasse i limiti intrinseci di omogeneità teorica della stessa formula dell'Internazionale comunista.

La formazione di Bordiga fu di carattere scientifico. A differenza della quasi totalità dei politici moderni, egli, abbracciando il marxismo, sottopose fin da ragazzo la teoria politica a una visione scientifica piuttosto che il contrario (nelle sue opere della maturità sostenne che la scienza moderna è marcatamente influenzata dall'ideologia). Il padre Oreste, piemontese, fu uno stimato studioso di scienze agrarie, la cui autorevolezza era riconosciuta specialmente a proposito dei secolari problemi agrari del Mezzogiorno italiano. Lo zio paterno, Giovanni, fu matematico, esperto di geometria proiettiva, insegnante all'università di Padova, militante del radicalismo tardo risorgimentale (appassionato d'arte, fondò tra l'altro la Biennale di Venezia).

La madre, Zaira degli Amadei, discendeva da una antica famiglia fiorentina e il nonno materno fu cospiratore nelle lotte risorgimentali. L'ambiente familiare fu dunque fondamentale nella formazione del giovane rivoluzionario, che seppe fondere la scienza con l'arte, come ebbe a dire nel 1960 a proposito dell'intero movimento rivoluzionario. Con queste premesse, Bordiga si laureò in ingegneria al Politecnico di Napoli nel 1912. Aveva già conosciuto il movimento socialista al liceo, tramite il suo professore di fisica (Calvi) e nel 1910 aveva aderito al Partito Socialista Italiano.

L'opposizione dei socialisti radicali alla Guerra di Libia lo vide in prima linea nelle assemblee e in piazza, come registrano i rapporti di polizia. Nell'aprile del 1912 fondò con alcuni giovani compagni il Circolo Carlo Marx, gruppo che uscì dalla sezione napoletana del PSI ma non dal partito, rientrandovi quando terminò il tentativo delle manovre bloccarde con i massoni. Sotto la sua influenza, la sezione napoletana del partito divenne il nucleo di una combattiva corrente che poco a poco si fece strada nei convegni locali della gioventù socialista e nei congressi nazionali del partito. Nello stesso tempo cresceva l'esperienza di lotta, vissuta in una delle aree industriali, quella ad est di Napoli, che allora era tra le più sviluppate d'Italia.

Il suo rifiuto dell'approccio pedagogico alla politica divenne in quegli anni uno dei suoi cavalli di battaglia. Fu fin dall'inizio profondamente ostile alla democrazia rappresentativa, che considerava strettamente legata all'elettoralismo borghese: "Se esiste una totale negazione dell'azione democratica, essa va ricercata nel socialismo" (In Il Socialista, 1914). Fu contrario alla libertà di azione concessa ai parlamentari socialisti, che invece egli voleva porre sotto il diretto controllo della direzione del partito. Similmente alla maggior parte dei socialisti nei paesi mediterranei, fu avversario severo della massoneria.

Allo scoppio della guerra, nel 1914, si distinse per la sua campagna rigorosamente antimilitarista. Nel 1915 fu chiamato alle armi e dovette sospendere l'attività aperta contro la guerra. Esonerato dal servizio attivo per grave miopia, riprese l'attività politica presentando nel partito, nel 1917, una mozione contro la formula ambigua e fuorviante di "né aderire né sabotare". Destò grande sorpresa fra i dirigenti del partito il risultato della votazione: 14.000 voti per la mozione della Sinistra e 17.000 per quella degli altri raggruppamenti. Nell'agosto del 1917 Bordiga fu l'animatore della "Frazione Intrasigente Rivoluzionaria", della quale scrisse le tesi politiche, fatte accettare quasi all'unanimità al seguente congresso della Federazione Giovanile.

Allo scoppio della Rivoluzione russa nell'ottobre del 1917, aderì al movimento comunista internazionale e formò la "Frazione Comunista Astensionista" all'interno del PSI. La frazione si diceva astensionista in quanto si opponeva alla partecipazione alle elezioni borghesi e fu questa corrente, alla quale si affiancò quella torinese dell'Ordine Nuovo di Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, a uscire dal PSI a Livorno nel gennaio 1921 per formare il Partito Comunista d'Italia (Pcd'I). Era l'epilogo di una lunga divisione interna ai socialisti, che fin dal 1919 si erano trovati nel dilemma se accettare o meno interamente le condizioni poste da Lenin per entrare nella Terza Internazionale.

Nel corso delle dispute su queste condizioni, Bordiga, partecipando al Secondo Congresso dell'Internazionale Comunista nel 1920, fece aggiungere 2 condizioni alle 19 già fissate da Lenin. Nonostante l'appoggio di Lenin ai comunisti italiani contro i riformisti del PSI, le posizioni astensioniste di Bordiga furono criticate dallo stesso Lenin in "L'estremismo: una malattia infantile del comunismo" (cui Bordiga rispose negli anni Cinquanta con un saggio contro i falsificatori di Lenin). La storia del movimento comunista mondiale, con la disastrosa deriva opportunista e stalinista di tutti i partiti comunisti, accelerata ed aggravata proprio dalla tattica del fronte unico, si prese poi la briga di dimostrare la correttezza delle posizioni astensioniste.

Sotto la guida carismatica di Bordiga il Partito Comunista d'Italia si avviò ad essere un organismo assai dissimile dagli altri partiti che avevano aderito all'Internazionale. La composizione prettamente operaia non aveva prodotto la solita gerarchia interna piramidale con al vertice gli intellettuali. D'altra parte, la pur rigorosa disciplina interna non si fondava tanto su disposizioni statutarie quanto sul programma e su quello che proprio in quel periodo si stava configurando come "centralismo organico". Questo particolare assetto "naturale" fu spiegato e rivendicato già dal 1921 come elemento distintivo della Sinistra Comunista "italiana". In un articolo dello stesso anno, Bordiga chiarisce che il partito rivoluzionario si caratterizza per il fatto di essere già il progetto, la base fondante della società futura e da questa deriva la sua specifica natura e struttura, mentre rigetta ogni meccanismo interno mutuato dalla società presente.

Bordiga fu eletto nel Comitato Centrale del Pcd'I e vi rimase fino al suo arresto nel 1923. Nel giugno egli e gli altri dirigenti arrestati vennero sostituiti alla direzione del partito per ordini di Mosca. Assolto al processo, rifiutò di entrare nel comitato esecutivo. Nel 1926 partecipò al Congresso clandestino di Lione, dove la Sinistra fu messa in minoranza dai centristi allineati a Mosca (Gramsci, Togliatti, Terracini, tra gli altri, si erano schierati con il campo che si stava delineando come stalinista) con vari espedienti, nonostante disponesse ancora della stragrande maggioranza dei voti congressuali.

Subito dopo il Congresso di Lione, in cui furono presentate le ultime tesi che la Sinistra Comunista poté scrivere in difesa dell'Internazionale, Bordiga partecipò al VI Esecutivo allargato dell'IC, dove tentò per l'ultima volta di intervenire in difesa dei principii fondanti di quello che doveva essere il partito mondiale. Nello stesso anno fu arrestato e inviato al confino sull'isola di Ustica, dove con Gramsci contribuì a organizzare la vita dei prigionieri. Al rilascio fu sempre più emarginato dall'attività politica finché il 20 marzo 1930 venne espulso per aver difeso Leone Trockij nonostante le divergenze con lui. Per diversi anni non poté più svolgere politica attiva, controllato notte e giorno dalla polizia fascista.

Bordiga aveva un rapporto quasi paterno e protettivo nei confronti del giovane Gramsci, fisicamente poco adatto alla dura lotta politica del tempo, in ambiente di guerra civile. Cercava di assecondare come poteva "il suo lento evolvere dall'idealismo filosofico al marxismo". Gli fu amico anche nei momenti di dura polemica. Lo sarebbe stato anche se avesse conosciuto la sua corrispondenza segreta con Togliatti e gli altri centristi di minoranza alleati a Mosca che lavoravano alla liquidazione della Sinistra: essendo completamente estraneo alle manovre politiche sia concretamente che come mentalità, badava alla salvaguardia del partito rivoluzionario indipendentemente dalle sue componenti interne e dai numeri di iscritti che esse coinvolgevano.

Quando il gruppo gramsciano si avvicinò alla Sinistra, reputò "leale" il titolo della sua rivista, che non parlava di Classe, Stato e Società come facevano i comunisti, ma genericamente di "Ordine Nuovo". Bordiga scherzava sulla concezione antideterministica di Gramsci, che ancora nel 1919 interpretava la Rivoluzione d'Ottobre come una specie di "miracolo della volontà umana", contro ogni determinismo delle reali condizioni economiche e politiche della Russia: "Solo a rilento Gramsci accettò le direttive marxiste sulla dittatura del partito e sulla stessa incidenza del sistema marxista, fuori dell'economia di fabbrica, in una visione radicale di tutti i rapporti di fatti nel mondo umano e naturale". Quando poi conobbe Lenin, racconta ancora Bordiga, "la cosa non restò senza effetto; maestro ed allievo non erano da dozzina".

Gramsci ammetteva di non accettare tutto del marxismo e di maturare lentamente, tanto che rispose a tono: "Preferiremo sempre quelli che imparano lentamente capitoli del marxismo a quelli che li dimenticano". Ma ancora nel 1926, in margine al Congresso di Lione, quando ormai la Sinistra era liquidata, a una precisa affermazione di Bordiga, che ormai considerava un avversario da rimuovere, rispose: "Do atto alla sinistra di avere finalmente acquisita e condivisa la sua tesi, che l'aderire al comunismo non comporta solo aderire ad una dottrina economica e storica e ad una azione politica, ma una visione ben definita, e distinta da tutte le altre, dell'intero sistema dell'universo anche materiale".

Al confino insieme per qualche tempo a Ustica alla fine del 1926, Bordiga e Gramsci organizzarono una "scuola di partito" per prigionieri dove nessuna "materia" era esclusa. Di comune accordo, tenevano a turno "lezioni" in cui l'uno esponeva la materia secondo le tesi dell'altro, scherzando alla fine sul confronto delle eventuali manchevolezze di ognuno (Le citazioni in corsivo sono memorie di Bordiga).

In seguito allo sbarco alleato e allo spostamento al Nord del fronte di guerra nel 1944, intorno a Bordiga si raccolsero i vecchi compagni del 1921. Con la guerra ancora in corso, furono presi contatti clandestini con i compagni del Nord. Nell'immediato dopoguerra vi furono le prime riunioni congiunte, ma Bordiga rifiutò di far parte del partito se fosse rinato nuovamente sulle basi della vecchia Internazionale degenerata. Iniziò quindi a collaborare al periodico "Battaglia Comunista" (1945), organo del neo-costituito Partito Comunista Internazionalista.

All'uscita della rivista "Prometeo" (1946), organo teorico dello stesso partito, scrisse sul primo numero un Tracciato d'impostazione che doveva servire da riferimento programmatico. Nel 1949 iniziò a scrivere la serie di 136 articoli "Sul filo del tempo", tesa a dimostrare la necessaria continuità fra le origini del movimento comunista e i compiti attuali. Sulla base di tale impostazione teorica scrisse una gran mole di articoli e saggi tendenti a dimostrare che l'URSS era da considerarsi un paese capitalista impegnato in un "industrialismo di stato". Questa posizione lo poneva in irriducibile contrasto con lo stalinismo ed il togliattismo, che sostenevano invece l'idea che in Russia si stesse "costruendo il socialismo in un paese solo".

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Interessante libro sopra gli ultimi momenti del Reich. La storia, la breve vita, del governo succeduto ad Hitler dal 1 maggio 1945, costituito dalle sinistre figure fuoriuscite dal bunker tombale che tentarono fino all'ultimo secondo di salvare la pelle rifugiandosi nell'estremo nord,a Flensburg, a ridosso del confine con la Danimarca, lasciando al proprio destino il defenestrato numero due del Reich, Goering,che pomposamente si crogiolava nell'estremo sud della Baviera pensando di essere al sicuro,ed il mefistofelico Himmler, che dalla roccaforte di Praga,una volta vista la liquefazione del fronte orientale si precipitava anch'esso nell'estremo nord allo scopo di ricevere un assurdo "lasciapassare". Il 9 maggio da Flensburg veniva dato il placet alla firma dell'armistizio, il 18 maggio tutti i componenti dell'ultimo gabinetto nazista venivano arrestati: iniziava così il Processo di Norimberga....

LA VERA FINE DEI COMUNISTI IN ITALIA(...MANCA POCO ANCHE PER I PIDIOSSINI DI BERSANI:PIU' DI 6 MILIONI DI VOTI PERSI IN DUE ANNI.)

QUESTA E' UNA MIA PERSONALE SODDISFAZIONE:ANNI FA MI CONSUMAI LE MANI A FURIA DI SCRIVERE LORO DEL MIO DISAGIO, DI LAVORI DI MERDA, DI LICENZIAMENTI SUBITI, DI UMILIAZIONI SENZA MAI RICEVERE SODDISFAZIONE. OGGI ANCHE LORO SI TROVANO NELLA MERDA FINO AL COLLO E PER ME E' UNA SODDISFAZIONE: "SE PER COLPA DI ALTRI FINISCI NEI GUAI, FAI IN MODO CHE CHI TI HA MESSO IN TALE SITUAZIONE FINISCA IN GUAI ANCORA PEGGIORI!!!"

Rifondazione e Pdci, funzionari cassintegrati

Finiti i fondi dei due partiti di sinistra, i dipendenti restano senza lavoro

Da partiti che ambivano a rappresentare i cassintegrati, a partiti che finiscono per essere costituiti "da" cassintegrati. Non c’è, ovviamente, solo la differenza di un articolo, fra queste due condizioni, ma la storia di un passaggio di epoca, la radiografia di un drammatico terremoto politico. Stiamo parlando di Pdci e Rifondazione (ma anche dei Verdi), ovvero dei partiti che dopo le ultime elezioni sono diventati zombie, costretti a demolire il loro apparato, a dismettere i (pochi) gioielli di famiglia rimasti, a chiudere i giornali, ad alienare le sedi, e – soprattutto – a licenziare e prepensionare tutti i loro dipendenti, proprio come nei processi di deindustrializzazione che in questi anni hanno tenacemente combattuto. Colpa degli sbarramenti elettorali, prima di tutto: che colpiscono non solo la rappresentanza, ma - solo in Italia - anche il diritto a ottenere rimborsi. E colpa anche, come vedremo fra breve, della strategia di Silvio Berlusconi E del Pd (due facce della stessa melmosa medaglia), che ha mirato a fare terra bruciata di tutte le organizzazioni politiche che avevano popolato la Seconda Repubblica. Un fenomeno, quindi, che non può indurre al sorriso, o a facili battute, ma che deve essere anche letto - qualunque cosa si pensi di questi partiti - come una ulteriore restrizione degli spazi democratici.

NON PIU’ VIRTUOSI. Il nostro viaggio non può che partire dal Pdci di Oliviero Diliberto, che fino alla catastrofe elettorale della lista arcobaleno del 2008 era additato come modello di gestione economica persino da un analista non certo tenero come Gianmaria De Francesco, cronista economico de Il Giornale: apparato ridotto, conti in regola, rapporto virtuoso tra eletti, voti e militanti, che garantiva solidi attivi di bilancio. Ebbene, la notizia che in queste ore, per motivi comprensibili, si prova a mantenere segreta, è che il partito è ormai alla bancarotta. Sul conto corrente ci sono solo 160 mila euro, quelli che bastano a malapena a gestire l’amministrazione ordinaria. Dei 21 dipendenti 17 sono stati posti in cassa integrazione. Ne rimangono solo quattro, di cui uno per motivi legali è l’amministratore, l’altro è un centralinista, l’altro è il segretario del segretario, e l’ultimo un organizzatore, ovvero il presidio minimo per cui il cuore dell’organizzazione non cessi di battere all’istante.

Ancora più drammatica la situazione di Rinascita, il settimanale che ai tempi di Armando Cossutta fu oggetto di una contesa per il valore della testata, prestigiosa e direttamente riconducibile alla memoria di Palmiro Togliatti. Ecco, adesso il settimanale del Pdci è tecnicamente fallito, ha cessato le pubblicazioni, e tutti i giornalisti sono stati anche loro cassintegrati. Rinascita, che non aveva mai perso il suo ridotto ma il solido presidio di lettori costava da solo 900 mila euro l’anno, un lusso per un partito che deve tagliare gli stipendi a tutti. Già la storia di questo tracollo economico spiega come ci sia lo zampino del governo. Il settimanale, infatti, era uno dei pochi organi di partito, tra quelli che hanno diritto al sovvenzionamento pubblico, che non copriva in modo surrettizio altri scopi o altri fini. Ma la norma con cui Tremonti ha tolto il cosiddetto "diritto soggettivo" al finanziamento ha di fatto reso discrezionale l’accesso ai fondi dell’editoria: mentre prima le banche anticipavano le cifre a cui il giornale avrebbe avuto in ogni caso diritto in base alla sua tiratura, adesso – non essendoci più nessuna certezza, visto che si combatte ad ogni Finanziaria sulla copertura delle quote – non fanno più nessun credito.

Infine il doloroso capitolo del bilancio del partito. Ancora nel 2008 aveva quattro gettiti importanti: il tesseramento, il finanziamento pubblico, i rimborsi elettorali e le rimesse degli eletti locali e nazionali, che devolvevano il 50% del proprio stipendio netto al partito. Nelle ultime politiche e alle europee, il Pdci non ha superato il quorum del 4%. E in questo caso, per via di un liberticida emendamento alla legge voluto in Parlamento dai veltroniani (Berlusconi era incerto), né Rifondazione, né i Verdi, né il Pdci hanno ottenuto un solo centesimo. Un piccolo assurdo democratico: infatti, la quota dei voti che questi partiti ottengono contribuisce a finanziare i loro avversari politici di centrodestra, o i loro concorrenti di sinistra rappresentati. Ma nel caso del Pdci le europee sono state come un tavolo da poker. Oliviero Diliberto ha deciso di puntare le sue residue risorse (quasi tre milioni di euro) per promuovere i propri candidati nell’alleanza con Rifondazione. Risultato paradossale: tutti e quattro i candidati del partito erano arrivati primi nella battaglia delle preferenze, centrando l’obiettivo. Ma, ancora una volta, il risultato elettorale, inferiore di 0.6 decimi di punto al quorum, ha sottratto all’alleanza elettorale quasi sei milioni di euro di finanziamento.

NAPOLI ADDIO. A via del Policlinico la situazione è altrettanto drammatica. "Io, che ho passato una vita a difendere i lavoratori dai licenziamenti – ammette con sofferenza Paolo Ferrero, segretario del partito – mi sono trovato a dover sottoscrivere la drammatica necessità di quaranta licenziamenti". A cui, per giunta,si aggiungono, anche in questo caso, altri 40 dipendenti messi in cassa integrazione. E a cui si aggiunge la situazione precarissima di Liberazione, che ha già tagliato la foliazione, e ha dovuto mettere in solidarietà tutti i suoi dipendenti. Le vendite sono passate dalle 16 mila copie dell’era Curzi alle 4800 attuali. Ad aprile è prevista una verifica dei conti a cui il giornale potrebbe non sopravvivere.

Le ultime elezioni vedevano partire il cartello della federazione da 48 consiglieri regionali, che dal punto di vista finanziario portavano 5 mila euro a testa ogni mese. In queste elezioni i due partiti sono passati a 18. 14 di Rifondazione, solo 4 del Pdci. Ma il quorum è stato mancato in Lombardia, che portava uno dei rimborsi elettorali più cospicui. A via del Policlinico resta (per ora) un apparato di 40 funzionari. Come pagarli? Per ora nell’unico modo possibile: mettendo in vendita un pezzo forte del patrimonio, la sede di Napoli. Ma per resistere fino alle prossime politiche, nella speranza di passare il quorum, ci vorrà altro. Unica storia controtendenza? Quella di Sinistra e libertà, che ha ottenuto quasi lo stesso numero di eletti della federazione (18). Il caso virtuoso? Proprio in Puglia, dove Vendola ha trainato la lista al 9%, producendo un rimborso adeguato. Retroscena incredibile: Vendola ha speso solo 400 mila euro (contro sei milioni circa del suo avversario, Rocco Palese) perché il Pd, per via delle note ruggini, aveva trattenuto i 300 mila euro raccolti con le primarie. Vendola otterrà di rimborso molto di più. Li userà per finanziare le primarie nazionali in vista del 2012?

LA CORSA PD ALL'ANNIENTAMENTO: ALLE ELEZIONI DEL 2013 CAPOLISTA PD SULLEY MUNTARI. Impauriti dal RICORSO DI BEPPE GRILLO CONTRO L'ELEZIONE DEL DUO LOMBROSIANO ( SI LO PSEUDO SCENZIATO CHE RITENEVA DI AVER TROVATO LA MOTIVAZIONE ANCESTRALE DELLA DELINQUENZA DALLA CONFORMAZIONE DEI CRANI...) FORMIGONI-ERRANI, NELLA PAURA DI PERDERE UN LORO MERDOSO VICERE' - ERRANI - IN EMILIA/ROMAGNA, I PIDIOSSINI VOTANO UNA LEGGE BIPARTISAN PER LEGALIZZARE L'ILLEGALE, IL FUORILEGGE, LA MERDA COME LORO!!!! PER ORA LA LORO EMORRAGIA SI E' FERMATA A 6 MILIONI DI VOTI, NON GLI BASTA....DOPO I 32 MERDOSI FUGGITI AL VOTO PER LO SCUDO MAFIOSO FISCALE, DOPO LA MODIFICA DS/FORZAITALIONTA DELL'ARTICOLO COSTITUZIONALE 111 SUL GIUSTO PROCESSO NEL 1999 (QUELLO CHE CANCELLAVA IL RIPORTO DELLE TESTIMONIANZE DEI TANGENTISTI NEL PROCESSO PENALE AI POLITICI CON MODIFICA DELL'ARTICOLO 513 DEL CODICE PENALE), ECCO IL TRIS DEI MERDOSI....

Siore e siori, sempre più difficile! Pur di non opporsi, l’opposizione all’italiana chiamata Pd s’è prodotta ieri in un triplo salto mortale carpiato con avvitamento e scappellamento a destra, un numero mai riuscito né provato prima d'ora. Ricordate il decreto salva-liste che sanava ex post le illegalità nella presentazione delle liste Pdl a Milano e Roma? Bene, era illegale, incostituzionale e inutile. Illegale perché una legge del 1988 vieta i decreti in materia elettorale (onde evitare il rischio che si voti con una regola e poi, se il decreto non viene convertito in legge, quella regola decada dopo il voto e si debba tornare alle urne). Incostituzionale perché sanava solo le irregolarità di alcune liste e non di altre e perché cambiava le regole del gioco a partita iniziata. Inutile perché modificava per via parlamentare una legge regionale. Incuranti di questi dettagliucci, i presidenti del Consiglio e della Repubblica lo firmarono a piè fermo. Il Pd gridò allo scandalo (ma solo per la firma di Berlusconi: quella di Napolitano era ottima e abbondante), annunciò la fine del "dialogo sulle riforme", portò la gente in piazza del Popolo a protestare contro l’atto eversivo.

Motivazione ufficiale, fremente di sdegno: "Se il governo indossa gli anfibi e scende in piazza con attacchi violenti contro le istituzioni, noi non restiamo certo in pantofole". Qualcuno, chiedendo scusa alle signore, parlò financo di regime. Non contenti, due giorni fa i piddini organizzarono un’imboscata per affossare il decreto alla Camera, bocciandone la conversione in legge grazie alle consuete assenze nella maggioranza e alle inconsuete presenze nell’opposizione. Un miracolo mai accaduto prima: l’opposizione più stracciacula della storia dell’umanità riesce a mandar sotto il governo, senza sopperire con le proprie assenze – come invece era accaduto sulla mozione anti-Cosentino e sullo scudo fiscale – a quelle endemiche del centrodestra. Ma niente paura: l’illusione di un’opposizione che si oppone è durata l’espace d’un matin.

Ieri il Pd, sgomento per l’inatteso e involontario successo, s’è subito pentito. Ha riposto gli anfibi, ha recuperato le pantofole di peluche ed è tornato al suo passatempo preferito: l’inciucio. Tenetevi forte, perché la notizia è grandiosa: onde evitare di invalidare le elezioni regionali appena tenute in base al decreto ormai defunto, la maggioranza più comica della storia ha presentato in fretta e furia una leggina per salvare gli effetti del decreto medesimo, ribattezzata dai magliari di Palazzo Chigi "legge salva-effetti", e sbrogliare il gran casino creato dal Banana con la partecipazione straordinaria di Napolitano.

Così il decreto, cacciato dalla porta, è rientrato dalla finestra in meno di 24 ore. A quel punto qualunque persona sana di mente avrebbe mantenuto le posizioni di partenza: la maggioranza pro-decreto avrebbe detto sì alla salva-effetti, l’opposizione anti-decreto avrebbe detto no. E infatti l’Idv ha detto no e perfino l’Api di Rutelli s’è astenuta. Indovinate come ha votato il Pd? A favore (a parte Furio Colombo e poche altre persone serie), a braccetto col Pdl e la Lega. Ne saranno felici le migliaia di persone che si erano fatte convincere a calzare gli anfibi e a scendere in piazza del Popolo contro "l’attacco violento alle istituzioni"....QUELLA STESSA GENTE DEL POPOLO DELLA MERDA VIOLA, CON LE CANTANTI GRIFFATE, LE STRONZATE PAGATE,ECC...

Era tutto uno scherzo. Il Pd era contro il decreto, ma non contro i suoi effetti. Tant’è che ieri ha contribuito a ripescarli. Un voto del tutto inutile, vista la maggioranza bulgara Pdl-Lega, ma comunque indicativo dell’amorevole trepidazione con cui i diversamente concordi del Pd seguono le porcate del Banana. Lui li insulta e loro lo salvano anche se lui non vuole. Per questo sbaglia il capogruppo dell’Idv Massimo Donadi quando afferma che non si tratta comunque di inciucio "perché il Pd non ha avuto nulla in cambio". Gli inciuci dei centrosinistri col Banana sono sempre a senso unico: lui ci guadagna, quelli ci perdono. E’ un do ut des senza des. Ma quelli continuano. Si divertono così.

 

Il ministro:

 

LIBRERIA MUSICALE

dav.PofM Single 7,11

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dav PofM Book 9,20

 

Piece of Mind

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Piece of Mind

dav. PofM silver 15,11

dav PofM gold 23,80

dav PofM 29,40

 
Artista

dav PofM supergold 32,55

Iron Maiden
Featuring {{{featuring}}}
Tipo album Studio
Pubblicazione 16 maggio 1983
Durata 45 min : 51 s
Album di provenienza {{{album di provenienza}}}
Dischi 1
Tracce 9
Genere NWOBHM
Heavy metal
Esecutore {{{esecutore}}}
Etichetta EMI Records
Edizioni {{{edizioni}}}
Produttore Martin "Black Night" Birch
Arrangiamenti {{{arrangiamenti}}}
Regista {{{regista}}}
Registrazione Compass Point Studios, Nassau, Bahamas, 1983
Formati {{{formati}}}
Note  
Premi

angkaIron singles 16,00

angkaIron CD 18,35

angkabook 22,10

Dischi d'oro  
Dischi di platino  
Dischi di diamante {{{numero dischi di diamante}}}
 
Iron Maiden – cronologia

angkaGold 25,00

angka super gold 28,45

angka extra 33,70

Album precedente Album successivo
The Number of the Beast
(
1982)
Powerslave
(
1984)
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Album precedente Album successivo
   
{{{terza discografia}}} – cronologia
Album precedente Album successivo
   
Si invita a seguire lo schema del Progetto Musica

internot indexdelta 24,50

internot indexiota 31,00

internot indexsigma 36,50

Piece of Mind è il quarto album registrato in studio degli Iron Maiden, pubblicato dalla EMI Records nel 1983. L'album ha venduto più di 13 milioni di copie al mondo.[senza fonte]

Indice

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Il disco [modifica]

Dopo che il precedente batterista, Clive Burr, aveva abbandonato il gruppo per problemi di salute, Steve Harris ingaggiò Nicko McBrain che militava precedentemente nei Trust e aveva uno stile molto tecnico e legato al progressive e al jazz, profondamente diverso da quello di Burr, che era molto diretto e incisivo.

Il primo titolo proposto per questo album era Food for Thought ma il gruppo non lo trovò di suo gradimento e si optò per il più crudo Piece of Mind. L'album non ricalca le orme del precedente The Number of the Beast, è infatti decisamente più melodico (lo dimostrano brani come Revelations e To Tame a Land) ma troviamo anche canzoni grintose come The Trooper (uno dei brani più rappresentativi della band che costituisce una pagina importante nella storia del metal), Where Eagles Dare, Die With Your Boots On e Flight Of Icarus. Tutte canzoni importanti per i Maiden e ancora oggi suonate sui palchi di tutto il mondo.

Nel 1983 è stata pubblicata una versione picture-disc riservata al mercato americano e contenente la bonus-track Cross Eyed Mary. In Europa questo brano era disponibile solo come b-side del singolo The Trooper fino al 1995 quando tutti gli album degli Iron Maiden sono stati ripubblicati in versione double-cd (album vero e proprio nel cd1 e b-side dei singoli nel cd2).

Le tracce [modifica]

velvet our 23,30

velvet diskfive 28,40

velvet disksix 36,90

L'album riflette gli interessi del gruppo per libri e film.

1)Where Eagles Dare si ispira al film Dove osano le aquile a sua volta tratto dall'omonimo libro di Alistair MacLean.

2)Revelations scritta da Dickinson, parla di religione e viene citato lo scrittore G.K. Chesterton;

3)Flight of Icarus si ispira alla leggenda greca rivista in chiave "ribelle" dove Icaro rappresenta la generazione dell'epoca che tenta di ribellarsi;

4)Die With Yours Boots On parla del mondo attuale devastato da guerre, terrore e distruzione;

5)The Trooper è ispirata da Charge of the Light Brigade di Alfred Tennyson, e parla di un soldato che combatte durante la guerra di Crimea tra Regno Unito e Russia;

7)Quest for Fire è ispirata ad un omonimo romanzo di J. H. Rosny aîné, narra della scoperta degli uomini primitivi del fuoco;

8)Sun and Steel venne scritto da Adrian Smith ispirato dalla leggenda del samurai Miyamoto Musashi;

9)To Tame a Land si basa sul romanzo di Frank Herbert Dune e inizialmente la canzone si chiamava proprio così. Poco prima dell'uscita dell'album l'autore del romanzo si oppose dichiarando il suo disprezzo verso qualsiasi band rock e la canzone acquisì il titolo odierno. Infatti la prima stampa della versione italiana (ormai rara da reperire) riporta Dune come titolo al posto di To Tame a Land .

 

 

...And Justice for All

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
 
...And Justice for All
 

ober just 4 24,00

ober just  5 30,00

ober just 6 38,00

Artista Metallica
Featuring {{{featuring}}}
Tipo album Studio
Pubblicazione 25 agosto 1988
Durata 65 min : 10 s
Album di provenienza {{{album di provenienza}}}
Dischi 1
Tracce 9
Genere Speed metal
Thrash metal
Esecutore {{{esecutore}}}
Etichetta Elektra Records
Edizioni {{{edizioni}}}
Produttore Metallica, Flemming Rasmussen
Arrangiamenti {{{arrangiamenti}}}
Regista {{{regista}}}
Registrazione  
Formati {{{formati}}}
Note {{{note}}}
Premi
Dischi d'oro 1
Dischi di platino 8
Dischi di diamante {{{numero dischi di diamante}}}
 
Metallica – cronologia

diot div rule 26,00

diot div mob 32,00

diot div lipa41,00

Album precedente Album successivo
Garage Days Re-Revisited
(
1987)
Metallica
(
1991)
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Album precedente Album successivo
   
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Album precedente Album successivo
   
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...And Justice for All è il quarto album in studio dei Metallica, pubblicato il 25 agosto 1988.

Indice

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Il disco [modifica]

Si tratta del primo album registrato dal gruppo con Jason Newsted al basso, dopo la morte di Cliff Burton (avvenuta nel 1986).

To Live Is to Die è dedicata al bassista prematuramente scomparso. Vennero usati dei riff scritti in passato dallo stesso Burton, si tratta di una traccia quasi completamente strumentale, è considerata una delle più belle composizioni del disco e in assoluto della band californiana, presenta delle caratteristiche classiche della band come l'insieme di parti melodiche molto intense e riff veloci tipicamente thrash.

Il titolo è ispirato a quello del film ...e giustizia per tutti (appunto ...And Justice for All), con Al Pacino.

dav52 8,78

dav52 jkrul 28,00

dav52 tund 35,00

Caratteristica peculiare degli album Ride the Lightning, Master of Puppets, ...And Justice for All, Metallica, St. Anger e Death Magnetic è che:

  • la prima traccia sia la più veloce e thrash dell'album. Difatti si apre sempre con una parte molto melodica, quasi acustica per poi sfociare nella furia tipica del genere thrash metal;
  • la traccia omonima si trovi sempre alla posizione numero 2 (tranne che in Metallica e Death Magnetic);
  • la quarta traccia sia una ballata;
  • l'ultima traccia sia la più aggressiva e violenta (tranne che in Ride the Lightning e St. Anger).

Le canzoni [modifica]

Blackened, la prima traccia del disco, è stata scritta da James Hetfield, Lars Ulrich e Jason Newsted. È stata la prima (e una delle poche) canzoni scritte assieme a quest'ultimo. In comune con la canzone di apertura dei precedenti due album, Master of Puppets (1986) e Ride the Lightning (1984), Blackened ha un inizio lento prima di passare ad un ritmo thrash metal (182 bpm). In questo caso però l'introduzione della canzone contiene varie chitarre elettriche, anziché chitarre classiche. Tuttavia, continua con la natura "tonale" generale delle precedenti introduzioni. Una nota interessante è che l'introduzione è stata registrata con numerose chitarre armonizzate stratificate su un nastro che dopo è stato lanciato. L'introduzione sentita in ...And Justice for All è infatti quella suonata in precedenza.

In generale, Blackened, in quanto a velocità, è seconda solo a "Dyers Eve" fra le canzone di ...And Justice for All. Ad ogni modo, come molte canzoni dei Metallica, nella parte centrale contiene una parte più lenta, con differenti riff e assoli. L'assolo di Kirk Hammett, che comincia a cinque minuti, è uno dei preferiti fra i fan del gruppo, con una parte suonata velocemente con il plettro e un'altra dove il chitarrista esegue un altrettanto veloce tapping. Il ritmo rimane sempre molto veloce, tipico del thrash, rendendo veramente intensa questa parte della canzone.

Il testo della canzone si riferisce alla distuzione della Terra, della razza umana e di una nuova era glaciale. Dal testo si può capire che tutto ciò è dovuto ad una guerra nucleare, anche se non è detto esplicitamente. Il tema è simile a "Fight Fire With Fire", la canzone di apertura di Ride the Lightning (che inizia con una lenta e classica introduzione). Durante il seguente Damaged Justice Tour (1988-1989), Blackened fu quasi sempre la canzone di apertura. Dopo più di un decennio di non utilizzo, una versione modificata della canzone (con un assolo accorciato) fu utilizzata per la maggior parte degli show dell'M2K Tour del 1999-2000 e nel Madly in Anger with the World Tour del 2003-2004.

I Between the Buried and Me, nel loro album The Anatomy Of hanno eseguito una cover di questa canzone.

...And Justice for All, il brano che dà il titolo all'album, inizia con un arpeggio quasi "rilassante", per poi scatenarsi. Come è consuetudine dei Metallica, il tema di questo pezzo è la giustizia ormai dimenticata dall'uomo e dal sistema.

The Shortest Straw è ispirata alla storia di Julius ed Ethel Rosenberg, condannati a morte per cospirazione.

One è la prima canzone dei Metallica per cui è stato girato un video musicale. Parla della disperazione di un uomo che, dopo aver perso braccia e gambe in guerra, è collegato a dei macchinari per vivere e non può né parlare né muoversi ("trapped in myself, body my holding cell"). Questa storia trae spunto da un film del 1971 intitolato E Johnny prese il fucile, tratto dall'omonimo romanzo antimilitarista, ispirato da un fatto realmente accaduto, scritto nel 1938 da Dalton Trumbo, scrittore antifascista e antimilitarista americano. Musicalmente presenta ancora parti melodiche e veloci insieme come ad esempio per Master of puppets o Fade to black, l'assolo centrale di Kirk Hammett si è classificato al settimo posto nella speciale classifica di guitar world dei 100 migliori assoli di chitarra. È stata la canzone che per prima ha fatto scoprire i Metallica al grande pubblico. I KoЯn ne hanno fatto nel 2003 una cover dal vivo, poi divenuta traccia nascosta del loro sesto album Take a Look in the Mirror. La canzone è presente nel videogioco musicale Guitar Hero III: Legends of Rock, uscito nel Novembre del 2007 e in un altro capitolo del gioco: Guitar Hero: Metallica, uscito nel Maggio 2009.

Dyers Eve, l'ultima traccia, è scritta da James Hetfield e narra della sua infanzia e del suo rapporto con i genitori. Come in molti altri album dei Metallica, è la più feroce e thrash di tutto l'album assieme alla canzone d'apertura. Lo stesso Kirk Hammet dichiarò che è la canzone più estrema che la Band abbia mai suonato[senza fonte]. Dyer's Eve è stata suonata per la prima volta live nel 2004, ben 16 anni dopo l'uscita dell'album. Già dal 1989 molti fan indossavano magliette con scritto "Please Play Dyer's Eve" ma la richiesta è stata ignorata dai Metallica perché la ritenevano troppo veloce per essere eseguita live. Nel 2004 sotto spinta del nuovo bassista Robert Trujillo decisero di suonarla durante tutto il Madly In Anger Tour.

Tracce [modifica]

  1. Blackened (Hetfield, Ulrich, Newsted) - 6:40
  2. ...And Justice for All (Hetfield, Ulrich, Hammett) - 9:44
  3. Eye of the Beholder (Hetfield, Ulrich, Hammett) - 6:25
  4. One (Hetfield, Ulrich) - 7:24
  5. The Shortest Straw (Hetfield, Ulrich) - 6:35
  6. Harvester of Sorrow (Hetfield, Ulrich) - 5:42
  7. The Frayed Ends of Sanity (Hetfield, Ulrich, Hammett) - 7:40
  8. To Live Is to Die (Hetfield, Ulrich, Burton) - 9:48
  9. Dyers Eve (Hetfield, Ulrich, Hammett) - 5:12

Singoli [modifica]

Formazione [modifica]

 

Piece of Mind

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Piece of Mind
 
 
Artista Iron Maiden
Featuring {{{featuring}}}
Tipo album Studio
Pubblicazione 16 maggio 1983
Durata 45 min : 51 s
Album di provenienza {{{album di provenienza}}}
Dischi 1
Tracce 9
Genere NWOBHM
Heavy metal
Esecutore {{{esecutore}}}
Etichetta EMI Records
Edizioni {{{edizioni}}}
Produttore Martin "Black Night" Birch
Arrangiamenti {{{arrangiamenti}}}
Regista {{{regista}}}
Registrazione Compass Point Studios, Nassau, Bahamas, 1983
Formati {{{formati}}}
Note  
Premi
Dischi d'oro  
Dischi di platino  
Dischi di diamante {{{numero dischi di diamante}}}
 
Iron Maiden – cronologia
Album precedente Album successivo
The Number of the Beast
(
1982)
Powerslave
(
1984)
{{{seconda discografia}}} – cronologia
Album precedente Album successivo
   
{{{terza discografia}}} – cronologia
Album precedente Album successivo
   
Si invita a seguire lo schema del Progetto Musica

Piece of Mind è il quarto album registrato in studio degli Iron Maiden, pubblicato dalla EMI Records nel 1983. L'album ha venduto più di 13 milioni di copie al mondo.[senza fonte]

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Il disco [modifica]

Dopo che il precedente batterista, Clive Burr, aveva abbandonato il gruppo per problemi di salute, Steve Harris ingaggiò Nicko McBrain che militava precedentemente nei Trust e aveva uno stile molto tecnico e legato al progressive e al jazz, profondamente diverso da quello di Burr, che era molto diretto e incisivo.

Il primo titolo proposto per questo album era Food for Thought ma il gruppo non lo trovò di suo gradimento e si optò per il più crudo Piece of Mind. L'album non ricalca le orme del precedente The Number of the Beast, è infatti decisamente più melodico (lo dimostrano brani come Revelations e To Tame a Land) ma troviamo anche canzoni grintose come The Trooper (uno dei brani più rappresentativi della band che costituisce una pagina importante nella storia del metal), Where Eagles Dare, Die With Your Boots On e Flight Of Icarus. Tutte canzoni importanti per i Maiden e ancora oggi suonate sui palchi di tutto il mondo.

Nel 1983 è stata pubblicata una versione picture-disc riservata al mercato americano e contenente la bonus-track Cross Eyed Mary. In Europa questo brano era disponibile solo come b-side del singolo The Trooper fino al 1995 quando tutti gli album degli Iron Maiden sono stati ripubblicati in versione double-cd (album vero e proprio nel cd1 e b-side dei singoli nel cd2).

Le tracce [modifica]

L'album riflette gli interessi del gruppo per libri e film.

1)Where Eagles Dare si ispira al film Dove osano le aquile a sua volta tratto dall'omonimo libro di Alistair MacLean.

2)Revelations scritta da Dickinson, parla di religione e viene citato lo scrittore G.K. Chesterton;

3)Flight of Icarus si ispira alla leggenda greca rivista in chiave "ribelle" dove Icaro rappresenta la generazione dell'epoca che tenta di ribellarsi;

4)Die With Yours Boots On parla del mondo attuale devastato da guerre, terrore e distruzione;

5)The Trooper è ispirata da Charge of the Light Brigade di Alfred Tennyson, e parla di un soldato che combatte durante la guerra di Crimea tra Regno Unito e Russia;

7)Quest for Fire è ispirata ad un omonimo romanzo di J. H. Rosny aîné, narra della scoperta degli uomini primitivi del fuoco;

8)Sun and Steel venne scritto da Adrian Smith ispirato dalla leggenda del samurai Miyamoto Musashi;

9)To Tame a Land si basa sul romanzo di Frank Herbert Dune e inizialmente la canzone si chiamava proprio così. Poco prima dell'uscita dell'album l'autore del romanzo si oppose dichiarando il suo disprezzo verso qualsiasi band rock e la canzone acquisì il titolo odierno. Infatti la prima stampa della versione italiana (ormai rara da reperire) riporta Dune come titolo al posto di To Tame a Land .

 

 


 

 

 

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Recensione Black Sabbath - Headless Cross - Metallized.it

Tyr (album)

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Tyr
 
 
Artista Black Sabbath
Featuring {{{featuring}}}
Tipo album Studio
Pubblicazione 6 agosto 1990
Durata 39 min : 58 s
Album di provenienza {{{album di provenienza}}}
Dischi 1
Tracce 9
Genere Heavy metal
Esecutore {{{esecutore}}}
Etichetta I.R.S. Records
Edizioni {{{edizioni}}}
Produttore Black Sabbath
Arrangiamenti {{{arrangiamenti}}}
Regista {{{regista}}}
Registrazione febbraio - giugno 1990
Formati {{{formati}}}
Note  
Premi
Dischi d'oro  
Dischi di platino  
Dischi di diamante {{{numero dischi di diamante}}}
 
Black Sabbath – cronologia
Album precedente Album successivo
Headless Cross
(
1989)
Dehumanizer
(
1992)
{{{seconda discografia}}} – cronologia
Album precedente Album successivo
   
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Album precedente Album successivo
   
Si invita a seguire lo schema del Progetto Musica

Tyr è il quindicesimo album in studio del gruppo heavy metal britannico Black Sabbath, pubblicato il 6 agosto del 1990.

Indice

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Il disco [modifica]

L'album vede l'entrata in studio del bassista Neil Murray (il quale sostituì Laurence Cottle poco prima dell'inizio del tour di Headless Cross), ex Whitesnake. Inizialmente pensato come un concept album riguardante la mitologia scandinava, in realtà l'album presenta solamente tre canzoni (The Battle of Tyr, Odin's Court e Valhalla) riguardanti l'argomento.[1]

Il nome dell'album (riportato sulla copertina con caratteri runici) è il nome del figlio di Odino, il dio supremo della mitologia norrena. L'album presenta delle sonorità simili al precedente Headless Cross ricevendo un ulteriore apporto di tastiere, diventate ormai un elemento fondamentale nelle sonorità dei Black Sabbath, totalmente differenti da quelle degli esordi. L'album ebbe dei buoni riscontri di vendita.

Tracce [modifica]

Tutte le musiche scritte dai Black Sabbath, mentre i testi da Tony Martin.

  1. Anno Mundi (The Vision) – 6:13
  2. The Law Maker – 3:52
  3. Jerusalem – 3:58
  4. The Sabbath Stones – 6:45
  5. The Battle of Tyr – 1:08
  6. Odin's Court – 2:42
  7. Valhalla – 4:53
  8. Feels Good to Me – 5:44
  9. Heaven in Black – 4:03

Formazione [modifica]

 

 

METALLICA LYRICS - Ride The Lightning (1984)

 

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Ride the Lightning

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Ride the Lightning
 
 
Artista Metallica
Featuring {{{featuring}}}
Tipo album Studio
Pubblicazione 16 novembre 1984
Durata 47 min : 47 s
Album di provenienza {{{album di provenienza}}}
Dischi 1
Tracce 8
Genere Thrash metal
Speed metal
Esecutore {{{esecutore}}}
Etichetta Elektra Records
Edizioni {{{edizioni}}}
Produttore Metallica, Flemming Rasmussen, Mark Whitaker
Arrangiamenti {{{arrangiamenti}}}
Regista {{{regista}}}
Registrazione  
Formati {{{formati}}}
Note  
Premi
Dischi d'oro 1
Dischi di platino 5
Dischi di diamante {{{numero dischi di diamante}}}
 
Metallica – cronologia
Album precedente Album successivo
Ride the Lightning Demos
(
1984)
Master of Puppets Demos
(
1985)
{{{seconda discografia}}} – cronologia
Album precedente Album successivo
   
{{{terza discografia}}} – cronologia
Album precedente Album successivo
   
Si invita a seguire lo schema del Progetto Musica

Ride the Lightning è il secondo album in studio dei Metallica, pubblicato nel 1984.

Indice

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Il disco [modifica]

Si tratta del primo disco inciso dal gruppo con il produttore Flemming Rasmussen per la Elektra Records.

Seppur ancora immaturo rispetto al successivo Master of Puppets, Ride the Lightning mette in evidenza i tratti fondamentali di quello che sarà lo stile che renderà celebre il gruppo: forte senso della melodia unito ad un possente riffing Thrash Metal.

Importante è anche il passaggio del gruppo dalle tipiche tematiche Metal di Kill 'Em All ad altre più mature e politiche. Vari sono gli argomenti trattati fra cui la pena di morte (Ride the Lightning), il suicidio (Fade to Black), esperimenti scientifici (Trapped Under Ice), piaghe bibliche (Creeping Death) ed avventure letterarie (For Whom the Bell Tolls), tematiche decisamente anomale per un gruppo Thrash Metal dell'epoca.

Ride the Lightning è anche l'ultimo album in cui compare Dave Mustaine fra i crediti delle canzoni dopo essere stato cacciato dai Metallica. Il nome del rosso chitarrista appare infatti sia nella title-track che nella lunga strumentale finale The Call of Ktulu, brano ispirato al famoso ciclo letterario dello statunitense Howard Phillips Lovecraft (1890-1937), da molti considerato il maggiore esponente del genere horror di inizio '900.

Somiglianze con altri album [modifica]

Ride the Lightning segna anche l'inizio di un'ideale "schema" con cui i Metallica organizzarono le tracklist dei loro due album successivi Master of Puppets ed ...And Justice for All:

I brani [modifica]

  • Ride the Lightning è una canzone aggressiva che mette in risalto le capacità tecniche di Kirk Hammett. Il testo della canzone parla della pena di morte dal punto di vista di un uomo che la sta per subire.
  • Escape è la canzone più sottovalutata dell'album. Il principale compositore della canzone è Lars Ulrich.
  • Creeping Death è un'altra canzone dal ritmo graffiante e aggressivo. Tutta la canzone gira attorno ad un potente riff di chitarra creato da James Hetfield che si può sentire nella canzone dopo i primi Power chord di chitarra.

Tracce [modifica]

  1. Fight Fire with Fire - 4:45
  2. Ride the Lightning - 6:38
  3. For Whom the Bell Tolls - 5:11
  4. Fade to Black - 6:53
  5. Trapped under Ice - 4:04
  6. Escape - 4:24
  7. Creeping Death - 6:37
  8. The Call of Ktulu (strumentale) - 8:54
 
 
 

Amazon.com: New Order: Testament: Music

 

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The New Order
 
 
Artista Testament
Featuring {{{featuring}}}
Tipo album Studio
Pubblicazione 1988
Durata 39 min : 23 s
Album di provenienza {{{album di provenienza}}}
Dischi 1
Tracce 10
Genere Thrash metal
Esecutore {{{esecutore}}}
Etichetta Atlantic Records
Megaforce
Edizioni {{{edizioni}}}
Produttore Alex Perialas
Arrangiamenti {{{arrangiamenti}}}
Regista {{{regista}}}
Registrazione  
Formati {{{formati}}}
Note  
Premi
Dischi d'oro  
Dischi di platino  
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Testament – cronologia
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Live at Eindhoven (1987) Practice What You Preach (1989)
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The New Order è il secondo capitolo discografico dei Testament. Mentre il primo disco era molto ispirato al sound degli Slayer, questo lavoro si presenta più melodico, più tecnico e più curato nei suoni. Eerie Inhabitants inizia con una melodia oscura, seguita da ritmiche pesanti e chitarre taglienti. The New Order è un altro brano che permette a Alex Skolnick di esprimersi al massimo con i suoi riffs di chitarra taglienti ma, allo stesso tempo, tecnici. Il poderoso brano Into the Pit mostra ancora evidenti influenze degli Slayer mentre Hypnosis è un breve pezzo strumentale eseguito da Skolnick con il supporto ritmico di Eric Peterson. The Preacher è uno dei brani che i Testament amano suonare dal vivo ed è presente anche una cover degli Aerosmith: Nobody's Fault. Musical Death (A Dirge) è una ballad strumentale che chiude un disco che è entrato nel catalogo dei classici dell'heavy metal e che, per molti, si contende il posto di miglior album dei Testament con il precedente The Legacy.

Tracce [modifica]

  1. Eerie Inhabitants
  2. The New Order
  3. Trial By Fire
  4. Into the Pit
  5. Hypnosis
  6. Disciples of the Watch
  7. The Preacher
  8. Nobody's Fault (Aerosmith cover)
  9. A Day of Reckoning
  10. Musical Death (A Dirge)

 

 

http://www.metalkingdom.net/album/rating.php?idx=216

Napalm Death Harmony Corruption CD

Harmony Corruption è il terzo album in studio del gruppo britannico Napalm Death. Venne pubblicato nel 1990 dalla Earache Records. Lo stile del disco vide un forte mutamento nel sound della band, con canzoni strutturate in maniera molto più vicina al death metal che non al grindcore. Questa variazione influenzò anche il resto della carriera dei Napalm Death, che tornarono a fare grindcore solamente una dozzina di anni dopo.

Tracce [modifica]

  1. "Vision Conquest" – 2:42
  2. "If the Truth Be Known" – 4:12
  3. "Inner Incineration" – 2:57
  4. "Malicious Intent" – 3:26
  5. "Unfit Earth" – 5:03
  6. "Circle of Hypocrisy" – 3:15
  7. "The Chains that Bind Us" – 4:08
  8. "Mind Snare" – 3:42
  9. "Extremity Retained" – 2:01
  10. "Suffer the Children" – 4:21
  11. "Hiding Behind" – 5:15 (traccia bonus)

 

Lovedrive è il settimo album del gruppo musicale metal tedesco Scorpions. Pubblicato nel mese di febbraio del 1979 dalla nuova etichetta EMI, fece parlare di sé per il ritorno in formazione di Michael Schenker, fratello minore di Rudolf Schenker, che aveva raggiunto una discreta notorietà suonando negli UFO.

Al momento della sua uscita l'album ha creato molte polemiche per via della copertina in cui si vede una donna con un seno nudo. Inizialmente l'album è stato venduto incartato (per nascondere la copertina), successivamente questa è stata sostituita con un disegno più sobrio (uno scorpione blu su uno sfondo nero).

Indice

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Il disco [modifica]

Oltre a presentare il ritorno di Michael Schenker nella formazione che aveva lasciato nel 1972 dopo l'album Lonesome Crow, Loverdrive costituisce l'album di debutto per Matthias Jabs, il nuovo chitarrista solista del gruppo, sostituto di Ulrich Roth. Prima di intraprendere l'avventura con gli Scorpions, Jabs faceva parte di un gruppo di Hannover, Lady, a metà del 1978 fu invitato dagli Scorpions a una piccola sessione di improvvisata, senza sapere che il gruppo era alla ricerca di un nuovo chitarrista. Si costituisce così la line-up classica del gruppo (Meine / Schenker / Jabs / Buchholz / Rarebell), formazione che pubblicherà 6 album di enorme successo e che durerà fino agli inizi del 1990.

L'approccio Hard rock che aveva fatto la fortuna degli Scorpions fino a quel momento, venne sostituito da un nuovo sound più metallico e commerciale che proprio in quegli anni vedeva il suo esplodere in gruppi come Van Halen e Judas Priest: i brani Another Piece of Meat e Can't Get Enough sono tra le prime performance della tendenza alla musica spaccatutto infarcita di testi irrilevanti e cantato al limite dello squarciagola che tanto successo troverà nel decennio successivo. Il brano di apertura, Loving You Sunday Morning, illude inizialmente l'ascoltatore nel presentare un Hard Rock canonico molto in linea con quanto prodotto dagli Scorpions fino a quel momento ma sorprende poi al momento dell'assolo che ci presenta il nuovo stilo accattivante di Jabs, decisamente più Heavy del suo predecessore. Coast to Coast è un brano strumentale dall'incedere pesante e cupo ma rappresenta la novità di vedere il cantante Klaus Meine nelle vesti di chitarra ritmica. Il brano più riuscito dell'album è pero Holiday, una ballata dalla struttura progressive con dolci arpeggi di chitarra acustica che accompagnano il parlato di Meine; a metà brano parte un breve slancio metallico che però sfuma nuovamente nell'arpeggio iniziale. Lovedrive divenne disco d'oro negli Stati Uniti e fu il primo album degli Scorpions a raggiungere un notevole successo mondiale.

Scorpions Lovedrive CD

Amazon.com: Lovedrive: Scorpions: Music

 

 
 

 Send "Until It Sleeps" Ringtones to Cell 

Metallica - Until It Sleeps - Pubblicato il 14 Aprile 2009 da ...

 

59.

Until It Sleeps - Metallica

Tratto da: The Metallica Collection

Pubblicato il: 14 Aprile 2009

Casa discografica: Universal Music

Durata Brano: 4:27

Popolarità:

 
Formati disponibili

· Mp3 hi-quality (256 kbps)

 

 

Amazon.com: Powerslave: Iron Maiden: Music

Powerslave è il quinto album registrato in studio degli Iron Maiden, pubblicato dalla EMI Records nel 1984. L'album ha venduto più di 10 milioni di copie, risultando il primo disco degli Iron Maiden a superarle dopo The Number of the Beast[senza fonte].

Indice

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La copertina [modifica]

Dopo essere stato lobotomizzato nel precedente Piece of Mind, Eddie viene mummificato come un faraone e portato nel suo maestoso tempio all'ombra di una piramide. Il disegnatore Derek Riggs si è sbizzarrito a nascondere i tipici segni presenti in tutti i dischi degli Iron Maiden (come il cerchio con la freccia) in mezzo a migliaia di geroglifici.

Le canzoni [modifica]

Filo conduttore dell'album è la storia: tutte le canzoni parlano di guerre e duelli avvenuti in epoca storica (dal faraone di Powerslave fino alla guerra atomica di 2 Minutes to Midnight).

1)Aces High, è dedicata a tutti quei piloti che morirono difendendo l'Inghilterra dall'attacco aereo della Germania Nazista;

2)2 Minutes to Midnight, riproposta più volte in sede live e nota per il famoso riff iniziale, per altro quasi identico a quello iniziale di Flash Rockin' Man degli Accept, è incentrata invece sul tema di una guerra atomica. Queste due canzoni sono state pubblicate anche come singoli.

3)Losfer Words (Big 'Orra), è un brano strumentale;

4)Flash of the Blade narra la crescita di un giovane guerriero a cui è stata uccisa la famiglia mentre lui giocava alla guerra da piccolo.

5)The Duellists (canzone ispirata probabilmente dal film "I duellanti" di Ridley Scott)

6)Back in the Village riprende il tema bellico e descrive un bombardamento aereo su un villaggio;

7)Powerslave narra di un faraone che non vuole morire ma sa che non può sfuggire al potere della Morte. Nel testo ci sono dei riferimenti alla civiltà egizia e persino l'intro ricorda dei ritmi spesso legati all'Egitto. È stata scritta da Dickinson, noto per la sua passione per la storia e le civiltà antiche.

8)Rime of the Ancient Mariner è la canzone più lunga composta dagli Iron Maiden, con i suoi 13 minuti e 45 secondi, ed è tratta dalla poesia La ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge. È stata proposta nel World Slavery Tour del 1984-1985, nel Somewhere On Tour del 1986-1987 e nel Somewhere Back In Time World Tour 2008-2009. Durante le versioni live di questa canzone spesso sono proposti dei giochi pirotecnici.

Ristampe [modifica]

Quando l'album è stato pubblicato la prima volta su CD i brani erano più corti rispetto alla versione in vinile. Poi nel 1995 Powerslave è stato ristampato, come tutti gli album degli Iron Maiden pubblicati fino a quel momento, nel formato double-CD con le b-side dei due singoli inserite nel secondo CD. La versione rimasterizzata del 1998, oltre ad essere abbinata ad un Enhanced CD, aveva la durata di un paio di canzoni nuovamente modificata: nello specifico Back to the Village era passata da 5:00 a 5:20 e Powerslave da 7:07 a 6:47.

 

 

Black Sabbath - Born Again - musica da scaricare e ascoltare ...

Dopo la dipartita, per disaccordi personali e musicali, di Ronnie James Dio e Vinny Appice, i rimanenti Tony Iommi e Geezer Butler chiamano il cantante Ian Gillan (uscito per diverbi dai Deep Purple nel 1973 e che nel frattempo aveva messo in piedi una carriera solista) e il batterista originario Bill Ward, ripresosi dai problemi con l'alcool che lo avevano costretto a ritirarsi durante il tour dell'album Heaven and Hell.

L'album fu pubblicato nell'agosto del 1983 e, inizialmente, non fu accolto calorosamente dalla critica, a causa delle sonorità di produzione ritenute mediocri. Tuttavia in seguito si rivelò un buon successo, raggiungendo il quarto posto nelle classifiche inglesi[1] e venendo inserito nella classifica Top 40 statunitense. L'album venne in seguito certificato con il disco di platino.

Musicalmente è album dal sound più massiccio rispetto agli album precedenti, che vede un inasprimento nello stile dei Black Sabbath. Il brano Zero the Hero è stato oggetto di una cover da parte dei Cannibal Corpse (presente nell'album EP Hammer Smashed Face).

La copertina [modifica]

La copertina dell'album, disegnata da Steve Joule in stato di ebbrezza (pensò addirittura di cancellarla, una volta ripresosi, ma incontrò l'opposizione di Iommi e Butler che invece la gradirono), rappresenta un neonato dalle sembianze demoniache ed è simile a quella del singolo del 1981 dei Depeche Mode New Life (è stata utilizzata infatti la stessa immagine[2][3]). Al momento della pubblicazione dell'album, l'aspetto particolare della copertina fu oggetto di controversie. Ciò non ha impedito comunque che la copertina sia la preferita di alcuni musicisti metal tra cui Glen Benton (Deicide) e Max Cavalera (Soulfly)[2].

 

SIX FEET UNDER | EMP Mailorder Italia ::: La vendita per ...

Formation, Haunted, and Warpath (1993–1997)

After Barnes and West joined forces, they recruited Terry Butler, who knew West from his involvement with Massacre, and Greg Gall, Terry Butler's brother-in-law. Six Feet Under first played in 1993 at clubs, performing mostly cover songs. The band began writing original material in the middle of 1994. Because Barnes was already signed to Metal Blade Records with Cannibal Corpse, Six Feet Under signed to this label.

Their first album, Haunted, was released on September 1, 1995. Haunted was produced by Brian Slagel (who discovered Slayer) and Scott Burns (who discovered Sepultura and worked with Napalm Death,and Deicide among others). Unlike either of the members' main bands, Six Feet Under did not play many guitar solos on the album, and the songwriting was still a work-in-progress. However, the grooves and the distinct vocals were praised.[2] By this point Chris Barnes had made Six Feet Under his main priority. In 1996, in the process of recording Vile, he parted ways with Cannibal Corpse.

Six Feet Under's next release was the Alive and Dead EP on October 29, 1996. A dual studio/live EP, it contains three studio recordings ("Insect," "Drowning," and a Judas Priest cover, "Grinder") and four tracks from Haunted performed live. The band released their second studio album, Warpath, on September 9, 1997. Of note are the tracks "Death or Glory", which is a cover of the Holocaust song, and "4:20," which showcases Barnes' clean vocals and his love of marijuana. "4:20," duration four minutes and 20 seconds, was recorded on April 20, 1997 at 4:20 pm.[citation needed]

[edit] Maximum Violence and Graveyard Classics (1998–2000)

In 1998, Allen West left to rejoin Obituary and was replaced by Steve Swanson, formerly of Massacre. This is the only line-up change that the band has had to date. Combined with Barnes' departure from Cannibal Corpse, the arrival of Swanson helped turn Six Feet Under from a mere side-project to a band in its own right.[3]

July 13, 1999, saw the release of Six Feet Under's third studio album, Maximum Violence. As the name of the album suggests, the lyrics on this release are much more violent than on past releases. The band also recorded a death-metal retooling of the Kiss song "War Machine." Steve Swanson brought a revamped crunch[clarification needed] to the Six Feet Under sound with his blistering riffs and the inclusion of solos.[citation needed]

Maximum Violence had sold over 100,000 copies worldwide,[citation needed] a status that hadn't been reached for a while for a death metal band during the late 90's when death metal was a dying genre. It led to some unexpected promotional events for the band. During the summer of 2000, Six Feet Under participated in the Vans Warped Tour, a festival that, at the time, usually featured punk rock bands.[4]

Further pursuing their interest in cover songs, Six Feet Under released an album entirely of covers, Graveyard Classics, on October 24, 2000. The songs were given death metal makeovers in regards to the timbre of the vocals and instruments, but the original riffs and rhythms of the songs were left intact. Songs include Black Sabbath's "Sweet Leaf," Deep Purple's "Smoke on the Water," and Jimi Hendrix's "Purple Haze."

[edit] True Carnage and Bringer of Blood (2001–2003)

The group's fifth studio album, True Carnage, (August 7, 2001) was also their first recording to feature guest artists: Ice T raps while Barnes roars on "One Bullet Left," and Karyn Crisis joins Barnes for "Sick and Twisted." The songwriting on True Carnage is more groove-oriented than past songs. The tracks are still crashing[clarification needed] and mostly slow-paced, but have less static. The musicianship was also improved[citation needed], and the production is complementary to the brutality[clarification needed]. True Carnage peaked on the Billboard Heatseeker's charts at number 18.[5]

Six Feet Under undertook a lengthy bout of American tours, commencing in the summer of 2002, with supporters Skinless and Sworn Enemy. Their June 14 performance was recorded for a DVD and live album release, Double Dead Redux. September 2002 saw the band touring with Hatebreed. Around Christmas 2002, they participated in some European festivals with bands such as Kataklysm and Dying Fetus.[6]

The band next released Bringer of Blood, on September 23, 2003. The tuning on this album is very dark and murky[clarification needed]. In addition to his trademark guttural vocals, Barnes also began using higher pitched pig squeal vocals on this release.

[edit] Graveyard Classics 2, 13, and A Decade in the Grave (2004–2006)

Graveyard Classics 2 came out on October 19, 2004. This cover album focused solely on the 1980 AC/DC album Back in Black. Allmusic reviewer Wade Kergan remarked that the death metal-makeover on these forefather songs "are equal parts menace and kitsch... Six Feet Under are obviously having a blast as they rip through them."[7]

Six Feet Under released their seventh studio album on March 21, 2005, entitled 13. While writing the lyrics, Chris Barnes reportedly entered "a vision" from smoking large quantities of marajuana and meditating.[8] The sound quality is good although rather quiet[clarification needed] - the liner notes for the album suggest turning your speakers up to maximum volume for a better experience.[clarification needed] Overall 13 is a notable return to True Carnage-esque form, with songs like the classic death metal of "Shadow of the Reaper" and "Decomposition of the Human Race."[9]

Metal Blade Records issued A Decade in the Grave on October 28, 2005, a five-disc box set. The first two discs are 'best-of' material, the third is a rarities collection, the fourth disc is from one of the band's first concerts back in 1995, and the final disc is a live DVD from 2005.

In November 2005, Chris Barnes joined the Finnish death metal band Torture Killer as lead vocalist for a side project. His new bandmates saw this as a huge compliment, having started out as a Six Feet Under and Obituary cover band. Barnes sung vocals on their 2006 studio album Swarm!.

[edit] Commandment and Death Rituals (since 2007)

Six Feet Under toured for the majority of 2006 before hitting the studios to record their next album, Commandment, which was released on April 17, 2007. The album works within the band's formula. According to music critic Chad Bowar, the album has "catchy death metal songs... [that are] crushingly heavy, but also have a great groove to them."[10]

Six Feet Under played Metalfest 2007 tour alongside openers Finntroll, Belphegor, and Nile, their most heavily-promoted tour to date. A Six Feet Under first was seen in promotion of Commandment. Although the band has tried airing music videos in the past, all were banned. However, a music video for "Doomsday" aired on MTV2's Headbanger's Ball, starting on November 10 of that year.

On December 24, 2007, Six Feet Under announced on their website that they would go to the studio in early 2008 to record a new album.[11] the album, titled Death Rituals, was released on Metal Blade Records on November 11, 2008 in the US, and November 17, 2008 in the UK.

As announced on January 31, 2008 Chris Barnes officially parted ways with Torture Killer, to be replaced by Juri Sallinen. Drummer Greg Gall is currently writing and recording material with a new band called Exitsect, along with guitarist Sam Williams (Denial Fiend, Down By Law), bassist Frank Watkins (Obituary, Gorgoroth), guitarist Joe Kiser (Murder-Suicide Pact, Slap Of Reality) and vocalist Paul Pavlovich (Assuck).[12][13]

Graveyard classics III was released on January 19, 2010.[14]

[edit] Musical style

Barnes formed Six Feet Under with the intention of writing death metal music that wasn't just about blast beats and speed.[citation needed] They play a more grooving style of death metal in the vein of Obituary, performing slower or mid-tempo paced songs than most death metal acts.[citation needed] Barnes' lyrical style changed little since his departure from Cannibal Corpse, though the lyrical content is not as shocking as that of his first band.[citation needed] Today, Barnes mainly writes about violence, gore and death, with some political leanings, such as the legality of marijuana and criticism of the government.[15] In regards to vocals, Chris Barnes is one of the pioneers of the death growl,[citation needed] and still uses this style, though sang with clean vocals on "4:20" and "Black Out," the latter being on the Graveyard Classics album.

 

 

Morbid Angel Domination CD

 

Guitarist Erik Rutan joins the fold on Morbid Angel's Domination and contributes several of his own compositions. The group's sound is better than ever and perhaps a bit more groove-oriented, but this is mostly standard Morbid Angel. ~ Steve HueyQ (7/95, p.120) - 4 Stars - Excellent - "...confirms their prime position amongst their peers with a monumental, crushing slab of uncompromising darkness and aggression, captured with a full-bodied clarity by Bill Kennedy..."
 

Dire Straits
Money For Nothing

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classic rock, rock, 80s, albums i own, guitar visualizza tutti

 

 

"Crazy" è un brano scritto dal musicista soul Seal e arrangiata da Guy Sigsworth. La produzione è stata affidata a Trevor Horn, ed è stata inserita nell'album del 1991 Seal . "Crazy" è stato un enorme successo commerciale, raggiungendo la top 5 in Regno Unito e la top 10 negli Stati Uniti.

Nell'agosto 2003 Seal ha rilasciato una versione acustica del brano, che ha rinnovato il successo di "Creazy" facendolo arrivare alla terza posizione della "U.S. Billboard Hot Digital Tracks", la classifica dei download digitali.

La popolarità del brano è dimostrata anche dalla quantità di cover avute negli anni. Fra le più importati si può senz'altro individuare la versione di Alanis Morissette del 2005.

Seal Henry Olusegun Olumide Adeola Samuel (born 19 February 1963 in Paddington, London, England), known simply as Seal, is an English soul and R&B singer-songwriter, of Nigerian and Brazilian background.[1] His name Olusegun means "God is victorious".[2] Seal is known for his numerous international hits. He is married to German model Heidi Klum.

 

Hunting High and Low è il primo album degli a-ha ed ha venduto oltre otto milioni copie in tutto il mondo.

 

L'album che apre l'ultimo decennio del XX secolo non verrà, a dire di molti fan e critici, ricordato come uno dei migliori dei Maiden, anche se segna un importante ritorno ad un sound più essenziale che era stato abbandonato dopo Powerslave. L'album denota un'attitudine "stradaiola" già presente nell'album solista di Bruce Dickinson Tattooed Millionaire, uscito qualche mese prima. Ciò potrebbe essere dipeso anche dall'arrivo del nuovo chitarrista Janick Gers, presente in Tattooed Milionnaire, allora latore di uno stile rumoroso e (forse) poco sobrio, che avrebbe invece migliorato con il tempo. Bring Your Daughter...To The Slaughter è la canzone più conosciuta di questo album ed il singolo omonimo è tutt'ora il più venduto della loro carriera. Da notare che in realtà la canzone venne composta da Dickinson per la sua produzione solista - la versione originale finì nella colonna sonora del film Nightmare 5 - e fu Steve Harris, affascinato dal pezzo, ad "obbligare" il cantante a portarla in seno agli Iron Maiden. Altri buoni brani da segnalare sono l'opener Tailgunner, il primo singolo pubblicato Holy Smoke, Run Silent Run Deep, No Prayer for the Dying e Hooks In You (ultimo brano scritto da Adrian Smith).

Napalm Death - From Enslavement To Obliteration Mp3 Album Downloads

 

 

The Ugly Truth (CD Album) : Aversion (USA) - Spirit of Metal ...

 

 

Tracklist

1. Death Trip Picture Show
2. Wig
3. Uzi
4. Welcome to Society
5. Modern Day Martyr
6. Injection
7. G.O.D. C.O.D.
8. In Dead of Night
9. Inertia
10. Do or Die
11. Forward March
12. No Trouble in Paradise

 

 

Amazon.com: Ram It Down: Judas Priest: Music

L'album vede un certo distaccamento dai suoni sintetizzati del precedente Turbo. L'idea dei Priest era quella di ritornare all'heavy metal classico di Screaming for Vengeance e Defenders of the Faith: il risultato non fu quello che si aspettavano i fans, tant'è che l'album vendette pochissimo rispetto ai precedenti. Ram It Down presenta comunque ottime canzoni come la title track, Heavy Metal e l'intensa Blood Red Skies. Venne estratto un solo singolo, Johnny B. Goode (cover di Chuck Berry), creato dalla band per la colonna sonora dell'omonimo film prendendo spunto da due canzoni precedentemente scritte ma mai pubblicate (se non nelle riedizioni del 2001) ossia Thunder Road e Fire Burns Below.

 

 

 

 
 

 

I Massacra sono una band death metal formatasi nel 1986 e scioltasi nove anni a causa della morte del cantante, chitarrista, nonché band leader, Fred Duval in seguito a un cancro della pelle il 6 giugno 1997. Nella loro carriera hanno pubblicato cinque album e tre demo, nel 2000 è stata pubblicata una raccolta postuma.

Amazon.com: Heavier Than Thou: Saint Vitus: Music

 

Saint Vitus - Heavier Than Thou - CD - Extreme music CDs, DVDs ...

 I Saint Vitus sono uno dei gruppi cardine della scena doom metal mondiale capaci negli anni '80 di proseguire sul discorso già intrapreso nel decennio precedente dai Black Sabbath dei quali riprendono l'incedere lento e lisergico della musica qui portato all'estremo in un entusiasmante mix tra sonorità settantiane rilette secondo i canoni dell'allora nascente movimento heavy metal.
Vivono il loro periodo di maggior splendore tra
1987 e 1990 grazie all'ingresso in line-up dello storico singer Scott "Wino" Weinrich una delle icone della scena doom mondiale e già singer di innumerevoli bands tra le quali i The Obsessed. I Saint Vitus si formano nel 1979 a Los Angeles per volere del singer Scott Reagers, del chitarrista Dave Chandler, del bassista Mark Adams e del batterista Armando Costa e partono con il nome di Tyrant. Curiosa è la provenienza degli statunitensi che emergeranno negli anni '80 in quella Los Angeles che diventerà in quegli anni patria indiscussa del movimento glam metal proposta musicalmente e concettualmente in antitesi con la musica della band.
Dopo qualche tempo, Reagers e soci cambieranno in loro nome in Saint Vitus ispirati dal brano Saint Vitus Dance dei britannici
Black Sabbath, band dalla quale trarranno le maggiori influenze.
Il sound degli statunitensi è dunque già ben forgiato, e nel
1984 i Saint Vitus arrivano alla pubblicazione del loro primo full-lenght, l'omonimo Saint Vitus che mostrerà una band ancora un po' acerba ma con le idee già chiare.
L'anno seguente è la volta di
Hallow's Victim che rappresenta un piccolo passo indietro a livello qualitativo ma che darà il LA alla definitiva consacrazione della band la cui fama è ancora piuttosto latitante oltreoceano.
Nel 1986 la svolta con l'ingresso in line-up di
Scott "Wino" Weinrich singer-chitarrista di notevoli doti già salito alla ribalta con i The Obsessed; e così nel 1987 la band da alle stampe Born Too Late capolavoro della band ed indiscusso "must" all'interno della scena doom mondiale. La musica degli statunitensi è notevolmente dilatata, sempre più arida e la voce di Weinrich conferisce sempre più un certo appeal mistico.
Mournful Cries (1988) e V (1990) rappresenteranno altri due lavori apprezzabili dopo i quali vi sarà la dipartita di Weinrich.
Nel
1993 i Saint Vitus torneranno alla ribalta con C.O.D. (Children of Doom) album più rock 'n' roll-oriented, prima di Die Healing (1995) album notevole che vede il ritorno in line-up del singer Scott Reagers e che precederà lo scioglimento della storica band americana.

 

 

 

Amazon.com: Amon - Feasting the Beast: Deicide: Music

 

Deicide - Amon: Feasting the Beast - musica da scaricare e ...

Amon: Feasting the Beast è una compilation edita dalla band statunitense di death metal Deicide. I pezzi in essa contenuti sono le versioni demo delle canzoni che la band registrò quando si chiamava Amon.

Durante quel periodo la band era ancora alla ricerca di un proprio sound e questa è la ragione per cui alcune delle canzoni hanno sonorità death metal mentre altre hanno sonorità più riconducibili al thrash metal.

 

http://www.lastfm.it/group/Scandinavian+Metal/forum/29690/_/390050

Amazon.com: Massive Killing Capacity: Dismember: Music

 

 

http://free-albums.net/album.php?artist=Bolt+Thrower&album=...for+Victory

 

 

La visione che predomina di questo album è "la perfetta via di mezzo tra Death metal e Grind, il punto di equilibrio dei Carcass"; per carità, sacrosanta verità (almeno per la prima parte), ma inefficiente per descrivere il vero significato di questo Cd all'interno della discografia della band. Per me Necroticism - Descanting The Insalubrious rappresenta innanzitutto una rottura: lo stacco tra i Carcass come rappresentanti e fondatori della scena grindcore più pura e la band che proseguirà brillantemente la propria carriera musicale rimanendo in un contesto meno "di culto". Questo senza alcun giudizio alla scelta, ma come semplice constatazione. Con questo lavoro la band inglese ci dice palesemente: «ok ragazzi, la nostra lezione l'abbiamo data, ora lasciateci prendere la nostra strada».

Necroticism... è innanzitutto il ripensamento riguardo al verbo di Reek Of Putrefaction: il distacco dal tecnicismo e dalle strutture complesse qui viene abbandonato, per intraprendere una strada più classica e accessibile. Una scelta che farà piangere i cuori di molti fan, ma che al di là della piccola delusione per l'infedeltà ci regalerà alcuni dei minuti più belli dell'intera storia del Death metal. Sarebbe dunque stupido sorvolare sulla grandezza di un pezzo come "Corporal Jigsore Quandary" in nome dell'intransigenza attitudinale, un limite che i Carcass hanno sciolto regalandoci appunto uno dei loro brani più apprezzati. Con l'introduttiva "Inpropagation" la band getta un ultimo sguardo alle trame più puramente grind e comincia ad intraprendere una nuova strada, che trova per la prima volta piena realizzazione appunto in "Corporal...". Una canzone forte di un riff del tutto elementare, che con la sua semplicità farà breccia per sempre nel cuore dei fan.

Il terzo lavoro segna una svolta qualitativa anche dal punto di vista esecutivo e della produzione, visto che sostituita al suono scarno ed istintivo di Symphonies... troviamo qui un'esecuzione praticamente impeccabile sorretta da un buonissimo lavoro di produzione / mixaggio (onore e gloria a Colin Richardson...). Resta comunque presente un certo margine che non rende il suono troppo perfetto, finto; peculiarità dei Carcass che di fatto verrà meno esclusivamente nella loro ultima opera. Qui trovano spazio per sfoggiare un altro lato della loro genialità, il lato forse più complicato nella sua immediatezza, e che trova espressione in quasi tutte le tracce, con picchi forse in "Pedigree Butchery" o "Carneous Cacoffiny".

Fantastico l'andamento che sanno dare alle diverse canzoni, la venatura quasi ironica (caratteristica sempre e comunque presente nei lavori del gruppo) di alcuni passaggi e, ovviamente, la classe; classe che consiste nel non banalizzare mai, nel saper lasciare traccia della propria personalità in ogni singolo passaggio. Anche questo, come i lavori che erano venuti prima, costruisce una diversa dimensione nell'ambito di un genere musicale, e lascia la pesante eredità ai gruppi a venire di provare ad avvicinarcisi...

Nonostante la quasi impareggiabile bellezza di questo lavoro, e la sua palese genialità, trovo Necroticism superiore di importanza al solo Swansong all'interno della discografia della band inglese. Che questa, ovviamente, rimanga comunque una semplice considerazione personale, che non può intaccare minimamente il valore reale di un cd che gode di una ottima (e meritata) fama in due ambienti non sempre concordanti come quelli che sono il Death metal ed il Grindcore... A tal punto da essere considerato da grossa parte dei "die hard fans" del gruppo come il loro lavoro migliore. Ripeto, non condivido questo parere, ma mi unisco al coro di tutti coloro che per sempre osanneranno il nome di questa impareggiabile realtà.

 

 

 

Amazon.com: Blackout: Scorpions: Music

 

 

YouTube - Iron Maiden - "Seventh Son of a Seventh Son"

 

Seventh Son of a Seventh Son è il settimo album in studio pubblicato dagli Iron Maiden.

L'album ha debuttato direttamente al primo posto nella classifica inglese mentre è arrivato fino alla dodicesima posizione negli USA, ultimo album degli Iron Maiden a diventare disco di platino in quella nazione. I quattro singoli estratti dall'album hanno raggiunto un elevato numero di vendite piazzandosi tutti fra la terza e la sesta posizione nella classifica inglese. Nel mondo ha venduto 12 milioni di copie.[senza fonte]

Il disco [modifica]

Uscito nel 1988, Seventh Son of a Seventh Son è un concept-album (l'unico dei Maiden) caratterizzato da sonorità che a tratti ricordano il rock progressivo (per esempio i Jethro Tull in Infinite Dreams)[1] In molti brani vengono impiegati accompagnamenti di tastiere e in generale nell'album dominano le chitarre synth già introdotte nel precedente album Somewhere in Time. Questi elementi furono visti da una parte dei fan del gruppo come un allontanamento dallo spirito dell'heavy metal; tuttavia, l'album ebbe un grande successo internazionale, e i singoli Can I Play with Madness e The Evil That Men Do ricevettero molto spazio nelle emittenti radiofoniche e televisive. Come tutti gli album degli Iron Maiden, Seventh Son of a Seventh Son è stato pubblicato nel 1995 nel formato double-CD con tutte le b-side dei singoli e nuovamente pubblicato nel 1998 in versione rimasterizzata.

Amazon.com: Somewhere in Time: Iron Maiden: Music

L'album è caratterizzato dall'introduzione di nuove sonorità, che avvicinano gli Iron Maiden al rock progressivo e, contemporaneamente, li allontanano dalla fan base di metallari più puristi. Somewhere in Time fa largo uso di chitarre synth, che possono essere viste come un momento intermedio o di passaggio verso i sintetizzatori del successivo Seventh Son of a Seventh Son. A prescindere da considerazioni di mero gusto, il sound elettronico di Somewhere in Time fa da contraltare, sul piano musicale, ai temi fantascientifici della cover art e di alcuni dei brani. Dal punto di vista compositivo, l'album è dominato da Adrian Smith (che firma le canzoni più note, incluso il singolo Wasted Years) e da Steve Harris, che produce alcune delle suite più lunghe e articolate della storia del gruppo (come la celeberrima Heaven Can Wait, che diventerà uno dei brani più suonati dal vivo, ed Alexander the Great).

La copertina [modifica]

Eddie veste nuovamente i panni di un assassino (in una posa del tutto simile a quella dell'album Killers) e questa volta la scena è ambientata in una città del futuro dove, fra insegne luminose ed ologrammi, Derek Riggs ha inserito infiniti richiami a precedenti titoli della band: dal pub Aces High al ristorante Ancient Mariner, dagli hotel Dune e Long Beach Arena alla Phantom Opera House, dagli ologrammi delle piramidi all'insegna di Icarus che precipita; anche l'orologio nella copertina mostra come orario "23:58", un riferimento al singolo Two Minutes To Midnight dell'album precedente, Powerslave. Inoltre si può notare che appena poco più in alto del braccio meccanico in primo piano c'è un manifesto di un live dei Maiden con la copertina dell'album omonimo e sopra il manifesto si nota un cartello con scritto acacia avenue.
In linea generale tutta la copertina è un richiamo alle atmosfere del film
Blade Runner.

 

 

Encyclopaedia Metallum - Reviews for Virus (Gbr) - Force Recon

Virus Force Recon Albums, CDs, Vinyl Records and LPs

 

 

Iron MaidenFear of the Dark – Video, listening & stats at Last.fm

 Fear of the Dark è il nono album in studio degli Iron Maiden pubblicato nel 1992. L'ultimo album studio degli anni novanta con Bruce Dickinson nasce con il preciso compito di riscattare la reputazione della band dopo il precedente No Prayer for the Dying, considerato da tutti i critici come un passo falso.[senza fonte] L'album ha un suono generale più solido e aggressivo del precedente e a tratti è stato paragonato a The Number of the Beast[senza fonte]. Tuttavia non sono mancate, anche per questo lavoro, critiche di tutti i generi, prima fra tutte la prestazione generale di Dickinson, considerata opaca ed inferiore a tutti i precedenti album della band[senza fonte]. Viene fatta pesare la mancanza di Adrian Smith e delle tipiche sue melodie che hanno fatto la fortuna degli Iron Maiden della seconda metà degli anni '80. In virtù di questo, Janick Gers è stato accusato di avere un suono più grezzo e sporco portando il sound della band lontano dagli ultimi album pubblicati.[senza fonte] Nonostante questo, l'album risulta particolarmente degno di nota perché contiene uno dei "classici" del gruppo, la title-track Fear Of The Dark (canzone proposta innumerevoli volte dalla formazione nei suoi concerti) e alcuni brani di indubbio valore come Be Quick or Be Dead (graffiante e veloce), Childhood's End (brano epico con un grande riff e con una grande prestazione di Nicko McBrain) e Afraid to Shoot Strangers (altro brano dall'intensa atmosfera che sfocia poi in un riff potente). Se il brano Wasting Love ha rappresentato la novità di una delle poche canzoni d'amore scritte dal combo, riscuotendo equamente critiche e consensi, unanime è stato il giudizio negativo per From Here to Eternity (brano che chiude la saga di Charlotte the Harlot), accusata da tutti di essere troppo simile al sound degli AC/DC.

 

Carpathian Forest - Through Chasm, Caves And Titan Woods - EP ...

 

I Carpathian Forest sono una band black metal norvegese, nata nel 1990 su iniziativa di Nattefrost e Nordavind. Il gruppo è tra i principali esponenti del black metal avendo raggiunto, grazie soprattutto all'album Journey through the Cold Moors of Svarttjern, livelli planetari di fama.

I Carpathian Forest si caratterizzano rispetto alle altre band black metal per i temi trattati: dalle loro liriche non emergono soltanto temi satanici ed anticristiani, ma anche relativi al sadismo, alla depravazione, al suicidio.

 

 
 
 

 

 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Terra Reloaded
Siamo ancora in tempo per salvare il Pianeta?

14,00 euro

 
 

Interessante libro sopra gli ultimi momenti del Reich. La storia, la breve vita, del governo succeduto ad Hitler dal 1 maggio 1945, costituito dalle sinistre figure fuoriuscite dal bunker tombale che tentarono fino all'ultimo secondo di salvare la pelle rifugiandosi nell'estremo nord,a Flensburg, a ridosso del confine con la Danimarca, lasciando al proprio destino il defenestrato numero due del Reich, Goering,che pomposamente si crogiolava nell'estremo sud della Baviera pensando di essere al sicuro,ed il mefistofelico Himmler, che dalla roccaforte di Praga,una volta vista la liquefazione del fronte orientale si precipitava anch'esso nell'estremo nord allo scopo di ricevere un assurdo "lasciapassare". Il 9 maggio da Flensburg veniva dato il placet alla firma dell'armistizio, il 18 maggio tutti i componenti dell'ultimo gabinetto nazista venivano arrestati: iniziava così il Processo di Norimberga....

.....

...

RSANI:PIU' DI 6 MILIONI DI VOTI PERSI IN DUE ANNI.)

QUESTA E' UNA MIA PERSONALE SODDISFAZIONE:ANNI FA MI CONSUMAI LE MANI A FURIA DI SCRIVERE LORO DEL MIO DISAGIO, DI LAVORI DI MERDA, DI LICENZIAMENTI SUBITI, DI UMILIAZIONI SENZA MAI RICEVERE SODDISFAZIONE. OGGI ANCHE LORO SI TROVANO NELLA MERDA FINO AL COLLO E PER ME E' UNA SODDISFAZIONE: "SE PER COLPA DI ALTRI FINISCI NEI GUAI, FAI IN MODO CHE CHI TI HA MESSO IN TALE SITUAZIONE FINISCA IN GUAI ANCORA PEGGIORI!!!"

Rifondazione e Pdci, funzionari cassintegrati

Finiti i fondi dei due partiti di sinistra, i dipendenti restano senza lavoro

Da partiti che ambivano a rappresentare i cassintegrati, a partiti che finiscono per essere costituiti "da" cassintegrati. Non c’è, ovviamente, solo la differenza di un articolo, fra queste due condizioni, ma la storia di un passaggio di epoca, la radiografia di un drammatico terremoto politico. Stiamo parlando di Pdci e Rifondazione (ma anche dei Verdi), ovvero dei partiti che dopo le ultime elezioni sono diventati zombie, costretti a demolire il loro apparato, a dismettere i (pochi) gioielli di famiglia rimasti, a chiudere i giornali, ad alienare le sedi, e – soprattutto – a licenziare e prepensionare tutti i loro dipendenti, proprio come nei processi di deindustrializzazione che in questi anni hanno tenacemente combattuto. Colpa degli sbarramenti elettorali, prima di tutto: che colpiscono non solo la rappresentanza, ma - solo in Italia - anche il diritto a ottenere rimborsi. E colpa anche, come vedremo fra breve, della strategia di Silvio Berlusconi E del Pd (due facce della stessa melmosa medaglia), che ha mirato a fare terra bruciata di tutte le organizzazioni politiche che avevano popolato la Seconda Repubblica. Un fenomeno, quindi, che non può indurre al sorriso, o a facili battute, ma che deve essere anche letto - qualunque cosa si pensi di questi partiti - come una ulteriore restrizione degli spazi democratici.

NON PIU’ VIRTUOSI. Il nostro viaggio non può che partire dal Pdci di Oliviero Diliberto, che fino alla catastrofe elettorale della lista arcobaleno del 2008 era additato come modello di gestione economica persino da un analista non certo tenero come Gianmaria De Francesco, cronista economico de Il Giornale: apparato ridotto, conti in regola, rapporto virtuoso tra eletti, voti e militanti, che garantiva solidi attivi di bilancio. Ebbene, la notizia che in queste ore, per motivi comprensibili, si prova a mantenere segreta, è che il partito è ormai alla bancarotta. Sul conto corrente ci sono solo 160 mila euro, quelli che bastano a malapena a gestire l’amministrazione ordinaria. Dei 21 dipendenti 17 sono stati posti in cassa integrazione. Ne rimangono solo quattro, di cui uno per motivi legali è l’amministratore, l’altro è un centralinista, l’altro è il segretario del segretario, e l’ultimo un organizzatore, ovvero il presidio minimo per cui il cuore dell’organizzazione non cessi di battere all’istante.

Ancora più drammatica la situazione di Rinascita, il settimanale che ai tempi di Armando Cossutta fu oggetto di una contesa per il valore della testata, prestigiosa e direttamente riconducibile alla memoria di Palmiro Togliatti. Ecco, adesso il settimanale del Pdci è tecnicamente fallito, ha cessato le pubblicazioni, e tutti i giornalisti sono stati anche loro cassintegrati. Rinascita, che non aveva mai perso il suo ridotto ma il solido presidio di lettori costava da solo 900 mila euro l’anno, un lusso per un partito che deve tagliare gli stipendi a tutti. Già la storia di questo tracollo economico spiega come ci sia lo zampino del governo. Il settimanale, infatti, era uno dei pochi organi di partito, tra quelli che hanno diritto al sovvenzionamento pubblico, che non copriva in modo surrettizio altri scopi o altri fini. Ma la norma con cui Tremonti ha tolto il cosiddetto "diritto soggettivo" al finanziamento ha di fatto reso discrezionale l’accesso ai fondi dell’editoria: mentre prima le banche anticipavano le cifre a cui il giornale avrebbe avuto in ogni caso diritto in base alla sua tiratura, adesso – non essendoci più nessuna certezza, visto che si combatte ad ogni Finanziaria sulla copertura delle quote – non fanno più nessun credito.

Infine il doloroso capitolo del bilancio del partito. Ancora nel 2008 aveva quattro gettiti importanti: il tesseramento, il finanziamento pubblico, i rimborsi elettorali e le rimesse degli eletti locali e nazionali, che devolvevano il 50% del proprio stipendio netto al partito. Nelle ultime politiche e alle europee, il Pdci non ha superato il quorum del 4%. E in questo caso, per via di un liberticida emendamento alla legge voluto in Parlamento dai veltroniani (Berlusconi era incerto), né Rifondazione, né i Verdi, né il Pdci hanno ottenuto un solo centesimo. Un piccolo assurdo democratico: infatti, la quota dei voti che questi partiti ottengono contribuisce a finanziare i loro avversari politici di centrodestra, o i loro concorrenti di sinistra rappresentati. Ma nel caso del Pdci le europee sono state come un tavolo da poker. Oliviero Diliberto ha deciso di puntare le sue residue risorse (quasi tre milioni di euro) per promuovere i propri candidati nell’alleanza con Rifondazione. Risultato paradossale: tutti e quattro i candidati del partito erano arrivati primi nella battaglia delle preferenze, centrando l’obiettivo. Ma, ancora una volta, il risultato elettorale, inferiore di 0.6 decimi di punto al quorum, ha sottratto all’alleanza elettorale quasi sei milioni di euro di finanziamento.

NAPOLI ADDIO. A via del Policlinico la situazione è altrettanto drammatica. "Io, che ho passato una vita a difendere i lavoratori dai licenziamenti – ammette con sofferenza Paolo Ferrero, segretario del partito – mi sono trovato a dover sottoscrivere la drammatica necessità di quaranta licenziamenti". A cui, per giunta,si aggiungono, anche in questo caso, altri 40 dipendenti messi in cassa integrazione. E a cui si aggiunge la situazione precarissima di Liberazione, che ha già tagliato la foliazione, e ha dovuto mettere in solidarietà tutti i suoi dipendenti. Le vendite sono passate dalle 16 mila copie dell’era Curzi alle 4800 attuali. Ad aprile è prevista una verifica dei conti a cui il giornale potrebbe non sopravvivere.

Le ultime elezioni vedevano partire il cartello della federazione da 48 consiglieri regionali, che dal punto di vista finanziario portavano 5 mila euro a testa ogni mese. In queste elezioni i due partiti sono passati a 18. 14 di Rifondazione, solo 4 del Pdci. Ma il quorum è stato mancato in Lombardia, che portava uno dei rimborsi elettorali più cospicui. A via del Policlinico resta (per ora) un apparato di 40 funzionari. Come pagarli? Per ora nell’unico modo possibile: mettendo in vendita un pezzo forte del patrimonio, la sede di Napoli. Ma per resistere fino alle prossime politiche, nella speranza di passare il quorum, ci vorrà altro. Unica storia controtendenza? Quella di Sinistra e libertà, che ha ottenuto quasi lo stesso numero di eletti della federazione (18). Il caso virtuoso? Proprio in Puglia, dove Vendola ha trainato la lista al 9%, producendo un rimborso adeguato. Retroscena incredibile: Vendola ha speso solo 400 mila euro (contro sei milioni circa del suo avversario, Rocco Palese) perché il Pd, per via delle note ruggini, aveva trattenuto i 300 mila euro raccolti con le primarie. Vendola otterrà di rimborso molto di più. Li userà per finanziare le primarie nazionali in vista del 2012?

LA CORSA PD ALL'ANNIENTAMENTO: ALLE ELEZIONI DEL 2013 CAPOLISTA PD SULLEY MUNTARI. Impauriti dal RICORSO DI BEPPE GRILLO CONTRO L'ELEZIONE DEL DUO LOMBROSIANO ( SI LO PSEUDO SCENZIATO CHE RITENEVA DI AVER TROVATO LA MOTIVAZIONE ANCESTRALE DELLA DELINQUENZA DALLA CONFORMAZIONE DEI CRANI...) FORMIGONI-ERRANI, NELLA PAURA DI PERDERE UN LORO MERDOSO VICERE' - ERRANI - IN EMILIA/ROMAGNA, I PIDIOSSINI VOTANO UNA LEGGE BIPARTISAN PER LEGALIZZARE L'ILLEGALE, IL FUORILEGGE, LA MERDA COME LORO!!!! PER ORA LA LORO EMORRAGIA SI E' FERMATA A 6 MILIONI DI VOTI, NON GLI BASTA....DOPO I 32 MERDOSI FUGGITI AL VOTO PER LO SCUDO MAFIOSO FISCALE, DOPO LA MODIFICA DS/FORZAITALIONTA DELL'ARTICOLO COSTITUZIONALE 111 SUL GIUSTO PROCESSO NEL 1999 (QUELLO CHE CANCELLAVA IL RIPORTO DELLE TESTIMONIANZE DEI TANGENTISTI NEL PROCESSO PENALE AI POLITICI CON MODIFICA DELL'ARTICOLO 513 DEL CODICE PENALE), ECCO IL TRIS DEI MERDOSI....

Siore e siori, sempre più difficile! Pur di non opporsi, l’opposizione all’italiana chiamata Pd s’è prodotta ieri in un triplo salto mortale carpiato con avvitamento e scappellamento a destra, un numero mai riuscito né provato prima d'ora. Ricordate il decreto salva-liste che sanava ex post le illegalità nella presentazione delle liste Pdl a Milano e Roma? Bene, era illegale, incostituzionale e inutile. Illegale perché una legge del 1988 vieta i decreti in materia elettorale (onde evitare il rischio che si voti con una regola e poi, se il decreto non viene convertito in legge, quella regola decada dopo il voto e si debba tornare alle urne). Incostituzionale perché sanava solo le irregolarità di alcune liste e non di altre e perché cambiava le regole del gioco a partita iniziata. Inutile perché modificava per via parlamentare una legge regionale. Incuranti di questi dettagliucci, i presidenti del Consiglio e della Repubblica lo firmarono a piè fermo. Il Pd gridò allo scandalo (ma solo per la firma di Berlusconi: quella di Napolitano era ottima e abbondante), annunciò la fine del "dialogo sulle riforme", portò la gente in piazza del Popolo a protestare contro l’atto eversivo.

Motivazione ufficiale, fremente di sdegno: "Se il governo indossa gli anfibi e scende in piazza con attacchi violenti contro le istituzioni, noi non restiamo certo in pantofole". Qualcuno, chiedendo scusa alle signore, parlò financo di regime. Non contenti, due giorni fa i piddini organizzarono un’imboscata per affossare il decreto alla Camera, bocciandone la conversione in legge grazie alle consuete assenze nella maggioranza e alle inconsuete presenze nell’opposizione. Un miracolo mai accaduto prima: l’opposizione più stracciacula della storia dell’umanità riesce a mandar sotto il governo, senza sopperire con le proprie assenze – come invece era accaduto sulla mozione anti-Cosentino e sullo scudo fiscale – a quelle endemiche del centrodestra. Ma niente paura: l’illusione di un’opposizione che si oppone è durata l’espace d’un matin.

Ieri il Pd, sgomento per l’inatteso e involontario successo, s’è subito pentito. Ha riposto gli anfibi, ha recuperato le pantofole di peluche ed è tornato al suo passatempo preferito: l’inciucio. Tenetevi forte, perché la notizia è grandiosa: onde evitare di invalidare le elezioni regionali appena tenute in base al decreto ormai defunto, la maggioranza più comica della storia ha presentato in fretta e furia una leggina per salvare gli effetti del decreto medesimo, ribattezzata dai magliari di Palazzo Chigi "legge salva-effetti", e sbrogliare il gran casino creato dal Banana con la partecipazione straordinaria di Napolitano.

Così il decreto, cacciato dalla porta, è rientrato dalla finestra in meno di 24 ore. A quel punto qualunque persona sana di mente avrebbe mantenuto le posizioni di partenza: la maggioranza pro-decreto avrebbe detto sì alla salva-effetti, l’opposizione anti-decreto avrebbe detto no. E infatti l’Idv ha detto no e perfino l’Api di Rutelli s’è astenuta. Indovinate come ha votato il Pd? A favore (a parte Furio Colombo e poche altre persone serie), a braccetto col Pdl e la Lega. Ne saranno felici le migliaia di persone che si erano fatte convincere a calzare gli anfibi e a scendere in piazza del Popolo contro "l’attacco violento alle istituzioni"....QUELLA STESSA GENTE DEL POPOLO DELLA MERDA VIOLA, CON LE CANTANTI GRIFFATE, LE STRONZATE PAGATE,ECC...

Era tutto uno scherzo. Il Pd era contro il decreto, ma non contro i suoi effetti. Tant’è che ieri ha contribuito a ripescarli. Un voto del tutto inutile, vista la maggioranza bulgara Pdl-Lega, ma comunque indicativo dell’amorevole trepidazione con cui i diversamente concordi del Pd seguono le porcate del Banana. Lui li insulta e loro lo salvano anche se lui non vuole. Per questo sbaglia il capogruppo dell’Idv Massimo Donadi quando afferma che non si tratta comunque di inciucio "perché il Pd non ha avuto nulla in cambio". Gli inciuci dei centrosinistri col Banana sono sempre a senso unico: lui ci guadagna, quelli ci perdono. E’ un do ut des senza des. Ma quelli continuano. Si divertono così.

RSANI:PIU' DI 6 MILIONI DI VOTI PERSI IN DUE ANNI.)

QUESTA E' UNA MIA PERSONALE SODDISFAZIONE:ANNI FA MI CONSUMAI LE MANI A FURIA DI SCRIVERE LORO DEL MIO DISAGIO, DI LAVORI DI MERDA, DI LICENZIAMENTI SUBITI, DI UMILIAZIONI SENZA MAI RICEVERE SODDISFAZIONE. OGGI ANCHE LORO SI TROVANO NELLA MERDA FINO AL COLLO E PER ME E' UNA SODDISFAZIONE: "SE PER COLPA DI ALTRI FINISCI NEI GUAI, FAI IN MODO CHE CHI TI HA MESSO IN TALE SITUAZIONE FINISCA IN GUAI ANCORA PEGGIORI!!!"

Rifondazione e Pdci, funzionari cassintegrati

Finiti i fondi dei due partiti di sinistra, i dipendenti restano senza lavoro

Da partiti che ambivano a rappresentare i cassintegrati, a partiti che finiscono per essere costituiti "da" cassintegrati. Non c’è, ovviamente, solo la differenza di un articolo, fra queste due condizioni, ma la storia di un passaggio di epoca, la radiografia di un drammatico terremoto politico. Stiamo parlando di Pdci e Rifondazione (ma anche dei Verdi), ovvero dei partiti che dopo le ultime elezioni sono diventati zombie, costretti a demolire il loro apparato, a dismettere i (pochi) gioielli di famiglia rimasti, a chiudere i giornali, ad alienare le sedi, e – soprattutto – a licenziare e prepensionare tutti i loro dipendenti, proprio come nei processi di deindustrializzazione che in questi anni hanno tenacemente combattuto. Colpa degli sbarramenti elettorali, prima di tutto: che colpiscono non solo la rappresentanza, ma - solo in Italia - anche il diritto a ottenere rimborsi. E colpa anche, come vedremo fra breve, della strategia di Silvio Berlusconi E del Pd (due facce della stessa melmosa medaglia), che ha mirato a fare terra bruciata di tutte le organizzazioni politiche che avevano popolato la Seconda Repubblica. Un fenomeno, quindi, che non può indurre al sorriso, o a facili battute, ma che deve essere anche letto - qualunque cosa si pensi di questi partiti - come una ulteriore restrizione degli spazi democratici.

NON PIU’ VIRTUOSI. Il nostro viaggio non può che partire dal Pdci di Oliviero Diliberto, che fino alla catastrofe elettorale della lista arcobaleno del 2008 era additato come modello di gestione economica persino da un analista non certo tenero come Gianmaria De Francesco, cronista economico de Il Giornale: apparato ridotto, conti in regola, rapporto virtuoso tra eletti, voti e militanti, che garantiva solidi attivi di bilancio. Ebbene, la notizia che in queste ore, per motivi comprensibili, si prova a mantenere segreta, è che il partito è ormai alla bancarotta. Sul conto corrente ci sono solo 160 mila euro, quelli che bastano a malapena a gestire l’amministrazione ordinaria. Dei 21 dipendenti 17 sono stati posti in cassa integrazione. Ne rimangono solo quattro, di cui uno per motivi legali è l’amministratore, l’altro è un centralinista, l’altro è il segretario del segretario, e l’ultimo un organizzatore, ovvero il presidio minimo per cui il cuore dell’organizzazione non cessi di battere all’istante.

Ancora più drammatica la situazione di Rinascita, il settimanale che ai tempi di Armando Cossutta fu oggetto di una contesa per il valore della testata, prestigiosa e direttamente riconducibile alla memoria di Palmiro Togliatti. Ecco, adesso il settimanale del Pdci è tecnicamente fallito, ha cessato le pubblicazioni, e tutti i giornalisti sono stati anche loro cassintegrati. Rinascita, che non aveva mai perso il suo ridotto ma il solido presidio di lettori costava da solo 900 mila euro l’anno, un lusso per un partito che deve tagliare gli stipendi a tutti. Già la storia di questo tracollo economico spiega come ci sia lo zampino del governo. Il settimanale, infatti, era uno dei pochi organi di partito, tra quelli che hanno diritto al sovvenzionamento pubblico, che non copriva in modo surrettizio altri scopi o altri fini. Ma la norma con cui Tremonti ha tolto il cosiddetto "diritto soggettivo" al finanziamento ha di fatto reso discrezionale l’accesso ai fondi dell’editoria: mentre prima le banche anticipavano le cifre a cui il giornale avrebbe avuto in ogni caso diritto in base alla sua tiratura, adesso – non essendoci più nessuna certezza, visto che si combatte ad ogni Finanziaria sulla copertura delle quote – non fanno più nessun credito.

Infine il doloroso capitolo del bilancio del partito. Ancora nel 2008 aveva quattro gettiti importanti: il tesseramento, il finanziamento pubblico, i rimborsi elettorali e le rimesse degli eletti locali e nazionali, che devolvevano il 50% del proprio stipendio netto al partito. Nelle ultime politiche e alle europee, il Pdci non ha superato il quorum del 4%. E in questo caso, per via di un liberticida emendamento alla legge voluto in Parlamento dai veltroniani (Berlusconi era incerto), né Rifondazione, né i Verdi, né il Pdci hanno ottenuto un solo centesimo. Un piccolo assurdo democratico: infatti, la quota dei voti che questi partiti ottengono contribuisce a finanziare i loro avversari politici di centrodestra, o i loro concorrenti di sinistra rappresentati. Ma nel caso del Pdci le europee sono state come un tavolo da poker. Oliviero Diliberto ha deciso di puntare le sue residue risorse (quasi tre milioni di euro) per promuovere i propri candidati nell’alleanza con Rifondazione. Risultato paradossale: tutti e quattro i candidati del partito erano arrivati primi nella battaglia delle preferenze, centrando l’obiettivo. Ma, ancora una volta, il risultato elettorale, inferiore di 0.6 decimi di punto al quorum, ha sottratto all’alleanza elettorale quasi sei milioni di euro di finanziamento.

NAPOLI ADDIO. A via del Policlinico la situazione è altrettanto drammatica. "Io, che ho passato una vita a difendere i lavoratori dai licenziamenti – ammette con sofferenza Paolo Ferrero, segretario del partito – mi sono trovato a dover sottoscrivere la drammatica necessità di quaranta licenziamenti". A cui, per giunta,si aggiungono, anche in questo caso, altri 40 dipendenti messi in cassa integrazione. E a cui si aggiunge la situazione precarissima di Liberazione, che ha già tagliato la foliazione, e ha dovuto mettere in solidarietà tutti i suoi dipendenti. Le vendite sono passate dalle 16 mila copie dell’era Curzi alle 4800 attuali. Ad aprile è prevista una verifica dei conti a cui il giornale potrebbe non sopravvivere.

Le ultime elezioni vedevano partire il cartello della federazione da 48 consiglieri regionali, che dal punto di vista finanziario portavano 5 mila euro a testa ogni mese. In queste elezioni i due partiti sono passati a 18. 14 di Rifondazione, solo 4 del Pdci. Ma il quorum è stato mancato in Lombardia, che portava uno dei rimborsi elettorali più cospicui. A via del Policlinico resta (per ora) un apparato di 40 funzionari. Come pagarli? Per ora nell’unico modo possibile: mettendo in vendita un pezzo forte del patrimonio, la sede di Napoli. Ma per resistere fino alle prossime politiche, nella speranza di passare il quorum, ci vorrà altro. Unica storia controtendenza? Quella di Sinistra e libertà, che ha ottenuto quasi lo stesso numero di eletti della federazione (18). Il caso virtuoso? Proprio in Puglia, dove Vendola ha trainato la lista al 9%, producendo un rimborso adeguato. Retroscena incredibile: Vendola ha speso solo 400 mila euro (contro sei milioni circa del suo avversario, Rocco Palese) perché il Pd, per via delle note ruggini, aveva trattenuto i 300 mila euro raccolti con le primarie. Vendola otterrà di rimborso molto di più. Li userà per finanziare le primarie nazionali in vista del 2012?

LA CORSA PD ALL'ANNIENTAMENTO: ALLE ELEZIONI DEL 2013 CAPOLISTA PD SULLEY MUNTARI. Impauriti dal RICORSO DI BEPPE GRILLO CONTRO L'ELEZIONE DEL DUO LOMBROSIANO ( SI LO PSEUDO SCENZIATO CHE RITENEVA DI AVER TROVATO LA MOTIVAZIONE ANCESTRALE DELLA DELINQUENZA DALLA CONFORMAZIONE DEI CRANI...) FORMIGONI-ERRANI, NELLA PAURA DI PERDERE UN LORO MERDOSO VICERE' - ERRANI - IN EMILIA/ROMAGNA, I PIDIOSSINI VOTANO UNA LEGGE BIPARTISAN PER LEGALIZZARE L'ILLEGALE, IL FUORILEGGE, LA MERDA COME LORO!!!! PER ORA LA LORO EMORRAGIA SI E' FERMATA A 6 MILIONI DI VOTI, NON GLI BASTA....DOPO I 32 MERDOSI FUGGITI AL VOTO PER LO SCUDO MAFIOSO FISCALE, DOPO LA MODIFICA DS/FORZAITALIONTA DELL'ARTICOLO COSTITUZIONALE 111 SUL GIUSTO PROCESSO NEL 1999 (QUELLO CHE CANCELLAVA IL RIPORTO DELLE TESTIMONIANZE DEI TANGENTISTI NEL PROCESSO PENALE AI POLITICI CON MODIFICA DELL'ARTICOLO 513 DEL CODICE PENALE), ECCO IL TRIS DEI MERDOSI....

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