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Il ministro:

 

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Formattazione ed installazione Windows 7

Per poter formattare il PC, bisogna innanzitutto entrare nel BIOS/UEFI per impostare come prima periferica di avvio il masterizzatore/lettore o la periferica USB precedentemente creata dove si trova il sistema operativo della versione di Windows 7 a 32 o a 64 bit che hai deciso di installare. Prima di fare questo bisogna però andare a modificare anche un altro parametro, sempre nel BIOS/UEFI, che ti consentirà di sfruttare appieno le potenzialità del tuo hard disk e/o del tuo SSD.

Avvia quindi il tuo computer ed entra nel BIOS/UEFI premendo ripetutamente i tasti CancF1 o F2 durante la fase di POST (il tasto da premere cambia a seconda della scheda madre posseduta) e recati dunque nella prima scheda del BIOS/UEFI chiamata, solitamente, Main:

Muovendoti con le frecce direzionali della tua tastiera, vai ora sulla voce SATA Configuration, premi Invio, e dal menu che compare premendo Invio su Configure SATA as, seleziona dunque la voce AHCI, confermando poi la scelta premendo nuovamente il tasto Invio:

Se non trovi il menu SATA Configuration nella scheda Main significa che molto probabilmente si trova da qualche altra parte, ad esempio nella scheda chiamata Advanced. Tuttavia la procedura da seguire per impostare la modalità AHCI nel menu Configure SATA as rimane comunque, più o meno, sempre quella appena detta.

Affinché tu possa impostare la prima periferica di avvio, adesso, premendo Esc sulla tua tastiera, recati nella scheda chiamata Boot, dopodiché seleziona il menu Boot Device Priority e successivamente premi il tasto Invio:

A questo punto, muovendoti sempre con le frecce direzionali della tua tastiera e confermando poi la scelta premendo nuovamente Invio, dovrai selezionare come 1st Boot Device, cioè come prima periferica di avvio, proprio quella periferica del tuo computer, ovvero il tuo masterizzatore/lettore CD/DVD/Blu-ray oppure la tua periferica USB, contenente il sistema operativo che hai deciso di installare:

In questo caso, a seconda della scheda madre scelta o della versione del BIOS/UEFI che possiede il tuo PC, per cambiare valore nel menu Boot Device Priority, potrebbe essere sufficiente usare direttamente i tasti + e -, oppure PAG SU e PAG GIÙ, senza quindi bisogno di usare le frecce direzionali e/o premere Invio sulla tua tastiera, anche se io per comodità ti consiglio di farlo ugualmente utilizzando quest’ultima combinazione di tasti.

Dopo aver correttamente impostato pure la prima periferica di avvio, adesso non ti rimane altro che premere il tasto F10, oppure diverse volte il tasto Esc, in maniera tale da salvare le modifiche effettuate nel BIOS/UEFI ed uscire quindi dal BIOS/UEFI della tua scheda madre.
Prima di illustrare la procedura che ti consentirà di installare Windows 7, volevo comunque precisare che sui computer più recenti è possibile modificare l’ordine di avvio delle varie periferiche del PC senza la necessità di entrare per forza nel BIOS/UEFI ma semplicemente premendo, di solito, il tasto F12 durante la schermata di POST:

Pur essendo più veloce impostare la prima periferica di avvio in questo modo, rimane tuttavia la necessità di entrare ugualmente nel BIOS/UEFI per selezionare nel menu Configure SATA as la modalità AHCI, anche se in questo modo al prossimo avvio del computer avrai l’indubbio vantaggio di non dover più impostare come prima periferica di avvio quella che era già precedentemente impostata, che in ogni caso dovrebbe essere sempre l’hard disk o l’SSD dove è installato il sistema operativo. A prescindere comunque da come imposterai la prima periferica di avvio, giunti a questo punto sarai finalmente pronto per formattare il PC ed installare Windows 7.

Dopo aver correttamente predisposto i parametri nel BIOS/UEFI della tua scheda madre, se casomai non l’avessi già fatto, adesso non ti rimarrà altro che inserire nel tuo PC il CD/DVD o la periferica USB della versione di Windows 7 a 32 o a 64 bit che hai deciso di installare sul tuo computer. Successivamente non dovrai fare altro che attendere la comparsa della seguente schermata, durante la quale, per avviare il tuo PC dal CD/DVD o dalla periferica USB precedentemente inserita, dovrai soltanto premere un qualunque tasto sulla tua tastiera:

Dopo aver premuto un qualsiasi tasto sulla tua tastiera, ed esser così stati caricati tutti i file necessari del sistema operativo scelto, comparirà immediatamente questa ulteriore schermata:

Essendo le varie voci già correttamente impostate su Italiano, in questa prima fase dovrai perciò semplicemente premere su Avanti. Fatto ciò, comparirà subito la seguente schermata…

nella quale dovrai solamente premere sul pulsante Installa. A questo punto dovrai leggere con attenzione le condizioni di licenza del sistema operativo scelto, dopodiché dovrai accettarle mettendo una banale spunta a fianco la voce Accetto le condizioni di licenza:

Dopo aver fatto clic su Avanti, adesso comparirà una schermata nella quale dovrai scegliere il tipo di installazione da effettuare. Siccome stai facendo un’installazione pulita, e non un semplice aggiornamento, dovrai perciò semplicemente cliccare sulla voce Personalizzata (utenti esperti):

Adesso ti verrà chiesto il percorso in cui desideri installare Windows 7. Se sul tuo computer c’è un solo hard disk o un solo SSD, dovrai allora semplicemente selezionarlo e premere poi su Avanti. Se sul tuo computer ci sono invece due o più hard disk o SSD, dovrai allora selezionare quello che ritieni più opportuno e solo dopo potrai cliccare su Avanti. Da questa stessa schermata è inoltre possibile gestire eventuali partizioni presenti nel tuo hard disk o nel tuo SSD cliccando prima su Opzioni unità (avanzate), poi su Nuovo, e successivamente immettendo le dimensioni in MB desiderate; se l’hard disk o l’SSD è già formattato, basterà invece premere semplicemente prima su Elimina, poi su Nuovo e infine su Avanti:

Arrivati a questo punto partirà l’installazione vera e propria del sistema operativo scelto che, per essere portata a termine, a seconda delle prestazioni del tuo computer, potrà impiegare diverse decine di minuti. Durante questa fase, tieni comunque presente che il tuo computer verrà automaticamente riavviato diverse volte:

Se per caso nel BIOS/UEFI hai lasciato selezionato come prima periferica di avvio il CD/DVD o la periferica USB, durante i prossimi riavvii del tuo computer ricordati di non premere alcun tasto sulla tua tastiera, altrimenti la procedura di installazione del tuo sistema operativo ripartirà dall’inizio. Se dovesse capitare una cosa del genere, basterà semplicemente annullare la procedura per installare il sistema operativo e riprendere così dal punto in cui eri arrivato.

COMPLETAMENTO DELL'INSTALLAZIONE WINDOWS7

Una volta completata l’installazione di Windows 7, prima di poter iniziare ad usare il tuo computer, dovrai ancora necessariamente configurare qualche ulteriore impostazione iniziale. Ti verrà quindi chiesto di scegliere sia un nome utente per l’account amministratore del tuo PC, sia di assegnare un nome qualsiasi al tuo computer che servirà principalmente per identificare il tuo computer all’interno di un’eventuale rete LAN:

Sebbene non sia proprio obbligatorio inserirla, ma pur sempre consigliato, dopo aver fatto clic su Avanti, ti verrà anche chiesto di inserire una password, con tanto di suggerimento per ricordarla, per l’account utente appena creato:

Dopo aver fatto clic su Avanti, ti verrà poi chiesto di digitare il codice Product Key del tuo sistema operativo Windows. Spuntando la casella a fianco la voce Attiva automaticamente Windows non appena è disponibile una connessione a Internet, Windows 7 attiverà la copia di Windows in uso non appena sarà possibile collegarsi ad Internet. Volendo, potrai comunque saltare momentaneamente questo passaggio. Tuttavia ti ricordo che, trascorsi 30 giorni dalla data di installazione del sistema operativo, dovrai per forza attivare la tua copia di Windows 7, altrimenti non potrai più continuare ad utilizzare correttamente il tuo sistema operativo:

Dopo aver fatto clic su Avanti, a questo punto dovrai scegliere come proteggere il tuo computer nonché come contribuire al miglioramento di Windows. Per un corretto funzionamento del tuo PC io ti consiglio di selezionare la voce Usa impostazioni consigliate, tanto potrai cambiare questa scelta anche in un secondo momento:

A questo punto ti verrà chiesto di verificare la correttezza delle impostazioni relative alla data e all’ora del tuo PC, che nella maggior parte dei casi dovrebbero essere già entrambe corrette:

Dopo aver quindi fatto clic su Avanti, se il sistema operativo rileverà una connessione ad Internet via cavo, cioè via LAN, adesso ti verrà soltanto chiesto di selezionarne il tipo…

…altrimenti, se il sistema operativo rileverà una connessione ad Internet senza fili, cioè via wireless, ti verrà prima chiesto di inserirne la chiave di cifratura e dopo di selezionarne pure il tipo.
Infine, ti verrà mostrato il desktop di Windows 7 che sarà finalmente pronto per poter essere utilizzato. A questo punto, volendo, premendo il tasto destro del mouse su una parte vuota del desktop e scegliendo prima Personalizza e poi, in alto a sinistra, Cambia icone sul desktop, potrai pure aggiungere sul tuo desktop le sempre utili icone del Computer, dei File dell’utente, del Pannello di controllo ed anche quella relativa alla Rete:

Sebbene sia riferita ad un solo sistema operativo, la procedura appena illustrata per formattare il PC ed installare Windows 7 può tranquillamente essere applicata anche per installare altri sistemi operativi, come ad esempio Windows 8.1 o Windows 10. Tuttavia ti faccio notare che le schermate durante l’installazione di un altro sistema operativo non saranno proprio identiche a quelle illustrate qui, ma le scelte da fare, invece, saranno più o meno sempre le stesse. Inoltre, se hai deciso di installare Windows 7, Windows 8.1 o Windows 10 su un tuo vecchio computer, prima di poter formattare il PC ed installare uno di questi nuovi sistemi operativi, sappi che dovresti innanzitutto verificare se il tuo computer supporta uno di questi ultimi sistemi operativi.
Arrivati comunque a questo punto dovresti aver finalmente capito come formattare il PC ed installare Windows 7.

https://www.informaticapertutti.com/come-formattare-il-pc-ed-installare-windows-7/

 ECONOMIA

 

La grande distribuzione è in crisi: il sogno si sta trasformando poco a poco in un incubo

Correva l’anno 1998 quando il primo governo Prodi (notoriamente di sinistra) varò la riforma della disciplina relativa al commercio. Fu grazie a questa riforma che alle regioni fu dato il potere di favorire una rete distributiva per l’insediamento di attività commerciali. Notate bene: la legge si fondava solo ed esclusivamente sul principio della libertà di iniziativa economica privata, ai sensi dell’articolo 41 della Costituzione. Dimenticando completamente altri due articoli fondamentali: l’art. 9 sulla tutela del paesaggio e magari anche l’art. 42 relativo alla funzione sociale della proprietà privata. Del resto, il governo Prodi era il trionfo del liberismo. E ad esso seguì un altrettanto liberista governo D’Alema con la privatizzazione dei servizi pubblici, ma questa è un’altra storia.

Torniamo alla Gdo, ossia alla Grande distribuzione organizzata, che ebbe un deciso effetto propulsivo grazie a quel governo sedicente di sinistra e all’applicazione che dettero le regioni alla norma. Fu un proliferare di nuove autorizzazioni. Questo significò tra l’altro l’agonia della piccola distribuzione e la selezione e lo strozzamento dei produttori nei generi alimentari. Ma anche questo meriterebbe un discorso a parte.

Limitiamoci al dilagare della Gdo, perché adesso la Gdo è invece in crisi: eh sì, dopo la grande abbuffata, l’espandersi a macchia d’olio favorito da una legge mirante solo a togliere lacci e lacciuoli al commercio, ecco che il sogno si sta trasformando a poco a poco in incubo. I segnali ci sono da tempo. Per limitarci al Piemonteun’indagine, mai contestata, su scala regionale del 2014 con applicazione di un algoritmo già utilizzato in Francia per verificare la congruità del numero di strutture della Gdo rispetto alle esigenze reali del territorio, restituiva numeri abbastanza impressionanti: “su 106 ipermercati esistenti in Piemonte ce ne sono 43 di troppo. Poco meno della metà, insomma, sarebbero in sovrappiù rispetto alla potenzialità di spesa dei piemontesi.”

Del resto, non ci vuole un genio, ma basta un’intelligenza media per comprendere che non solo non si può andare avanti all’infinito con la Gdo – quando poi tra l’altro la popolazione neppure cresce di numero e in più avanza la povertà – ma che le strutture già esistenti sono del tutto sovrabbondanti rispetto alla richiesta. Eppure ecco che sempre nella mia regione, il Piemonte, aprirà i battenti il Caselle Open Mall: gli open mall, i più devastanti territorialmente perché si estendono in larghezza anziché in altezza, creando la sensazione di piccoli borghi che altro non sono se non enormi non-luoghi.

Caselle non sarà che un’ulteriore metastasi di quel male che ha già prodotto l’outlet di Serravalle Scrivia (che aprì giusto un anno dopo la bersanizzazione del mercato), Mondovicino a Mondovì, gli outlet di Vicolungo e Torino. Quanto dureranno, quanto dureranno i super, gli iper? Chissà. I segnali della crisi sono già palpabili, anche in grande: basti vedere cosa sta accadendo proprio ora con il colosso mondiale Auchan, acquisito da Conad, la quale “razionalizzerà” con la fusione: il che, tradotto, significherà un po’ di gente a casa a infoltire l’esercito dei nuovi poveri, e strutture chiuse.

E qui faccio un balzo indietro a quell’art. 9 della Costituzione che il sinistro governo Prodi non si filava nemmeno nelle premesse. Il dilagare di centri commerciali è andato a discapito quasi sempre di terreni agricoli, e quindi di paesaggio naturale. Anche perché la legge non conteneva nessun vincolo per la realizzazione di nuove strutture, del tipo aree industriali dismesse, che pure esistono ormai in abbondanza. Nessuno studio ci dirà mai quanta superficie di suolo è stata cementificata per costruire le strutture della Gdo.

E adesso quante aree industriali verranno abbandonate? Chi lo sa. Io ho pur sempre una magra consolazione. Anni fa scrissi con altri “Verde clandestino”, sul verde che occupa gli interstizi dei muri, le crepe sui marciapiedi e le fabbriche abbandonate. Dove c’erano gli scaffali, cresceranno i boschi. Lo si chiama “futuro distopico”? Non sono d’accordo.

 

Domeniche Bestiali

Un anno di sorveglianza speciale per leader della Curva Nord interista

Claudio Morra, uno dei leader dei Boys San, gruppo portante della curva Nord dell'Inter, è stato sottoposto a un anno di sorveglianza speciale per via della sua “pericolosità sociale in termini di concretezza e anche di attualità”. Lo ha deciso la sezione misure di Prevenzione del Tribunale di Milano, presieduta da Fabio Roia. Si legge nel provvedimento che Morra “può ben inquadrarsi (...) tra coloro che appaiono ‘dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo la sicurezza e la tranquillità pubblica', in relazione alle plurime denunzie e alla condotta riportate per comportamenti violenti o comunque preliminari all’ uso della violenza (come il porto in pubblico di armi atti all’offesa)”.

Il Tribunale evidenzia che alla sua “incapacità di contenere le proprie reazioni aggressive si aggiunge, peraltro, l’assenza di autocritica e di accettazione delle proprie responsabilità, che rappresenta il primo passo per un cambiamento”.

 

Tifoso morto negli scontri prima di Inter-Napoli: arrestato l'investitore di Belardinelli

Tifoso morto negli scontri prima di Inter-Napoli: arrestato l'investitore di Belardinelli

 

Si tratta di un ultrà napoletano, Fabio Manduca, accusato di omicidio volontario. Ha 39 anni e diversi precedenti. Il suo avvocato: "Non trasferitelo in carcere a Milano, da tifoso napoletano rischia".

"Ma quello si è gettato sotto...". Una sola frase. Pronunciata in auto, parlando col proprio avvocato, e non davanti ai pubblici ministeri Rosaria Stagnaro e Michela Bordieri che lo avevano convocato a Milano nel marzo del 2019 per un interrogatorio. Fabio Manduca, l'ultrà napoletano alla guida del Renault Kadjar che travolse e uccise Daniele Belardinelli il 26 dicembre 2018, prima di Inter-Napoli, davanti ai magistrati non parlò. Ma quella frase, per gli investigatori è stata un riscontro decisivo. Una sorta di ammissione, unita alle immagini delle telecamere, alle testimonianze, ai risultati delle perizie: solo l'auto del 39enne Manduca, tra quelle analizzate, avrebbe segni di investimento e schiacciamento. Manduca ha precedenti per furto, ricettazione, commercio di prodotti falsi e truffa. E la sera degli incidenti aveva a bordo della Renault il fratello del capo dei "Mastiffs", gruppo ultras tra i più vicini ad ambienti di camorra. Il suv era tra i mezzi arrivati da Napoli in modo autonomo rispetto al resto del tifo organizzato. La Curva nord interista tese un agguato in via Novara.  Solo Luca Da Ros, ultrà nerazzurro che poi ha patteggiato per l'accusa di rissa aggravata, come aveva spiegato il gip Guido Salvini, ha svelato la "identità di numerose persone coinvolte" nella 'guerriglia' con una scelta non certamente facile per la "pressione che i gruppi di tifosi ultras sono in grado di esercitare". E aveva manifestato "un concreto distacco da quelle regole di un'omertà che caratterizza la realtà di tali gruppi". È accusato di aver accelerato, quando il gruppo di ultrà interisti invase la strada con un assalto programmato, con tanto di mazze, coltelli e bastoni. L'ultrà del Napoli, in particolare, dopo aver superato un'altra auto della carovana, un'Audi A3, avrebbe puntato dritto al gruppo di ultras 'rivali', investito - secondo l'accusa- volontariamente Belardinelli (39 anni, ultrà dei Blood Honour del Varese, tifoseria gemellata con quella interista), passando sopra il corpo e proseguendo, poi, la marcia. Lo scorso marzo, intanto, erano arrivate 5 condanne fino a 3 anni e 8 mesi e un patteggiamento (per Luca Da Ros, l'unico ad aver collaborato alle indagini) per i 6 ultras interisti arrestati per rissa aggravata e altri reati pochi giorni dopo l'assalto in stile "militare", tra cui i capi della curva interista Marco Piovella e Nino Ciccarelli.

 All’improvviso la follia: la bandierina dell’assistente arbitrale diventa “bastone per colpire e spada per trafiggere”

C’è un vincitore assoluto in questo appuntamento con Domeniche bestiali: qualcuno che col suo comportamento ha veramente interpretato alla lettera il nome di questa rubrica, fin troppo forse. Nessuna anticipazione: basteranno le parole del Giudice Sportivo per spiegare. Rimanderemo altre squalifiche, peripezie degli arbitri e racconti dei giudici sportivi alle prossime rubriche e il resto, dagli striscioni dei tifosi che si autodenunciano alle perle dei “Disoccupati di Lusso”, pur essendo molto divertente, passerà in secondo piano. Perché al primo posto c’è lui.

Non si poteva non ripartire da Keric Mirsad anche in questa puntata di Domeniche Bestiali: dopo la lunga squalifica per l’uomo che tirava in aria gli avversari e usava la bandierina come spada per trafiggere arrivano infatti le conseguenze, dolorose, delle sue gesta. Dal Trentino al Veneto: con la curiosa “costante B” per le squalifiche del Giudice Sportivo fino all’atmosfera da Hotel Raphael in Irpinia, passando per i riti di spogliatoio del calciatore dilettante.

Riecheggia ancora il rumore delle mazzate tra Isera e Baone di Romarzollo, prima categoria del Trentino: in particolare di quelle di Keric Mirsad, squalificato per cinque anni: botte che hanno portato a conseguenze anche abbastanza serie. L’Adige infatti racconta anche di mandibole rotte e calciatori finiti sotto i ferri: “Soprattutto la lagarina Isera ne è uscita con le “ossa rotte”. In totale sono stati comminati 10 anni e 2 mesi di inibizione, divisi sul fronte dell’Isera in 5 per l’assistente arbitrale (non ci sono guardalinee ufficiali in questa categoria), 2 per l’allenatore Voltolini, altri 2 per il giocatore Bressan e un anno e 2 mesi per il giocatore romarzollese Pellegrini. Quest’ultimo è finito sotto i ferri del chirurgo al reparto maxillo-facciale del S. Chiara per la frattura della mandibola”. Un bollettino di guerra.

Scorrendo i vari comunicati del giudice sportivo dei campionati dilettantistici veneti emerge una costante: la blasfemia. Non ce n’è uno senza squalifiche rimediate da calciatori, allenatori o dirigenti per aver bestemmiato. Molto più lontano dal Veneto, invece, le manifestazioni di dissenso ricordano molto i tempi del crollo della Prima Repubblica. Siamo in Irpinia, terra che peraltro alla Prima Repubblica ha regalato parlamentari, ministri e un presidente del Consiglio: qui un tifoso ha espresso il suo dissenso all’arbitro lanciandogli monetine. “Al termine della gara un tifoso chiaramente riconducibile alla società Mercogliano che si trovava indebitamente nello spazio antistante lo spogliatoio arbitrale, ingiuriava e minacciava il DDg (che sta per ‘direttore di gara’, ndr) arrivandogli a lanciare con forza tre monete colpendolo al petto e provocandogli intenso dolore; lo stesso, dopo il vile gesto seguiva il ddg fino all’ingresso dello spogliatoio continuando con le ingiurie e le minacce”. E chissà che non gli abbia mostrato anche le banconote intonando “Vuoi pure queste?”.

Tra i vari meme social che riguardano il calcio dilettantistico particolarmente apprezzato dagli addetti ai lavori è stato uno degli ultimi divulgato da “Cronache di Spogliatoio”, che descrive l’allenamento tipico del calciatore dilettante: dall’arrivo alla “guerra per il mitologico terzo appendino” alla “corsetta intorno al campo con aggiornamento di vita morte e miracoli dei compagni” fino alla “partitella con pettorine nella quale ci si gioca onore, pizza, birra, estathé, casa e parenti”.

KERIC MIRSAD (assistente arbitrale dell’Isera, Prima categoria Trentino Alto Adige, squalificato fino al 2024) – Questo quel che scrive il giudice sportivo: “In qualità di assistente arbitrale, per tutta la durata della rissa verificatasi al termine della gara, picchiava con inaudita violenza tanti giocatori avversari, alzandoli di peso, buttandoli a terra e colpendoli con forti pugni e calci alle costole, dando l’impressione di voler massacrare chiunque gli si parasse davanti. In possesso della bandierina, la usava a mo’ di bastone per colpire e a mo’ di spada per trafiggere. Quanto sopra avveniva fino a che, altri dirigenti, lo portavano via di peso”. Superfluo ogni commento.

MAI SOBRI – Tra le cose belle del calcio dilettantistico ci sono le coreografie, i cori e in generale l’anticonformismo di chi sceglie di seguire tra polvere, freddo, caldo e zero comodità piccole squadre di paese e non la Serie A comodamente seduto in poltrona. Tra questi c’è chi come gli ultras del Gladiator, squadra campana, sulla “pezza”, ovvero la sciarpa o lo striscione identificativo del gruppo, invece che nomi di battaglia bellicosi, dai drughi a guerrieri a commandi, denuncia le proprie condizioni, avvertendo di non essere “Mai sobri”.

IL SEGRETO DI PULCINELLA – Si dice che la popolare maschera partenopea, quando scriveva lettere, dopo aver buttato giù tutte le parole mettesse la punteggiatura, tutta insieme, a fine foglio, dicendo sostanzialmente al lettore “metti tu i punti dove ritieni più opportuno”. È più o meno quanto avviene nella rubrica – già dal nome assai promettente – “Tecnici disoccupati di Lusso” per “tuttocampo Sardegna”. Promesse mantenute nei contenuti. Da una domande lunghissima riportiamo testualmente: “Nel calcio di oggi si paga per giocare, a volte attraverso sponsorizzazioni e altre invece con vere e proprio prebende, ed è un segreto di pulcinella che coinvolge tutti i ruoli e tutte le categorie dalla LegaPro in giù (anche se pure qualche presenza in B desta sospetto, e anche a queste latitudini). Anche fra i grandi ma anche nelle giovanili, e anche nei dilettanti, insomma tutto il mondo e paese, l’importante ormai nelle società che sono delle vere e proprie aziende si pensa a fare quadrare i conti piu che alla crescita del ragazzo. 6 d accordo?”. E giù con i contorsionismi verbali: “Parliamo della prima e seconda categ. in generale, nn credi che il livello e l importanza data a queste categorie sia un po sottovalutata? , mi spiego (pure n.d.r): nn credi che ci sia un malcostume in queste categorie, si conceda ancora troppo il fatto che non si debba giocare a pallone, considerato solo un dopolavoro x tanti giovani, invece si trovano tante squadre che provano a esprimere un bel gioco, insomma anche in queste categorie si trovano parecchi giocatori che sanno dare del tu al pallone…….? nn credi?”. Parole, parole, parole: se avesse intervistato il Keric Mirsad non sarebbe riuscito a utilizzare più di due frasi.

1 Juventus, Italia Juventus 12 10 2 0 20:9 11 32
2 Inter, Italia Inter 12 10 1 1 26:12 14 31
3 Lazio, Italia Lazio 12 7 3 2 28:13 15 24
4 Cagliari, Italia Cagliari 12 7 3 2 23:12 11 24
5 Atalanta, Italia Atalanta 12 6 4 2 30:18 12 22
6 Roma, Italia Roma 12 6 4 2 20:14 6 22
7 Napoli, Italia Napoli 12 5 4 3 21:15 6 19
8 Parma, Italia Parma 12 5 2 5 18:15 3 17
9 Fiorentina, Italia Fiorentina 12 4 4 4 18:19 -1 16
10 Verona, Italia Verona 12 4 3 5 10:11 -1 15
11 Torino, Italia Torino 12 4 2 6 15:17 -2 14
12 Udinese, Italia Udinese 12 4 2 6 8:18 -10 14
13 Sassuolo, Italia Sassuolo 11 4 1 6 21:21 0 13
14 Milan, Italia Milan 12 4 1 7 11:16 -5 13
15 Bologna, Italia Bologna 12 3 3 6 16:20 -4 12
16 Lecce, Italia Lecce 12 2 4 6 15:25 -10 10
17 Genoa, Italia Genoa 12 2 3 7 14:26 -12 9
18 Sampdoria, Italia Sampdoria 12 2 3 7 7:19 -12 9
19 SPAL, Italia SPAL 12 2 2 8 7:18 -11 8
20 Brescia, Italia Brescia 11 2 1 8 10:20 -10 7

 

 

Inter-Verona 2-1, una magia di Barella abbatte il muro dei veneti

Inter-Verona 2-1, una magia di Barella abbatte il muro dei veneti
L'esultanza di Barella dopo il gol vittoria (agf)

 

Vittoria in rimonta dei nerazzurri: dopo il rigore di Verre, nella ripresa Vecino e l'ex cagliaritano ribaltano tutto. I nerazzurri si riprendono il primo posto in attesa di Juventus-Milan

Chi di rimonta perisce, di rimonta ferisce. Dopo il ko di Dortmund e tutte le polemiche per le dichiarazioni di Conte, l'Inter riprende la corsa in campionato battendo a fatica e in rimonta per 2-1 l'Hellas Verona. Ospiti avanti nel primo tempo con il rigore di Verre, nella ripresa Vecino e Barella ribaltano tutto. In attesa di Juventus-Milan, i ragazzi di Conte tornano al primo posto.

Verre illude l'Hellas

Conte lascia fuori Godin e Candreva, dentro Bastoni e Lazaro. Juric è senza Kumbulla e Veloso, al loro posto Empereur e Pessina. Come ci si poteva aspettare alla vigilia, sono i padroni di casa a partire con l'acceleratore ma la difesa scaligera tiene bene. A sorpresa a passare in vantaggio è proprio l'Hellas: è il 19′ quando Lazovic imbuca bene per Zaccagni in area, Handanovic frana in uscita sul numero 20 e l'arbitro Valeri indica giustamente il dischetto. Dagli 11 metri Verre sceglie la soluzione centrale portando in vantaggio i suoi. Da quel momento inizia un tiro al bersaglio verso l'area di Silvestri quasi senza precedenti. Ci provano nell'ordine Brozovic dalla distanza ma scheggia la traversa, Lukaku con una zampata sul primo palo, De Vrij sempre dal limite e Vecino con un tap-ìn che l'estremo difensore dei veneti salva sulla linea come confermato dalla goal-line-technology. La porta sembra stregata per i nerazzurri.

Magia di Barella incanta San Siro

Nella ripresa l'Inter attacca ancora più forte e il Verona è costretto a schiacciarsi nella propria metà campo, facendo più fatica rispetto al primo tempo a uscire. Paradossalmente i più pericolosi sono i difensori con un colpo di testa alto di Skriniar e una fucilata di Bastoni respinta da Silvestri. E' un vero e proprio assedio e l'Hellas alla fine cede: al 65′ cross dalla destra di Lazaro e stacco imperioso di Vecino che trova l'angolino. Marchio di fabbrica per il centrocampista uruguaiano che trova il pari. Il mood della partita non cambia e all'80' l'Hellas rischia la frittata: erroraccio di Amrabat che svirgola un pallone a centrocampo, lanciando di fatto Lukaku da solo verso la porta di Silvestri, l'attaccante belga però non aspetta che scenda la palla optando per un innocuo colpo di testa, bloccato dal portiere ospite. Passano però due minuti e Barella dalla distanza scaraventa un destro sotto all'incrocio che fa esplodere di gioia San Siro: una vera e propria perla dell'ex Cagliari. Nell'anniversario del crollo del muro di Berlino, calcisticamente cede anche quello del Verona. Juric si gioca subito la carta Stepinski ed è proprio l'attaccante polacco a sciupare un'ottima occasione ravvicinata su assist di Lazovic. Dopo 5 minuti di recupero Conte può comprensibilmente gioire e godersi il primato ritrovato in classifica in attesa di Juventus-Milan di domenica sera: i nerazzurri saranno costretti a tifare per i cugini rossoneri.

INTER-VERONA 2-1 (0-1)
Inter (3-5-2): Handanovic; Skriniar, De Vrij, Bastoni; Lazaro (40′ st D'Ambrosio), Barella, Brozovic, Vecino, Biraghi (18′ st Candreva); Lautaro (36′ st Esposito), Lukaku. A disp.: Padelli, Berni, Godin, Sensi, Ranocchia, Borja Valero, Dimarco, Vergani, Fonseca. All.: Conte.
 

 

Verona (3-4-2-1): Silvestri; Rrahmani, Gunter, Empereur; Faraoni, Amrabat, Pessina, Lazovic; Verre (18′ st Henderson), Zaccagni (5′ st Tutino); Salcedo (39′ st Stepinski). A disp.: Berardi, Radunovic, Vitale, Wesley, Adjapong, Danzi, Dawidowicz, Di Carmine, Pazzini. All.: Juric.
Arbitro: Valeri di Roma.
Reti: Verre al 19′ su rigore, Vecino al 65′ e Barella all'82'.
Ammoniti: Brozovic, Lautaro, Martinez e Barella.
Angoli: 9-3 per l'Inter.
Recupero: 1′ e 5′.

 

Cagliari show, 5-2 alla Fiorentina: ora è terzo in classifica

Cagliari show, 5-2 alla Fiorentina: ora è terzo in classifica

 

I sardi, guidati da un Nainggolan in gran spolvero (un gol e tre assist), travolgono in casa i viola: primo tempo spettacolare degli uomini di Maran, segna anche l'ex Simeone. Per la squadra di Montella l'unica nota positiva è la doppietta di Vlahovic

 Dieci. Come il numero del voto più alto. Dieci è il numero di partite senza macchia che il Cagliari di Rolando Maran raggiunge annichilendo la Fiorentina. Stavolta i sardi meritano anche la lode, poiché per tre quarti giocano la partita perfetta. Se di capolavoro si era parlato nell'andare a vincere in casa dell'Atalanta, dieci con lode è il voto nel compito in classe collettivo presentato dai Quattro Mori contro la Fiorentina. Maran è un "maestro" felice (che accetta pure il calo di tensione degli ultimi minuti). La Viola, infatti, finisce annichilita nella prova d'insieme, nessuno tra i rossoblù stecca fino a quando c'è incertezza. Così il Cagliari va in fuga per la vittoria.

A fine primo tempo, su un eloquente parziale di 3-0, Pisacane spiega il frutto di sacrificio, di umiltà, di idee chiare. Non si cerchi nelle manchevolezze della Viola il motivo di questa goleada. Il Cagliari va in crescendo, comincia con intensità, trova il gol con cinque giocatori diversi, frutto del coinvolgimento di tutti i giocatori, fanno ben sopra la sufficienza anche quelli che non finiscono nel referto del match.
Dal centrocampo, Maran ha tutto, la corsa di Rog - il migliore dopo Nainngolan - ha il contrasto e la qualità di Nandez, la fine architettura calcistica di Cigarini e la leadership di Nainngolan. Il Ninja entra in tutte le azioni decisive e poi, non contento, firma il quinto sigillo, un tiro dai 35 metri, uno dei suoi, potente, preciso, imprendibile. A sorreggere la costruzione c'è l'appoggio delle punte e l'attenzione della difesa.
 

Dominata in tutto e per tutto, la Fiorentina ha il merito di non mollare, e di salvare l'orgoglio. Lo fa con Vlahovic - Chiesa vive un pomeriggio appannato - che firma i suoi primi due gol in Serie A a partita praticamente finita.

La partita perfetta

La cronaca quindi è un vero monologo rossoblù, l'Orchestra Spettacolo Rolando Maran manda in visibilio la Sardegna Arena: ogni gol è illuminato, spaziature perfette, attenzione collettiva, organizzazione.
Il gol di Rog viene da undici passaggi di fila, tutti precisi e incisivi; gli ultimi tre, a un tocco, di rapidità da fibra ottica; il raddoppio, su angolo telecomandato di Cigarini sulla testa di Pisacane; il tris (minuto 34) in contropiede, volata di Rog, tiro di Nainngolan ribattuto e doppiato dal Ninja per il tacco vincente, sotto misura, di Simeone. La Fiorentina - attenti - non è spettatrice non pagante, Olsen al 38' si oppone a un tiro ravvicinato di Pezzella con una parata importante a terra. Prima del riposo, si registra il solo guizzo di Chiesa, un pallone che può giocare in area, sull'out mancino, tiro di destro a giro alto di poco.

Ovazione per Nainggolan

Cagliari perfetto? Tutto è migliorabile, persino un grande spettacolo. Lo si capisce sotto la pioggia e con il vento di bufera che accoglie in campo le squadre nella ripresa. Nove minuti di marca ospite, ma al 9' il contropiede perfetto, a tre, Nainngolan scippa palla a Badelj, aspetta che si allarghino alla sua sinistra Simeone e  alla sua destra Joao Pedro e sceglie il brasiliano con un tocco magistrale. Il numero 10 aspetta Dragowski in uscita e in scivolata gli toglie il tempo con un destro angolatissimo, potente, imparabile. Pare la ciliegia sulla torta. Invece no. Al 60' altra ripartenza indiavolata del Cagliari, ribattuto il tiro di Simeone, in angolo Dragowski sul siluro di Pellegrini dal fondo. E al 65', tutto lo stadio si alza in piedi quando Nainngolan chiude il suo pomeriggio perfetto con un destro dai 35 metri appena sfiorato da Dragowski che "muore" sotto l'incrocio. Un'ora di calcio paradisiaco per gli isolani. Solo a 15' dal traguardo, il Cagliari alza il piede dall'acceleratore, quando Maran opta per la passerella finale dei protagonisti: fuori Simeone, Nainngolan e Nandez.

Buon compleanno, Rombo di Tuono!

Finale colorato di viola, la doppietta di Vlahovic, il primo su cross di Dalbert, sinistro all'angolino, il secondo su ingenuità di Pellegrini con tiro a giro sul palo lontano. La vittoria issa il Cagliari al terzo posto. C'è un'isola che sogna, nei giorni in cui ha festeggiato i 75 anni della sua icona calcistica più nota e giustamente più celebrata: Gigi Riva. Leggenda per un giorno oscurata dal Collettivo Autonomo di Rolando Maran.
 
Cagliari (4-3-1-2): Olsen, Cacciatore, Pisacane, Klavan, Pellegrini; Nandez (38' st Ragatzu) Cigarini, Rog; Nainggolan (33' st Castro) Joao Pedro, Simeone (29' st Cerri). All.: Maran.
Fiorentina (3-5-2): Dragowski, Milenkovic, Pezzella, Caceres; Lirola (1' st Sottil), Pulgar, Badelij, Castrovilli (22' st Benassi), Dalbert; Vlahovic, Chiesa (28' st Ghezzal). All.: Montella.
Arbitro: La Penna di Roma
Reti: nel pt, 17' Rog, 26' Pisacane, 34' Simeone; nel st, 9' Joao Pedro, 20' Nainggolan, 30' e 42' Vlahovic.
Note: Recupero: 3 e 2. Angoli: 6 a 5 per la Fiorentina. Ammoniti: Castrovilli, Pulgar, Nandez.

 

Milan-Lazio 1-2: Immobile-Correa, i biancocelesti sfatano il tabù San Siro

Milan-Lazio 1-2: Immobile-Correa, i biancocelesti sfatano il tabù San Siro
Correa scaglia il tiro della vittoria della Lazio (ansa)

 

Con un gol per tempo la squadra di Inzaghi torna a vincere a San Siro contro i rossoneri 30 anni dopo l'ultima volta e aggancia il quarto posto. Un autogol di Bastos aveva permesso ai padroni di casa di pareggiare

Trenta anni dopo l'ultima volta, la Lazio batte il Milan a San Siro e aggancia il quarto posto in classifica. Al Meazza finisce 2-1 per i biancocelesti che passano grazie a un gol di Immobile nel primo tempo e a una rete di Correa nella ripresa. Un successo fondamentale per gli uomini di Inzaghi che approfittano del passo falso dell'Atalanta in casa col Cagliari per raggiungerla in piena zona Champions e restare in scia della Roma, terza. Per il Milan, invece, è notte fonda. Sesta sconfitta in 11 partite ed Europa sempre più lontana, ora a 8 lunghezze. E le prossime partite non saranno passeggiate: Juventus a Torino e Napoli a San Siro dopo il rientro dalla sosta.


Immenso Immobile da 100 con la Lazio, poi il Milan pareggia

Bel primo tempo a San Siro con entrambe le squadre che se la giocavano a viso aperto. La prima palla gol capita sul piedi di Immobile che, servito in area da Lulic, cerca di sorprendere Donnarumma sul secondo palo trovando l'ottima risposta del portiere di casa. 2′ più tardi è Piatek ad avere il pallone dell'1-0, ma Acerbi in scivolata devia in angolo il tiro del polacco. Poi in 10′ accade di tutto. Al 21′ Strakosha salva a tu per tu con Paquetà, sull'azione seguente Immobile, defilato sulla sinistra in area, supera Donnarumma, ma colpisce la traversa. Al 23′ Castillejo impegna da fuori Strakosha, 60" più tardi Immobile, servito da un cross di Lazzari, anticipa Duarte e di testa infila il portiere rossonero: per l'attaccante si tratta della centesima rete con la maglia della Lazio. Al 29′ il pareggio milanista: cross morbido dalla sinistra di Theo Hernandez, Piatek in acrobazia prolunga la sfera sul petto di Bastos che spiazza Strakosha. Al 40′ Calhanoglu prova a sorprendere il numero uno laziale dalla bandierina, ma Strakosha è bravissimo a salvare sulla linea di porta. Nel finale doppia occasione per Correa, prima è bravo Donnarumma, poi Romagnoli a chiuderlo in angolo.

Correa sfata il tabù San Siro

La ripresa è meno avvincente. Tanti gli errori in fase di impostazione da parte di entrambe le squadre, poi l'ingresso di Leao al posto di Paquetà provoca l'effetto opposto in casa Milan col francese impacciato, lento e a tratti svogliato. Con lui si spegne tutto il reparto offensivo con Piatek che scompare letteralmente dalla scena e Rebic che si perde sulla corsia di destra. L'unico sussulto rossonero nel secondo tempo è una punizione da fuori di Calhanoglu che Strakosha respinge con i pugni. Anche la Lazio cala fisicamente e si rende meno pericolosa dalle parti di Donnarumma che, però, nel finale nega la gioia del gol prima a Parolo, poi ad Acerbi su calcio d'angolo, infine a Luis Alberto. All'83', però, lo spagnolo raccoglie un palla respinta corta da Duarte e verticalizza per Correa che questa volta, a tu per tu con Donnarumma, non sbaglia. Il Milan non ha più la forza di reagire, la Lazio si chiude bene e sbanca San Siro dopo 30 anni esatti.

MILAN-LAZIO 1-2 (1-1)

 

Atalanta-Cagliari 0-2: autogol di Pasalic e Oliva, sardi al quarto posto

Atalanta-Cagliari 0-2: autogol di Pasalic e Oliva, sardi al quarto posto
L'esultanza dei giocatori del Cagliari dopo il gol di Oliva (lapresse)

 

La squadra di Maran allunga a nove la striscia positiva e aggancia la zona Champions. Nerazzurri in dieci dal 39' del primo tempo per l'espulsione di Ilicic.

 Il Cagliari di Maran, solido e bravo nel non sprecare occasioni, battendo l'Atalanta a Bergamo si è portato al pari dei bergamaschi al quarto posto, a 21 punti. Con la vittoria per 0-2 dei sardi - al terzo successo di fila a Bergamo - si interrompe il record della banda Gasperini, che nelle prime 10 giornate di campionato aveva segnato almeno 2 gol in ogni partita. Si allunga invece a nove partite l'imbattibilità del Cagliari (6 vittorie e 3 pareggi), che non perde dalla seconda giornata, alla Sardegna Arena contro l'Inter. Nella vittoria cagliaritana, sotto la pioggia battente, pesano anche l'espulsione di Ilicic - rosso diretto al 39' del primo tempo per una pedata a gioco fermo rifilata a Lykogiannis - e la poca lucidità dell'Atalanta in attacco, che non è riuscita a chiudere nessuna delle tante occasioni create.


Il primo tempo era cominciato con una situazione di equilibrio fra le due squadre, in costante lotta sulle fasce, impegnate a costruire il gioco a turni alterni. Dopo 25 minuti Maran ha arretrato i suoi, per fare giocare l'Atalanta con campo libero alle spalle e tentare di partire in contropiede. E ha rinfoltito il centrocampo, creando superiorità numerica. Ma più della strategia, nel vantaggio cagliaritano ha pesato la sfortuna atalantina: al 32' Lykogiannis ha calciato una punizione dalla fascia destra, Cacciatore ha deviato la palla, Pasalic la ha cacciata nella propria rete. L'Atalanta non si è data per vinta, ma non era giornata: 5 minuti dopo l'autogol, Gomez ha stampato sulla traversa un bel tiro da fuori, la palla è carambolata sulla schiena di Olsen ed è finita incredibilmente fuori. Anche in dieci, dopo l'espulsione di Ilicic sul finire del primo tempo, l'Atalanta ha provato invano a dare l'assalto alla porta di Olsen.Nella ripresa, senza più Ilicic, Gasperini ha tolto anche l'altro trequartista, Gomez. E ha cercato qualità inserendo Malinovskyi. Dentro anche Hateboer per Gosens. Ma il Cagliari, oeganizzato e roccioso, non ha smesso di pressare su ogni pallone ed è stato velocissimo a ripartire appena l'Atalanta inevitabilmente ha dovuto concedere spazio. E così al 13' è arrivato lo 0-2 cagliaritano, con Simeone sceso in fascia destra che ha passato indietro per il gol di Oliva. L'assedio ininterrotto dell'Atalanta non ha prodotto occasioni davvero pericolose, complice Muriel a cui è sempre mancata l'ultima zampata. E il Cagliari è potuto partire in contropiede con Nandez e Joao Pedro, offeso all'inizio della ripresa dai soliti buu razzisti. A ululare sono stati in pochi, ma si sono sentiti.

Atalanta-Cagliari 0-2 (0-1)
Atalanta (3-4-1-2): Gollini; Toloi, Djimsiti, Palomino; Castagne, Freuler, Pasalic, Gosens (1' st Hateboer); Gomez (1' st Malinovskyi); Ilicic, Muriel (33' st Barrow). (31 Rossi, 57 Sportiello, 4 Kjaer, 5 Masiello, 41 Ibañez, 13 Arana, 79 Traore). All.: Gasperini.
Cagliari (4-3-1-2): Olsen; Cacciatore, Pisacane, Klavan, Lykogiannis; Castro (43' st Ionita), Oliva, Rog (26' st Nandez); Nainggolan; João Pedro, Simeone (39' st Cerri). (1 Rafael, 20 Aresti, 40 Walukiewicz, 2 Pinna, 3 Mattiello, 24 Faragò, 8 Cigarini, 27 Deiola, 26 Ragatzu). All.: Maran.
Arbitro: Abisso di Palermo.
Reti: nel pt 32' Pasalic (autogol); nel st 13' Oliva.
Angoli: 13-2 per l'Atalanta.
Recupero: 1' e  3'.
Espulso: Ilicic al 39' pt per fallo di reazione.
Ammoniti: Rog, Lykogiannis, Oliva, Malinovskyi per gioco falloso, Toloi per comportamento non regolamentare.
Var: 3.
Spettatori: 18.617 di cui 2.069 paganti (incasso 58.090 euro) e 16.548 abbonati (quota partita 343.987,95 euro).

Bologna-Inter 1-2: doppio Lukaku la risolve al 92'

Bologna-Inter 1-2: doppio Lukaku la risolve al 92'
La prima rete di Lukaku (ansa)

 

Il belga prima impatta la rete di Soriano, poi in pieno recupero mette a segno la rete della preziosissima vittoria nerazzurra.

La decideranno gli episodi, dice Andrea Poli (tra i migliori finchè è stato in campo) alla fine del primo tempo. Un profeta. E' così che va a finire. Vince l'Inter in rimonta e si siede sul divano ad aspettare il derby di Torino. Vince, ma non convince la squadra di Conte, che soffre (meno che a Brescia), ma al tecnico sarà piaciuta la forza d'animo del gruppo dopo essere andata sotto.

Il Bologna invece. Gioca con grande applicazione, va in vantaggio e poi... rivede un film horror già visto altre volte: decide un rigore di Lukaku a tempo scaduto, un rigore che arriva da una sciocchezza di Orsolini che tocca in area Lautaro. Ingenuità incredibile, ma colpa pesante rivedere sempre lo stesso spezzone di scena: con la Roma, dimenticando Veretout, con la Lazio atterrando (Palacio) Correa, il Bologna si fa male da solo. 
 avvio Conte fa riposare Candreva, Godin mentre risparmia il recuperato Sensi. Mihajlovic non rischia in avvio Medel, preferendogli Svanberg. Lo svedesino fa bene. In avvio il Bologna prova a pressare, puntando sulla stanchezza di un Inter che nell'ultimo mese ha giocato molto e senza troppi ricambi. Ma col passare dei minuti l'Inter prende possesso del centrocampo, e costruisce almeno due grosse occasioni. Una con lautaro, girata immediata e corta su cui Skorupski si allunga a respingere. Il secondo con Lukaku che prova a replicare l'azione del gol di Brescia, ma stavolta tira seccamente sul primo palo, il portiere polacco che in quell'angolino si era fatto sorprendere da Ronaldo, a Torino, stavolta respinge a una mano e poi recupera prima dell'arrivo di Gagliardini (in off side). I gol annullati all'Inter vengono da un evidente off side di Lautaro, perché l'ordine di Mihajlovic è quello di non dare spazio ai totem nerazzurri, quindi di difendere "alto", e per un traversone di Lazaro quando la sfera è già uscita ampiamente, che Lukaku nel prosieguo butta dentro. Per il resto, la prima parte vive su un alto livello di contrasto e con un rispetto reciproco che comporta molti errori nel giro palla, segno che si pensa anche troppo, perché le linee ortodosse di passaggio sono ostruite.

La ripresa si ripete su temi tattici marcati. Qualcosa che dimostra come la guida del tecnico viene  rispettata. Il Bologna non ha la fisicità della difesa interista e infatti fatica molto ad avvicinarsi a Handanovic. Ma ha di bello che resta intenso, che cerca il fraseggio, che prova a logorare l'avversario, cercando così, come una goccia cinese, di aprire un varco. L'azione del gol di Soriano è magistrale. Il giro palla con enorme pazienza, finisce per liberare il tiro di Soriano che trova l'angolino basso. Uno a zero.
La pazienza è il leit motiv. Skorupski - impreciso nella costruzione del gioco - si oppone a ogni tentativo di reazione dell'ospite che perde in fiducia. Gliela restituisce Conte, cambiando i due esterni, per ritrovare energia. Candreva e Politano. Ma il Bologna subisce sempre gli stessi gol. Skriniar ha tempo in area, su azione d'angolo di stoppate palla e girarsi, come aveva fatto pochi giorni fa Joao Pedro. Skorupski ci mette una pezza, ma sul palo lontano spunta Lukaku, tenuto in gioco da Svanberg, che come un centravanti rapace firma l'1 a 1. 

Il match è bello, pieno di idee da tutte e due le parti. Cade in area Palacio, contatto con Vecino, per La Penna non c'è nulla, pochi istanti dopo Mbaye non allontana un pallone, lo perde e Lautaro in area trova quasi per caso il contatto di Orsolini. Rigore per La Penna, solite discussioni del caso (espulso Bigon), Lukaku non si fa ipnotizzare e a tempo scaduto, come aveva profetizzato Poli, l'episodio fa volare l'Inter. Tre punti preziosi per Conte, molti complimenti al Bologna. Ma non fanno classifica.

Bologna (4-2-3-1): Skorupski, Mbaye, Danilo, Bani, Krejcì, Svanberg, Poli (27' st Medel), Orsolini, Soriano (31' st Dzemaili), Sansone (39' st Santander), Palacio. All.: Mihajlovic.
Inter (3-5-2): Handanovic, Skriniar, De Vrij, 95 Bastoni, Lazaro (39' st Politano), Gagliardini (27' st Vecino), Brozovic, Barella, Biraghi (29' st Candreva), Lukaku, Martinez. All.: Conte.
Arbitro: La Penna di Roma.
Reti: nel st 14' Soriano, 30' Lukaku, 91' Lukaku (rig)
Note: Angoli: 6-1 per Inter. Recupero: 0' e 3'. Ammoniti: Brozovic, Danilo, Skriniar, Bani per gioco scorretto; Gagliardini, Medel per comportamento non regolamentare. Espulso: Bigon per proteste.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Brescia-Inter 1-2: cuore e sofferenza, Lautaro e Lukaku trascinano i nerazzurri

L’Inter di Antonio Conte esce vittoriosa per 2 a 1 dalla trasferta di Brescia

BRESCIA – Con i denti e con la rabbia l’Inter torna da Brescia con tre punti e il provvisorio sorpasso ai danni della Juventus. I nerazzurri partono bene trovando il vantaggio con Lautaro che apre le danze. Primi 45 minuti di gioco in totale appannaggio dei ragazzi di Antonio Conte che però nella ripresa devono fare i conti con la voglia dei padroni di casa di acciuffare il pareggio. Proprio nel momento migliore delle rondinelli esce fuori Lukaku che con una progressione personale e conclusione a giro sul secondo palo infila Alfonso con un eurogol. I padroni di casa gettano il cuore oltre l’ostacolo e accorciano con con Bisoli che costringe Skriniar all’autogol e per poco non trovano il pareggio. Sofferenza finale con i nerazzurri che reggono l’urto del Brescia.

L’Inter tona provvisoriamente in vetta alla classifica in attesa della sfida di domani tra Juventus e Genoa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Atalanta-Udinese 7-1: nerazzurri esagerati e sempre più terzi

 

Okaka illude gli ospiti, poi segnano Ilicic, Muriel su rigore e ancora lo sloveno nel primo tempo. Nella ripresa si ripete Muriel su azione, cinquina di Pasalic e tripletta del colombiano sempre dagli undici metri. Ciliegina finale di Amad Diallo Traorè, classe 2002

 

La sfida tra il miglior attacco della massima serie e la migliore difesa, la stravince la prima. L'Atalanta infatti rifila 7 reti all'Udinese che fino a oggi ne aveva incassate solo 6. I bergamaschi quindi riscattano subito il ko di Champions contro il City e consolidano il terzo posto rosicchiando 2 punti a Juventus, Inter e anche al Napoli che resta quarto. Nel primo tempo segnano Okaka, quindi Ilicic, Muriel su rigore e ancora Ilicic. Nella ripresa si ripete Muriel su azione, cinquina di Pasalic e ancora il colombiano (tripletta) sempre dagli undici metri. Ciliegina finale per i nerazzurri dell'esordiente in A, Amad Diallo Traorè, classe 2002. Nell'era dei tre punti nessuna squadra italiana aveva mai segnato 28 gol in 9 giornate. Un altro record per la banda di Gasperini.

Regalo di Kjaer, Okaka ringrazia

3-4-1-2 per Gasperini che in attacco si affida a Ilicic e Muriel con Gomez a supporto. De Roon e Pasalic a centrocampo con Hateboer e Castagne esterni. In difesa Djimsiti, Kjaer e Toloi che rimpiazza Palomino che ha accusato un problema nel pre-partita. 3-5-2 per Tudor con Lasagna e Okaka attaccanti. Opoku e Sema esterni, mentre Mandragora, Jajalo e De Paul formano il centrocampo.In difesa Becao, Ekong e Samir. Dopo 7′ Muriel non riesce a deviare sottoporta su un assist di Hateboer. La gara vive in equilibrio che però viene spezzato dopo 11′ da un incredibile errore di Kjaer che tenta un dribbling senza senso: Okaka gli soffia palla e, tutto solo davanti a Gollini, non sbaglia col destro.
 

Ilicic e Muriel la ribaltano

L'Atalanta reagisce e Gomez impegna Musso. Al minuto 21 perfetto assist di De Roon e gol di Ilicic, ma c'è offside secondo il guardalinee. Infinito check Var e alla fine Maresca convalida: siamo 1-1. Alla mezz'ora ci vuole il miglior Gollini per dire di no a Lasagna, mentre al 33′ i padroni di casa attaccano, Muriel di tacco serve in area Ilicic e Opoku, già ammonito, stende lo sloveno da dietro rimediando il secondo giallo e soprattutto facendo fallo da rigore. Sul dischetto ci va Muriel che è glaciale e spiazza Musso. Al 37′ Maresca concede un altro penalty ai bergamaschi quando Becao con una mano respinge un cross di Gomez. L'arbitro poi va al Var e annulla la sua decisione: Becao ha in effetti il braccio lungo il corpo. Ma il 3-1 è solo rimandato e arriva al 43′: Muriel in area per Castagne ma Musso si oppone, palla che rimbalza pericolosamente, la prende Gomez che sbaglia il tiro ma favorisce Ilicic che insacca facile facile col sinistro e firma la sua doppietta personale.

Muriel e Pasalic la chiudono

Tudor presenta in campo Pussetto al posto di Okaka, ma l'Atalanta decide di chiuderla in fretta. Al 47′ Ilicic serve in area Gomez, assist in mezzo e destro di prima intenzione di Muriel che firma il 4-1. Poco dopo Musso salva su Gomez, ma al 51′ in pratica la gara finisce: lancio a sinistra di Ilicic per Gomez, cross in mezzo e facile destro per Pasalic che realizza il 5-1. Gasperini fa entrare anche Malinovskyi al posto di Djimsiti e l'Atalanta spinge ancora con Ilicic che prende la traversa e poi si fa fermare da Musso.

Debutto e gol in A di Traorè a 17 anni

Ormai non c'è più partita, ma l'Atalanta non è una squadra che si ferma e al 72′ Castagne ruba palla e imbuca in area per Muriel: Musso salva ma il colombiano viene steso da Samir. Maresca va al Var e concede un altro calcio di rigore. Lo stesso Muriel non sbaglia dagli undici metri e si porta a casa il pallone. Gasperini, visto il 6-1, ne approfitta e fa esordire in A Amad Diallo Traorè, 17 anni, fratello di Junior, giocatore del Sassuolo: Ilicic gli cede il posto. E il ragazzino ci mette sei minuti per coronare l'esordio col gol: prende palla sulla destra, avanza e dal limite infila Musso con un sinistro sul primo palo. Atalanta da sogno in campionato.

Atalanta-Udinese 7-1 (3-1)

Atalanta (3-4-1-2): Gollini, Toloi, Kjaer, Djimsiti (7′ st Malinovskyi), Hateboer, Pasalic, De Roon, Castagne, Gomez (20′ st Barrow), Ilicic (32′ st A. Traore), Muriel. (31 Rossi, 57 Sportiello, 6 Palomino, 41 Ibañez, 8 Gosens, 13 Arana, 11 Freuler, 79 A. Traore, 17 Piccoli). All.: Gasperini
Udinese (3-5-2): Musso, Becão, Troost-Ekong, Opoku, Sema, Mandragora, Jajalo (39′ st Walace), de Paul (18′ st Fofana), Samir, Lasagna, Okaka (1′ st Pussetto). (27 Perisan, 88 Nicolas, 2 Serrialta, 17 Nuytinck, 87 De Maio, 18 Ter Avest, 72 Barak, 30 Nestorovski, 91 Teodorczyk). All.: Tudor
Arbitro: Maresca di Napoli
Reti: nel pt 11′ Okaka, 21′ e 43′ Ilicic, 35′ rig. Muriel; nel st 2′ e 38′ (rig.) Muriel, 7′ Pasalic, 38′ A. Traore
Angoli: 6-2 per l'Atalanta
Recupero: 5′ e 0′
Ammoniti: Opoku, Djimsiti, Samir per gioco falloso
Espulso: Opoku al 32′ pt per somma di ammonizioni
Spettatori: 18.677 di cui 2.139 paganti (incasso 62.820 euro) e 16.538 abbonati (quota partita 343.188 euro)

 

Inter-Parma 2-2, i nerazzurri falliscono il sorpasso sulla Juventus,26-10-19

I ragazzi di Conte non approfittano del passo passo dei bianconeri. Apre Candreva, rimonta ospite con Karamoh e Gervinho, pari di Lukaku dopo 3 minuti di Var. Inutili gli assalti finali con Esposito che sfiora il 3-2 in pieno recupero.

 

MILANO - Dopo la Juve, anche Inter incimapa. I nerazzurri non approfittano del pareggio della Vecchia Signora in casa del Lecce, frenando 2-2 a San Siro contro il Parma. Vantaggio iniziale di Candreva, poi Karamoh e Gervinho ribaltano tutto, nella ripresa pari di Lukaku (col Var) e inutili assalti finali dei ragazzi di Conte, che restano così a -1 dai bianconeri.

Applausi per l'ex Karamoh

Conte lascia a riposo l'acciaccato De Vrij e in attacco conferma il tandem Lukaku-Lautaro. D'Aversa ha gli uomini contati, in difesa sceglie ancora Dermaku e adatta Kulusevski nel ruolo di centravanti. Dopo la fase di studio la gara si sblocca al 23′ quando un tiro di Candreva verso la porta viene deviato prima da Kulusevski e poi da Dermaku: Sepe si deve arrendere. Sembra una gara in discesa per i nerazzurri, virtualmente primi, che però regalano letteralmente due gol al Parma per due ingenuità di Brozovic. Il centrocampista croato, sempre presente da inizio stagione, perde infatti due palloni: il primo viene intercettato dall'ex interista Karamoh che realizza calciando forte sul primo palo e poi non esulta, applaudito da tutto San Siro. Il secondo errore innesca invece un contropiede condotto ancora da Karamoh e concluso in rete da Gervinho, spietato.

Non basta Lukaku

Nella ripresa l'Inter spinge sull'acceleratore e al 6′ trova subito il pari con Lukaku: Brozovic si fa parzialmente perdonare scovando in area Candreva, assist al bacio per l'attaccante belga che da due passi e in due tempi batte Sepe. Inizialmente l'arbitro Chiffi annulla per fuorigioco ma, dopo una lunga revisione del Var e oltre 3 minuti d'attesa, assegna il gol. Passa un minuto e Lautaro avrebbe l'occasione del nuovo ribaltone ma Dermaku salva tutto in extremis. I ragazzi di Conte ci credono e intasano l'area ducale, ma sono decisivi gli aiuti difensivi di Kucka e soprattutto di Scozzarella. Aumenta anche il nervosismo (giallo sia a Conte che a D'Aversa) per due presunti rigori non concessi ai nerazzurri e per le ripetute perdite di tempo di Sepe. Come contro il Dortmund, Conte si gioca la carta Sebastiano Esposito, questa volta per Lautaro: è proprio la baby promessa nerazzurra, in pieno recupero, a sfiorare il gol con un tiro a volo su angolo di Brozovic, sarebbe crollato San Siro. Nell'ultima occasione protagonista ancora Esposito, ma in negativo perché, su cross di Barella, toglie di testa la palla a Lukaku meglio posizionato.

Grandi rimpianti

Al triplice fischio di Chiffi c'è grande amarezza per i padroni di casa perché non capiterà spesso che la Juventus perderà terreno per strada. Sono dunque oggettivamente due punti persi. Bene invece il Parma, decimato dalle assenze, che per il secondo anno consecutivo esce indenne dal Meazza nerazzurro. Da segnalare, oltre al gol e all'assist dell'ex Karamoh (prima da titolare per lui), l'ottima prova di Kulusevski, sempre più rivelazione della Serie A.

INTER-PARMA 2-2 (1-2)
INTER (3-5-2): Handanovic; Skriniar, Godin (21′ st De Vrij), Bastoni; Candreva, Gagliardini (39′ st Politano), Brozovic, Barella, Biraghi; Lautaro Martinez (28′ st Esposito), Lukaku. (27 Padelli, 46 Berni, 13 Ranocchia, 18 Asamoah, 19 Lazaro, 20 Borja Valero, 21 Dimarco). All.: Conte.

 

Sassuolo-Inter 3-4: doppiette di Lukaku e Lautaro, poi brivido finale per i nerazzurri

 Di Lukaku nei giorni scorsi si era detto che era lento, che da troppo tempo (due partite e mezzo) non segnava con la maglia dell’Inter, che era fuori forma. Ha segnato una doppietta, mettendo a tacere le polemiche. Era dal novembre 2009, con Milito, che un giocatore dell’Inter non segnava quattro o più gol nelle prime quattro trasferte della stagione. Ancor meglio al Mapei Stadium ha fatto il compagno di reparto Lautaro Martinez: in gol dopo un minuto, ha sfiorato il raddoppio, quindi facendosi abbattere in area da Marlon ha regalato all’Inter il rigore che Lukaku ha poi insaccato. È stato invece Barella a farsi stendere in area, consentendo anche a Martinez il raddoppio personale dal dischetto. E così l’Inter ha vinto per 3-4 sul campo del Sassuolo, che nelle precedenti 6 partite aveva portato 4 sconfitte. Una vittoria sofferta, con venti minuti finali da panico, ma che vale oro: i nerazzurri si tengono a un solo punto dalla Juve.
 

Difesa in difficoltà

Se l’attacco dell’Inter ha brillato, lo stesso non può dirsi per la difesa, che per tre volte si è fatta bucare dagli attaccanti neroverdi e che nel finale di partita ha mostrato un calo importante. De Vrij, finora sempre puntuale soprattutto in campionato, ha sbagliato molto, soffrendo negli ultimi venti minuti i freschi Djuricic e Boga (entrambi in gol nel finale, dopo quello di Berardi nel primo tempo). Bastoni ha sbagliato diversi appoggi e non ha saputo contenere il 22enne francese. In grande difficoltà anche Lazaro: entrato per Candreva al 27’ del secondo tempo, ha perso il pallone che ha portato al gol di Djuricic, si è fatto ammonire e ha regalato due pericolosi calci d’angolo. Il Sassuolo ha così potuto sognare di completare la rimonta, solo sfiorata nei cinque minuti di assedio finale durante il recupero.

Conte

L’allenatore Antonio Conte dopo il fischio finale si è sfogato calciando una borraccia, evidentemente non contento del finale di partita dei suoi. Non si è poi presentato ai microfoni di Dazn né alla conferenza stampa post match. Al suo posto ha parlato il vice Cristian Stellini, spiegando che Conte è influenzato e ha la febbre e che per questo ha preferito non incontrare i giornalisti. “Abbiamo fatto una grande partita per 70 minuti – ha detto Stellini - poi nel finale ha pesato la stanchezza dei molti che nei giorni scorsi erano impegnati con le proprie nazionali”.

....... prima un cross di Skov Olsen su Palacio trova la scivolata ravvicinata in area di De ligt che controlla con un braccio, il Var nega il calcio di rigore, pochi istanti e Alex Sandro maltratta Orsolini. Punizione nel mucchio, svetta Santander a colpo sicuro ma colpisce la traversa, l'azione prosegue e ancora il paraguagiuo si coordina per una rovesciata acrobatica, Buffon alza in angolo salvando il pareggio........

 Inter, 6 su 6, l'ultima volta nel 1966-67, ma non portò bene: è il campionato della famosa "papera" di Sarti.

Quella contro la Sampdoria rappresentava la classica partita ‘trappola’. Ma l’Inter non ha abbassato la guardia e contro i blucerchiati ha offerto una grande prestazione mettendo in mostra una maturità che nel recente passato raramente si è vista. “Non poteva iniziare meglio il campionato dell’Inter. Nella storia però non sempre la squadra vincitrice nelle prime sei partite è riuscita alla fine del campionato a vincere lo Scudetto. È già capitato anche ai nerazzurri di vincere sei partite su sei a inizio stagione. Accadde nel campionato 1966/67: sulla panchina dell’Inter sedeva Helenio Herrera che vinse le prime sei partite della stagione, poi però non riuscì a fine anno a conquistare lo Scudetto“, sottolinea Sky Sport. Ma c’è un dato che fa ben sperare: “I numeri sono però dalla parte dell’Inter. In 11 casi su 15 la squadra a punteggio pieno nelle prime sei giornate vinse lo Scudetto. L’ultima ad iniziare una stagione da imbattuta nelle prime sei giornate sono stati proprio i bianconeri la passata stagione. Il Napoli invece nel campionato 2017-2018 pur avendo vinto le prime 6 partite, poi non riuscì a vincere lo Scudetto a fine stagione. Stessa sorte toccò alla Roma di Garcia che nel 2013-2014 vinse addirittura le prime 9 partite consecutive. I numeri sono però dalla parte dell’Inter. La squadra in grado di vincere le prime sei partite del campionato, nel 73% dei casi poi ha conquistato lo Scudetto. Solo quattro volte non è accaduto, Conte vorrà fare meglio di Herrera”.

 

 

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Milan-Inter 0-2, nerazzurri in testa a punteggio pieno con Brozovic e Lukaku

Il derby dice Conte: partita equilibrata nel primo tempo, con Donnarumma che tiene a galla il "Diavolo" e il duo Suso-Piatek che spreca grandi chance nel finale. Nella ripresa, un destro del croato deviato da Leao (all'esordio da titolare) e un colpo di testa del belga archiviano la pratica.

È bastato un venticello, travestito da deviazione sfortunata, a far saltare il sottile equilibrio dei primi quarantacinque minuti del derby di Milano. Inter e Milan si erano date battaglia con le loro armi, meglio i nerazzurri nella metà iniziale della frazione, velenosi i rossoneri nella coda. Il destino interista si è compiuto grazie a un piede fuori posto dell'esordiente Leao, gettato nella mischia da Marco Giampaolo nella serata della stracittadina: il tecnico arrivava alla Scala del calcio con il ruolino immacolato nei derby della Lanterna (4 vittorie e 2 pareggi), ma deve registrare a malincuore che Milano senza fortuna, come cantava Lucio Dalla, non necessariamente ti porta sulla luna ma più facilmente sotto terra. La rete di Brozovic - con supporto involontario di Leao - a dare il primo scossone alle fragili certezze rossonere, la maggiore qualità interista per gestire il vantaggio, la testa lieve di Lukaku su invito al bacio di Barella per chiudere il discorso e riportare l'Inter da sola in testa, quattro vittorie su quattro, spazzando via i dubbi del post Slavia Praga e facendo agitare le braccia di Antonio Conte, soddisfatto della creatura che sta via via plasmando con idee e quella dose di pragmatismo che serve per avere la lucidità di cambiare qualcosa in corsa, come dimostra il ritocco al modulo nel finale, ispiratore del gol del definitivo e meritatissimo 2-0.

Giampaolo sorprende

Tutto lineare nelle decisioni di Conte, che come da programma si copre un po' sulla corsia destra, dando campo a D'Ambrosio, sceglie Barella mezz'ala e il duo Martinez-Lukaku davanti. Giampaolo regala almeno un paio di sorprese: l'esordio di Leao è la più evidente, per scorgere la seconda servono i primi minuti di gara, perché Suso parte alle spalle delle due punte, in un ritorno al rombo non ventilato alla vigilia, forse pensato in ottica anti Brozovic, spesso schermato proprio dal numero 8 rossonero. Esperimento durato poco, visto che intorno al 20′ lo spagnolo si riapre a destra in un più classico 4-3-3. La prima parte del match era stata a forti tinte nerazzurre, con Donnarumma sugli scudi: bella risposta su un diagonale tutt'altro che irresistibile di Lukaku, quindi la risposta su Lautaro Martinez, innescato da un ispirato Sensi, e la preghiera del pubblico rossonero sul seguente tap-in a porta sguarnita di D'Ambrosio, sparato maldestramente sul palo. Il tifo milanista aveva già trattenuto il respiro su un folle retropassaggio di Rodriguez verso Donnarumma, fortunato nel rimpallo sulla pressione di Martinez.

Milan-Inter 0-2, nerazzurri in testa a punteggio pieno con Brozovic e Lukaku

I giocatori dell'Inter festeggiano con i tifosi a fine partita

Donnarumma salva, il Milan spreca

Il Milan si accorcia con il nuovo assetto, è più portato a difendere e ripartire con fluidità, manna per la gamba di Suso e Leao: lo spagnolo si fa 70 metri di campo in solitaria al 40′, dopo aver letto con grande astuzia le intenzioni di Sensi. La discesa sembra poter andare a buon fine ma la traversata toglie lucidità all'ex Genoa, che ignora il solissimo Leao per mettersi in proprio e calciare un rigore in movimento murato dal disperato intervento in scivolata di Asamoah. Una manciata di secondi prima, il guardalinee aveva con ogni probabilità colto un fuorigioco millimetrico di D'Ambrosio, capace di impegnare Donnarumma con una rovesciata stilisticamente non bellissima ma alquanto velenosa: inutile il tocco in gol di Martinez a porta vuota, il lungo riesame Var conferma la decisione dell'assistente, che forse aveva segnalato la posizione dell'argentino e non quella del terzino. Non c'era stato il check tecnologico a metà del primo tempo, con Calhanoglu a segno a gioco fermo: il fischio di Doveri per un mani di Kessié aveva vanificato ogni tipo di controllo, congelando anche Handanovic. Nel lungo romanzo dei primi 45′, la chance più grande per il Milan capita proprio in coda, con Leao che lavora magnificamente il pallone sulla sinistra per poi recapitarlo sulla testa imprecisa di Piatek, mai in partita.

Milan-Inter 0-2, nerazzurri in testa a punteggio pieno con Brozovic e Lukaku

La delusione dei giocatori del Milan

Brozovic-Leao, via il tappo al match

Quattro minuti di secondo tempo e la partita trova il suo padrone. Punizione da sinistra, Brozovic viene pescato in completa solitudine al limite dell'area e strozza il destro, Leao lo devia spiazzando Donnarumma. I nerazzurri volano a esultare ma si sente un fischio: fuorigioco di Lautaro Martinez secondo il guardalinee, serve il Var. Doveri stavolta viene chiamato direttamente al monitor ma è sotto gli occhi di tutti che la posizione dell'argentino non sia punibile, la gioia nerazzurra è rinviata solo di una quarantina di secondi. Il Milan accusa il colpo, non sembra avere le idee per mettere l'Inter alle corde: la regia di Biglia è piatta e si fatica a comprendere le ragioni dell'esclusione di Bennacer. Donnarumma mette una mano su un mancino di Martinez ma rischia grosso uscendo male sul campanile alzato proprio dal suo intervento: Lukaku di testa non inquadra i pali.

Finale interista

Paquetà per Calhanoglu è il primo cambio di Giampaolo, il brasiliano prova subito a innescare Piatek con un bel lancio ma il polacco manca l'aggancio e l'impatto promettente del nuovo entrato si arresta immediatamente. Dentro anche Hernandez per Rodriguez, il francese ha tutt'altra potenza in fase di spinta e Conte non vuole correre rischi: la freschezza di Vecino per Sensi, poi dentro anche Politano per Lautaro Martinez, necessario per il cambio di modulo. L'Inter si protegge, almeno in teoria: D'Ambrosio e Asamoah più bassi, l'ex Sassuolo e Barella larghi per un 5-4-1 che nasce difensivo ma si rivela letale per il Milan. Proprio Barella, adattato a sinistra, riceve sulla corsia e pennella per la testa di Lukaku, a cui basta indirizzare nell'angolo la deviazione per mettere in ghiaccio il match. Politano è scatenato, mancino a giro da fuori area, incrocio dei pali. L'unico sussulto rossonero è un'azione personale di Hernandez conclusa dal terzino sul palo esterno, ancora i legni protagonisti nel finale con Candreva che va vicinissimo al tris: sinistro deviato da Musacchio, parte interna del montante con Donnarumma rassegnato. Conte può festeggiare per il primo derby vinto alla guida dell'Inter e pregusta grandi traguardi, anche se la strada da percorrere rimane lunga.

MILAN-INTER 0-2 (0-0)
 

Milan (4-3-1-2): Donnarumma; Conti, Musacchio, Romagnoli, Rodriguez (26′ st Hernandez); Kessié, Biglia, Calhanoglu (19′ st Paquetà); Suso; Piatek, Leao (38′ st Rebic). All.: Giampaolo
Inter (3-5-2): Handanovic; Godin, de Vrij, Skriniar; D'Ambrosio, Barella (36′ st Candreva), Brozovic, Sensi (26′ st Vecino), Asamoah; Lukaku, Martinez (31′ st Politano). All.: Conte
Arbitro: Doveri
Reti: 4′ st Brozovic, 33′ st Lukaku
Ammoniti: Conti, Rebic, D'Ambrosio
Recupero: 3′ e 5′

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

HCALCIO ESTERO e Coppe Europee, Nazionali 2019-2020

 

Inghilterra, il Liverpool prende il largo: 3-1 al Manchester City

I Reds si aggiudicano il big match del 12° turno ad Anfield e volano a 34 punti, 9 in più della squadra di Guardiola, scavalcata anche da Chelsea e Leicester. Per gli uomini di Klopp in gol Fabinho, Salah e Manè, accorcia Silva nel finale per i campioni in carica che reclamano due rigori. Vince il Manchester United

E' un Liverpool sempre più protagonista in Premier League. La squadra di Juergen Klopp nel big match della 12esima giornata supera per 3-1 il Manchester City campione in carica e mette la freccia in classifica, consolidando il primato: 34 punti per i Reds, con nove lunghezze di vantaggio sulla formazione di Pep Guardiola, ora al quarto posto alle spalle di Leicester e Chelsea, alla pari a quota 26.

Fabinho, Salah e Manè stendono il City

Ad Anfield Road i campioni d'Europa segnano due gol nei primi tredici minuti. Ha aperto Fabinho (6′) con un destro micidiale dalla distanza. Una azione che ha fatto arrabbiare molto Guardiola, visto che nella stessa azione c'era stato un tocco di braccio in area Reds apparso abbastanza netto. Il raddoppio di Salah al 13', con un preciso colpo di testa dopo una velocissima azione di contropiede. Il tris in avvio di secondo tempo con Manè (51′), lesto in una deviazione di testa sotto misura. I citizens hanno reagito più che altro di nervi, accorciando le distanze con Bernardo Silva al 78′ e reclamando un altro rigore, ma di fatto la partita era già ampiamente indirizzata.

Vincono Manchester United e Wolverhampton

Vittoria convincente all'Old Trafford del Manchester United, che ha sconfitto per 3-1 il Brighton. Doppio vantaggio iniziale per i Red Devils, che chiudono il primo tempo 2-0 con la rete di Pereira e l'autogol di Propper. Nella ripresa gli ospiti accorciano con Dunk al 64′ ma è Rashford, due minuti più tardi, a chiudere la gara e a fissare il risultato sul 3-1. La formazione di Solskjaer sale al settimo posto della Premier con 16 punti. Nell'altra gara del pomeriggio il Wolverhampton ha sconfitto 2-1 l'Aston Villa con i gol di Neves e Jimenez. Inutile la rete dei "villains" allo scadere con Trezeguet. Pochi minuti nel finale per l'ex attaccante del Milan Patrick Cutrone.

 

Inghilterra, Chelsea e Leicester al secondo posto. Ancora pari per il Tottenham

 In Premier League vincono Chelsea (al sesto successo di fila) e Leicester (entrambe al secondo posto), Burnley, Newcastle ed Everton, mentre finisce in parità la sfida tra Tottenham e Sheffield. Questi i verdetti della dodicesima giornata in attesa delle partite domenicali in cui spicca il big match tra Liverpool e Manchester City.

Chelsea-Crystal Palace 2-0

Il Chelsea di Frank Lampard non si ferma più, almeno in Premier League. La squadra londinese infatti batte 2-0 il Crystal Palace a Stamford Bridge e, in attesa del big match di domani tra Liverpool e Manchester City, vola al secondo posto in campionato. Nell’anticipo della dodicesima giornata, i Blues vincono grazie alle reti di Abraham (7′ st) e Pulisic (34′ st): si tratta dell’ottava vittoria in Premier che li porta provvisoriamente al secondo posto a 26 punti, a -5 dalla capolista Liverpool e a +1 sulla squadra di Pep Guardiola.

Leicester-Arsenal 2-0

Il Leicester ha sconfitto perì 2-0, in casa, l'Arsenal grazie ai gol di Vardy (undicesimo centro in campionato) e Maddison. Le "Foxes" raggiungono al secondo posto nella classifica il Chelsea a 26 punti; mentre la formazione di Emery rimane a quota 17. Ai londinesi, in piena crisi, manca la vittoria in campionato dal 6 ottobre (1-0 al Bournemouth).

Tottenham-Sheffield 1-1

Continua invece a non vincere il Tottenham che ha pareggiato per 1-1, in casa, contro lo Sheffield. Al gol del vantaggio degli Spurs firmato da Son ha risposto Baldock per gli ospiti. Il team di Pochettino, che non centra i tre punti dal successo per 2-1 col Southampton del 28 settembre, con questo pari sale a quota 14 in classifica, appaiato all’Everton.

Southampton-Everton 1-2

Proprio riguardo all’Everton, bel colpo esterno in casa del Southampton con la squadra di Liverpool che sale così a quota 14. Nel primo tempo vantaggio ospite grazie a Davies dopo 4′. Nel secondo tempo arriva il pareggio dei padroni di casa con Ings al 50′: Ma l’Everton conquista il bottino pieno al 75′ con Richarlison. I biancorossi restano penultimi con 8 punti.

Burnley-West Ham 3-0

Facile e netta vittoria casalinga per il Burnley che piega 3-0 il West Ham. Dopo 11 minuti Barnes porta avanti i padroni di casa che raddoppiano al 44′ con Wood. Nel secondo tempo, al minuto 54, arriva l’autogol di Jimenez che di fatto chiude i conti. Il Burnley sale in classifica a quota 15, mentre il West Ham resta a 13.

Newcastle-Bournemouth 2-1

Vittoria tra le mura amiche anche per il Newcastle che batte il Bournemouth per 2-1. Vantaggio ospite al 14′ grazie a Wilson, ma nel finale del primo tempo, al minuto 42, pareggia Yedlin. Nella ripresa arriva al 52′ il gol da tre punti di Clark che porta i bianconeri a 15 punti in classifica, adesso a -1 proprio dal Bournemouth.

 

I bavaresi, ora secondi, fanno loro il "Klassiken" battendo 4-0 il Borussia Dortmund col polacco che diventa il primo giocatore nella storia del campionato tedesco ad aver segnato sempre nelle prime 11 giornate. All'Olympiastadion si festeggia il trentennale della caduta del Muro di Berlino, ma a vincere sono gli uomini di Nagelsmann che restano in scia della capolista

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Il Bayern Monaco, dopo il 5-1 rimediato in casa dell'Eintracht una settimana fa che è costato la panchina al tecnico Kovac, rialza la testa in Bundesliga. I bavaresi tornano all'Allianz Arena per il "Klassiker" col Borussia Dortmund e rifilano un bel poker agli uomini di Favre scavalcandoli in classifica e riprendendo l'inseguimento del primo posto difeso dal Borussia M'Gladbach impegnato domani in casa contro il Werder Brema.

Lewa-record e il Bayern fa suo il "Klassiker"

Finisce 4-0 con un Lewandowski da record. L'attaccante polacco, autore di una doppietta, ha aperto le marcature diventando il primo giocatore nella storia della Bundesliga a segnare in tutte le undici giornate disputate fino ad ora, superando il primato di Gerd Muller che deteneva il record dalla stagione del campionato tedesco 1968/69 (10 partite). Gialloneri non pervenuti e travolti oltre che dalla doppietta dell'ex (al 17′ e al 76′), anche dalla rete di Gnabry al 47′ (abile nel sfruttare una respinta corta della difesa), e dallo sfortunato autogol di Humels al 79′.

Lipsia al secondo posto, sbancato l'Olympiastadion

Al secondo posto, a pari punti col Bayern Monaco, si piazza il Lipsia che sbanca l'Olympiastadion e rovina la festa dell'Hertha Berlino che prima dell'inizio del match, nel giorno del 30esimo anniversario della caduta del Muro di Berlino, aveva organizzato una simbolica coreografia con una rappresentanza dei tifosi di entrambe le squadre a buttare giù un muro. Il match è stato vinto dal Lipsia 4-2, grazie alla doppietta di Timo Werner (11esimo centro in stagione per lui) e ai gol di Sabitzer e Kampl. Le reti dei padroni di casa, che erano passati in vantaggio, sono stati firmati da Mittelstadt e da Selke. all'Olympiastadion. Successo esterno un'altra squadra dell'ex Germania dell'Est, l'Union Berlino, che vince per 3-2 sul campo del Mainz. Conquista i tre punti anche l'Augsburg, di misura, 1-0, sul terreno del Paderborn. Pari pirotecnico (per 3-3) infine tra Schalke e Fortuna Dusseldorf.

 

Bundesliga, crollo del Bayern: l’Eintracht ne fa 5, Kovac a rischio. E si pensa a Mourinho

Il Bayern Monaco crolla a Francoforte contro l’Eintracht 5-1 nella decima giornata di Bundesliga e la posizione dell’allenatore Niko Kovac è fortemente a rischio. Tutto facile per la formazione di casa: Kostic e Sow portano il risultato sul 2-0, il solito Lewandowski accorcia ma nel secondo tempo dilagano i ragazzi di mister Hütter con i gol di Abraham, Hinteregger e Paciencia (bavaresi in inferiorità già al 9′ del primo tempo per il rosso estratto ai danni di Boateng). Una brutta figura per il club del presidente Hoeness, che potrebbe anche scegliere di cambiare tecnico: Kovac è stato riconfermato in estate per aver vinto il campionato, ora però non ci sarebbero i presupposti per andare avanti, anche se la vetta dista appena 4 punti. Il candidato alla sostituzione è José Mourinho, ormai da quasi un anno senza una panchina (fu esonerato dal Manchester United).

Spagna, il Barcellona cade col Levante e perde Suarez. Il Real ne approfitta a metà: 0-0 col Betis

Blaugrana ko in casa del Levante (3-1), l'uruguaiano va ko per un problema al polpaccio. Finisce 1-1 il big match, Siviglia-Atletico: a segno Vazquez e Morata. Vittoria preziosa per il Valencia sull'Espanyol

Spagna, il Barcellona cade col Levante e perde Suarez. Il Real ne approfitta a metà: 0-0 col Betis

Pareggiano Atletico Madrid e Real, perde il Barcellona. Sabato difficile per le grandi di Spagna: i blaugrana cadono nel pomeriggio in casa del Levante, più complicato l’impegno della formazione di Diego Pablo Simeone, che ottiene un buon pari in casa del Siviglia. In serata poi i Blancos vengono bloccati sul pari al Bernabeu dal Betis.

La giornata era stata aperta dal successo esterno del Valencia: vantaggio Espanyol firmato su calcio di rigore da Roca per mani di Kondogbia, nella ripresa pareggia Parejo, ancora sul dischetto, prima del gol di Maxi Gomez a 10′ dalla fine. Il Barcellona si illude di avere vita facile con la rete del solito Messi su penalty, ma i catalani perdono Suarez per un problema al polpaccio. Nella ripresa, in sette minuti, Campana, Mayoral e Radoja ribaltano il punteggio. L’ex Palermo Franco Vazquez apre le danze al 28′ in Siviglia-Atletico Madrid, risponde Morata al 60′, Diego Costa sbaglia il rigore della vittoria poco più tardi. Infine il Real Madrid, che non approfitta della sconfitta del Barcellona e non va oltre lo 0-0 nel match contro il Betis Siviglia al Santiago Bernabeu. Un'occasione sprecata per i blancos di Zinedine Zidane che avevano la possibilità di portarsi da soli in testa alla classifica scavalcando il Barça e che, invece, in attesa della gare di domani (il Granada può portarsi a 23) devono accontentarsi dell'aggancio in vetta a quota 22 punti.

Francia, il Psg perde il testacoda: capolavoro del Dijon

Francia, il Psg perde il testacoda: capolavoro del Dijon

Clamoroso in Ligue 1. Il Psg cade in casa del Dijon, che vince il testacoda e lascia l'ultimo posto in classifica. Passata in vantaggio dopo 19' con la rete di Mbappe, la squadra di Tuchel (alla terza sconfitta stagionale) ha prima subito il pari di Chouiar in pieno recupero del primo tempo, quindi il gol vittoria di Cadiz in avvio di ripresa. Il tecnico dei parigini ha provato la carta Cavani negli ultimi 20' affiancandolo a Mbappe, Icardi e Di Maria, ma il risultato è rimasto 2-1 per la squadra di casa.

Bundesliga, poker all'Eintracht: il Borussia M'Gladbach torna al comando

La squadra della Renania piega il Francoforte e si riprende il primato con un punto di vantaggio sul Bayern Monaco. Il Borussia Moenchengladbach vince 4-2 in casa contro l'Eintracht Francoforte e si riprende il comando della Bundesliga. Avversaria della Roma nel girone di Europa League, la squadra della Renania ha chiuso i primi 45' in vantaggio 2-0 grazie ai gol di Thuram (figlio dell'ex Parma e Juventus Lilian) e Wendt. Nella ripresa l'Eintracht ha accorciato le distanze con Da Costa ma il Borussia è andato di nuovo a segno con Elvedi. Al 79' gli ospiti tengono vive le speranze di rimonta con Hinteregger ma all'85' Zakaria chiude i conti, siglando la rete del definitivo 4-2. Il M'Gladbach sale a 18 punti, uno in più del Bayern Monaco. Nell'altro posticipo della nona giornata nessun gol tra Wolfsburg e Augsburg.

Classifica: Borussia Moenchengladbach 19 punti; Bayern Monaco 18; Friburgo, Wolfsburg 17; Borussia Dtm 16

Premier League, Leicester esagerato: 9-0 sul campo del Southampton

Premier League, Leicester esagerato: 9-0 sul campo del Southampton

Clamoroso risultato nell'anticipo della decima giornata: le Foxes strapazzano i Saints, triplette per Vardy e Perez. La squadra di Rodgers vola ora al secondo posto in classifica.

Incredibile ma vero in Inghilterra. Nell’anticipo della decima giornata di campionato, il Leicester ha vinto 9-0 in casa del Southampton. Avete capito bene: nove a zero. E' record nella storia della Premier League E adesso gli uomini di Rodgers, in attesa delle altre partite di Premier, sono secondi in classifica a quota 20 punti, uno in più del Manchester City di Guardiola.

Triplette per Vardy e Perez

Al 10′ Chilwell porta in vantaggio le Foxes. La svolta arriva due minuti dopo: padroni di casa in dieci per l’espulsione di Bertrand. Da lì in poi la partita si trasforma in una passeggiata per gli ospiti che dilagano andando ancora in gol con Tielemans, quindi con Perez, autore di una doppietta e Vardy che manda il Leicester negli spogliatoi in vantaggio per 5-0. Nella ripresa l’ex squadra di Ranieri non ha pietà, continuando il tiro al bersaglio verso la porta difesa da Gunn con Perez e Vardy ancora a segno. Al’85’ l’ottavo sigillo ad opera di Maddison e a chiudere il match il rigore trasformato da Vardy in pieno recupero che fissa il punteggio sul pesantissimo 9-0. I ragazzi di Brendan Rodgers volano così al secondo posto con 20 punti, uno in più del City e a -5 dal Liverpool. Se la passa malissimo invece il suo collega Ralph Hasenhuttl, che dopo questa umiliazione e un bottino di appena 8 punti in 10 giornate (i Saints sono terzultimi) rischia l'esonero.

Premier League, il Liverpool ribalta il Tottenham e torna a +6 sul City

Liverpool-Tottenham 2-1

Ad Anfield gli Spurs erano passati in vantaggio subito dopo il calcio d'inizio con Harry Kane: il bomber del Tottenham ha raccolto un tiro di Son respinto dal palo e di testa in tuffo ha battuto Alisson. Dopo aver accusato il colpo il Liverpool è cresciuto e solo un paio di interventi prodigiosi di Gazzaniga hanno evitato il pareggio dei Reds. Nel secondo tempo, la squadra di Klopp spinge, ma è ancora il Tottenham ad andare vicino al gol con Son, che dopo aver dribblato Alisson ha trovato la traversa da posizione defilata. Al 52′ è arrivato il pareggio dei Reds: Jordan Henderson con una conclusione di sinistro di controbalzo ha superato Gazzaniga e ha fatto esplodere Anfield. La squadra campione d'Europa ha cercato la vittoria e l'ha trovata con un calcio di rigore di Mohamed Salah, assegnato per fallo di Aurier su Mané: l'egiziano al 75′ ha battuto Gazzaniga.

 

Inghilterra, stop alla striscia vincente del Liverpool: pari con il Manchester United

 Il Liverpool non ha vinto, fermato sul pareggio dagli eternio rivali del Manchester United. Erano 17 partite consecutive (compresa la scorsa stagione) che in campionato i Reds conquistavano i 3 punti. Dopo otto vittorie in otto giornate di Premier League, la squadra di Klopp, avversaria del Napoli nel girone di Champions League, impatta a Old Trafford contro la squadra di Ole Gunnar Solskjaer. I Red Devils passano in vantaggio con Rashford dopo 36 minuti, il tutto tra le proteste degli ospiti per un presunto fallo di Lindeloff a centrocampo durante l'azione che ha portato al gol. Dopo il consulto con il Var l'arbitro convalida la rete dello United.

Poco dopo Var ancora protagonista con un gol annullato a Manè che aveva pareggiato i conti: evidenziato un controllo con la mano dell'ivoriano, con tanto di rabbia Klopp, che rientra negli spogliatoi irritato per la conduzione arbitrale. Nella ripresa gara tiratissima, ma alla fine il Liverpool trova il pari al'85' con Lallana, abile nel farsi trovare pronto sotto rete su un cross proveniente da sinistra. Nel finale assalti ripetuti dei Reds con occasioni per Alexander-Arnold e Chamberlain ma il Manchester resiste fino al 97'. Il Liverpool rimane primo a +6 sul City di Guardiola mentre il Manchester tredicesimo con 10 punti.

Continua la crisi nera del Tottenham. Gli Spurs non vanno oltre l'1-1 interno contro il fanalino di coda Watford, che strappa così il quarto punto della sua stagione: Doucoure porta subito in vantaggio gli ospiti dopo soli sei minuti, a salvare i londinesi ci pensa Dele Alli all'86'. Resta traballante la panchina di Mauricio Pochettino, con Massimiliano Allegri in pole position per l'eventuale sostituzione. Nessun problema invece per il Manchester City, che in casa del Crystal Palace passa grazie a due reti ravvicinate di Gabriel Jesus e David Silva in chiusura di primo tempo: Citizens sempre secondi a -5 del Liverpool, che ha però una gara in meno rispetto alla formazione di Pep Guardiola.

Le altre

Il turno è stato aperto dalla bella vittoria dell'Everton sul West Ham: reti di Bernard nel primo tempo e di Sigurdsson in pieno recupero. Il Chelsea supera di misura il Newcastle, a segno l'ex Fiorentina Marcos Alonso. Appaiato alla squadra di Frankie Lampard, il Leicester, bravo a ribaltare il vantaggio ospite del Burnley con Wood: di Vardy e Tielemans i gol che lanciano le Foxes. Pareggio a reti bianche tra Bournemouth e Norwich, finisce invece 1-1 Wolverhampton-Southampton: apre Ings, risponde subito Jimenez su calcio di rigore.

 

Germania: Bayern agguantato dall'Augsburg nel recupero. Cade il Gladbach, anche il Wolfburg in vetta

Secondo passo falso consecutivo per il Bayern Monaco, e in testa al campionato tedesco c'è una nuova coppia, composta da Wolfsburg e Gladbach. L'ottavo turno della Bundesliga lascia l'amaro in bocca alla formazione di Niko Kovac, che dopo il ko interno con l'Hoffenheim si fa rimontare fuori casa dall'Augsburg: i bavaresi, sotto dopo neanche sessanta secondi per mano di Richter, ribaltano la sfida con le reti di Lewandowski e Gnabry ma si lasciano riprendere in pieno recupero da Finnbogason.

Colpo Dortmund, pari Lipsia

Cade la capolista Gladbach, eurorivale della Roma in Europa League. Pur senza Jadon Sancho, escluso dai convocati per un ritardo dopo gli impegni con la nazionale inglese, il Borussia Dortmund si impone con il punteggio di 1-0: decide il gol realizzato da Marco Reus al 13' della ripresa, sfruttando un perfetto filtrante di Hazard prima di battere Sommer con un delizioso tocco sull'uscita del portiere. Finisce invece 1-1 lo scontro al vertice tra Lipsia e Wolfsburg, nuova capolista a quota 16 insieme al Gladbach: vantaggio dei padroni di casa con il solito Timo Werner, pareggio di Weghorst a 8' dalla fine.Le altre.Vittoria preziosissima nelle zone calde per l'Union Berlino, che dopo quattro sconfitte consecutive stende 2-0 il Friburgo con i gol di Bulter e Ingvartsen. Il Dusseldorf piega di misura il Mainz, sfruttando soltanto nel finale la superiorità numerica dettata dall'espulsione dell'ex Fiorentina Edimilson Fernandes: risolve Hennings all'82'. Pareggio tra Werder Brema ed Hertha Berlino: Sargent porta in vantaggio i padroni di casa, risponde Lubebakio al 70'

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Italia-Grecia 2-0, Jorginho e Bernardeschi lanciano gli azzurri a Euro 2020

I ragazzi di Mancini ottengono la settima vittoria di fila e volano alla fase finale con tre turni d'anticipo. Gara decisa nella ripresa: apre il regista su rigore, chiude i conti l'attaccante della Juve.

L'Italia è a Euro 2020. Gli azzurri non sciupano il primo match-point: pur senza brillare, battono 2-0 la Grecia, ottengono il 7° successo consecutivo nel loro girone e riscrivono la storia della nazionale. Mai, infatti, la nostra selezione era riuscita a qualificarsi per una rassegna, iridata o continentale, con 3 turni d'anticipo. Basta questo per applaudire i ragazzi di Mancini che cancellano, così, l'onta della mancata partecipazione ai Mondiali del 2018. L'Italia va alla fase finale nella sera in cui, probabilmente, ha brillato meno. Vuoi per l'importanza della posta in palio, vuoi anche per la modesta caratura di una Grecia in fase di ristrutturazione, per un'ora ha terribilmente faticato a far gioco e a creare occasioni. Poi un'ingenuità di Bouchalakis, che ha parato con un braccio un tiro di Insigne, ha spianato la strada all'Italia che ha aperto i conti su rigore con Jorginho e poi ha chiuso la pratica con il subentrato Bernardeschi.

Mancini rilancia D'Ambrosio e Spinazzola

Rispetto alla trasferta in Finlandia, Mancini ha restituito una maglia da titolare a centrocampo a Verratti, ha cambiato i due terzini in difesa, inserendo D'Ambrosio e Spinazzola al posto di Izzo e dell'indisponibile Emerson, infine in attacco, stante anche l'assenza di Pellegrini, ha rilanciato a sinistra Insigne. Sul fronte opposto il ct van't Schip, vista la qualificazione ormai sfumata, ha fatto qualche esperimento dando spazio, tra i pali, a Paschalakis, all'esordiente Hatzidiakos in difesa e al giovane Limnios in attacco.

Italia lenta e prevedibile per 45'

L'Italia ha subito preso il comando delle operazioni ma la sua manovra, nel primo tempo, è stata lenta e prevedibile. Invano gli azzurri hanno provato ad appoggiarsi sulle fasce a Spinazzola e Chiesa: la Grecia ha coperto tutti i verchi, rendendo inoffensivi Insigne e Immobile, per la verità poco e mal serviti. A complicare ulteriormente i pianti del ct è arrivato anche l'infortunio, al 35', di Chiesa, costretto ad alzare bandiera bianca per un fastidio al flessore. L'unico brivido della prima frazione lo hanno procurato gli ospiti che hanno liberato al tiro sulla destra Koulouris che non ha sorpreso sul primo palo un attento Donnarumma.

Jorginho sblocca il risultato su rigore

L'Italia ha continuato a faticare anche in avvio di ripresa. Paschalakis è rimasto inoperoso fino al 55' quando ha preferito deviare in angolo un colpo di testa di Immobile comunque destinato sul fondo. La Grecia non si è impressionata e al 60' ha di nuovo sciupato una ghiotta occasione per passare: è andata bene che Koulouris, ancora lui, abbia calciato sull'esterno della rete un bel pallone servitogli con un cross radente dalla destra da Limnios. Si è capito che per sbloccare il risultato gli azzurri avrebbero avuto bisogno di un episodio e l'occasione è puntualmente arrivata al 62'. Verratti ha liberato al tiro Insigne sul cui destro è intervenuto con un braccio largo Bouchalakis, anticipando la parata in tuffo del proprio portiere. Rigore netto che Jorginho ha trasformato con freddezza non perdendo l'occasione di diventare il miglior marcatore della gestione Mancini con 3 reti.

Bernardeschi chiude i conti

Perso per perso, la Grecia ha cambiato atteggiamento e la gara finalmente si è aperta. Insigne ha mancato di poco il raddoppio con un gran destro da 25 mt, Bakasetas dalla parte opposta, su una torre di Bouchalakis, ha svirgolato il sinistro al volo da favorevole posizione per impensierire Donnarumma. L'Italia ha ringraziato e al 78' ha chiuso i conti con un forte sinistro da fuori di Bernardeschi che, complice una deviazione con una coscia di Giannoulis, appena entrato, ha battuto di nuovo Paschalakis. La gara, di fatto, è finita qui anche se prima del fischio finale il portiere ellenico ha avuto modo di mettersi in mostra opponendosi a un destro ravvicinato di Insigne. L'Italia verde di Mancini torna a regalarci un sorriso. Ora l'importante è proseguire sul cammino di crescita.

ITALIA-GRECIA  2-0 (0-0)
Italia (4-3-3): Donnarumma, D'Ambrosio, Bonucci, Acerbi, Spinazzola, Barella (42′ st Zaniolo), Jorginho, Verratti, Chiesa (39′ pt Bernardeschi), Immobile (34′ st Belotti), Insigne. (12 Meret, 1 Sirigu, 3 Biraghi,5 Izzo, 23 Mancini, 13 Romagnoli, 11 Grifo, 4 Cristante, 22 El Shaarawy). Ct: Mancini.

Grecia (4-3-1-2): Paschalakis, Bakakis, Chatzidiakos, Siovas, Stafylidis, Zeca, Kourbelis, Bouchalakis (30′ st Giannoulis), Bakasetas (34′ st Mantalos) Limnios, Koulouris (22′ st Donis) (1 Vlachodimos, 13 Dioudis, 4 Lampropoulos, 10 Fetfatzidis, 7 Siopis, 15 Galanopoulos, 16 Pavidis, 19 Vrousai, 23 Koutris). Ct: Van't Schip.
Arbitro: Karasev (Rus).
Reti: nel st 18′ Jorginho su rigore, 33′ Bernardeschi.
Angoli: 7-4 per l'Italia.
Recupero: 1′ e 3′.
Note: ammoniti Chatzidiakos, Koulouris e Bouchalakis per gioco falloso.
Spettatori: 57 mila per un incasso di 501 mila euro.

 

Germania, Bayern cade in casa. Dortmund frena a Friburgo. Schalke beffato al 92'

Germania, Bayern cade in casa. Dortmund frena a Friburgo. Schalke beffato al 92'
Festa Hoffenheim: il Bayern cade in casa (reuters)

 

Bavaresi sorpresi dall'Hoffenheim: 1-2. Gialloneri raggiunti nel finale sul 2-2. Per la squadra di Gelsenkirchen la vetta soltaria sfuma in pieno recupero: 1-1 con il Colonia

Dopo il 2-7 incredibile in Champions contro il Tottenham, il Bayern Monaco cade in Bundesliga. Per i bavaresi imprevisto capitombolo interno contro l'Hoffenheim. Succede tutto nella ripresa: gli ospiti passano in vantaggio nel secondo tempo con Adamyan, ma poco dopo i bavaresi pareggiano con il solito Lewandowski. Inerzia della gara verso il Bayern, ma è di nuovo l'Hoffeneim a passare in vantaggio sempre con Adamyan per l'1-2 finale. Bavaresi agganciati da Friburgo, Lipsia e Leverkusen, che comunque approfittano parzialmente del passo falso dei campioni di Germania: Lipsia e  Leverkusen (di fronte nello scontro diretti) hanno pareggiato 1-1 (gol nel secondo tempo di Volland e Nkunku) mentre il Friburgo ha pareggiato per 2-2 con il Borussia Dortmund, che a sua volta vede sfumare nel finale (autorete su cross del nerazzurro Grifo) la possibilità di agganciare il Bayern. Nell'altra gara del pomerggio il sempre più ultimo Paderborn è stato sconfitto per 2-1 dal Mainz.

Infine, nell'ultima gara del sabato, occasione sprecata per lo Schalke 04, che si vede pareggiare la gara nei minuti finali dal Colonia e che, dunque, non va al comando solitario della classifica. Finisce 1-1 a Gelsenkirchen, con i padroni di casa in vantaggio al 72' con Serdar, raggiunti al 92' da Hector. Lo Schalke si aggiunge al gruppo delle altre quattro squadre a quota 14 punti, in vetta alla classifica tedesca.

Champions: Psg e Bayern agli ottavi. Real Madrid e Tottenham a valanga, cade l'Atletico Madrid

Icardi stende il Bruges, francesi avanti con due gare d'anticipo. Il Bayern si rialza in coppa con Lewandowski e Perisic. Merengues e Spurs travolgenti contro Galatasaray (6-0 al Bernabeu) e Stella Rossa (4-0 a Belgrado). Scivolone a Leverkusen per i Colchoneros, pari rocambolesco tra Dinamo Zagabria e Shakhtar Donetsk

Si chiude la quarta giornata di Champions con alcuni verdetti. Oltre alla Juventus, si qualificano con due turni d'anticipo agli ottavi di finale il Bayern Monaco e il Paris Saint Germain. Nel gruppo B i tedeschi si confermano a punteggio pieno dopo il successo sull'Olympiacos e guidano davanti al Tottenham con cinque punti di vantaggio. Inglesi che, dopo la vittoria di Belgrado, ipotecano il secondo posto. Stesso discorso nel gruppo A con i parigini a punteggio pieno (Icardi stende il Bruges) davanti al Real Madrid (6-0 al Galatasaray) con cinque lunghezze di vantaggio. Nel gruppo D, quello della Juve, tonfo dell'Atl. Madrid a Leverkusen col Bayer che vince per 2-1. Infine nel gruppo C, quello dell'Atalanta, pari rocambolesco tra Dinamo Zagabria e Shakhtar Donetsk, appaiate in classifica e in piena lotta per il secondo posto.

Champions: Psg e Bayern agli ottavi. Real Madrid e Tottenham a valanga, cade l'Atletico Madrid

Real Madrid-Galatasaray 6-0

Al Bernabeu il Real Madrid archivia la pratica Galatasaray dopo appena un quarto d'ora di gioco. Al 4′ cross di Marcelo dalla sinistra per Rodrygo che, tutto solo sul secondo palo, elude il ritorno di due uomini e col sinistro infila Muslera sul palo più lontano. I turchi accusano il colpo e 2′ più tardi capitolano, ancora sull'asse Marcelo-Rodrygo con l'ex Santos che questa volta infila Muslera di testa. Per lui la doppietta più veloce della storia della Champions (6'14"). All'11' un pestone di Nzonzi su Kroos sulla linea dell'area di rigore costringe l'arbitro a visionare il Var: 2′ più tardi il tedesco Zwayer assegna il calcio di rigore che Sergio Ramos realizza. Nel finale di tempo Rodrygo si trasforma in uomo assist e serve a Benzema il pallone del 4-0. All'81' il pokerissimo firmato ancora Benzema che diventa così il quarto miglior marcatore della storia della Champions con 62 gol segnati. In pieno recupero la personale tripletta di Rodrygo che fa calare il sipario sul Galatasaray.

PSG-Bruges 1-0

Una rete di Mauro Icardi, la settima nelle ultime quattro partite, permette al Paris Saint Germain di battere in casa il Bruges e di volare agli ottavi di finale con un turno d'anticipo. I parigini, a punteggio pieno nel girone A con cinque punti di vantaggio sul Real Madrid, passano in vantaggio al 22′ con l'argentino che raccoglie un traversone basso dalla destra di Dagba e col piattone batte Mignolet. Gli ospiti cercano il pareggio sbattendo continuamente contro Navas. L'estremo difensore costaricano nega più volte il gol a Okereke, poi al 73′, quando Thiago Silva stende Diagne in area, para il rigore del possibile pareggio al numero 10 nerazzurro.

Bayern Monaco-Olympiacos 2-0

Aspettando il nome del prossimo allenatore, è buona la "prima" di Hans-Dieter Flick sulla panchina bavarese. Il Bayern Monaco vola agli ottavi di Champions con due turni d'anticipo grazie alla vittoria sull'Olympiacos per 2-0. Le reti entrambe nella ripresa. Al 69′ il vantaggio firmato Lewandowski, al 21esimo centro stagionale in 17 partite giocate: cross di Coman e il polacco anticipa Semedo e batte Sa. All'89' il raddoppio firmato dall'ex interista Perisic che raccoglie un altro traversone di Coman e batte l'estremo difensore portoghese

Stella Rossa-Tottenham 0-4

Partita tutt'altro che scontata a Belgrado dove il Tottenham deve ricorrere a tutta la sua esperienza per portare a casa i tre punti. Gli Spurs passano in vantaggio al 34′ col primo gol stagionale di Lo Celso al termine di un'azione rocambolesca: prima il palo dice "no" a Kane, poi sulla ribattuta Son si vede negare il gol sulla linea di porta, quindi la sfera resta in area e ancora il coreano, su assist del capitano, colpisce la traversa, infine dopo 40" di batti e ribatti in area, Lo Celso di potenza e precisione fa felice Pochettino. Nella ripresa, al 57′, Son raddoppia con un bolide di sinistro dal limite dell'area piccola che non lascia scampo al portiere di casa. Singolare l'esultanza del coreano che chiede "scusa", molto probabilmente ad André Gomes, il portoghese dell'Everton uscito in barella nell'ultima sfida di Premier dopo lo scontro col giocatore asiatico. Il numero 7 ospite realizza la personale doppietta quattro minuti più tardi sull'assist di Rose. All'85' Eriksen chiude le marcature per il 4-0 finale.

Dinamo Zagabria-Shakhtar Donetsk 3-3

Gara incredibile e senza fine al Maksimir di Zagabria dove succede davvero di tutto tra la Dinamo e lo Shakhtar. Al quarto d'ora ospiti in vantaggio con Alan Patrick che prima innesca con una verticalizzazione Junior Moraes, poi va a chiudere l'azione depositando in rete su assist dello stesso giocatore naturalizzato ucraino, ma di origini brasiliane. Al 25′ il pareggio dei padroni di casa con Petkovic bravo a saltare più in alto di tutti e infilare di testa Pyatov per l'1-1 su un traversone dal limite di destra di Théophile-Catherine. Nella ripresa l'espulsione di Moro tra i croati e quella di Marlos tra gli ucraini lasciano le due squadre in dieci. All'83' Ivanusec, imbeccato in area da Petkovic, completa la rimonta con un bel diagonale sul secondo palo. 6′ più tardi il 3-1 di Ademi che sembra far calare il sipario sulla sfida. Così non è, perché lo  Shakhtar accorcia al 93′ con Junior Moraes, poi una folle gomitata in area di Théophile-Catherine su Pyatov vista dal Var manda Dentinho sul dischetto e il brasiliano firma il clamoroso 3-3 al 98′.

Bayer Leverkusen-Atletico Madrid 2-1

Gara nervosa e per lunghi tratti dominata dal Bayer Leverkusen quella della BayArena che vede il meritato vantaggio dei padroni di casa, seppur grazie a un autogol di Thomas sugli sviluppi di un calcio d'angolo, solo al 43′. In precedenza i tedeschi erano andati vicini al vantaggio in tre occasioni, due volte con Volland (palla fuori di un soffio e tiro centrale dal limite) e una con Felipe (traversa da corner). Nella ripresa proprio Volland raddoppia al termine di una bella azione di Bellarabi che poi crossa sul primo palo per il proprio capitano, stop e destro dove Oblak non può arrivare. Nel finale gol annullato a Morata per fuorigioco e rissa in area spagnola ridimensionata dall'arbitro con cinque cartellini gialli, tre per la formazione iberica, due per quella tedesca. In pieno recupero col Bayer in 10 per l'espulsione di Amiri, Morata trova il gol della bandiera ospite. Allo scadere altra grande occasione per l'ex juventino, ma è bravissimo Hradecky a dirgli di no. Per i tedeschi primi tre punti nel girone della Juve.

Borussia-Inter 3-2: Lautaro e Vecino illudono, poi i nerazzurri crollano

Borussia-Inter 3-2: Lautaro e Vecino illudono, poi i nerazzurri crollano

Da 0-2 a 3-2, dagli ottavi di finale in tasca alla qualificazione appesa a un filo. In 45 minuti l'Inter passa dall'inferno al paradiso perdendo 3-2 in casa del Borussia Dortmund: doppio vantaggio firmato Lautaro-Vecino, nella ripresa rimonta tedesca con la doppietta di Hakimi e Brandt. Per la squadra di Conte un black-out che probabilmente verrà pagato con l'eliminazione dalla Champions.

Primo tempo perfetto

Davvero inspiegabile cosa sia successo nella ripresa considerando che i primi 45 minuti della squadra di Conte erano stati praticamente perfetti: vantaggio immediato al 5′ con Lautaro, bravo a finalizzare un'azione personale partita dalla destra. E' lo stesso argentino al 40′ a lanciare l'azione del raddoppio con uno splendido cambio gioco sulla destra per Candreva, cross al limite dove Vecino supera con un piatto all'angolino Burki.

Furia giallonera

E' tutta un'illusione però perché, al rientro in campo dopo l'intervallo, la musica cambia. Il Borussia Dortmund ha un'altra aggressività mentre i nerazzurri spariscono dal campo. A trascinare i padroni di casa è Hakimi, che sulla destra è letteralmente indiavolato. Il terzino marocchino accorcia le distanze al 51′ sfruttando un assist di Gotze, conclusione sporca ma precisa su cui Handanovic non può nulla. Al 64′ errore imperdonabile dell'Inter: su un banale fallo laterale, Brozovic si addormenta, Brandt riceve in area un pallone d'oro da parte di Alcacer e supera Handanovic all'angolino. Colpiti nel morale, i nerazzurri non riescono più a uscire dalla propria metà campo, ma il peggio deve arrivare perché al 77′ ancora Hakimi scambia con Sancho e firma la rete del 3-2 con una fulminante penetrazione da destra.

Qualificazione appesa a un filo

Per il Dortmund sembra una partita di allenamento, per l'Inter ci si mette anche la sfortuna perché Politano, appena entrato al posto di Lukaku, riceve un durissimo colpo alla caviglia e, finite le sostituzioni, resta in campo solo per onor di firma, ma giocando di fatto a mezzo servizio. Nel finale ci prova Sensi dal limite, ma la sua conclusione è troppo centrale e parata senza problemi da Burki. Finisce così 3-2, per l'Inter ora è durissima. Il Barcellona, nonostante il pareggio casalingo contro lo Slavia, resta primo a 8, segue il Borussia a 7, nerazzurri a 4 e cechi a 2. Sicuramente bisognerà vincere a Praga e poi compiere un'impresa a San Siro contro il Barça che però, battendo la prossima i tedeschi, potrebbe già essere qualificato. Comunque la voglia di reazione dei ragazzi di Favre dopo il primo tempo e la spinta forsennata del pubblico non possono giustificare un calo così evidente nella ripresa.

BORUSSIA DORTMUND-INTER 3-2 (0-2)
Borussia Dortmund (4-2-3-1): Burki; Hakimi, Akanji, Hummels, Schulz; Witsel, Weigl; Sancho (37′ st Piszczek), Brandt, Hazard (43′ st Guerreiro); Gotze (19′ st Alcacer) (40 Oelschlagel, 2 Zagadou, 6 Delaney, 8 Dahoud). All.: Favre.

 

Atalanta-Manchester City 1-1: Pasalic risponde a Sterling, primo punto per i nerazzurri

Atalanta-Manchester City 1-1: Pasalic risponde a Sterling, primo punto per i nerazzurri

La squadra di Gasperini tiene testa a quella di Guardiola. Inglesi avanti nel primo tempo, Gabriel Jesus sbaglia un rigore. Nella ripresa la reazione orobica produce il pari, finale vibrante con i Citizens in dieci e il difensore Walker in porta.

MILANO - Grazie a 45 minuti di straordinaria intensità ed emozione l'Atalanta conquista il primo storico punto in Champions League contro i maestri del Manchester City. In due settimane la goleada subita all'Etihad Stadium (5-1) diventa un pareggio insperato che finisce per risultare addirittura stretto ai bergamaschi per l'andamento del secondo tempo. L'inizio è da incubo, ma la ripresa è spettacolare. Il City conclude in 10 con il difensore Walker in porta dopo l'infortunio di Ederson e l'espulsione del sostituto Bravo. E gli ottavi non sono ancora una chimera grazie al pareggio al fotofinish a Zagabria tra Dinamo e Shakhtar Donetsk.

San Siro è nerazzurro: oltre 30mila tifosi dell'Atalanta riempiono il primo anello e il secondo rosso e arancione. La loro spinta sarà incessante per tutta la partita. A tratti anche commovente perché non si è esaurita nemmeno nei momenti più difficili. Il primo banco di prova è quasi immediato. Dopo appena sette minuti il Manchester City proietta una pillola di puro calcio spettacolo: Bernardo Silva pesca Gabriel Jesus in mezzo all'area di rigore, il brasiliano inventa un assist di tacco geniale per Sterling che non perdona Gollini. Questa volta i Campioni della Premier League non concedono all'Atalanta nemmeno l'onore della prima mezzora, come successo nella gara di andata. Gli inglesi partono fortissimo nonostante la decisione di Guardiola di tenere in panchina Aguero. Per il City sembra una prova generale da giocare con la massima intensità in vista della partitissima di domenica con il Liverpool. E il test sembra già chiuso prima dell'intervallo. Al 39' l'arbitro bielorusso Kulbakov assegna un rigore al City per fallo di Toloi su Sterling, ma corregge la decisione al Var perché la trattenuta è fuori area. E' solo un rinvio di pochi secondi perché sulla punizione successiva Ilicic commette fallo di mano. Questa volta le conseguenze negative sono annullate da un tiro terrificante di Gabriel Jesus che calcia a lato di un paio di metri rizollando il dischetto. Lì comincia la resurrezione atalantina.

Il secondo tempo è un romanzo. I bergamaschi scrivono subito  il capitolo più bello al 4': cross di Papu Gomez dalla sinistra e perfetto inserimento di testa di Pasalic che super Bravo entrato all'intervallo al posto dell'infortunato Ederson. San Siro impazzisce di gioia: i 30mila tifosi atalantini saltano iniziando a immaginare una vittoria da favola per la regina delle provinciali italiane contro i nababbi degli Emirati Arabi. Il City fatica a uscire dalla metà campo. La pressione degli uomini di Gasperini è fortissima. Ilicic diventa un gigante. Dijmsiti sfiora il 2-1 di testa. Il copione diventa commedia al 36' quando Bravo stende Ilicic lanciato a rete. Kulbakov sventola il cartellino rosso e il City resta senza portieri. Al termine di una manfrina non particolarmente degna di una squadra del livello degli inglesi, tra i pali va il difensore Walker che entra al posto di Mahrez. Interminabile la lungaggine della panchina del City che perde sei minuti in un balletto incomprensibile con il quarto uomo.

L'Atalanta vede il sogno a portato di mano, ma l'unica conclusione verso la porta del City sarà la successiva punizione di Malinovskyi appena spedito in campo da Gasperini. Walker para in due tempi, con molta incertezza, ma basta a non far rotolare il pallone oltre la linea. Il City a quel punto cerca soprattutto di neutralizzare la partita con un certo ostruzionismo. Gasperini prova il tutto per tutto inserendo anche Muriel. Ma sono abili Aguero e compagni (il Kun è entrato al 28' del secondo tempo) a congelare la manovra. L'arbitro concede 7 minuti di recupero e, nonostante qualche ulteriore perdita di tempo, fischia la fine senza nemmeno un secondo aggiuntivo.  Resta il primo storico punto  conquistato dall'Atalanta nell'Europa delle stelle. Ma sembra svanito ogni sogno di qualificazione agli ottavi perché il 3-1 della Dimamo in casa sullo Shakhtar chiude quasi ogni speranza (troppo difficile ribaltare il ko per 4-0 dell'andata anche in caso di arrivo a pari punti a quota 7). Invece deve ancora arrivare l'ultimo colpo di scena della serata. A Zagabria lo Shakhtar pareggia (3-3) con una rimonta incredibile negli ultimi minuti. Ora l'Atalanta dovrà battere ucraini e croati sperando nella sconfitta degli avversari contro il City. Da questa sera la Champions non è più una reggia troppo bella per essere invitati. L'Atalanta inizia a camminare sicura in quei saloni. E tutto è ancora possibile.

Atalanta-Manchester City 1-1 (0-1)
Atalanta
: (3-4-2-1): Gollini; Toloi, Djimsiti, Palomino; Hateboer, De Roon, Freuler (39' st Malinovskyi), Castagne (dal 46' st Muriel); Pasalic, Gomez; Ilicic (57 Sportiello, 4 Kjaer, 5 Masiello, 13 Arana, 99 Barrow) All.: Gasperini.
Manchester City (4-3-3): Ederson (1'st Claudio Bravo); Cancelo, Otamendi, Fernandinho, Mendy; De Bruyne, Gundogan, Bernardo Silva; Mahrez (42' st Walker), Gabriel Jesus (28' st Aguero), Sterling (5 Stones, 12 Angelino, 50 Garcia, 69 Doyle) All.: Guardiola.
Arbitro: Kulibakov (Bielorussia)
Reti: nel pt 7' Sterling; nel st 4' Pasalic Angoli: 8-2 per il Manchester City
Recupero 1' e 7'
Ammoniti: Djimsiti, Toloi, Ilicic, Fernandinho, Castagne, Mendy, Bernardo Silva per gioco scorretto
Espulso: Claudio Bravo al 36' st per fallo da ultimo uomo
Spettatori: 32.147 per un incasso di 961.314,00 euro
Note: Gabriel Jesus ha calciato fuori un rigore al 43' pt. Walker ha terminato la gara in porta per l'espulsione di Bravo.

Lazio-Celtic 1-2: Immobile non basta. Ntcham al 95', biancocelesti quasi fuori

Un gol nell'ultimo minuto di recupero condanna la Lazio. All'Olimpico vince ancora il Celtic Glasgow, come nel turno precedente, e sempre per 2-1. Biancocelesti in vantaggio in avvio grazie al solito Immobile, ma nel finale del primo tempo pareggia Forrest. Secondo tempo equilibrato con occasioni da entrambe le parti, ma il tiro giusto lo trova Ntcham al 95′. Adesso il Celtic è già ai sedicesimi grazie ai 10 punti conquistati; segue il Cluj a quota 9, mentre la Lazio resta a 3 e vede allontanarsi la qualificazione.

La apre Immobile

Inzaghi schiera un 3-5-2 con Caicedo e Immobile in attacco. Sugli esterni Lazzari e Jony con Milinkovic, Leiva e Parolo in mezzo al campo. In difesa giocano Luiz Felipe, Vavro e Acerbi. Lennon risponde col 4-2-3-1 con Edouard punta avanzata e Forrest, Christie ed Elyounoussi a supporto. Brown e McGregor davanti alla difesa, Elhamed e Hayes esterni con Jullien e Ajer centrali. Parte forte la Lazio e dopo 7′ va in vantaggio: cross dalla destra di Lazzari, Caicedo prolunga di testa e Immobile col destro insacca sul secondo palo. La partita pare mettersi in discesa per i padroni di casa che insistono e insidiano l'area scozzese. Come al 21′: gran palla di Luiz Felipe che smarca Immobile solo davanti al portiere, controllo ma il bomber viene rimontato e fermato. Poco dopo quasi autogol su un angolo capitolino, mentre Immobile viene murato sul più bello.

Pareggia Forrest

Lentamente la Lazio perde campo e concede troppo al Celtic che attacca a folate cercando il varco giusto. E gli uomini di Lennon lo trovano al 38′ anche se la difesa ha tante colpe: Milinkovic perde palla al limite, quindi errore di Acerbi che non intercetta un passaggio di Elyounoussi; in area controlla Forrest che col destro insacca in diagonale. I biancocelesti reagiscono e Forster deve salvare in tuffo in angolo. Corner, palla vangante e diretta in porta, ma Jullien salva i suoi. L'azione prosegue e Parolo di testa da ottima posizione manda la sfera alta.

Ntcham all'ultimo minuto

Comincia meglio il Celtic il secondo tempo e le occasioni piovono. Edouard impegna Strakosha, mentre Forrest ed Elyounoussi a più riprese si rendono pericolosi. Inzaghi allora decide di cambiare: fuori Jony e dentro Lulic, e dentro Luis Alberto al posto di Leiva. Il nuovo assetto tattico laziale funziona e la squadra capitolina finalmente attacca. Al 66′ Milinkovic lancia Immobile che penetra in area e conclude. Deviazione di Jullien e richiesta di rigore per fallo di mano, ma per l'arbitro è tutto regolare. Un minuto dopo colpo di testa del serbo, ma respinge Forster. Al 74′ Luis Alberto coglie il palo direttamente da calcio d'angolo, mentre Lazzari da fuori non trova la porta. Sul fronte opposto Edouard penetra in area da solo, ma col piatto destro manda la sfera sul fondo. Lazio pericolosissima a poco dalla fine: prima Berisha tira ma respinge Forster. Azione che continua e lo stesso Berisha serve Caicedo che di testa colpisce debolmente e male. Successivamente Luis Alberto ci prova col destro a giro, ma salva ancora Forster, quindi tiro da fuori di Milinkovic con palla di poco out. Sono cinque i minuti di recupero e proprio all'ultimo il Celtic passa e vince: regalo di Berisha a Elyounoussi, palla in area per il subentrato Ntcham che controlla e col tocco sotto di destro beffa Strakosha.

Lazio-Celtic Glasgow 1-2 (1-1)
Lazio (3-5-2): Strakosha, Luiz Felipe, Vavro (37′ st Berisha), Acerbi, Lazzari, Parolo, Lucas Leiva (13′ st Luis Alberto), Milinkovic Savic, Jony (13′ st Lulic), Caicedo, Immobile (23 Guerrieri, 4 Patric, 15 Bastos, 34 Adekanye). All.: Inzaghi

 

Champions:Inter-Borussia Dortmund 2-0: Lautaro e Candreva rilanciano i nerazzurri

Inter-Borussia Dortmund 2-0: Lautaro e Candreva rilanciano i nerazzurri

L'attaccante (che poi sbaglia anche un rigore) e l'esterno piegano i tedeschi. Ora la qualificazione per la squadra di Conte non è più un miraggio. L’Inter doveva solo vincere per non abdicare in Champions League prima ancora della fine di ottobre. E lo ha fatto con una prestazione estremamente intelligente: un gol nella prima mezzora con Lautaro  per indirizzare la partita nella direzione giusta, una sofferenza controllata nella parte centrale della gara e la fiammata finale di un formidabile Candreva per blindare il risultato dopo il rigore fallito pochi minuti prima da Lautaro (provocato dal baby Esposito subito protagonista). I nerazzurri agganciano i tedeschi a  quota 4 in classifica, ma adesso sono in vantaggio per gli scontri diretti. E tra due settimane cercheranno di dilatare questo vantaggio in classifica nella trasferta in Germania.

I 4500 tifosi tedeschi coprono con il loro grande bandierone giallonero i teloni anti-vibrazione posizionati al terzo anello. Una trovata intelligente per nascondere quel rattoppo non particolarmente bello da vedere. In campo il tecnico Favre sorprende lasciando in panchina Goetze, nonostante le assenze di Reus e Alcacer. Al centro dell’attacco c’è Brandt con Hazard e Sancho ai lati. E’ inaspettato anche il modulo: 3-4-3 con Hakimi e Schulz sulle fasce a centrocampo. E’ proprio Schulz, per metà originario di Ischia, a propiziare involontariamente il vantaggio dell’Inter non salendo a tempo con il resto dei difensori del Borussia. Un ritardo fatale perché consente di tenere in gioco Lautaro, abilissimo ad addomesticare il lancio di De Vrij e castigare Burki. Il Toro è in un momento di grazia: quarta partita consecutiva in gol dopo quelle con Barcellona, Juventus e Sassuolo. Per la freddezza sotto porta sembra adatto l’accostamento a un rettile.Dopo appena 22 minuti Antonio Conte vede la partita posizionarsi in discesa. Merito della pazienza certosina con la quale i suoi giocatori hanno atteso di scardinare lo strettissimo assetto dei tedeschi, asserragliati in due linee di difesa e centrocampo vicinissime. Al primo pertugio De Vrij ha infilato il passe-partout per Lautaro. Da quel momento l’Inter  lasca l’iniziativa al Borussia che inizia a farsi pericoloso nel finale del primo tempo con Sancho. Il giovane inglese, al rientro dopo la punizione (una partita fuori rosa e la multa) per il rientro tardivo dagli impegni con la Nazionale, prosegue nella missione dopo l’intervallo. E’ lui a creare i problemi maggiori ai nerazzurri. Alla mezzora ci pensa Candreva a spazzare l’area dopo una conclusione ravvicinata del numero 7.  L’ex laziale, in forma smagliante, aveva già dato un contributo simile nella prima frazione. Insieme a Lautaro (bravissimo, errore dal dischetto a parte) è stato il migliore dell’Inter. Bene anche Gagliardini e Barella che non hanno mollato di un centimetro in mezzo al campo e De Vrij in difesa. E nella mezzora finale ha impressionato il baby-Esposito, 17 anni, trattenuto dall’Inter dopo l’infortunio di Sanchez mentre era in partenza per il Mondiale di categoria in Brasile. Scelta ripagata subito perché il giovanissimo talento, subentrato a un deludente Lukaku, si è procurato un rigore con potenza e scaltrezza, costringendo al fallo un difensore espertissimo come Hummels.

Lautaro, però, ha sospeso bruscamente il suo periodo d’oro facendosi parare il tiro dagli undici metri da Burki, in dubbio fino all’ultimo. La sofferenza, però, dura appena sette minuti perché al termine di un contropiede fulminante, nell’ultimo giro di orologio prima del recupero, Candreva vola verso la porta del Borussia e fa planare il pallone in rete scatenando l’entusiasmo di San Siro. E’ il coronamento di una prestazione magnifica che certifica una delle metamorfosi più evidenti di un calciatore negli ultimi anni. Opaco nelle ultime stagioni all’Inter, è diventato un fattore trascinante. L’Inter riprende la Champions in corsa e ora andrà a giocarsi la qualificazione a Dortmund tra due settimane. Ma adesso può farlo da posizione di forza. 

INTER - BORUSSIA DORTMUND 2-0
22’ pt Lautaro, 44’ st Candreva
INTER (3-5-2)
Handanovic - Godin, De Vrij, Skriniar - Candreva, Gagliardini, Brozovic, Barella,  Asamoah (35’ st Biraghi) - Lukaku (17’ st Esposito), Lautaro (45’ st Borja Valero). All. Conte.
BORUSSIA (3-4-3)
Burki - Akanji (29’ st Bruun Larsen), Weigl, Hummels - Hakimi, Witsel, Delaney (20’ st Dahoud), Schulz - Hazard (39’ Guerreiro), Brandt, Sancho. All. Favre.
Arbitro: Taylor (Inghilterra)
Note: ammoniti Godin, Brozovic, Barella, Weigl, Candreva. Burki para un rigore a Lautaro al 37’ st. Spettatori 65.673
 

Champions: Morata fa felice l'Atletico. Doppio Icardi, il Psg vola

 

Icardi esulta: Psg travolgente a Bruges (afp)

Morata fa felice l'Atletico Madrid

Nel girone della Juve resta in testa alla classifica assieme ai bianconeri l'Atletico Madrid che deve attendere fino al 78' per sbloccare (1-0) l'equilibrato match con il Bayer Leverkusen. Ci pensa proprio un ex juventino, Morata, a far felice Simeone: lanciato nella mischia al 70' segna il gol vittoria con un perentorio colpo di testa su cross dalla sinistra di Lodi. Poco prima, al 63', la squadra arbitrale portoghese non aveva fatto una bella figura: su un lancio lungo, Bender, scivolando in area, aveva atterrato con un braccio Diego Costa: rigore netto non visto dal direttore di gara Artur Dias, per la verità non supportato a dovere dal Var.

La Dinamo Zagabria ferma lo Shakhtar

Nel gruppo dell'Atalanta, lo Shakhtar non va oltre il 2-2 con la Dinamo Zagabria. Gara ricca di emozioni e capovolgimenti di fronte a Kharkiv. Ucraini in vantaggio al 17' con un preciso diagonale di Konoplyanka e raggiunti al 25' da un bel tocco di Olmo in anticipo su Pyatov in uscita su un cross di Orsic. Lo stesso Orsic diventa protagonista in avvio di ripresa: prima colpisce un palo e poi (60') trasforma un rigore concesso dall'arbitro Mateu su suggerimento del Var per colpa di una clamorosa ingenuità di Pyatov a gioco fermo sugli sviluppi di un angolo (plateale trattenuta ai danni di Gavranovic). A togliere le castagne dal fuoco al tecnico Castro pensa il 21enne brasiliano Dodo che, appena entrato, pareggia (75') sfruttando alla perfezione un perfetto lancio smarcante in area di Patrick.

Incidenti ad Atene: feriti 6 tifosi del Bayern che batte l'Olympiacos

Nel gruppo B il Bayern resta in testa a punteggio pieno passando per 2-3 ad Atene contro l'Olympiacos. I greci passano al 23' con un colpo di testa di El Arabi respinto da Neuer dopo che la palla aveva superato già la linea di porta, i bavaresi pareggiano al 34' con il solito Lewandowski, lesto a riprendere una corta respinta di Sa su una sforbiciata di Muller. I due si rendono protagonisti anche dell'1-2 al 63': torre di Muller per il polacco che, sul filo del fuorigioco, anticipa Sa con un pregevole tocco d'esterno destro di controbalzo. A calare il tris pensa al 73' Tolisso con un bel destro a giro sotto l'incrocio da fuori area. L'Olympiacos non ci sta e all'80' accorcia le distanze con un pizzico di fortuna: un destro da fuori area di Guilherme è deviato con un braccio da Thiago Alcantara che, involontariamente, spiazza Neuer. Troppo tardi, però, per evitare la sconfitta. La vigilia della gara è stata turbata da quanto successo nel pomeriggio a margine della sfida tra le due formazioni giovanili in Youth League: oltre 60 ultras dell'Olympiacos, incappucciati, nascosti dai caschi e armati di spranghe e oggetti vari, sono entrati dentro la struttura che ospitava la gara, dirigendosi verso alcuni tifosi del Bayern, aggredendoli e colpendoli. Sei sostenitori tedeschi e un addetto alla sicurezza sono stati trasportati in ospedale per le ferite riportate. La partita è stata sospesa per oltre 20′ e si è conclusa sullo 0-4 per gli ospiti. Adesso l'Olympiacos rischia pesanti sanzioni da parte dell'Uefa.

Il Tottenham travolge la Stella Rossa e torna in corsa

Nell'altra gara del girone, tutto facile per il Tottenham che travolge (5-0) la Stella Rossa scavalcandola nella corsa al 2° posto. Apre le marcature al 9' Kane con un colpo di testa su angolo di Lamela. L'ex romanista è protagonista anche del 2-0 con un cross dalla destra per Son che insacca con un forte sinistro in diagonale di controbalzo. Il coreano cala il tris in contropiede al 44' su lancio smarcante di Ndombelé. Al 57' Lamela corona la sua ottima prestazione con il gol del 4-0: sinistro in girata su assist dalla destra di Aurier. Al 72' arriva il 5-0, firmato ancora da Kane che approfitta di un altro lancio di Ndombelé per battere di nuovo Borjan.

Doppio Icardi, il Psg ride. Il Real si rilancia

Resta a punteggio pieno anche il Psg che, nel gruppo A, passeggia (0-5) a Bruges. I parigini passano già al 6' con un bel destro in anticipo sul primo palo di Icardi su cross dalla destra di Di Maria. Poi, dopo aver fallito due facili occasioni con Di Maria e Icardi, raddoppiano al 61' con Mbappé, da poco entrato, lesto a riprendere una respinta corta di Mignolet su cross dalla sinistra di Di Maria. Il Bruges crolla e, 2' dopo, permette al Psg di dilagare: Mata sbaglia un retropassaggio a Mignolet, si inserisce Mbappé che consente a Icardi di realizzare la personale doppietta. Fa meglio di lui Mbappé che nel finale (79' e 83') si scatena arrivando a segnare una tripletta in contropiede sfruttando due assist di Di Maria. Un risultato che fa felice il Real che si riprende il 2° posto passando di misura (0-1) a Istanbul con il Galatasaray. La squadra di Zidane viene salvata in avvio per due volte da Courtois, prodigioso nel respingere due conclusioni di Andone, poi (18') pensa Kroos a portarla in vantaggio, su assist di Hazard, con un forte destro deviato in maniera decisiva sotto la traversa da Seri. Le merengues hanno poi legittimato la vittoria andando più volte vicini al raddoppio c

 

Champions, Atalanta-Shakhtar 1-2: Solomon punisce i bergamaschi all'ultimo secondo

La squadra di Gasperini prova a vincerla fino alla fine ma proprio al 95' arriva la beffa. Nel primo tempo Ilicic si fa parare un rigore da Pyatov, Zapata firma il gol del vantaggio e Junior Moraes quello del momentaneo pari.

Non è nemmeno fortunata l'Atalanta nella sua prima avventura in Champions League. Dopo il disastroso esordio di Zagabria, arriva la sconfitta (1-2) anche al Meazza contro lo Shakhtar. Un ko amaro e immeritato che giunge all'ultimo secondo di gioco quando i bergamaschi tentavano di vincerla. Nel primo tempo vantaggio di Zapata dopo che Ilicic si era fatto parare un rigore da Pyatov. Il pareggio lo firma Junior Moraes, mentre Salomon al 95′ regala i primi tre punti agli ucraini nel gruppo C.

Ilicic sbaglia un rigore, poi ci pensa Zapata

Gasperini recupera Gomez e lo schiera in attacco insieme a Zapata e Ilicic. In mezzo al campo de Roon e Pasalic con Hateboer e Castagne esterni. In difesa Toloi, Palomino e Masiello con Gollini in porta. Castro risponde col 4-2-3-1 con Junior Moraes unica punta supportato da Marlos, Kovalenko e Taison. Davanti alla difesa ci sono Patrick e Stepanenko. Bolbat e Ismaily esterni. Parte forte l'Atalanta con un ritmo altissimo che comunque gli avversari accettano e seguono. Dopo 5′ colpo di testa di Pasalic con palla alta. Al 14′ splendida azione bergamasca con tacco di Gomez per Ilicic che viene steso da Krivtsov: rigore anche dopo il check Var. Batte Ilicic ma Pyatov respinge. L'Atalanta non si scoraggia e attacca ancora e al 28′ Pasalic prende un clamoroso palo; l'azione continua, palla a destra per Hateboer che crossa e Zapata segna anche grazie a un'uscita a vuoto di Pyatov.

Champions, Atalanta-Shakhtar 1-2: Solomon punisce i bergamaschi all'ultimo secondo

Il rigore fallito da Ilicic

Pareggia Junior Moraes

Dopo l'1-0 orobico, lo Shakhtar comincia a rendersi pericoloso ma Gollini è bravo su Marlos mentre al 34′ il portiere ferma alla grande Junior Moraes anche se poi viene fischiato un fuorigioco. Al 36′ Gollini blocca anche un tiro da fuori di Patrick, mentre al 41′ nulla da fare per l'Atalanta quando Ismaily imbuca in area Junior Moraes che, solo in area, salta Gollini e insacca a porta vuota per l'1-1. Nel recupero brividi quando Marlos su punizione coglie una traversa piena.

Beffa Solomon

Il secondo tempo è più tattico e si gioca a ritmi leggermente più bassi anche se è soprattutto l'Atalanta a provarci. Dopo un tiro di Gomez parato da Pyatov, Ismaily si gira e conclude ma Marlos gli sporca il tiro sul fondo. Quindi Gasperini cambia inserendo Malinovskyi al posto di Ilicic e Gosens per Hateboer. Al 63′ grande chance per gli orobici: lancio per de Roon con tocco a destra per Gomez che crossa basso e Zapata in anticipo in spaccata mette sul fondo. Gollini blocca un tiro di Taison mentre ancora Zapata sfiora il gol ma trova un super Pyatov. Gasp si gioca anche la carta Muriel per Masiello arretrando de Roon in difesa, mentre Castro inserisce Solomon al posto di Patrick. L'Atalanta spinge, ma Pyatov ferma Gomez mentre un bolide di sinistro di Malinovskyi termina di nulla sul fondo. Sono 4 i minuti di recupero e con generosità i nerazzurri attaccano alla ricerca dei tre punti, ma proprio al 95′ lo Shakhtar riparte e la sfera arriva in area dove Castagne non riesce e spazzarla con Solomon in agguato che punisce gli orobici.

Atalanta-Shakhtar Donetsk 1-2 (1-1)
 

Atalanta: (3-4-1-2) Gollini; Toloi, Masiello (23′ st Muriel), Palomino; Hateboer (12′ st Gosens), De Roon, Pasalic, Castagne; Gomez; Ilicic (12'st Malinovskyi), D.Zapata (57 Sportiello, 4 Kjaer, 11 Freuler, 19 Djimsiti). All.: Gasperini
Shakhtar Donetsk: (4-2-3-1) Pyatov; Bolbat (48′ st Dodò), Matviyenko, Kyvtsov, Ismaily; Stepanenko, Alan Patrick (24′ st Solomon); Marlos (41′ st Koloplyanka), Kovalenko, Taison; Junior Moraes (1 Shevchenko, 8 Marcos Antonio, 9 Dentinho, 77 Bondar). All.: Castro
Arbitro: Stieler (Ger)
Reti: nel pt 28′ Zapata, 41′ Junior Moraes; nel st 50′ Solomon
Angoli: 4-3 per lo Shakhtar
Recupero: 2′ e 6′
Ammoniti: Kyvtsov, Stepanenko, Ilicic, Junior Moraes, De Roon, Bolbat, Toloi, Malinovskyi per gioco falloso
Spettatori: 25mila circa.

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Luciano Spalletti ha praticamente perso l’occasione di approdare al Milan dopo la trattativa con l’Inter per la buonuscita. Una trattativa in cui i nerazzurri hanno usato il pugno duro:

L’Inter avrebbe informalmente chiesto al Milan di subentrare nell’impegno economico che ha con l’allenatore, ma invano. A complicare le cose c’è anche il fatto che il presidente Steven Zhang non vede di buon occhio il passaggio del suo ex allenatore in rossonero, allo stesso modo in cui promise ai tifosi nerazzurri che non avrebbero «mai visto Mauro Icardi con la maglia della Juve ». Affrontare il derby di ritorno con Spalletti al Milan è una prospettiva che lo preoccupa.

Milan, un rosso da record: bilancio in perdita per 156 milioni

Aumenta il record dopo il passsivo di 135 milioni di un anno fa. Una "pulizia" nei conti necessaria per ripartire anche dal punto di vista finanziario. Elliott ha già provveduto a coprire il disavanzo.

Per il Milan un bilancio da record, ma del tutto in negativo. Il documento che copre la stagione 2018-2019 e che si è chiusa il 30 giugno scorso prevede una perdita pari a 155,9 milioni di euro. Ben oltre le cifre di cui si è parlato finora (tra i 90 e i 100 milioni) e superiore anche al "rosso" registrato l'anno precedente, quando le perdite erano arrivate a 135,6 milioni.

Ma c'è da preoccuparsi? La perdita è ovviamente ingente. E ora il fondo Elliott, diventato proprietario dall'aprile del 2017, quando è subentrato al misterioso uomo d'affari cinese Yonghong Li non più in grado di finanziare il club, dovrà mettere mano al portafoglio e coprire le perdite. Ma, in realtà, l'amministratore delegato del MIlan Ivan Gazidis ha fatto una mossa tutto sommato prevedibile e tipica dei manager al loro primo anno di incarico. In pratica, ha provveduto a una "pulizia di bilancio", scontando tutte le perdite possibili in un solo anno per ripartire da zero.

Tra l'altro, Elliott ha già anticipato i soldi per coprire le perdite e finanziare la stagione in corso, fondi che ora verranno convertiti in azioni, evitando così di lanciare un aumento di capitale. 

La lettura del bilancio rivela dopo si sono accumulate le maggiori perdite. Ci sono stati meno proventi dalla "gestione calciatori" per 16,5 milioni, a causa di minori plusvalenze e ingaggi pù alti, aumento dei costi del personale per 35,3 milioni, oltre a spese maggiori per i servizi (5 milioni) e minori incassi da sponsorizzazioni e attività commerciali per 6,8 milioni..

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2018-2019--Inter-Empoli 2-1: Keita e Nainggolan portano i nerazzurri in Champions

Inter-Empoli 2-1: Keita e Nainggolan portano i nerazzurri in Champions
I giocatori dell'Inter festeggiano a fine partita (afp)

Match ricco di emozioni al 'Meazza', dove la squadra di Spalletti agguanta per i capelli il 4° posto grazie ai gol dell'attaccante e del belga ex Roma e alle parate di Handanovic, mentre Icardi fallisce il rigore del 2-0. Non basta il momentaneo pari di Traore ai commoventi toscani, condannati alla B. Poco meno di cento minuti palpitanti, ricchi di intensità ed emozioni, sul rettangolo di gioco e sugli spalti per decretare questo verdetto: Inter in Champions League ed Empoli in serie B, nonostante una prova di una generosità e determinazione encomiabili, che avrebbero meritato un destino diverso. Già, perché la banda Andreazzoli ha fatto soffrire fino alla fine la corazzata nerazzurra, tenendo i 70mila di San Siro con il fiato sospeso sino al triplice fischio. Con il 2-1 finale la squadra milanese agguanta per i capelli il quarto posto grazie alle reti, nella ripresa, di Keita Balde (mossa azzeccatissima il suo inserimento nell'intervallo da parte di Luciano Spalletti, che chiude quarto come l'anno scorso e probabilmente saluterà per lasciare spazio ad Antonio Conte) e Nainggolan, a salvare un'annata per lui povera di soddisfazioni, dopo il momentaneo pari dei toscani siglato da Traore, e grazie alle parate di un super Handanovic (spettacolo ha dato anche il collega di ruolo Dragowski dalla parte opposta).


DRAGOWSKI SARACINESCA NEL PRIMO TEMPO - Un match che è sembrato un film, per i tanti colpi di scena che il copione ha regalato. Subito ritmi altissimi: Nainggolan e Politano provano a sbloccarla, ma l'Empoli (reduce da tre successi) in contropiede spreca con Caputo, che sbaglia l'appoggio per Traore. L'Inter preme e Perisic col sinistro obbliga Dragowski a una gran parata. Bello ma innocuo il tacco di Vecino, che poi spara alto col destro. Non c'è un attimo di tregua, Farias da una parte, Icardi dall'altra: lo 0-0 però non si sblocca mentre da Ferrara e Reggio Emilia, dove sono impegnate Milan e Atalanta, iniziano ad arrivare notizie contrastanti. Anche Brozovic spara da fuori: corner, poi autentico miracolo di Dragowski sull'incornata di de Vrij (27′). Quindi Nainggolan: fuori.

 

ENTRA KEITA E SBLOCCA IL MATCH, ICARDI SBAGLIA RIGORE - Occasionissima Empoli al 31′: Handanovic è decisivo a tu per tu con Caputo. Politano, Traore e, soprattutto, Asamoah, protagonisti negli ultimi brividi di un primo tempo al termine del quale l'Inter è fuori dalla Champions. Spalletti inserisce subito Keita per Asamoah (Perisic terzino) e l'ex Lazio crea subito pericoli: attento Maietta. D'improvviso cambia tutto: Keita fa tutto da solo, destro compreso, stavolta Dragowski è costretto ad arrendersi. Attorno all'ora di gioco Icardi avrebbe la possibilità del raddoppio per un rigore (dubbio rivedendo le immagini) fischiato da Banti per contatto Dragowski-Icardi: il portiere polacco respinge la conclusione dell'ex capitano nerazzurro e tutto resta aperto.

TRAORE PAREGGIA E GELA SAN SIRO - Serve un Handanovic mostruoso per strappare a Farias il pallone di un 1-1 che appariva ormai scontato: il popolo interista tira un sospiro di sollievo. Fuori Icardi (dentro Lautaro) e Perisic subito dopo per infortunio (tocca a Dalbert). Incredibile al 76′: Uçan, innescato da Brighi, serve dentro Traore, solissimo, ed è 1-1.

NAINGOLLAN SIGLA IL 2-1, POI SUPER HANDANOVIC - Pazzesca altalena di emozioni: percussione di Vecino, palo pieno e sulla respinta Nainggolan non sbaglia. Finita? Neanche per sogno. La paura attanaglia l'Inter che centra una clamorosa 'autotraversa' con D'Ambrosio, salvando però il 2-2. Handanovic miracoloso su Uçan, poi Keita spara addosso a Dragowski, quindi ancora Handanovic su Farias. Brozovic firmerebbe anche il 3-1 a porta vuota, ma Banti rivedendo allo schermo annulla per un precedente fallo di Keita su Dragowski salito nell'area avversaria a saltare di testa e viene espulso (doppio giallo). Ultimi assalti toscani, commoventi, ma alla fine il 'Meazza' può esultare: Inter in Champions. E per i giocatori dell'Empoli lacrime amarissime.

INTER - EMPOLI 2-1 (0-0)
INTER (4-2-3-1): Handanovic; D'Ambrosio, De Vrij, Skriniar, Asamoah (1' st Keita Balde); Vecino, Brozovic; Politano, Nainggolan, Perisic (29' st Dalbert); Icardi (26' st Lautaro Martinez). (27 Padelli, 46 Berni, 5 Gagliardini, 13 Ranocchia, 15 Joao Mario, 20 Borja Valero, 21 Cedric, 23 Miranda, 87 Candreva)All.: Spalletti.
EMPOLI (3-5-2): Dragowski; Maietta (26' st Ucan), Silvestre, Dell'Orco; Di Lorenzo, Acquah (26' st Brighi), Bennacer, Traore, Pajac; Farias, Caputo. (1 Provedel, 21 Perucchini, 5 Veseli, 32 Rasmussen, 23 Pasqual, 43 Nikolaou, 28 Capezzi, 37 Oberlin, 7 Mchedlidze). All: Andreazzoli.
ARBITRO: Banti di Livorno.
MARCATORI: nel st 6' Keita Balde (I), 31' Traore (E), 37' Nainggolan (I).
ESPULSI: nel st 50' Perucchini (E) dalla panchina per proteste, 51' Keita Balde (I) per doppia ammonizione.
AMMONITI: Pajac (E) e Perisic (I) per gioco falloso, Caputo (E) e D'Ambrosio per proteste.
ANGOLI: 8-2 per l'Inter.
RECUPERO: pt 0′, st 5+2′.

 
I legali bianconeri hanno presentato ricorso contro Federcalcio, Inter e Coni contro l’appello respinto dalla FIGC  che aveva respinto il precedente reclamo, confermando il titolo ai nerazzurri. La Juventus chiede che venga ritirata quella decisione e che venga annullato l’atto di assegnazione. E’ una battaglia che dura da 13 anni e nei scorsi mesi il club juventino si era rivolto al TFN per avere l’annullamento della delibera del 2011 con la quale la FIGC aveva dichiarato che non ci sono presupposti giuridici per togliere lo scudetto del 2006 all’Inter. 
 
Entro un mese verrà fissata la data dell’udienza. Dal punto di vista della giustizia ordinaria la questione si è chiusa a dicembre 2018 con la Cassazione che ha lasciato definitivamente lo scudetto numero 14 all’Inter confermando che la controversia rientra nell’ambito degli organi sportivi. Ecco perché la Juventus non si è ancora arresa e vuole, nell’ambito della giustizia sportiva, togliere lo scudetto al club nerazzurro. La squadra che in questo momento sul campo sta provando a togliere ai bianconeri gli scudetti del futuro: domenica la sfida diretta al Meazza. Non vale ancora un titolo, ma potrebbe mettere tante cose in chiaro.

 

Black Sabbath - Born Again - musica da scaricare e ascoltare ...

Dopo la dipartita, per disaccordi personali e musicali, di Ronnie James Dio e Vinny Appice, i rimanenti Tony Iommi e Geezer Butler chiamano il cantante Ian Gillan (uscito per diverbi dai Deep Purple nel 1973 e che nel frattempo aveva messo in piedi una carriera solista) e il batterista originario Bill Ward, ripresosi dai problemi con l'alcool che lo avevano costretto a ritirarsi durante il tour dell'album Heaven and Hell.

L'album fu pubblicato nell'agosto del 1983 e, inizialmente, non fu accolto calorosamente dalla critica, a causa delle sonorità di produzione ritenute mediocri. Tuttavia in seguito si rivelò un buon successo, raggiungendo il quarto posto nelle classifiche inglesi[1] e venendo inserito nella classifica Top 40 statunitense. L'album venne in seguito certificato con il disco di platino.

Musicalmente è album dal sound più massiccio rispetto agli album precedenti, che vede un inasprimento nello stile dei Black Sabbath. Il brano Zero the Hero è stato oggetto di una cover da parte dei Cannibal Corpse (presente nell'album EP Hammer Smashed Face).

La copertina [modifica]

La copertina dell'album, disegnata da Steve Joule in stato di ebbrezza (pensò addirittura di cancellarla, una volta ripresosi, ma incontrò l'opposizione di Iommi e Butler che invece la gradirono), rappresenta un neonato dalle sembianze demoniache ed è simile a quella del singolo del 1981 dei Depeche Mode New Life (è stata utilizzata infatti la stessa immagine[2][3]). Al momento della pubblicazione dell'album, l'aspetto particolare della copertina fu oggetto di controversie. Ciò non ha impedito comunque che la copertina sia la preferita di alcuni musicisti metal tra cui Glen Benton (Deicide) e Max Cavalera (Soulfly)[2].

Inter, sold out gli abbonamenti per il 2019/2020! Svolta storica: aperta waiting list

FC Internazionale Milano comunica che sono esaurite tutte le disponibilità di abbonamenti per la stagione 2019/20

FC Internazionale Milano comunica che sono esaurite tutte le disponibilità di abbonamenti per la stagione 2019/20, avendo raggiunto il limite massimo fissato dalla società.

I tifosi dell'Inter sono i più appassionati e fedeli d'Italia

Un successo straordinario che ha visto terminare in poche ore quasi tutti i posti disponibili, sin dal primo giorno di apertura della vendita libera. La fase dedicata ai rinnovi degli abbonamenti 18/19 si era conclusa con un numero record di tessere confermate.

Lista d’attesa 2020/2021 – Alla luce della grande richiesta, l’Inter guarda già al futuro e apre – per la prima volta nella sua storia – la lista d’attesa per la stagione 2020/21, per tutti i tifosi che vogliono assicurarsi da subito un posto in prima fila nell’acquisto di abbonamenti.

L’iscrizione è aperta online su inter.it/abbonamenti dalle ore 11.00 di oggi, giovedì 27 giugno, fino alle ore 11.00 di venerdì 12 luglio ed è riservata ai titolari di tessera “Siamo Noi”.

Una volta conclusa la fase di rinnovo abbonamenti la prossima primavera 2020, saranno quindi gli iscritti alla lista d’attesa a poter acquistare per primi gli abbonamenti eventualmente non rinnovati.

Punti vendita -In ragione del sold out degli abbonamenti, lo sportello biglietteria dell’Inter Store di Galleria Passerella sarà chiuso fino al 31 luglio compreso.

Resterà invece aperto il punto vendita San Siro, con orario 9.30-12.45 | 14.00-17.45, per assistenza e acquisto di tessere “Siamo Noi”.

Si ricorda che la tessera “Siamo Noi” può essere sottoscritta anche online alla pagina inter.it/siamonoi, al costo di 10 Euro con spedizione gratuita in tutta Italia.

Tutti i dettagli alla pagina inter.it/abbonamenti!

 

 

SIX FEET UNDER | EMP Mailorder Italia ::: La vendita per ...

Formation, Haunted, and Warpath (1993–1997)

After Barnes and West joined forces, they recruited Terry Butler, who knew West from his involvement with Massacre, and Greg Gall, Terry Butler's brother-in-law. Six Feet Under first played in 1993 at clubs, performing mostly cover songs. The band began writing original material in the middle of 1994. Because Barnes was already signed to Metal Blade Records with Cannibal Corpse, Six Feet Under signed to this label.

Their first album, Haunted, was released on September 1, 1995. Haunted was produced by Brian Slagel (who discovered Slayer) and Scott Burns (who discovered Sepultura and worked with Napalm Death,and Deicide among others). Unlike either of the members' main bands, Six Feet Under did not play many guitar solos on the album, and the songwriting was still a work-in-progress. However, the grooves and the distinct vocals were praised.[2] By this point Chris Barnes had made Six Feet Under his main priority. In 1996, in the process of recording Vile, he parted ways with Cannibal Corpse.

Six Feet Under's next release was the Alive and Dead EP on October 29, 1996. A dual studio/live EP, it contains three studio recordings ("Insect," "Drowning," and a Judas Priest cover, "Grinder") and four tracks from Haunted performed live. The band released their second studio album, Warpath, on September 9, 1997. Of note are the tracks "Death or Glory", which is a cover of the Holocaust song, and "4:20," which showcases Barnes' clean vocals and his love of marijuana. "4:20," duration four minutes and 20 seconds, was recorded on April 20, 1997 at 4:20 pm.[citation needed]

Stadi – Inter da record, è la più seguita in Serie A. Le cifre di tutti i club

L’Inter, ancora una volta, si conferma il club di serie A più seguito allo stadio, lo confermano i numeri degli abbonati e degli spettatori medi a partita, che poco hanno a che fare con le ultime due discrete annate e l’arrivo di giocatori di grido come Lukaku, Godin o De Vrij: i tifosi Nerazzurri erano i primi per presenza in Italia anche quando la squadra arrivava settima o nona.

 

Libero oggi riporta i dati di tutte le squadre di Serie A, e Milano la fa da padrona:

“Le presenze in Serie A sono in aumento: l’ultima stagione ha infatti registrato un’affluenza media di 25.068 persone a partita, la più alta dagli ultimi dieci anni. L’impressione è che ci sia sempre più voglia di vedere il calcio italiano non tanto nei fedelissimi, quanto negli appassionati che si erano allontanati. Il dominio della Juventus, per paradosso, sembra aver rinforzato l’attaccamento degli altri tifosi, come se le difficoltà fossero un richiamo più forte delle vittorie. L’Inter ne è la dimostrazione più evidente: anche quest’anno ha registrato il record (40mila tessere), ed è destinata a confermarsi come la più seguita: lunedì, per l’esordio con il Lecce, ne attende 65mila. Ma anche il Milan certifica la teoria: non è in Europa, non ha condotto un mercato di grido, eppure ha raccolto 30mila abbonati”.

 

Il fatto che  le due milanesi guidino la classifica dei club con più abbonati con cifre importanti non è solo una questione di ricchezza della città, ma di passione e di piazze importanti che sono tornate in Serie A:

“Si dirà che Milano è Milano, più gente, più soldi, più abbonamenti, ma la verità è che conta la passione. Altrimenti non si spiegano i quasi 18mila al seguito del Lecce neopromosso. I record sono nell’aria anche perché la A, per la gioia di Lotito, ha ritrovato grandi piazze, storicamente legate al calcio, come appunto Lecce, ma anche Verona (l’Hellas, al posto del meno seguito Chievo), e Brescia (già oltre 10mila, ma Cellino ha riaperto la campagna per cavalcare l’onda-Balotelli), dopo il Parma e la Spal, che intanto si sono consolidate in A (entrambe sui 9.500). In più, crescono le ambizioni della borghesia: l’Atalanta è ormai grande, deve solo convivere con i lavori per il nuovo stadio (ecco perché 8.700 tessere), mentre club come il Bologna, il Cagliari e il Torino stanno convincendo i tifosi con progetti seri, e i tifosi stessi hanno imparato ad avere pazienza”.

L’arrivo di grandi campioni, come quello di Cristiano Ronaldo lo scorso anno, sicuramente ha contribuito a questo incremento di pubblico:

“La Juventus fa storia a sé: visto che è impossibile aumentare i posti allo Stadium (né andare oltre la soglia di 27.700 per vendere qualche biglietto singolo in più) si è dovuto gonfiare il listino prezzi. Ma la Juve ha dato anche una visibilità nuova al campionato: è indubbio che l’arrivo di Cristiano Ronaldo abbia dato una scossa e coinvolto qualche neutrale in più. Le altre società hanno il merito di aver alimentato l’effetto cercando grandi giocatori: l’ultimo esempio è Ribery, con cui Commisso ha rispolverato l’entusiasmo di Firenze. E infatti la Fiorentina ha superato le 20mila tessere. È forse ciò che dovrebbe fare De Laurentiis a Napoli, oltre ad una comunicazione più efficace, per tamponare il problema San Paolo: 9mila abbonamenti, per una squadra da scudetto, sono pochi, l’eccezione che conferma la regola”.

Ci sono anche casi negativi, come la Roma che è protagonista di un piccolo ridimensionamento:

“L’altro dato negativo è quello della Roma, ferma a 18.400, 5mila in meno dell’anno scorso, ma d’altronde è il dazio per il brusco saluto a Totti e De Rossi. Non solo i giocatori: sempre più squadre si appellano ad allenatori capaci di coinvolgere a prescindere dai risultati: così il Sassuolo, con De Zerbi, sta creando una piccola fan-base (quasi 7mila tessere, meno di tutti ma non poche per una società-oasi), così riparte il Genoa con Andreazzoli, e la Samp con Di Francesco. Ma anche la Juve con Sarri, l’Inter con Conte, la Roma con Fonseca, oltre ai soliti noti. Se il prodotto è di qualità, aumenta l’interesse. Ora vale anche per la serie A”.

Mantenimento di San Siro-Meazza: lo studio PRINCIPIOATTIVO Architecture Group.

Giorni cruciali. Per il presente, ma soprattutto per il futuro. Perché la decisione da prendere cambierà inevitabilmente il corso degli eventi, la percezione di un luogo sacro e di un simbolo. Inter e Milan hanno dato una svolta al percorso che porterà alla costruzione dello stadio del futuro. Fin qui, mentre il Comune di Milano si è espresso nettamente in favore della ristrutturazione di San Siro, le due società hanno scelto con forza la via della costruzione di un nuovo impianto, funzionale e al passo con i più grandi stadi d’Europa, in grado di garantire alle società introiti decisamente superiori a quelli che nerazzurri e rossoneri percepiscono attualmente dal Meazza, che in quel caso verrebbe mestamente abbattuto. Due posizioni molto nette, dunque. Ma c’è anche chi propone una terza via: è il noto studio d’architettura milanese PRINCIPIOATTIVO Architecture Group, che ha prospettato, sulla scia di quanto accaduto per esempio a Londra con l’Highbury e l’Emirates Stadium, una riqualificazione e una rifunzionalizzazione di San Siro che, rimanendo in piedi, vestirebbe un abito tutto nuovo. Per capirne di più, FCInter1908.it ha intervistato in esclusiva Luca Bigliardi, architetto e Founding Partner dello studio.

Fin qui il dibattito si è diviso tra l’abbattimento di San Siro con la conseguente costruzione di un nuovo impianto, e la ristrutturazione del Meazza. Ci pare di capire che il vostro studio proponga una terza via.
Esattamente. Il nostro progetto non è in contrasto con la visione delle due squadre, perché è ovvio che serva uno stadio nuovo per esigenze sportive e di marketing e che San Siro non possa più avere la funzione che si richiede a uno stadio moderno, anche perché sappiamo tutti quale sarebbe il costo di una ristrutturazione che metta a nuovo il Meazza. La riflessione è un’altra: ma perché bisogna per forza fare a meno di San Siro come elemento simbolico di Milano, quando si potrebbe rifunzionalizzarlo, come accade in altre parti del mondo, e garantirgli così una nuova vita? Perché non dobbiamo pensare che il campo da calcio diventi in parte un parco e in parte uno spazio sportivo dedicato ai cittadini, che così potrebbe davvero andare a giocare all’interno di San Siro? Le esigenze commerciali e immobiliari di Inter e Milan sono perfettamente comprensibili, ma perché non possiamo in parte integrarle all’interno dello stadio? Se si recuperasse parte di questo volume, potremmo mantenere un simbolo, riducendo l’impatto ambientale e, al tempo stesso, rifunzionalizzare un’area che è cara per tutti i cittadini. E’ quello che è capitato a Londra con l’Highbury Park: per i tifosi dell’Arsenal è cambiata solo la direzione di uscita dalla metropolitana, ma intanto è stato mantenuto in piedi l’ingresso del vecchio stadio che, invece, è diventato l’ingresso di un’area residenziale.Nel dettaglio, all’interno di quello che oggi è lo stadio San Siro, cosa verrebbe realizzato?
Abbiamo pensato a un business park, con un museo dedicato al calcio italiano e di Milano, dove possa essere mantenuta la storia di San Siro, uno spazio con quasi 14.000 metri quadri di uffici, che possano affacciare sul campo da gioco, che a sua volta potrebbe essere trasformato in parte come un’area comune a tutti i cittadini, e in parte costituito da una serie di piccoli campi sportivi che possano essere utilizzati dai milanesi durante l’anno, e per attività ludico-creative a seconda delle necessità. Tutto questo per lasciare un bene di proprietà del Comune di Milano e che possa sfruttato a livello economico dal Comune stesso e dalle squadre.

Cosa rimarrebbe all’esterno dell’aspetto del Meazza?
Quello che la Soprintendenza ha sottolineato è il valore artistico del secondo anello e delle rampe esterne, concetti che sono stati ripresi in tantissimi impianti in giro per il mondo, data la loro sicurezza e funzionalità. La parte esterna, dunque, verrebbe mantenuta. Per la parte interna, invece, potrebbe prevedere una parte delle tribune trasformate in spazi per gli uffici. E’ un po’ quello che è successo anche a Barcellona con la storica Arena del Foro, che ha perduto la sua funzione, ma che nell’immaginario collettivo è rimasto, nonostante sia stato trasformato in centro commerciale. Così come i due progetti finalisti per la costruzione dello stadio (Populous e Manica/Sportium, ndr) prevedono anche a rigenerare il quartiere, si può pensare che anche San Siro possa essere rigenerato in tal senso.

Sono in molti a sostenere che due strutture così non possano coesistere nella stessa area. Qual è la vostra posizione in merito?
Due strutture esclusivamente sportive, con la stessa finalità d’uso, non hanno senso di coesistere. Ma il fatto che un simbolo di Milano come San Siro e il futuro stadio possano coesistere non ha alcun contraddittorio. L’esempio di Highbury Park è palese. Dal punto di vista storico, le due strutture dialogherebbero bene tra di loro e, anzi, sarebbero un perfetto simbolo dell’evoluzione della città di Milano, di come la storia e quindi la città si evolve.

La realizzazione di questo San Siro 2.0 sarebbe alternativa alle aree commerciali prospettate dai progetti Populous e Manica/Sportium oppure potrebbero in qualche modo vivere insieme?
Possono assolutamente vivere insieme. Secondo noi sarebbe la soluzione più ragionevole, integrando parte degli uffici in quello che oggi è lo stadio San Siro. La nostra analisi non va in contrasto con i progetti per la riqualificazione dell’area, ma è piuttosto un ragionare sulla stessa riqualificazione del quartiere attraverso lo sfruttamento di una struttura già esistente.

Qualora il Comune dovesse pronunciarsi (come sembra) contrario alla demolizione di San Siro, c’è l’ipotesi concreta che Inter e Milan siano “costrette” a costruire il nuovo stadio a Sesto San Giovanni. Non sarebbe questa una sconfitta per tutti, istituzioni in primis?
Non parlerei tanto di sconfitta, dato che, come in altre aree del mondo, anche per Milano sarebbe ormai corretto parlare di città metropolitana e non più solo di città. E’ vero altresì che i milanesi hanno sempre pensato a San Siro come un luogo per la città di Milano. Di sicuro la scelta sarà politica e non dettata da motivazioni tecniche e per questo non mi pronuncio. Sarebbe bene, comunque, arrivare a una decisione attraverso una collaborazione tra le parti.

Al di là di quella che sarà la decisione delle istituzioni e delle società, è d’accordo nell’affermare che una soluzione vada trovata al più presto, per il bene dei club ma anche della stessa città di Milano?
Certo, sarebbe meglio trovare una soluzione a breve. Ma nemmeno si può prendere una decisione dettata dalla fretta. Serve piuttosto trovare un equilibrio, in modo tale che il tavolo di lavoro possa optare per la soluzione più giusta. Sono anni che parliamo di un nuovo stadio a Milano: sembra che si sia arrivati a una svolta da questo punto di vista, dettata dalle necessità delle squadre. Noi non stiamo ragionando sul nuovo stadio, non è quello che ci interessa; quello che vogliamo è ragionare su San Siro in una funzione diversa, rigenerandolo.

Con la sua nuova funzione, San Siro potrebbe comunque contribuire al raggiungimento dei 124 milioni annui di ricavi che Inter e Milan hanno prospettato dalla costruzione del nuovo impianto e delle aree commerciali circostanti?
Non si possono dare numeri precisi in questa fase: quello che posso dire è che San Siro è un elemento comunale e stiamo ragionando su come il Meazza, attraverso una collaborazione tra tutte le parti in gioco, possa diventare una risorsa ed una occasione per tutti quanti. Fin qui ci sono state due posizioni molto nette. Noi poniamo una domanda: perché non ragionare, così come fatto in altre parti del mondo, su una rigenerazione con altre funzioni di un simbolo come San Siro, seppur con altre funzioni?

NELLA PAGINA SUCCESSIVA, I PROGETTI DI RIFUNZIONALIZZAZIONE DI SAN SIRO

 

[edit] Maximum Violence and Graveyard Classics (1998–2000)

Nuovo San Siro, previsto grattacielo di 143 metri: le torri saranno 3, ecco i dettagli

Una delle torri per l’area intorno al nuovo stadio potrebbe raggiungere l’altezza di 143 metri. Ma non sarà la sola

Una nuova torre a Milano, una torre a San Siro. Come svela il Corriere della Sera, se le indicazioni contenute nel piano di fattibilità saranno rispettate una delle torri previste per l’area intorno al nuovo stadio potrebbe raggiungere l’altezza di 143 metri.

Si tratta dell’edificio destinato a ospitare gli uffici nella zona Est e «consiste nella realizzazione di un immobile a torre di 35.640 metri quadrati di superficie lorda disposto su 28 livelli, alto 143 metri affacciato sulla via Achille».

Ecco i dettagli raccontati dal Corriere della Sera:

Una torre presente in entrambi i progetti

Un’indicazione che potrebbe essere stata recepita nei progetti dei due studi di architettura ancora in lizza. Nel progetto di Populous ci sarà infatti un grattacielo «in stile Citylife» e un altro più piccolo, ma due torri sono previste anche nel rendering di Progetto Cmr con Sportium.

Il sesto grattacielo di Milano

Con l’altezza di 143 metri il grattacielo di San Siro diventerebbe il sesto skyscraper della città dopo la Torre Allianz con i suoi 242 metri, la Torre Unicredit 232 metri, la Torre Generali 177 metri, Torre Pwc 175 metri, Palazzo Lombardia 161 metri e alla pari con Torre Solaria alta 143 metri.

Tre torri

Lo studio prevede anche un’altra torre che però si dovrebbe fermare a 97 metri. È l’edificio che dovrà ospitare il «Complesso alberghiero e centro congressi» con una superficie di 16.120 metri quadrati di superficie lorda, disposto su 19 livelli e alto, appunto, 97 metri. Alla sua base il Centro congressi di 4mila metri quadrati di superficie, affacciati su via Achille.

Il masterplan dà indicazione anche per una terza torre alta 68 metri su 13 livelli per una superficie di 20mila metri quadrati. È la struttura che ospiterà gli uffici nell’area Ovest. Prevede la realizzazione di un immobile doppio a torre unito alla base da una piastra comune.ù

Sono questi i tre edifici che svilupperanno gran parte delle cubature in altezza, ma il distretto ricreativo prevede la realizzazione di altre opere— tutte quelle dedicate agli spazi commerciali — che invece avranno uno sviluppo orizzontale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In 1998, Allen West left to rejoin Obituary and was replaced by Steve Swanson, formerly of Massacre. This is the only line-up change that the band has had to date. Combined with Barnes' departure from Cannibal Corpse, the arrival of Swanson helped turn Six Feet Under from a mere side-project to a band in its own right.[3]

July 13, 1999, saw the release of Six Feet Under's third studio album, Maximum Violence. As the name of the album suggests, the lyrics on this release are much more violent than on past releases. The band also recorded a death-metal retooling of the Kiss song "War Machine." Steve Swanson brought a revamped crunch[clarification needed] to the Six Feet Under sound with his blistering riffs and the inclusion of solos.[citation needed]

Maximum Violence had sold over 100,000 copies worldwide,[citation needed] a status that hadn't been reached for a while for a death metal band during the late 90's when death metal was a dying genre. It led to some unexpected promotional events for the band. During the summer of 2000, Six Feet Under participated in the Vans Warped Tour, a festival that, at the time, usually featured punk rock bands.[4]

Further pursuing their interest in cover songs, Six Feet Under released an album entirely of covers, Graveyard Classics, on October 24, 2000. The songs were given death metal makeovers in regards to the timbre of the vocals and instruments, but the original riffs and rhythms of the songs were left intact. Songs include Black Sabbath's "Sweet Leaf," Deep Purple's "Smoke on the Water," and Jimi Hendrix's "Purple Haze."

 

L’Inter lancia il progetto Membership dedicato ai tifosi nerazzurri. Di cosa si tratta? Sono tre pacchetti con i quali si possono acquistare delle vere e proprie esperienze che avvicinano alla vita del club. Qui quanto spiegato dal sito ufficiale rispetto ai tre packs:

BLUE PACK – Un’offerta interamente digitale: un’area riservata nella quale sarà possibile accedere a contenuti esclusivi targati Inter Media House: highlights estesivideo dedicati agli MVP dei matchpartite storiche. Ci sarà spazio anche per altre esperienze interattive: il voto per il Gol del Mese, contest dedicati, il virtual Tour di San Siro e cinque giochi online che verranno lanciati nel corso della stagione. Il prezzo è di 10 €.

BLACK PACK – Oltre all’offerta digitale del Blue Pack, questo pacchetto comprende un Welcome Kit al quale è possibile aggiungere fino a quattro diversi “add-on” in limited edition: felpat-shirtfamily pack e tessera Inter Club. Inoltre chi avrà acquistato il Black Pack potrà avere accesso alla vendita riservata dei biglietti per le partite più entusiasmanti di Serie A e Champions League. Il prezzo è di 45€ per l’Italia.

YELLOW PACK – L’offerta del Blue Pack è compresa. In aggiunta, la possibilità di prendere parte ai contest che mettono in palio, per i più piccoli, l’esperienza di accompagnare i calciatori in campo prima delle partite ufficiali, o di salutarli all’ingresso per il riscaldamento nel classico momento dell’high five. Il tutto unito ad un packaging rivolto proprio agli Under 14. Il prezzo dello Yellow Pack è di 35€ per l’Italia

Questo il link per chi volesse acquistare uno di questi tre pacchetti: MEMBERSHIP

 

[edit] True Carnage and Bringer of Blood (2001–2003)

The group's fifth studio album, True Carnage, (August 7, 2001) was also their first recording to feature guest artists: Ice T raps while Barnes roars on "One Bullet Left," and Karyn Crisis joins Barnes for "Sick and Twisted." The songwriting on True Carnage is more groove-oriented than past songs. The tracks are still crashing[clarification needed] and mostly slow-paced, but have less static. The musicianship was also improved[citation needed], and the production is complementary to the brutality[clarification needed]. True Carnage peaked on the Billboard Heatseeker's charts at number 18.[5]

Six Feet Under undertook a lengthy bout of American tours, commencing in the summer of 2002, with supporters Skinless and Sworn Enemy. Their June 14 performance was recorded for a DVD and live album release, Double Dead Redux. September 2002 saw the band touring with Hatebreed. Around Christmas 2002, they participated in some European festivals with bands such as Kataklysm and Dying Fetus.[6]

The band next released Bringer of Blood, on September 23, 2003. The tuning on this album is very dark and murky[clarification needed]. In addition to his trademark guttural vocals, Barnes also began using higher pitched pig squeal vocals on this release.

[edit] Graveyard Classics 2, 13, and A Decade in the Grave (2004–2006)

Graveyard Classics 2 came out on October 19, 2004. This cover album focused solely on the 1980 AC/DC album Back in Black. Allmusic reviewer Wade Kergan remarked that the death metal-makeover on these forefather songs "are equal parts menace and kitsch... Six Feet Under are obviously having a blast as they rip through them."[7]

Six Feet Under released their seventh studio album on March 21, 2005, entitled 13. While writing the lyrics, Chris Barnes reportedly entered "a vision" from smoking large quantities of marajuana and meditating.[8] The sound quality is good although rather quiet[clarification needed] - the liner notes for the album suggest turning your speakers up to maximum volume for a better experience.[clarification needed] Overall 13 is a notable return to True Carnage-esque form, with songs like the classic death metal of "Shadow of the Reaper" and "Decomposition of the Human Race."[9]

Metal Blade Records issued A Decade in the Grave on October 28, 2005, a five-disc box set. The first two discs are 'best-of' material, the third is a rarities collection, the fourth disc is from one of the band's first concerts back in 1995, and the final disc is a live DVD from 2005.

In November 2005, Chris Barnes joined the Finnish death metal band Torture Killer as lead vocalist for a side project. His new bandmates saw this as a huge compliment, having started out as a Six Feet Under and Obituary cover band. Barnes sung vocals on their 2006 studio album Swarm!.

[edit] Commandment and Death Rituals (since 2007)

Six Feet Under toured for the majority of 2006 before hitting the studios to record their next album, Commandment, which was released on April 17, 2007. The album works within the band's formula. According to music critic Chad Bowar, the album has "catchy death metal songs... [that are] crushingly heavy, but also have a great groove to them."[10]

Six Feet Under played Metalfest 2007 tour alongside openers Finntroll, Belphegor, and Nile, their most heavily-promoted tour to date. A Six Feet Under first was seen in promotion of Commandment. Although the band has tried airing music videos in the past, all were banned. However, a music video for "Doomsday" aired on MTV2's Headbanger's Ball, starting on November 10 of that year.

On December 24, 2007, Six Feet Under announced on their website that they would go to the studio in early 2008 to record a new album.[11] the album, titled Death Rituals, was released on Metal Blade Records on November 11, 2008 in the US, and November 17, 2008 in the UK.

As announced on January 31, 2008 Chris Barnes officially parted ways with Torture Killer, to be replaced by Juri Sallinen. Drummer Greg Gall is currently writing and recording material with a new band called Exitsect, along with guitarist Sam Williams (Denial Fiend, Down By Law), bassist Frank Watkins (Obituary, Gorgoroth), guitarist Joe Kiser (Murder-Suicide Pact, Slap Of Reality) and vocalist Paul Pavlovich (Assuck).[12][13]

Graveyard classics III was released on January 19, 2010.[14]

[edit] Musical style

Barnes formed Six Feet Under with the intention of writing death metal music that wasn't just about blast beats and speed.[citation needed] They play a more grooving style of death metal in the vein of Obituary, performing slower or mid-tempo paced songs than most death metal acts.[citation needed] Barnes' lyrical style changed little since his departure from Cannibal Corpse, though the lyrical content is not as shocking as that of his first band.[citation needed] Today, Barnes mainly writes about violence, gore and death, with some political leanings, such as the legality of marijuana and criticism of the government.[15] In regards to vocals, Chris Barnes is one of the pioneers of the death growl,[citation needed] and still uses this style, though sang with clean vocals on "4:20" and "Black Out," the latter being on the Graveyard Classics album.

 

 

Morbid Angel Domination CD

 

Guitarist Erik Rutan joins the fold on Morbid Angel's Domination and contributes several of his own compositions. The group's sound is better than ever and perhaps a bit more groove-oriented, but this is mostly standard Morbid Angel. ~ Steve HueyQ (7/95, p.120) - 4 Stars - Excellent - "...confirms their prime position amongst their peers with a monumental, crushing slab of uncompromising darkness and aggression, captured with a full-bodied clarity by Bill Kennedy..."
 

Dire Straits
Money For Nothing

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classic rock, rock, 80s, albums i own, guitar visualizza tutti

 

 

"Crazy" è un brano scritto dal musicista soul Seal e arrangiata da Guy Sigsworth. La produzione è stata affidata a Trevor Horn, ed è stata inserita nell'album del 1991 Seal . "Crazy" è stato un enorme successo commerciale, raggiungendo la top 5 in Regno Unito e la top 10 negli Stati Uniti.

Nell'agosto 2003 Seal ha rilasciato una versione acustica del brano, che ha rinnovato il successo di "Creazy" facendolo arrivare alla terza posizione della "U.S. Billboard Hot Digital Tracks", la classifica dei download digitali.

La popolarità del brano è dimostrata anche dalla quantità di cover avute negli anni. Fra le più importati si può senz'altro individuare la versione di Alanis Morissette del 2005.

Seal Henry Olusegun Olumide Adeola Samuel (born 19 February 1963 in Paddington, London, England), known simply as Seal, is an English soul and R&B singer-songwriter, of Nigerian and Brazilian background.[1] His name Olusegun means "God is victorious".[2] Seal is known for his numerous international hits. He is married to German model Heidi Klum.

 

Hunting High and Low è il primo album degli a-ha ed ha venduto oltre otto milioni copie in tutto il mondo.

 

L'album che apre l'ultimo decennio del XX secolo non verrà, a dire di molti fan e critici, ricordato come uno dei migliori dei Maiden, anche se segna un importante ritorno ad un sound più essenziale che era stato abbandonato dopo Powerslave. L'album denota un'attitudine "stradaiola" già presente nell'album solista di Bruce Dickinson Tattooed Millionaire, uscito qualche mese prima. Ciò potrebbe essere dipeso anche dall'arrivo del nuovo chitarrista Janick Gers, presente in Tattooed Milionnaire, allora latore di uno stile rumoroso e (forse) poco sobrio, che avrebbe invece migliorato con il tempo. Bring Your Daughter...To The Slaughter è la canzone più conosciuta di questo album ed il singolo omonimo è tutt'ora il più venduto della loro carriera. Da notare che in realtà la canzone venne composta da Dickinson per la sua produzione solista - la versione originale finì nella colonna sonora del film Nightmare 5 - e fu Steve Harris, affascinato dal pezzo, ad "obbligare" il cantante a portarla in seno agli Iron Maiden. Altri buoni brani da segnalare sono l'opener Tailgunner, il primo singolo pubblicato Holy Smoke, Run Silent Run Deep, No Prayer for the Dying e Hooks In You (ultimo brano scritto da Adrian Smith).

Napalm Death - From Enslavement To Obliteration Mp3 Album Downloads

 

 

The Ugly Truth (CD Album) : Aversion (USA) - Spirit of Metal ...

 

 

Tracklist

1. Death Trip Picture Show
2. Wig
3. Uzi
4. Welcome to Society
5. Modern Day Martyr
6. Injection
7. G.O.D. C.O.D.
8. In Dead of Night
9. Inertia
10. Do or Die
11. Forward March
12. No Trouble in Paradise

 

 

Amazon.com: Ram It Down: Judas Priest: Music

L'album vede un certo distaccamento dai suoni sintetizzati del precedente Turbo. L'idea dei Priest era quella di ritornare all'heavy metal classico di Screaming for Vengeance e Defenders of the Faith: il risultato non fu quello che si aspettavano i fans, tant'è che l'album vendette pochissimo rispetto ai precedenti. Ram It Down presenta comunque ottime canzoni come la title track, Heavy Metal e l'intensa Blood Red Skies. Venne estratto un solo singolo, Johnny B. Goode (cover di Chuck Berry), creato dalla band per la colonna sonora dell'omonimo film prendendo spunto da due canzoni precedentemente scritte ma mai pubblicate (se non nelle riedizioni del 2001) ossia Thunder Road e Fire Burns Below.

Amazon.com: Heavier Than Thou: Saint Vitus: Music

 

Saint Vitus - Heavier Than Thou - CD - Extreme music CDs, DVDs ...

 I Saint Vitus sono uno dei gruppi cardine della scena doom metal mondiale capaci negli anni '80 di proseguire sul discorso già intrapreso nel decennio precedente dai Black Sabbath dei quali riprendono l'incedere lento e lisergico della musica qui portato all'estremo in un entusiasmante mix tra sonorità settantiane rilette secondo i canoni dell'allora nascente movimento heavy metal.
Vivono il loro periodo di maggior splendore tra
1987 e 1990 grazie all'ingresso in line-up dello storico singer Scott "Wino" Weinrich una delle icone della scena doom mondiale e già singer di innumerevoli bands tra le quali i The Obsessed. I Saint Vitus si formano nel 1979 a Los Angeles per volere del singer Scott Reagers, del chitarrista Dave Chandler, del bassista Mark Adams e del batterista Armando Costa e partono con il nome di Tyrant. Curiosa è la provenienza degli statunitensi che emergeranno negli anni '80 in quella Los Angeles che diventerà in quegli anni patria indiscussa del movimento glam metal proposta musicalmente e concettualmente in antitesi con la musica della band.
Dopo qualche tempo, Reagers e soci cambieranno in loro nome in Saint Vitus ispirati dal brano Saint Vitus Dance dei britannici
Black Sabbath, band dalla quale trarranno le maggiori influenze.
Il sound degli statunitensi è dunque già ben forgiato, e nel
1984 i Saint Vitus arrivano alla pubblicazione del loro primo full-lenght, l'omonimo Saint Vitus che mostrerà una band ancora un po' acerba ma con le idee già chiare.
L'anno seguente è la volta di
Hallow's Victim che rappresenta un piccolo passo indietro a livello qualitativo ma che darà il LA alla definitiva consacrazione della band la cui fama è ancora piuttosto latitante oltreoceano.
Nel 1986 la svolta con l'ingresso in line-up di
Scott "Wino" Weinrich singer-chitarrista di notevoli doti già salito alla ribalta con i The Obsessed; e così nel 1987 la band da alle stampe Born Too Late capolavoro della band ed indiscusso "must" all'interno della scena doom mondiale. La musica degli statunitensi è notevolmente dilatata, sempre più arida e la voce di Weinrich conferisce sempre più un certo appeal mistico.
Mournful Cries (1988) e V (1990) rappresenteranno altri due lavori apprezzabili dopo i quali vi sarà la dipartita di Weinrich.
Nel
1993 i Saint Vitus torneranno alla ribalta con C.O.D. (Children of Doom) album più rock 'n' roll-oriented, prima di Die Healing (1995) album notevole che vede il ritorno in line-up del singer Scott Reagers e che precederà lo scioglimento della storica band americana.

 

 

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Deicide - Amon: Feasting the Beast - musica da scaricare e ...

Amon: Feasting the Beast è una compilation edita dalla band statunitense di death metal Deicide. I pezzi in essa contenuti sono le versioni demo delle canzoni che la band registrò quando si chiamava Amon.

Durante quel periodo la band era ancora alla ricerca di un proprio sound e questa è la ragione per cui alcune delle canzoni hanno sonorità death metal mentre altre hanno sonorità più riconducibili al thrash metal.

 

http://www.lastfm.it/group/Scandinavian+Metal/forum/29690/_/390050

Amazon.com: Massive Killing Capacity: Dismember: Music

 

La visione che predomina di questo album è "la perfetta via di mezzo tra Death metal e Grind, il punto di equilibrio dei Carcass"; per carità, sacrosanta verità (almeno per la prima parte), ma inefficiente per descrivere il vero significato di questo Cd all'interno della discografia della band. Per me Necroticism - Descanting The Insalubrious rappresenta innanzitutto una rottura: lo stacco tra i Carcass come rappresentanti e fondatori della scena grindcore più pura e la band che proseguirà brillantemente la propria carriera musicale rimanendo in un contesto meno "di culto". Questo senza alcun giudizio alla scelta, ma come semplice constatazione. Con questo lavoro la band inglese ci dice palesemente: «ok ragazzi, la nostra lezione l'abbiamo data, ora lasciateci prendere la nostra strada».

Necroticism... è innanzitutto il ripensamento riguardo al verbo di Reek Of Putrefaction: il distacco dal tecnicismo e dalle strutture complesse qui viene abbandonato, per intraprendere una strada più classica e accessibile. Una scelta che farà piangere i cuori di molti fan, ma che al di là della piccola delusione per l'infedeltà ci regalerà alcuni dei minuti più belli dell'intera storia del Death metal. Sarebbe dunque stupido sorvolare sulla grandezza di un pezzo come "Corporal Jigsore Quandary" in nome dell'intransigenza attitudinale, un limite che i Carcass hanno sciolto regalandoci appunto uno dei loro brani più apprezzati. Con l'introduttiva "Inpropagation" la band getta un ultimo sguardo alle trame più puramente grind e comincia ad intraprendere una nuova strada, che trova per la prima volta piena realizzazione appunto in "Corporal...". Una canzone forte di un riff del tutto elementare, che con la sua semplicità farà breccia per sempre nel cuore dei fan.

Il terzo lavoro segna una svolta qualitativa anche dal punto di vista esecutivo e della produzione, visto che sostituita al suono scarno ed istintivo di Symphonies... troviamo qui un'esecuzione praticamente impeccabile sorretta da un buonissimo lavoro di produzione / mixaggio (onore e gloria a Colin Richardson...). Resta comunque presente un certo margine che non rende il suono troppo perfetto, finto; peculiarità dei Carcass che di fatto verrà meno esclusivamente nella loro ultima opera. Qui trovano spazio per sfoggiare un altro lato della loro genialità, il lato forse più complicato nella sua immediatezza, e che trova espressione in quasi tutte le tracce, con picchi forse in "Pedigree Butchery" o "Carneous Cacoffiny".

Fantastico l'andamento che sanno dare alle diverse canzoni, la venatura quasi ironica (caratteristica sempre e comunque presente nei lavori del gruppo) di alcuni passaggi e, ovviamente, la classe; classe che consiste nel non banalizzare mai, nel saper lasciare traccia della propria personalità in ogni singolo passaggio. Anche questo, come i lavori che erano venuti prima, costruisce una diversa dimensione nell'ambito di un genere musicale, e lascia la pesante eredità ai gruppi a venire di provare ad avvicinarcisi...

Nonostante la quasi impareggiabile bellezza di questo lavoro, e la sua palese genialità, trovo Necroticism superiore di importanza al solo Swansong all'interno della discografia della band inglese. Che questa, ovviamente, rimanga comunque una semplice considerazione personale, che non può intaccare minimamente il valore reale di un cd che gode di una ottima (e meritata) fama in due ambienti non sempre concordanti come quelli che sono il Death metal ed il Grindcore... A tal punto da essere considerato da grossa parte dei "die hard fans" del gruppo come il loro lavoro migliore. Ripeto, non condivido questo parere, ma mi unisco al coro di tutti coloro che per sempre osanneranno il nome di questa impareggiabile realtà.

 

Interessante libro sopra gli ultimi momenti del Reich. La storia, la breve vita, del governo succeduto ad Hitler dal 1 maggio 1945, costituito dalle sinistre figure fuoriuscite dal bunker tombale che tentarono fino all'ultimo secondo di salvare la pelle rifugiandosi nell'estremo nord,a Flensburg, a ridosso del confine con la Danimarca, lasciando al proprio destino il defenestrato numero due del Reich, Goering,che pomposamente si crogiolava nell'estremo sud della Baviera pensando di essere al sicuro,ed il mefistofelico Himmler, che dalla roccaforte di Praga,una volta vista la liquefazione del fronte orientale si precipitava anch'esso nell'estremo nord allo scopo di ricevere un assurdo "lasciapassare". Il 9 maggio da Flensburg veniva dato il placet alla firma dell'armistizio, il 18 maggio tutti i componenti dell'ultimo gabinetto nazista venivano arrestati: iniziava così il Processo di Norimberga....

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RSANI:PIU' DI 6 MILIONI DI VOTI PERSI IN DUE ANNI.)

QUESTA E' UNA MIA PERSONALE SODDISFAZIONE:ANNI FA MI CONSUMAI LE MANI A FURIA DI SCRIVERE LORO DEL MIO DISAGIO, DI LAVORI DI MERDA, DI LICENZIAMENTI SUBITI, DI UMILIAZIONI SENZA MAI RICEVERE SODDISFAZIONE. OGGI ANCHE LORO SI TROVANO NELLA MERDA FINO AL COLLO E PER ME E' UNA SODDISFAZIONE: "SE PER COLPA DI ALTRI FINISCI NEI GUAI, FAI IN MODO CHE CHI TI HA MESSO IN TALE SITUAZIONE FINISCA IN GUAI ANCORA PEGGIORI!!!"

Rifondazione e Pdci, funzionari cassintegrati

Finiti i fondi dei due partiti di sinistra, i dipendenti restano senza lavoro

Da partiti che ambivano a rappresentare i cassintegrati, a partiti che finiscono per essere costituiti "da" cassintegrati. Non c’è, ovviamente, solo la differenza di un articolo, fra queste due condizioni, ma la storia di un passaggio di epoca, la radiografia di un drammatico terremoto politico. Stiamo parlando di Pdci e Rifondazione (ma anche dei Verdi), ovvero dei partiti che dopo le ultime elezioni sono diventati zombie, costretti a demolire il loro apparato, a dismettere i (pochi) gioielli di famiglia rimasti, a chiudere i giornali, ad alienare le sedi, e – soprattutto – a licenziare e prepensionare tutti i loro dipendenti, proprio come nei processi di deindustrializzazione che in questi anni hanno tenacemente combattuto. Colpa degli sbarramenti elettorali, prima di tutto: che colpiscono non solo la rappresentanza, ma - solo in Italia - anche il diritto a ottenere rimborsi. E colpa anche, come vedremo fra breve, della strategia di Silvio Berlusconi E del Pd (due facce della stessa melmosa medaglia), che ha mirato a fare terra bruciata di tutte le organizzazioni politiche che avevano popolato la Seconda Repubblica. Un fenomeno, quindi, che non può indurre al sorriso, o a facili battute, ma che deve essere anche letto - qualunque cosa si pensi di questi partiti - come una ulteriore restrizione degli spazi democratici.

NON PIU’ VIRTUOSI. Il nostro viaggio non può che partire dal Pdci di Oliviero Diliberto, che fino alla catastrofe elettorale della lista arcobaleno del 2008 era additato come modello di gestione economica persino da un analista non certo tenero come Gianmaria De Francesco, cronista economico de Il Giornale: apparato ridotto, conti in regola, rapporto virtuoso tra eletti, voti e militanti, che garantiva solidi attivi di bilancio. Ebbene, la notizia che in queste ore, per motivi comprensibili, si prova a mantenere segreta, è che il partito è ormai alla bancarotta. Sul conto corrente ci sono solo 160 mila euro, quelli che bastano a malapena a gestire l’amministrazione ordinaria. Dei 21 dipendenti 17 sono stati posti in cassa integrazione. Ne rimangono solo quattro, di cui uno per motivi legali è l’amministratore, l’altro è un centralinista, l’altro è il segretario del segretario, e l’ultimo un organizzatore, ovvero il presidio minimo per cui il cuore dell’organizzazione non cessi di battere all’istante.

Ancora più drammatica la situazione di Rinascita, il settimanale che ai tempi di Armando Cossutta fu oggetto di una contesa per il valore della testata, prestigiosa e direttamente riconducibile alla memoria di Palmiro Togliatti. Ecco, adesso il settimanale del Pdci è tecnicamente fallito, ha cessato le pubblicazioni, e tutti i giornalisti sono stati anche loro cassintegrati. Rinascita, che non aveva mai perso il suo ridotto ma il solido presidio di lettori costava da solo 900 mila euro l’anno, un lusso per un partito che deve tagliare gli stipendi a tutti. Già la storia di questo tracollo economico spiega come ci sia lo zampino del governo. Il settimanale, infatti, era uno dei pochi organi di partito, tra quelli che hanno diritto al sovvenzionamento pubblico, che non copriva in modo surrettizio altri scopi o altri fini. Ma la norma con cui Tremonti ha tolto il cosiddetto "diritto soggettivo" al finanziamento ha di fatto reso discrezionale l’accesso ai fondi dell’editoria: mentre prima le banche anticipavano le cifre a cui il giornale avrebbe avuto in ogni caso diritto in base alla sua tiratura, adesso – non essendoci più nessuna certezza, visto che si combatte ad ogni Finanziaria sulla copertura delle quote – non fanno più nessun credito.

Infine il doloroso capitolo del bilancio del partito. Ancora nel 2008 aveva quattro gettiti importanti: il tesseramento, il finanziamento pubblico, i rimborsi elettorali e le rimesse degli eletti locali e nazionali, che devolvevano il 50% del proprio stipendio netto al partito. Nelle ultime politiche e alle europee, il Pdci non ha superato il quorum del 4%. E in questo caso, per via di un liberticida emendamento alla legge voluto in Parlamento dai veltroniani (Berlusconi era incerto), né Rifondazione, né i Verdi, né il Pdci hanno ottenuto un solo centesimo. Un piccolo assurdo democratico: infatti, la quota dei voti che questi partiti ottengono contribuisce a finanziare i loro avversari politici di centrodestra, o i loro concorrenti di sinistra rappresentati. Ma nel caso del Pdci le europee sono state come un tavolo da poker. Oliviero Diliberto ha deciso di puntare le sue residue risorse (quasi tre milioni di euro) per promuovere i propri candidati nell’alleanza con Rifondazione. Risultato paradossale: tutti e quattro i candidati del partito erano arrivati primi nella battaglia delle preferenze, centrando l’obiettivo. Ma, ancora una volta, il risultato elettorale, inferiore di 0.6 decimi di punto al quorum, ha sottratto all’alleanza elettorale quasi sei milioni di euro di finanziamento.

NAPOLI ADDIO. A via del Policlinico la situazione è altrettanto drammatica. "Io, che ho passato una vita a difendere i lavoratori dai licenziamenti – ammette con sofferenza Paolo Ferrero, segretario del partito – mi sono trovato a dover sottoscrivere la drammatica necessità di quaranta licenziamenti". A cui, per giunta,si aggiungono, anche in questo caso, altri 40 dipendenti messi in cassa integrazione. E a cui si aggiunge la situazione precarissima di Liberazione, che ha già tagliato la foliazione, e ha dovuto mettere in solidarietà tutti i suoi dipendenti. Le vendite sono passate dalle 16 mila copie dell’era Curzi alle 4800 attuali. Ad aprile è prevista una verifica dei conti a cui il giornale potrebbe non sopravvivere.

Le ultime elezioni vedevano partire il cartello della federazione da 48 consiglieri regionali, che dal punto di vista finanziario portavano 5 mila euro a testa ogni mese. In queste elezioni i due partiti sono passati a 18. 14 di Rifondazione, solo 4 del Pdci. Ma il quorum è stato mancato in Lombardia, che portava uno dei rimborsi elettorali più cospicui. A via del Policlinico resta (per ora) un apparato di 40 funzionari. Come pagarli? Per ora nell’unico modo possibile: mettendo in vendita un pezzo forte del patrimonio, la sede di Napoli. Ma per resistere fino alle prossime politiche, nella speranza di passare il quorum, ci vorrà altro. Unica storia controtendenza? Quella di Sinistra e libertà, che ha ottenuto quasi lo stesso numero di eletti della federazione (18). Il caso virtuoso? Proprio in Puglia, dove Vendola ha trainato la lista al 9%, producendo un rimborso adeguato. Retroscena incredibile: Vendola ha speso solo 400 mila euro (contro sei milioni circa del suo avversario, Rocco Palese) perché il Pd, per via delle note ruggini, aveva trattenuto i 300 mila euro raccolti con le primarie. Vendola otterrà di rimborso molto di più. Li userà per finanziare le primarie nazionali in vista del 2012?

LA CORSA PD ALL'ANNIENTAMENTO: ALLE ELEZIONI DEL 2013 CAPOLISTA PD SULLEY MUNTARI. Impauriti dal RICORSO DI BEPPE GRILLO CONTRO L'ELEZIONE DEL DUO LOMBROSIANO ( SI LO PSEUDO SCENZIATO CHE RITENEVA DI AVER TROVATO LA MOTIVAZIONE ANCESTRALE DELLA DELINQUENZA DALLA CONFORMAZIONE DEI CRANI...) FORMIGONI-ERRANI, NELLA PAURA DI PERDERE UN LORO MERDOSO VICERE' - ERRANI - IN EMILIA/ROMAGNA, I PIDIOSSINI VOTANO UNA LEGGE BIPARTISAN PER LEGALIZZARE L'ILLEGALE, IL FUORILEGGE, LA MERDA COME LORO!!!! PER ORA LA LORO EMORRAGIA SI E' FERMATA A 6 MILIONI DI VOTI, NON GLI BASTA....DOPO I 32 MERDOSI FUGGITI AL VOTO PER LO SCUDO MAFIOSO FISCALE, DOPO LA MODIFICA DS/FORZAITALIONTA DELL'ARTICOLO COSTITUZIONALE 111 SUL GIUSTO PROCESSO NEL 1999 (QUELLO CHE CANCELLAVA IL RIPORTO DELLE TESTIMONIANZE DEI TANGENTISTI NEL PROCESSO PENALE AI POLITICI CON MODIFICA DELL'ARTICOLO 513 DEL CODICE PENALE), ECCO IL TRIS DEI MERDOSI....

Siore e siori, sempre più difficile! Pur di non opporsi, l’opposizione all’italiana chiamata Pd s’è prodotta ieri in un triplo salto mortale carpiato con avvitamento e scappellamento a destra, un numero mai riuscito né provato prima d'ora. Ricordate il decreto salva-liste che sanava ex post le illegalità nella presentazione delle liste Pdl a Milano e Roma? Bene, era illegale, incostituzionale e inutile. Illegale perché una legge del 1988 vieta i decreti in materia elettorale (onde evitare il rischio che si voti con una regola e poi, se il decreto non viene convertito in legge, quella regola decada dopo il voto e si debba tornare alle urne). Incostituzionale perché sanava solo le irregolarità di alcune liste e non di altre e perché cambiava le regole del gioco a partita iniziata. Inutile perché modificava per via parlamentare una legge regionale. Incuranti di questi dettagliucci, i presidenti del Consiglio e della Repubblica lo firmarono a piè fermo. Il Pd gridò allo scandalo (ma solo per la firma di Berlusconi: quella di Napolitano era ottima e abbondante), annunciò la fine del "dialogo sulle riforme", portò la gente in piazza del Popolo a protestare contro l’atto eversivo.

Motivazione ufficiale, fremente di sdegno: "Se il governo indossa gli anfibi e scende in piazza con attacchi violenti contro le istituzioni, noi non restiamo certo in pantofole". Qualcuno, chiedendo scusa alle signore, parlò financo di regime. Non contenti, due giorni fa i piddini organizzarono un’imboscata per affossare il decreto alla Camera, bocciandone la conversione in legge grazie alle consuete assenze nella maggioranza e alle inconsuete presenze nell’opposizione. Un miracolo mai accaduto prima: l’opposizione più stracciacula della storia dell’umanità riesce a mandar sotto il governo, senza sopperire con le proprie assenze – come invece era accaduto sulla mozione anti-Cosentino e sullo scudo fiscale – a quelle endemiche del centrodestra. Ma niente paura: l’illusione di un’opposizione che si oppone è durata l’espace d’un matin.

Ieri il Pd, sgomento per l’inatteso e involontario successo, s’è subito pentito. Ha riposto gli anfibi, ha recuperato le pantofole di peluche ed è tornato al suo passatempo preferito: l’inciucio. Tenetevi forte, perché la notizia è grandiosa: onde evitare di invalidare le elezioni regionali appena tenute in base al decreto ormai defunto, la maggioranza più comica della storia ha presentato in fretta e furia una leggina per salvare gli effetti del decreto medesimo, ribattezzata dai magliari di Palazzo Chigi "legge salva-effetti", e sbrogliare il gran casino creato dal Banana con la partecipazione straordinaria di Napolitano.

Così il decreto, cacciato dalla porta, è rientrato dalla finestra in meno di 24 ore. A quel punto qualunque persona sana di mente avrebbe mantenuto le posizioni di partenza: la maggioranza pro-decreto avrebbe detto sì alla salva-effetti, l’opposizione anti-decreto avrebbe detto no. E infatti l’Idv ha detto no e perfino l’Api di Rutelli s’è astenuta. Indovinate come ha votato il Pd? A favore (a parte Furio Colombo e poche altre persone serie), a braccetto col Pdl e la Lega. Ne saranno felici le migliaia di persone che si erano fatte convincere a calzare gli anfibi e a scendere in piazza del Popolo contro "l’attacco violento alle istituzioni"....QUELLA STESSA GENTE DEL POPOLO DELLA MERDA VIOLA, CON LE CANTANTI GRIFFATE, LE STRONZATE PAGATE,ECC...

Era tutto uno scherzo. Il Pd era contro il decreto, ma non contro i suoi effetti. Tant’è che ieri ha contribuito a ripescarli. Un voto del tutto inutile, vista la maggioranza bulgara Pdl-Lega, ma comunque indicativo dell’amorevole trepidazione con cui i diversamente concordi del Pd seguono le porcate del Banana. Lui li insulta e loro lo salvano anche se lui non vuole. Per questo sbaglia il capogruppo dell’Idv Massimo Donadi quando afferma che non si tratta comunque di inciucio "perché il Pd non ha avuto nulla in cambio". Gli inciuci dei centrosinistri col Banana sono sempre a senso unico: lui ci guadagna, quelli ci perdono. E’ un do ut des senza des. Ma quelli continuano. Si divertono così.

RSANI:PIU' DI 6 MILIONI DI VOTI PERSI IN DUE ANNI.)

QUESTA E' UNA MIA PERSONALE SODDISFAZIONE:ANNI FA MI CONSUMAI LE MANI A FURIA DI SCRIVERE LORO DEL MIO DISAGIO, DI LAVORI DI MERDA, DI LICENZIAMENTI SUBITI, DI UMILIAZIONI SENZA MAI RICEVERE SODDISFAZIONE. OGGI ANCHE LORO SI TROVANO NELLA MERDA FINO AL COLLO E PER ME E' UNA SODDISFAZIONE: "SE PER COLPA DI ALTRI FINISCI NEI GUAI, FAI IN MODO CHE CHI TI HA MESSO IN TALE SITUAZIONE FINISCA IN GUAI ANCORA PEGGIORI!!!"

Rifondazione e Pdci, funzionari cassintegrati

Finiti i fondi dei due partiti di sinistra, i dipendenti restano senza lavoro

Da partiti che ambivano a rappresentare i cassintegrati, a partiti che finiscono per essere costituiti "da" cassintegrati. Non c’è, ovviamente, solo la differenza di un articolo, fra queste due condizioni, ma la storia di un passaggio di epoca, la radiografia di un drammatico terremoto politico. Stiamo parlando di Pdci e Rifondazione (ma anche dei Verdi), ovvero dei partiti che dopo le ultime elezioni sono diventati zombie, costretti a demolire il loro apparato, a dismettere i (pochi) gioielli di famiglia rimasti, a chiudere i giornali, ad alienare le sedi, e – soprattutto – a licenziare e prepensionare tutti i loro dipendenti, proprio come nei processi di deindustrializzazione che in questi anni hanno tenacemente combattuto. Colpa degli sbarramenti elettorali, prima di tutto: che colpiscono non solo la rappresentanza, ma - solo in Italia - anche il diritto a ottenere rimborsi. E colpa anche, come vedremo fra breve, della strategia di Silvio Berlusconi E del Pd (due facce della stessa melmosa medaglia), che ha mirato a fare terra bruciata di tutte le organizzazioni politiche che avevano popolato la Seconda Repubblica. Un fenomeno, quindi, che non può indurre al sorriso, o a facili battute, ma che deve essere anche letto - qualunque cosa si pensi di questi partiti - come una ulteriore restrizione degli spazi democratici.

NON PIU’ VIRTUOSI. Il nostro viaggio non può che partire dal Pdci di Oliviero Diliberto, che fino alla catastrofe elettorale della lista arcobaleno del 2008 era additato come modello di gestione economica persino da un analista non certo tenero come Gianmaria De Francesco, cronista economico de Il Giornale: apparato ridotto, conti in regola, rapporto virtuoso tra eletti, voti e militanti, che garantiva solidi attivi di bilancio. Ebbene, la notizia che in queste ore, per motivi comprensibili, si prova a mantenere segreta, è che il partito è ormai alla bancarotta. Sul conto corrente ci sono solo 160 mila euro, quelli che bastano a malapena a gestire l’amministrazione ordinaria. Dei 21 dipendenti 17 sono stati posti in cassa integrazione. Ne rimangono solo quattro, di cui uno per motivi legali è l’amministratore, l’altro è un centralinista, l’altro è il segretario del segretario, e l’ultimo un organizzatore, ovvero il presidio minimo per cui il cuore dell’organizzazione non cessi di battere all’istante.

Ancora più drammatica la situazione di Rinascita, il settimanale che ai tempi di Armando Cossutta fu oggetto di una contesa per il valore della testata, prestigiosa e direttamente riconducibile alla memoria di Palmiro Togliatti. Ecco, adesso il settimanale del Pdci è tecnicamente fallito, ha cessato le pubblicazioni, e tutti i giornalisti sono stati anche loro cassintegrati. Rinascita, che non aveva mai perso il suo ridotto ma il solido presidio di lettori costava da solo 900 mila euro l’anno, un lusso per un partito che deve tagliare gli stipendi a tutti. Già la storia di questo tracollo economico spiega come ci sia lo zampino del governo. Il settimanale, infatti, era uno dei pochi organi di partito, tra quelli che hanno diritto al sovvenzionamento pubblico, che non copriva in modo surrettizio altri scopi o altri fini. Ma la norma con cui Tremonti ha tolto il cosiddetto "diritto soggettivo" al finanziamento ha di fatto reso discrezionale l’accesso ai fondi dell’editoria: mentre prima le banche anticipavano le cifre a cui il giornale avrebbe avuto in ogni caso diritto in base alla sua tiratura, adesso – non essendoci più nessuna certezza, visto che si combatte ad ogni Finanziaria sulla copertura delle quote – non fanno più nessun credito.

Infine il doloroso capitolo del bilancio del partito. Ancora nel 2008 aveva quattro gettiti importanti: il tesseramento, il finanziamento pubblico, i rimborsi elettorali e le rimesse degli eletti locali e nazionali, che devolvevano il 50% del proprio stipendio netto al partito. Nelle ultime politiche e alle europee, il Pdci non ha superato il quorum del 4%. E in questo caso, per via di un liberticida emendamento alla legge voluto in Parlamento dai veltroniani (Berlusconi era incerto), né Rifondazione, né i Verdi, né il Pdci hanno ottenuto un solo centesimo. Un piccolo assurdo democratico: infatti, la quota dei voti che questi partiti ottengono contribuisce a finanziare i loro avversari politici di centrodestra, o i loro concorrenti di sinistra rappresentati. Ma nel caso del Pdci le europee sono state come un tavolo da poker. Oliviero Diliberto ha deciso di puntare le sue residue risorse (quasi tre milioni di euro) per promuovere i propri candidati nell’alleanza con Rifondazione. Risultato paradossale: tutti e quattro i candidati del partito erano arrivati primi nella battaglia delle preferenze, centrando l’obiettivo. Ma, ancora una volta, il risultato elettorale, inferiore di 0.6 decimi di punto al quorum, ha sottratto all’alleanza elettorale quasi sei milioni di euro di finanziamento.

NAPOLI ADDIO. A via del Policlinico la situazione è altrettanto drammatica. "Io, che ho passato una vita a difendere i lavoratori dai licenziamenti – ammette con sofferenza Paolo Ferrero, segretario del partito – mi sono trovato a dover sottoscrivere la drammatica necessità di quaranta licenziamenti". A cui, per giunta,si aggiungono, anche in questo caso, altri 40 dipendenti messi in cassa integrazione. E a cui si aggiunge la situazione precarissima di Liberazione, che ha già tagliato la foliazione, e ha dovuto mettere in solidarietà tutti i suoi dipendenti. Le vendite sono passate dalle 16 mila copie dell’era Curzi alle 4800 attuali. Ad aprile è prevista una verifica dei conti a cui il giornale potrebbe non sopravvivere.

Le ultime elezioni vedevano partire il cartello della federazione da 48 consiglieri regionali, che dal punto di vista finanziario portavano 5 mila euro a testa ogni mese. In queste elezioni i due partiti sono passati a 18. 14 di Rifondazione, solo 4 del Pdci. Ma il quorum è stato mancato in Lombardia, che portava uno dei rimborsi elettorali più cospicui. A via del Policlinico resta (per ora) un apparato di 40 funzionari. Come pagarli? Per ora nell’unico modo possibile: mettendo in vendita un pezzo forte del patrimonio, la sede di Napoli. Ma per resistere fino alle prossime politiche, nella speranza di passare il quorum, ci vorrà altro. Unica storia controtendenza? Quella di Sinistra e libertà, che ha ottenuto quasi lo stesso numero di eletti della federazione (18). Il caso virtuoso? Proprio in Puglia, dove Vendola ha trainato la lista al 9%, producendo un rimborso adeguato. Retroscena incredibile: Vendola ha speso solo 400 mila euro (contro sei milioni circa del suo avversario, Rocco Palese) perché il Pd, per via delle note ruggini, aveva trattenuto i 300 mila euro raccolti con le primarie. Vendola otterrà di rimborso molto di più. Li userà per finanziare le primarie nazionali in vista del 2012?

LA CORSA PD ALL'ANNIENTAMENTO: ALLE ELEZIONI DEL 2013 CAPOLISTA PD SULLEY MUNTARI. Impauriti dal RICORSO DI BEPPE GRILLO CONTRO L'ELEZIONE DEL DUO LOMBROSIANO ( SI LO PSEUDO SCENZIATO CHE RITENEVA DI AVER TROVATO LA MOTIVAZIONE ANCESTRALE DELLA DELINQUENZA DALLA CONFORMAZIONE DEI CRANI...) FORMIGONI-ERRANI, NELLA PAURA DI PERDERE UN LORO MERDOSO VICERE' - ERRANI - IN EMILIA/ROMAGNA, I PIDIOSSINI VOTANO UNA LEGGE BIPARTISAN PER LEGALIZZARE L'ILLEGALE, IL FUORILEGGE, LA MERDA COME LORO!!!! PER ORA LA LORO EMORRAGIA SI E' FERMATA A 6 MILIONI DI VOTI, NON GLI BASTA....DOPO I 32 MERDOSI FUGGITI AL VOTO PER LO SCUDO MAFIOSO FISCALE, DOPO LA MODIFICA DS/FORZAITALIONTA DELL'ARTICOLO COSTITUZIONALE 111 SUL GIUSTO PROCESSO NEL 1999 (QUELLO CHE CANCELLAVA IL RIPORTO DELLE TESTIMONIANZE DEI TANGENTISTI NEL PROCESSO PENALE AI POLITICI CON MODIFICA DELL'ARTICOLO 513 DEL CODICE PENALE), ECCO IL TRIS DEI MERDOSI....

 

STORIA

LA FINE DEI GIOCHI GLADIATORI

Nei primi due secoli dell’era cristiana era impensabile per i romani una vita senza spettacoli gladiatori o con le belve. Anche nel III d.C., quando la situazione economica non era più così florida e i problemi alle frontiere cominciavano a farsi pressanti, gli anfiteatri continuavano ad essere sede di combattimenti, anche se gli organizzatori, soprattutto nelle province, si mostravano più cauti e preferivano non esagerare con le spese. Un’altra ragione che fece diminuire il numero degli spettacoli, sia nella parte orientale sia in quella occidentale, fu la diffusione del cristianesimo, i cui pensatori, tra i quali Tertulliano, manifestarono sempre più frequentemente preoccupazioni sugli effetti che i giochi gladiatori avevano sugli spettatori e criticavano il fatto che un potere temporale, quello degli imperatori o degli amministratori locali, potesse concedere la grazia, attributo prettamente divino. Ai tempi di Costantino (prima metà del IV d.C.), che concesse libertà di culto ai cristiani, alcuni vescovi proibirono i giochi nelle città orientali e negarono il battesimo ai gladiatori. A Roma, i giochi continuarono tanto che, nel 393, il senatore Simmaco offrì un grande spettacolo di dieci giorni. Quando, però, l’imperatore Teodosio dichiarò il cristianesimo religione di stato, l’influenza dei seguaci del nuovo culto fece pian piano affievolire l’interesse per gli eventi dell’anfiteatro. Va anche detto che le esigue risorse economiche rendevano impossibile l’acquisto di un gran numero di animali o l’ingaggio di bravi gladiatori, quindi gli spettacoli, che sarebbero stati ben miseri, non erano granché attraenti. Di certo si sa che uno degli ultimi spettacoli tenutisi nel Colosseo fu nel 519 d.C. e coinvolse esclusivamente animali provenienti dall’Africa.Nel V secolo d.C., la grave crisi economica che colpì l’Italia costrinse gli abitanti di Roma a sopravvivere con le proprie forze. La fame e la malaria, causata dal fatto che molti territori circostanti la città, rimasti incolti, erano diventati paludosi, decimarono la popolazione al punto che dagli ottocentomila mila abitanti del 400 d.C. si passò ai trentamila nel 568 d.C.
La condizione in cui versavano i monumenti e gli edifici cittadini era deprimente: Cassiodoro parla di granai crollati, statue abbattute e colonne di marmo segate per essere riutilizzate. Questa sorte toccò anche al Colosseo, lasciato praticamente inutilizzato e danneggiato anche da catastrofi naturali, come il terremoto del 508 d.C. Nonostante gli ingressi fossero stati sbarrati, in molti non rispettavano il divieto di entrare: così, oltre ai saccheggi, si assistette alla trasformazione degli spazi sotto le gradinate in stalle e rifugi per emarginati.
Pare che a metà del Medioevo si fosse persa anche la consapevolezza di che cosa fosse stato il Colosseo: i Mirabilia Urbis Romae, guida per pellegrini dell’XI secolo, riportano, per esempio, che era stato un tempio pagano, sormontato da una cupola in bronzo dorato e con al centro la statua di Apollo. Altri credevano che fosse una sorta di Pantheon, dove tutti gli dei pagani erano stati venerati.
Congetture a parte, nel Medioevo l’anfiteatro Flavio fu usato anche come fortezza dalla famiglia dei Frangipane, all’epoca dei saccheggi normanni (fine XI secolo), oltre che come luogo di rifugio per mendicanti.
L’epoca della grandi spoliazioni coincise con la metà del XV secolo: una fattura del 1452 indica che, sotto Niccolò V, furono rimosse dal Colosseo, in circa otto mesi, 2522 tonnellate di marmo.Per fortuna del Colosseo, dopo la desolazione medievale e le spoliazioni rinascimentali, la cristianità cominciò a considerarlo il luogo del martirio di molti santi, anziché quello di manifestazioni pagane, e nel 1749 papa Benedetto XIV vi consacrò ufficialmente le già presenti stazioni della Via Crucis.
Contemporaneamente a questa consacrazione, si diffuse la moda del Grand Tour: così, poeti e scrittori da tutta Europa presero a immortalare nei loro scritti l’anfiteatro di Roma. Ci fu persino un botanico, Richard Deakin, che, vagando per le gradinate e i cunicoli dell’edificio, trovò 420 specie di piante, alcune esotiche, lì cresciute perché i loro semi erano probabilmente arrivati tra il pelo degli animali selvatici fatti esibire negli spettacoli antichi. Le descrisse in un’opera intitolata Flora in the Colosseum (1855).
Quando Roma divenne capitale del regno d’Italia, il Colosseo fu affidato agli archeologi, non senza vivaci proteste da parte del clero. Tolte le macerie dall’ipogeo, vennero portati alla luce alcuni locali sotterranei, cosa che permise di constatare la perizia ingegneristica dei romani.
Negli anni Trenta del secolo scorso, perché il monumento avesse maggior risalto e fosse direttamente collegato al Teatro di Marcello e al Foro Romano, vestigia di un glorioso impero che si voleva far rinascere, interi quartieri furono demoliti. E quando Hitler venne in visita a Roma nel 1938, Mussolini ebbe modo di far risaltare ancor più i resti dell’antica Roma illuminandoli a giorno con l’aiuto di 45.000 lampadine attaccate a cavi lunghi 160 km. Per l’illuminazione del Colosseo furono usate lampadine rosse, che diedero all’edificio un aspetto surreale. Hitler rimase così stupito dall’opera che, tornato in Germania, progettò la costruzione di un edificio simile a Norimberga. Le cose, però, andarono diversamente e i disegni non furono mai realizzati.

https://vociantiche.wordpress.com/2017/08/03/la-fine-dei-giochi-gladiatori/

400 dopo Cristo

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 All'indomani della Battaglia del Frigido, le orde del Visigoto Alarico devastarono l'intera Grecia per 5 lunghissimi anni:tutte le grandi città furono messe a ferro e fuoco ad eccezione di Atene e Tebe. A contrastarlo fu il generalissimo Stilicone che nel 397 bloccava il visigoto a Pholoe in Arcadia, tuttavia l'indisciplina delle sue truppe favori Alarico che riusci a strappare un trattato che gli permetteva di transitare in Epiro col grado di Magister Militum. Stilicone pur se forte militarmente, non era in grado di distruggere il comandante visigoto che si ritrovò una via di fuga ad ovest verso le porte che aprivano all'Italia.

Risultati immagini per Impero Romano d'Oriente estensione

Cosi quando Stilicone mosse guerra in Rezia con tutte le sue legioni per contrastare l'ennesima invasione, Alarico sfondava i Clastra Julii dell'Italia Nord orientale invadendo Venetia ed Istria. Nel novembre del 401 l'Italia si ritrovava i visigoti in casa, decisi a marciare verso ROMA. Nella crisi più totale, Stilicone si vide costretto a richiamare tutte le legioni rimaste sul Reno ed in Britanna: una EVACUAZIONE EPOCALE che sancirà la CADUTA DEL LIMES OCCIDENTALE, tuttavia non c'era altra scelta. L'intero confine renano-danubiano era  soggetto a continui sconfinamenti ormai incontrollabili e non esistevano più riserve per la difesa dell'Italia. Con tutto quello che aveva Stilicone riusci' a respingere i visigoti prima a Pollenzo, Pasqua del 402, poi a Verona (nel 403)

Entrambi gli schieramenti avevano subito pesanti perdite, cosi Stilicone ed Alarico giunsero ad un accordo: il generale romano concedeva terre ad Alarico nell'Illirico in cambio dell'azione militare dei visigoti in Epiro ai danni della Parte Orientale. Alarico cosi lasciava l'Italia, Stilicone a sua volta non smobilitava in quanto nel 405 scesero in Italia i GOTI di RADAGAISO: in una battaglia ferocissima a FIESOLE questi furono massacrati nell'agosto del 406. Da li, nel dicembre 406 Stilicone veniva richiamato urgentemente in Gallia: IL LIMES ERA STATO SFONDATO DA BEN 4 POPOLI E NON C'ERANO DIFESE.

Stilicone con forze raccogliticce tentava un contrattacco ad ovest, ad est Alarico era in attesa di rinforzi da Stilicone che non arrivavano. Stizzito per la situazione mosse le sue orde di nuovo ai confini orientali d'Italia. Ora Stilicone NON aveva più uomini per contrastare il pericolo: le ultime legioni britanniche che dovevano affluire si erano ammutinate nelle Gallie eleggendo un loro imperatore,Costantino III, il generale cosi' convinse la corte dell'imperatore legittimo a versare un tributo in oro ad Alarico. L'idea di Stilicone altresì era quella di utilizzare i Visigoti come arma da scagliare nelle Gallie contro l'imperatore usurpatore e contro Vandali,Alani,Svevi,Asdingi. Un piano enorme che non convinse la corte di Roma: l'imperatore legittimo temeva un tradimento, cosi fece arrestare ed uccidere il generale. PER ROMA E' L'INIZIO DELLA FINE.

La scelta dell'imperatore Onorio si rivelerà CATASTROFICA segnando le sorti dell'intera Pars occidentalis. Solo i barbari erano in grado di rimaneggiare le fortissime perdite dell'esercito romano: l'assassinio di Stilicone scatenò uno spaventosa persecuzione dei barbari che servivano nell'esercito dell'impero. Nel 408 moltissimi militi d'origine germanica andarono ad ingrossare le fila dell'esercito di Alarico che mosse guerra a Roma invadendo agilmente l'Italia nel 408. L'intero percorso che li portò a Roma venne messo a ferro e fuoco e la città eterna cinta da un pesantissimo assedio.

Con i Visigoti che assediano Roma, senza un comandante militare in grado di muovere legioni, con un imperatore usurpatore, Costantino III, che staccò le Gallie e l'Hispania da Roma, i popoli che avevano sfondato il limes iniziarono una profonda penetrazione nei territori dell'impero. Risultati immagini per sfondamento del limes del 406

 

Nel frattempo il senato aveva inviato un'ambasceria presso Onorio per comunicargli le proposte di Alarico in cambio della pace: il re goto, in cambio di una modesta somma di denaro e della cessione in ostaggio di alcuni figli di persone di rango illustre, offriva non solo la sospensione delle ostilità ma anche un'alleanza militare contro qualunque nemico dello stato romano.[46] Dopo il pagamento del tributo, Alarico tolse momentaneamente il blocco alla città, concedendo per tre giorni agli abitanti di Roma la possibilità di uscire liberamente dalle mura per acquistare al Porto le provviste necessarie e portarle dentro la città.[46] Tuttavia, alcuni soldati visigoti, disobbedendo agli ordini del loro re, aggredirono alcuni cittadini romani usciti dalle mura per fare acquisti al porto.[46] Quando Alarico ne venne informato, volle punire gli autori dell'aggressione, per rendere chiaro e tondo che quell'atto era stato commesso contro la sua volontà.[46] I Visigoti si allontanarono momentaneamente dall'Urbe, spostandosi in Tuscia.[46] Nel frattempo, numerosi schiavi fuggirono da Roma, e si arruolarono nell'esercito di Alarico, portandolo ad annoverare 50.000 soldati.[46] Tutti questi avvenimenti avvennero negli ultimi mesi dell'anno 408.

ANNO DOMINI 409.

L'imperatore Onorio continuava a temporeggiare mal consigliato: dalla Dalmazia fece affluire una legione che doveva rafforzare le difese di Roma. Questa venne incredibilmente intercettata dai Visigoti su strade da loro sorvegliate: fu una carneficina. Solo il comandante Valente, il suo secondo Prisco Attalo ed un centinaio di uomini, riuscì ad entrare in Roma. Il disastro venne accentuato da Alarico che rimise sotto assedio l'Urbe. Con il nuovo assedio in atto, ripresero le negoziazioni tra l'imperatore ed il re visigoto. Tempo perso che Alarico sfruttò per riassediare Roma costringendo il Senato a nominare un anti imperatore nella figura di Prisco Attalo che doveva fungere da passacarte favorevole ai Visigoti. Con un suo uomo in Roma, Alarico marciò verso Ravenna per assediarla e per far fuori se possibile Onorio, mentre contemporaneamente Attalo spediva in Africa suoi uomini allo scopo di occuparla per mantenere costante gli approvvigionamenti per Roma, l'Africa era in mano a uomini di Onorio. Il nodo non funzionò per il fallimento di Attalo che venne destituito da Alarico.

ANNO DOMINI 410.

Alarico occupava stabilmente l'Intera Italia Centrale da due anni ma non gli era riuscito di eliminare Onorio, nè di occupare Roma. L'Urbe ora era senza approvvigionamenti di grano e cosi Alarico decise di assediarla per la terza volta: la città apri le porte al re Visigoto stremata dalla fame e per la prima volta dai tempi di Brenno, la città venne occupata e saccheggiata pesantemente per tre lunghissimi giorni, 24-27 agosto del 410.

Con un bottino sconfinato, Alarico prosegui la sua marcia di distruzione in Campania ed in Calabria con l'intento di imbarcarsi per l'Africa allo scopo di occuparla per i rifornimenti di grano. L'idea era quella di dominare l'Italia dall'Africa. Non ci fu nulla da fare:la flotta che doveva portarlo a Cartagine non esisteva, cosi il re fece dietro front: tuttavia sulla via del ritorno improvvisamente moriva nei pressi di Cosenza. La tradizione vuole che fosse sepolto con tutte le sue ricchezze nel letto del Busento appositamente deviato.

 

I Visigoti si attardarono ulteriormente nel Sud d'Italia: dovevano procedere coi funerali del loro primo Re, dovevano procedere con l'elezione del successore, dovevano intavolare trattative con l'Impero sul da farsi. Questo protrarsi fu devastante per tutta la costa tirrenica del Sud, messa letteralmente a ferro e fuoco.

ANNO DOMINI 411.

Nelle Gallie la situazione vedeva Vandali,Alani e Svevi stanziarsi nella parte meridionale della Spagna dopo una lunghissima marcia dal Reno piena di assedi e distruzioni. Di fronte a questo temporaneo alleggerimento, un generale di Costantino III, Geronzio, iniziò a muovere le sue legioni proprio contro Costantino che gli scagliò addosso il suo esercito.

ODOACRE,magister militum e primo re di Eruli e Sciri dal 4 settembre 476 Prefetto del Pretorio d'Italia ed Illirico

Questa data non fu certo un evento traumatico per chi la visse e tantomeno un evento da ricordare per gli storici dell’epoca tardo-antica, ma di fatto pose fine alla lunga agonia dell’Occidente romano. Vediamo cosa accadde quel giorno.

Impero Romano d'Occidente e d'OrienteAntefatto storico. Lo stato in cui era ridotta la dignità imperiale per mano dei generali barbari (magistri militum) che spadroneggiavano a corte, indusse i sovrani di Costantinopoli a prendere sotto la loro loro tutela l’Impero romano d’Occidente e, dopo la morte del generale Ricimero, l’imperatore d’Oriente, Leone, designò al trono d’Occidente un proprio generale, Giulio Nepote, che aveva sposato sua nipote. Giulio Nepote cercò di consolidare i territori dell’Italia e della Gallia che ancora si trovavano sotto il controllo dell’Impero d’Occidente in maniera diplomatica, ma ormai l’autorità imperiale era alla mercé degli eserciti romani e barbarici e fu costretto a cedere l’Alvernia, provincia della Gallia, ai Visigoti che se ne erano impadroniti. Contro questo cedimento insorse il suo generale Oreste, d’origine gotica, il quale lo destituì e al suo posto nominò il figlio Romolo, che era appena adolescente e per la sua giovane età, o forse anche per scherno, fu denominato Romolo Augustolo. Quindi, con le sue milizie, marciò contro Ravenna, dove si trovava Giulio Nepote, il quale lasciò la città e si rifugiò nei suoi possedimenti in Dalmazia.

Romolo, secondo fonti diverse, aveva tra i dieci e i quattordici anni, e non era quindi in grado di assumere le responsabilità del governo imperiale. L’effettivo potere fu detenuto da Oreste e durò poco tempo (474-475).

Agosto 476 d.C. Scoppiò una ribellione tra i contingenti barbari (in gran parte mercenari Eruli) dell’esercito di stanza in Italia, che reclamavano per i loro servigi (tra i quali l’allontanamento dell’ex imperatore Giulio Nepote) un terzo delle terre possedute dai grandi latifondisti. La richiesta, che comportava la spoliazione dei più ricchi e autorevoli proprietari italici, non fu accolta. Al rifiuto dei Romani, Odoacre si fece nominare re (dei barbari) e promettendo ai suoi soldati ciò che era stato loro negato, si scontrò con il potere centrale. In un primo scontro Odoacre ebbe la meglio su Oreste, che fu catturato e ucciso.

4 settembre 476 d.C. avvenne lo scontro decisivo presso la capitale Ravenna: il fratello di Oreste, Paolo, fu ucciso e Romolo Augusto fu deposto da Odoacre, che rimandò le insegne imperiali a Costantinopoli, chiedendo l’approvazione all’imperatore d’Oriente Zenone del titolo di rex. Odoacre risparmiò la vita al giovane imperatore in virtù proprio della sua giovane età. Romolo Augustolo fu esiliato a Napoli e rinchiuso nell’antica villa di Lucullo, il Castellum Lucullianum che corrisponde all’attuale Castel dell’Ovo (che sorge sull’isolotto di Megaride). Secondo alcune fonti, gli fu anche concesso un vitalizio di seimila solidi annui, pari alla rendita di un senatore facoltoso, per consentirgli di vivere con i propri parenti in maniera dignitosa. Che fine fece l’imperatore legittimo Giulio Nepote? Odoacre destituì sì Romolo Augustolo e si sottomise all’autorità dell’imperatore d’Oriente Zenone, ma le cose non sarebbero tutte dovute andare proprio così. Zenone, accettando ad Odoacre il titolo di “re”, aveva invitato questi a riconoscere il legittimo imperatore Giulio Nepote, esiliato anni prima da Oreste. Odoacre non invitò mai Nepote a ritornare in Italia come imperatore, ma nonostante questo le monete coniate (da Odoacre) recavano il nome di Nepote. Giuridicamente parlando, quindi, nel 476 d.C. vi erano due imperatori nella norma (Occidente e Oriente) e, solo dopo la morte del collega d’Occidente, Zenone assunse formalmente il titolo di imperatore unico di tutte e due le parti dell’Impero.

Il patricius e l’imperatore. Veniamo ora alla questione di Odoacre e in che modo avviene il suo riconoscimento da parte orientale. Odoacre chiede a Zenone (imperatore d’Oriente) il riconoscimento del governo dell’Italia e delle province confinanti e l’assegnazione del titolo di patricius (lo stesso che aveva avuto il generale barbaro Ricimero che tanto aveva influenzato le sorti dell’ultimo ventennio): fin qui non vi è nulla di strano, dato che avevano – nel bene e nel male – sempre convissuto le figure di patricius (o magister militum) barbari con quella dell’imperatore.
L’accettazione di Odoacre da parte di Zenone è comunque relativa: in qualità di patricius, Odoacre non è la figura più in alto nella gerarchia occidentale, bensì la seconda: la prima è proprio Nepote.
Odoacre accetta apparentemente questa subordinazione all’imperatore d’Occidente, coniando anche monete a nome di “Giulio Nepote Augusto”, ma non cedendo l’effettivo potere politico che resta nelle sue mani.
 
Epilogo. Come andò a finire tutta questa storia? Ebbene, Giulio Nepote era seriamente intenzionato, forte dell’appoggio di Zenone, a riprendersi il trono imperiale. Ma… facciamo un altro passo indietro!
Nepote, una volta investito del titolo di imperatore d’Occidente nel 474, aveva dovuto scontrarsi con un altro pretendente al trono, nominato dal barbaro e patricius Gundobado, tale Glicerio. Non vi fu alcuna battaglia, e l’usurpatore Glicerio venne deposto e costretto a prendere i voti, quindi nominato vescovo di Salona in Dalmazia. La convivenza a Salona tra l’ex imperatore e vescovo Glicerio e l’imperatore Nepote non deve essere stata delle migliori: stando alle fonti, Glicerio collaborò con i due generali (Ovida e Viatore) per assassinare Nepote, cosa che avvenne alla vigilia della spedizione di Nepote in Italia contro Odoacre, che saputa la notizia della sua morte organizza a sua volta – col pretesto di vendicarne la morte – la riconquista della Dalmazia.

 

TEODORICO

TOTILA

ALBOINO

L'INVASIONE LONGOBARDA,568 D.C.

Alboino strinse un nuovo accordo con gli Avari offrendo loro le terre fin lì occupate in Pannonia; tuttavia, se l'invasione fosse fallita, i Longobardi avrebbero riottenuto la Pannonia.[14] In ogni caso, Alboino temeva un attacco alle spalle da parte degli Avari durante l'invasione, in un momento di vulnerabilità da parte longobarda.[15]

Stretta l'alleanza per il giorno di Pasqua, il 2 Aprile[16] del 568, l'invasione partì. La massa era composta da centomila-centocinquantamila persone (le stime sono molto incerte); i guerrieri erano una minoranza (circa 30 000), perché il grosso era costituito dalle loro famiglie; alla spedizione parteciparono anche guerrieri sassoni.[17] Più che strettamente militare, l'esodo aveva quindi caratteristiche migratorie, con masserizie e mandrie di bestiame al seguito.

L'invasione partì dall'estremità occidentale del lago Balaton.[16] Il percorso seguito dall'orda è incerto, ma probabilmente sfruttò le strade romane che dalla Pannonia la portò a varcare l'Isonzo. Una leggenda narra che, prima di entrare in Italia, Alboino salì su un monte, il Matajur, che da lui avrebbe preso il nome ("Monte Re").[18] Il monte si trova sulla valle del fiume Natisone, tuttavia è più probabile che i Longobardi abbiano percorso la comoda strada romana che da Emona (l'odierna Lubiana) scendeva ad Aquileia, lungo la valle del fiume Vipacco.

Bizantini non offrirono resistenza, rinchiudendosi nelle loro città fortificate, il che potrebbe avvalorare la teoria di un trasferimento concordato, anche se può spiegarsi altrimenti con la tattica usuale dell'esercito bizantino, che, piuttosto che affrontare l'invasore in una battaglia con il rischio di farsi annientare l'esercito, preferiva attendere che l'invasore si ritirasse con il bottino, cosa che i Longobardi non fecero, occupando invece permanentemente le terre invase.[13] La prima città di rilievo a cadere nelle mani di Alboino, all'inizio del 569, fu Forum Iulii (Cividale del Friuli), che il re assegnò al nipote Gisulfo, che divenne così il primo duca di Cividale con il compito di difendere l'avanzata longobarda da eventuali attacchi da est e di garantire una via di fuga.[19]

La conquista delle principali città dell'Italia nordorientale procedette con rapidità nell'estate-autunno 569; caddero AquileiaVicenza e Verona, dove Alboino stabilì il suo primo quartier generale.[20] La presa di Milano, il 3 settembre[21], concluse la migrazione. I Longobardi si erano stanziati nella fascia pedemontana fra le Alpi e il Po, quasi a protezione del resto della penisola, ancora sotto governo bizantino. Paolo Diacono riferisce che solo Pavia si oppose ai nuovi venuti. L'assedio della città sul Ticino si sarebbe protratto per tre anni.[22] Lo storico Aldo Settia ha peraltro messo in dubbio la realtà storica di tale assedio.[23]

Tra il 570 ed il 572

Conquistate Parma, Modena, Bologna, Imola, Lucca, Chiusi, Camerino, Benevento. Prime incursioni di Langbärten e Sassoni in territorio franco.

 

572

Cade Pavia dopo un assedio di tre anni, re Albwin, riconoscendo il valore dell’unica città che resistette con valore ai Langbärten, la elegge a capitale del regno. (la leggenda vuole invece che il cavallo di re Albwin, mentre questi varcava le porte della città, si accasciò al suolo e non si mosse finché il re non promise salva la vita di coloro che per anni gli resistettero dentro le mura di Pavia).

 

26 Giugno 572

Re Albwin viene assassinato a Verona. Cleph/Clefi viene eletto re a Pavia, egli continua l’espansione longobarda sia sul territorio italiano (uccidendo molti nobili romani, forse per vendicare la congiura che portò all’assassinio di re Albwin, cacciandone altri) che verso quello franco

.

 

574

Dopo un anno e sei mesi di regno (con a fianco la regina Masane) Cleph venne assassinato. Inizia il periodo di dominio ducale durante il quale la Langbard viene divisa tra i suoi 35 duchi (a seguito di ciò molti nobili romani vengono eliminati o sottomessi, diventando dei tributari; stessa sorte toccò anche ai sacerdoti mentre le chiese venivano depredate). I duchi fedeli alla causa longobarda sono però pochi: sicuramente tra questi “nazionalisti” vi sono Zaban di Pavia, Wallari di Bergamo, Alichis di Brescia, Evin di Trento e Gisulf di Cividale; degli altri la quasi totalità venne facilmente comprata dal soldo bizantino.

Alcuni duchi organizzano un corpo di spedizione per entrare nelle Gallie. Entrati in territorio franco i Langbärten si scontrano con i Burgundi di Amato, patrizio della Provenza al servizio del re franco Gunthram/Guntrammo, che vengono annientati (lo stesso Amato viene ucciso mentre si dava alla fuga). Questa scorreria in territorio franco procurò ai Langbärten un grandissimo bottino con il quale ritornarono a casa. Una seconda scorreria non fu così fortunata in quanto i Langbärten, spintisi fino a Mustiascalmi (?), vicino a Embrun, furono circondati da Eunio (detto anche Mummolo) e dai suoi Burgundi; molti Langbärten caddero mentre gli scampati che non vennero fatti prigionieri fecero ritorno in Langbard. In seguito irrompono in territorio franco i Sassoni che si accampano presso la città di Stablone (Canton de Mezel), colti di sorpresa da Mummolo in un giorno subiscono gravi perdite, ma, dopo la tregua della notte, si riorganizzano per dar battaglia, solo in seguito ad ambascerie tra le due fazioni ed alla restituzione del bottino razziato lo scontro è evitato ed i Sassoni possono valicare le Alpi e ritornare dalle loro famiglie; insofferenti verso il dominio ducale raggiunte le loro famiglie si organizzano per abbandonare il regno e fare ritorno alla terra dei loro padri passando per la Gallia.

 

575

I duchi Amo/Amone, Zaban (duca di Pavia) e Rodan partono alla conquista rispettivamente di Arles, Valenza (sul Rodano) e Grenoble, ma vengono respinti dal generale franco Mummolo e poi attaccati a Susa dal comandante bizantino Sisinnio. In seguito a queste sconfitte i Langbärten dovettero pagare un tributo annuo ai franchi e ceder loro le città di Aosta e Susa (che da questo momento saranno i confini della Neustria longobarda). Su queste sconfitte pesò senza dubbio il fatto che l’esercito longobardo non poteva vantare grande forza offensiva in quanto le sue file vennero ad assottigliarsi con la corruzione dei duchi meno “nazionalisti”; infatti un contingente longobardo forte di ben 60.000 uomini, sicuramente fedeli ai duchi al soldo bizantino, combatteva in Siria, agli ordini di Bisanzio, contro i Persiani (tale forza verrà poi fatta tornare in Langbard con la speranza di stimolare nuove defezioni verso le fila imperiali).

Ragilone, conte longobardo di Lagare (val Lagarina, la valle principale dell’Adige a nord della chiusa di Verona, fino a Calliano), dopo aver razziato la cittadella di Nanno consegnatasi ai Franchi venne attaccato e sconfitto a Campo Rotaliano (val di Ral, tra Nanno e Trento) dal duca franco Cramnichi.

 

576

A Ravenna i bizantini sbarcano un ingente corpo d’armata, comandato dall’esarca Baduario, che verrà in seguito annientato dai Langbärten (non se ne conoscono le coordinate).

 

 Tiberio Costantino, reggente dell'Impero d'Oriente a nome del folle Giustino II, aveva comprato una tregua sul fronte persiano, non valida tuttavia per l'Armenia, e questo gli permise di inviare nuove truppe in Italia, comandate dal genero di Giustino II, Baduario. Baduario dovette arrivare a Ravenna nel 575/576, dove sembra che edificò una Chiesa, con nuove truppe provenienti dall'Oriente, di cui le fonti non riferiscono la forza e la composizione etnica, ma che alcuni studiosi hanno congetturato potesse contenere anche mercenari longobardi. Un passo della Storia Ecclesiastica di Giovanni di Efeso evidenzia infatti che 60.000 longobardi avevano combattuto nel 575 in Siria al servizio dell'Impero,[5] e non è da escludere che abbiano poi seguito Baduario in Italia.[6] Inoltre è possibile che a Benevento e a Spoleto fossero insediati, fin dai tempi della fine della guerra gotica (535-553), gruppi di Longobardi come foederati dell'Impero, a cui Baduario potrebbe aver richiesto sostegno contro i Longobardi ostili all'Impero. Queste sono però solo delle congetture, sicché l'unica fonte che descrive (in un rigo solo) la spedizione di Baduario è la Cronaca di Giovanni di Biclaro:

(LA)

«Baduarius gener Iustini principis in Italia a Longobardis proelio vincitur et non multo plus post inibi vitae finem accipit.»

(IT)

«Baduario genero del principe Giustino viene vinto in battaglia dai Longobardi e non molto tempo dopo trova qui la fine della sua vita.»

(Giovanni di BiclaroCronaca, anno 576.)

LA FINE DEL TARDO IMPERO E L'INIZIO DELL'ALTO MEDIOEVO ITALICO - 568 - 584

In questi 16 anni di invasione longobarda, per indirizzo specifico perseguito sin da Alboino,gli invasori procedettero sistematicamente a disintegrare letteralmente quelle che erano le strutture politico-amministrative tardo imperiali, li dove i longobardi occupavano in pianta stabile un territorio, tutta l'impalcatura di uffici pubblici amministrativi e giuridici veniva disintegrata e sostituita da una feroce divisione sociale per cui i germani erano i padroni assoluti ed i romani i servi.  Il sistema economico della tarda antichità, imperniato su grandi latifondi lavorati da contadini in condizione semi-servile, non fu rivoluzionato, ma solo modificato affinché avvantaggiasse i nuovi dominatori.[4]

In questo modo I prodotti della terra venivano ripartiti con i sudditi romanici che la lavoravano, riservando ai Longobardi un terzo (tertia) dei raccolti. I proventi non andavano a singoli individui, ma alle fare, che li amministravano nelle sale (termine che ricorre tuttora nella toponomastica italiana).

579

Faruald/Faroaldo, duca di Spoleto, occupa Classe (porto di Ravenna).

 

580

Occupata Perugina.

 

581

Il duca franco Cramnichi si spinse a devastare Trento, ma il duca della città longobarda, Ewin, lo insegue e a Salorno sconfigge i Franchi. A questa, fino al 590, seguirono altre invasioni franche (a volte supportate dai bizantini) che nonostante le conquiste non si conclusero mai positivamente per i nemici delle “lunghe barbe”.

 

584

Childeberto II, istigato dall’imperatore Maurizio, invade il regno longobardo. Non riuscendo a scontrarsi con i Langbärten, che si riparavano nelle città fortificate, si fece corrompere dai doni di questi e ritornò in Francia.

 

Agilulfo compì alcune scelte simboliche volte al tempo stesso a rafforzare il proprio potere e ad accreditarlo presso la popolazione di discendenza latina. La cerimonia di associazione al trono del figlioletto Adaloaldo, nel 604, seguì un rito bizantineggiante; scelse come capitale non più Pavia, ma l'antica metropoli romana di Milano e Monza come residenza estiva; definì se stesso, in una corona votiva, Gratia Dei rex totius Italiae ("Per grazia di Dio re di tutta Italia", quindi non più soltanto rex Langobardorum, "Re dei Longobardi").[11]

 

Il Partito Comunista d'Italia- 1921-1943- (Sezione della Internazionale Comunista) è stato un partito politico italiano attivo legalmente dal 1921 al 1926 e clandestinamente dal 1926 al 1943, quando riprese l'attività legale come Partito Comunista Italiano (1943-1990)[1]( svolta di salerno, aprile 1944). Avente sede a Milano nella palazzina di Porta Venezia, ebbe come organo di stampa quotidiano centrale Il Comunista fino al 1922 e, dal 1924, l'Unità.

 

Le origini (1920-1921) [modifica]

Il II Congresso del Comintern fra luglio e agosto del 1920 decide che i suoi membri avrebbero dovuto sottoscrivere 21 condizioni che prevedevano, fra l'altro, l'espulsione di ogni riformista e il mutamento di nome dei in partiti in "Partito Comunista". Alla fine del Congresso, il 27 agosto il presidente del Comintern Zinov'ev con Bucharin e Lenin inviavano al Psi e a «tutto il proletariato rivoluzionario» italiano l'invito a discutere al più presto in un Congresso le 21 condizioni. L'appello sarà pubblicato in Italia solo il 30 ottobre su L'Ordine Nuovo, quindicinale socialista torinese diretto da Antonio Gramsci.

Il 15 ottobre 1920 a Milano ha luogo una conferenza di tutti coloro che accettano senza riserve le 21 condizioni del Comintern. Si incontrano così gli astensionisti vicini ad Amadeo Bordiga, gli ordinovisti di Gramsci e massimalisti terzinternazionalisti come Egidio Gennari, Nicola Bombacci, Bruno Fortichiari e Francesco Misiano. La conferenza si concluderà con l'approvazione del manifesto Ai Compagni e alle Sezioni del Partito Socialista Italiano. Il manifesto si conclude con la proposta del cosiddetto programma di Milano in 10 punti ed è sottoscritto da Bombacci, Bordiga, Fortichiari, Gramsci, Misiano, Umberto Terracini e il segretario della Federazione Giovanile Socialista Italiana, Luigi Polano. Nasce così la frazione comunista del Psi.

DALLA SCONFITTA DEL CENTRALISMO ORGANICO e dal rifiuto del "partigianismo" ALLA NASCITA DEL PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE (1943-1952)

 

STRUTTURA ECONOMICA E SOCIALE DELLA RUSSIA D'OGGI (I)
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Content:

Amadeo Bordiga (Ercolano, 13 giugno 1889 Formia, 23 luglio 1970) è stato un politico, rivoluzionario comunista italiano. Fu a capo della principale corrente (quella degli astensionisti del PSI) che portò alla fondazione del Partito Comunista d'Italia dopo la scissione avvenuta al Congresso di Livorno del PSI nel 1921. Da militante rivoluzionario, lottò apertamente contro l'involuzione stalinista della Terza Internazionale e si adoperò, fino ai suoi ultimi giorni, per il partito comunista mondiale, cioè per un partito che fosse sempre perfettamente coerente con la dottrina marxista e che superasse i limiti intrinseci di omogeneità teorica della stessa formula dell'Internazionale comunista.

La formazione di Bordiga fu di carattere scientifico. A differenza della quasi totalità dei politici moderni, egli, abbracciando il marxismo, sottopose fin da ragazzo la teoria politica a una visione scientifica piuttosto che il contrario (nelle sue opere della maturità sostenne che la scienza moderna è marcatamente influenzata dall'ideologia). Il padre Oreste, piemontese, fu uno stimato studioso di scienze agrarie, la cui autorevolezza era riconosciuta specialmente a proposito dei secolari problemi agrari del Mezzogiorno italiano. Lo zio paterno, Giovanni, fu matematico, esperto di geometria proiettiva, insegnante all'università di Padova, militante del radicalismo tardo risorgimentale (appassionato d'arte, fondò tra l'altro la Biennale di Venezia).

La madre, Zaira degli Amadei, discendeva da una antica famiglia fiorentina e il nonno materno fu cospiratore nelle lotte risorgimentali. L'ambiente familiare fu dunque fondamentale nella formazione del giovane rivoluzionario, che seppe fondere la scienza con l'arte, come ebbe a dire nel 1960 a proposito dell'intero movimento rivoluzionario. Con queste premesse, Bordiga si laureò in ingegneria al Politecnico di Napoli nel 1912. Aveva già conosciuto il movimento socialista al liceo, tramite il suo professore di fisica (Calvi) e nel 1910 aveva aderito al Partito Socialista Italiano.

L'opposizione dei socialisti radicali alla Guerra di Libia lo vide in prima linea nelle assemblee e in piazza, come registrano i rapporti di polizia. Nell'aprile del 1912 fondò con alcuni giovani compagni il Circolo Carlo Marx, gruppo che uscì dalla sezione napoletana del PSI ma non dal partito, rientrandovi quando terminò il tentativo delle manovre bloccarde con i massoni. Sotto la sua influenza, la sezione napoletana del partito divenne il nucleo di una combattiva corrente che poco a poco si fece strada nei convegni locali della gioventù socialista e nei congressi nazionali del partito. Nello stesso tempo cresceva l'esperienza di lotta, vissuta in una delle aree industriali, quella ad est di Napoli, che allora era tra le più sviluppate d'Italia.

Il suo rifiuto dell'approccio pedagogico alla politica divenne in quegli anni uno dei suoi cavalli di battaglia. Fu fin dall'inizio profondamente ostile alla democrazia rappresentativa, che considerava strettamente legata all'elettoralismo borghese: "Se esiste una totale negazione dell'azione democratica, essa va ricercata nel socialismo" (In Il Socialista, 1914). Fu contrario alla libertà di azione concessa ai parlamentari socialisti, che invece egli voleva porre sotto il diretto controllo della direzione del partito. Similmente alla maggior parte dei socialisti nei paesi mediterranei, fu avversario severo della massoneria.

Allo scoppio della guerra, nel 1914, si distinse per la sua campagna rigorosamente antimilitarista. Nel 1915 fu chiamato alle armi e dovette sospendere l'attività aperta contro la guerra. Esonerato dal servizio attivo per grave miopia, riprese l'attività politica presentando nel partito, nel 1917, una mozione contro la formula ambigua e fuorviante di "né aderire né sabotare". Destò grande sorpresa fra i dirigenti del partito il risultato della votazione: 14.000 voti per la mozione della Sinistra e 17.000 per quella degli altri raggruppamenti. Nell'agosto del 1917 Bordiga fu l'animatore della "Frazione Intrasigente Rivoluzionaria", della quale scrisse le tesi politiche, fatte accettare quasi all'unanimità al seguente congresso della Federazione Giovanile.

Allo scoppio della Rivoluzione russa nell'ottobre del 1917, aderì al movimento comunista internazionale e formò la "Frazione Comunista Astensionista" all'interno del PSI. La frazione si diceva astensionista in quanto si opponeva alla partecipazione alle elezioni borghesi e fu questa corrente, alla quale si affiancò quella torinese dell'Ordine Nuovo di Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, a uscire dal PSI a Livorno nel gennaio 1921 per formare il Partito Comunista d'Italia (Pcd'I). Era l'epilogo di una lunga divisione interna ai socialisti, che fin dal 1919 si erano trovati nel dilemma se accettare o meno interamente le condizioni poste da Lenin per entrare nella Terza Internazionale.

Nel corso delle dispute su queste condizioni, Bordiga, partecipando al Secondo Congresso dell'Internazionale Comunista nel 1920, fece aggiungere 2 condizioni alle 19 già fissate da Lenin. Nonostante l'appoggio di Lenin ai comunisti italiani contro i riformisti del PSI, le posizioni astensioniste di Bordiga furono criticate dallo stesso Lenin in "L'estremismo: una malattia infantile del comunismo" (cui Bordiga rispose negli anni Cinquanta con un saggio contro i falsificatori di Lenin). La storia del movimento comunista mondiale, con la disastrosa deriva opportunista e stalinista di tutti i partiti comunisti, accelerata ed aggravata proprio dalla tattica del fronte unico, si prese poi la briga di dimostrare la correttezza delle posizioni astensioniste.

Sotto la guida carismatica di Bordiga il Partito Comunista d'Italia si avviò ad essere un organismo assai dissimile dagli altri partiti che avevano aderito all'Internazionale. La composizione prettamente operaia non aveva prodotto la solita gerarchia interna piramidale con al vertice gli intellettuali. D'altra parte, la pur rigorosa disciplina interna non si fondava tanto su disposizioni statutarie quanto sul programma e su quello che proprio in quel periodo si stava configurando come "centralismo organico". Questo particolare assetto "naturale" fu spiegato e rivendicato già dal 1921 come elemento distintivo della Sinistra Comunista "italiana". In un articolo dello stesso anno, Bordiga chiarisce che il partito rivoluzionario si caratterizza per il fatto di essere già il progetto, la base fondante della società futura e da questa deriva la sua specifica natura e struttura, mentre rigetta ogni meccanismo interno mutuato dalla società presente.

Bordiga fu eletto nel Comitato Centrale del Pcd'I e vi rimase fino al suo arresto nel 1923. Nel giugno egli e gli altri dirigenti arrestati vennero sostituiti alla direzione del partito per ordini di Mosca. Assolto al processo, rifiutò di entrare nel comitato esecutivo. Nel 1926 partecipò al Congresso clandestino di Lione, dove la Sinistra fu messa in minoranza dai centristi allineati a Mosca (Gramsci, Togliatti, Terracini, tra gli altri, si erano schierati con il campo che si stava delineando come stalinista) con vari espedienti, nonostante disponesse ancora della stragrande maggioranza dei voti congressuali.

Subito dopo il Congresso di Lione, in cui furono presentate le ultime tesi che la Sinistra Comunista poté scrivere in difesa dell'Internazionale, Bordiga partecipò al VI Esecutivo allargato dell'IC, dove tentò per l'ultima volta di intervenire in difesa dei principii fondanti di quello che doveva essere il partito mondiale. Nello stesso anno fu arrestato e inviato al confino sull'isola di Ustica, dove con Gramsci contribuì a organizzare la vita dei prigionieri. Al rilascio fu sempre più emarginato dall'attività politica finché il 20 marzo 1930 venne espulso per aver difeso Leone Trockij nonostante le divergenze con lui. Per diversi anni non poté più svolgere politica attiva, controllato notte e giorno dalla polizia fascista.

Bordiga aveva un rapporto quasi paterno e protettivo nei confronti del giovane Gramsci, fisicamente poco adatto alla dura lotta politica del tempo, in ambiente di guerra civile. Cercava di assecondare come poteva "il suo lento evolvere dall'idealismo filosofico al marxismo". Gli fu amico anche nei momenti di dura polemica. Lo sarebbe stato anche se avesse conosciuto la sua corrispondenza segreta con Togliatti e gli altri centristi di minoranza alleati a Mosca che lavoravano alla liquidazione della Sinistra: essendo completamente estraneo alle manovre politiche sia concretamente che come mentalità, badava alla salvaguardia del partito rivoluzionario indipendentemente dalle sue componenti interne e dai numeri di iscritti che esse coinvolgevano.

Quando il gruppo gramsciano si avvicinò alla Sinistra, reputò "leale" il titolo della sua rivista, che non parlava di Classe, Stato e Società come facevano i comunisti, ma genericamente di "Ordine Nuovo". Bordiga scherzava sulla concezione antideterministica di Gramsci, che ancora nel 1919 interpretava la Rivoluzione d'Ottobre come una specie di "miracolo della volontà umana", contro ogni determinismo delle reali condizioni economiche e politiche della Russia: "Solo a rilento Gramsci accettò le direttive marxiste sulla dittatura del partito e sulla stessa incidenza del sistema marxista, fuori dell'economia di fabbrica, in una visione radicale di tutti i rapporti di fatti nel mondo umano e naturale". Quando poi conobbe Lenin, racconta ancora Bordiga, "la cosa non restò senza effetto; maestro ed allievo non erano da dozzina".

Gramsci ammetteva di non accettare tutto del marxismo e di maturare lentamente, tanto che rispose a tono: "Preferiremo sempre quelli che imparano lentamente capitoli del marxismo a quelli che li dimenticano". Ma ancora nel 1926, in margine al Congresso di Lione, quando ormai la Sinistra era liquidata, a una precisa affermazione di Bordiga, che ormai considerava un avversario da rimuovere, rispose: "Do atto alla sinistra di avere finalmente acquisita e condivisa la sua tesi, che l'aderire al comunismo non comporta solo aderire ad una dottrina economica e storica e ad una azione politica, ma una visione ben definita, e distinta da tutte le altre, dell'intero sistema dell'universo anche materiale".

Al confino insieme per qualche tempo a Ustica alla fine del 1926, Bordiga e Gramsci organizzarono una "scuola di partito" per prigionieri dove nessuna "materia" era esclusa. Di comune accordo, tenevano a turno "lezioni" in cui l'uno esponeva la materia secondo le tesi dell'altro, scherzando alla fine sul confronto delle eventuali manchevolezze di ognuno (Le citazioni in corsivo sono memorie di Bordiga).

In seguito allo sbarco alleato e allo spostamento al Nord del fronte di guerra nel 1944, intorno a Bordiga si raccolsero i vecchi compagni del 1921. Con la guerra ancora in corso, furono presi contatti clandestini con i compagni del Nord. Nell'immediato dopoguerra vi furono le prime riunioni congiunte, ma Bordiga rifiutò di far parte del partito se fosse rinato nuovamente sulle basi della vecchia Internazionale degenerata. Iniziò quindi a collaborare al periodico "Battaglia Comunista" (1945), organo del neo-costituito Partito Comunista Internazionalista.

All'uscita della rivista "Prometeo" (1946), organo teorico dello stesso partito, scrisse sul primo numero un Tracciato d'impostazione che doveva servire da riferimento programmatico. Nel 1949 iniziò a scrivere la serie di 136 articoli "Sul filo del tempo", tesa a dimostrare la necessaria continuità fra le origini del movimento comunista e i compiti attuali. Sulla base di tale impostazione teorica scrisse una gran mole di articoli e saggi tendenti a dimostrare che l'URSS era da considerarsi un paese capitalista impegnato in un "industrialismo di stato". Questa posizione lo poneva in irriducibile contrasto con lo stalinismo ed il togliattismo, che sostenevano invece l'idea che in Russia si stesse "costruendo il socialismo in un paese solo".

 

Locandina La banda Baader Meinhof

Germania Federale, 1967. Durante una manifestazione pacifica contro la visita di Stato dello Scià di

Germania Federale, 1967. Durante una manifestazione pacifica contro la visita di Stato dello Scià di Persia Reza Pahlavi e consorte, la polizia attacca duramente i manifestanti e spara e uccide lo studente Benno Ohnesorg. Ulrike Meinhof, moglie, madre e giornalista militante della sinistra radicale tedesca, scrive articoli di fuoco contro l’intervento americano in Vietnam e in difesa degli studenti liquidati dal governo e dalla stampa come meri teppisti. Dopo l’incendio acceso in un magazzino di Francoforte, Ulrike conosce e intervista in carcere una delle responsabili: Gudrun Ensslin, figlia disinibita di un pastore protestante, madre di un figlio ripudiato e compagna di politica e di cuore di Andreas Baader. Affascinata dalla forza delle loro idee e della loro azione politica, la giornalista aiuta Gudrun a far evadere il suo compagno nella primavera del ‘70. L’evasione di Baader diventa l’atto di nascita della RAF (Rote Armee Fraktion) e avvia la clandestinità della Meinhof. Elaborato il manifesto programmatico del gruppo armato, la Meinhof segue i compagni nei campi militari palestinesi, dove verranno addestrati alle armi e alla guerriglia urbana. Baader, Meinhof e Gudrun, rientrati in patria, rapinano le banche e compiono attentati dinamitardi e omicidi per abbattere il capitalismo e lo “Stato maiale”. Inaugurano in questo modo dieci anni di piombo e sangue che li condurranno dritti all’inferno, condannandoli all’isolationsfolter e al suicidio collettivo nella divisione di massima sicurezza di Stammheim. Dietro di loro resteranno soltanto l’ottusità dogmatica e i troppi caduti incolpevoli.
È incredibile come due film distanti anni luce per concezione di linguaggio e per intenzioni artistiche, come La banda Baader Meinhof di Uli Edel e Buongiorno, notte di Marco Bellocchio, attraversino lo stesso territorio (la ribellione collettiva delle lotte sociali confluita e seppellita definitivamente dalla lotta armata) legati da innumerevoli interferenze e da sorprendenti contiguità. Concepiti in una libertà di ispirazione completa e disinteressata a dimostrare una tesi, le due opere si muovono dentro il sogno o dentro l’action a partire dai dati di realtà, dalla cronaca e dalle testimonianze di eventi cruciali che hanno generato infinite storie e mitologie. È evidente che combinati i due aspetti finiscano col rimandare e alludere a questioni politiche ancora brucianti, generando nello spettatore rimproveri o encomi secondo le differenti sensibilità chiamate in causa dai film. Innestando immagini documentarie nel fluire di un racconto di finzione, Edel, come Bellocchio, non vuole tanto restituire all’epoca la sua verità in termini di “costume” ad uso della verosimiglianza dell’assunto, quanto creare il contrappunto della Storia con cui finiscono per interagire i personaggi in una sorta di montaggio delle attrazioni fra gli eccidi legittimati dai governi (Vietnam, Cambogia, Palestina) e le esecuzioni dell’uomo politico (o economico), segnalando l’equivalenza fra gli atti criminali statali e quelli dei combattenti della RAF. Chi ha accusato Edel di aver fallito l’obiettivo dichiarato di smontare il mito della RAF o di essersi magari soltanto limitato a questo, non ha intuito l’insistenza su una prospettiva altra, più profondamente umana e lucida. Non ha avvertito il dolore costante che attraversa il film e che pesa sulle spalle dei suoi straordinari interpreti, sulla morte “per fame” di Holger Meins e sull’epilogo, l’omicidio a sangue freddo dell’industriale Hanns Martin Schleyer eseguito dalla “seconda generazione”.
In quelle due immagini c’è l’impatto dell’emozione, il dolore per la perdita di una vita, il rimpianto per tutto quello che avrebbe potuto essere e non è stato, per il funerale dell’essere umano lasciato senza consolazione in un bosco o nel corridoio di un penitenziario. La banda Baader Mainhof ci rammenta che se gli anni Sessanta furono quelli del rinnovamento e dei movimenti, gli anni Settanta furono quelli del dolore e del rimpianto. Furono la strana normalità di tre ragazzi chiusi in casa e scesi in strada per godere della libertà come violenza, saltando da una finestra in un vuoto allucinatorio, nell’utopia della distruzione e del suo potere salvifico. Nella velocità dell’action Edel coglie e abita fino in fondo la dimensione sospesa della decennale esperienza terrorista, ostaggio del proprio delirio. Se la notte di Bellocchio riscopriva il (buon)giorno, quella di Edel non sa sognare albe né può offrire fughe immaginarie ai prigionieri di questa tragedia.

Locandina Il silenzio dopo lo sparo

Rita, una donna dal carattere forte e ribelle, in passato ha fatto parte della RAF, organizzazione terroristica attiva in Germania negli anni '70. Rifugiatasi nell'allora Repubblica Democratica Tedesca, ha cercato di lasciarsi alle spalle il passato, ricostruendosi una vita all'apparenza normale nell' "altro mondo" che sognava: qui trova l'amore e diventa amica di Tatjana, una donna che invece sogna di andare a vivere oltre il Muro, nella Germania Ovest. Ma proprio la riunificazione delle due Germanie segnerà la fine di tutto questo: Rita, braccata ancora una volta, dovrà infine fare i conti con il suo passato. Il film è stato presentato alla Berlinale 2002, dove le due attrici protagoniste sono state premiate con l'Orso d'Argento.

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1989. Christiane (Katrin Sass) vive nella Germania dell'Est ed è una socialista convinta. La donna cade in coma poco prima della caduta del muro di Berlino. Quando si risveglia, otto mesi dopo, il figlio Alex tenta di evitarle lo shock e fa di tutto per evitare che la madre scopra che il paese è "caduto nelle mani dei capitalisti". Campione di incassi in Germania. Che fare quando la storia va avanti per tenere tranquilli coloro i quali credevano di essere nel giusto? Raccontargli menzogne come gli venivano raccontate prima. Con la non secondaria differenza che a Lenin si è detto goodbye ma il futuro non è rose e fiori. Satira ben calibrata quella di questo film che i tedeschi ( e in particolare i berlinesi) hanno gradito moltissimo. Nel film non c'è un pacchetto di caffè o di sigarette che non ricordi loro un passato recente e non piacevole.

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Berlino Est, 1984. Il capitano Gerd Wiesler è un abile e inflessibile agente della Stasi, la polizia di stato che spia e controlla la vita dei cittadini della DDR. Un idealista votato alla causa comunista, servita con diligente scrupolo. Dopo aver assistito alla pièce teatrale di Georg Dreyman, un noto drammaturgo dell'Est che si attiene alle linee del partito, gli viene ordinato di sorvegliarlo. Il ministro della cultura Bruno Hempf si è invaghito della compagna di Dreyman, l'attrice Christa-Maria Sieland, e vorrebbe trovare prove a carico dell'artista per avere campo libero. Ma l'intercettazione sortirà l'esito opposto, Wiesler entrerà nelle loro vite non per denunciarle ma per diventarne complice discreto. La trasformazione e la sensibilità dello scrittore lo toccheranno profondamente fino ad abiurare una fede incompatibile con l'amore, l'umanità e la compassione.
All'epoca dei fatti, quando le Germanie erano due e un muro lungo 46 km attraversava le strade e il cuore dei tedeschi, il regista Florian Henckel von Donnersmarck era poco più che un bambino. Per questa ragione ha riempito il suo film dei dettagli che colpirono il fanciullo che era allora. L'incoscienza e la paura diffuse nella sua preziosa opera prima sono quelle di un'infanzia dotata di un eccellente spirito di osservazione. La riflessione e l'interesse per il comportamento della popolazione, degli artisti e degli intellettuali nei confronti del regime comunista appartengono invece a uno sguardo adulto e documentato sulla materia. Ricordi personali e documenti raccolti rievocano sullo schermo gli ultimi anni di un sistema che finirà per implodere e abbattere il Muro.
La stretta sorveglianza, le perquisizioni, gli interrogatori, la prigionia, la limitazione di ogni forma di espressione e l'impossibilità di essere o pensarsi felici sono problemi troppo grandi per un bambino. Le vite degli altri ha così il filo conduttore ideale nel personaggio dell'agente della Stasi, nascosto in uno scantinato a pochi isolati dall'appartamento della coppia protagonista. È lui, la spia, il singolare deus ex machina che non interviene dall'alto, come nella tragedia greca, ma opera dal basso, chiuso tra le pareti dell'ideologia abbattuta dalla bellezza dell'uomo e dalla sua arte. Personaggio dolente e civilissimo, ideologo del regime che in un momento imprecisato del suo incarico si trasforma in oppositore. Il "metodo" della sorveglianza diventa per lui fonte di disinganno e di sofferenza, perchè lo costringe a entrare nella vita degli altri, che si ingegnano per conservarsi vivi o per andare fino in fondo con le loro idee. Gerd Wiesler contribuisce alla riuscita dello "spettacolo" con suggerimenti, correzioni (alle azioni della polizia), aggiustamenti (dei resoconti di polizia) e note di regia che se non avranno il plauso dei superiori avranno quello dei sorvegliati. "Attori" che recitano la vita ai microfoni della Stasi e nella cuffia stereo dei suoi funzionari. La vita quotidiana fatta di paure ed espedienti è restituita da una fotografia cupa e bruna, tinte monocromatiche che avvolgono i personaggi decisi a sopravvivere, a compromettersi e a resistere. La Stasi aveva un esercito di infiltrati, duecentomila collaboratori, Donnersmarck ne ha scelto uno e lo ha drammatizzato con la prova matura e sorprendente di Ulrich Mühe. Il drammaturgo "spiato" è invece Sebastian Koch, l'ufficiale riabilitato di
Black Book, intellettuale "resistente" per salvare l'anima del teatro e della Germania.

Senzani, il leader brigatista torna libero
"Dopo 23 anni di carcere sono un uomo diverso"

Il capo delle Br più sanguinarie esce per "estinzione della pena". Con Mario Moretti guidò il gruppo terroristico dopo il sequestro Moro

ROMA - "I giudici che m'hanno esaminato negli ultimi dieci anni hanno potuto constatare che sono una persona cambiata e infatti hanno sentenziato l'estinzione della pena. Sono stato in galera 23 anni. Ho riconosciuto i miei errori davanti al tribunale di sorveglianza. Ora sono un uomo libero. La politica del resto l'ho abbandonata da un pezzo, ma non le mie idee di sinistra". La politica Giovanni Senzani la praticava nelle colonne delle Brigate Rosse. Una parabola terribile.

Aveva studiato a Berkeley. Era un criminologo di un certo talento. Insegnava nelle università di Firenze e Siena. Scrisse perfino un libro per Jaca Book, la casa editrice legata a Comunione e Liberazione. Poi il demone della violenza politica lo risucchiò nel gorgo degli anni di piombo. A metà degli anni Settanta s'era accostato alle Br, nella cui sezione genovese militava suo cognato Enrico Fenzi: nel 1970 aveva sposato la sorella, Anna. Dopo il sequestro Moro ne assunse di fatto il comando, insieme a Mario Moretti. "Figura assolutamente atipica nel panorama del terrorismo di sinistra italiano: il leader dell'ala più sanguinaria", lo definì l'ex presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle stragi Giovanni Pellegrino. Si disse che coltivasse legami con pezzi deviati dei servizi segreti. In carcere divise la detenzione con Ali Agca, indottrinandolo, secondo una certa vulgata, sulla pista bulgara. Fu lui a trovare l'appartamento in via della Stazione di Tor Sapienza a Roma dove venne sequestrato il giudice Giovanni D'Urso e che Moretti, in tuta da ginnastica e attrezzatura da carpentiere, trasformò velocemente in una prigione. E al compagno titolare dell'immobile, che osò fargli un'osservazione, sibilò gelido: "Non puoi saperlo meglio di me, che ho già fatto cinque sequestri".

Senzani gestì il sequestro di Ciro Cirillo ed ebbe l'ergastolo per l'uccisione di Roberto Peci, trucidato il 3 agosto 1981 in un casolare sull'Appia dopo un sequestro durato 53 giorni. Aveva la sola colpa di essere il fratello del primo pentito delle Br, Patrizio. Con una telecamera Telefunken avevano registrato tutti gli interrogatori e quando lo finirono con undici colpi di pistola - avvolgendo il cadavere in un drappo rosso sormontato dalla scritta "Morte ai traditori" - uno dei sicari immortalò la scena con la Polaroid. Fu una ferocia assoluta. Il sostituto procuratore Macchia giunse sul posto, vide la scena e finì a terra svenuto.

Senzani lo presero sei mesi dopo. Gli anni Settanta erano finiti da un pezzo. Nella foto segnaletica scattata in questura ha la zazzera in disordine, un barbone incolto, lo sguardo scocciato. Non si è mai pentito, né dissociato. Otto mesi fa ha quindi finito di scontare la sua pena, ma la notizia è trapelata solo ora. Gli ultimi cinque anni li aveva trascorsi in regime di libertà condizionale. Non poteva uscire di casa dopo le ore 23 e aveva l'obbligo di presentarsi due volte al mese in questura. Ci furono aspre polemiche per quella concessione fatta dal tribunale di sorveglianza. "Risponderà davanti a Dio di quello che ha fatto" commentò la madre di Peci, Amelia. Per la Procura generale di Firenze non sussisteva "il requisito del sicuro ravvedimento" e così fece ricorso. Ma la Cassazione alla fine diede ragione a Senzani. "La nostro fortuna è stata quella di aver trovato giudici scevri di condizionamenti" chiosa l'avvocato Bonifacio Giudiceandrea. Dice Senzani, che oggi ha 68 anni: "Sono in pensione, anche se continuo a collaborare con le Edizioni della Battaglia. Verrà il tempo di parlare del mio passato".
Giovanni Senzani, il capo più ambiguo e sanguinario delle Brigate Rosse, ha finito di scontare definitivamente la sua pena otto mesi fa. Ma la notizia è trapelata soltanto ieri, nessuno finora se ne era accorto. Del resto l’ex criminologo, che fu consulente del ministero di Grazia e Giustizia durante il sequestro Moro, era in libertà condizionale da almeno cinque anni e precedentemente aveva ampiamente usufruito del beneficio di lavorare, all’esterno del carcere, presso una piccola casa  editrice che ogni giorno da anni raggiungeva pedalando la sua bicicletta. A darne la notizia è stato l’edizione locale de La Repubblica, al quale l’ex brigatista ha detto: ”I giudici hanno potuto constatare che sono una persona cambiata e infatti hanno sentenziato l’estinzione della pena. Sono stato in galera 23 anni. Ho riconosciuto i miei errori davanti al Tribunale di sorveglianza. Ora sono un uomo libero. La politica l’ho abbandonata da un pezzo, ma non le mie idee di sinistra”. Ottimo, peccato che per sostenere che Senzani è cambiato bisognerebbe sapere chi sia davvero stato in passato. E questo nessuno sembra in grado di dirlo.

Nella sua scarna biografia è scritto che negli anni Settanta fu un criminologo di un certo talento. Si era laureato nella città californiana di Berkeley, insegnava nelle università di Firenze e Siena, scrisse persino un libro per Jaca Book, la casa editrice legata a Comunione e Liberazione. Poi il prestigioso incarico di consulente di via Arenula, proprio negli anni in cui cadevano uno dopo l’altro, ammazzati dalle Brigate Rosse, magistrati come Palma, Minervini, Tartaglione, i più impegnati nella riforma delle carceri. Omicidi rivendicati da comunicati Br che grondavano di informazioni riservate, si parlò di una Talpa interna ma lui rimse al suo posto. A Roma usufruiva in via della Vite di un appartamento che divideva a metà con un regista, che era però anche un informatore del Supersismi, la tecnostruttura di stampo piduista ancora avvolta dal mistero.

Le note di agenzia ribadiscono ancor oggi che “Senzani guidò con Moretti il gruppo terroristico dopo il sequestro Moro”. In effetti non fu mai condannato per il rapimento e l’uccisione del Presidente, fu proprio il Sismi, allora diretto dal generale Santovito (tessera P2 1630) a tirarlo fuori dal processo grazie a un affidavit in cui si sosteneva che il professor Senzani era in quei mesi impegnato in uno stage negli Usa. Nessuno mai ritenne di approfondire la validità di una simile informativa, anche se disperatamente l’ex vice questore di Genova Arrigo Molinari andava sostenendo di avere le prove certe della presenza di Senzani in Italia in quel periodo grazie intercettazioni telefoniche, aprile 1978, tra alcuni medici genovesi e il criminologo che appariva preoccupato dal fatto che un brigatista torinese, gravemente ferito durante un attentato, potesse riprendere conoscenza (e parlare).

Fu la commissione d’inchiesta sulle Stragi di Giovanni Pellegrino a illuminare  le molte zone d’ombra del brigatista-criminologo. L’indagine, affidata al maggiore del Ros Massimo Giraudo, focalizzò l’attenzione su Palazzo Caetani, proprio quello di fronte al quale fu ritrovata la Renault Rossa con all’interno il cadavere di Moro il 9 maggio 1978. L’indagine condusse al sospetto che fosse proprio quella l’ultima prigione di Aldo Moro, a partire dai filamenti di tessuti, ritrovati sui suoi vestit che riportavano ai magazzini sotterranei dei commercianti ebrei. Ebbene Senzani, quale studioso apprezzato negli Usa, sembra frequentasse all’interno di Palazzo Caetani un misterioso Centro Studi.

All’epoca dominus di Palazzo Caetani era Hubert Hòward, un naturista americano che fu anche presidente di  Italia Nostra, cognato del musicista Igor Markevitch sul cui ruolo di Anfitrione nel rapimento Moro si è molto fantasticato. Hòward aveva partecipato alla liberazione di Firenze, era rimasto molto legato ad ambienti importanti della città. Molti passaggi riportano al capoluogo toscano, a quel Comitato esecutivo delle Br, regia di comando del sequestro Moro. Proprio lì, tanti anni dopo, il 3 marzo 1993 – la Prima Repubblica era già stata travolta da  Tangentopoli e Andreotti stava per essere indagato dai magistrati di Palermo – ecco che ricompare  l’ombra del Superservizio durante i lavori di ristrutturazione nel palazzo nobiliare del defunto marchese Bernardo Lotteringhi della Stufa. Si scoprì una soffitta piena di armi, tutte avvolte con giornali risalenti al 1978. Il marchese rivelò che il padre Alessandro aveva messo disposizione di un amico “importante” il primo piano dell’edificio per incontri riservati e colloqui telefonici (era stata collocata una cabina con segreteria telefonica) per consentire contatti con una “fonte” in grado di riferire sul sequestro Moro. L’amico era il colonnello Federigo Mannucci Benincasa, capo del centro di Controspionaggio di Firenze, mosaico di oscurità e depistaggi. La fonte? I sospetti si concentrarono su Giovanni Senzani, nessuno del resto ha mai creduto che il capo del Comitato rivoluzionario toscano fosse negli Usa durante il sequestro Moro. E lo storico Giuseppe De Lutiis insinua che sia stato lui a condurre l’interrogatorio di Moro nel carcere, del resto era l’unico in grado di farlo.

E’ questa la zona più in ombra della biografia di Senzani. Tutte le informazioni che abbiamo riferito sono frutto dell’indagine parlamentare, mai acquisite dal processo giudiziario. Il suo ruolo di capo Br diventa esplicito a partire dal 3 agosto 1981, quando fu ritrovato in un casolare sull’Appia il corpo trucidato di Roberto Peci, dopo 53 giorni di prigionia con tanto di interrogatorio, processo e condanna finale. Macabra pantomima del processo Moro, chi sa mai a chi rivolta e perché. L’unica colpa di Roberto era quella di essere fratello di Patrizio, il primo brigatista pentito. Ci sono poi le cupe pagine del sequestro Cirillo che vedono Senzani spartirsi con i vertici del Sismi che facevano capo al generale Pietro Musumeci (anche lui piduista) il riscatto cui generosamente avevano partecipato gli imprenditori napoletani interessati a spartirsi la torta degli appalti post-terremoto. Non sappiamo chi sia oggi Giovanni Senzani, soprattutto non sappiamo chi sia mai stato. Vale la pena di citare l’ironica risposta che diede il pm Tindari Baglioni alla domanda di un giudice che voleva sapere se davvero lo Stato fosse impreparato di fronte alle Br. “Non so, certo  sia noi che le Brigate rosse avevamo lo stesso consulente, e cioè il Senzani”.

Musashi (nave da battaglia, 72000T,affondata a Leyte il 26 ottobre 1944)

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Coordinate: 13°07′N 122°32′E / 13.117, 122.533

Musashi
Japanese battleship Musashi.jpg
La Musashi nell'ottobre 1944 mentre si dirige al Golfo di Leyte
Descrizione generale
Naval Ensign of Japan.svg
Tipo  nave da battaglia
Classe  Yamato
Numero unità {{{numero_unità}}}
Costruttori  {{{costruttori}}}
Cantiere   
Matricola   
Ordine  29 marzo 1938
Impostazione 1 novembre 1940
Varo  5 agosto 1942
Completamento   
Entrata in servizio   
Proprietario   
Radiazione   
Destino finale  Affondata 24 ottobre 1944
Caratteristiche generali
Dislocamento  a vuoto: 68.200 t
Stazza lorda  t
Lunghezza  263 m
Larghezza  38,9 m
Altezza  m
Pescaggio  11 m
Profondità operativa  m
Ponte di volo   
Propulsione  12 caldaie a vapore surriscaldato Kanpon, 4 turboriduttori Kanpon, 150.000 CV (110 MW), 4 eliche tripala da 6 m di diametro
Velocità  27,46 nodi (50,86 km/h)
Autonomia  7.200 mn a 16 nodi (13.000 km a 30 km/h)
Capacità di carico   
Numero di cabine  {{{numero_di_cabine}}}
Equipaggio  2.399 uomini
Passeggeri   
Equipaggiamento
Sensori di bordo   
Sistemi difensivi   
Armamento  (1942): Cannoni: 9x460 mm (3x3), 12x155 mm (4x3), 12x127 mm (6x2); armamento antiaereo: 24x25 mm (8x3), 4x13 mm (2x2). Nel 1944 sei dei cannoni da 155 mm vennero sbarcati , mentre la difesa antiaerea ravvicinata venne incrementata a 130 mitragliere da 25 mm perlopiù in impianti binati
Corazzatura  torrette, 650mm frontale, 190 posteriore, 180mm tetto, 400 fianchi; Cintura principale 409 mm degradanti a 80 verso il fondo dello scafo, non accertata la presenza di una cintura superiore da 152mm; ponti corazzati, 200 principale, 9mm antischegge inferiore, 35-50 sul ponte di coperta; Torrione comando, 550mm
Mezzi aerei  7, tra Aichi E13A e
Mitsubishi F1M, due catapulte di lancio
Note
Motto   
Soprannome   
 

La Musashi (武蔵?), dal nome dell'antica provincia giapponese di Musashi, fu una nave da battaglia della Marina Imperiale Giapponese, e fu la seconda e ultima nave della classe Yamato ad essere completata come nave da battaglia. Assieme alla nave gemella, la Yamato, faceva parte della più grande, pesante e potente classe di navi da battaglia mai costruite.

Storia [modifica]

Nel giugno 1937, degli ingegneri del cantiere Mitsubishi di Nagasaki, incluso il direttore Kensuke Watanabe e l'ingegnere navale Kumao Baba, ricevettero ordine di iniziare i preparativi per la costruzione di una nave da battaglia della nuova classe. L'espansione dello scivolo numero 2 ispirò gli esecutivi della marina ad ingaggiare il cantiere di Nagasaki per l'oneroso contratto. Appositamente per questa nave furono costruite delle gru galleggianti della capacità di 150 e 350 tonnellate per sollevamenti pesanti. Costruita sotto le più strette misure di segretezza, tra cui l'erezione di grandi schermi per nascondere la costruzione dall'ambasciata statunitense di fronte al porto, la nave da battaglia fu impostata il 1 novembre 1940, e trascorse quasi diciotto mesi in allestimento. La data del varo fu rivista varie volte per consentire le modifiche richieste dalla marina, incluse una corazzatura maggiore sulle torrette da 155 mm e l'installazione di sistemi di comunicazioni agguntivi.

Varata il 5 agosto 1942, si diresse all'arcipelago di Truk, dove divenne la nave ammiraglia dell'ammiraglio Isoroku Yamamoto. Dopo la sua morte avvenuta il 18 aprile 1943, la Musashi trasportò in Giappone le sue ceneri. Fece ritorno a Truk il 5 agosto 1943, e vi rimase fino al 10 febbraio 1944. La sua unica attività in questo periodo fu un'uscita verso le isole Marshall , durante la quale non incontrò alcuna forza nemica. Il 29 marzo 1944, fu colpita da un siluro del USS Tunny, e dovette ritornare in Giappone per delle riparazioni e delle modifiche al suo armamento antiaereo.

Durante la battaglia del golfo di Leyte, assieme alla Yamato, fece parte della forza centrale del vice ammiraglio Takeo Kurita. In questa battaglia il 24 ottobre 1944, venne attaccata nel mare di Sibuyan da aerei delle navi americane: il primo contatto con gli aerei nemici avvenne alle 10:27, quando otto bombardieri SB2C Helldiver provenienti dalla USS Intrepid attaccarono la nave con bombe da 227 kg. Ondata dopo ondata, gli attacchi dalle navi USS Intrepid, USS Essex e USS Lexington centrarono la nave con 17 bombe e 20 siluri. La Musashi si rovesciò a babordo, e affondò alle 19:25 del 24 ottobre, portando con sé più di 1000 dei suoi 2399 membri dell'equipaggio; 1376 uomini vennero soccorsi dalle cacciatorpediniere Kiyoshimo e Shimakaze.

L'imperatore Hirohito mentre visita la Musashi

La Musashi sotto attacco durante la Battaglia del mare di Sibuyan, il 24 ottobre 1944.


 

Altri progetti [modifica]

 

Tirpitz (52000t,affondata a Tromso il 14 novembre 1944)

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Coordinate: 69°38′50″N 18°48′30″E / 69.64722, 18.80833

Tirpitz
Tirpitz altafjord.jpg
La corazzata Tirpitz
Descrizione generale
War Ensign of Germany 1938-1945.svg
Tipo  Corazzata
Classe  Bismarck
Numero unità {{{numero_unità}}}
Costruttori  {{{costruttori}}}
Cantiere  Marinewerft di Wilhelmshaven
Matricola   
Ordine  14 giugno 1936
Impostazione 24 ottobre 1936
Varo  1º aprile 1939
Completamento  {{{completata}}}
Entrata in servizio  25 febbraio 1941
Proprietario  Kriegsmarine
Radiazione  {{{radiata}}}
Destino finale  affondata in un attacco aereo britannico il 12 novembre 1944 presso Tromsø
Caratteristiche generali
Dislocamento  a vuoto: 42.900 t (di cui il 40% dedicato alle corazze)
a pieno carico: 52.600 t
Stazza lorda  t
Lunghezza  sulla linea di galleggiamento: 241 m
complessivo: 253,60 m
Larghezza  36 m
Altezza  m
Pescaggio  standard: 8,7 m
a pieno carico: 10,2 m
Profondità operativa  {{{profondità_operativa}}} m
Ponte di volo   
Propulsione  12 caldaie a vapore modello Wagner, 3 assi d'elica (138.000 HP)
Velocità  30 nodi
Autonomia  17.200 km a 16 nodi
Capacità di carico   
Numero di cabine  {{{numero_di_cabine}}}
Equipaggio  2.608 (103 ufficiali)
Passeggeri   
Equipaggiamento
Sensori di bordo   
Sistemi difensivi   
Armamento  artiglieria:
  • 8 cannoni da 380 mm (4 torri binate)
  • 12 cannoni SK-C/28 da 150 mm (6 barbette binate)
  • 16 cannoni FlaK SKC/28 da 105 mm (su affusto binato)
  • 16 cannoncini FlaK da 37 mm
  • 46 cannoncini FlaK da 20 mm

siluri:

  • 8 tubi lanciasiluri da 533mm
Corazzatura  protezione verticale: 320 mm, orizzontale 50/80 mm
torre 340 mm
Mezzi aerei  due catapulte con quattro idrovolanti Arado Ar 196
Note
Motto   
Soprannome  "Den ensomme Nordens Dronning", ovvero La Regina solitaria del Nord, datole dai Norvegesi
 

La Tirpitz fu una nave da battaglia della Kriegsmarine tedesca, seconda e ultima unità della Classe Bismarck. Essa fu concepita, insieme alla gemella Bismarck, per essere la punta di diamante della marina tedesca. Entrata in servizio molto dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, la nave partecipò a pochissime azioni belliche, passando la maggior parte della sua vita a nascondersi nei fiordi norvegesi dagli attacchi degli Alleati; di fatto essa ebbe funzione di "fleet in being", cioè quella di tenere occupata una gran quantità di forze nemiche per via della sua pericolosità potenziale.

Dopo l'affondamento della gemella Bismarck, fu soprannominata dai norvegesi "La regina solitaria del Nord" ("Den ensomme Nordens Dronning").

Indice

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Vita operativa [modifica]

La nave venne ordinata ai cantieri navali Marinewerft di Wilhelmshaven il 14 giugno 1936, ed impostata sullo Scalo n.2 il 24 ottobre dello stesso anno (anche se la cerimonia ufficiale di impostazione si tenne il 2 novembre). La nave venne varata il 1º aprile 1939 e battezzata con il nome di Tirpitz in onore di Alfred von Tirpitz, ammiraglio della Kaiserliche Marine; madrina del varo fu la figlia dello stesso ammiraglio, Frau von Hassel [1].

Ancor prima di essere dichiarata operativa, la nave venne ripetutamente attaccata dalla Royal Air Force britannica: tra il luglio 1940 e il febbraio 1941 la nave subì ben 16 bombardamenti aerei ad opera di bombardieri Hampden, Whitley e Wellington della RAF, ma non riportò danni apprezzabili. La nave entrò in servizio il 25 febbraio 1941 al comando del capitano Friedrich Carl Topp.

Le prime operazioni [modifica]

Inizialmente la nave venne assegnata alla flotta che operava nel Mar Baltico, ma questa formazione venne sciolta dopo poco tempo e la Tirpitz venne inviata in Norvegia, da dove avrebbe dovuto prendere parte alle missioni contro i convogli che rifornivano l'Unione Sovietica; la nave giunse a Trondheim il 12 gennaio 1942. Il 6 marzo 1942 prese parte alla sua prima missione operativa (Operazione Sportpalast) cercando di attaccare il convoglio PQ-12, ma le avverse condizioni del mare impedirono l'intercettamento; la portaerei britannica HMS Victorious lanciò contro la nave dodici aereosiluranti Fairey Albacore, ma l'attacco non ebbe esito e due aerei furono abbattuti. La breve missione mise subito in luce un grave aspetto negativo che avrebbe fortemente condizionato le future operazioni della nave: in un solo giorno di navigazione la Tirpitz e i suoi cacciatorpediniere di scorta avevano consumato 8.100 tonnellate di carburante, una cifra insostenibile in quel momento per la Germania [2].

Nella notte tra il 30 e il 31 marzo, la nave, ancorata a Trondheim, fu oggetto di un pesante attacco aereo ad opera di bombardieri Halifax e Lancaster, i soli velivoli dotati di sufficiente autonomia per raggiungere Trondheim dalla Gran Bretagna; la scarsa visibilità e la cortina fumogena stesa sopra la corazzata fecero fallire la missione, e dodici aerei furono abbattuti. Il 2 luglio la Tirpitz uscì in mare per attaccare il convoglio PQ-17 (Operazione Rosselsprung), ma le avverse condizioni meteo fecero ancora una volta fallire l'intercettamento; il sommergibile sovietico K 21 dichiarò di aver colpito la corazzata con un siluro, ma la nave non riportò alcun danno. Le difficoltà riscontrate nella navigazione nelle acque artiche obbligarono la nave a sottoporsi ad alcuni lavori di manutenzione a Trondheim.

Tra il 26 e il 30 ottobre 1942, i britannici cercarono di attaccare la Tirpitz impiegando i sommergibili tascabili Chariot, copia britannica dei SLC italiani (Operazione Title). Il peschereccio Arthur, dotato di equipaggio norvegese, trasportò due Chariot e sei sommozzatori britannici fino all'imboccatura del fiordo di Trondheim; i Chariot vennero calati in acqua e agganciati all' Arthur con una speciale attrezzatura, che permetteva al peschereccio di rimorchiarli mantenedoli sotto il pelo dell'acqua. La nave riuscì ad avvicinarsi ad una distanza di 5 miglia dalla Tirpitz, ma una improvvisa tempesta ruppe i cavi di rimorchio, e i Chariot affondarono prima che i sommozzatori britannici potessero riprendere il controllo. L'equipaggio dell' Arthur e i sommozzatori vennero tutti fatti prigionieri dai tedeschi [3].

Il 6 marzo 1943 la nave tornò in mare (Operazione Sizilien), bombardando con i suoi grossi calibri alcune istallazioni britanniche sull'isola di Spitsbergen insieme all'incrociatore Scharnhorst. Poco dopo, la nave si trasferì nel fiordo di Alta.

L'Operazione Source [modifica]

Nel settembre del 1943, l'Ammiragliato britannico decise di tentare un nuovo attacco alla Tirpitz impiegando i minisommergibili Classe X (Operazione Source); sei di questi vennero traninati da sommergibili normali fino all'imboccatura del firdo di Alta. Due X Craft andarono dispersi durante il lungo viaggio verso la Norvegia, mentre un terzo (l'X 5) si guastò durante la navigazione e dovette essere affondato. Nelle prime ore del mattino del 22 settembre, i tre minisommergibili superstiti penetrarono in immersione nel fiordo di Alta. Uno di essi, l'X 10, ebbe dei gravi problemi meccanici e dovette tornare indietro. Il tenente Donald Cameron, al comando dell'X 6, riuscì invece ad avvicinarsi alla Tirpitz e a trovare un varco nella rete parasiluri disposta intorno alla nave; mentre si avvicinava allo scafo, tuttavia, l'X 6 urtò un banco di sabbia, facendo spuntare dall'acqua parte della torretta e mettendo così in allarme le sentinelle tedesche. Mentre i tedeschi aprivano il fuoco con le mitragliatrici e i cannoncini, Cameron riuscì ad avvicinarsi ulteriormente alla Tirpitz, riuscendo anche a sganciare le due cariche a tempo di cui era dotato, che rotolarono però a poca distanza dallo scafo della nave. Poco dopo l'X 6 riemerse, e Cameron e gli altri tre membri dell'equipaggio vennero fatti prigionieri. Mentre i tedeschi erano impeganti a prestare soccorso all'equipaggio dell'X 6, davanti alla Tirpitz emerse dall'acqua l'X 7 del tenente Basil Place; l'X 7 era riuscito ad aprirsi un varco nella rete parasiluri e ad avvicinarsi allo scafo della corazzata, depositando come previsto le due cariche a tempo di cui era dotato. Mentre si allontanava, l'X 7 rimase impigliato nella rete parasiluri, e nel tentativo di liberarsi era riemerso; i tedeschi aprirono subito il fuoco sul piccolo mezzo, che tuttavia fu in grado di divincolarsi dalla rete e di fuggire.

Informato dell'accaduto, il capitano della Tirpitz Hans Meyer ordinò di condurre la nave in acque più profonde. Mentre erano in corso queste manovre, la corazzata venne investita da due potenti esplosioni. L'onda d'urto delle detonazioni raggiunse anche l'X 7, facendolo riaffiorare; Place e un altro marinaio riuscirono ad abbandonare il sommergibile, che poco dopo affondò trascinando con se gli altri due membri dell'equipaggio. La Tirpitz rimase a galla, ma riportò danni gravissimi: le quattro torri dei cannoni da 380 mm si staccarono dai basamenti, uno dei cannoni da 150 mm rimase completamente bloccato, i meccanismi di tiro subirono gravi danni, e il rivestimento della turbina di babordo si piegò impedendo alle eliche di girare; la tenuta stagna aveva impedito l'affondamento, ma nello scafo si aprirono varie falle e un certo numero di intelaiature venne spezzato [4].

Il fatto che la nave fosse ancora a galla trasse in inganno la ricognizione britannica, che si rese conto dei danni riportati dalla corazzata solo al termine della guerra. I tenenti Cameron e Place vennero decorati con la Victoria Cross, mentre agli altri membri dell'equipaggio dei due sommergibili vennero distribuite tre Distinguished Service Order e una Conspicuous Gallantry Medal.

L'Operazione Tungsten e gli attacchi delle portaerei [modifica]

La Tirpitz venne trainata nel fiordo di Kaa, un crepaccio al largo del fiordo di Alta; sulle scogliere venne disposto un gran numero di batterie contraeree, mentre sulle pareti del fiordo venne installata una conduttura in grado di avvolgere in breve tempo la nave con una cortina fumogena. Vista la mancanza di strutture portuali adeguate ad una nave delle dimensioni della Tirpitz, le riparazioni dovettero essere effettuate in acqua, e, nonostante l'arrivo di numerosi tecnici ed operai direttamente dalla Germania, procedettero lentamente. L'11 febbraio 1944, bombardieri sovietici decollati da Arcangelo tentarono di attaccare la corazzata, ma 11 bombardieri su 15 non trovarono il fiordo, mentre gli altri mancarono il bersaglio.

Nell'aprile del 1944, la Royal Navy pianificò una nuova serie di bombardamenti contro la corazzata, questa volta ad opera di bombardieri in picchiata imbarcati su portaerei. Il 3 aprile venne lanciato il primo attacco (Operazione Tungsten): una grossa squadra navale, composta dalle portaerei HMS Victorious e HMS Furious, dalle navi da battaglia HMS Duke of York e HMS Anson e da 14 tra incrociatori e cacciatorpediniere, lanciò 42 bombardieri Fairey Barracuda e vari caccia Corsair, Hellcat e Wildcat di scorta. Attaccando in due ondate, i bombardieri britannici piazzarono 15 bombe da 500 kg sulla corazzata: alcune bombe esplosero sulle torrette corazzate provocando pochi danni, ma altre penetrarono il ponte superiore ed esplosero nei compartimenti sottostanti, provocando 122 morti e 316 feriti tra i membri dell'equipaggio; nonostante l'incendio scoppiato, la nave non riportò danni gravi. I britannici persero due Barracuda e un Hellcat [5].

Altre tre missioni delle portaerei britanniche, previste per il 24 aprile, il 15 maggio e il 28 maggio vennero annullate a causa delle condizioni del mare, mentre il 17 luglio (Operazione Mascot) i Barracuda trovarono la nave completamente avvolta dal fumo e mancarono il bersaglio. Il 24 agosto (Operazione Goodwood III) un Hellcat riuscì a piazzare una bomba sulla torre n.2, mentre un Barracuda sganciò una bomba perforante che trapassò due ponti ma non esplose; questi attacchi non provocarono che danni minimi, ma rallentarono i lavori di riparazione della nave.

L'affondamento [modifica]

La Tirpitz capovolta nel fiordo di Tromsø

Il compito di attaccare la Tirpitz tornò di nuovo ai bombardieri pesanti della RAF. Il 15 settembre 27 Lancaster attaccarono la corazzata impiegando le bombe Tallboy dal peso di 5.400 kg; delle 16 bombe effettivamente lanciate, una sola colpì la nave, trapassando il ponte e il rivestimento laterale ed esplodendo in acqua, deformando gravemente lo scafo a prua.

Vista l'impossibilità di riportare la nave in Germania per le riparazioni, l'ammiraglio Karl Dönitz, comandante della Kriegsmarine, ordinò di trasferire la nave in acque più basse, dove, in caso di affondamento, sarebbe stato possibile recuperarla. Spostandosi alla velocità ridotta di 10 nodi, la Tirpitz giunse a Sørbotn, presso Tromsø, dove venne adibita a batteria costiera galleggiante.

Il 12 novembre 1944, la nave venne attaccata da 31 Lancaster (Operazione Catechism); delle 29 Tallboy effettivamente lanciate, tre colpirono la corazzata, perforando il ponte corazzato al centro della nave, distruggendo due caldaie e una sala macchine e provocando uno squarcio lungo 14 metri nello scafo. Le fiamme avvolsero in breve tempo la nave, che iniziò ad inclinarsi. Dopo che un'altra esplosione ebbe squarciato la torre n.3, la nave si capovolse completamente e affondò, anche se la cima della chiglia rimase fuori dall'acqua. Dei 1.700 membri dell'equipaggio presenti a bordo, 1.058 persero la vita (tra cui il nuovo comandante, capitano di vascello Weber), mentre 87 furono salvati dalle squadre di salvataggio che praticarono fori nella chiglia con le fiamme ossidriche [6].

Al termine della guerra, lo scafo venne venduto come ferraglia al governo norvegese e demolito tra il 1948 e il 1957.

 

 

 

Yamato (nave da battaglia,72000 t,affondata ad Okinawa, 7 aprile 1945)

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Coordinate: 30°22′N 128°04′E / 30.367, 128.067

Yamato
Yamatotrials.jpg
 
Descrizione generale
Naval Ensign of Japan.svg
Tipo  nave da battaglia
Classe  Yamato
Numero unità {{{numero_unità}}}
Costruttori  {{{costruttori}}}
Cantiere   
Matricola   
Ordine  Marzo 1937
Impostazione 4 novembre 1937
Varo  8 agosto 1940
Completamento   
Entrata in servizio  16 dicembre 1941
Proprietario   
Radiazione   
Destino finale  Affondata 8 aprile 1945
Caratteristiche generali
Dislocamento  a vuoto: 65.027 t (di cui 21.266 t di corazzatura)
a pieno carico (stima): 72.800 t
Stazza lorda  t
Lunghezza  263 m
Larghezza  38,9 m
Altezza  m
Pescaggio  11 m
Profondità operativa  m
Ponte di volo   
Propulsione  12 caldaie a vapore surriscaldato Kanpon, 4 turboriduttori Kanpon, 150,000 CV (110 MW)
Velocità  27 nodi (51 km/h)
Autonomia  8.000 mn a 18 nodi (14.800 km a 33 km/h)
Capacità di carico   
Numero di cabine  {{{numero_di_cabine}}}
Equipaggio  2.750 uomini
Passeggeri   
Equipaggiamento
Sensori di bordo   
Sistemi difensivi   
Armamento  (1941): Cannoni: 9x460 mm (3x3), 12x155 mm (4x3), 12x127 mm (6x2); armamento antiaereo: 24x25 mm, 8x13 mm. Nel 1945 sei dei cannoni da 155 mm vennero sbarcati e le 2 torri laterali di questo tipo vennero rimpiazzate da altre 6 binate da 127/40 mm mentre la difesa antiaerea ravvicinata venne incrementata a 146 mitragliere da 25 mm per lo più in impianti binati
Corazzatura  torrette, 650mm frontale, 190 posteriore, 180 mm tetto, 400 fianchi; Cintura principale 409 mm degradanti a 80 verso il fondo dello scafo, non accertata la presenza di una cintura superiore da 152 mm; ponti corazzati, 200 principale, 9 mm antischegge inferiore, 35-50 sul ponte di coperta; Torrione comando, 550 mm.
Mezzi aerei  7, tra Aichi E13A e
Mitsubishi F1M
Note
Motto   
Soprannome   
 

La Yamato (大和), fu una nave da battaglia della Marina Imperiale Giapponese. Insieme alla pariclasse Musashi fu la più grande nave da battaglia mai costruita, con un dislocamento di 65.027 tonnellate ed armamento principale costituito da 9 cannoni da 460 mm.

Indice

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La costruzione [modifica]

Lo sviluppo della Yamato giunse al termine di un lungo processo di revisione dei piani di sviluppo della Marina Imperiale Giapponese, nella ottica di adeguare le unità belliche navali giapponesi nel contesto di grande potenza economica e commerciale quale già il Giappone si apprestava a divenire in quegli anni.

Nel marzo 1937, dopo una lunga sperimentazione su modelli in scala condotta nella vasca del Centro per le Ricerche Tecniche Navali di Tokio, venne elaborato il progetto definitivo che prevedeva una nave da 68.000 tonnellate. La Yamato venne impostata presso l'Arsenale di Kure il 4 novembre 1937, fu varata l'8 agosto 1940 ed entrò in servizio il 16 dicembre 1941 (nove giorni dopo l'attacco a Pearl Harbor). Era nelle intenzioni della Marina Imperiale Giapponese di costruire quattro navi di questa classe, ma la Shinano, ancora sullo scalo, venne convertita in portaerei e fu affondata nel 1944 silurata dal sommergibile americano Archerfish, la quarta nave, identificata solo come Nave da Guerra N. 111 venne smantellata nel 1943, quando era completata per circa il 30%. I piani per una classe Super Yamato dotata di cannoni da 508 mm vennero abbandonati.

Le navi da battaglia della classe Yamato erano superiori come armamento e stazza alle nuove navi da battaglia statunitensi classe Iowa che vennero progettate per sostenere le flotte portaerei vista la loro grande velocità di progetto di ben 33 nodi ed erano usate come le giapponesi classe Kongo. La lenta e inutilizzata Yamato rimase ferma in porto per gran parte della guerra. Poteva essere usata solo a sostegno di sbarchi in aree intensamente difese. Situazione che non si presentò mai ai giapponesi. Per le navi da battaglia statutitensi l'armamento principale previsto era costituito da cannoni da 406 mm, mentre la scelta Giapponese cade su un calibro superiore (460mm).

Le torri trinate da 460mm, due a prua e una a poppa, pesavano ciascuna 2.510 tonnellate senza munizionamento. Lo sviluppo di questi nuovi cannoni venne mantenuto segreto, ufficialmente l'armamento di questa classe di navi era stabilito fossero pezzi da 406mm, lo stesso calibro previsto per la classe statunitense Classe Iowa; nei bilanci annuali della Marina Imperiale Giapponese, gli ingenti costi di sviluppo di questi nuovi cannoni vennero ripartiti su voci diverse, di modo che potessero passare inosservati ai servizi di spionaggio stranieri. Ma il complesso di artiglierie non è da considerarsi per via del calibro superiore a quello delle navi statunitensi, questi avevano disponibilità di acciai migliori.

La Yamato in costruzione


 

Tavola prospettica della Yamato nella sua configurazione finale

In servizio [modifica]

Dal 12 febbraio 1942 all'11 febbraio 1943 la Yamato fu la nave ammiraglia del comandante Yamamoto, avvicendata poi dalla Musashi. Prese parte alla battaglia delle Midway (giugno 1942), senza tuttavia riuscire ad arrivare a distanza utile per poter ingaggiare le portaerei americane. Nel corso del 1943, la Yamato tornò nel cantiere di Kure ove la sua dotazione di artiglieria antiaerea venne notevolmente potenziata. Verso la metà del 1943 fece ritorno a Truk, assieme alla gemella Musashi per proteggere le isole Marshall e le isole Gilbert, senza però mai giungere a contatto con le forze americane e restando a Truk per la maggior parte del tempo. Il 24 dicembre 1943, venne gravemente danneggiata da un siluro del sommergibile USS Skate ed i lavori di ripristino furono conclusi solo nell'aprile 1944. Durante questi lavori due delle torrette da 155mm furono rimosse e sostituite da ulteriori armi antiaeree. Tornata in servizio attivo, prese parte alla battaglia del Mare delle Filippine (giugno) e a quelle del Golfo di Leyte e del Golfo di Samar (ottobre); qui, per la prima volta, fece uso del suo armamento principale, sparando 104 colpi da 460mm e, probabilmente, colpì un cacciatorpediniere ed una portaerei. Tornò in patria nel mese di novembre. Durante l'inverno venne ulteriormente potenziato il suo armamento antiaereo.

L'ultima missione della Yamato fu l'Operazione Ten-Go (l'ultima sortita della marina imperiale Giapponese), organizzata in seguito all'invasione di Okinawa (1 aprile 1945). Sotto il comando del Vice-ammiraglio Yokuyama e con la scorta di un incrociatore leggero ed otto cacciatorpediniere, fu mandata ad attaccare la flotta americana che appoggiava lo sbarco nella parte occidentale dell'isola. Lo scopo era quello di allontanare da Okinawa le portaerei per favorire l'attacco dei kamikaze contro la flotta di invasione (circa 1.500 navi) che appoggiava lo sbarco. Se fosse riuscita a raggiungere Okinawa, la Yamato sarebbe dovuta andare ad arenarsi tra Hagushi e Yontan e combattere sino all'ultimo come batteria costiera, in appoggio ai difensori dell'isola.

Poiché fin dall'inizio questa era stata intesa come una missione suicida, fu rifornita del carburante sufficiente per il solo viaggio di andata verso Okinawa; comunque gli addetti al deposito di carburante di Tokiuyama, coraggiosamente, ignorarono gli ordini e fornirono molto più carburante alla squadra. La Yamato e la sua scorta lasciarono il porto di Tokuyama il pomeriggio del 6 aprile 1945. La mattina del 7 aprile la squadra fu avvistata all'uscita del Mare Interno del Giappone da due sottomarini USA e da un ricognitore della portaerei Essex.

Verso mezzogiorno, una forza di quasi 400 aerei americani della Task Force 58, in ondate successive, attaccò le unità giapponesi. Alle 12:41 la Yamato fu colpita dalle prime due bombe. Fu colpita complessivamente da almeno 13 siluri e 10 bombe prima che, verso le 14:20 esplodesse il deposito munizioni N.1. La nave si inclinò sul fianco sinistro ed affondò, mancavano circa 370 miglia a Okinawa. Nell'affondamento persero la vita circa 2.375 uomini e ci furono 269 sopravvissuti. Delle navi della sua scorta, quattro furono affondate e cinque gravemente danneggiate e costrette a rientrare in Giappone. Le perdite americane furono 10 aerei e 12 piloti. Il relitto giace a circa 300 metri di profondità ed è stato esplorato nel 1985 e nel 1999.

La Yamato nel 1941

L'esplosione della Yamato


 

La Yamato nella cultura e nella finzione [modifica]

 

Dopo Stalingrado - 3 febbraio 1943 - 3 maggio 1944

La battaglia di Novorossijsk si svolse tra il 4 e il 15 febbraio 1943 nell'ambito dei più vasti eventi del fronte orientale della seconda guerra mondiale. Caduta in mano alle forze dell'Asse nel settembre 1942, la città di Novorossijsk rappresentava un importante scalo nelle acque del Mar Nero e la sua riconquista costituiva un obiettivo strategico per le forze dell'Unione Sovietica. Agli ordini del generale Ivan Maslennikov e dell'ammiraglio Filipp Oktâbr'skij, le unità dell'Armata Rossa lanciarono quindi un'offensiva nelle prime ore del 4 febbraio per riconquistare la città con un'operazione anfibia lungo la costa a sud-ovest dell'abitato di Novorossijsk.

Lo sbarco principale, appoggiato da lanci di paracadutisti e bombardamenti dal mare da parte delle navi della Flotta del Mar Nero, fu tentato nei pressi della località di Južnaja Ozerejka, mentre uno sbarco secondario con funzione diversiva aveva luogo all'imboccatura meridionale della Baia del Cemes nei pressi del villaggio di Stanička. Lo sbarco a Južnaja Ozerejka si trasformò ben presto in un disastro: le imbarcazioni sovietiche che tentavano di arrivare a riva furono accolte da un pesante fuoco di sbarramento da parte dei difensori tedeschi e romeni, che impedirono l'afflusso di ulteriori rinforzi; le poche centinaia di soldati sovietici sbarcati furono ben presto eliminate nei giorni seguenti sancendo il fallimento dell'operazione.

Il piccolo distaccamento sceso a terra a Stanička riuscì invece a stabilire una solida testa di ponte; immediatamente rinforzato da ulteriori reparti, nei giorni seguenti il contingente riuscì a espandere il perimetro fino ad arrivare nei pressi dei sobborghi di Novorossijsk dove fu infine bloccato dalle truppe dell'Asse. La città di Novorossijsk rimase quindi in mano ai tedeschi fino al settembre 1943, quando venne infine sgombrata dagli occupanti.

Posta lungo la costa meridionale della regione del Kuban' in fondo alla Baia del Cemes, la città di Novorossijsk rappresentava un importante scalo navale nel bacino del Mar Nero; a seguito dell'invasione tedesca dell'URSS e della conseguente occupazione della Crimea e dell'Ucraina, la città era divenuta inoltre un'importante base navale avanzata per le unità della Flotta del Mar Nero sovietica, scacciate dai loro ancoraggi principali di Sebastopoli e a corto di scali attrezzati per il ricovero e la riparazione delle imbarcazioni più importanti. L'occupazione di Novorossijsk rappresentava quindi un importante obiettivo strategico per le forze tedesche impegnate, dalla fine del giugno 1942, nella grande e risolutiva offensiva sferrata nella Russia meridionale (la cosiddetta operazione Blu): lanciato nella sua corsa verso i campi petroliferi del Caucaso, il Gruppo d'armate A del Generalfeldmarschall Wilhelm List distaccò quindi la 17ª Armata del generale Richard Ruoff perché occupasse Novorossijsk e gli altri importanti centri costieri della regione del Kuban'.

Le forze di Ruoff, composte da truppe tedesche e romene, attaccarono Novorossijsk alla fine dell'agosto 1942, e per il 10 settembre la città e il suo porto erano cadute in mano alle forze dell'Asse nonostante la dura resistenza opposta dai difensori sovietici. Le unità dell'Armata Rossa, tuttavia, mantennero il possesso dei sobborghi orientali della città e della strada costiera che correva verso sud, impedendo ai tedeschi di avanzare ulteriormente lungo la costa del Kuban' prima che l'inverno imponesse un forzato stop alle operazioni; l'attenzione dei tedeschi era stata del resto dirottata molto più a nord sul fronte davanti Stalingrado, dove era in corso una feroce battaglia[1].

La situazione mutò drasticamente nel novembre 1942, quando i sovietici diedero il via a una serie di controffensive accerchiando le forze dell'Asse a Stalingrado (operazione Urano) e spezzando in più punti il loro fronte lungo il fiume Don entro la fine dell'anno. Con la prospettiva che i sovietici potessero raggiungere le coste del Mar d'Azov e tagliarlo fuori, il Gruppo d'armate A dovette immediatamente arrestare l'avanzata alla volta del Caucaso e dare il via a una ritirata generale alla volta dell'Ucraina; pensando di poter riprendere l'avanzata in futuro, però, Hitler pretese che la 17ª Armata mantenesse il possesso della regione del Kuban' attestandosi a difesa [2].

La difesa di Novorossijsk e di tutta la costa meridionale della penisola di Taman' era responsabilità del V Corpo d'armata tedesco del generale Wilhelm Wetzel; a protezione della costa a sud-ovest di Novorossijsk era schierata la 10ª Divisione di fanteria romena, rinforzata da alcuni reparti di artiglieria costiera, di artiglieria contraerea e di proiettori da ricerca tedeschi. Le operazioni di ricognizione delle spiagge eseguite dalle unità sovietiche nei giorni precedenti avevano attirato l'attenzione delle forze dell'Asse, e alle 00:35 del 4 febbraio il comando del V Corpo mise in stato di massima allerta tutti i reparti dipendenti circa la possibilità che il nemico potesse lanciare un'operazione anfibia. Le manovre diversive sovietiche iniziarono come previsto alle 00:45, con una serie di bombardamenti aerei e navali in vari punti della costa; il lancio dei paracadutisti tra Glebovka e Vasilevka ebbe luogo come previsto, anche se uno degli aerei da trasporto dovette rientrare alla base senza essere riuscito a individuare la zona di lancio, riducendo di un buon 25% la consistenza della forza sovietica: più che causare danno alle forze dell'Asse, questo lanciò finì però con il dare un'indicazione precisa sul luogo dell'imminente sbarco sovietico[3][7].

Lo sbarco a Južnaja Ozerejka[modifica | modifica wikitesto]

 

Truppe sovietiche a bordo di carri leggeri M3 Stuart, ceduti dagli Stati Uniti per effetto della legge Lend-Lease

Alle 02:30 le unità sovietiche iniziarono il tiro contro le postazioni tedesco-romene a Južnaja Ozerejka. Il bombardamento fu molto pesante, con almeno 2.000 colpi di grosso calibro sparati dalle navi del gruppo di Vladimirskij cui si unirono alcune batterie di lanciarazzi Katjuša montati su imbarcazioni leggere (il primo impiego di un tale sistema d'arma in ambiente navale)[3]; tuttavia, la mancanza di un efficace sistema di direzione del tiro lasciò intatte molte delle postazioni difensive dell'Asse. Gli incrociatori cessarono il fuoco alle 03:00, anche se i cacciatorpediniere continuarono a cannoneggiare le spiagge fino all'arrivo dei primi mezzi da sbarco alle 03:30[8].

Non appena le prime imbarcazioni dei sovietici si avvicinarono alla spiaggia, furono inquadrate dai proiettori tedeschi e fatte oggetto di un pesante fuoco di artiglieria, mortai e mitragliatrici; molte imbarcazioni furono colpite e il cutter SKA-051, centrato in pieno, esplose e affondò con la morte di tutti gli occupanti tra cui il comandante della forza di avanguardia sovietica, tenente comandante A. P. Ivanov: questa perdita in particolare fu molto grave, perché lasciò i primi reparti sbarcati senza guida e coordinazione. Le lente chiatte cariche dei carri armati si rivelarono bersagli anche troppo facili per i cannonieri dell'Asse: la prima di esse venne colpita a circa 200 metri dalla spiaggia e iniziò ad affondare con tutti i dieci carri leggeri ancora a bordo, obbligando i 350 uomini imbarcati a nuotare nell'acqua gelida per mettersi in salvo. La seconda chiatta riuscì ad avvicinarsi fino a 100 metri dalla riva prima di essere immobilizzata da un ostacolo sommerso: il bersaglio immobile fu incendiato dal fuoco nemico e infine esplose fragorosamente dopo che le fiamme ebbero raggiunto le munizioni stivate a bordo, ma sette dei dieci carri riuscirono a sbarcare e a raggiungere la riva nonostante le alte onde.

Il successo nel respingere rapidamente lo sbarco sovietico a Južnaja Ozerejka instillò un falso senso di sicurezza nei comandi tedeschi, che sottovalutarono la testa di ponte a Stanička e si mossero troppo lentamente per eliminarla: un'offensiva in tal senso fu progettata dalla 17ª Armata per il 7 febbraio, in attesa che la 198ª Divisione fanteria tedesca completasse il trasferimento da Krasnodar a Novorossijsk. All'opposto, il comandante del Fronte del Caucaso Maslennikov non mostrò alcuna esitazione e ordinò che la testa di ponte venisse immediatamente rinforzata e tenuta a ogni costo: nel giro di pochi giorni circa 17.000 uomini, 21 cannoni e 74 mortai della 18ª Armata furono sbarcati all'interno dell'angusto perimetro, rendendo vano qualunque tentativo tedesco di ributtare in mare i sovietici. Il maggiore Kunikov non poté tuttavia godersi il suo successo: nella notte tra l'11 e il 12 febbraio rimase gravemente ferito dopo aver calpestato una mina, e benché evacuato cadde vittima della gangrena in un ospedale di Gelendžik il 14 febbraio seguente; Kunikov fu insignito postumo del titolo di Eroe dell'Unione Sovietica, massima onorificenza nazionale dell'URSS[3][10].

Nonostante vari contrattacchi tedeschi, le forze sovietiche ammassate nella Malaja Zemlja, ora agli ordini del colonnello Potapov della 255ª Brigata, riuscirono non solo a tenere la posizione ma anche a espandere lentamente il perimetro della testa di ponte. I tedeschi tenevano le alture dominanti e battevano costantemente le postazioni nemiche con fuoco d'artiglieria e incursioni aeree, obbligando i sovietici a sbarcare i rifornimenti solo con il favore del buio; ciononostante, le forze di Potapov riuscirono a conquistare l'intero abitato di Stanička il 10 febbraio e a spingersi fino ai sobborghi meridionali di Novorossijsk il 14 febbraio, ampliando il perimetro della Malaja Zemlja a 34 chilometri di lunghezza e sette di profondità. Alla fine, entrambe le parti si attestarono a difesa anche per il peggiorare delle condizioni meteo[3].

Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

 

Il gruppo scultoreo del memoriale di Novorossijsk; il monumento è stato realizzato sul luogo dello sbarco delle truppe di Kunikov a Capo Khako

La grande offensiva sovietica per liberare Novorossijsk e schiacciare la 17ª Armata tedesca nel Kuban andò incontro a un sostanziale fallimento: lo sbarco a Južnaja Ozerejka fu una pesante sconfitta che costò ai reparti sovietici 630 caduti in combattimento, più di 200 annegati durante lo sbarco e 542 prigionieri caduti in mano ai tedeschi, mentre gli scontri per il possesso della Malaâ Zemlâ, protrattisi per diversi mesi a seguire, causarono non meno di 21.000 perdite nei ranghi dell'Armata Rossa[3]. È difficile dire se il possesso di Capo Khako si sia rivelato di qualche utilità per le forze sovietiche: la postazione negava ai tedeschi l'uso del porto di Novorossijsk, ma la 17ª Armata disponeva di ulteriori scali portuali e campi d'aviazione nelle sue retrovie nella penisola di Taman', che si dimostrarono più che adeguati per portare a termine la progressiva evacuazione dell'armata dalla cosiddetta "testa di ponte del Kuban'" più avanti nel corso dell'anno; benché fondamentalmente inutili nell'agevolare la riconquista di Novorossijsk, gli scontri di Malaâ Zemlâ furono nondimeno mitizzati dalla propaganda sovietica[11].

La liberazione di Novorossijsk dovette attendere ancora diversi mesi. Il 17 aprile i tedeschi sferrarono una grande controffensiva (operazione Neptune) contro le postazioni sovietiche nella Malaâ Zemlâ impiegando tre divisioni; seguirono pesanti scontri con i sovietici attestati a difesa che portarono alla riconquista da parte tedesca di parte del terreno perduto in febbraio, ma l'operazione si concluse il 23 aprile senza essere riuscita a eliminare completamente la testa di ponte sovietica[12]. La situazione rimase fondamentalmente stazionaria fino ai primi di settembre 1943, quando i tedeschi avviarono infine l'evacuazione della regione del Kuban; approfittando dell'avvio del ripiegamento, nella notte tra il 9 e il 10 settembre i sovietici lanciarono un nuovo grande attacco sul fronte di Novorossijsk: l'azione fu appoggiata da vari sbarchi anfibi a nord e ovest del porto di Novorossijsk, anche se senza troppo successo. Il V Corpo d'armata trattenne le forze sovietiche quel tanto che bastava a completare la demolizione delle strutture portuali della città, dopodiché si ritirò verso ovest; Novorossijsk fu quindi completamente liberata dai sovietici il 16 settembre 1943[13].

BATTAGLIE DI KARKOW, Tenuta del KUBAN: MARZO_APRILE 1943

 

ULTIMA OFFENSIVA DELLA WERMACHT:KURSK, luglio 1943

 

DAL disastro di KURSK (agosto 1943) alla seconda offensiva sovietica del 24 dicembre 1943-19 febbraio 1944. Dopo la breve controffensiva di Žytomyr che, nonostante qualche successo, non era riuscita a riconquistare Kiev e a rioccupare le posizioni sul Dnepr, le forze della Wehrmacht nel settore meridionale del fronte orientale si trovarono a fronteggiare dal 24 dicembre 1943 una nuova offensiva generale del 1° Fronte Ucraino del generale Nikolaj Fëdorovič Vatutin che, con il rinforzo di notevoli masse corazzate, riuscì a sfondare le linee della 4ª Panzerarmee del generale Erhard Raus, schierata sul fianco sinistro del Gruppo d'armate Sud del feldmaresciallo Erich von Manstein, a riconquistare Žytomyr il 1º gennaio 1944 ed avanzare, nonostante le gravi difficoltà climatiche ed il precoce disgelo, verso Korosten'Berdyčiv e Vinnicja[6]. A quel punto la situazione

 del Gruppo d'armate Sud rimase precaria e divenne ancor più grave dopo il cedimento dell'8ª Armata del generale Otto Wöhler che, attaccata dal 2° Fronte Ucraino del generale Ivan Stepanovič Konev, dovette ripiegare abbandonando con la sua ala destra le posizioni sul Dnepr e cedendo il 7 gennaio l'importante posizione di Kirovograd[7].

 

Mappa con il saliente di Korsun' e le direttrici dell'attacco sovietico a tenaglia.

In questo modo il Gruppo d'armate Sud, pur avendo evitato una sconfitta definitiva, perse le sue posizioni difensive sul Dnepr tranne nel tratto del fiume di 50 chilometri a monte di Čerkasy difeso dai due corpi dell'ala sinistra dell'8ª Armata, il 42° (generale Lieb) e l'11º Corpo d'armata (generale Stemmermann). Queste truppe tedesche rimaste a difesa del fiume si trovavano però, dopo gli sfondamenti a nord ed a sud dei generali Vatutin e Konev, in una posizione pericolosamente esposta con i fianchi vulnerabili ed il rischio di rimanere isolati in una sacca nel caso di un'offensiva a tenaglia sovietica[8].

Manovra d'accerchiamento sovietica[modifica | modifica wikitesto]

 

Truppe d'assalto sovietiche durante la battaglia di Korsun'.

Stalin incaricò il maresciallo Georgij Konstantinovič Žukov in persona di coordinare, organizzare e dirigere, come rappresentante dello Stavka, le operazioni del 1° e 2° Fronte Ucraino sui due lati del saliente di Korsun'; in pochi giorni le forze sovietiche vennero raggruppate e rafforzate per sferrare l'attacco il prima possibile. Il generale Vatutin, che ricevette di rinforzo la 27ª Armata, il 67º Corpo di fucilieri, il 2º Corpo di cavalleria della Guardia, il 5º Corpo meccanizzato e i due corpi corazzati della 2ª Armata corazzata, organizzò una massa d'urto sul suo fianco sinistro costituita dalla 40ª e 27ª Armata sostenute dalla forza di sfondamento della 6ª Armata corazzata, una nuova formazione di carri appena costituita sotto il comando del generale Andrej Grigor'evič Kravčenko[10]. Il generale Konev, sul lato meridionale del saliente, schierò invece la 4ª Armata della Guardia e la 53ª Armata con l'esperta 5ª Armata corazzata della Guardia del generale Pavel Rotmistrov mantenuta pronta per sfruttare il successo ed avanzare verso nord; nel complesso l'Armata Rossa avrebbe impegnato contro le forze tedesche nell'area Korsun'-Čerkasy, 27 divisioni di fucilieri, quattro corpi corazzati, un corpo meccanizzato, quasi 4.000 cannoni e mortai e 370 mezzi corazzati[10].

Il generale Konev iniziò per primo l'offensiva il 24 gennaio con un potente sbarramento d'artiglieria seguito dall'attacco delle divisioni di fucilieri della 4ª Armata della Guardia (generale A. I. Rihov) e della 53ª Armata (generale I. V. Galanin),Il 2° Fronte Ucraino poté quindi impegnare in combattimento fin dalle ore 12.00 del 25 gennaio la 5ª Armata della Guardia del generale Rotmistrov con il 20º e il 29º Corpo carri (con 218 carri armati e 18 semoventi[11]). Il contrattacco organizzato dai generali Stemmermann e von Vormann con la 11. Panzer-Division, la 14. Panzer-Division e la 57ª Divisione fanteria non ebbe successo a Kapitonovka[12]

L'offensiva del 1° Fronte Ucraino del generale Vatutin fu più difficile; iniziata il 26 gennaio con uno sbarramento d'artiglieria di 40 minuti, si sviluppò lentamente contro le difese del 7º Corpo d'armata tedesco; la 6ª Armata corazzata, costituita da pochi giorni con il 5º Corpo carri della Guardia e il 5º Corpo meccanizzato, era inesperta ed equipaggiata solo con 160 carri armati e 50 cannoni semoventi. Le divisioni fucilieri della 27ª Armata riuscirono infine a sfondare ed il generale Kravčenko, sollecitato da Žukov e da Vatutin a velocizzare l'avanzata, costituì un "gruppo mobile" al comando del maggior generale Savelev che aggirò Vynohrad e, dopo aver respinto la 88ª e 198ª Divisione fanteria tedesche, puntò direttamente su Zvenyhorodka. Il raggruppamento di Savelev (50 carri armati e 200 soldati) raggiunse Lysjanka la notte del 27 gennaio ed il mattino successivo, dopo duri combattimenti, penetrò nei quartieri nord-occidentali di Zvenigorodka

La sacca di Korsun'[modifica | modifica wikitesto]

In pochi giorni quindi si trovarono accerchiate in una grande sacca di oltre 100 chilometri di larghezza le divisioni dell'11º e del 42º Corpo d'armata; si trattava di un complesso di forze, al comando del generale Wilhelm Stemmermann costituito dalla 88ª, 389ª, 57ª e 72ª Divisione fanteria, dalla 5. SS-Panzer-Division "Wiking", dalla Brigata SS "Wallonien" (di reclutamento belga), dal cosiddetto "reparto di corpo d'armata B" (unità della 112ª, 332ª e 255ª Divisione fanteria), e da altre formazioni della 168ª, 167ª, 213ª, 323ª Divisione fanteria e della 14. Panzer-Division. In totale circa 56.000 soldati accerchiati, secondo le fonti tedesche, mentre i sovietici ritennero di aver intrappolato almeno 100.000 uomini[17].

Hitler, ripetendo le decisioni prese durante la battaglia di Stalingrado, rifiutò di autorizzare una ritirata delle truppe a rischio di accerchiamento.  Il generale Stemmermann riuscì a costituire un fronte solido.  ma, contrariamente ai propositi iniziali di Hitler, dovette abbandonare le posizioni sul Dnepr di Čerkasy e restringere il suo fronte. Il 42º Corpo d'armata quindi abbandonò le rive del fiume.

 La Luftwaffe impiegò l'8º Corpo aereo del generale Seidemann per contrastare l'aviazione sovietica e organizzare il ponte aereo, e le squadriglie da trasporto del maggiore Kaap riuscirono a trasportare nella sacca in quindici giorni 2.026 tonnellate di materiali e ad evacuare per via aerea 2.835 feriti[20].

 

Aerei da trasporto tedesche nell'aeroporto di Korsun' per rifornire le truppe accerchiate nella sacca.

In realtà, dopo la chiusura della sacca di Korsun' il feldmaresciallo von Manstein e gli altri generali tedeschi avevano temuto un disastro ancor più grave, ipotizzando la possibilità che le armate sovietiche dei generali Konev e Vatutin, trascurando le truppe accerchiate, sfruttassero immediatamente il varco aperto nelle linee nemiche, difeso in un primo momento solo dalla 198ª Divisione fanteria, per continuare l'avanzata verso ovest in direzione del Bug Orientale e del Dnestr[21]. Al contrario Stalin, il maresciallo Žukov ed il generale Konev erano preoccupati per la minaccia rappresentata dalla grande sacca di Korsun' di cui sopravvalutavano la consistenza. Ritenendo di avere circondato l'intera 8ª Armata tedesca con circa dieci divisioni ed oltre 100.000 uomini, l'alto comando sovietico considerò essenziale, prima di riprendere l'offensiva generale, stringere il cerchio su queste forze, organizzare un solido fronte esterno di accerchiamento per proteggersi da possibili controffensive nemiche e sferrare al più presto un attacco decisivo per distruggere le forze tedesche all'interno della sacca[17]. Il generale Konev, deciso a schiacciare le truppe accerchiate sotto il fuoco dell'artiglieria, dei bombardamenti aerei e delle sue unità mobili, concentrò la 27ª Armata, la 52ª Armata e la 4ª Armata della Guardia, con tredici divisioni di fucilieri, 2.000 cannoni e 138 carri armati. I primi attacchi furono sferrati sul lato sud della sacca lungo il fiume Olsanka e sul fronte nord in direzione di Korsun', ed incontrarono una dura resistenza dei tedeschi. Non ottennero alcun risultato gli appelli alla defezione od alla resa diramati ai soldati tedeschi accerchiati dai rappresentanti del Comitato della Germania Libera costituito in Unione Sovietica da una parte degli ufficiali superiori catturati a Stalingrado;Le divisioni corazzate tedesche, richiamate precipitosamente da altri settori del fronte orientale, ebbero gravi difficoltà a raggrupparsi in tempo utile soprattutto a causa della rasputica, il precoce disgelo che rese paludose e quasi intransitabili le mediocri piste della steppa. Inoltre Hitler decise di dirottare la 24. Panzer-Division del generale von Edelsheim, di cui era previsto l'impiego nel settore sud della sacca, verso la testa di ponte di Nikopol' (a sua volta sottoposta a duri attacchi nemici), indebolendo così le forze assegnate al contrattacco.

Le tre deboli divisioni rimaste al generale von Vormann (3. Panzer-Division, 11. Panzer-Division e 14. Panzer-Division[26]) non ottennero risultati e vennero rapidamente bloccate ad oltre 30 chilometri dalla sacca dalla resistenza sovietica della 5ª Armata corazzata della Guardia[27]; quindi solo il 3º Panzerkorps poté sviluppare il suo attacco ed in un primo momento solo con una parte delle sue forze[28].

 

Panzer IV in azione nell'inverno 1944.

Il generale Breith attaccò all'alba del 4 febbraio con la 16. Panzer-Division, la 17. Panzer-Division, rinforzate dal Panzerverband Bäke, un reggimento corazzato misto di carri pesanti Panzer VI Tiger I e Panther guidato dall'esperto tenente colonnello Franz Bäke. Protetti sui fianchi da due divisioni di fanteria, i panzer (circa 160 mezzi corazzati) avanzarono faticosamente sul terreno melmoso penetrando le linee della 6ª Armata corazzata sovietica che ridotta a meno di 100 carri . Il maresciallo Žukov, preoccupato dalla minacciosa avanzata tedesca, rinforzò opportunamente le indebolite forze della 6ª Armata corazzata del generale Andrej Kravčenko con una parte della 27ª Armata di fucilieri, con tre reggimenti di carri pesanti Stalin e con la massa della 2ª Armata corazzata del generale Semën Bogdanov. Nel frattempo continuava il tentativo del 3º Panzerkorps di sbloccare le forze del generale Stemmermann:

un tentativo del reparto di panzer del tenente Ciliox di conquistare di sorpresa un ponte sul fiume a Lysjanka non ebbe successo la notte del 12 febbraio. Il 13 febbraio il battaglione corazzato del capitano Cramer fece un nuovo tentativo e riuscì il giorno seguente ad attraversare il Gnylyj-Tikyč su un ponte intatto nonostante la dura resistenza dei mezzi corazzati del 5º Corpo carri della Guardia[31].

Dopo aver raggiunto Lisjanka a est del fiume, divenne decisivo per i tedeschi conquistare l'importante quota 239, difesa dal grosso del 5º Corpo carri della Guardia del generale Savelev con circa 50 T-34. Il gruppo corazzato della 1. Panzer-Division al comando del tenente colonnello Frank ed il Panzerverband Bäke, appoggiati dai granatieri del capitano Ebeling, cercarono quindi di conquistare l'altura con un nuovo attacco condotto in un clima invernale estremo, ma, nonostante qualche successo, non riuscirono a raggiungere l'obiettivo contrastati da una resistenza sempre più solida. La 1. Panzer-Division, completamente esausta e rimasta con soli 12 carri armati, dovette sospendere gli attacchi e passare sulla difensiva[32].

A nord-ovest ed a ovest di Lysjanka la situazione tedesca stava peggiorando: la 16. e la 17. Panzer-Division dovettero contrastare la pericolosa controffensiva dei corpi meccanizzati della 2ª Armata corazzata del generale Bogdanov, mentre la Leibstandarte SS esaurì le sue forze nei combattimenti di Vynohrad. Il 16 febbraio il generale Walther Wenck, capo di stato maggiore della 1. Panzer-Division, si recò al posto comando avanzato e convenne sull'impossibilità per il 3º Panzerkorps di riprendere l'offensiva di fronte alle difese sovietiche del 1° Fronte Ucraino del generale Vatutin; quindi i panzer dei gruppi Frank e Bäke, giunti a circa nove chilometri dalle forze accerchiate del generale Stemmermann, sospesero gli attacchi e si schierarono a difesa di Lysjanka cercando di resistere in quella posizione esposta in attesa dell'arrivo delle truppe della sacca .

Distruzione della sacca[modifica | modifica wikitesto]

 

Mappa con l'indicazione della marcia delle truppe tedesche per uscire fuori dall'accerchiamento.

Il 7 febbraio il feldmaresciallo von Manstein e l'alto comando tedesco compresero che la situazione all'interno della sacca, pressata dai continui attacchi sovietici, stava diventando sempre più difficile Quindi alle ore 11.40 venne diramato al generale Stemmermann, dal comando dell'8ª Armata, l'ordine decisivo di restringere ulteriormente la sacca ed iniziare un movimento di ritirata a sud in direzione di Šenderivka. L'11 febbraio dopo duri scontri i tedeschi riuscirono a occupare Novobuda e Šenderivka che venne conquistata dai soldati della Divisione corazzata SS "Wiking"; nei giorni seguenti la 72ª Divisione fanteria riuscì ad arrivare, dopo penosi sforzi di fronte alle linee di sbarramento sovietiche fino a Chyl'ky e Komarivka, a sette chilometri dalle linee del 3º Panzerkorps bloccato a Lysjanka, mentre la brigata di volontari belgi SS "Wallonien" difese con gravi perdite Novobuda. Tutte le truppe della "sacca mobile" si concentrarono quindi intorno a Šenderivka, in un territorio di sette chilometri per otto al riparo nelle abitazioni del villaggio; dopo l'abbandono il 10 febbraio dell'aeroporto di Korsun'.A causa delle difficoltà climatiche, il comandante del 2° Fronte Ucraino dovette inizialmente rinviare l'attacco decisivo contro Šenderivka; impegnando equipaggi volontari ed aerei leggeri il generale Konev riuscì infine a sferrare un attacco aereo in massa la notte del 16 febbraio che incendiò e devastò il villaggio e costrinse i soldati tedeschi ad abbandonare le rovine ed esporsi all'aperto dove subirono un pesante sbarramento a distanza ravvicinata dell'artiglieria sovietica[37].: quindi alle ore 11.05 del 15 febbraio venne diramato l'ordine al generale Stemmermann di cercare di sfondare a tutti i costi con le "proprie forze" in direzione di Lysjanka-quota 239, senza attendere aiuti dall'esterno. Il generale Stemmermann, dubbioso sulla possibilità dei suoi soldati, ormai esausti e disorganizzati di sfondare da soli, credette tuttavia che la quota 239 fosse già in possesso dei tedeschi mentre invece si sarebbe trovato di fronte su quelle posizioni i fucilieri, i carri armati ed i cavalieri sovietici pronti ad attenderlo.

ANNIENTAMENTO TOTALE ! 14 FEBBRAIO 1944:Hitler perde altri due Corpi d'Armata

 Il generale Stemmermann decise di abbandonare o distruggere prima della sortita tutti gli automezzi, i cannoni, i carri armati e l'equipaggiamento pesante rimasto, anche molti feriti vennero abbandonati; con le truppe ancora efficienti organizzò quindi due colonne guidate dai generali Lieb e Gille (il comandante della SS "Wiking"), mentre egli rimase con la retroguardia costituita dalla 57ª e 88ª Divisione fanteria[38].

 

Truppe sovietiche catturano alcuni soldati tedeschi.

 

Reparti tedeschi di una Panzer-Division nell'inverno 1944; le forze corazzate tedesche uscirono molto indebolite dai combattimenti di Korsun'.

La mattina del 17 febbraio la colonna tedesca, guidata dai pochi mezzi corazzati superstiti del reggimento corazzato della SS "Wiking", sbucò fuori dal terreno irregolare e arrivò nei campi aperti ricoperti di neve dove però trovò ad attenderla il massiccio sbarramento predisposto dal generale Konev per sferrare il colpo finale al nemico, già logorato dalle privazioni e dalle fatiche della battaglia e della ritirata[37]. Inizialmente le avanguardie della 72ª Divisione fanteria riuscirono a sfuggire ed a raggiungere le posizioni della 1. Panzer-Division, ma il resto della divisione venne colpito dal fuoco dell'artiglieria sovietica e poi distrutto dall'attacco dei carri armati; anche la SS "Wiking", rimasta con pochi mezzi motorizzati, cadde in un'imboscata di mezzi corazzati sovietici nella gola di Pošapinzij e quindi dovette ingaggiare un violento combattimento senza riuscire a sfondare[39]. I carri armati dell'Armata Rossa avanzarono in mezzo alla fanteria tedesca in marcia e travolsero uomini e animali; gli equipaggi schiacciarono sotto i cingoli i fuggiaschi, senza risparmiare neppure i feriti. Anche la cavalleria cosacca sovietica intervenne in forze e devastò all'arma bianca le colonne a piedi tedesche[37].

I superstiti reparti tedeschi arrivarono, dopo aver forzato il primo sbarramento sovietico, sulle rive del fiume Gnylyj-Tikyč dove si verificò un nuovo e drammatico combattimento. I generali Lieb e Gille riuscirono a raggiungere, con una parte delle forze della "Wiking" e con altri reparti tra cui i sopravvissuti della SS "Wallonien", le linee del 3º Panzerkorps e quindi la salvezza[40], le retroguardie tedesche rimasero invece bloccate sul fiume dove subirono il bombardamento dell'artiglieria e un nuovo attacco dei carri armati e della cavalleria sovietica. Il generale Konev guidò personalmente, a bordo di un carro armato, questo attacco finale: la gran parte dei soldati tedeschi venne uccisa dalla cavalleria o schiacciata sotto i cingoli[41], secondo le indicazioni del generale, che sollecitò la massima decisione, si preferì uccidere piuttosto che catturare prigionieri[37]. In quest'ultima fase della battaglia si verificarono fenomeni di dissoluzione e di panico tra le truppe tedesche, una parte dei soldati per sfuggire alla cavalleria cosacca si gettò nelle acque del fiume, dopo aver abbandonato le armi; solo pochi sopravvissero e raggiunsero la salvezza, il generale Stemmermann, rimasto con i suoi uomini al centro della sacca, venne ucciso dall'esplosione di una granata[42].

La mattina del 19 febbraio il reparto di punta della 1. Panzer-Division abbandonò, dopo aver recuperato gli ultimi superstiti della sacca, le sue posizioni esposte su quota 239 e ripiegò su linee più arretrate; la battaglia di Korsun' era finita. Secondo le fonti tedesche circa 35.000 soldati (su un totale di 56.000 uomini accerchiati nella sacca) riuscirono a sfuggire ed a rientrare nelle linee tedesche; le perdite quindi ammonterebbero a 18.800 soldati tra morti, prigionieri e dispersi[43].

 il feldmaresciallo von Manstein e i generali tedeschi sul fronte orientale compresero la gravità della sconfitta che peggiorava ulteriormente la situazione generale nel settore meridionale. Dopo la perdita delle divisioni accerchiate nella sacca di Korsun' e il grave indebolimento delle preziose Panzer-Division, dissanguatesi nel coraggioso tentativo di portare soccorso alle truppe intrappolate, diveniva più difficile mantenere le posizioni ed evitare un crollo delle difese nel caso di una nuova offensiva generale dell'Armata Rossa[46].

 

Mezzi e materiali tedeschi abbandonati durante la ritirata.

Le fonti storiche russo-sovietiche hanno sempre riportato dati molto diversi sulle perdite tedesche nella battaglia, calcolando 55.000 morti e feriti e 18.000 prigionieri catturati dal 1° e 2° Fronte Ucraino, oltre a tutte le armi ed il materiale[47]; secondo lo storico britannico Alexander Werth è verosimile che le cifre sovietiche siano attendibili e che comprendano tutte le perdite subite dai tedeschi nella "piccola Stalingrado sul Dnepr"[48] comprese, oltre alle truppe nella sacca, i reparti della Wehrmacht della colonna di soccorso del generale Hube e delle altre divisioni dell'8ª Armata del generale Wöhler[49]

GUERRA DI SIRIA : 2011 - ?

 

La Russia schiera i suoi uomini nella Siria del Nord

 

L'inviato speciale russo in Siria, Alexander Lavrentyev, smentisce che ci siano stati accordi tra il presidente turco e Putin. Tra minacce e rassicurazioni, Recep Erdogan torna a parlare dalle colonne del Wall Street Journal: "Il mondo ci sostenga o si prenda rifugiati"

 "La comunità internazionale deve sostenere gli sforzi del nostro Paese o cominciare ad accettare i rifugiati" dalla Siria. Lo scrive il presidente turco Recep Tayyip Erdogan in un editoriale pubblicato sul Wall Street Journal per sostenere le sue ragioni sull'offensiva militare contro i curdi nel Nord-Est della Siria, arrivata al quinto giorno.

L'offensiva di Ankara, chiamata "Fonte di pace" dal presidente turco" è iniziat ail 9 ottobre dopo l'annuncio del presidente Donald Trump di ritirare tutte le truppe Usa dal territorio siriano. Annuncio poi in parte ritrattato. Le forze militari americane ora si stanno spostando verso il sud del Paese. L'operazione militare turca è stata lanciata contro le milizie curde nel Nord-Est della Siria, impegnate nella lotta all'Isis.

L'editoriale di Recep Erdogan sul Wall Street Journal

"La Turchia sta intervenendo dove altri hanno mancato di agire" è il titolo dell'intervento di Erdogan sul quotidiano americano. "I flussi di rifugiati siriani, la violenza e l'instabilità ci hanno spinto ai limiti della nostra tolleranza", scrive ricordando l'impegno del suo Paese nell'ospitare 3,6 milioni di rifugiati siriani e rivendicando di aver speso "40 miliardi di dollari per offrire loro educazione, assistenza sanitaria e alloggio". Tuttavia, insiste, "senza supporto finanziario internazionale non possiamo impedire ai rifugiati di andare in Occidente".

Spiega quindi di aver deciso l'offensiva in Siria dopo aver "concluso che la comunità internazionale non avrebbe compiuto i passi necessari" ad affrontare la situazione. E rassicura, impegnandosi: "Nessun combattente dell'Isis lascerà il Nord-Est della Siria". Sono venti le prigioni dove sono tenuti 1500 jihadisti tra i più pericolosi su un totale di 12 mila. Centinaia di sostenitori del Califfato sono già scappati da un campodurante l’offensiva militare turca ad Ain Issa, a circa 70 chilometri da Kobane, la roccaforte curda dove da ieri è arrivato l'esercito di Assad a sostegno dei curdi.

"Siamo pronti a cooperare con i Paesi d'origine e le organizzazioni internazionali per la riabilitazione delle mogli e dei figli dei terroristi foreign fighter", aggiunge il leader di Ankara, che però non risparmia critiche ai Paesi occidentali che non avrebbero finora voluto occuparsi della questione, evitando anche di riprendersi i propri combattenti jihadisti detenuti nelle prigioni curde. "Gli stessi Paesi che oggi danno lezioni alla Turchia sui valori della lotta all'Isis non sono stati capaci di fermare il flusso di terroristi foreign fighter nel 2014 e nel 2015".

La battaglia di Manbij

L'esercito siriano del presidente Bashar al-Assad ha il "totale controllo" della città di Manbij, località curda strategica nel Rojava. Lo ha annunciato il ministero della Difesa russo, citato da Interfax. Mosca ha aggiunto che "la polizia militare russa sta pattugliando il perimetro di Manbij lungo la linea di contatto tra gli eserciti siriano e turco". Oggi doveva essere il giorno del confronto tra le truppe di Damasco e quelle di Ankara con i ribelli siriani filo-turchi dell'ELS, nella città di Manbij, località strategica.

Le reazioni internazionali

L'inviato speciale russo in Siria, Alexander Lavrentyev, ha detto che "L'offensiva turca è inaccettabile. Non permetteremo che Turchia e Siria si scontrino". Al confine si iniziano a vedere blindati russi affiancati a quelli siriani. Il ministero della Difesa a Mosca ha reso noto infatti che militari russi stanno pattugliando la 'linea di contatto' tra le forze siriane e turche nel Nord-Est. Il presidente turco aveva dichiarato ieri che era d'accordo con Putin sulle città di Kobane e Manbij, dichiarazione smentita dal funzionario russo che ci ha tenuto a sottolineare che non c'è mai stato alcun accordo e che invece Mosca sta facendo da intermediario tra i curdi e Damasco.
Donald Trump ieri ha annunciato le sanzioni alla Turchia e invia il suo vice, Mike Pence ad Ankara. E intanto twitta, lavandosi le mani: "Ben venga chiunque voglia aiutare i curdi: russi, cinesi o Napoleone Bonaparte. Spero che abbiano successo. Noi siamo a 7 mila miglia di distanza". A chiedere uno stop all'offensiva Turca, oggi è intervenuta anche la Cina, che ha chiesto ad Ankara di "tornare sul binario corretto" della ricerca di una soluzione politica della questione. Lo ha dichiarato il portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino, Geng Shuang, che ha chiesto anche il rispetto della sovranità, dell'indipendenza, dell'unità e dell'integrità territoriale della Siria.

La Volkswagen ha rimandato invece la decisione sulla prossima apertura di uno stabilimento in Turchia a Smirne. Lo ha reso noto un portavoce dell'azienda tedesca. "La decisione sul nuovo stabilimento è stata aggiornata dal board di Volkswagen AG", ha riferito, aggiungendo che l'azienda guarda con preoccupazione agli sviluppi attuali nella regione. In molti ritengono che la Bulgaria possa sostituire la Turchia nella pianificazione di un nuovo stabilimento, riferisce la Dpa.

La Gran Bretagna ha annunciato la sospensione di "ulteriori licenze" alla Turchia per forniture di "equipaggiamenti che possano essere usate in operazioni militari in Siria". Lo rende noto il ministro degli Esteri, Dominic Raab, in risposta all'offensiva anti-curda di Ankara promettendo invece solo "una continua revisione" delle esportazioni di armi già in essere. Raab condanna quella turca come "un'azione sconsiderata e controproducente, che dà forza alla Russia e al regime di Assad", dicendo di non aspettarsela "da un alleato".

Le Ong lasciano il Nord-Est

Si sono interrotti completamente gli aiuti internazionali nel Nord-Est siriano, lo riferiscono fonti curde. Già ieri si era saputo che lo staff internazionale delle organizzazioni umanitarie era stato costretto a lasciare la zona, ormai diventato incandescente. Anche lo staff internazionale dell'ong italiana Un Ponte Per, fino a ieri unica ong italiana presente sul posto, aveva abbandonato l'area.

 

 

Come formattare il PC ed installare Windows 7

Prima di poter formattare il PC dovrai però andare a modificare alcuni parametri presenti nel BIOS/UEFI e solo successivamente potrai installare Windows 7 osservando la procedura che poi ti illustrerò. Detto questo, ecco quindi spiegato come formattare il PC ed installare Windows 7. ...

https://www.informaticapertutti.com/come-formattare-il-pc-ed-installare-windows-7/  

Bloccare video su YouTube per bambini su smartphone e tablet

Trovi interessante la Modalità con restrizioni di YouTube e vorresti attivarla anche sul tuo smartphone e/o sul tablet? Allora questa è la sezione più adatta a te, nella quale andrò a illustrarti come effettuare quest’operazione sui dispositivi portatili in tuo possesso. Inoltre, avrò cura di mostrarti il funzionamento di YouTube Kids, una “versione” di YouTube sviluppata da Google e dedicata espressamente ai più piccoli.

 

Attivare la Modalità con restrizioni

Al bisogno, è possibile bloccare i contenuti tramite la Modalità con restrizioni di YouTube sia dall’app per smartphone e tablet Android e iOS, sia dalla versione “mobile” del sito Web: tieni però presente che, come già detto in precedenza, tale operazione dev’essere effettuata su qualsiasi dispositivo venga usato dalla persona da “proteggere”.

Per impostare il blocco nell’app di YouTube, avvia innanzitutto quest’ultima dal drawer di Android o dalla schermata Home di iOS, tocca sull’immagine del profilo collocata in alto a destra e seleziona la voce Impostazioni dal menu proposto.

A questo punto, se ti trovi su Android, tocca la voce Generali e  individua la voce Modalità con restrizioni: per attivarla, sposta su ON la levetta corrispondente e il gioco è fatto. Su iOS, invece, l’opzione relativa al blocco dei contenuti è presente nel menu generale delle impostazioni.

Se è tua intenzione attivare la Modalità con restrizioni nella versione mobile del sito di YouTube, collegati alla stessa e fai tap sul pulsante (⋮) collocato in alto a destra. Successivamente, tocca la voce Impostazioni e, per abilitare il blocco, pigia sulla voce Disattivato corrispondente alla dicitura Modalità con restrizioni. Tutto qui!

Nota: qualora, in entrambi i casi, dovessi notare un filmato che non ritieni adatto a tuo figlio, pigia sul pulsante (⋮) ad esso corrispondente e pigia sulla voce Non sono interessato dal menu mostrato a schermo.
 

https://www.aranzulla.it/come-bloccare-video-su-youtube-per-bambini-1122362.html

 
   
     
     

LINK di riferimento:

www.internazionalesite.tk ; La Vetrina di Davide Diotti

 

 

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