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PICCOLA
LIBRERIA
Mentre infuria un'epidemia un centinaio di notabili della DC si
riunisce in un convento-albergo ufficialmente per un corso di
esercizi spirituali, ma in realtà per una nuova spartizione del
potere. Dal romanzo (1974) di Leonardo Sciascia, giallo politico ma
anche apologo metafisico, Petri ha tratto un film sbilanciato,
ripetitivo, enfatico, così proteso nel cielo della fantapolitica da
perdere i contatti col pianeta della politica reale, nonostante il
rilievo di alcuni personaggi (Volonté è 80% Moro e 20% Andreotti) e
la graffiante sagacia di certe scene.
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"Andreotti,
Fanfani, Rumor, e almeno una dozzina di altri potenti
democristiani, dovrebbero essere trascinati sul banco degli
imputati e quivi accusati di una quantità sterminata di reati...
"
Pier Paolo Pasolini
E' il 28 agosto
1975 quando Pier Paolo Pasolini invocava un processo pubblico alla
Democrazia Cristiana, appena qualche mese prima di essere
barbaramente ucciso all'Idroscalo di Ostia in circostanze
piuttosto controverse.
Sempre nello stesso anno la Democrazia Cristiana si trovava in
grosse difficoltà dovute all'esito negativo prima delle elezioni
politiche, che segnavano una fortissima avanzata del Partito
Comunista, e dalla cocente bocciatura del referendum sul divorzio
al quale alcuni grossi nomi, come quello di Fanfani, avevano
investito molto per poi rimanere a bocca asciutta.
In tale contesto
Petri adatta per grande schermo l'omonimo romanzo di Leonardo
Sciascia mettendo in scena un feroce atto di accusa verso
un'intera classe dirigente, al governo sin dal secondo dopoguerra
ininterrottamente da trent'anni, in cui troppi erano ancora i
problemi irrisolti e nulla o quasi era stato fatto per risolverli.
Ormai dopo trent'anni di potere, la classe politica dominante era
occupata maggiormente verso il mantenimento del potere in
perpetuo.
Una classe politica autoreferenziale, una casta legata ancora alle
sue radici cristiane solo in apparenza, ma che sotto la maschera
cercava di svicolarsi anche dall'ingombrante presenza della Chiesa
cattolica come istituzione.
"Todo modo" quindi è
un'istantanea su un potere marcio e dilaniato dalle lotte
intestine e pur senza nominarla apertamente, appare fin troppo
evidente che il soggetto in questione è la grande "balena bianca"
democristiana e Aldo Moro, mai nominato anch'esso, il suo
"presidente".
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Un gruppo di uomini
politici, rappresentanti del partito di maggioranza che da trent'anni
governa l'Italia, si rinchiude in un convento costruito nel
sottosuolo di una pineta per il periodico corso di esercizi
spirituali condotti dal gesuita Don Gaetano, mentre il paese è
messo in ginocchio da un'epidemia.
"Todo
modo" rappresenta, sotto certi aspetti, la fine di una fase
molto feconda per il cinema italiano, quello del cinema politico,
iniziato nel 1961 con Salvatore Giuliano di Francesco Rosi
proseguito sotto l’egida dello stesso regista napoletano in
aggiunta a nomi molto importanti come appunto Elio Petri, Gillo
Pontecorvo passando anche per Damiano Damiani e Citto Maselli.
Il contesto storico per una pellicola come "Todo
modo" non era certo dei più favorevoli. Già era percepibile
quell’aria di "compromesso storico" tra Democrazia Cristiana e
Partito Comunista, il cui fautore principale era lo stesso Aldo
Moro e il film di Petri non era certamente un esempio nel cercar
di buttare acqua sul fuoco, tutt’altro.
Fin dall’inizio
siamo trasportati in un’atmosfera spettrale di strade semi deserte
con ripetuti annunci di una misteriosa epidemia che sta
propagandosi nel paese. Lo stesso albergo Zafer, luogo scelto per
l’annuale periodo degli esercizi spirituali, ha una tipologia
piuttosto anomala: una costruzione che si sviluppa interamente
verso il basso, dalla struttura labirintica e dotato di camere che
non sembrano stanze di un albergo quanto più simili alle celle di
un convento.
In questo luogo convergono i più alti rappresentanti del partito
oltre naturalmente esponenti illustri a loro modo collegati dalla
stessa matrice cattolica: banchieri, grandi industriali,
giornalisti, magistrati, alti dirigenti statali. Tutti accomunati
dalla detenzione e dall'uso del potere in misura più o meno
grande, con lo scopo di purificarsi per il tramite degli esercizi
spirituali.
Ben presto però la pratica degli esercizi è solo una copertura per
una ridefinizione dei ruoli, per una nuova spartizione della torta
pubblica determinata da un nuovo riequilibrio dei rapporti delle
varie correnti all'interno dello stesso partito, come era ad uso
si tempi della Democrazia Cristiana, tutt'altro che un blocco
monolitico, anzi un vero parlamento a sé stante all'interno dello
stesso Parlamento costituzionale.
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I due attori
principali di questa nuova ridefinizione sono da una parte Don
Gaetano, prete gesuita e direttore degli esercizi spirituali e il
Presidente del partito. Intorno a queste due figure principali si
gioca in un certo senso la
leadership carismatica nei confronti dei convenuti.
Don Gaetano utilizza la forza psicologica degli esercizi
spirituali come un guinzaglio per imporsi su quel gruppo di
persone che dominano la maggior parte dei centri vitali del paese:
politica, imprenditoria e informazione. Si serve della stessa
ipocrisia dei convenuti, del loro bisogno di purificarsi dai
peccati derivato dall'uso dell'esercizio del loro potere per
imporre la propria leadership,
assecondando la sua personale sete di potere.
Lui stesso o per interposta persona (il "Lui", misterioso e
influente personaggio politico interpretato da Michel Piccoli)
vuole porre il suo personale sigillo sul cambiamento da operare
all'interno del partito. E' pienamente consapevole della profonda
corruzione dei notabili, della loro impossibilità ad essere
redenti, ma al tempo stesso si autodefinisce un "prete cattivo"
che non ha paura di sporcarsi le mani, perché in fondo sono stati
i "preti cattivi" a fare la storia della Chiesa, a confermare ed
esaltare la sua santità.
"Mediazione e mutamento nella
strategia della stabilità"
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Grazie alla
straordinaria interpretazione di Gian Maria Volontè, si erge la
figura del Presidente, uomo che si pone come il fulcro per la
creazione dei nuovi equilibri di partito, equilibri delicatissimi
che si possono spezzare in un istante, dove la singola frase o la
singola parola, mal interpretati come pesanti allusioni, possono
distruggere il lavoro di lunghi ed estenuanti compromessi
faticosamente trovati tra le varie correnti di partito.
Modellato sulla figura di Aldo Moro, ma con movenze e talvolta
pungente ironia tipicamente andreottiana, il Presidente del
partito rappresenta trent'anni di malgoverno del paese, una vita
dedicata alla mediazione in maniera totale all'interno delle
correnti di partito, tanto da compromettere ogni sua funzione
propositiva relegata ormai alla propria dimensione onirica ed
inconscia.
Un uomo impotente e frustrato che repelle qualsiasi contatto
fisico, dalla psiche dissociata dal dualismo tra ciò che desidera
e l'impossibilità di operare una qualsiasi scelta di ordine
politico che possa scontentare qualcuno. Una moltitudine di
erezioni mancate come poi sottolineerà a Don Gaetano. Un camminare
perennemente sul filo del rasoio ormai insopportabile, evidenziata
dall'enfasi in cui recita delle semplici preghiere, simile a degli
orgasmi mai raggiunti.
Desideri inappagati che nemmeno la presenza della moglie Giacinta,
unica presenza femminile del film, riescono a lenire fino in
fondo. Dopotutto la stessa personalità di Giacinta è annullata in
funzione del marito, votata al desiderio di vederlo ai vertici
della Stato.
Di fronte a tale sfascio in cui gli onorevoli si azzuffano come
animali e dal raggiungimento della consapevolezza che nessun
cambiamento potrà avvenire, il Presidente opera in modo da
annullare lentamente Don Gaetano, facendogli terra bruciata
intorno e usurpandone il ruolo. Con Don Gaetano fuori dai giochi,
il Presidente sarà l'unica figura ad assurgere al ruolo di unico
pastore del gregge.
Un piano semplice ed ispirato dalle parole di Ignazio di Loyola,
fondatore dell'ordine gesuiti, dove la metodologia per il
raggiungimento dell'obiettivo risiedono nel senso di
responsabilità del singolo individuo.
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"Todo
modo para buscar la voluntad divina"
Ignazio di Loyola
Il motto del
fondatore dell'ordine dei Gesuiti è la chiave per dipanare, se
così vogliamo dire, la falsa trama gialla che si innesca nella
seconda parte del film. Falsa nel senso che si tratta soltanto di
una sequenza di uccisioni, mai annunciate e mostrate da Petri nel
loro svolgersi, annullando qualsiasi suspence e raffigurando
sempre il "dopo" con la semplice scoperta del cadavere, spesso in
una postura sconcia, a sottolineare maggiormente la bassezza
morale dei cosiddetti notabili di partito e con evidenti segni
dell'epidemia che dall'esterno comincia a dilagarsi anche
all'interno dell'eremo sotterraneo dello Zafer seguendo uno schema
che ricorda "La maschera della
Morte Rossa".
Tutta la sequenza di omicidi ha un ordine prestabilito ben preciso
che, prendendo spunto dal motto "Todo
modo para buscar la voluntad divina", decide chi debba essere
ucciso creando un effetto domino.
Infatti estrapolando le lettere degli acronimi dei vari enti di
cui i convenuti sono presidenti o amministratori delegati ed i
legami tramite partecipazioni azionari reciproche, si riesce a
scoprire il perché sia stato ucciso una persona piuttosto che
un'altra, ma anche a prevedere con una certezza molto alta chi è
sotto il mirino del misterioso assassino.
Il Presidente
quindi mette in moto quella che può essere considerata una solenne
cerimonia sacrificale di purificazione del partito: un atto
politico in piena regola rivestito da un significato divino,
dettato dal motto di Sant'Ignazio di Loyola e soprattutto dettato
dalla propria coscienza etica ed individuale che si concluderà con
il sacrificio di se stesso sull'altare del tanto agognato
rinnovamento (annullamento) del partito. Raggiunge così
l’obiettivo di coniugare entrambi gli aspetti, politico e
religioso, a scapito di Don Gaetano il quale pur partendo dal lato
opposto, quello religioso, mirava a rivestire le sue azioni di un
significato politico.
E’ interessante e curioso inoltre che solo due anni dopo l’uscita
del film si verificherà nella realtà il finale opposto proposto da
Petri: il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, verrà
ucciso dalle Brigate Rosse, ma con l’avallo di gran parte del suo
stesso partito che, dietro la facciata della linea di fermezza nei
confronti dei terroristi, era realmente spaventata dalla politica
del "compromesso storico" ideata da Moro.
"Todo
modo" non è un film di facile lettura, infatti la sua
struttura assai complessa e stratificata permette una lettura a
vari livelli a scapito però di una scarsa linearità narrativa.
Tuttavia a distanza di oltre trent'anni possiede ancora una forza
visionaria di prim'ordine che ne fanno una pellicola molto
particolare e per certi versi molto attuale.
Petri sceglie volutamente una cifra stilistica votata al grottesco
portandolo ad eccessi molto elevati e, con l'ausilio della
scenografia curatissima, per quanto apparentemente scarna, di
Dante Ferretti e dalla fotografia dominata da grossi contrasti di
luce da parte di Luigi Kuveiller crea un'atmosfera straniante
all'interno dell'albergo Zafer, quasi astratta che forma un
contesto tragico e funereo che decreta la morte vera propria della
politica in cui questi piccoli grandi uomini di partito vengono
visti, o meglio smascherati in tutte le loro nefandezze e
rendendoli ridicoli oltre ogni misura.
Detto di Gian Maria
Volontè e di Marcello Mastroianni tutto il cast di attori offre
una prova d'insieme eccellente, ma merita una citazione
particolare Ciccio Ingrassia nel ruolo di Voltrano, certamente la
sua migliore prova di attore.
La scelta operata
da Petri può apparire eccessiva e fuori luogo e che può prestare
il fianco a molte accuse (cosa che accadde ovviamente all'uscita
del film) di fanatismo ideologico, ma se andiamo alla memoria del
processo Cusani, in piena Tangentopoli, dove si vedeva un pezzo da
novanta come Forlani con la bava ai lati della bocca, non si può
certo nascondere l'effetto ridicolo che suscitò in molti che lo
videro in diretta televisiva.
"Todo
modo" scatenò all'epoca polemiche roventi da entrambe le
parti: da destra per ovvie ragioni e una certa freddezza da
sinistra, per motivi soprattutto di opportunità visto che, come
detto sopra, il compromesso storico non era solo una voce di
corridoio bensì un progetto molto concreto sotto l'egida di Aldo
Moro, poi naufragato con il rapimento e la successiva uccisione
dello statista democristiano.
Le polemiche sono molte volte fonte di pubblicità che in molti
casi sono in grado di fare la fortuna, anche e soprattutto
commerciale, di un film. In questo caso però la pellicola di Petri
subì un destino di oblio che dura ancora tutt'oggi vista la sua
difficile reperibilità e i pochi passaggi televisivi.
Da rilevare inoltre il ritrovamento del negativo della pellicola
custodito alla Cineteca Nazionale, bruciato. Analogo destino anche
al suo autore, Elio Petri, uno dei nostri migliori autori in
assoluto e con il passare degli anni messo forse un po' troppo in
un angolino, poco citato dalla critica ufficiale e praticamente
quasi sconosciuto alle nuove generazioni.
"Ogni
mezzo per realizzare la volontà divina"
Elio Petri
Senzani,
il leader brigatista torna libero
"Dopo 23 anni di carcere sono un uomo diverso"
Il capo delle Br
più sanguinarie esce per "estinzione della pena". Con Mario Moretti
guidò il gruppo terroristico dopo il sequestro Moro
ROMA - "I giudici
che m'hanno esaminato negli ultimi dieci anni hanno potuto
constatare che sono una persona cambiata e infatti hanno sentenziato
l'estinzione della pena. Sono stato in galera 23 anni. Ho
riconosciuto i miei errori davanti al tribunale di sorveglianza. Ora
sono un uomo libero. La politica del resto l'ho abbandonata da un
pezzo, ma non le mie idee di sinistra". La politica Giovanni Senzani
la praticava nelle colonne delle Brigate Rosse. Una parabola
terribile.
Aveva studiato a Berkeley. Era un criminologo di un certo talento.
Insegnava nelle università di Firenze e Siena. Scrisse perfino un
libro per Jaca Book, la casa editrice legata a Comunione e
Liberazione. Poi il demone della violenza politica lo risucchiò nel
gorgo degli anni di piombo. A metà degli anni Settanta s'era
accostato alle Br, nella cui sezione genovese militava suo cognato
Enrico Fenzi: nel 1970 aveva sposato la sorella, Anna. Dopo il
sequestro Moro ne assunse di fatto il comando, insieme a Mario
Moretti. "Figura assolutamente atipica nel panorama del terrorismo
di sinistra italiano: il leader dell'ala più sanguinaria", lo definì
l'ex presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle
stragi Giovanni Pellegrino. Si disse che coltivasse legami con pezzi
deviati dei servizi segreti. In carcere divise la detenzione con Ali
Agca, indottrinandolo, secondo una certa vulgata, sulla pista
bulgara. Fu lui a trovare l'appartamento in via della Stazione di
Tor Sapienza a Roma dove venne sequestrato il giudice Giovanni D'Urso
e che Moretti, in tuta da ginnastica e attrezzatura da carpentiere,
trasformò velocemente in una prigione. E al compagno titolare
dell'immobile, che osò fargli un'osservazione, sibilò gelido: "Non
puoi saperlo meglio di me, che ho già fatto cinque sequestri".
Senzani gestì il sequestro di Ciro Cirillo ed ebbe l'ergastolo per
l'uccisione di Roberto Peci, trucidato il 3 agosto 1981 in un
casolare sull'Appia dopo un sequestro durato 53 giorni. Aveva la
sola colpa di essere il fratello del primo pentito delle Br,
Patrizio. Con una telecamera Telefunken avevano registrato tutti gli
interrogatori e quando lo finirono con undici colpi di pistola -
avvolgendo il cadavere in un drappo rosso sormontato dalla scritta
"Morte ai traditori" - uno dei sicari immortalò la scena con la
Polaroid. Fu una ferocia assoluta. Il sostituto procuratore Macchia
giunse sul posto, vide la scena e finì a terra svenuto.
Senzani lo presero sei mesi dopo. Gli anni Settanta erano finiti da
un pezzo. Nella foto segnaletica scattata in questura ha la zazzera
in disordine, un barbone incolto, lo sguardo scocciato. Non si è mai
pentito, né dissociato. Otto mesi fa ha quindi finito di scontare la
sua pena, ma la notizia è trapelata solo ora. Gli ultimi cinque anni
li aveva trascorsi in regime di libertà condizionale. Non poteva
uscire di casa dopo le ore 23 e aveva l'obbligo di presentarsi due
volte al mese in questura. Ci furono aspre polemiche per quella
concessione fatta dal tribunale di sorveglianza. "Risponderà davanti
a Dio di quello che ha fatto" commentò la madre di Peci, Amelia. Per
la Procura generale di Firenze non sussisteva "il requisito del
sicuro ravvedimento" e così fece ricorso. Ma la Cassazione alla fine
diede ragione a Senzani. "La nostro fortuna è stata quella di aver
trovato giudici scevri di condizionamenti" chiosa l'avvocato
Bonifacio Giudiceandrea. Dice Senzani, che oggi ha 68 anni: "Sono in
pensione, anche se continuo a collaborare con le Edizioni della
Battaglia. Verrà il tempo di parlare del mio passato".
Giovanni Senzani,
il capo più ambiguo e sanguinario delle Brigate Rosse,
ha finito di scontare definitivamente la sua pena otto mesi fa. Ma
la notizia è trapelata soltanto ieri, nessuno finora se ne era
accorto. Del resto l’ex criminologo, che fu consulente del ministero
di Grazia e Giustizia durante il sequestro Moro, era in libertà
condizionale da almeno cinque anni e
precedentemente aveva ampiamente usufruito del beneficio di
lavorare, all’esterno del carcere, presso una piccola casa editrice
che ogni giorno da anni raggiungeva pedalando la sua bicicletta. A
darne la notizia è stato l’edizione locale de La Repubblica,
al quale l’ex brigatista ha detto: ”I giudici hanno potuto
constatare che sono una persona cambiata e infatti hanno sentenziato
l’estinzione della pena. Sono stato in galera 23 anni. Ho
riconosciuto i miei errori davanti al Tribunale di sorveglianza. Ora
sono un uomo libero. La politica l’ho abbandonata da un pezzo, ma
non le mie idee di sinistra”. Ottimo, peccato che per sostenere
che Senzani è cambiato bisognerebbe sapere chi sia davvero stato in
passato. E questo nessuno sembra in grado di dirlo.
Nella sua scarna biografia è scritto che negli anni Settanta fu un
criminologo di un certo talento. Si era laureato nella città
californiana di Berkeley, insegnava nelle
università di Firenze e Siena,
scrisse persino un libro per Jaca Book, la casa
editrice legata a Comunione e Liberazione. Poi il
prestigioso incarico di consulente di via Arenula,
proprio negli anni in cui cadevano uno dopo l’altro, ammazzati dalle
Brigate Rosse, magistrati come Palma,
Minervini, Tartaglione, i più impegnati
nella riforma delle carceri. Omicidi rivendicati da comunicati Br
che grondavano di informazioni riservate, si parlò
di una Talpa interna ma lui rimse al suo posto. A Roma usufruiva in
via della Vite di un appartamento che divideva a metà con un
regista, che era però anche un informatore del Supersismi,
la tecnostruttura di stampo piduista ancora avvolta dal mistero.
Le note di agenzia ribadiscono ancor oggi che “Senzani guidò con
Moretti il gruppo terroristico dopo il sequestro Moro”. In
effetti non fu mai condannato per il rapimento e l’uccisione del
Presidente, fu proprio il Sismi, allora diretto dal generale
Santovito (tessera P2 1630) a tirarlo fuori dal processo
grazie a un affidavit in cui si sosteneva che il professor
Senzani era in quei mesi impegnato in uno stage negli Usa. Nessuno
mai ritenne di approfondire la validità di una simile informativa,
anche se disperatamente l’ex vice questore di Genova Arrigo
Molinari andava sostenendo di avere le prove certe della
presenza di Senzani in Italia in quel periodo grazie intercettazioni
telefoniche, aprile 1978, tra alcuni medici genovesi e il
criminologo che appariva preoccupato dal fatto che un brigatista
torinese, gravemente ferito durante un attentato, potesse riprendere
conoscenza (e parlare).
Fu la commissione d’inchiesta sulle Stragi di Giovanni
Pellegrino a illuminare le molte zone d’ombra del
brigatista-criminologo. L’indagine, affidata al maggiore del Ros
Massimo Giraudo, focalizzò l’attenzione su
Palazzo Caetani, proprio quello di fronte al quale fu
ritrovata la Renault Rossa con all’interno il cadavere di
Moro il 9 maggio 1978. L’indagine condusse al sospetto che
fosse proprio quella l’ultima prigione di Aldo Moro, a partire dai
filamenti di tessuti, ritrovati sui suoi vestit che riportavano ai
magazzini sotterranei dei commercianti ebrei. Ebbene Senzani, quale
studioso apprezzato negli Usa, sembra frequentasse all’interno di
Palazzo Caetani un misterioso Centro Studi.
All’epoca dominus di Palazzo Caetani era Hubert
Hòward, un naturista americano che fu anche presidente di
Italia Nostra, cognato del musicista Igor
Markevitch sul cui ruolo di Anfitrione nel rapimento Moro
si è molto fantasticato. Hòward aveva partecipato alla liberazione
di Firenze, era rimasto molto legato ad ambienti importanti della
città. Molti passaggi riportano al capoluogo toscano, a quel
Comitato esecutivo delle Br, regia di comando del sequestro Moro.
Proprio lì, tanti anni dopo, il 3 marzo 1993 – la Prima
Repubblica era già stata travolta da Tangentopoli
e Andreotti stava per essere indagato dai
magistrati di Palermo – ecco che ricompare l’ombra del
Superservizio durante i lavori di ristrutturazione nel
palazzo nobiliare del defunto marchese Bernardo Lotteringhi
della Stufa. Si scoprì una soffitta piena di armi, tutte
avvolte con giornali risalenti al 1978. Il marchese rivelò che il
padre Alessandro aveva messo disposizione di un amico “importante”
il primo piano dell’edificio per incontri riservati e colloqui
telefonici (era stata collocata una cabina con segreteria
telefonica) per consentire contatti con una “fonte” in grado di
riferire sul sequestro Moro. L’amico era il colonnello
Federigo Mannucci Benincasa, capo del centro di
Controspionaggio di Firenze, mosaico di oscurità e
depistaggi. La fonte? I sospetti si concentrarono su Giovanni
Senzani, nessuno del resto ha mai creduto che il capo del Comitato
rivoluzionario toscano fosse negli Usa durante il sequestro Moro. E
lo storico Giuseppe De Lutiis insinua che sia stato
lui a condurre l’interrogatorio di Moro nel carcere, del resto era
l’unico in grado di farlo.
E’ questa la zona più in ombra della biografia di Senzani. Tutte le
informazioni che abbiamo riferito sono frutto dell’indagine
parlamentare, mai acquisite dal processo giudiziario. Il suo ruolo
di capo Br diventa esplicito a partire dal 3 agosto 1981,
quando fu ritrovato in un casolare sull’Appia il corpo trucidato di
Roberto Peci, dopo 53 giorni di prigionia con tanto
di interrogatorio, processo e condanna finale. Macabra pantomima del
processo Moro, chi sa mai a chi rivolta e perché. L’unica colpa di
Roberto era quella di essere fratello di Patrizio,
il primo brigatista pentito. Ci sono poi le cupe
pagine del sequestro Cirillo che vedono Senzani
spartirsi con i vertici del Sismi che facevano capo al generale
Pietro Musumeci (anche lui piduista) il riscatto
cui generosamente avevano partecipato gli imprenditori napoletani
interessati a spartirsi la torta degli appalti post-terremoto. Non
sappiamo chi sia oggi Giovanni Senzani, soprattutto non sappiamo chi
sia mai stato. Vale la pena di citare l’ironica risposta che diede
il pm Tindari Baglioni alla domanda di un giudice
che voleva sapere se davvero lo Stato fosse impreparato di fronte
alle Br. “Non so, certo sia noi che le Brigate rosse avevamo lo
stesso consulente, e cioè il Senzani”.
|
Questo elenco delle principali organizzazioni
armate di estrema sinistra in Italia include gruppi attivi in Italia in
diversi periodi storici, differenti tra loro per entità e scopi, ma
accomunati dall'uso delle armi a scopo eversivo e dall'orientamento
politico di sinistra. La maggior parte di queste organizzazioni si
sviluppò nei cosiddetti
anni di piombo, tra la fine degli
anni
sessanta e la seconda metà del
decennio successivo. Per un analogo elenco di organizzazioni
ispirate a ideologie di destra, vedi le
organizzazioni armate di destra in Italia.
Nome esteso |
Sigla |
Periodo |
Luogo |
Ispirazione |
Principali azioni |
|
Azione Rivoluzionaria |
AR |
1977-1980 |
Centro-Nord Italia |
situazionismo,
RAF |
Attentati a quotidiani |
Barbagia Rossa |
BarbRo |
1978-1982 |
Sardegna |
Brigate Rosse |
Attentati a
Carabinieri |
Brigate Comuniste |
BC |
1973-1979 |
Nord Italia |
|
sabotaggio alla International Telephone and Telegraph
Corporation di Fizzonasco, demolizione del carcere di Bergamo |
Brigate Rosse |
BR |
1970-1989 |
Italia |
Lotta armata metropolitana |
Rapimento e omicidio
Moro, rapimenti ed omicidi politici |
Brigata XXVIII marzo |
XXVIII marzo |
1980 |
Lombardia |
Brigate Rosse |
omicidio di
Walter Tobagi |
Cellule di Offensiva Rivoluzionaria |
COR |
2003-2004 |
Toscana, Roma |
Lottarmatismo |
Attentati intimidatori contro membri di
AN e incendiari contro sedi di
FI |
Collettivi Politici Veneti |
CPV |
1974-1985 |
Italia |
|
Comitati Comunisti Rivoluzionari |
CoCoRi |
1975-1978 |
Nord Italia |
|
Assassinii di guardie giurate |
Comunisti Organizzati per la Liberazione Proletaria |
COLP |
1981-1983 |
Italia |
Prima Linea |
Evasione di Cesare Battisti dal carcere di Frosinone. Evasione
dal carcere di Rovigo di Susanna Ronconi, Marina Premoli, Loredana
Biancamano, Federica Meroni |
Formazioni Comuniste Armate |
FCA |
1975-1976 |
Centro Italia |
|
Formazioni Comuniste Combattenti |
FCC |
1978 |
Centro Italia |
Prima Linea |
Omicidio di
Fedele Calvosa, procuratore capo di Frosinone |
Gruppi d'Azione Partigiana |
GAP |
1970-1972 |
Nord Italia |
Insurrezionalismo di liberazione nazionale |
attentato dinamitardo a Segrate in cui morì il leader
Giangiacomo Feltrinelli |
Gruppo XXII Ottobre |
XXII Ottobre |
1969-1971 |
Nord Italia |
marxismo-leninismo |
Attentati a sedi istituzionali, Omicidio di
Alessandro Floris, rapimento di
Sergio Gadolla. |
Volante Rossa Martiri Partigiani |
La Volante Rossa |
1945-1949 |
Nord Italia |
Resistenza italiana |
Omicidi di ex-fascisti e liberali o industriali, in genere
anticomunisti |
Movimento Comunista Rivoluzionario |
MCR |
1979-1980 |
|
|
Nuclei Armati Proletari |
NAP |
1974-1977 |
Sud Italia |
Brigate Rosse |
Sequestri ed agguati a personalità istituzionali |
Nuove Brigate Rosse |
Nuove BR |
1999-2007 |
Centro-Nord Italia |
Brigate Rosse |
Attentati e omicidi di politici |
Nuclei Comunisti Territoriali |
NCT |
1979-1980 |
Piemonte |
Prima Linea |
sabotaggio alla fabbrica FRAMTEK |
Partito Comunista Politico-Militare |
PCPM |
2007 |
Nord Italia |
Seconda Posizione |
Prima Linea |
PL |
1976-1980 |
Nord Centro Sud Italia |
|
Omicidi di personalità istituzionali |
Primi Fuochi di Guerriglia |
PFG |
1977-1978 |
Centro-Sud Italia |
Questione meridionale |
Attentati a sedi militari |
Proletari Armati per il Comunismo |
PAC |
1977-1979 |
Nord Italia |
|
Rapine in banca e omicidi di commercianti |
Reparti Comunisti d'Attacco |
RCA |
1978-1980 |
Lombardia |
Formazioni Comuniste Combattenti |
Ferimenti di personalità, irruzione a Radio Torino
Internazionale. |
Unità Comuniste Combattenti |
UCC |
1976-1979 |
Centro-Nord Italia |
Formazioni Comuniste Armate |
|
|
Il
Partito Comunista d'Italia- 1921-1943- (Sezione della Internazionale Comunista)
è stato un
partito politico italiano attivo legalmente dal
1921 al
1926 e
clandestinamente dal 1926 al
1943,
quando riprese l'attività legale come
Partito Comunista Italiano
(1943-1990)[1](
svolta di salerno, aprile 1944).
Avente sede a
Milano
nella palazzina di
Porta Venezia, ebbe come organo di stampa quotidiano centrale
Il Comunista fino al
1922 e,
dal
1924,
l'Unità.
Le
origini (1920-1921)
[modifica]
Il II Congresso del
Comintern fra
luglio
e
agosto del
1920
decide che i suoi membri avrebbero dovuto sottoscrivere 21
condizioni che prevedevano, fra l'altro, l'espulsione di ogni
riformista e il mutamento di nome dei in partiti in "Partito
Comunista". Alla fine del Congresso, il
27 agosto il presidente del Comintern
Zinov'ev con
Bucharin e
Lenin
inviavano al Psi e a «tutto il proletariato rivoluzionario» italiano
l'invito a discutere al più presto in un Congresso le 21 condizioni.
L'appello sarà pubblicato in Italia solo il
30 ottobre su L'Ordine Nuovo, quindicinale socialista
torinese diretto da
Antonio Gramsci.
Il
15 ottobre 1920 a
Milano
ha luogo una conferenza di tutti coloro che accettano senza riserve
le 21 condizioni del Comintern. Si incontrano così gli astensionisti
vicini ad
Amadeo Bordiga, gli ordinovisti di Gramsci e massimalisti
terzinternazionalisti come
Egidio Gennari,
Nicola Bombacci,
Bruno Fortichiari e
Francesco Misiano. La conferenza si concluderà con
l'approvazione del manifesto Ai Compagni e alle Sezioni del
Partito Socialista Italiano. Il manifesto si conclude con la
proposta del cosiddetto programma di Milano in 10 punti ed è
sottoscritto da Bombacci, Bordiga, Fortichiari, Gramsci, Misiano,
Umberto Terracini e il segretario della
Federazione Giovanile Socialista Italiana,
Luigi Polano. Nasce così la frazione comunista del Psi.
▼ espandi
I 10 punti su cui si formò il Partito Comunista d'Italia
- Nell'attuale regime capitalistico si sviluppa un sempre
crescente contrasto fra le forze produttive ed i rapporti di
produzione, dando origine all'antitesi di interessi ed alla
lotta di classe tra il proletariato e la borghesia dominante.
- Gli attuali rapporti di produzione sono protetti dal
potere dello Stato borghese, che, fondato sul sistema
rappresentativo della democrazia, costituisce l'organo per la
difesa degli interessi della classe capitalistica.
- Il proletariato non può infrangere né modificare il
sistema dei rapporti capitalistici di produzione da cui deriva
il suo sfruttamento, senza l'abbattimento violento del potere
borghese.
- L'organo indispensabile della lotta rivoluzionaria del
proletariato è il partito politico di classe. Il Partito
Comunista, riunendo in sé la parte più avanzata e cosciente
del proletariato, unifica gli sforzi delle masse lavoratrici,
volgendosi dalle lotte per gli interessi di gruppi e per
risultati contingenti alla lotta per la emancipazione
rivoluzionaria del proletariato; esso ha il compito di
diffondere nelle masse la coscienza rivoluzionaria, di
organizzare i mezzi materiali di azione e di dirigere nello
svolgimento della lotta il proletariato.
- La guerra mondiale, causata dalle intime insanabili
contraddizioni del sistema capitalistico che produssero
l'imperialismo moderno, ha aperto la crisi di disgregazione
del capitalismo in cui la lotta di classe non può che
risolversi in conflitto armato fra le masse lavoratrici ed il
potere degli Stati borghesi.
- Dopo l'abbattimento del potere borghese, il
proletariato non può organizzarsi in classe dominante che con
la distruzione dell'apparato sociale borghese e con la
instaurazione della propria dittatura, ossia basando le
rappresentanze elettive dello Stato sulla sola classe
produttiva ed escludendo da ogni diritto politico la classe
borghese.
- La forma di rappresentanza politica dello Stato
proletario è il sistema dei consigli dei lavoratori (operai e
contadini), già in atto nella rivoluzione russa, inizio della
rivoluzione proletaria mondiale e prima stabile realizzazione
della dittatura proletaria.
- La necessaria difesa dello Stato proletario contro
tutti i tentativi contro-rivoluzionari può essere assicurata
solo col togliere alla borghesia ed ai partiti avversi alla
dittatura proletaria ogni mezzo di agitazione e di propaganda
politica, e con la organizzazione armata del proletariato per
respingere gli attacchi interni ed esterni.
- Solo lo Stato proletario potrà sistematicamente attuare
tutte quelle successive misure di intervento nei rapporti
dell'economia sociale con le quali si effettuerà la
sostituzione del sistema capitalistico con la gestione
collettiva della produzione e della distribuzione.
- Per effetto di questa trasformazione economica e delle
conseguenti trasformazioni di tutte le attività della vita
sociale, eliminandosi la divisione della società in classi
andrà anche eliminandosi la necessità dello Stato politico, il
cui ingranaggio si ridurrà progressivamente a quello della
razionale amministrazione delle attività umane.
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DALLA
SCONFITTA DEL CENTRALISMO ORGANICO e dal rifiuto del "partigianismo"
ALLA NASCITA DEL PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE (1943-1952) |
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Germania Federale, 1967. Durante una
manifestazione pacifica contro la visita di Stato dello Scià di
Germania Federale, 1967. Durante una
manifestazione pacifica contro la visita di Stato dello Scià di
Persia Reza Pahlavi e consorte, la polizia attacca duramente i
manifestanti e spara e uccide lo studente Benno Ohnesorg. Ulrike
Meinhof, moglie, madre e giornalista militante della sinistra
radicale tedesca, scrive articoli di fuoco contro l’intervento
americano in Vietnam e in difesa degli studenti liquidati dal
governo e dalla stampa come meri teppisti. Dopo l’incendio
acceso in un magazzino di Francoforte, Ulrike conosce e
intervista in carcere una delle responsabili: Gudrun Ensslin,
figlia disinibita di un pastore protestante, madre di un figlio
ripudiato e compagna di politica e di cuore di Andreas Baader.
Affascinata dalla forza delle loro idee e della loro azione
politica, la giornalista aiuta Gudrun a far evadere il suo
compagno nella primavera del ‘70. L’evasione di Baader diventa
l’atto di nascita della RAF (Rote Armee Fraktion) e avvia la
clandestinità della Meinhof. Elaborato il manifesto
programmatico del gruppo armato, la Meinhof segue i compagni nei
campi militari palestinesi, dove verranno addestrati alle armi e
alla guerriglia urbana. Baader, Meinhof e Gudrun, rientrati in
patria, rapinano le banche e compiono attentati dinamitardi e
omicidi per abbattere il capitalismo e lo “Stato maiale”.
Inaugurano in questo modo dieci anni di piombo e sangue che li
condurranno dritti all’inferno, condannandoli all’isolationsfolter
e al suicidio collettivo nella divisione di massima sicurezza di
Stammheim. Dietro di loro resteranno soltanto l’ottusità
dogmatica e i troppi caduti incolpevoli.
È incredibile come due film distanti anni luce per concezione di
linguaggio e per intenzioni artistiche, come La banda Baader
Meinhof di Uli Edel e Buongiorno, notte di Marco
Bellocchio, attraversino lo stesso territorio (la ribellione
collettiva delle lotte sociali confluita e seppellita
definitivamente dalla lotta armata) legati da innumerevoli
interferenze e da sorprendenti contiguità. Concepiti in una
libertà di ispirazione completa e disinteressata a dimostrare
una tesi, le due opere si muovono dentro il sogno o dentro l’action
a partire dai dati di realtà, dalla cronaca e dalle
testimonianze di eventi cruciali che hanno generato infinite
storie e mitologie. È evidente che combinati i due aspetti
finiscano col rimandare e alludere a questioni politiche ancora
brucianti, generando nello spettatore rimproveri o encomi
secondo le differenti sensibilità chiamate in causa dai film.
Innestando immagini documentarie nel fluire di un racconto di
finzione, Edel, come Bellocchio, non vuole tanto restituire
all’epoca la sua verità in termini di “costume” ad uso della
verosimiglianza dell’assunto, quanto creare il contrappunto
della Storia con cui finiscono per interagire i personaggi in
una sorta di montaggio delle attrazioni fra gli eccidi
legittimati dai governi (Vietnam, Cambogia, Palestina) e le
esecuzioni dell’uomo politico (o economico), segnalando
l’equivalenza fra gli atti criminali statali e quelli dei
combattenti della RAF. Chi ha accusato Edel di aver fallito
l’obiettivo dichiarato di smontare il mito della RAF o di
essersi magari soltanto limitato a questo, non ha intuito
l’insistenza su una prospettiva altra, più profondamente umana e
lucida. Non ha avvertito il dolore costante che attraversa il
film e che pesa sulle spalle dei suoi straordinari interpreti,
sulla morte “per fame” di Holger Meins e sull’epilogo,
l’omicidio a sangue freddo dell’industriale Hanns Martin
Schleyer eseguito dalla “seconda generazione”.
In quelle due immagini c’è l’impatto dell’emozione, il dolore
per la perdita di una vita, il rimpianto per tutto quello che
avrebbe potuto essere e non è stato, per il funerale dell’essere
umano lasciato senza consolazione in un bosco o nel corridoio di
un penitenziario. La banda Baader Mainhof ci rammenta
che se gli anni Sessanta furono quelli del rinnovamento e dei
movimenti, gli anni Settanta furono quelli del dolore e del
rimpianto. Furono la strana normalità di tre ragazzi chiusi in
casa e scesi in strada per godere della libertà come violenza,
saltando da una finestra in un vuoto allucinatorio, nell’utopia
della distruzione e del suo potere salvifico. Nella velocità
dell’action Edel coglie e abita fino in fondo la dimensione
sospesa della decennale esperienza terrorista, ostaggio del
proprio delirio. Se la notte di Bellocchio riscopriva il
(buon)giorno, quella di Edel non sa sognare albe né può offrire
fughe immaginarie ai prigionieri di questa tragedia.
Rita, una donna dal carattere forte e
ribelle, in passato ha fatto parte della RAF, organizzazione
terroristica attiva in Germania negli anni '70. Rifugiatasi
nell'allora Repubblica Democratica Tedesca, ha cercato di
lasciarsi alle spalle il passato, ricostruendosi una vita
all'apparenza normale nell' "altro mondo" che sognava: qui trova
l'amore e diventa amica di Tatjana, una donna che invece sogna
di andare a vivere oltre il Muro, nella Germania Ovest. Ma
proprio la riunificazione delle due Germanie segnerà la fine di
tutto questo: Rita, braccata ancora una volta, dovrà infine fare
i conti con il suo passato. Il film è stato presentato alla
Berlinale 2002, dove le due attrici protagoniste sono state
premiate con l'Orso d'Argento.
Leggi le recensioni da altri dizionari:
1989. Christiane (Katrin Sass) vive
nella Germania dell'Est ed è una socialista convinta. La
donna cade in coma poco prima della caduta del muro di
Berlino. Quando si risveglia, otto mesi dopo, il figlio Alex
tenta di evitarle lo shock e fa di tutto per evitare che la
madre scopra che il paese è "caduto nelle mani dei
capitalisti". Campione di incassi in Germania. Che fare
quando la storia va avanti per tenere tranquilli coloro i
quali credevano di essere nel giusto? Raccontargli menzogne
come gli venivano raccontate prima. Con la non secondaria
differenza che a Lenin si è detto goodbye ma il futuro non è
rose e fiori. Satira ben calibrata quella di questo film che
i tedeschi ( e in particolare i berlinesi) hanno gradito
moltissimo. Nel film non c'è un pacchetto di caffè o di
sigarette che non ricordi loro un passato recente e non
piacevole.
Leggi le recensioni da altri
dizionari:
Berlino Est, 1984. Il capitano Gerd
Wiesler è un abile e inflessibile agente della Stasi, la polizia
di stato che spia e controlla la vita dei cittadini della DDR.
Un idealista votato alla causa comunista, servita con diligente
scrupolo. Dopo aver assistito alla pièce teatrale di Georg
Dreyman, un noto drammaturgo dell'Est che si attiene alle linee
del partito, gli viene ordinato di sorvegliarlo. Il ministro
della cultura Bruno Hempf si è invaghito della compagna di
Dreyman, l'attrice Christa-Maria Sieland, e vorrebbe trovare
prove a carico dell'artista per avere campo libero. Ma
l'intercettazione sortirà l'esito opposto, Wiesler entrerà nelle
loro vite non per denunciarle ma per diventarne complice
discreto. La trasformazione e la sensibilità dello scrittore lo
toccheranno profondamente fino ad abiurare una fede
incompatibile con l'amore, l'umanità e la compassione.
All'epoca dei fatti, quando le Germanie erano due e un muro
lungo 46 km attraversava le strade e il cuore dei tedeschi, il
regista Florian Henckel von Donnersmarck era poco più che un
bambino. Per questa ragione ha riempito il suo film dei dettagli
che colpirono il fanciullo che era allora. L'incoscienza e la
paura diffuse nella sua preziosa opera prima sono quelle di
un'infanzia dotata di un eccellente spirito di osservazione. La
riflessione e l'interesse per il comportamento della
popolazione, degli artisti e degli intellettuali nei confronti
del regime comunista appartengono invece a uno sguardo adulto e
documentato sulla materia. Ricordi personali e documenti
raccolti rievocano sullo schermo gli ultimi anni di un sistema
che finirà per implodere e abbattere il Muro.
La stretta sorveglianza, le perquisizioni, gli interrogatori, la
prigionia, la limitazione di ogni forma di espressione e
l'impossibilità di essere o pensarsi felici sono problemi troppo
grandi per un bambino. Le vite degli altri ha così il
filo conduttore ideale nel personaggio dell'agente della Stasi,
nascosto in uno scantinato a pochi isolati dall'appartamento
della coppia protagonista. È lui, la spia, il singolare deus ex
machina che non interviene dall'alto, come nella tragedia greca,
ma opera dal basso, chiuso tra le pareti dell'ideologia
abbattuta dalla bellezza dell'uomo e dalla sua arte. Personaggio
dolente e civilissimo, ideologo del regime che in un momento
imprecisato del suo incarico si trasforma in oppositore. Il
"metodo" della sorveglianza diventa per lui fonte di disinganno
e di sofferenza, perchè lo costringe a entrare nella vita degli
altri, che si ingegnano per conservarsi vivi o per andare fino
in fondo con le loro idee. Gerd Wiesler contribuisce alla
riuscita dello "spettacolo" con suggerimenti, correzioni (alle
azioni della polizia), aggiustamenti (dei resoconti di polizia)
e note di regia che se non avranno il plauso dei superiori
avranno quello dei sorvegliati. "Attori" che recitano la vita ai
microfoni della Stasi e nella cuffia stereo dei suoi funzionari.
La vita quotidiana fatta di paure ed espedienti è restituita da
una fotografia cupa e bruna, tinte monocromatiche che avvolgono
i personaggi decisi a sopravvivere, a compromettersi e a
resistere. La Stasi aveva un esercito di infiltrati,
duecentomila collaboratori, Donnersmarck ne ha scelto uno e lo
ha drammatizzato con la prova matura e sorprendente di Ulrich
Mühe. Il drammaturgo "spiato" è invece Sebastian Koch,
l'ufficiale riabilitato di
Black Book,
intellettuale "resistente" per salvare l'anima del teatro e
della Germania.
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Tirpitz (52000t,affondata a Tromso il 14
novembre 1944)
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Coordinate:
69°38′50″N
18°48′30″E
/
69.64722,
18.80833
Tirpitz |

La corazzata Tirpitz |
Descrizione generale |
 |
Tipo |
Corazzata |
Classe |
Bismarck |
Numero
unità |
{{{numero_unità}}} |
Costruttori |
{{{costruttori}}} |
Cantiere |
Marinewerft di
Wilhelmshaven |
Matricola |
|
Ordine |
14 giugno
1936 |
Impostazione |
24 ottobre
1936 |
Varo |
1º aprile
1939 |
Completamento |
{{{completata}}} |
Entrata
in servizio |
25 febbraio
1941 |
Proprietario |
Kriegsmarine |
Radiazione |
{{{radiata}}} |
Destino
finale |
affondata in un attacco aereo
britannico il
12 novembre
1944 presso
Tromsø |
Caratteristiche generali |
Dislocamento |
a vuoto: 42.900 t (di cui il 40% dedicato alle corazze)
a pieno carico: 52.600
t |
Stazza lorda |
t |
Lunghezza |
sulla linea di galleggiamento: 241 m
complessivo: 253,60
m |
Larghezza |
36
m |
Altezza |
m |
Pescaggio |
standard: 8,7 m
a pieno carico: 10,2
m |
Profondità operativa |
{{{profondità_operativa}}}
m |
Ponte di
volo |
|
Propulsione |
12 caldaie a vapore modello Wagner, 3 assi d'elica
(138.000 HP) |
Velocità |
30
nodi |
Autonomia |
17.200 km a 16 nodi |
Capacità
di carico |
|
Numero di
cabine |
{{{numero_di_cabine}}} |
Equipaggio |
2.608 (103 ufficiali) |
Passeggeri |
|
Equipaggiamento |
Sensori
di bordo |
|
Sistemi
difensivi |
|
Armamento |
artiglieria:
- 8 cannoni da 380 mm (4 torri binate)
- 12 cannoni
SK-C/28 da 150 mm (6 barbette binate)
- 16 cannoni FlaK SKC/28 da 105 mm (su affusto binato)
- 16 cannoncini FlaK da 37 mm
- 46 cannoncini FlaK da 20 mm
siluri:
- 8 tubi lanciasiluri da 533mm
|
Corazzatura |
protezione verticale: 320 mm, orizzontale 50/80 mm
torre 340 mm |
Mezzi
aerei |
due catapulte con quattro
idrovolanti
Arado Ar 196 |
Note |
Motto |
|
Soprannome |
"Den ensomme Nordens Dronning", ovvero La Regina
solitaria del Nord, datole dai
Norvegesi |
|
La Tirpitz fu una
nave da battaglia della
Kriegsmarine
tedesca, seconda e ultima unità della
Classe Bismarck. Essa fu concepita, insieme alla gemella
Bismarck, per essere la punta di
diamante della marina tedesca. Entrata in servizio molto dopo
lo scoppio della
seconda guerra mondiale, la nave partecipò a pochissime azioni
belliche, passando la maggior parte della sua vita a nascondersi
nei
fiordi
norvegesi dagli attacchi degli
Alleati; di fatto essa ebbe funzione di "fleet in being", cioè
quella di tenere occupata una gran quantità di forze nemiche per
via della sua pericolosità potenziale.
Dopo l'affondamento della gemella Bismarck, fu
soprannominata dai norvegesi "La regina solitaria del Nord" ("Den
ensomme Nordens Dronning").
Vita operativa
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La nave venne ordinata ai cantieri navali Marinewerft di
Wilhelmshaven il
14 giugno
1936,
ed impostata sullo Scalo n.2 il
24 ottobre dello stesso anno (anche se la cerimonia ufficiale
di impostazione si tenne il
2 novembre). La nave venne varata il
1º aprile
1939
e battezzata con il nome di Tirpitz in onore di
Alfred von Tirpitz,
ammiraglio della
Kaiserliche Marine; madrina del varo fu la figlia dello stesso
ammiraglio, Frau von Hassel
[1].
Ancor prima di essere dichiarata operativa, la nave venne
ripetutamente attaccata dalla
Royal Air Force
britannica: tra il
luglio
1940
e il
febbraio
1941
la nave subì ben 16 bombardamenti aerei ad opera di
bombardieri
Hampden,
Whitley e
Wellington della RAF, ma non riportò danni apprezzabili. La
nave entrò in servizio il
25 febbraio
1941
al comando del capitano
Friedrich Carl Topp.
Le prime
operazioni
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Inizialmente la nave venne assegnata alla flotta che operava
nel
Mar Baltico, ma questa formazione venne sciolta dopo poco
tempo e la Tirpitz venne inviata in Norvegia, da dove
avrebbe dovuto prendere parte alle missioni contro i
convogli che rifornivano l'Unione
Sovietica; la nave giunse a
Trondheim il
12 gennaio
1942.
Il
6 marzo
1942
prese parte alla sua prima missione operativa (Operazione
Sportpalast) cercando di attaccare il convoglio PQ-12, ma le
avverse condizioni del mare impedirono l'intercettamento; la
portaerei britannica
HMS Victorious lanciò contro la nave dodici
aereosiluranti
Fairey Albacore, ma l'attacco non ebbe esito e due aerei
furono abbattuti. La breve missione mise subito in luce un grave
aspetto negativo che avrebbe fortemente condizionato le future
operazioni della nave: in un solo giorno di navigazione la
Tirpitz e i suoi
cacciatorpediniere di scorta avevano consumato 8.100
tonnellate di carburante, una cifra insostenibile in quel momento
per la Germania
[2].
Nella notte tra il
30 e il
31 marzo, la nave, ancorata a Trondheim, fu oggetto di un
pesante attacco aereo ad opera di bombardieri
Halifax e
Lancaster, i soli velivoli dotati di sufficiente autonomia per
raggiungere Trondheim dalla
Gran Bretagna; la scarsa visibilità e la cortina fumogena
stesa sopra la corazzata fecero fallire la missione, e dodici
aerei furono abbattuti. Il
2
luglio la Tirpitz uscì in mare per attaccare il
convoglio PQ-17 (Operazione Rosselsprung), ma le avverse
condizioni meteo fecero ancora una volta fallire
l'intercettamento; il
sommergibile sovietico K 21 dichiarò di aver colpito la
corazzata con un
siluro, ma la nave non riportò alcun danno. Le difficoltà
riscontrate nella navigazione nelle
acque artiche obbligarono la nave a sottoporsi ad alcuni
lavori di manutenzione a Trondheim.
Tra il
26 e il
30 ottobre
1942,
i britannici cercarono di attaccare la Tirpitz impiegando i
sommergibili tascabili
Chariot, copia britannica dei
SLC
italiani (Operazione Title). Il
peschereccio Arthur, dotato di equipaggio norvegese,
trasportò due Chariot e sei
sommozzatori britannici fino all'imboccatura del fiordo di
Trondheim; i Chariot vennero calati in acqua e agganciati all'
Arthur con una speciale attrezzatura, che permetteva al
peschereccio di rimorchiarli mantenedoli sotto il pelo dell'acqua.
La nave riuscì ad avvicinarsi ad una distanza di 5
miglia dalla Tirpitz, ma una improvvisa tempesta ruppe
i cavi di rimorchio, e i Chariot affondarono prima che i
sommozzatori britannici potessero riprendere il controllo.
L'equipaggio dell' Arthur e i sommozzatori vennero tutti
fatti prigionieri dai tedeschi
[3].
Il
6
marzo
1943 la nave tornò in mare (Operazione Sizilien),
bombardando con i suoi grossi calibri alcune istallazioni
britanniche sull'isola di
Spitsbergen insieme all'incrociatore
Scharnhorst. Poco dopo, la nave si trasferì nel
fiordo di Alta.
L'Operazione Source
[modifica]
Nel
settembre del
1943,
l'Ammiragliato
britannico decise di tentare un nuovo attacco alla Tirpitz
impiegando i minisommergibili
Classe X (Operazione Source); sei di questi vennero
traninati da sommergibili normali fino all'imboccatura del firdo
di Alta. Due X Craft andarono dispersi durante il lungo viaggio
verso la Norvegia, mentre un terzo (l'X 5) si guastò durante la
navigazione e dovette essere affondato. Nelle prime ore del
mattino del
22 settembre, i tre minisommergibili superstiti penetrarono in
immersione nel fiordo di Alta. Uno di essi, l'X 10, ebbe dei gravi
problemi meccanici e dovette tornare indietro. Il
tenente
Donald Cameron, al comando dell'X 6, riuscì invece ad
avvicinarsi alla Tirpitz e a trovare un varco nella rete
parasiluri disposta intorno alla nave; mentre si avvicinava allo
scafo, tuttavia, l'X 6 urtò un banco di sabbia, facendo spuntare
dall'acqua parte della torretta e mettendo così in allarme le
sentinelle tedesche. Mentre i tedeschi aprivano il fuoco con le
mitragliatrici e i cannoncini, Cameron riuscì ad avvicinarsi
ulteriormente alla Tirpitz, riuscendo anche a sganciare le
due cariche a tempo di cui era dotato, che rotolarono però a poca
distanza dallo scafo della nave. Poco dopo l'X 6 riemerse, e
Cameron e gli altri tre membri dell'equipaggio vennero fatti
prigionieri. Mentre i tedeschi erano impeganti a prestare soccorso
all'equipaggio dell'X 6, davanti alla Tirpitz emerse
dall'acqua l'X 7 del tenente
Basil Place; l'X 7 era riuscito ad aprirsi un varco nella rete
parasiluri e ad avvicinarsi allo scafo della corazzata,
depositando come previsto le due cariche a tempo di cui era
dotato. Mentre si allontanava, l'X 7 rimase impigliato nella rete
parasiluri, e nel tentativo di liberarsi era riemerso; i tedeschi
aprirono subito il fuoco sul piccolo mezzo, che tuttavia fu in
grado di divincolarsi dalla rete e di fuggire.
Informato dell'accaduto, il capitano della Tirpitz Hans
Meyer ordinò di condurre la nave in acque più profonde. Mentre
erano in corso queste manovre, la corazzata venne investita da due
potenti esplosioni. L'onda d'urto delle detonazioni raggiunse
anche l'X 7, facendolo riaffiorare; Place e un altro marinaio
riuscirono ad abbandonare il sommergibile, che poco dopo affondò
trascinando con se gli altri due membri dell'equipaggio. La
Tirpitz rimase a galla, ma riportò danni gravissimi: le
quattro torri dei cannoni da 380 mm si staccarono dai basamenti,
uno dei cannoni da 150 mm rimase completamente bloccato, i
meccanismi di tiro subirono gravi danni, e il rivestimento della
turbina di
babordo si piegò impedendo alle eliche di girare; la tenuta
stagna aveva impedito l'affondamento, ma nello scafo si aprirono
varie falle e un certo numero di intelaiature venne spezzato
[4].
Il fatto che la nave fosse ancora a galla trasse in inganno la
ricognizione britannica, che si rese conto dei danni riportati
dalla corazzata solo al termine della guerra. I tenenti Cameron e
Place vennero decorati con la
Victoria Cross, mentre agli altri membri dell'equipaggio dei
due sommergibili vennero distribuite tre
Distinguished Service Order e una
Conspicuous Gallantry Medal.
L'Operazione Tungsten e gli attacchi delle portaerei
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La Tirpitz venne trainata nel
fiordo di Kaa, un crepaccio al largo del fiordo di Alta; sulle
scogliere venne disposto un gran numero di batterie contraeree,
mentre sulle pareti del fiordo venne installata una conduttura in
grado di avvolgere in breve tempo la nave con una cortina
fumogena. Vista la mancanza di strutture portuali adeguate ad una
nave delle dimensioni della Tirpitz, le riparazioni
dovettero essere effettuate in acqua, e, nonostante l'arrivo di
numerosi tecnici ed operai direttamente dalla Germania,
procedettero lentamente. L'11
febbraio
1944,
bombardieri sovietici decollati da
Arcangelo tentarono di attaccare la corazzata, ma 11
bombardieri su 15 non trovarono il fiordo, mentre gli altri
mancarono il bersaglio.
Nell'aprile
del 1944,
la
Royal Navy pianificò una nuova serie di bombardamenti contro
la corazzata, questa volta ad opera di
bombardieri in picchiata imbarcati su portaerei. Il
3
aprile venne lanciato il primo attacco (Operazione Tungsten):
una grossa squadra navale, composta dalle portaerei
HMS Victorious e
HMS Furious, dalle navi da battaglia
HMS Duke of York e
HMS Anson e da 14 tra incrociatori e
cacciatorpediniere, lanciò 42 bombardieri
Fairey Barracuda e vari
caccia
Corsair,
Hellcat e
Wildcat di scorta. Attaccando in due ondate, i bombardieri
britannici piazzarono 15 bombe da 500 kg sulla corazzata: alcune
bombe esplosero sulle torrette corazzate provocando pochi danni,
ma altre penetrarono il ponte superiore ed esplosero nei
compartimenti sottostanti, provocando 122 morti e 316 feriti tra i
membri dell'equipaggio; nonostante l'incendio scoppiato, la nave
non riportò danni gravi. I britannici persero due Barracuda e un
Hellcat
[5].
Altre tre missioni delle portaerei britanniche, previste per il
24 aprile, il
15 maggio e il
28 maggio vennero annullate a causa delle condizioni del mare,
mentre il
17 luglio (Operazione Mascot) i Barracuda trovarono la
nave completamente avvolta dal fumo e mancarono il bersaglio. Il
24 agosto (Operazione Goodwood III) un Hellcat riuscì a
piazzare una bomba sulla torre n.2, mentre un Barracuda sganciò
una bomba perforante che trapassò due ponti ma non esplose; questi
attacchi non provocarono che danni minimi, ma rallentarono i
lavori di riparazione della nave.
L'affondamento
[modifica]
Il compito di attaccare la Tirpitz tornò di nuovo ai
bombardieri pesanti della RAF. Il
15 settembre 27 Lancaster attaccarono la corazzata impiegando
le
bombe Tallboy dal peso di 5.400 kg; delle 16 bombe
effettivamente lanciate, una sola colpì la nave, trapassando il
ponte e il rivestimento laterale ed esplodendo in acqua,
deformando gravemente lo scafo a
prua.
Vista l'impossibilità di riportare la nave in Germania per le
riparazioni, l'ammiraglio
Karl Dönitz, comandante della Kriegsmarine, ordinò di
trasferire la nave in acque più basse, dove, in caso di
affondamento, sarebbe stato possibile recuperarla. Spostandosi
alla velocità ridotta di 10 nodi, la Tirpitz giunse a
Sørbotn, presso
Tromsø, dove venne adibita a batteria costiera galleggiante.
Il
12 novembre
1944,
la nave venne attaccata da 31 Lancaster (Operazione Catechism);
delle 29 Tallboy effettivamente lanciate, tre colpirono la
corazzata, perforando il ponte corazzato al centro della nave,
distruggendo due caldaie e una sala macchine e provocando uno
squarcio lungo 14 metri nello scafo. Le fiamme avvolsero in breve
tempo la nave, che iniziò ad inclinarsi. Dopo che un'altra
esplosione ebbe squarciato la torre n.3, la nave si capovolse
completamente e affondò, anche se la cima della
chiglia rimase fuori dall'acqua. Dei
1.700 membri dell'equipaggio presenti a bordo, 1.058 persero la
vita (tra cui il nuovo comandante,
capitano di vascello Weber), mentre 87 furono salvati dalle
squadre di salvataggio che praticarono fori nella chiglia con le
fiamme ossidriche
[6].
Al termine della guerra, lo scafo venne venduto come ferraglia
al governo norvegese e demolito tra il
1948
e il 1957.
|
Yamato (nave da battaglia,72000
t,affondata ad Okinawa, 7 aprile 1945)
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Coordinate:
30°22′N
128°04′E
/
30.367,
128.067
Yamato |

|
Descrizione generale |
 |
Tipo |
nave da battaglia |
Classe |
Yamato |
Numero
unità |
{{{numero_unità}}} |
Costruttori |
{{{costruttori}}} |
Cantiere |
|
Matricola |
|
Ordine |
Marzo
1937 |
Impostazione |
4 novembre 1937 |
Varo |
8 agosto
1940 |
Completamento |
|
Entrata in
servizio |
16 dicembre
1941 |
Proprietario |
|
Radiazione |
|
Destino
finale |
Affondata
8 aprile
1945 |
Caratteristiche generali |
Dislocamento |
a vuoto: 65.027 t (di cui 21.266 t di corazzatura)
a pieno carico (stima): 72.800
t |
Stazza lorda |
t |
Lunghezza |
263
m |
Larghezza |
38,9
m |
Altezza |
m |
Pescaggio |
11
m |
Profondità
operativa |
m |
Ponte di
volo |
|
Propulsione |
12 caldaie a vapore surriscaldato Kanpon, 4 turboriduttori
Kanpon, 150,000
CV (110 MW) |
Velocità |
27
nodi (51
km/h) |
Autonomia |
8.000
mn a 18 nodi (14.800 km a 33 km/h) |
Capacità di
carico |
|
Numero di
cabine |
{{{numero_di_cabine}}} |
Equipaggio |
2.750 uomini |
Passeggeri |
|
Equipaggiamento |
Sensori di
bordo |
|
Sistemi
difensivi |
|
Armamento |
(1941): Cannoni: 9x460 mm (3x3), 12x155 mm (4x3),
12x127 mm (6x2); armamento antiaereo: 24x25 mm, 8x13 mm. Nel
1945
sei dei cannoni da 155 mm vennero sbarcati e le 2 torri
laterali di questo tipo vennero rimpiazzate da altre 6 binate
da 127/40 mm mentre la difesa antiaerea ravvicinata venne
incrementata a 146 mitragliere da 25 mm per lo più in impianti
binati |
Corazzatura |
torrette, 650mm frontale, 190 posteriore, 180 mm tetto,
400 fianchi; Cintura principale 409 mm degradanti a 80 verso
il fondo dello scafo, non accertata la presenza di una cintura
superiore da 152 mm; ponti corazzati, 200 principale, 9 mm
antischegge inferiore, 35-50 sul ponte di coperta; Torrione
comando, 550 mm. |
Mezzi
aerei |
7, tra
Aichi E13A e
Mitsubishi F1M |
Note |
Motto |
|
Soprannome |
|
|
La Yamato (大和), fu una
nave da battaglia della
Marina Imperiale Giapponese. Insieme alla pariclasse
Musashi fu la più grande nave da battaglia mai
costruita, con un dislocamento di 65.027 tonnellate ed armamento
principale costituito da 9 cannoni da 460 mm.
La costruzione
[modifica]
Lo sviluppo della Yamato giunse al termine di un lungo
processo di revisione dei piani di sviluppo della Marina Imperiale
Giapponese, nella ottica di adeguare le unità belliche navali
giapponesi nel contesto di grande potenza economica e commerciale
quale già il Giappone si apprestava a divenire in quegli anni.
Nel
marzo
1937, dopo una lunga sperimentazione su modelli in scala
condotta nella vasca del Centro per le Ricerche Tecniche Navali di
Tokio, venne elaborato il progetto definitivo che prevedeva
una nave da 68.000 tonnellate. La Yamato venne impostata
presso l'Arsenale di Kure il
4 novembre
1937,
fu varata l'8
agosto
1940
ed entrò in servizio il
16 dicembre
1941
(nove giorni dopo l'attacco a
Pearl Harbor). Era nelle intenzioni della Marina Imperiale
Giapponese di costruire quattro navi di questa classe, ma la
Shinano, ancora sullo scalo, venne convertita in portaerei
e fu affondata nel
1944
silurata dal sommergibile americano Archerfish, la quarta nave,
identificata solo come Nave da Guerra N. 111 venne smantellata nel
1943,
quando era completata per circa il 30%. I piani per una classe
Super Yamato dotata di cannoni da 508 mm vennero
abbandonati.
Le navi da battaglia della classe Yamato erano superiori come
armamento e stazza alle nuove navi da battaglia
statunitensi
classe Iowa che vennero progettate per sostenere le flotte
portaerei vista la loro grande velocità di progetto di ben 33 nodi
ed erano usate come le giapponesi classe Kongo. La lenta e
inutilizzata Yamato rimase ferma in porto per gran parte della
guerra. Poteva essere usata solo a sostegno di sbarchi in aree
intensamente difese. Situazione che non si presentò mai ai
giapponesi. Per le navi da battaglia statutitensi l'armamento
principale previsto era costituito da cannoni da 406 mm, mentre la
scelta Giapponese cade su un calibro superiore (460mm).
Le torri trinate da 460mm, due a prua e una a poppa, pesavano
ciascuna 2.510 tonnellate senza munizionamento. Lo sviluppo di
questi nuovi cannoni venne mantenuto segreto, ufficialmente
l'armamento di questa classe di navi era stabilito fossero pezzi
da 406mm, lo stesso calibro previsto per la classe statunitense
Classe Iowa; nei bilanci annuali della Marina Imperiale
Giapponese, gli ingenti costi di sviluppo di questi nuovi cannoni
vennero ripartiti su voci diverse, di modo che potessero passare
inosservati ai servizi di spionaggio stranieri. Ma il complesso di
artiglierie non è da considerarsi per via del calibro superiore a
quello delle navi statunitensi, questi avevano disponibilità di
acciai migliori.
Tavola prospettica della Yamato nella sua configurazione
finale
Dal
12 febbraio
1942
all'11
febbraio
1943
la Yamato fu la nave ammiraglia del comandante
Yamamoto, avvicendata poi dalla Musashi. Prese parte alla
battaglia delle Midway (giugno
1942),
senza tuttavia riuscire ad arrivare a distanza utile per poter
ingaggiare le portaerei americane. Nel corso del
1943,
la Yamato tornò nel cantiere di
Kure
ove la sua dotazione di artiglieria antiaerea venne notevolmente
potenziata. Verso la metà del 1943 fece ritorno a Truk, assieme
alla gemella Musashi per proteggere le
isole Marshall e le
isole Gilbert, senza però mai giungere a contatto con le forze
americane e restando a Truk per la maggior parte del tempo. Il
24 dicembre
1943,
venne gravemente danneggiata da un siluro del sommergibile
USS Skate ed i lavori di ripristino furono conclusi
solo nell'aprile
1944.
Durante questi lavori due delle torrette da 155mm furono rimosse e
sostituite da ulteriori armi antiaeree. Tornata in servizio
attivo, prese parte alla
battaglia del Mare delle Filippine (giugno) e a quelle
del Golfo di Leyte e
del Golfo di Samar (ottobre); qui, per la prima volta, fece
uso del suo armamento principale, sparando 104 colpi da 460mm e,
probabilmente, colpì un
cacciatorpediniere ed una
portaerei. Tornò in patria nel mese di novembre. Durante
l'inverno venne ulteriormente potenziato il suo armamento
antiaereo.
L'ultima missione della Yamato fu l'Operazione
Ten-Go (l'ultima sortita della marina imperiale Giapponese),
organizzata in seguito all'invasione di
Okinawa (1
aprile
1945).
Sotto il comando del Vice-ammiraglio Yokuyama e con la scorta di
un incrociatore leggero ed otto cacciatorpediniere, fu mandata ad
attaccare la flotta americana che appoggiava lo sbarco nella parte
occidentale dell'isola. Lo scopo era quello di allontanare da
Okinawa le portaerei per favorire l'attacco dei
kamikaze contro la flotta di invasione (circa 1.500 navi) che
appoggiava lo sbarco. Se fosse riuscita a raggiungere Okinawa, la
Yamato sarebbe dovuta andare ad arenarsi tra Hagushi e Yontan e
combattere sino all'ultimo come
batteria costiera, in appoggio ai difensori dell'isola.
Poiché fin dall'inizio questa era stata intesa come una
missione suicida, fu rifornita del carburante sufficiente per il
solo viaggio di andata verso Okinawa; comunque gli addetti al
deposito di carburante di
Tokiuyama, coraggiosamente, ignorarono gli ordini e fornirono
molto più carburante alla squadra. La Yamato e la sua scorta
lasciarono il porto di Tokuyama il pomeriggio del
6
aprile
1945.
La mattina del
7
aprile la squadra fu avvistata all'uscita del Mare Interno del
Giappone da due sottomarini USA e da un
ricognitore della portaerei
Essex.
Verso mezzogiorno, una forza
di quasi 400 aerei americani della Task Force 58, in ondate
successive, attaccò le unità giapponesi. Alle 12:41 la Yamato fu
colpita dalle prime due bombe. Fu colpita complessivamente da
almeno 13 siluri e 10 bombe prima che, verso le 14:20 esplodesse
il deposito munizioni N.1. La nave si inclinò sul
fianco sinistro ed affondò, mancavano circa 370 miglia a
Okinawa. Nell'affondamento persero la vita circa 2.375 uomini
e ci furono 269 sopravvissuti. Delle navi della sua scorta,
quattro furono affondate e cinque gravemente danneggiate e
costrette a rientrare in Giappone. Le perdite americane furono 10
aerei e 12 piloti. Il
relitto giace a circa 300 metri di profondità ed è stato
esplorato nel
1985
e nel
1999.
L'esplosione della Yamato
La Yamato nella cultura e nella finzione
[modifica]


|
Musashi (nave da battaglia,
72000T,affondata a Leyte il 26 ottobre 1944)
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Coordinate:
13°07′N
122°32′E
/
13.117,
122.533
Musashi |

La Musashi nell'ottobre
1944
mentre si dirige al Golfo di Leyte |
Descrizione generale |
 |
Tipo |
nave da battaglia |
Classe |
Yamato |
Numero
unità |
{{{numero_unità}}} |
Costruttori |
{{{costruttori}}} |
Cantiere |
|
Matricola |
|
Ordine |
29 marzo
1938 |
Impostazione |
1 novembre
1940 |
Varo |
5 agosto
1942 |
Completamento |
|
Entrata in servizio |
|
Proprietario |
|
Radiazione |
|
Destino finale |
Affondata
24 ottobre
1944 |
Caratteristiche generali |
Dislocamento |
a vuoto: 68.200
t |
Stazza lorda |
t |
Lunghezza |
263
m |
Larghezza |
38,9
m |
Altezza |
m |
Pescaggio |
11
m |
Profondità
operativa |
m |
Ponte di
volo |
|
Propulsione |
12 caldaie a vapore surriscaldato Kanpon, 4 turboriduttori
Kanpon, 150.000
CV (110 MW), 4 eliche tripala da 6 m di diametro |
Velocità |
27,46
nodi (50,86
km/h) |
Autonomia |
7.200
mn a 16 nodi (13.000 km a 30 km/h) |
Capacità di
carico |
|
Numero di cabine |
{{{numero_di_cabine}}} |
Equipaggio |
2.399 uomini |
Passeggeri |
|
Equipaggiamento |
Sensori di
bordo |
|
Sistemi difensivi |
|
Armamento |
(1942): Cannoni: 9x460 mm (3x3), 12x155 mm (4x3),
12x127 mm (6x2); armamento antiaereo: 24x25 mm (8x3), 4x13 mm
(2x2). Nel
1944
sei dei cannoni da 155 mm vennero sbarcati , mentre la difesa
antiaerea ravvicinata venne incrementata a 130 mitragliere da
25 mm perlopiù in impianti binati |
Corazzatura |
torrette, 650mm frontale, 190 posteriore, 180mm tetto, 400
fianchi; Cintura principale 409 mm degradanti a 80 verso il
fondo dello scafo, non accertata la presenza di una cintura
superiore da 152mm; ponti corazzati, 200 principale, 9mm
antischegge inferiore, 35-50 sul ponte di coperta; Torrione
comando, 550mm |
Mezzi
aerei |
7, tra
Aichi E13A e
Mitsubishi F1M, due catapulte di lancio |
Note |
Motto |
|
Soprannome |
|
|
La Musashi
(武蔵,
Musashi?),
dal nome dell'antica
provincia
giapponese di
Musashi, fu una
nave da battaglia della
Marina Imperiale Giapponese, e fu la seconda e ultima nave
della
classe Yamato ad essere completata come nave da
battaglia. Assieme alla nave gemella, la
Yamato, faceva parte della più grande, pesante e
potente classe di navi da battaglia mai costruite.
Nel giugno 1937, degli ingegneri del cantiere
Mitsubishi di
Nagasaki, incluso il direttore Kensuke Watanabe e l'ingegnere
navale Kumao Baba, ricevettero ordine di iniziare i preparativi
per la costruzione di una nave da battaglia della nuova classe.
L'espansione dello scivolo numero 2 ispirò gli esecutivi della
marina ad ingaggiare il cantiere di Nagasaki per l'oneroso
contratto. Appositamente per questa nave furono costruite delle
gru galleggianti della capacità di 150 e 350 tonnellate per
sollevamenti pesanti. Costruita sotto le più strette misure di
segretezza, tra cui l'erezione di grandi schermi per nascondere la
costruzione dall'ambasciata statunitense di fronte al porto, la
nave da battaglia fu impostata il
1 novembre
1940,
e trascorse quasi diciotto mesi in allestimento. La data del varo
fu rivista varie volte per consentire le modifiche richieste dalla
marina, incluse una corazzatura maggiore sulle torrette da 155 mm
e l'installazione di sistemi di comunicazioni agguntivi.
Varata il
5
agosto
1942,
si diresse all'arcipelago di
Truk, dove divenne la nave ammiraglia dell'ammiraglio
Isoroku Yamamoto. Dopo la sua morte avvenuta il
18 aprile
1943,
la Musashi trasportò in Giappone le sue ceneri. Fece
ritorno a Truk il
5
agosto
1943,
e vi rimase fino al
10 febbraio
1944.
La sua unica attività in questo periodo fu un'uscita verso le
isole Marshall , durante la quale non incontrò alcuna forza
nemica. Il
29 marzo
1944,
fu colpita da un siluro del
USS Tunny, e dovette ritornare in Giappone per delle
riparazioni e delle modifiche al suo armamento antiaereo.
Durante la
battaglia del golfo di Leyte, assieme alla Yamato, fece
parte della forza centrale del vice ammiraglio
Takeo Kurita. In questa battaglia il
24 ottobre
1944,
venne attaccata nel mare di
Sibuyan da aerei delle navi americane: il primo contatto con gli
aerei nemici avvenne alle 10:27, quando otto bombardieri
SB2C Helldiver provenienti dalla
USS Intrepid attaccarono la nave con bombe da 227 kg. Ondata
dopo ondata, gli attacchi dalle navi USS Intrepid,
USS Essex e
USS Lexington centrarono la nave con 17 bombe e 20 siluri. La
Musashi si rovesciò a babordo, e affondò alle 19:25
del
24 ottobre, portando con sé più di 1000 dei suoi 2399 membri
dell'equipaggio; 1376 uomini vennero soccorsi dalle
cacciatorpediniere Kiyoshimo e Shimakaze.
L'imperatore
Hirohito mentre visita la
Musashi
Altri progetti
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|
Armata Rossa giapponese
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 |
Struttura economica e sociale
della Russia d'oggi
Disponibilità |
STRUTTURA ECONOMICA E SOCIALE DELLA RUSSIA D'OGGI (I)
If linked: [English] [French]
[German] [Spanish]
[Premessa]
[Parte prima]
[Parte seconda]
[Parte terza]
[Intermezzo]
[Collegamento]
[Appendice]
Content:
Amadeo Bordiga (Ercolano,
13
giugno
1889
–
Formia,
23
luglio
1970)
è stato un
politico,
rivoluzionario comunista
italiano.
Fu a capo della principale corrente (quella degli astensionisti
del
PSI) che portò alla fondazione del
Partito Comunista d'Italia dopo la scissione avvenuta al Congresso
di
Livorno del PSI nel
1921. Da
militante rivoluzionario, lottò apertamente contro l'involuzione
stalinista della
Terza Internazionale e si adoperò, fino ai suoi ultimi giorni, per
il partito comunista mondiale, cioè per un partito che fosse sempre
perfettamente coerente con la dottrina marxista e che superasse i limiti
intrinseci di omogeneità teorica della stessa formula
dell'Internazionale comunista.
La formazione di Bordiga
fu di carattere scientifico. A differenza della quasi totalità dei
politici moderni, egli, abbracciando il marxismo, sottopose fin da
ragazzo la teoria politica a una visione scientifica piuttosto che il
contrario (nelle sue opere della maturità sostenne che la scienza
moderna è marcatamente influenzata dall'ideologia). Il padre Oreste,
piemontese, fu uno stimato studioso di scienze agrarie, la cui
autorevolezza era riconosciuta specialmente a proposito dei secolari
problemi agrari del Mezzogiorno italiano. Lo zio paterno, Giovanni, fu
matematico, esperto di
geometria proiettiva, insegnante all'università
di Padova, militante del radicalismo tardo risorgimentale
(appassionato d'arte, fondò tra l'altro la
Biennale di Venezia).
La madre, Zaira degli
Amadei, discendeva da una antica famiglia fiorentina e il nonno materno
fu cospiratore nelle lotte risorgimentali. L'ambiente familiare fu
dunque fondamentale nella formazione del giovane rivoluzionario, che
seppe fondere la scienza con l'arte, come ebbe a dire nel 1960 a
proposito dell'intero movimento rivoluzionario. Con queste premesse,
Bordiga si laureò in ingegneria al Politecnico di Napoli nel 1912. Aveva
già conosciuto il movimento socialista al liceo, tramite il suo
professore di fisica (Calvi) e nel 1910 aveva aderito al
Partito Socialista Italiano.
L'opposizione dei
socialisti radicali alla
Guerra di Libia lo vide in prima linea nelle assemblee e in piazza,
come registrano i rapporti di polizia. Nell'aprile del
1912 fondò
con alcuni giovani compagni il Circolo
Carlo
Marx, gruppo che uscì dalla sezione napoletana del PSI ma non dal
partito, rientrandovi quando terminò il tentativo delle manovre
bloccarde con i massoni. Sotto la sua influenza, la sezione napoletana
del partito divenne il nucleo di una combattiva corrente che poco a poco
si fece strada nei convegni locali della gioventù socialista e nei
congressi nazionali del partito. Nello stesso tempo cresceva
l'esperienza di lotta, vissuta in una delle aree industriali, quella ad
est di Napoli, che allora era tra le più sviluppate d'Italia.
Il suo rifiuto
dell'approccio pedagogico alla politica divenne in quegli anni uno dei
suoi cavalli di battaglia. Fu fin dall'inizio profondamente ostile alla
democrazia rappresentativa, che considerava strettamente legata
all'elettoralismo borghese: "Se esiste una totale negazione
dell'azione democratica, essa va ricercata nel socialismo" (In Il
Socialista,
1914). Fu contrario alla libertà di azione concessa ai parlamentari
socialisti, che invece egli voleva porre sotto il diretto controllo
della direzione del partito. Similmente alla maggior parte dei
socialisti nei paesi mediterranei, fu avversario severo della
massoneria.
Allo scoppio della
guerra, nel 1914, si distinse per la sua campagna rigorosamente
antimilitarista. Nel 1915 fu chiamato alle armi e dovette sospendere
l'attività aperta contro la guerra. Esonerato dal servizio attivo per
grave
miopia, riprese l'attività politica presentando nel partito, nel
1917, una mozione contro la formula ambigua e fuorviante di "né aderire
né sabotare". Destò grande sorpresa fra i dirigenti del partito il
risultato della votazione: 14.000 voti per la mozione della Sinistra e
17.000 per quella degli altri raggruppamenti. Nell'agosto del 1917
Bordiga fu l'animatore della "Frazione Intrasigente Rivoluzionaria",
della quale scrisse le tesi politiche, fatte accettare quasi
all'unanimità al seguente congresso della Federazione Giovanile.
Allo scoppio della
Rivoluzione russa nell'ottobre del
1917, aderì
al movimento comunista internazionale e formò la "Frazione Comunista
Astensionista" all'interno del PSI. La frazione si diceva astensionista
in quanto si opponeva alla partecipazione alle elezioni borghesi e fu
questa corrente, alla quale si affiancò quella torinese dell'Ordine
Nuovo di
Antonio Gramsci e
Palmiro Togliatti, a uscire dal PSI a
Livorno
nel gennaio
1921 per formare il
Partito Comunista d'Italia (Pcd'I). Era l'epilogo di una lunga
divisione interna ai socialisti, che fin dal 1919 si erano trovati nel
dilemma se accettare o meno interamente le condizioni poste da
Lenin per
entrare nella
Terza Internazionale.
Nel corso delle dispute
su queste condizioni, Bordiga, partecipando al Secondo Congresso
dell'Internazionale Comunista nel
1920, fece
aggiungere 2 condizioni alle 19 già fissate da Lenin. Nonostante
l'appoggio di Lenin ai comunisti italiani contro i riformisti del PSI,
le posizioni astensioniste di Bordiga furono criticate dallo stesso
Lenin in "L'estremismo: una malattia infantile del comunismo" (cui
Bordiga rispose negli anni Cinquanta con un saggio contro i
falsificatori di Lenin). La storia del movimento comunista mondiale, con
la disastrosa deriva opportunista e stalinista di tutti i partiti
comunisti, accelerata ed aggravata proprio dalla tattica del fronte
unico, si prese poi la briga di dimostrare la correttezza delle
posizioni astensioniste.
Sotto la guida
carismatica di Bordiga il Partito Comunista d'Italia si avviò ad essere
un organismo assai dissimile dagli altri partiti che avevano aderito
all'Internazionale. La composizione prettamente operaia non aveva
prodotto la solita gerarchia interna piramidale con al vertice gli
intellettuali. D'altra parte, la pur rigorosa disciplina interna non si
fondava tanto su disposizioni statutarie quanto sul programma e su
quello che proprio in quel periodo si stava configurando come
"centralismo organico". Questo particolare assetto "naturale" fu
spiegato e rivendicato già dal 1921 come elemento distintivo della
Sinistra Comunista "italiana". In un articolo dello stesso anno, Bordiga
chiarisce che il partito rivoluzionario si caratterizza per il fatto di
essere già il progetto, la base fondante della società futura e da
questa deriva la sua specifica natura e struttura, mentre rigetta ogni
meccanismo interno mutuato dalla società presente.
Bordiga fu eletto nel
Comitato Centrale del Pcd'I e vi rimase fino al suo arresto nel
1923. Nel
giugno egli e gli altri dirigenti arrestati vennero sostituiti alla
direzione del partito per ordini di
Mosca. Assolto al processo, rifiutò di entrare nel comitato
esecutivo. Nel 1926 partecipò al Congresso clandestino di Lione, dove la
Sinistra fu messa in minoranza dai centristi allineati a Mosca (Gramsci,
Togliatti,
Terracini, tra gli altri, si erano schierati con il campo che si
stava delineando come stalinista) con vari espedienti, nonostante
disponesse ancora della stragrande maggioranza dei voti congressuali.
Subito dopo il Congresso
di Lione, in cui furono presentate le ultime tesi che la Sinistra
Comunista poté scrivere in difesa dell'Internazionale, Bordiga partecipò
al VI Esecutivo allargato dell'IC, dove tentò per l'ultima volta di
intervenire in difesa dei principii fondanti di quello che doveva essere
il partito mondiale. Nello stesso anno fu arrestato e inviato al confino
sull'isola
di Ustica, dove con Gramsci contribuì a organizzare la vita dei
prigionieri. Al rilascio fu sempre più emarginato dall'attività politica
finché il
20
marzo
1930
venne espulso per aver difeso
Leone Trockij nonostante le divergenze con lui. Per diversi anni non
poté più svolgere politica attiva, controllato notte e giorno dalla
polizia fascista.
Bordiga aveva un rapporto
quasi paterno e protettivo nei confronti del giovane Gramsci,
fisicamente poco adatto alla dura lotta politica del tempo, in ambiente
di guerra civile. Cercava di assecondare come poteva "il suo lento
evolvere dall'idealismo filosofico al marxismo". Gli fu amico anche
nei momenti di dura polemica. Lo sarebbe stato anche se avesse
conosciuto la sua corrispondenza segreta con Togliatti e gli altri
centristi di minoranza alleati a Mosca che lavoravano alla liquidazione
della Sinistra: essendo completamente estraneo alle manovre politiche
sia concretamente che come mentalità, badava alla salvaguardia del
partito rivoluzionario indipendentemente dalle sue componenti interne e
dai numeri di iscritti che esse coinvolgevano.
Quando il gruppo
gramsciano si avvicinò alla Sinistra, reputò "leale" il titolo della sua
rivista, che non parlava di Classe, Stato e Società come facevano i
comunisti, ma genericamente di "Ordine Nuovo". Bordiga scherzava sulla
concezione antideterministica di Gramsci, che ancora nel 1919
interpretava la Rivoluzione d'Ottobre come una specie di "miracolo
della volontà umana", contro ogni determinismo delle reali
condizioni economiche e politiche della Russia: "Solo a rilento
Gramsci accettò le direttive marxiste sulla dittatura del partito e
sulla stessa incidenza del sistema marxista, fuori dell'economia di
fabbrica, in una visione radicale di tutti i rapporti di fatti nel mondo
umano e naturale". Quando poi conobbe Lenin, racconta ancora Bordiga, "la cosa non restò senza effetto; maestro ed allievo non erano da
dozzina".
Gramsci ammetteva di non
accettare tutto del marxismo e di maturare lentamente, tanto che rispose
a tono: "Preferiremo sempre quelli che imparano lentamente capitoli
del marxismo a quelli che li dimenticano". Ma ancora nel 1926, in
margine al Congresso di Lione, quando ormai la Sinistra era liquidata, a
una precisa affermazione di Bordiga, che ormai considerava un avversario
da rimuovere, rispose: "Do atto alla sinistra di avere finalmente
acquisita e condivisa la sua tesi, che l'aderire al comunismo non
comporta solo aderire ad una dottrina economica e storica e ad una
azione politica, ma una visione ben definita, e distinta da tutte le
altre, dell'intero sistema dell'universo anche materiale".
Al confino insieme per
qualche tempo a Ustica alla fine del 1926, Bordiga e Gramsci
organizzarono una "scuola di partito" per prigionieri dove nessuna
"materia" era esclusa. Di comune accordo, tenevano a turno "lezioni" in
cui l'uno esponeva la materia secondo le tesi dell'altro, scherzando
alla fine sul confronto delle eventuali manchevolezze di ognuno (Le
citazioni in corsivo sono memorie di Bordiga).
In seguito allo sbarco
alleato e allo spostamento al Nord del fronte di guerra nel
1944,
intorno a Bordiga si raccolsero i vecchi compagni del 1921. Con la
guerra ancora in corso, furono presi contatti clandestini con i compagni
del Nord. Nell'immediato dopoguerra vi furono le prime riunioni
congiunte, ma Bordiga rifiutò di far parte del partito se fosse rinato
nuovamente sulle basi della vecchia Internazionale degenerata. Iniziò
quindi a collaborare al periodico "Battaglia Comunista" (1945),
organo del neo-costituito
Partito Comunista Internazionalista.
All'uscita della rivista
"Prometeo" (1946),
organo teorico dello stesso partito, scrisse sul primo numero un
Tracciato d'impostazione che doveva servire da riferimento
programmatico. Nel 1949 iniziò a scrivere la serie di 136 articoli "Sul
filo del tempo", tesa a dimostrare la necessaria continuità fra le
origini del movimento comunista e i compiti attuali. Sulla base di tale
impostazione teorica scrisse una gran mole di articoli e saggi tendenti
a dimostrare che l'URSS
era da considerarsi un paese capitalista impegnato in un "industrialismo
di stato". Questa posizione lo poneva in irriducibile contrasto con lo
stalinismo ed il togliattismo, che sostenevano invece l'idea che in
Russia si stesse "costruendo il socialismo in un paese solo".
.
|

Interessante
libro sopra gli ultimi momenti del Reich. La storia, la breve vita, del
governo succeduto ad Hitler dal 1 maggio 1945, costituito dalle sinistre
figure fuoriuscite dal bunker tombale che tentarono fino all'ultimo
secondo di salvare la pelle rifugiandosi nell'estremo nord,a Flensburg,
a ridosso del confine con la Danimarca, lasciando al proprio destino il
defenestrato numero due del Reich, Goering,che pomposamente si
crogiolava nell'estremo sud della Baviera pensando di essere al
sicuro,ed il mefistofelico Himmler, che dalla roccaforte di Praga,una
volta vista la liquefazione del fronte orientale si precipitava
anch'esso nell'estremo nord allo scopo di ricevere un assurdo
"lasciapassare". Il 9 maggio da Flensburg veniva dato il placet alla
firma dell'armistizio, il 18 maggio tutti i componenti dell'ultimo
gabinetto nazista venivano arrestati: iniziava così il Processo di
Norimberga....
 |
LA VERA
FINE DEI COMUNISTI IN ITALIA(...MANCA POCO ANCHE PER I PIDIOSSINI DI
BERSANI:PIU' DI 6 MILIONI DI VOTI PERSI IN DUE ANNI.)
QUESTA E'
UNA MIA PERSONALE SODDISFAZIONE:ANNI FA MI CONSUMAI LE MANI A FURIA DI
SCRIVERE LORO DEL MIO DISAGIO, DI LAVORI DI MERDA, DI LICENZIAMENTI SUBITI,
DI UMILIAZIONI SENZA MAI RICEVERE SODDISFAZIONE. OGGI ANCHE LORO SI TROVANO
NELLA MERDA FINO AL COLLO E
PER ME E' UNA SODDISFAZIONE: "SE
PER COLPA DI ALTRI FINISCI NEI GUAI, FAI IN MODO CHE CHI TI HA MESSO IN TALE
SITUAZIONE FINISCA IN GUAI ANCORA PEGGIORI!!!"
Rifondazione e Pdci,
funzionari cassintegrati
Finiti i fondi dei due partiti
di sinistra, i dipendenti restano senza lavoro
Da partiti che ambivano a
rappresentare i cassintegrati, a partiti che finiscono per essere costituiti
"da" cassintegrati. Non c’è, ovviamente, solo la differenza di un
articolo, fra queste due condizioni, ma la storia di un passaggio di epoca,
la radiografia di un drammatico terremoto politico. Stiamo parlando di
Pdci e Rifondazione (ma anche dei Verdi), ovvero dei partiti che dopo le
ultime elezioni sono diventati zombie, costretti a demolire il loro
apparato, a dismettere i (pochi) gioielli di famiglia rimasti, a chiudere i
giornali, ad alienare le sedi, e – soprattutto – a licenziare e
prepensionare tutti i loro dipendenti, proprio come nei processi di
deindustrializzazione che in questi anni hanno tenacemente
combattuto. Colpa degli sbarramenti elettorali, prima di tutto: che
colpiscono non solo la rappresentanza, ma - solo in Italia - anche il
diritto a ottenere rimborsi. E colpa anche, come vedremo fra breve,
della strategia di Silvio Berlusconi E del Pd (due facce della stessa
melmosa medaglia), che ha mirato a fare terra bruciata di tutte le
organizzazioni politiche che avevano popolato la Seconda Repubblica.
Un fenomeno, quindi, che non può indurre al sorriso, o a facili battute, ma
che deve essere anche letto - qualunque cosa si pensi di questi partiti -
come una ulteriore restrizione degli spazi democratici.
NON PIU’ VIRTUOSI. Il
nostro viaggio non può che partire dal Pdci di Oliviero Diliberto,
che fino alla catastrofe elettorale della lista arcobaleno del 2008 era
additato come modello di gestione economica persino da un analista non certo
tenero come Gianmaria De Francesco, cronista economico de Il Giornale:
apparato ridotto, conti in regola, rapporto virtuoso tra eletti, voti e
militanti, che garantiva solidi attivi di bilancio. Ebbene, la notizia
che in queste ore, per motivi comprensibili, si prova a mantenere segreta, è
che il partito è ormai alla bancarotta. Sul conto corrente ci sono solo 160
mila euro, quelli che bastano a malapena a gestire l’amministrazione
ordinaria. Dei 21 dipendenti 17 sono stati posti in cassa
integrazione. Ne rimangono solo quattro, di cui uno per motivi legali è
l’amministratore, l’altro è un centralinista, l’altro è il segretario del
segretario, e l’ultimo un organizzatore, ovvero il presidio minimo per cui
il cuore dell’organizzazione non cessi di battere all’istante.
Ancora più drammatica la
situazione di Rinascita, il settimanale che ai tempi di Armando Cossutta fu
oggetto di una contesa per il valore della testata, prestigiosa e
direttamente riconducibile alla memoria di Palmiro Togliatti. Ecco, adesso
il settimanale del Pdci è tecnicamente fallito, ha cessato le
pubblicazioni, e tutti i giornalisti sono stati anche loro cassintegrati.
Rinascita, che non aveva mai perso il suo ridotto ma il solido
presidio di lettori costava da solo 900 mila euro l’anno, un lusso per un
partito che deve tagliare gli stipendi a tutti. Già la storia di questo
tracollo economico spiega come ci sia lo zampino del governo. Il
settimanale, infatti, era uno dei pochi organi di partito, tra quelli che
hanno diritto al sovvenzionamento pubblico, che non copriva in modo
surrettizio altri scopi o altri fini. Ma la norma con cui Tremonti ha
tolto il cosiddetto "diritto soggettivo" al finanziamento ha di fatto reso
discrezionale l’accesso ai fondi dell’editoria: mentre prima le banche
anticipavano le cifre a cui il giornale avrebbe avuto in ogni caso diritto
in base alla sua tiratura, adesso – non essendoci più nessuna certezza,
visto che si combatte ad ogni Finanziaria sulla copertura delle quote – non
fanno più nessun credito.
Infine il doloroso capitolo del
bilancio del partito. Ancora nel 2008 aveva quattro gettiti importanti:
il tesseramento, il
finanziamento pubblico, i rimborsi elettorali e le rimesse degli eletti
locali e nazionali, che devolvevano il 50% del proprio stipendio netto al
partito. Nelle ultime politiche e alle europee, il Pdci non ha superato
il quorum del 4%. E in questo caso, per via di un liberticida emendamento
alla legge voluto in Parlamento dai veltroniani (Berlusconi era incerto), né
Rifondazione, né i Verdi, né il Pdci hanno ottenuto un solo centesimo. Un
piccolo assurdo democratico: infatti, la quota dei voti che questi partiti
ottengono contribuisce a finanziare i loro avversari politici di
centrodestra, o i loro concorrenti di sinistra rappresentati.
Ma nel caso del Pdci le europee sono state come un tavolo da poker. Oliviero
Diliberto ha deciso di puntare le sue residue risorse (quasi tre milioni di
euro) per promuovere i propri candidati nell’alleanza con Rifondazione.
Risultato paradossale: tutti e quattro i candidati del partito erano
arrivati primi nella battaglia delle preferenze, centrando l’obiettivo. Ma,
ancora una volta, il risultato elettorale, inferiore di 0.6 decimi di punto
al quorum, ha sottratto all’alleanza elettorale quasi sei milioni di euro di
finanziamento.
NAPOLI ADDIO. A via del
Policlinico la situazione è altrettanto drammatica. "Io, che ho passato una
vita a difendere i lavoratori dai licenziamenti – ammette con sofferenza
Paolo Ferrero, segretario del partito – mi sono trovato a dover
sottoscrivere la drammatica necessità di quaranta licenziamenti". A cui, per
giunta,si aggiungono, anche in questo caso, altri 40 dipendenti messi in
cassa integrazione. E a cui si aggiunge la situazione precarissima di
Liberazione, che ha già tagliato la foliazione, e ha dovuto mettere in
solidarietà tutti i suoi dipendenti. Le vendite sono passate dalle 16 mila
copie dell’era Curzi alle 4800 attuali. Ad aprile è prevista una verifica
dei conti a cui il giornale potrebbe non sopravvivere.
Le ultime elezioni vedevano
partire il cartello della federazione da 48 consiglieri regionali, che dal
punto di vista finanziario portavano 5 mila euro a testa ogni mese. In
queste elezioni i due partiti sono passati a 18. 14 di Rifondazione, solo 4
del Pdci. Ma il quorum è stato mancato in Lombardia, che portava uno dei
rimborsi elettorali più cospicui. A via del Policlinico resta (per ora) un
apparato di 40 funzionari. Come pagarli? Per ora nell’unico modo possibile:
mettendo in vendita un pezzo forte del patrimonio, la sede di Napoli. Ma per
resistere fino alle prossime politiche, nella speranza di passare il quorum,
ci vorrà altro. Unica storia controtendenza? Quella di Sinistra e
libertà, che ha ottenuto quasi lo stesso numero di eletti della federazione
(18). Il caso virtuoso? Proprio in Puglia, dove Vendola ha trainato la lista
al 9%, producendo un rimborso adeguato. Retroscena incredibile: Vendola ha
speso solo 400 mila euro (contro sei milioni circa del suo avversario, Rocco
Palese) perché il Pd, per via delle note ruggini, aveva trattenuto i 300
mila euro raccolti con le primarie. Vendola otterrà di rimborso molto di
più. Li userà per finanziare le primarie nazionali in vista del 2012?
LA CORSA PD ALL'ANNIENTAMENTO: ALLE
ELEZIONI DEL 2013 CAPOLISTA PD SULLEY MUNTARI. Impauriti dal RICORSO DI BEPPE GRILLO CONTRO
L'ELEZIONE DEL DUO LOMBROSIANO ( SI LO PSEUDO SCENZIATO CHE RITENEVA DI AVER
TROVATO LA MOTIVAZIONE ANCESTRALE DELLA DELINQUENZA DALLA CONFORMAZIONE DEI
CRANI...) FORMIGONI-ERRANI, NELLA PAURA DI PERDERE UN LORO MERDOSO VICERE' -
ERRANI - IN EMILIA/ROMAGNA, I PIDIOSSINI VOTANO UNA LEGGE BIPARTISAN PER
LEGALIZZARE L'ILLEGALE, IL FUORILEGGE, LA MERDA COME LORO!!!! PER ORA LA
LORO EMORRAGIA SI E' FERMATA A 6 MILIONI DI VOTI, NON GLI BASTA....DOPO I 32
MERDOSI FUGGITI AL VOTO PER LO SCUDO MAFIOSO FISCALE, DOPO LA MODIFICA DS/FORZAITALIONTA
DELL'ARTICOLO COSTITUZIONALE 111 SUL GIUSTO PROCESSO NEL 1999 (QUELLO CHE
CANCELLAVA IL RIPORTO DELLE TESTIMONIANZE DEI TANGENTISTI NEL PROCESSO
PENALE AI POLITICI CON MODIFICA DELL'ARTICOLO 513 DEL CODICE PENALE), ECCO
IL TRIS DEI MERDOSI....
Siore e siori, sempre più difficile! Pur di non opporsi,
l’opposizione all’italiana chiamata Pd s’è prodotta ieri in un triplo salto
mortale carpiato con avvitamento e scappellamento a destra, un numero mai
riuscito né provato prima d'ora. Ricordate il decreto salva-liste che sanava
ex post le illegalità nella presentazione delle liste Pdl a Milano e Roma?
Bene, era illegale, incostituzionale e inutile. Illegale perché una legge
del 1988 vieta i decreti in materia elettorale (onde evitare il rischio che
si voti con una regola e poi, se il decreto non viene convertito in legge,
quella regola decada dopo il voto e si debba tornare alle urne).
Incostituzionale perché sanava solo le irregolarità di alcune liste e non di
altre e perché cambiava le regole del gioco a partita iniziata. Inutile
perché modificava per via parlamentare una legge regionale. Incuranti di
questi dettagliucci, i presidenti del Consiglio e della Repubblica lo
firmarono a piè fermo. Il Pd gridò allo scandalo (ma solo per la firma di
Berlusconi: quella di Napolitano era ottima e abbondante), annunciò la fine
del "dialogo sulle riforme", portò la gente in piazza del Popolo a
protestare contro l’atto eversivo.
Motivazione ufficiale, fremente di sdegno: "Se il
governo indossa gli anfibi e scende in piazza con attacchi violenti contro
le istituzioni, noi non restiamo certo in pantofole". Qualcuno, chiedendo
scusa alle signore, parlò financo di regime. Non contenti, due giorni fa i
piddini organizzarono un’imboscata per affossare il decreto alla Camera,
bocciandone la conversione in legge grazie alle consuete assenze nella
maggioranza e alle inconsuete presenze nell’opposizione. Un miracolo mai
accaduto prima: l’opposizione più stracciacula della storia dell’umanità
riesce a mandar sotto il governo, senza sopperire con le proprie assenze –
come invece era accaduto sulla mozione anti-Cosentino e sullo scudo fiscale
– a quelle endemiche del centrodestra. Ma niente paura: l’illusione di
un’opposizione che si oppone è durata l’espace d’un matin.
Ieri il Pd, sgomento per l’inatteso e involontario
successo, s’è subito pentito. Ha riposto gli anfibi, ha recuperato le
pantofole di peluche ed è tornato al suo passatempo preferito: l’inciucio.
Tenetevi forte, perché la notizia è grandiosa: onde evitare di invalidare le
elezioni regionali appena tenute in base al decreto ormai defunto, la
maggioranza più comica della storia ha presentato in fretta e furia una
leggina per salvare gli effetti del decreto medesimo, ribattezzata dai
magliari di Palazzo Chigi "legge salva-effetti", e sbrogliare il gran casino
creato dal Banana con la partecipazione straordinaria di Napolitano.
Così il decreto, cacciato dalla porta, è rientrato dalla
finestra in meno di 24 ore. A quel punto qualunque persona sana di mente
avrebbe mantenuto le posizioni di partenza: la maggioranza pro-decreto
avrebbe detto sì alla salva-effetti, l’opposizione anti-decreto avrebbe
detto no. E infatti l’Idv ha detto no e perfino l’Api di Rutelli s’è
astenuta. Indovinate come ha votato il Pd? A favore (a parte Furio Colombo e
poche altre persone serie), a braccetto col Pdl e la Lega. Ne saranno felici
le migliaia di persone che si erano fatte convincere a calzare gli anfibi e
a scendere in piazza del Popolo contro "l’attacco violento alle
istituzioni"....QUELLA STESSA GENTE DEL POPOLO DELLA MERDA VIOLA, CON LE
CANTANTI GRIFFATE, LE STRONZATE PAGATE,ECC...
Era tutto uno scherzo. Il Pd era contro il decreto,
ma non contro i suoi effetti. Tant’è che ieri ha contribuito a ripescarli.
Un voto del tutto inutile, vista la maggioranza bulgara Pdl-Lega, ma
comunque indicativo dell’amorevole trepidazione con cui i diversamente
concordi del Pd seguono le porcate del Banana. Lui li insulta e loro
lo salvano anche se lui non vuole. Per questo sbaglia il capogruppo dell’Idv
Massimo Donadi quando afferma che non si tratta comunque di inciucio "perché
il Pd non ha avuto nulla in cambio". Gli inciuci dei centrosinistri col
Banana sono sempre a senso unico: lui ci guadagna, quelli ci perdono. E’ un
do ut des senza des. Ma quelli continuano. Si divertono così.
Il ministro:
|
LIBRERIA MUSICALE
dav.PofM Single 7,11 |
dav PofM CD 8,25 |
dav PofM Book
9,20 |
|
Piece of Mind
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Piece of Mind |
dav. PofM
silver 15,11 |
dav PofM gold 23,80 |
dav PofM
29,40 |
|
|
|
Artista
dav PofM supergold 32,55 |
Iron Maiden |
Featuring |
{{{featuring}}} |
Tipo album |
Studio |
Pubblicazione |
16 maggio
1983 |
Durata |
45 min : 51 s |
Album di provenienza |
{{{album di provenienza}}} |
Dischi |
1 |
Tracce |
9 |
Genere |
NWOBHM
Heavy metal |
Esecutore |
{{{esecutore}}} |
Etichetta |
EMI Records |
Edizioni |
{{{edizioni}}} |
Produttore |
Martin "Black Night" Birch |
Arrangiamenti |
{{{arrangiamenti}}} |
Regista |
{{{regista}}} |
Registrazione |
Compass Point Studios,
Nassau,
Bahamas,
1983 |
Formati |
{{{formati}}} |
Note |
|
Premi
angkaIron singles
16,00 |
angkaIron CD 18,35 |
angkabook
22,10 |
|
Dischi d'oro |
|
Dischi di platino |
|
Dischi di diamante |
{{{numero dischi di diamante}}} |
|
Iron Maiden –
cronologia
angkaGold
25,00 |
angka super
gold 28,45 |
angka extra 33,70 |
|
Album
precedente |
Album
successivo |
The Number of the Beast
(1982) |
Powerslave
(1984) |
{{{seconda discografia}}} – cronologia |
Album precedente |
Album successivo |
|
|
{{{terza discografia}}} – cronologia |
Album precedente |
Album successivo |
|
|
Si invita a seguire lo schema del
Progetto Musica
internot indexdelta
24,50 |
internot indexiota
31,00 |
internot indexsigma
36,50 |
|
Piece of Mind è il quarto album registrato in
studio degli
Iron Maiden, pubblicato dalla
EMI Records nel
1983.
L'album ha
venduto più di 13 milioni di copie al mondo.[senza fonte]
Dopo che il precedente batterista,
Clive Burr, aveva abbandonato il gruppo per problemi di
salute,
Steve Harris ingaggiò
Nicko McBrain che militava precedentemente nei
Trust e aveva uno stile molto tecnico e legato al
progressive e al
jazz,
profondamente diverso da quello di Burr, che era molto diretto e
incisivo.
Il primo titolo proposto per questo album era Food for
Thought ma il gruppo non lo trovò di suo gradimento e si optò
per il più crudo Piece of Mind. L'album non ricalca le orme
del precedente
The Number of the Beast, è infatti decisamente più
melodico (lo dimostrano brani come Revelations e To Tame
a Land) ma troviamo anche canzoni grintose come The Trooper
(uno dei brani più rappresentativi della band che costituisce una
pagina importante nella storia del metal), Where Eagles Dare, Die With Your Boots On e Flight Of Icarus. Tutte
canzoni importanti per i Maiden e ancora oggi suonate sui palchi
di tutto il mondo.
Nel 1983 è stata pubblicata una versione picture-disc riservata
al mercato americano e contenente la bonus-track Cross Eyed
Mary. In
Europa questo brano era disponibile solo come b-side del
singolo
The Trooper fino al 1995 quando tutti gli album degli Iron
Maiden sono stati ripubblicati in versione double-cd (album vero e
proprio nel cd1 e b-side dei singoli nel cd2).
velvet our 23,30 |
velvet
diskfive 28,40 |
velvet disksix 36,90 |
L'album riflette gli interessi del
gruppo per
libri e
film.
1)Where Eagles Dare si ispira al film
Dove osano le aquile a sua volta tratto dall'omonimo
libro di
Alistair MacLean.
2)Revelations scritta da Dickinson, parla di religione e
viene citato lo scrittore
G.K. Chesterton;
3)Flight of Icarus si ispira alla
leggenda greca rivista in chiave "ribelle" dove
Icaro
rappresenta la generazione dell'epoca che tenta di ribellarsi;
4)Die With Yours Boots On parla del mondo attuale
devastato da guerre, terrore e distruzione;
5)The Trooper è ispirata da
Charge of the Light Brigade di
Alfred Tennyson, e parla di un
soldato che combatte durante la
guerra di Crimea tra
Regno Unito e
Russia;
7)Quest for Fire è ispirata ad un
omonimo romanzo di
J. H. Rosny aîné, narra della scoperta degli uomini primitivi
del fuoco;
8)Sun and Steel venne scritto da
Adrian Smith ispirato dalla leggenda del
samurai
Miyamoto Musashi;
9)To Tame a Land si basa sul
romanzo di
Frank Herbert
Dune e inizialmente la canzone si chiamava proprio così.
Poco prima dell'uscita dell'album l'autore del romanzo si oppose
dichiarando il suo disprezzo verso qualsiasi band rock e la
canzone acquisì il titolo odierno. Infatti la prima stampa della
versione italiana (ormai rara da reperire) riporta Dune
come titolo al posto di To Tame a Land .
|
...And Justice for All
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
...And Justice for All è il quarto album in
studio dei
Metallica, pubblicato il
25 agosto
1988.
Si tratta del primo album registrato dal gruppo con
Jason Newsted al
basso, dopo la morte di
Cliff Burton (avvenuta nel
1986).
To Live Is to Die è dedicata al bassista prematuramente
scomparso. Vennero usati dei riff scritti in passato dallo stesso
Burton, si tratta di una traccia quasi completamente strumentale,
è considerata una delle più belle composizioni del disco e in
assoluto della band californiana, presenta delle caratteristiche
classiche della band come l'insieme di parti melodiche molto
intense e riff veloci tipicamente thrash.
Il titolo è ispirato a quello del film
...e giustizia per tutti (appunto ...And Justice for
All), con
Al Pacino.
dav52 8,78 |
dav52 jkrul 28,00 |
dav52 tund 35,00 |
Caratteristica peculiare degli album
Ride the Lightning,
Master of Puppets, ...And Justice for All,
Metallica,
St. Anger e
Death Magnetic è che:
- la prima traccia sia la più veloce e
thrash dell'album. Difatti si apre sempre con una parte
molto melodica, quasi acustica per poi sfociare nella furia
tipica del genere thrash metal;
- la traccia omonima si trovi sempre alla posizione numero 2
(tranne che in
Metallica e
Death Magnetic);
- la quarta traccia sia una ballata;
- l'ultima traccia sia la più aggressiva e violenta (tranne
che in
Ride the Lightning e
St. Anger).
Blackened, la prima traccia del disco, è stata scritta
da
James Hetfield,
Lars Ulrich e
Jason Newsted. È stata la prima (e una delle poche) canzoni
scritte assieme a quest'ultimo. In comune con la canzone di
apertura dei precedenti due album,
Master of Puppets (1986)
e
Ride the Lightning (1984),
Blackened ha un inizio lento prima di passare ad un ritmo
thrash metal (182
bpm). In questo caso però l'introduzione della canzone
contiene varie
chitarre elettriche, anziché
chitarre classiche. Tuttavia, continua con la natura "tonale"
generale delle precedenti introduzioni. Una nota interessante è
che l'introduzione è stata registrata con numerose chitarre
armonizzate stratificate su un nastro che dopo è stato lanciato.
L'introduzione sentita in ...And Justice for All è infatti quella
suonata in precedenza.
In generale, Blackened, in quanto a velocità, è seconda solo a
"Dyers
Eve" fra le canzone di ...And Justice for All. Ad ogni modo,
come molte canzoni dei
Metallica, nella parte centrale contiene una parte più lenta,
con differenti riff e assoli. L'assolo di
Kirk Hammett, che comincia a cinque minuti, è uno dei
preferiti fra i fan del gruppo, con una parte suonata velocemente
con il
plettro e un'altra dove il chitarrista esegue un altrettanto
veloce
tapping. Il ritmo rimane sempre molto veloce, tipico del
thrash, rendendo veramente intensa questa parte della canzone.
Il testo della canzone si riferisce alla distuzione della
Terra, della razza umana e di una nuova era glaciale. Dal testo si
può capire che tutto ciò è dovuto ad una guerra nucleare, anche se
non è detto esplicitamente. Il tema è simile a "Fight
Fire With Fire", la canzone di apertura di
Ride the Lightning (che inizia con una lenta e classica
introduzione). Durante il seguente
Damaged Justice Tour (1988-1989),
Blackened fu quasi sempre la canzone di apertura. Dopo più di un
decennio di non utilizzo, una versione modificata della canzone
(con un assolo accorciato) fu utilizzata per la maggior parte
degli show dell'M2K
Tour del
1999-2000
e nel
Madly in Anger with the World Tour del
2003-2004.
I
Between the Buried and Me, nel loro album
The Anatomy Of hanno eseguito una cover di questa canzone.
...And Justice for All, il brano che dà il titolo
all'album, inizia con un arpeggio quasi "rilassante", per poi
scatenarsi. Come è consuetudine dei Metallica, il tema di questo
pezzo è la giustizia ormai dimenticata dall'uomo e dal sistema.
The Shortest Straw è ispirata alla storia di
Julius ed Ethel Rosenberg, condannati a morte per
cospirazione.
One è la prima canzone dei Metallica per cui è stato
girato un
video musicale. Parla della disperazione di un uomo che, dopo
aver perso braccia e gambe in guerra, è collegato a dei macchinari
per vivere e non può né parlare né muoversi ("trapped in myself,
body my holding cell"). Questa storia trae spunto da un film
del
1971
intitolato
E Johnny prese il fucile, tratto dall'omonimo romanzo
antimilitarista, ispirato da un fatto realmente accaduto, scritto
nel
1938
da
Dalton Trumbo, scrittore
antifascista e antimilitarista americano. Musicalmente
presenta ancora parti melodiche e veloci insieme come ad esempio
per Master of puppets o Fade to black, l'assolo centrale di Kirk
Hammett si è classificato al settimo posto nella speciale
classifica di guitar world dei 100 migliori assoli di chitarra. È
stata la canzone che per prima ha fatto scoprire i Metallica al
grande pubblico. I
KoЯn ne hanno fatto nel
2003
una
cover dal vivo, poi divenuta traccia nascosta del loro sesto
album
Take a Look in the Mirror. La canzone è presente nel
videogioco
musicale
Guitar Hero III: Legends of Rock, uscito nel
Novembre del
2007
e in un altro capitolo del gioco:
Guitar Hero: Metallica, uscito nel
Maggio
2009.
Dyers Eve, l'ultima traccia, è scritta da James Hetfield
e narra della sua infanzia e del suo rapporto con i genitori. Come
in molti altri
album dei Metallica, è la più feroce e thrash di tutto l'album
assieme alla canzone d'apertura.
Lo stesso Kirk
Hammet dichiarò che è la canzone più estrema che la Band abbia mai
suonato[senza fonte]. Dyer's Eve è stata suonata per la prima volta live nel
2004, ben 16 anni dopo l'uscita dell'album. Già dal 1989 molti fan
indossavano magliette con scritto "Please Play Dyer's Eve"
ma la richiesta è stata ignorata dai Metallica perché la
ritenevano troppo veloce per essere eseguita live. Nel 2004 sotto
spinta del nuovo bassista
Robert Trujillo decisero di suonarla durante tutto il Madly
In Anger Tour.
-
Blackened
(Hetfield,
Ulrich,
Newsted) - 6:40
-
...And Justice for All
(Hetfield,
Ulrich,
Hammett) - 9:44
-
Eye of the Beholder
(Hetfield,
Ulrich,
Hammett) - 6:25
-
One
(Hetfield,
Ulrich) - 7:24
- The Shortest Straw
(Hetfield,
Ulrich) - 6:35
-
Harvester of Sorrow
(Hetfield,
Ulrich) - 5:42
- The Frayed Ends of Sanity
(Hetfield,
Ulrich,
Hammett) - 7:40
-
To Live Is to Die
(Hetfield,
Ulrich,
Burton) - 9:48
- Dyers Eve
(Hetfield,
Ulrich,
Hammett) - 5:12
Piece of Mind
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Piece of Mind è il quarto album registrato in
studio degli
Iron Maiden, pubblicato dalla
EMI Records nel
1983.
L'album ha
venduto più di 13 milioni di copie al mondo.[senza fonte]
Dopo che il precedente batterista,
Clive Burr, aveva abbandonato il gruppo per problemi di
salute,
Steve Harris ingaggiò
Nicko McBrain che militava precedentemente nei
Trust e aveva uno stile molto tecnico e legato al
progressive e al
jazz,
profondamente diverso da quello di Burr, che era molto diretto e
incisivo.
Il primo titolo proposto per questo album era Food for
Thought ma il gruppo non lo trovò di suo gradimento e si optò
per il più crudo Piece of Mind. L'album non ricalca le orme
del precedente
The Number of the Beast, è infatti decisamente più
melodico (lo dimostrano brani come Revelations e To Tame
a Land) ma troviamo anche canzoni grintose come The Trooper
(uno dei brani più rappresentativi della band che costituisce una
pagina importante nella storia del metal), Where Eagles Dare, Die With Your Boots On e Flight Of Icarus. Tutte
canzoni importanti per i Maiden e ancora oggi suonate sui palchi
di tutto il mondo.
Nel 1983 è stata pubblicata una versione picture-disc riservata
al mercato americano e contenente la bonus-track Cross Eyed
Mary. In
Europa questo brano era disponibile solo come b-side del
singolo
The Trooper fino al 1995 quando tutti gli album degli Iron
Maiden sono stati ripubblicati in versione double-cd (album vero e
proprio nel cd1 e b-side dei singoli nel cd2).
L'album riflette gli interessi del
gruppo per
libri e
film.
1)Where Eagles Dare si ispira al film
Dove osano le aquile a sua volta tratto dall'omonimo
libro di
Alistair MacLean.
2)Revelations scritta da Dickinson, parla di religione e
viene citato lo scrittore
G.K. Chesterton;
3)Flight of Icarus si ispira alla
leggenda greca rivista in chiave "ribelle" dove
Icaro
rappresenta la generazione dell'epoca che tenta di ribellarsi;
4)Die With Yours Boots On parla del mondo attuale
devastato da guerre, terrore e distruzione;
5)The Trooper è ispirata da
Charge of the Light Brigade di
Alfred Tennyson, e parla di un
soldato che combatte durante la
guerra di Crimea tra
Regno Unito e
Russia;
7)Quest for Fire è ispirata ad un
omonimo romanzo di
J. H. Rosny aîné, narra della scoperta degli uomini primitivi
del fuoco;
8)Sun and Steel venne scritto da
Adrian Smith ispirato dalla leggenda del
samurai
Miyamoto Musashi;
9)To Tame a Land si basa sul
romanzo di
Frank Herbert
Dune e inizialmente la canzone si chiamava proprio così.
Poco prima dell'uscita dell'album l'autore del romanzo si oppose
dichiarando il suo disprezzo verso qualsiasi band rock e la
canzone acquisì il titolo odierno. Infatti la prima stampa della
versione italiana (ormai rara da reperire) riporta Dune
come titolo al posto di To Tame a Land .
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Tyr (album)
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Tyr è il quindicesimo album in studio del gruppo
heavy metal
britannico
Black Sabbath, pubblicato il
6
agosto del
1990.
L'album vede l'entrata in studio del bassista
Neil Murray (il quale sostituì
Laurence Cottle poco prima dell'inizio del tour di
Headless Cross), ex
Whitesnake. Inizialmente pensato come un
concept album riguardante la mitologia
scandinava, in realtà l'album presenta solamente tre canzoni (The
Battle of Tyr, Odin's Court e Valhalla)
riguardanti l'argomento.[1]
Il nome dell'album (riportato sulla copertina con caratteri
runici) è il nome del figlio di
Odino,
il dio supremo della
mitologia norrena. L'album presenta delle sonorità simili al
precedente
Headless Cross ricevendo un ulteriore apporto di
tastiere, diventate ormai un elemento fondamentale nelle
sonorità dei
Black Sabbath, totalmente differenti da quelle degli esordi.
L'album ebbe dei buoni riscontri di vendita.
Tutte le musiche scritte dai
Black Sabbath, mentre i testi da
Tony Martin.
- Anno Mundi (The Vision) – 6:13
- The Law Maker – 3:52
- Jerusalem – 3:58
- The Sabbath Stones – 6:45
- The Battle of Tyr – 1:08
- Odin's Court – 2:42
- Valhalla – 4:53
- Feels Good to Me – 5:44
- Heaven in Black – 4:03
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Ride the Lightning
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Ride the Lightning è il secondo album in studio
dei
Metallica, pubblicato nel
1984.
Si tratta del primo disco inciso dal gruppo con il
produttore
Flemming Rasmussen per la
Elektra Records.
Seppur ancora immaturo rispetto al successivo
Master of Puppets, Ride the Lightning mette in evidenza
i tratti fondamentali di quello che sarà lo stile che renderà
celebre il gruppo: forte senso della melodia unito ad un possente
riffing Thrash Metal.
Importante è anche il passaggio del gruppo dalle tipiche
tematiche
Metal di
Kill 'Em All ad altre più mature e politiche. Vari sono gli
argomenti trattati fra cui la pena di morte (Ride
the Lightning), il suicidio (Fade
to Black), esperimenti scientifici (Trapped
Under Ice), piaghe bibliche (Creeping
Death) ed avventure letterarie (For
Whom the Bell Tolls), tematiche decisamente anomale per un
gruppo Thrash Metal dell'epoca.
Ride the Lightning è anche l'ultimo album in cui compare
Dave Mustaine fra i crediti delle canzoni dopo essere stato
cacciato dai
Metallica. Il nome del rosso chitarrista appare infatti sia
nella title-track che nella lunga strumentale finale
The Call of Ktulu, brano ispirato al famoso ciclo
letterario dello statunitense
Howard Phillips Lovecraft (1890-1937), da molti considerato il
maggiore esponente del genere horror di inizio '900.
Somiglianze con altri album
[modifica]
Ride the Lightning segna anche l'inizio di un'ideale
"schema" con cui i Metallica organizzarono le tracklist dei loro
due album successivi
Master of Puppets ed
...And Justice for All:
-
Ride the Lightning è una canzone aggressiva che mette in
risalto le capacità tecniche di
Kirk Hammett. Il testo della canzone parla della pena di
morte dal punto di vista di un uomo che la sta per subire.
-
Fade to Black è la prima ed una delle più famose ballate dei
Metallica. Il testo parla di depressione e suicidio.
-
Escape è la canzone più sottovalutata dell'album. Il
principale compositore della canzone è
Lars Ulrich.
-
Creeping Death è un'altra canzone dal ritmo graffiante e
aggressivo. Tutta la canzone gira attorno ad un potente riff di
chitarra creato da
James Hetfield che si può sentire nella canzone dopo i primi
Power chord di chitarra.
- Fight Fire with Fire - 4:45
-
Ride the Lightning - 6:38
-
For Whom the Bell Tolls - 5:11
-
Fade to Black - 6:53
- Trapped under Ice - 4:04
- Escape - 4:24
-
Creeping Death - 6:37
-
The Call of Ktulu (strumentale) - 8:54
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Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
The New Order è il secondo capitolo discografico dei
Testament. Mentre il primo disco era molto ispirato al sound
degli
Slayer, questo lavoro si presenta più melodico, più tecnico e
più curato nei suoni. Eerie Inhabitants inizia con una
melodia oscura, seguita da ritmiche pesanti e chitarre taglienti.
The New Order è un altro brano che permette a
Alex Skolnick di esprimersi al massimo con i suoi
riffs
di chitarra taglienti ma, allo stesso tempo, tecnici. Il poderoso
brano Into the Pit mostra ancora evidenti influenze degli
Slayer
mentre Hypnosis è un breve pezzo strumentale eseguito da
Skolnick con il supporto ritmico di
Eric Peterson. The Preacher è uno dei brani che i
Testament amano suonare dal vivo ed è presente anche una cover degli
Aerosmith: Nobody's Fault. Musical Death (A Dirge)
è una ballad strumentale che chiude un disco che è entrato nel
catalogo dei classici dell'heavy
metal e che, per molti, si contende il posto di miglior album
dei Testament con il precedente
The Legacy.
- Eerie Inhabitants
- The New Order
- Trial By Fire
- Into the Pit
- Hypnosis
- Disciples of the Watch
- The Preacher
- Nobody's Fault (Aerosmith
cover)
- A Day of Reckoning
- Musical Death (A Dirge)
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http://www.metalkingdom.net/album/rating.php?idx=216
Harmony Corruption è il terzo
album in studio del gruppo
britannico
Napalm Death. Venne
pubblicato nel
1990 dalla
Earache Records. Lo stile del
disco vide un forte mutamento nel sound della band, con
canzoni strutturate in maniera molto più vicina al
death metal che non al
grindcore. Questa variazione
influenzò anche il resto della carriera dei Napalm Death, che
tornarono a fare
grindcore solamente una
dozzina di anni dopo.
- "Vision Conquest" – 2:42
- "If the Truth Be Known" – 4:12
- "Inner Incineration" – 2:57
- "Malicious Intent" – 3:26
- "Unfit Earth" – 5:03
- "Circle of Hypocrisy" – 3:15
- "The Chains that Bind Us" – 4:08
- "Mind Snare" – 3:42
- "Extremity Retained" – 2:01
- "Suffer the Children" – 4:21
- "Hiding Behind" – 5:15 (traccia bonus)
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Lovedrive
è il settimo album del
gruppo musicale
metal
tedesco
Scorpions. Pubblicato nel mese di
febbraio del
1979
dalla nuova etichetta
EMI, fece
parlare di sé per il ritorno in formazione di
Michael Schenker, fratello minore di
Rudolf Schenker, che aveva raggiunto una discreta notorietà
suonando negli
UFO.
Al momento della sua uscita l'album ha creato molte
polemiche per via della copertina in cui si vede una donna con un
seno nudo. Inizialmente l'album è stato venduto incartato (per
nascondere la copertina), successivamente questa è stata sostituita
con un disegno più sobrio (uno scorpione blu su uno sfondo nero).
Oltre a presentare il ritorno di
Michael Schenker nella formazione che aveva lasciato nel
1972
dopo l'album
Lonesome Crow, Loverdrive costituisce l'album di
debutto per
Matthias Jabs, il nuovo chitarrista solista del gruppo,
sostituto di
Ulrich Roth. Prima di intraprendere l'avventura con gli
Scorpions, Jabs faceva parte di un gruppo di
Hannover, Lady, a metà del
1978 fu
invitato dagli Scorpions a una piccola sessione di improvvisata,
senza sapere che il gruppo era alla ricerca di un nuovo chitarrista.
Si costituisce così la line-up classica del gruppo (Meine / Schenker
/ Jabs / Buchholz / Rarebell), formazione che pubblicherà 6 album di
enorme successo e che durerà fino agli inizi del
1990.
L'approccio
Hard rock che aveva fatto la fortuna degli Scorpions fino a quel
momento, venne sostituito da un nuovo sound più metallico e
commerciale che proprio in quegli anni vedeva il suo esplodere in
gruppi come
Van Halen e
Judas Priest: i brani Another Piece of Meat e Can't
Get Enough sono tra le prime performance della tendenza alla
musica spaccatutto infarcita di testi irrilevanti e cantato al
limite dello squarciagola che tanto successo troverà nel decennio
successivo. Il brano di apertura, Loving You Sunday Morning,
illude inizialmente l'ascoltatore nel presentare un Hard Rock
canonico molto in linea con quanto prodotto dagli Scorpions fino a
quel momento ma sorprende poi al momento dell'assolo che ci presenta
il nuovo stilo accattivante di Jabs, decisamente più Heavy del suo
predecessore. Coast to Coast è un brano strumentale
dall'incedere pesante e cupo ma rappresenta la novità di vedere il
cantante
Klaus Meine nelle vesti di chitarra ritmica. Il brano più
riuscito dell'album è pero Holiday, una ballata dalla
struttura progressive con dolci arpeggi di chitarra acustica che
accompagnano il parlato di Meine; a metà brano parte un breve
slancio metallico che però sfuma nuovamente nell'arpeggio iniziale.
Lovedrive divenne disco d'oro negli
Stati Uniti e fu il primo album degli Scorpions a raggiungere un
notevole successo mondiale.
|
Send
"Until It Sleeps" Ringtones to Cell 
59.
Until It Sleeps -
Metallica
Tratto da:
The Metallica Collection
Pubblicato il: 14 Aprile 2009
Casa discografica: Universal Music
Durata Brano: 4:27
Popolarità:

Formati disponibili
· Mp3
hi-quality (256 kbps)
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Powerslave è il quinto
album registrato in studio degli
Iron Maiden, pubblicato dalla
EMI Records nel
1984.
L'album ha venduto
più di 10 milioni di copie, risultando il primo disco degli Iron
Maiden a superarle dopo
The Number of the Beast[senza fonte].
Dopo essere stato
lobotomizzato nel precedente
Piece of Mind,
Eddie
viene
mummificato come un
faraone e portato nel suo maestoso tempio all'ombra di una
piramide. Il disegnatore
Derek Riggs si è sbizzarrito a nascondere i tipici segni
presenti in tutti i dischi degli Iron Maiden (come il cerchio con la
freccia) in mezzo a migliaia di
geroglifici.
Filo conduttore dell'album è la storia: tutte le
canzoni parlano di guerre e duelli avvenuti in epoca storica (dal
faraone di Powerslave fino alla guerra atomica di 2
Minutes to Midnight).
1)Aces
High, è dedicata a tutti quei piloti che morirono difendendo
l'Inghilterra
dall'attacco aereo della
Germania Nazista;
2)2
Minutes to Midnight, riproposta più volte in sede live e
nota per il famoso
riff
iniziale, per altro quasi identico a quello iniziale di Flash
Rockin' Man degli
Accept,
è incentrata invece sul tema di una
guerra atomica. Queste due canzoni sono state pubblicate anche
come singoli.
3)Losfer Words (Big 'Orra), è un brano
strumentale;
4)Flash of the Blade narra la crescita di
un giovane guerriero a cui è stata uccisa la famiglia mentre lui
giocava alla guerra da piccolo.
5)The Duellists (canzone ispirata
probabilmente dal film "I
duellanti" di
Ridley Scott)
6)Back in the Village riprende il tema
bellico e descrive un bombardamento aereo su un villaggio;
7)Powerslave narra di un
faraone che non vuole morire ma sa che non può sfuggire al
potere della Morte. Nel testo ci sono dei riferimenti alla civiltà
egizia e persino l'intro ricorda dei ritmi spesso legati all'Egitto.
È stata scritta da Dickinson, noto per la sua passione per la storia
e le civiltà antiche.
8)Rime of the Ancient Mariner è la canzone
più lunga composta dagli Iron Maiden, con i suoi 13 minuti e 45
secondi, ed è tratta dalla poesia
La ballata del vecchio marinaio di
Samuel Taylor Coleridge. È stata proposta nel World Slavery Tour
del 1984-1985, nel Somewhere On Tour del 1986-1987 e nel
Somewhere Back In Time World Tour 2008-2009. Durante le versioni
live di questa canzone spesso sono proposti dei giochi pirotecnici.
Quando l'album è stato pubblicato la prima volta
su CD i brani erano più corti rispetto alla versione in vinile. Poi
nel
1995 Powerslave è stato ristampato, come tutti gli album degli
Iron Maiden pubblicati fino a quel momento, nel formato double-CD
con le b-side dei due singoli inserite nel secondo CD. La versione
rimasterizzata del
1998,
oltre ad essere abbinata ad un Enhanced CD, aveva la durata di un
paio di canzoni nuovamente modificata: nello specifico Back to
the Village era passata da 5:00 a 5:20 e Powerslave da
7:07 a 6:47.
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Dopo la dipartita, per disaccordi personali e musicali, di
Ronnie James Dio e
Vinny Appice, i rimanenti
Tony Iommi e
Geezer Butler chiamano il cantante
Ian Gillan (uscito per diverbi dai
Deep Purple nel
1973 e
che nel frattempo aveva messo in piedi una carriera solista) e il
batterista originario
Bill Ward, ripresosi dai problemi con l'alcool
che lo avevano costretto a ritirarsi durante il tour dell'album
Heaven and Hell.
L'album fu pubblicato nell'agosto
del
1983
e, inizialmente, non fu accolto calorosamente dalla critica, a causa
delle sonorità di produzione ritenute mediocri. Tuttavia in seguito
si rivelò un buon successo, raggiungendo il quarto posto nelle
classifiche inglesi[1]
e venendo inserito nella classifica Top 40
statunitense. L'album venne in seguito certificato con il
disco di platino.
Musicalmente è album dal sound più massiccio rispetto agli album
precedenti, che vede un inasprimento nello stile dei
Black Sabbath. Il brano Zero the Hero è stato oggetto di
una cover da parte dei
Cannibal Corpse (presente nell'album
EP
Hammer Smashed Face).
La copertina dell'album, disegnata da Steve Joule in stato di
ebbrezza (pensò addirittura di cancellarla, una volta ripresosi, ma
incontrò l'opposizione di Iommi e Butler che invece la gradirono),
rappresenta un
neonato dalle sembianze demoniache ed è simile a quella del
singolo del
1981 dei
Depeche Mode New Life (è stata utilizzata infatti la
stessa immagine[2][3]).
Al momento della pubblicazione dell'album, l'aspetto particolare
della copertina fu oggetto di controversie. Ciò non ha impedito
comunque che la copertina sia la preferita di alcuni musicisti metal
tra cui
Glen Benton (Deicide)
e
Max Cavalera (Soulfly)[2].
|
Formation, Haunted, and Warpath (1993–1997)
After Barnes and West joined forces, they recruited Terry Butler,
who knew West from his involvement with Massacre, and Greg Gall,
Terry Butler's brother-in-law. Six Feet Under first played in 1993
at clubs, performing mostly cover songs. The band began writing
original material in the middle of 1994. Because Barnes was already
signed to
Metal Blade Records with Cannibal Corpse, Six Feet Under signed
to this label.
Their first album,
Haunted, was released on September 1, 1995. Haunted
was produced by
Brian Slagel (who discovered
Slayer)
and
Scott Burns (who discovered
Sepultura and worked with
Napalm Death,and
Deicide among others). Unlike either of the members' main bands,
Six Feet Under did not play many guitar solos on the album, and the
songwriting was still a work-in-progress. However, the grooves and
the distinct vocals were praised.[2]
By this point Chris Barnes had made Six Feet Under his main priority.
In 1996, in the process of recording
Vile, he parted ways with Cannibal Corpse.
Six Feet Under's next release was the
Alive and Dead
EP on October 29, 1996. A dual studio/live EP, it contains three
studio recordings ("Insect," "Drowning," and a
Judas Priest cover, "Grinder") and four tracks from Haunted
performed live. The band released their second studio album,
Warpath, on September 9, 1997. Of note are the tracks "Death
or Glory", which is a cover of the
Holocaust song, and "4:20," which showcases Barnes' clean vocals
and his love of
marijuana. "4:20," duration four minutes and 20 seconds, was
recorded on April 20, 1997 at 4:20 pm.[citation
needed]
[edit]
Maximum Violence and Graveyard Classics (1998–2000)
In 1998, Allen West left to rejoin Obituary and was replaced by
Steve Swanson, formerly of
Massacre. This is the only line-up change that the band has had
to date. Combined with Barnes' departure from Cannibal Corpse, the
arrival of Swanson helped turn Six Feet Under from a mere
side-project to a band in its own right.[3]
July 13, 1999, saw the release of Six Feet Under's third studio
album,
Maximum Violence. As the name of the album suggests, the
lyrics on this release are much more violent than on past releases.
The band also recorded a death-metal retooling of the
Kiss song "War Machine." Steve Swanson brought a revamped crunch[clarification
needed] to the Six Feet Under sound with his
blistering
riffs and the inclusion of
solos.[citation
needed]
Maximum Violence had sold over 100,000 copies worldwide,[citation
needed] a status that hadn't been reached for a while
for a death metal band during the late 90's when death metal was a
dying genre. It led to some unexpected promotional events for the
band. During the summer of 2000, Six Feet Under participated in the
Vans Warped Tour, a festival that, at the time, usually featured
punk rock bands.[4]
Further pursuing their interest in
cover songs, Six Feet Under released an album entirely of covers,
Graveyard Classics, on October 24, 2000. The songs were
given death metal makeovers in regards to the timbre of the vocals
and instruments, but the original riffs and rhythms of the songs
were left intact. Songs include
Black Sabbath's "Sweet
Leaf,"
Deep Purple's "Smoke
on the Water," and
Jimi Hendrix's "Purple
Haze."
[edit]
True Carnage and Bringer of Blood (2001–2003)
The group's fifth studio album,
True Carnage, (August 7, 2001) was also their first
recording to feature guest artists:
Ice T raps while Barnes roars on "One Bullet Left," and
Karyn Crisis joins Barnes for "Sick and Twisted." The
songwriting on True Carnage is more groove-oriented than past
songs. The tracks are still crashing[clarification
needed] and mostly slow-paced, but have less
static.
The musicianship was also improved[citation
needed], and the production is complementary to the
brutality[clarification
needed]. True Carnage peaked on the Billboard
Heatseeker's charts at number 18.[5]
Six Feet Under undertook a lengthy bout of American tours,
commencing in the summer of 2002, with supporters
Skinless and
Sworn Enemy. Their June 14 performance was recorded for a
DVD and
live album release,
Double Dead Redux. September 2002 saw the band touring with
Hatebreed. Around
Christmas 2002, they participated in some
European festivals with bands such as
Kataklysm and
Dying Fetus.[6]
The band next released
Bringer of Blood, on September 23, 2003. The
tuning on this album is very dark and murky[clarification
needed]. In addition to his trademark guttural vocals,
Barnes also began using higher pitched
pig squeal vocals on this release.
[edit]
Graveyard Classics 2, 13, and A Decade in the Grave
(2004–2006)
Graveyard Classics 2 came out on October 19, 2004. This
cover album focused solely on the 1980
AC/DC
album
Back in Black.
Allmusic reviewer Wade Kergan remarked that the death
metal-makeover on these forefather songs "are equal parts menace and
kitsch... Six Feet Under are obviously having a blast as they rip
through them."[7]
Six Feet Under released their seventh studio album on March 21,
2005, entitled
13. While writing the lyrics, Chris Barnes reportedly
entered "a vision" from smoking large quantities of marajuana and
meditating.[8]
The sound quality is good although rather quiet[clarification
needed] - the liner notes for the album suggest
turning your speakers up to maximum volume for a better experience.[clarification
needed] Overall 13 is a notable return to
True Carnage-esque form, with songs like the classic death metal
of "Shadow of the Reaper" and "Decomposition of the Human Race."[9]
Metal Blade Records issued
A Decade in the Grave on October 28, 2005, a five-disc
box
set. The first two discs are 'best-of' material, the third is a
rarities collection, the fourth disc is from one of the band's first
concerts back in 1995, and the final disc is a live DVD from 2005.
In November 2005, Chris Barnes joined the
Finnish death metal band
Torture Killer as lead vocalist for a side project. His new
bandmates saw this as a huge compliment, having started out as a Six
Feet Under and Obituary cover band. Barnes sung vocals on their 2006
studio album Swarm!.
[edit]
Commandment and Death Rituals (since 2007)
Six Feet Under toured for the majority of 2006 before hitting the
studios to record their next album,
Commandment, which was released on April 17, 2007. The album
works within the band's formula. According to music critic Chad
Bowar, the album has "catchy death metal songs... [that are]
crushingly heavy, but also have a great groove to them."[10]
Six Feet Under played Metalfest 2007 tour alongside openers
Finntroll,
Belphegor, and
Nile, their most heavily-promoted tour to date. A Six Feet Under
first was seen in promotion of Commandment. Although the band
has tried airing music videos in the past, all were banned. However,
a
music video for "Doomsday" aired on
MTV2's
Headbanger's Ball, starting on November 10 of that year.
On December 24, 2007, Six Feet Under announced on their website
that they would go to the studio in early 2008 to record a new
album.[11]
the album, titled
Death Rituals, was released on Metal Blade Records on
November 11, 2008 in the US, and November 17, 2008 in the UK.
As announced on January 31, 2008 Chris Barnes officially parted
ways with
Torture Killer, to be replaced by
Juri Sallinen. Drummer Greg Gall is currently writing and
recording material with a new band called Exitsect, along with
guitarist Sam Williams (Denial Fiend, Down By Law), bassist Frank
Watkins (Obituary, Gorgoroth), guitarist
Joe Kiser (Murder-Suicide Pact, Slap Of Reality) and vocalist
Paul Pavlovich (Assuck).[12][13]
Graveyard classics III was released on January 19, 2010.[14]
[edit]
Musical style
Barnes formed Six Feet Under with the intention of writing death
metal music that wasn't just about
blast beats and speed.[citation
needed] They play a more
grooving style of death metal in the vein of
Obituary, performing slower or mid-tempo paced songs than most
death metal acts.[citation
needed] Barnes' lyrical style changed little since his
departure from Cannibal Corpse, though the lyrical content is not as
shocking as that of his first band.[citation
needed] Today, Barnes mainly writes about violence,
gore and death, with some political leanings, such as the legality
of marijuana and criticism of the government.[15]
In regards to vocals, Chris Barnes is one of the pioneers of the
death growl,[citation
needed] and still uses this style, though sang with
clean vocals on "4:20" and "Black Out," the latter being on the
Graveyard Classics album.
|
Guitarist Erik Rutan joins the fold on Morbid Angel's Domination and
contributes several of his own compositions. The group's sound is
better than ever and perhaps a bit more groove-oriented, but this is
mostly standard Morbid Angel. ~ Steve HueyQ (7/95, p.120) - 4 Stars
- Excellent - "...confirms their prime position amongst their peers
with a monumental, crushing slab of uncompromising darkness and
aggression, captured with a full-bodied clarity by Bill Kennedy..." |
"Crazy"
è un brano scritto dal musicista
soul
Seal e
arrangiata da
Guy Sigsworth. La produzione è stata affidata a
Trevor Horn, ed è stata inserita nell'album del
1991
Seal . "Crazy" è stato un enorme successo commerciale,
raggiungendo la top 5 in
Regno Unito e la top 10 negli
Stati Uniti.
Nell'agosto
2003
Seal ha rilasciato una versione acustica del brano, che ha rinnovato
il successo di "Creazy" facendolo arrivare alla terza posizione
della "U.S. Billboard Hot Digital Tracks", la classifica dei
download digitali.
La popolarità del brano è dimostrata anche dalla quantità di
cover
avute negli anni. Fra le più importati si può senz'altro individuare
la versione di
Alanis Morissette del
2005.
Seal Henry Olusegun Olumide Adeola Samuel (born 19
February 1963 in
Paddington, London, England), known simply as
Seal, is an
English
soul and
R&B singer-songwriter, of
Nigerian and
Brazilian background.[1]
His name Olusegun means "God is victorious".[2]
Seal is known for his numerous international hits. He is married to
German model
Heidi Klum.
|
Hunting High and Low è il primo album degli
a-ha ed
ha venduto oltre otto milioni copie in tutto il mondo. |
L'album che apre
l'ultimo decennio del
XX secolo non verrà, a dire di molti fan e critici, ricordato
come uno dei migliori dei Maiden, anche se segna un importante
ritorno ad un sound più essenziale che era stato abbandonato dopo
Powerslave. L'album denota un'attitudine "stradaiola" già
presente nell'album solista di
Bruce Dickinson
Tattooed Millionaire, uscito qualche mese prima. Ciò
potrebbe essere dipeso anche dall'arrivo del nuovo chitarrista
Janick Gers, presente in Tattooed Milionnaire, allora latore di
uno stile rumoroso e (forse) poco sobrio, che avrebbe invece
migliorato con il tempo. Bring Your Daughter...To The Slaughter
è la canzone più conosciuta di questo album ed il singolo omonimo è
tutt'ora il più venduto della loro carriera. Da notare che in realtà
la canzone venne composta da Dickinson per la sua produzione solista
- la versione originale finì nella colonna sonora del film
Nightmare 5 - e fu
Steve Harris, affascinato dal pezzo, ad "obbligare" il cantante
a portarla in seno agli
Iron Maiden. Altri buoni brani da segnalare sono l'opener
Tailgunner, il primo singolo pubblicato Holy Smoke,
Run Silent Run Deep, No Prayer for the Dying e Hooks
In You (ultimo brano scritto da
Adrian Smith). |
1.
Death Trip
Picture Show
2.
Wig
3.
Uzi
4.
Welcome to
Society
5.
Modern Day
Martyr
6.
Injection
7.
G.O.D.
C.O.D.
8.
In Dead of
Night
9.
Inertia
10.
Do or Die
11.
Forward
March
12.
No
Trouble in Paradise
|

L'album vede un certo distaccamento dai
suoni sintetizzati del precedente
Turbo. L'idea dei Priest era quella di ritornare all'heavy
metal classico di
Screaming for Vengeance e
Defenders of the Faith: il risultato non fu quello che si
aspettavano i fans, tant'è che l'album vendette pochissimo rispetto
ai precedenti. Ram It Down presenta comunque ottime canzoni
come la title track, Heavy Metal e l'intensa Blood
Red Skies. Venne estratto un solo singolo, Johnny B. Goode
(cover di
Chuck Berry), creato dalla band per la colonna sonora
dell'omonimo film prendendo spunto da due canzoni precedentemente
scritte ma mai pubblicate (se non nelle riedizioni del
2001)
ossia Thunder Road e Fire Burns Below. |
I Massacra sono una band
death metal formatasi nel 1986 e scioltasi nove anni a causa
della morte del cantante, chitarrista, nonché band leader,
Fred Duval in seguito a un
cancro della pelle il
6
giugno
1997. Nella loro carriera hanno pubblicato cinque album e tre
demo, nel
2000 è stata pubblicata una raccolta postuma. |
I
Saint Vitus sono uno dei gruppi cardine della scena
doom metal mondiale capaci negli anni '80 di proseguire sul
discorso già intrapreso nel decennio precedente dai
Black Sabbath dei quali riprendono l'incedere lento e lisergico
della musica qui portato all'estremo in un entusiasmante mix tra
sonorità settantiane rilette secondo i canoni dell'allora nascente
movimento
heavy metal.
Vivono il loro periodo di maggior splendore tra
1987 e
1990
grazie all'ingresso in line-up dello storico singer
Scott "Wino" Weinrich una delle icone della scena doom mondiale
e già singer di innumerevoli bands tra le quali i
The Obsessed. I Saint Vitus si formano nel 1979 a
Los Angeles per volere del singer
Scott Reagers, del chitarrista
Dave Chandler, del bassista
Mark Adams e del batterista
Armando Costa e partono con il nome di
Tyrant.
Curiosa è la provenienza degli statunitensi che emergeranno negli
anni '80 in quella
Los Angeles che diventerà in quegli anni patria indiscussa del
movimento
glam metal proposta musicalmente e concettualmente in antitesi
con la musica della band.
Dopo qualche tempo, Reagers e soci cambieranno in loro nome in Saint
Vitus ispirati dal brano Saint Vitus Dance dei britannici
Black Sabbath, band dalla quale trarranno le maggiori influenze.
Il sound degli statunitensi è dunque già ben forgiato, e nel
1984 i
Saint Vitus arrivano alla pubblicazione del loro primo full-lenght,
l'omonimo Saint Vitus che mostrerà una band ancora un po' acerba ma
con le idee già chiare.
L'anno seguente è la volta di
Hallow's Victim che rappresenta un piccolo passo indietro a
livello qualitativo ma che darà il LA alla definitiva consacrazione
della band la cui fama è ancora piuttosto latitante oltreoceano.
Nel 1986 la svolta con l'ingresso in line-up di
Scott "Wino" Weinrich singer-chitarrista di notevoli doti già
salito alla ribalta con i
The Obsessed; e così nel 1987 la band da alle stampe
Born Too Late capolavoro della band ed indiscusso "must"
all'interno della scena doom mondiale. La musica degli statunitensi
è notevolmente dilatata, sempre più arida e la voce di Weinrich
conferisce sempre più un certo appeal mistico.
Mournful Cries (1988)
e
V (1990)
rappresenteranno altri due lavori apprezzabili dopo i quali vi sarà
la dipartita di Weinrich.
Nel
1993
i Saint Vitus torneranno alla ribalta con
C.O.D. (Children of Doom) album più rock 'n' roll-oriented,
prima di
Die Healing (1995)
album notevole che vede il ritorno in line-up del singer
Scott Reagers e che precederà lo scioglimento della storica band
americana.
|
Amon: Feasting the Beast è una compilation edita dalla
band
statunitense di
death metal
Deicide. I pezzi in essa contenuti sono le versioni demo delle
canzoni che la band registrò quando si chiamava Amon.
Durante quel periodo la band era ancora alla ricerca di un
proprio sound e questa è la ragione per cui alcune delle canzoni
hanno sonorità death metal mentre altre hanno sonorità più
riconducibili al
thrash metal.
|

La visione
che predomina di questo album è "la perfetta via di mezzo tra Death
metal e Grind, il punto di equilibrio dei Carcass"; per carità,
sacrosanta verità (almeno per la prima parte), ma inefficiente per
descrivere il vero significato di questo Cd all'interno della
discografia della band. Per me Necroticism - Descanting The
Insalubrious rappresenta innanzitutto una rottura: lo stacco
tra i Carcass come rappresentanti e fondatori della scena
grindcore più pura e la band che proseguirà brillantemente la
propria carriera musicale rimanendo in un contesto meno "di culto".
Questo senza alcun giudizio alla scelta, ma come semplice
constatazione. Con questo lavoro la band inglese ci dice
palesemente: «ok ragazzi, la nostra lezione l'abbiamo data, ora
lasciateci prendere la nostra strada».
Necroticism... è innanzitutto il ripensamento riguardo al
verbo di Reek Of Putrefaction: il distacco dal tecnicismo e
dalle strutture complesse qui viene abbandonato, per intraprendere
una strada più classica e accessibile. Una scelta che farà piangere
i cuori di molti fan, ma che al di là della piccola delusione per l'infedeltà
ci regalerà alcuni dei minuti più belli dell'intera storia del Death
metal. Sarebbe dunque stupido sorvolare sulla grandezza di un pezzo
come "Corporal Jigsore Quandary" in nome dell'intransigenza
attitudinale, un limite che i Carcass hanno sciolto
regalandoci appunto uno dei loro brani più apprezzati. Con
l'introduttiva "Inpropagation" la band getta un ultimo
sguardo alle trame più puramente grind e comincia ad intraprendere
una nuova strada, che trova per la prima volta piena realizzazione
appunto in "Corporal...". Una canzone forte di un riff del
tutto elementare, che con la sua semplicità farà breccia per sempre
nel cuore dei fan.
Il terzo lavoro segna una svolta qualitativa anche dal punto di
vista esecutivo e della produzione, visto che sostituita al suono
scarno ed istintivo di Symphonies... troviamo qui
un'esecuzione praticamente impeccabile sorretta da un buonissimo
lavoro di produzione / mixaggio (onore e gloria a Colin
Richardson...). Resta comunque presente un certo margine che non
rende il suono troppo perfetto, finto; peculiarità dei Carcass
che di fatto verrà meno esclusivamente nella loro ultima opera. Qui
trovano spazio per sfoggiare un altro lato della loro genialità, il
lato forse più complicato nella sua immediatezza, e che trova
espressione in quasi tutte le tracce, con picchi forse in
"Pedigree Butchery" o "Carneous Cacoffiny".
Fantastico l'andamento che sanno dare alle diverse canzoni, la
venatura quasi ironica (caratteristica sempre e comunque presente
nei lavori del gruppo) di alcuni passaggi e, ovviamente, la classe;
classe che consiste nel non banalizzare mai, nel saper lasciare
traccia della propria personalità in ogni singolo passaggio. Anche
questo, come i lavori che erano venuti prima, costruisce una diversa
dimensione nell'ambito di un genere musicale, e lascia la pesante
eredità ai gruppi a venire di provare ad avvicinarcisi...
Nonostante la quasi impareggiabile bellezza di questo lavoro, e la
sua palese genialità, trovo Necroticism superiore di
importanza al solo Swansong all'interno della discografia
della band inglese. Che questa, ovviamente, rimanga comunque una
semplice considerazione personale, che non può intaccare minimamente
il valore reale di un cd che gode di una ottima (e meritata) fama in
due ambienti non sempre concordanti come quelli che sono il Death
metal ed il Grindcore... A tal punto da essere considerato da grossa
parte dei "die hard fans" del gruppo come il loro lavoro migliore.
Ripeto, non condivido questo parere, ma mi unisco al coro di tutti
coloro che per sempre osanneranno il nome di questa impareggiabile
realtà. |
Seventh Son of a Seventh Son è il settimo album in
studio pubblicato dagli
Iron Maiden.
L'album ha
debuttato direttamente al primo posto nella classifica inglese
mentre è arrivato fino alla dodicesima posizione negli
USA, ultimo album degli Iron Maiden a diventare disco di platino
in quella nazione. I quattro singoli estratti dall'album hanno
raggiunto un elevato numero di vendite piazzandosi tutti fra la
terza e la sesta posizione nella classifica inglese.
Nel mondo ha venduto 12 milioni di
copie.[senza fonte]
Uscito nel
1988,
Seventh Son of a Seventh Son è un
concept-album (l'unico dei Maiden) caratterizzato da sonorità
che a tratti ricordano il
rock progressivo (per esempio i
Jethro Tull in Infinite Dreams)[1]
In molti brani vengono impiegati accompagnamenti di
tastiere e in generale nell'album dominano le chitarre synth già
introdotte nel precedente album
Somewhere in Time. Questi elementi furono visti da una parte dei
fan del gruppo come un allontanamento dallo spirito dell'heavy
metal; tuttavia, l'album ebbe un grande successo internazionale,
e i singoli
Can I Play with Madness e
The Evil That Men Do ricevettero molto spazio nelle emittenti
radiofoniche e televisive. Come tutti gli album degli Iron Maiden,
Seventh Son of a Seventh Son è stato pubblicato nel
1995
nel formato double-CD con tutte le b-side dei singoli e nuovamente
pubblicato nel
1998 in
versione rimasterizzata. |
L'album è caratterizzato dall'introduzione di
nuove sonorità, che avvicinano gli Iron Maiden al
rock progressivo e, contemporaneamente, li allontanano dalla
fan base di
metallari più puristi. Somewhere in Time fa largo uso
di
chitarre synth, che possono essere viste come un momento
intermedio o di passaggio verso i
sintetizzatori del successivo
Seventh Son of a Seventh Son. A prescindere da
considerazioni di mero gusto, il sound elettronico di
Somewhere in Time fa da contraltare, sul piano musicale, ai temi
fantascientifici della
cover art e di alcuni dei brani. Dal punto di vista compositivo,
l'album è dominato da
Adrian Smith (che firma le canzoni più note, incluso il singolo Wasted Years) e da
Steve Harris, che produce alcune delle
suite più lunghe e articolate della storia del gruppo (come
la celeberrima Heaven Can Wait, che diventerà uno dei brani
più suonati dal vivo, ed Alexander the Great).
Eddie
veste nuovamente i panni di un assassino (in una posa del tutto
simile a quella dell'album
Killers) e questa volta la scena è ambientata in una città
del futuro dove, fra insegne luminose ed ologrammi,
Derek Riggs ha inserito infiniti richiami a precedenti titoli
della band: dal pub Aces High al ristorante Ancient
Mariner, dagli hotel Dune e Long Beach Arena alla Phantom Opera House, dagli ologrammi delle piramidi
all'insegna di Icarus che precipita; anche l'orologio nella
copertina mostra come orario "23:58", un riferimento al singolo Two
Minutes To Midnight dell'album precedente, Powerslave. Inoltre si
può notare che appena poco più in alto del braccio meccanico in
primo piano c'è un manifesto di un live dei
Maiden con la copertina dell'album
omonimo e sopra il manifesto si nota un cartello con scritto
acacia avenue.
In linea generale tutta la copertina è un richiamo alle atmosfere
del film
Blade Runner.
|
Fear of the
Dark è il nono
album in studio degli
Iron Maiden pubblicato nel
1992.
L'ultimo album studio degli
anni novanta con
Bruce Dickinson nasce con il preciso compito di riscattare la
reputazione della band dopo il precedente
No Prayer for the Dying,
considerato da
tutti i critici come un passo falso.[senza fonte]
L'album ha un suono generale più solido e aggressivo del precedente
e a tratti è stato
paragonato a
The Number of the Beast[senza fonte].
Tuttavia non sono mancate, anche per questo lavoro, critiche di
tutti i generi, prima fra tutte la prestazione generale di
Dickinson,
considerata opaca ed inferiore a tutti i precedenti album della band[senza fonte].
Viene fatta pesare la mancanza di
Adrian Smith e delle tipiche sue melodie che hanno fatto la
fortuna degli Iron Maiden della seconda metà degli anni '80.
In virtù di
questo,
Janick Gers è stato accusato di avere un suono più grezzo e
sporco portando il sound della band lontano dagli ultimi album
pubblicati.[senza fonte]
Nonostante questo, l'album risulta particolarmente degno di nota
perché contiene uno dei "classici" del gruppo, la title-track
Fear Of The Dark (canzone proposta innumerevoli volte dalla
formazione nei suoi concerti) e alcuni brani di indubbio valore come Be Quick or Be Dead (graffiante e veloce), Childhood's End
(brano epico con un grande riff e con una grande prestazione di
Nicko McBrain) e Afraid to Shoot Strangers (altro brano
dall'intensa atmosfera che sfocia poi in un riff potente). Se il
brano Wasting Love ha rappresentato la novità di una delle
poche canzoni d'amore scritte dal combo, riscuotendo equamente
critiche e consensi,
unanime è stato il
giudizio negativo per From Here to Eternity (brano che chiude
la saga di Charlotte the Harlot), accusata da tutti di essere troppo
simile al sound degli
AC/DC. |
I Carpathian Forest sono una band
black metal
norvegese, nata nel
1990 su
iniziativa di Nattefrost e Nordavind. Il gruppo è tra i principali
esponenti del
black metal avendo raggiunto, grazie soprattutto all'album
Journey through the Cold Moors of Svarttjern, livelli planetari di
fama.
I Carpathian Forest si
caratterizzano rispetto alle altre band
black metal per i temi trattati: dalle loro liriche non emergono
soltanto temi
satanici ed anticristiani, ma anche relativi al
sadismo, alla
depravazione, al
suicidio.
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LA PRIMA PAGINA,la
pagina delle notizie oggettive, dell'informazione gratuita da parte del
giornalismo autonomo NON omologato |
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LA
SECONDA PAGINA, l'approfondimento a
partire dallo sport più amato in Italia, fino alle analisi
economico-sociali della nostra epoca |
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L'ARCHIVIO,ovvero
l'insieme storico delle notizie della nostra prima pagina |
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INFORMAZIONI MARKETING,
tutto sul marketing on line, sulla sua forza, sulla sua capacità di
traino economico nell'economia globalizzata |
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TRADEMARK,
prospetti statistici, valorizzazione delle provvigioni, di chi lavora
nel marketing di affiliazione |
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INFORMAZIONI MARKETING 2 |
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CALCIO,la pagina
tipicamente sportiva |
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LANDING NOTICE |
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Terra
Reloaded
Siamo ancora in tempo per salvare il
Pianeta?
14,00 euro

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Interessante
libro sopra gli ultimi momenti del Reich. La storia, la breve vita, del
governo succeduto ad Hitler dal 1 maggio 1945, costituito dalle sinistre
figure fuoriuscite dal bunker tombale che tentarono fino all'ultimo
secondo di salvare la pelle rifugiandosi nell'estremo nord,a Flensburg,
a ridosso del confine con la Danimarca, lasciando al proprio destino il
defenestrato numero due del Reich, Goering,che pomposamente si
crogiolava nell'estremo sud della Baviera pensando di essere al
sicuro,ed il mefistofelico Himmler, che dalla roccaforte di Praga,una
volta vista la liquefazione del fronte orientale si precipitava
anch'esso nell'estremo nord allo scopo di ricevere un assurdo
"lasciapassare". Il 9 maggio da Flensburg veniva dato il placet alla
firma dell'armistizio, il 18 maggio tutti i componenti dell'ultimo
gabinetto nazista venivano arrestati: iniziava così il Processo di
Norimberga....
.....

...
RSANI:PIU' DI 6 MILIONI DI VOTI PERSI IN DUE ANNI.)
QUESTA E'
UNA MIA PERSONALE SODDISFAZIONE:ANNI FA MI CONSUMAI LE MANI A FURIA DI
SCRIVERE LORO DEL MIO DISAGIO, DI LAVORI DI MERDA, DI LICENZIAMENTI SUBITI,
DI UMILIAZIONI SENZA MAI RICEVERE SODDISFAZIONE. OGGI ANCHE LORO SI TROVANO
NELLA MERDA FINO AL COLLO E
PER ME E' UNA SODDISFAZIONE: "SE
PER COLPA DI ALTRI FINISCI NEI GUAI, FAI IN MODO CHE CHI TI HA MESSO IN TALE
SITUAZIONE FINISCA IN GUAI ANCORA PEGGIORI!!!"
Rifondazione e Pdci,
funzionari cassintegrati
Finiti i fondi dei due partiti
di sinistra, i dipendenti restano senza lavoro
Da partiti che ambivano a
rappresentare i cassintegrati, a partiti che finiscono per essere costituiti
"da" cassintegrati. Non c’è, ovviamente, solo la differenza di un
articolo, fra queste due condizioni, ma la storia di un passaggio di epoca,
la radiografia di un drammatico terremoto politico. Stiamo parlando di
Pdci e Rifondazione (ma anche dei Verdi), ovvero dei partiti che dopo le
ultime elezioni sono diventati zombie, costretti a demolire il loro
apparato, a dismettere i (pochi) gioielli di famiglia rimasti, a chiudere i
giornali, ad alienare le sedi, e – soprattutto – a licenziare e
prepensionare tutti i loro dipendenti, proprio come nei processi di
deindustrializzazione che in questi anni hanno tenacemente
combattuto. Colpa degli sbarramenti elettorali, prima di tutto: che
colpiscono non solo la rappresentanza, ma - solo in Italia - anche il
diritto a ottenere rimborsi. E colpa anche, come vedremo fra breve,
della strategia di Silvio Berlusconi E del Pd (due facce della stessa
melmosa medaglia), che ha mirato a fare terra bruciata di tutte le
organizzazioni politiche che avevano popolato la Seconda Repubblica.
Un fenomeno, quindi, che non può indurre al sorriso, o a facili battute, ma
che deve essere anche letto - qualunque cosa si pensi di questi partiti -
come una ulteriore restrizione degli spazi democratici.
NON PIU’ VIRTUOSI. Il
nostro viaggio non può che partire dal Pdci di Oliviero Diliberto,
che fino alla catastrofe elettorale della lista arcobaleno del 2008 era
additato come modello di gestione economica persino da un analista non certo
tenero come Gianmaria De Francesco, cronista economico de Il Giornale:
apparato ridotto, conti in regola, rapporto virtuoso tra eletti, voti e
militanti, che garantiva solidi attivi di bilancio. Ebbene, la notizia
che in queste ore, per motivi comprensibili, si prova a mantenere segreta, è
che il partito è ormai alla bancarotta. Sul conto corrente ci sono solo 160
mila euro, quelli che bastano a malapena a gestire l’amministrazione
ordinaria. Dei 21 dipendenti 17 sono stati posti in cassa
integrazione. Ne rimangono solo quattro, di cui uno per motivi legali è
l’amministratore, l’altro è un centralinista, l’altro è il segretario del
segretario, e l’ultimo un organizzatore, ovvero il presidio minimo per cui
il cuore dell’organizzazione non cessi di battere all’istante.
Ancora più drammatica la
situazione di Rinascita, il settimanale che ai tempi di Armando Cossutta fu
oggetto di una contesa per il valore della testata, prestigiosa e
direttamente riconducibile alla memoria di Palmiro Togliatti. Ecco, adesso
il settimanale del Pdci è tecnicamente fallito, ha cessato le
pubblicazioni, e tutti i giornalisti sono stati anche loro cassintegrati.
Rinascita, che non aveva mai perso il suo ridotto ma il solido
presidio di lettori costava da solo 900 mila euro l’anno, un lusso per un
partito che deve tagliare gli stipendi a tutti. Già la storia di questo
tracollo economico spiega come ci sia lo zampino del governo. Il
settimanale, infatti, era uno dei pochi organi di partito, tra quelli che
hanno diritto al sovvenzionamento pubblico, che non copriva in modo
surrettizio altri scopi o altri fini. Ma la norma con cui Tremonti ha
tolto il cosiddetto "diritto soggettivo" al finanziamento ha di fatto reso
discrezionale l’accesso ai fondi dell’editoria: mentre prima le banche
anticipavano le cifre a cui il giornale avrebbe avuto in ogni caso diritto
in base alla sua tiratura, adesso – non essendoci più nessuna certezza,
visto che si combatte ad ogni Finanziaria sulla copertura delle quote – non
fanno più nessun credito.
Infine il doloroso capitolo del
bilancio del partito. Ancora nel 2008 aveva quattro gettiti importanti:
il tesseramento, il
finanziamento pubblico, i rimborsi elettorali e le rimesse degli eletti
locali e nazionali, che devolvevano il 50% del proprio stipendio netto al
partito. Nelle ultime politiche e alle europee, il Pdci non ha superato
il quorum del 4%. E in questo caso, per via di un liberticida emendamento
alla legge voluto in Parlamento dai veltroniani (Berlusconi era incerto), né
Rifondazione, né i Verdi, né il Pdci hanno ottenuto un solo centesimo. Un
piccolo assurdo democratico: infatti, la quota dei voti che questi partiti
ottengono contribuisce a finanziare i loro avversari politici di
centrodestra, o i loro concorrenti di sinistra rappresentati.
Ma nel caso del Pdci le europee sono state come un tavolo da poker. Oliviero
Diliberto ha deciso di puntare le sue residue risorse (quasi tre milioni di
euro) per promuovere i propri candidati nell’alleanza con Rifondazione.
Risultato paradossale: tutti e quattro i candidati del partito erano
arrivati primi nella battaglia delle preferenze, centrando l’obiettivo. Ma,
ancora una volta, il risultato elettorale, inferiore di 0.6 decimi di punto
al quorum, ha sottratto all’alleanza elettorale quasi sei milioni di euro di
finanziamento.
NAPOLI ADDIO. A via del
Policlinico la situazione è altrettanto drammatica. "Io, che ho passato una
vita a difendere i lavoratori dai licenziamenti – ammette con sofferenza
Paolo Ferrero, segretario del partito – mi sono trovato a dover
sottoscrivere la drammatica necessità di quaranta licenziamenti". A cui, per
giunta,si aggiungono, anche in questo caso, altri 40 dipendenti messi in
cassa integrazione. E a cui si aggiunge la situazione precarissima di
Liberazione, che ha già tagliato la foliazione, e ha dovuto mettere in
solidarietà tutti i suoi dipendenti. Le vendite sono passate dalle 16 mila
copie dell’era Curzi alle 4800 attuali. Ad aprile è prevista una verifica
dei conti a cui il giornale potrebbe non sopravvivere.
Le ultime elezioni vedevano
partire il cartello della federazione da 48 consiglieri regionali, che dal
punto di vista finanziario portavano 5 mila euro a testa ogni mese. In
queste elezioni i due partiti sono passati a 18. 14 di Rifondazione, solo 4
del Pdci. Ma il quorum è stato mancato in Lombardia, che portava uno dei
rimborsi elettorali più cospicui. A via del Policlinico resta (per ora) un
apparato di 40 funzionari. Come pagarli? Per ora nell’unico modo possibile:
mettendo in vendita un pezzo forte del patrimonio, la sede di Napoli. Ma per
resistere fino alle prossime politiche, nella speranza di passare il quorum,
ci vorrà altro. Unica storia controtendenza? Quella di Sinistra e
libertà, che ha ottenuto quasi lo stesso numero di eletti della federazione
(18). Il caso virtuoso? Proprio in Puglia, dove Vendola ha trainato la lista
al 9%, producendo un rimborso adeguato. Retroscena incredibile: Vendola ha
speso solo 400 mila euro (contro sei milioni circa del suo avversario, Rocco
Palese) perché il Pd, per via delle note ruggini, aveva trattenuto i 300
mila euro raccolti con le primarie. Vendola otterrà di rimborso molto di
più. Li userà per finanziare le primarie nazionali in vista del 2012?
LA CORSA PD ALL'ANNIENTAMENTO: ALLE
ELEZIONI DEL 2013 CAPOLISTA PD SULLEY MUNTARI. Impauriti dal RICORSO DI BEPPE GRILLO CONTRO
L'ELEZIONE DEL DUO LOMBROSIANO ( SI LO PSEUDO SCENZIATO CHE RITENEVA DI AVER
TROVATO LA MOTIVAZIONE ANCESTRALE DELLA DELINQUENZA DALLA CONFORMAZIONE DEI
CRANI...) FORMIGONI-ERRANI, NELLA PAURA DI PERDERE UN LORO MERDOSO VICERE' -
ERRANI - IN EMILIA/ROMAGNA, I PIDIOSSINI VOTANO UNA LEGGE BIPARTISAN PER
LEGALIZZARE L'ILLEGALE, IL FUORILEGGE, LA MERDA COME LORO!!!! PER ORA LA
LORO EMORRAGIA SI E' FERMATA A 6 MILIONI DI VOTI, NON GLI BASTA....DOPO I 32
MERDOSI FUGGITI AL VOTO PER LO SCUDO MAFIOSO FISCALE, DOPO LA MODIFICA DS/FORZAITALIONTA
DELL'ARTICOLO COSTITUZIONALE 111 SUL GIUSTO PROCESSO NEL 1999 (QUELLO CHE
CANCELLAVA IL RIPORTO DELLE TESTIMONIANZE DEI TANGENTISTI NEL PROCESSO
PENALE AI POLITICI CON MODIFICA DELL'ARTICOLO 513 DEL CODICE PENALE), ECCO
IL TRIS DEI MERDOSI....
Siore e siori, sempre più difficile! Pur di non opporsi,
l’opposizione all’italiana chiamata Pd s’è prodotta ieri in un triplo salto
mortale carpiato con avvitamento e scappellamento a destra, un numero mai
riuscito né provato prima d'ora. Ricordate il decreto salva-liste che sanava
ex post le illegalità nella presentazione delle liste Pdl a Milano e Roma?
Bene, era illegale, incostituzionale e inutile. Illegale perché una legge
del 1988 vieta i decreti in materia elettorale (onde evitare il rischio che
si voti con una regola e poi, se il decreto non viene convertito in legge,
quella regola decada dopo il voto e si debba tornare alle urne).
Incostituzionale perché sanava solo le irregolarità di alcune liste e non di
altre e perché cambiava le regole del gioco a partita iniziata. Inutile
perché modificava per via parlamentare una legge regionale. Incuranti di
questi dettagliucci, i presidenti del Consiglio e della Repubblica lo
firmarono a piè fermo. Il Pd gridò allo scandalo (ma solo per la firma di
Berlusconi: quella di Napolitano era ottima e abbondante), annunciò la fine
del "dialogo sulle riforme", portò la gente in piazza del Popolo a
protestare contro l’atto eversivo.
Motivazione ufficiale, fremente di sdegno: "Se il
governo indossa gli anfibi e scende in piazza con attacchi violenti contro
le istituzioni, noi non restiamo certo in pantofole". Qualcuno, chiedendo
scusa alle signore, parlò financo di regime. Non contenti, due giorni fa i
piddini organizzarono un’imboscata per affossare il decreto alla Camera,
bocciandone la conversione in legge grazie alle consuete assenze nella
maggioranza e alle inconsuete presenze nell’opposizione. Un miracolo mai
accaduto prima: l’opposizione più stracciacula della storia dell’umanità
riesce a mandar sotto il governo, senza sopperire con le proprie assenze –
come invece era accaduto sulla mozione anti-Cosentino e sullo scudo fiscale
– a quelle endemiche del centrodestra. Ma niente paura: l’illusione di
un’opposizione che si oppone è durata l’espace d’un matin.
Ieri il Pd, sgomento per l’inatteso e involontario
successo, s’è subito pentito. Ha riposto gli anfibi, ha recuperato le
pantofole di peluche ed è tornato al suo passatempo preferito: l’inciucio.
Tenetevi forte, perché la notizia è grandiosa: onde evitare di invalidare le
elezioni regionali appena tenute in base al decreto ormai defunto, la
maggioranza più comica della storia ha presentato in fretta e furia una
leggina per salvare gli effetti del decreto medesimo, ribattezzata dai
magliari di Palazzo Chigi "legge salva-effetti", e sbrogliare il gran casino
creato dal Banana con la partecipazione straordinaria di Napolitano.
Così il decreto, cacciato dalla porta, è rientrato dalla
finestra in meno di 24 ore. A quel punto qualunque persona sana di mente
avrebbe mantenuto le posizioni di partenza: la maggioranza pro-decreto
avrebbe detto sì alla salva-effetti, l’opposizione anti-decreto avrebbe
detto no. E infatti l’Idv ha detto no e perfino l’Api di Rutelli s’è
astenuta. Indovinate come ha votato il Pd? A favore (a parte Furio Colombo e
poche altre persone serie), a braccetto col Pdl e la Lega. Ne saranno felici
le migliaia di persone che si erano fatte convincere a calzare gli anfibi e
a scendere in piazza del Popolo contro "l’attacco violento alle
istituzioni"....QUELLA STESSA GENTE DEL POPOLO DELLA MERDA VIOLA, CON LE
CANTANTI GRIFFATE, LE STRONZATE PAGATE,ECC...
Era tutto uno scherzo. Il Pd era contro il decreto,
ma non contro i suoi effetti. Tant’è che ieri ha contribuito a ripescarli.
Un voto del tutto inutile, vista la maggioranza bulgara Pdl-Lega, ma
comunque indicativo dell’amorevole trepidazione con cui i diversamente
concordi del Pd seguono le porcate del Banana. Lui li insulta e loro
lo salvano anche se lui non vuole. Per questo sbaglia il capogruppo dell’Idv
Massimo Donadi quando afferma che non si tratta comunque di inciucio "perché
il Pd non ha avuto nulla in cambio". Gli inciuci dei centrosinistri col
Banana sono sempre a senso unico: lui ci guadagna, quelli ci perdono. E’ un
do ut des senza des. Ma quelli continuano. Si divertono così.
RSANI:PIU' DI 6 MILIONI DI VOTI PERSI IN DUE ANNI.)
QUESTA E'
UNA MIA PERSONALE SODDISFAZIONE:ANNI FA MI CONSUMAI LE MANI A FURIA DI
SCRIVERE LORO DEL MIO DISAGIO, DI LAVORI DI MERDA, DI LICENZIAMENTI SUBITI,
DI UMILIAZIONI SENZA MAI RICEVERE SODDISFAZIONE. OGGI ANCHE LORO SI TROVANO
NELLA MERDA FINO AL COLLO E
PER ME E' UNA SODDISFAZIONE: "SE
PER COLPA DI ALTRI FINISCI NEI GUAI, FAI IN MODO CHE CHI TI HA MESSO IN TALE
SITUAZIONE FINISCA IN GUAI ANCORA PEGGIORI!!!"
Rifondazione e Pdci,
funzionari cassintegrati
Finiti i fondi dei due partiti
di sinistra, i dipendenti restano senza lavoro
Da partiti che ambivano a
rappresentare i cassintegrati, a partiti che finiscono per essere costituiti
"da" cassintegrati. Non c’è, ovviamente, solo la differenza di un
articolo, fra queste due condizioni, ma la storia di un passaggio di epoca,
la radiografia di un drammatico terremoto politico. Stiamo parlando di
Pdci e Rifondazione (ma anche dei Verdi), ovvero dei partiti che dopo le
ultime elezioni sono diventati zombie, costretti a demolire il loro
apparato, a dismettere i (pochi) gioielli di famiglia rimasti, a chiudere i
giornali, ad alienare le sedi, e – soprattutto – a licenziare e
prepensionare tutti i loro dipendenti, proprio come nei processi di
deindustrializzazione che in questi anni hanno tenacemente
combattuto. Colpa degli sbarramenti elettorali, prima di tutto: che
colpiscono non solo la rappresentanza, ma - solo in Italia - anche il
diritto a ottenere rimborsi. E colpa anche, come vedremo fra breve,
della strategia di Silvio Berlusconi E del Pd (due facce della stessa
melmosa medaglia), che ha mirato a fare terra bruciata di tutte le
organizzazioni politiche che avevano popolato la Seconda Repubblica.
Un fenomeno, quindi, che non può indurre al sorriso, o a facili battute, ma
che deve essere anche letto - qualunque cosa si pensi di questi partiti -
come una ulteriore restrizione degli spazi democratici.
NON PIU’ VIRTUOSI. Il
nostro viaggio non può che partire dal Pdci di Oliviero Diliberto,
che fino alla catastrofe elettorale della lista arcobaleno del 2008 era
additato come modello di gestione economica persino da un analista non certo
tenero come Gianmaria De Francesco, cronista economico de Il Giornale:
apparato ridotto, conti in regola, rapporto virtuoso tra eletti, voti e
militanti, che garantiva solidi attivi di bilancio. Ebbene, la notizia
che in queste ore, per motivi comprensibili, si prova a mantenere segreta, è
che il partito è ormai alla bancarotta. Sul conto corrente ci sono solo 160
mila euro, quelli che bastano a malapena a gestire l’amministrazione
ordinaria. Dei 21 dipendenti 17 sono stati posti in cassa
integrazione. Ne rimangono solo quattro, di cui uno per motivi legali è
l’amministratore, l’altro è un centralinista, l’altro è il segretario del
segretario, e l’ultimo un organizzatore, ovvero il presidio minimo per cui
il cuore dell’organizzazione non cessi di battere all’istante.
Ancora più drammatica la
situazione di Rinascita, il settimanale che ai tempi di Armando Cossutta fu
oggetto di una contesa per il valore della testata, prestigiosa e
direttamente riconducibile alla memoria di Palmiro Togliatti. Ecco, adesso
il settimanale del Pdci è tecnicamente fallito, ha cessato le
pubblicazioni, e tutti i giornalisti sono stati anche loro cassintegrati.
Rinascita, che non aveva mai perso il suo ridotto ma il solido
presidio di lettori costava da solo 900 mila euro l’anno, un lusso per un
partito che deve tagliare gli stipendi a tutti. Già la storia di questo
tracollo economico spiega come ci sia lo zampino del governo. Il
settimanale, infatti, era uno dei pochi organi di partito, tra quelli che
hanno diritto al sovvenzionamento pubblico, che non copriva in modo
surrettizio altri scopi o altri fini. Ma la norma con cui Tremonti ha
tolto il cosiddetto "diritto soggettivo" al finanziamento ha di fatto reso
discrezionale l’accesso ai fondi dell’editoria: mentre prima le banche
anticipavano le cifre a cui il giornale avrebbe avuto in ogni caso diritto
in base alla sua tiratura, adesso – non essendoci più nessuna certezza,
visto che si combatte ad ogni Finanziaria sulla copertura delle quote – non
fanno più nessun credito.
Infine il doloroso capitolo del
bilancio del partito. Ancora nel 2008 aveva quattro gettiti importanti:
il tesseramento, il
finanziamento pubblico, i rimborsi elettorali e le rimesse degli eletti
locali e nazionali, che devolvevano il 50% del proprio stipendio netto al
partito. Nelle ultime politiche e alle europee, il Pdci non ha superato
il quorum del 4%. E in questo caso, per via di un liberticida emendamento
alla legge voluto in Parlamento dai veltroniani (Berlusconi era incerto), né
Rifondazione, né i Verdi, né il Pdci hanno ottenuto un solo centesimo. Un
piccolo assurdo democratico: infatti, la quota dei voti che questi partiti
ottengono contribuisce a finanziare i loro avversari politici di
centrodestra, o i loro concorrenti di sinistra rappresentati.
Ma nel caso del Pdci le europee sono state come un tavolo da poker. Oliviero
Diliberto ha deciso di puntare le sue residue risorse (quasi tre milioni di
euro) per promuovere i propri candidati nell’alleanza con Rifondazione.
Risultato paradossale: tutti e quattro i candidati del partito erano
arrivati primi nella battaglia delle preferenze, centrando l’obiettivo. Ma,
ancora una volta, il risultato elettorale, inferiore di 0.6 decimi di punto
al quorum, ha sottratto all’alleanza elettorale quasi sei milioni di euro di
finanziamento.
NAPOLI ADDIO. A via del
Policlinico la situazione è altrettanto drammatica. "Io, che ho passato una
vita a difendere i lavoratori dai licenziamenti – ammette con sofferenza
Paolo Ferrero, segretario del partito – mi sono trovato a dover
sottoscrivere la drammatica necessità di quaranta licenziamenti". A cui, per
giunta,si aggiungono, anche in questo caso, altri 40 dipendenti messi in
cassa integrazione. E a cui si aggiunge la situazione precarissima di
Liberazione, che ha già tagliato la foliazione, e ha dovuto mettere in
solidarietà tutti i suoi dipendenti. Le vendite sono passate dalle 16 mila
copie dell’era Curzi alle 4800 attuali. Ad aprile è prevista una verifica
dei conti a cui il giornale potrebbe non sopravvivere.
Le ultime elezioni vedevano
partire il cartello della federazione da 48 consiglieri regionali, che dal
punto di vista finanziario portavano 5 mila euro a testa ogni mese. In
queste elezioni i due partiti sono passati a 18. 14 di Rifondazione, solo 4
del Pdci. Ma il quorum è stato mancato in Lombardia, che portava uno dei
rimborsi elettorali più cospicui. A via del Policlinico resta (per ora) un
apparato di 40 funzionari. Come pagarli? Per ora nell’unico modo possibile:
mettendo in vendita un pezzo forte del patrimonio, la sede di Napoli. Ma per
resistere fino alle prossime politiche, nella speranza di passare il quorum,
ci vorrà altro. Unica storia controtendenza? Quella di Sinistra e
libertà, che ha ottenuto quasi lo stesso numero di eletti della federazione
(18). Il caso virtuoso? Proprio in Puglia, dove Vendola ha trainato la lista
al 9%, producendo un rimborso adeguato. Retroscena incredibile: Vendola ha
speso solo 400 mila euro (contro sei milioni circa del suo avversario, Rocco
Palese) perché il Pd, per via delle note ruggini, aveva trattenuto i 300
mila euro raccolti con le primarie. Vendola otterrà di rimborso molto di
più. Li userà per finanziare le primarie nazionali in vista del 2012?
LA CORSA PD ALL'ANNIENTAMENTO: ALLE
ELEZIONI DEL 2013 CAPOLISTA PD SULLEY MUNTARI. Impauriti dal RICORSO DI BEPPE GRILLO CONTRO
L'ELEZIONE DEL DUO LOMBROSIANO ( SI LO PSEUDO SCENZIATO CHE RITENEVA DI AVER
TROVATO LA MOTIVAZIONE ANCESTRALE DELLA DELINQUENZA DALLA CONFORMAZIONE DEI
CRANI...) FORMIGONI-ERRANI, NELLA PAURA DI PERDERE UN LORO MERDOSO VICERE' -
ERRANI - IN EMILIA/ROMAGNA, I PIDIOSSINI VOTANO UNA LEGGE BIPARTISAN PER
LEGALIZZARE L'ILLEGALE, IL FUORILEGGE, LA MERDA COME LORO!!!! PER ORA LA
LORO EMORRAGIA SI E' FERMATA A 6 MILIONI DI VOTI, NON GLI BASTA....DOPO I 32
MERDOSI FUGGITI AL VOTO PER LO SCUDO MAFIOSO FISCALE, DOPO LA MODIFICA DS/FORZAITALIONTA
DELL'ARTICOLO COSTITUZIONALE 111 SUL GIUSTO PROCESSO NEL 1999 (QUELLO CHE
CANCELLAVA IL RIPORTO DELLE TESTIMONIANZE DEI TANGENTISTI NEL PROCESSO
PENALE AI POLITICI CON MODIFICA DELL'ARTICOLO 513 DEL CODICE PENALE), ECCO
IL TRIS DEI MERDOSI....
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