Il XVIII Congresso
del Partito comunista cinese si
terrà in ottobre. Ma la lotta è già
iniziata. Mentre la moglie di Bo
Xilai va alla sbarra accusata di
aver avvelenato il suo amante
inglese. E i dirigenti del Pcc, in
conclave segreto, decidono i membri
del prossimo politburo
"La crisi che ci ha colpiti
dall’estate dell’anno scorso e la
conseguente recessione di quasi
tutti i Paesi europei ha comportato
una caduta verticale delle
importazioni e di questo ha fatto le
spese in primo luogo la Cina. Si sta
fermando l’economia mondiale. E’
estremamente pericoloso perché
questa dinamica può colpirci molto
seriamente." Aldo Giannuli
Saluto gli amici del blog di Beppe
Grillo. Sono Aldo Giannuli, insegno
Storia del mondo contemporaneo
presso la facoltà di Scienze
Politiche dell’università Statale di
Milano. Dopo essermi occupato per
molto tempo di strategia
dell’attenzione e Storia degli anni
‘70 sono andato maturando altri
interessi, in particolare della
globalizzazione e di analisi
dell’attuale crisi
economico/finanziaria in atto.
Quattro anni fa iniziò la crisi
finanziaria che viviamo tutt’ora:
per la verità era iniziata l’anno
prima, noi ci accorgemmo della crisi
nel settembre del 2008 per il
fallimento della banca Lehman
Brothers. Dalla crisi si disse che
si stava uscendo - ma in realtà si
trattava di una tregua – grazie agli
interventi della Banca Centrale
Americana, la Fed, che concesse
moltissima liquidità a bassissimo
costo alle banche che erano in
pericolo di fare la stessa fine
della Lehman Brothers e della Banca
Centrale Cinese, che stanziò ben 608
miliardi di dollari per rilanciare
la produzione nel Paese e sostenere
la domanda aggregata mondiale.
Questo è un punto che richiede
qualche spiegazione: il
funzionamento dell’economia è
strettamente correlato al dato della
domanda aggregata mondiale?
Vuol dire che non è importante, o è
relativamente importante che cali la
domanda di beni e di servizi in un
singolo Paese, se
negli altri Paesi c’è un aumento che
compensa quella flessione e produce
ulteriore domanda, ugualmente
l’economia si rimette in moto; vuol
dire che il Paese in crisi consumerà
di meno, ma cercherà di esportare di
più, quindi il dato fondamentale è
quello della domanda aggregata di
tutti i Paesi a livello mondiale.
La Cina in questi anni ha
funzionato come il grande motore, la
locomotiva che ha continuato a
tirare tutti gli altri: producendo,
la
Cina ha continuato ad avere
un’elevata domanda di materie prime
e di tecnologie, materie prime prese
prevalentemente da Paesi in via di
sviluppo o da Paesi tradizionalmente
più poveri come l’Africa, tecnologia
presa dai Paesi invece più avanzati
(Stati Uniti, Germania etc.). Questo
in qualche modo ha permesso di
tirare un respiro per un anno, fra
il 2009 e il 2010. Dopo un momento
d’incertezza, la crisi è ripresa.
Che cosa significa questo? Significa
che siamo allo stesso punto di
quattro anni fa? No, stiamo peggio
perché la Cina, la grande locomotiva
che cercava in qualche modo di
sopperire al disastro complessivo,
comincia a fermarsi. La
Cina ha avuto in questi trent’anni,
soprattutto negli ultimi venti,
tassi di crescita assolutamente
straordinari, con una crescita del
Pil che ha toccato talvolta l’11
/12% e che non è mai stata inferiore
all’8% ritenuto dalla Cina una
soglia di sicurezza irrinunciabile.
Questo può sembrare un dato
assolutamente sconvolgente a noi,
che quest’anno addirittura siamo in
crescita negativa, ma che negli anni
migliori non abbiamo mai superato il
2% di crescita. È vero che la Cina
partiva da livelli più bassi, però
ormai ci ha abbondantemente
sorpassati.
Il punto è questo: la Cina ha
bisogno di un incremento di quel
tipo soprattutto per ragioni sociali
interne.
La Cina ha 20 milioni di contadini
che ogni anno si riversano nelle
città e occorre dare loro un lavoro,
un reddito, una sistemazione:
diversamente le città diventerebbero
rapidamente ingovernabili e si
arriverebbe a una situazione di
implosione sociale molto grave.
quindi la condizione per poter
assicurare ai 20 milioni di cinesi
che arrivano nelle città il reddito
necessario, le condizioni di vita
minime necessarie, per quanto basso
possa essere il salario, è quella di
una crescita intorno all’8% e di un
reinvestimento della metà circa dei
profitti. È qualcosa DI
assolutamente straordinario rispetto
agli altri Paesi. Un
Paese di un miliardo e 300 milioni
di abitanti, uno dei Paesi più
poveri del mondo, nel giro di circa
quaranta anni è diventato la seconda
economia mondiale, con una velocità
di crescita incomparabile.
Quest’anno le cose si stanno
mettendo male: il governo cinese ha
fissato al 7,5% la soglia di
crescita. Una crescita inferiore a
quella soglia di sicurezza.
I tassi di crescita del primo
semestre sono allarmanti; se questa
tendenza dovesse confermarsi neppure
il 7,5% sarebbe raggiunto. Anzi, c’è
chi parla addirittura di un
incremento inferiore al 7%: questo
avrebbe un impatto psicologico molto
grave, perché per la Cina è un
momento molto delicato. Quest’anno ci sarà
il congresso del Partito Comunista
cinese, nel quale ci sarà
l’avvicendamento tra il gruppo
dirigente uscente Hu Jintao-Wen
Jabaoe col nuovo gruppo dirigente:
Presidente della Repubblica e
Segretario del partito dovrebbe
diventare Xi Jinping e capo del
governo Li Keqiang. Bisogna tenere
presente una cosa: il Partito
Comunista cinese è un partito molto
particolare nel quale sono
consolidate vere e proprie correnti
all’interno del gruppo dirigente;
c’è il cosiddetto
Gruppo di Shangai, il più
dichiaratamente liberista, più
legato alla finanza internazionale e
per il quale fa apertamente il tifo
la Banca Mondiale, c’è il
gruppo dei Tuanpai,
degli ex Giovani Comunisti degli
anni ‘80 che ha una coloritura più
nazionalista, c’è poi il gruppo dei
cosiddetti Principi
Rossi, gli eredi dei grandi
eroi della Grande Marcia, i figli e
i nipoti dei dirigenti del partito
durante il periodo rivoluzionario.
Mentre il gruppo dirigente
precedente era fatto essenzialmente
da Tuanpai, dalla corrente
nazionalista (sia Hu Jintao che Wen
Jabao appartengono a quel gruppo),
dovrebbe esserci invece un
avvicendamento: quello che doveva
essere un avvicendamento scontato
sta diventando uno scontro
drammatico; non perché siano in
discussione le due maggiori cariche,
quella di Presidente del Partito e
quella di Capo del Governo, ma
perché la composizione del nuovo
ufficio politico condizionerà i due
leader e la battaglia non è
combattuta solo con le armi della
dialettica politica. La drammatica
caduta di quello che era il cavallo
scosso della politica cinese, il
solista che in qualche modo
sparigliava i giochi, Bo Xilai il
capo della Provincia di Chonqing
destituito per uno scandalo è un
primo segnale, ma se ne sono
aggiunti altri, come la morte in uno
strano incidente di auto del figlio
di uno dei maggiori esponenti del
gruppo dei Principi Rossi e si
parla di rinvio del congresso -
qualcuno dice - a novembre, a
gennaio o forse addirittura a
febbraio, tutti segnali di grande
tensione, di grande nervosismo.
È il momento in cui bisogna fare
delle scelte decisive per il futuro
della Cina: continuare a puntare su
un modello tutto basato sulle
esportazioni, accumulare dollari nei
forzieri della Banca Centrale
Cinese, oppure puntare sullo
sviluppo del mercato interno? Tutte
e due le scelte presentano
inconvenienti notevoli. Puntare
sulle esportazioni è diventato molto
difficile da quando è partita la
crisi del 2008, ma soprattutto con
questa seconda ondata di crisi che
ha travolto l’Europa. L’Europa è il
principale mercato, la principale
area commerciale del mondo, quella
che assorbe la maggior quantità di
beni a livello mondiale.
La crisi che ci ha colpiti
dall’estate dell’anno scorso e la
conseguente recessione di quasi
tutti i Paesi europei ha comportato
una caduta verticale delle
importazioni e di questo ha fatto le
spese in primo luogo la Cina. Ecco
il perché di quella caduta della
crescita a cui accennavo all’inizio.
Per la verità non ha colpito solo la
Cina: un crollo drammatico l’ha
avuto anche l’India che, dagli
obiettivi del 9 %, è scesa a un
modesto 5% di crescita, ha colpito
il Brasile, uno dei massimi
esportatori mondiali di materie
prime e anche la Russia. Tutti i
Paesi emergenti stanno segnando il
passo o un deciso calo dei loro
tassi di sviluppo. Si sta fermando
l’economia mondiale. E’ estremamente
pericoloso perché questa dinamica
può colpirci molto seriamente. Quella
che mantiene in piedi l’economia
mondiale è la domanda aggregata
mondiale. Dopo la crisi del 1929 non
è mai successo che la domanda
aggregata mondiale nel suo complesso
calasse; ci sono stati momenti, in
particolare con la crisi del 73 /74,
in cui siamo andati molto vicini
alla parità, o piccolissime perdite,
ma non è mai successo che ci fosse
una recessione generalizzata,
dopodiché si spalancano le porte al
rischio che la recessione diventi
vera e propria depressione
economica. E’ quello che inizia a
profilarsi, una crisi molto seria.
Se si ferma anche la locomotiva
cinese la situazione è drammatica
per tutti.La prospettiva del
gruppo dirigente cinese quale può
essere? Esportare in questa
situazione diventa difficile,
puntare sul mercato interno è
certamente una soluzione più
razionale e preferibile, ma non è
una soluzione semplice e indolore.
La Cina ha vissuto un momento di
grande febbre dell’inflazione in
questo periodo. Inflazione molto
contenuta rispetto ai tassi che
abbiamo vissuto noi in Europa negli
anni ‘80, quando l’inflazione in
Italia superava il 20%. In Cina dal
2010 fino alla metà del 2011 c’è
stata un’inflazione sul 6 /7%, però
bisogna sempre rapportarsi alla
realtà storica e sociale di ogni
singolo Paese. In Italia
un’inflazione del 20%, pur essendo
una patologia economica piuttosto
preoccupante, era qualcosa che
poteva essere sostenuto dati i
nostri livelli di consumo. In Cina, dove una larga parte
della popolazione è ancora sul
limite delle economie di
sussistenza, un’inflazione del
genere, che significa un aumento dei
generi di prima necessità come il
riso e il maiale tra il 14 e il 16%,
significa minacciare le condizioni
minime di alimentazione della gente,
perciò la Banca Cinese è stata
costretta in un primo momento a
tirare le redini, a restringere il
credito, sia per fermare
l’inflazione, sia perché nel
frattempo stava partendo una bolla
immobiliare del tutto simile a
quella americana. Questo ha
provocato effetti assolutamente
indesiderabili di altro tipo: è
esplosa la finanza grigia, quella
che in Italia chiamiamo più
semplicemente usura o finanza dei
cravattari, come dicono a Roma.
Molte aziende hanno iniziato a
chiudere o a rallentare
fortemente e allora
la Banca Cinese ha cercato
nuovamente di allargare i cordoni
della borsa, ma questo fa rinascere
i rischi d’inflazione e di gonfiare
nuovamente la bolla edilizia oltre i
limiti della sopportabilità.
A maggio la
Banca Centrale Cinese si è accorta
che gli obiettivi della crescita al
7,5% difficilmente sarebbero stati
raggiunti e ha fatto un’immissione
di liquidità alle banche, concedendo
denaro a bassissimo tasso
d’interesse nella speranza di
riattivare il ciclo produttivo.
Invece nel mese successivo, a
giugno, è successa una cosa
paradossale: nonostante questi
stimoli le banche hanno
concesso 180 miliardi di Renminbi di
prestiti in meno del mese
precedente, al punto che la Banca
Centrale Cinese i primi di luglio ha
fatto una nuova immissione di
liquidità e questo è un bruttissimo
segnale.Significa che gli stimoli di
liquidità non stanno avendo effetto.
Nel linguaggio degli economisti
si chiama “trappola
della liquidità” esaminato da
un economista famoso, Minsky negli
anni ‘60 e ’70-. E’ il momento
in cui ogni stimolo di liquidità non
produce effetti nell’economia reale.
Perché? Si dice nel linguaggio della
finanza che, quando viene emessa
liquidità, si porta a bere il
cavallo: “E’ il momento di dare da
bere al cavallo”… però ci sono
momenti in cui il cavallo
dell’economia reale non beve perché
la situazione è così incerta che
l’investitore non trova prudente
investire nell’economia reale e
accade che il prestito si prende per
reinvestirlo in titoli finanziari.
Prendo denaro alla BCE
allo 0, 50% (io banca,
naturalmente), dopodiché lo
reinvesto in titoli di Stato
giapponesi, per fare un esempio
qualsiasi, che rendono un’1, 6 /1,
7% (annuo. Quando scadono i titoli
rimetto a posto il denaro,
restituisco il denaro alla Fed o
alla BCE allo 0, 50% dell’interesse
pattuito e mi metto in tasca pulito
pulito quell’1 /1, 2 /1, 5% di
differenza assicurata. questo
significa che ho riscosso credito a
quegli interessi, ma non l’ho
concesso alle famiglie e alle
imprese, alle quali continuo a fare
mutui dal 7, al 9, all’11%. Quello è
il momento in cui si determina
gradualmente un blocco, una trappola
della liquidità: il denaro per
l’economia reale costa troppo, non
c’è fiducia riguardo la possibilità
che gli affari vadano bene e
l’economia reale si ferma. Questo drammaticamente sta
succedendo in Europa, ma che
drammaticamente sta iniziando anche
in Cina. Se dovesse proseguire la
situazione economica potrebbe
diventare estremamente grave nel
2013,
La prima cosa da fare sarebbe
prendere coscienza della crisi,
capire la drammaticità della
situazione in cui ci troviamo e
imporre politiche adeguate, che non
sono quelle che si stanno adottando
in questo momento. La prima cosa da
fare è diffondere la consapevolezza
di quello che sta succedendo: questi
sono i dati, passate parola!
LE
RAGIONI DELLA JUGOSLAVIA (NON DELLA SERBIA)
"Questo Paese ormai è diventato una fogna, una
cloaca destinato a scomparire nella miseria più nera
a passi di marcia, e con esso la gran parte dei suoi
cittadini. Non mi restano che due scelte: o
trasferisco me e la mia famiglia in luoghi più
civili (ho abitato per alcuni anni nella profonda
Serbjia di Milosevjc e vi garantisco che anche
allora, in pieno conflitto europeo con gli aerei di
d'Alema che sfrecciavano tra una città e l'altra
bombardando i civili, si stava meglio di come si
stia in questo fottutissimo Paese di merda; oppure
combatto per sterminare parassiti e maiali di Stato
fancazzisti che giorno dopo giorno stanno succhiando
la linfa vitale di quello che ho considerato uno dei
Paesi più belli del mondo baciato dalla grazia
divina di colui che lo costruì, e non parlo
naturalmente di quel merdoso di Garibaldi o del
piemontese massone!. Credo non vi siano altre
scelte; tra le tasse che hanno raggiunto livelli
spropositati e costi del vivere quotidiano
sopportabili solo da chi guadagna non meno di 3000
euro per il cittadino comune è rimasta solo
un'alternativa: RIBELLARSI!!! Ma chi di voi sarebbe
disposto a dare la VITA per la causa nella quale
crede?".
Chi vi
scrive ha sempre rispettato l'esercito jugoslavo,
quello con la stella rossa a cinque punte
sull'elmetto, perchè combatteva bene sul campo,
faccia a faccia, senza droni teleguidati a 15.000 km
di distanza. La stessa Jugoslavia era uno
straordinario esperimento di "comunismo elastico",
decisamente poco incline alle formule fossilizzate
sovietiche e proteso invece ad una forma organica
vitale. I guai economici non li aiutarono, tuttavia
il fatto che uno stato comunista terzomondista si
mantenesse in Europa, dava fastidio. Così ecco il
foraggiamento a pseudonazionalismi dichiaratamente
destrorsi, come in Croazia e Slovenia, che avevano
legami storici col nazi-fascismo uscito distrutto
dalla seconda guerra mondiale. Paradossale che un
intellettuale destrorso ,come MASSIMO FINI, abbia
posizioni decisamente più evolute del "comunista" DALEMA, che da presidente del consiglio, nel 1999,
tra LA MASSA DI STRONZATE DA LUI COMPIUTE SOTTO IL
SUO, PER FORTUNA,BREVE GOVERNO, COME REGALARE LE
FREQUENZE TELEVISIVE A MEDIASET IN CAMBIO DI UN
OBOLO ALLO STATO DELL'1% DEL FATTURATO SBATTENDOSENE
DEL CONFLITTO DI INTERESSI, DATO CHE IL CAPO
DELL'ALLORA OPPOSIZIONE ERA ED E' IL PADRONE
ASSOLUTO DI QUELLE TELEVISIONI, OPPURE COME REGALARE
A DEBITO LA TELECOM AI CAPITANI CORAGGIOSI GUIDATI
DA COLANINNO, CHE POI INTASCARONO UNA PODEROSA
PLUSVALENZA DALLA SUCCESSIVA VENDITA A TRONCHETTI
PROVERA, LASCIANDOGLI COLOSSALI DEBITI ED IL COLPO
DI GRAZIA FINALE AD UNA AZIENDA OGGI RIDOTTA
ALL'OSSO, AUTORIZZO' L'UTILIZZO DELLE BASI AMERICANE
DI AVIANO PER TEMPESTARE DI BOMBE ALL'URANIO
IMPOVERITO LA SERBIA che allora si chiamava
Jugoslavia.
Nel
1997, ad un anno dalla conclusione di combattimenti
in Bosnia,nella più pura
illegalità le forze della Nato stavano chiudendo il
cerchio intorno a Radovan Karadzcic,
l’ex leader dei serbi di Bosnia, per portarlo
davanti alla Corte internazionale delI’ Aja nelle
vesti di criminale di guerra. Com’è costume
gli occidentali si servono del solito Quisling che
nella fattispecie è interpretato da Biljana Plavsic,
presidente della Repubblica dei serbi di Bosnia. La Plavsic, un fantoccio in mano agli
americani, è stata sfiduciata dal proprio
Parlamento? Poco importa: la signora ha sciolto il
Parlamento. La Corte Costituzionale ha dichiarato
illegittimo lo scioglimento? Ecchisenefrega della
Corte Costituzionale: la signora Plavsic continua a
fare il presidente.
Così le forze della Nato hanno circondato a Banja
Luka cinque edifici dove ci sono importanti
insediamenti della polizia locale e, per usare
l’eufemistica formula del Corriere della Sera,
«hanno «agevolato» l’uscita dai commissariati dei
poliziotti serbo-bosniaci nemici della Plavsic,
disarmati e sconfitti» (Corriere 21/8). Questa
operazione totalmente illegale è stata giustificata
dal vice-comandante della polizia Nato, Werner Schum,
col fatto che «l’arsenale ammassato nelle sedi della
polizia indica che forse i «falchi» stavano per
preparare un atto di forza contro la Plavsic». Come
se fosse un ‘inquietante stranezza che nella sede
centrale della polizia, nella scuola di polizia e in
tre commissariati si trovino delle armi. In realtà l’atto di forza è servito
alla signora Plavsic per nominare i nuovi vertici
delle forze dell’ordine. Ma il ministero
dell’Interno della Repubblica serba di Bosnia ha
fatto notare che, «la Plavsic non ha la facoltà di
destituire o nominare quadri delle forze
dell’ordine». Ma anche questo non importa, ciò che
conta è mettere le mani, in un modo o nell’altro,
sui «criminali di guerra» Radovan Karadric e Ratko
Mladic, considerati gli unici responsabili del
conflitto bosniaco.
Il che è una menzogna. I principali responsabili
stanno altrove. Come ricordava Aleksandr Solgenitsyn
in un mirabile articolo pubblicato dalla Repubblica
(21/8) «l’onorabile compagnia dei leader delle
principali potenze occidentali...sono stati loro a
mettere in moto l’estenuante guerra civile». Il
perché è presto detto.
Quando i Paesi
occidentali e il Vaticano riconobbero nel giro di 48
ore l’autoproclamazione d’indipendenza (sacrosanta,
s’intende) della Croazia e della Slovenia dalla
Jugoslavia sapevano benissimo che ciò avrebbe
immediatamente aperto il
problema Bosnia, anche perchè l'esercito jugoslavo
portava le sue offensive su VUKOVAR a nord, e sulla
SLAVONIA a sud dalla "piattaforma girevole" Bosnia,
il tutto allo scopo di chiudere in una tenaglia la
Croazia. La manovra non funzionò, ma l'esercito
jugoslavo era comunque forte e poteva mantenere
l'iniziativa partendo dalla Bosnia. Per la Croazia
spalleggiata da USA e Germania era un grosso
problema. Altresì una Bosnia multietnica, a guida
musulmana, aveva senso solo all’interno di una
Jugoslavia multietnica. I serbi di Bosnia chiesero
quindi a loro volta di proclamare la propria
indipendenza o di riunirsi alla Serbia. Ma la
comunità internazionale, manovrata dagli Stati Uniti
e dalla Germania, rifiutò ai serbi di Bosnia quella
autodeterminazione che avevano invece riconosciuto
ai croati e agli sloveni,
anche perchè come detto, militarmente la Bosnia
sarebbe divenuta un micidiale cuneo. E i serbi
scesero in guerra. In questa guerra, combattuta
dalle milizie ma appoggiata dalle popolazioni di
tutte e tre le etnie in lotta (serba, croata e
musulmana) si sono avuti, oltre che atti di valore,
anche delle atrocità inutili e odiose. Come in ogni
guerra. Ma queste atrocità sono state compiute da
tutte le forze in campo. Ricorda ancora Solgenitsyn:
«i cadaveri di civili fatti a pezzi scoperti in
Bosnia appartengono a tutti i campi». Ma davanti al
Tribunale dell’ Aja sono stati mandati quasi
esclusivamente serbi, qualche croato (tanto per
mantenere in piedi la finzione della neutralità) e
nessun musulmano (i musulmani di Bosnia non sono
integralisti e sono quindi molto graditi
all’Occidente). In particolare i serbi (un milione
dei quali era stato massacrato durante l’ultima
guerra mondiale dagli hitlerocroati) sono stati
accusati di aver praticato la pulizia etnica. Ma non
sono stati i soli. Anzi, se si va a ben guardare, la
più colossale «pulizia etnica», e anche la meno
giustificata, è stata fatta dai croati quando hanno
invaso la Krajina e ne hanno scacciato, in un sol
colpo, 200 mila serbi uccidendone a mucchi. Ma
nessuno pensa seriamente di portare il presidente
Tudjman davanti al Tribunale dell’ Aja. In
realtà quello che si sta mettendo in piedi alI’ Aja
è il classico processo dei vincitori ai vinti, sulla
scia di Norimberga. Precedente sciagurato perché fa
coincidere il diritto con la forza: la forza dei
vincitori. Nel caso slavo la cosa è particolarmente
iniqua perché erano stati i serbi a vincere sul
campo. Ma poi è intervenuto lo sceriffo americano
che ha voluto diversamente e ha deciso che tre etnie
che hanno ottime ragioni per odiarsi convivano in
uno Stato inesistente: la Bosnia Erzegovina.
Ma andare a mettere il dito negli ingranaggi della
guerra è sempre foriero di tempesta. Perche la
guerra ha una sua ecologia e una sua funzione:
risolvere un conflitto una volta per tutte. E i
morti e i lutti che una guerra provoca trovano
almeno una ragione nel raggiungimento di questo
obbiettivo. Invece aver voluto comprimere la guerra,
dandole un corso e uno sbocco diversi da quelli che
naturalmente aveva avuto, ha reso solo quel
conflitto latente, a covar minacciosamente sotto le
ceneri. E si può star certi che, come qualsiasi
artificiale compressione della natura, prima o poi
ritorna indietro come un boomerang, così prima o poi
quel conflitto riesploderà in maniera ancor più
devastante. Rendendo beffardamente inutile, invece
che fecondo, il sangue che è già stato versato.
13
ottobre 2010, Genova
Per capire
cos’è successo martedì sera a Genova
bisogna rifare un po’ di storia. Non del calcio.
Della politica.
Nei primi anni ’90, dopo la disgregazione della
Jugoslavia, si creò in
Kosovo, considerato da Belgrado “la
culla della Nazione serba” (un po’ come per noi
il Piemonte francofono), un forte indipendentismo albanese.
Negli ultimi decenni, per ragioni demografiche, in Kosovo si era formata una maggioranza albanese che
pretendeva la separazione da Belgrado. Dall’altra
parte lo Stato serbo voleva conservare una regione
che era sempre stata, storicamente e giuridicamente,
sua. Gli albanesi facevano guerriglia non
disdegnando l’uso del terrorismo, com’è inevitabile
in ogni lotta partigiana, la Serbia reagiva con le
maniere forti, con l’esercito, con la polizia, con
le milizie paramilitari di cui i giovani che hanno
impedito la partita Italia-Serbia sono gli eredi.
C’erano quindi due ragioni, entrambe valide, a
confronto: l’indipendentismo albanese e il
diritto di uno Stato all’integrità dei propri
confini, perché una terra non appartiene
solo a chi in quel momento ci vive e ci abita ma
anche alle generazioni che vi hanno vissuto, abitato
e lavorato nel passato. Era quindi una questione che
serbi e albanesi avrebbero dovuto risolvere fra di
loro, secondo i reali rapporti di forza, o al
massimo con l’intermediazione diplomatica dell’Onu.
Ma gli Stati Uniti, che
foraggiavano la guerriglia, decisero che le ragioni
stavano solo dalla parte degli indipendentisti. Per
tre mesi si misero a bombardare una grande capitale
europea come Belgrado, facendo 5500 morti,per
non parlare di tutta la dorsale industriale serba
lungo la vallata del Danubio disintegrata dalle
tonnellate di uranio impoverito sganciato,
finché la Serbia dovette arrendersi. Il tutto con
l’appoggio degli europei e con l’Italia di
D’Alema nella poco onorevole posizione del
“palo” (i bombardieri partivano da
Aviano).
Era una guerra ingiusta, non
autorizzata dall’Onu (ma si sa che ci si richiama
all’Onu quando serve, come in Afghanistan,
quando non serve la si ignora). Era una guerra
contro l’Europa e particolarmente “cogliona”
per l’Italia come dissi al presidente D’Alema a
Ballarò senza che lui osasse replicare. Noi non
abbiamo mai avuto contenziosi con la Serbia, caso
mai con la Croazia che per decenni ha vessato i
nostri profughi in Istria. Anzi con
la Serbia avevamo storicamente degli ottimi
rapporti. Ma ci sono anche ragioni più attuali. Il
“gendarme Milosevic”, con alle spalle una Serbia
forte, checché se ne sia detto e scritto in
contrario, era un fattore di stabilità dei Balcani.
Ora in Kosovo (dove c’è, guarda caso, la più grande
base militare Usa), in Montenegro, in Macedonia, in
Albania sono concresciute grandi
organizzazioni criminali che vanno a
concludere i loro sporchi affari nel Paese vicino
più ricco, cioè l’Italia. Come se non bastasse ai
serbi è stata inflitta l’ulteriore umiliazione di
portare Slobodan Milosevic, che non
era un dittatore ma un autocrate (a Belgrado
esisteva un’opposizione che faceva opposizione più
di quanto la si faccia, oggi, in Italia) davanti al
Tribunale internazionale dell’Aja
come “criminale di guerra“. Il processo
iniziò con gran clamore ma a poco a poco non se ne
parlò più perché Milosevic, uno dei protagonisti
della pace di Bosnia quale firmatario degli accordi
di Dayton, aveva troppe buone carte nelle sue mani.
Poi è provvidenzialmente morto d’infarto. Dico,
incidentalmente, che aver avallato da parte della
cosiddetta Comunità internazionale l’indipendenza
del Kosovo è un insidioso precedente per tutti.
Poniamo che fra 50 anni in Piemonte
ci sia una maggioranza di cittadini musulmani che
reclamino l’indipendenza di quella regione
dall’Italia. Cosa potremmo rispondergli?
Comunque sia i duemila serbi che sono calati martedì
sera a Genova non c’entrano nulla con un
discorso sportivo, hanno usato un
avvenimento sportivo, come è accaduto altre volte,
per manifestare la loro umiliazione, la loro
frustrazione, la loro rabbia per i soprusi che la
Serbia ha dovuto subire negli ultimi vent’anni. Io –
e non solo io – ero sentimentalmente con loro.
di Massimo Fini
Se fossi ancora pm accuserei
Napolitano':DI PIETRO MANDA
AFFANCULO BERSANI!!! L'IDV ESCE
DAL CENTRO-SINISTRATI MENTALI. NEL
FRATTEMPO NON
ACCENNA A SCENDERE LO SPREAD: ANCORA
QUOTA 511 !! I TEDESCHI NON VOGLIONO
I MAFIOSI BERLUSCO
BERSANIANI AL
GOVERNO !!!
Draghi ha messo fine alle fregole da
licealicon
un discorso semplice e chiaro: la
Bce intima ai governi di approvare
le riforme strutturali di cui si
parla da anni,
Non solo, ma l’acquisto di titoli
sovrani avverrà eventualmente solo
dopo che i governi in difficoltà
invierannoformale
richiesta di sostegno all’EFSF o all’ESM(sempre
che a quest’ultimo venga dato il via
libera dalla Corte Costituzionale
tedesca) e si impegneranno in un
memorandum ad un preciso scadenzario
di riforme e di interventi di finanza
pubblica sotto la tutela della Bce e
dell’Ue.
Insomma una sconfessione su tutta la
linea di chi vorrebbe cheBce
togliesse le castagne dal fuoco ai
governi incapaci(ai
loro elettori e alle loro clientele,
OVVERO LA MERDA MAFIOSA
FORZAITALIOTAPIDIOSSINA E LA MERDA
ISPANICA MODELLO LASCASAS).
Ilgoverno
tedescoma
soprattutto l’opinione pubblica e
l’elettorato tedesco (incluso quello
di sinistra) non hanno alcuna
intenzione di farsi trascinare nelle
follie fiscali mediterranee,
soprattutto dopo l’aiuto fornito a
piene mani alla Grecia, senza che i
governi facessero alcunché di serio
per meritarlo. Quindi dopo aver ceduto
di fronte aisalvataggi
di Irlanda e Portogalloe
aver progressivamente accettato di
aumentare le dotazioni dei fondi salva
stati e salva banche, hanno deciso a
dicembre 2011 che suSpagna
ed Italiasi
doveva cambiare registro non fosse
altro perché non ci sono i soldi per
tenere a galla due zavorre di tal
calibro. A Berlino sannoche
se i cordoni della borsa si
allentassero, un minuto doporitornerebbero
a spadroneggiare Berlusconi ed i suoida
soli o in combutta con Bersani o
Casini (con l’aggiunta di Vendola) a
seconda delle convenienze. Quindi la
strategia prevede che la pressione sui
governi italiani e spagnoli (il
purgatorio luterano) venga
mantenuta finché non si spezza
l’architrave del consenso che ruota
intorno a quella che noi chiamiamo
casta e a Berlino considerano alla
stregua di una delle tante mafie
attive in Italia. In questa difficile
partita tuttavia c’è il rischio che
per un qualche motivo imprevedibile,
si generi uno shock che possa far
saltare l’euro. Questo per Berlino
sarebbe un disastro sia per le
ripercussioni economiche, ma
soprattutto per il capitale politico e
gli impegni che sono stati profusi in
60 anni per creare un’Europa che
avesse un qualchepeso
mondiale.
Pertanto in caso di emergenza seria è
gia’ deciso che la Bce userà davvero
il bazooka (per meglio dire una rete
di protezione) ricorrendo a tutte le
misure ordinarie e straordinarie per
evitare il collasso trumatico di un
paese. Questo ha inteso dire Draghi a
Londra senza che a Roma e altrove
capissero. La Bundesbank recalcitra un
po’ perché sente di dover recitare la
parte in commedia, un po’ perché vuole
che i contorni delle situazioni di
emergenza siano precisamente delineati
e il tipo di interventi stabilito in
anticipo. In altri termini, Weidemann
vuole evitare che con la scusa
dell’emergenza qualcuno si appresti a
inscenare il
furbetto del Quirinalino.
En passant, su questa linea c’è
l’accordo pieno diHollande,
il quale passate le elezioni ha
ripreso esattamentelo
stesso ruolo di Sarkozy a parte un po’
di belletto post elettoralesu
qualche misura marginale. Avete più
sentito parlare di misura per la
crescita?Udite
forse il suono magico della parola
eurobond? In
sostanza, Draghi, in piena sintonia
con i paesi euroforti, ha ribadito che
per il momento il bazooka non ha colpi
in canna e la Bce al massimo comprerà
titoli pubblici per non far
precipitare le situazione. Ma con
calma. Forse fra qualche settimana,
dopo che si saranno discusse le linee
guida (campa cavallo). Monti dal canto
suo invece di andare in giro per
l’Europa, dovrebbe prepararsi pergli
esami di riparazioneimparando
a far di conto senza troppi Grilli per
la testa.
Piazza Affari sprofonda e cede il
4,4%
Spread a quota 500 punti, Btp oltre
6%
Gli investitori temono il rischio
contagio all'interno della zona euro
soprattutto dopo l'allarme arrivato
ieri da Madrid: "Abbiamo finito i
soldi". Oggi il via libera agli
aiuti da 100 miliardi. Debole la
moneta unica
MILANO-
Seduta pesante per le Borse europee,
e in particolar modo per quelle
mediterranee, che accelerano al
ribasso dopo il via libera dell'Eurogruppo1al
prestito da 100 miliardi di euro per
le banche le spagnole. La situazione
però non è ancora fluida,
soprattutto dopo che il governo di
Madrid ha ammesso di non avere più"soldi
per pagare i servizi"2spiegando
che senza l'intervento della Bce la
Spagna sarebbe fallita. "Per il
mercato la situazione continuerà a
essere di cambiamento", spiega a
Bloomberg Tv Steven Sun, equity
strategist di Hsbc: "Le banche
centrali stanno allentando la
politica monetaria per abbassare la
volatilità dei mercati finanziari ed
evitare la crescita del rischio".
A Milano Piazza
Affari sprofonda e perde il 4,38%
trainata in rosso dalla banche (Bper
e Mps -9%). A scatenare le vendite
le parole del presidente del
Consiglio,Mario
Monti3,
secondo cui è in corso il contagio
all'interno dell'Eurozona. Londra
arretra dell'1,09%, Francoforte
dell'1,9%, Parigi cede il 2,14%,
mentre Madrid precipita del 5,79%.
Chiude in territorio positivo Wall
Street: il Dow Jones perdelo
0,92% a 12.824,84 punti, il Nasdaq
cede l'1,37% a 2.925,30 punti mentre
lo S&P 500 lascia sul terreno lo
0,98% a 1.362,97 punti.
Sul fronte
obbligazionario torna di nuovo sopra
i 500 punti base lo spread, il
differenziale tra i titoli di Stato
italiani e tedeschi con i Btp che
sono scambiati al 6,13% sul mercato
secondario contro l'1,16% del bund.
Lo spread calcolato sui Bonos
spagnoli vola al nuovo record
storico di 602 punti, oltre 100
punti sopra il differenziale
italiano, con il tasso al 7,18%,
sopra la soglia d'allarme che ha
costretto altri paesi a chiedere un
piano di salvataggio. Euro al nuovo
minimo da due anni sotto quota
1,2150 dollari. La moneta unica, in
linea col peggioramento dei mercati
azionari, è arretrata fino a toccare
un minimo a 1,2144 dollari prima di
chiudere a 1,2173.
Sul fronte
macroeconomico, i prezzi alla
produzione in Germania nel mese di
giugno hanno rallentato fortemente
raggiungendo il tasso di crescita
annuale più basso in oltre due anni,
sopratutto per il forte calo dei
prezzi energetici. Secondo i dati
resi noti dall'ufficio federale di
statistica (Destatis), i prezzi alla
produzione in giugno sono scesi
dello 0,4% su base mensile portando
il tasso di crescita annuale
all'1,6%, il più basso dal maggio
2010. Il dato è inferiore alle stime
degli analisti, che si aspettavano
un -0,2% su mese e un +1,8% su anno.
In maggio i prezzi erano scesi dello
0,3% su mese e saliti del 2,1% su
anno.
Deboli, in mattinata,
le Borse di Asia e Pacifico sui
timori che la crisi dell'Eurozona
non abbia termine nel breve e che ci
possa essere un effetto domino tra i
Paesi del Vecchio Continente,
nonostante le misure di stimolo
messe in atto per rivitalizzare
l'economia. Sul fronte asiatico
l'indice d'area Msci viaggia a
ridosso della parità con Tokyo che
lascia sul terreno quasi un punto e
mezzo. Sul Nikkei pesano le vendite
di Nec (-3,8%) con Moody's che ha
tagliato l'outlook da stabile a
negativo, Nomura (-3,7%), Olympus
(-3,6(%), Panasonic (-3,51%). Cali,
tra le singole Piazze, anche di Hong
Kong, Shanghai e Sidney.
Petrolio in calo a
New York, dove le quotazioni perdono
l'1,7% a 91,04 dollari al barile.
L'oro è in crescita dello 0,2% a
1.585,25 dollari sui mercati
asiatici.
Il
presidente della Repubblica, appena eletto, ribalta il verdetto della Corte
costituzionale egiziana che aveva annullato l'elezione di una parte dei
deputati. Il Parlamento resterà in carica fino al varo della nuova
Costituzione
Il
principale sfidante del candidato più votato,
Enrique Peña Nieto, non accetta la sconfitta
e, come già fece sei anni fa quando fu battuto
da Calderon, denuncia brogli. Intanto prima
manifestazione di piazza contro il
neopresidente
CINQUANTA
MILA MORTI IN MESSICO!!
NELLA COLONIA
MERIDIONALE DEGLI USA, LA GUERRA DEI
NARCOS HA PRODOTTO NEL SOLO 2012BEN
CINQUANTAMILA MORTI: GENTE
TORTURATA, DECAPITATA E FATTA A
PEZZI IN UNA SPIRALE DI VIOLENZA
INAUDITA SENZA TREGUA, ALIMENTATA
DAI CARTELLI DELLA DROGA E DALLE
INDUSTRIE DI ARMI TARGATE
STELLE E STRISCE
IIl “killer di Denver” vestito da
cattivo di Batman dopo aver
massacrato dodici persone (dodici e
non 12, perché il numero dei morti,
come scrive Erri De Luca, merita di
essere scritto per esteso, non sono
mele) si è guadagnato leprime
pagine dei giornalidi
tutto il mondo. Tutti parlano di
lui. È una tragedia, una barbarie,
un fatto sconvolgente.
Leggo di lui analisi psicologiche,
molti colleghi si inerpicano nel
difficile terreno della sociologia
senza avere gli strumenti per farlo.
E io sto qui in Messico e penso.
Vivo e lavoro in un paese in cui
qualche mese fa hanno trovato
quarantanove cadaveri decapitati
lungo una strada vicino aMonterrey,
la città più ricca del Messico e una
delle più ricche di America latina.
A settembre del 2011 hanno lasciato
per strada in pieno giorno
trentacinque corpi torturati, nudi,
incaprettati aVeracruz.
Ogni giorno aprendo il giornale sono
più le teste mozzate che gli annunci
pubblicitari.
Mi chiedo come mai fa notizia se un
mitomane prende un fucile e comincia
a sparare sulla folla aDenvere
non fa notizia che qui sono sei anni
che migliaia di persone vengono
fatte a pezzi e buttate qua e là,
torturate,fatte
sparire a migliaia, anzi a decine di
migliaia, e ciò non meriti
che una breve ogni tanto.
Dice, vabbè, ma sono gli Stati
Uniti, il Messico non è poi così
importante. Ma è un paese delG20,
ha 120 milioni di persone, qui si
producono le macchine della FIAT, un
sacco di 500 si producono.
Ma evidentemente i morti continuano
anon
essere tutti uguali.
Vivo in un paese che è diventato uno
scannatoio. Qui stragi come quella
di Denver sono una ragazzata. Qui se
non tagli teste e le appendi per
strada comepiñatasnon
sei nessuno.
Magari ci fa orroresolo
quello che percepiamo come più
prossimo a noi. E
sottovalutiamo il fatto che in un
paese in cui chiunque può andare al
supermercato e comprarsi un AK-47,
magari statisticamente qualcuno a un
certo punto lo userà.
Su History Channel c’è un programma
ambientato in un negozio di armi,
dove i commessi si sfidano per
vedere chi riesce a vendere più armi
da guerra dell’altro. Non è fiction.
È entertainment. Il negozio è vero,
i commessi pure, i clienti anche.
E qui in Messico le armi arrivano a
camionate dagli Stati Uniti manco
fossero arance. E succede che
vengano usate.
Non è una gara tra chi può vantare
più stragi, più decapitazioni o più
sequestri. È una riflessione su come
funzionano i nostri media, e come
viene confezionatal’informazione. Non trovo una risposta ma
penso che dovremmo leggere più a
fondo la realtà e ampliare il nostro
sguardo, prima che senza sapere come
né da dove, la “barbarie” ci
travolga.
Il primo capo dello Stato democraticamente eletto. Un boato nel luogo
simbolo della rivoluzione. Hamas applaude. Israele: "Rispettiamo l'esito del
voto". Il neo-presidente: "Terremo fede ai trattati". Ma apre subito a
Teheran. Congratulazioni di Obama
I militari di
Damasco: "I radar siriani hanno individuato verso le 11:40 di ieri un
obiettivo non identificato che è penetrato nello spazio aereo. La difesa
anti-aerea ha ricevuto quindi l’ordine di aprire il fuoco". Ankara non
esclude di coinvolgere la Nato
In coincidenza con
la Conferenza di Ginevra sulla
Siria, trapela da Damasco una
clamorosa indiscrezione. Il presidente
siriano Assad
potrebbe resistere più a lungo di quanto si
pensi – e per di più con il consenso tacito
degli occidentali ansiosi di assicurarsi
nuove vie del petrolio e del gas verso
l’Europa prima della caduta del
regime. Secondo una fonte vicina
al partito Baath, americani, russi ed
europei stanno negoziando un accordo che
consentirebbe ad Assad di rimanere alla
testa della Siria per altri due anni almeno
in cambio di concessioni politiche all’Iran
e all’Arabia Saudita sia in Libano che in
Iraq.
La
Russia, dal canto suo,
conserverebbe la base militare di Tartous in
Siria e un rapporto solido con qualunque
governo dovesse insediarsi a Damasco con il
sostegno dell’Iran e dell’Arabia Saudita. Il
recente ammorbidimento della posizione di
Mosca sulla Siria rientra nel quadro di una
nuova intesa in virtù della quale
l’Occidente potrebbe essere disposto a
tollerare la presidenza di Assad pur di
evitare una sanguinosa guerra civile.
Secondo fonti
siriane al momento l’esercito di Assad è
sottoposto ad una forte pressione da parte
dei ribelli che
annoverano forze islamiste e nazionaliste,
con battaglie che provocano diverse decine
di morti ogni giorno. Da quando la
rivolta ha avuto inizio, circa 17 mesi fa,
sarebbero stati assassinati o caduti in
azione almeno 6.000 soldati. Circola anche
voce che combattenti siriani vengano
addestrati da mercenari giordani in una base
utilizzata dalle autorità occidentali.
Le trattative
Russia-Usa hanno una importante conseguenza
politica: il riconoscimento da parte delle
due superpotenze dell’influenza dell’Iran
sull’Iraq e dei rapporti con gli alleati di
Hezbollah in Libano
mentre l’Arabia Saudita e il Qatar
verrebbero incoraggiati a garantire maggior
diritti ai musulmani sunniti in Libano e
Iraq. Bagdad, divenuta l’epicentro del
potere sciita nella regione, rappresenta da
tempo una preoccupazione per l’Arabia
Saudita che appoggia la minoranza sunnita in
Iraq.
Ma il vero
obiettivo dei colloqui riguarda l’intenzione
dell’Occidente di garantirsi la sicurezza
degli approvvigionamenti di petrolio e gas
dagli Stati del Golfo,
via Siria, senza dover dipendere da Mosca.
“La Russia potrebbe chiudere il rubinetto in
qualunque momento e questo le conferisce un
enorme potere politico”, dice una fonte che
desidera conservare l’anonimato. “Stiamo
parlando di due oleodotti diretti in Occidente: uno
proveniente dal Qatar e dall’Arabia Saudita
attraverso la Giordania e la Siria; un altro
proveniente dall’Iran attraverso l’Iraq
meridionale a prevalenza sciita e la Siria.
Entrambi sono destinati a raggiungere il
Mediterraneo e l’Europa. Per questo sono
disposti a lasciare Assad al suo posto per
altri due anni, se necessario”.
Naturalmente i
diplomatici che stanno portando avanti
questo negoziato
dovrebbe essere trattati con un pizzico di
scetticismo. Non facciamo che ascoltare
sfuriate dei leader occidentali contro il
regime siriano colpevole di torture e
massacri e poi veniamo a sapere che i
diplomatici occidentali sono disposti a
chiudere un occhio sull’altare della
realpolitik che in Medio Oriente significa
semplicemente petrolio
e gas.
In altre parole gli
europei sono disposti a tollerare la
presenza di Assad fino alla fine della
crisi. Gli Stati Uniti sono dello stesso
parere mentre anche la Russia si è convinta
che la stabilità è più importante di Assad.
È chiaro che Assad
avrebbe dovuto riformare profondamente il
paese alla morte di suo padre Hafez nel
2000. A quell’epoca l’economia siriana era
in condizioni assai migliori della Grecia di
oggi. Ma i moderati furono messi a tacere.
“Assad non ha più alcun controllo personale
su quanto avviene in Siria”, dice una gola
profonda del regime. “Il fatto è che non ha
alcuna voglia di viaggiare per il Paese e
parlare con la gente”.
Secondo molti
ufficiali dell’esercito siriano, Assad
continua a sperare in una “soluzione
all’algerina”. In Algeria, dopo
l’annullamento delle elezioni democratiche,
l’esercito negli anni ’90 scatenò una guerra
spietata contro i ribelli e i guerriglieri
islamisti ricorrendo alla tortura e ai
massacri e facendo oltre 200.000 vittime. La
guerra civile
algerina aveva molte cose in comune con
quella che si combatte oggi in Siria:
neonati con la gola tagliata, famiglie
massacrate da misteriosi “gruppi armati”
paramilitari, città intere bombardate dalle
forze governative.
Ma ciò che dà più
speranza ad Assad è il fatto che l’Occidente
non smise di sostenere il regime algerino
fornendo armi e appoggio politico pur
continuando a blaterare di diritti civili.
Le riserve petrolifere e di gas dell’Algeria
si rivelarono più importanti delle centinaia
di migliaia di civili morti.
I siriani dicono che
Jamil Hassan, comandante dei servizi segreti
dell’Aeronautica, è diventato l’uomo forte
del regime al posto di Maher, fratello di
Bashar, che comanda la Quarta Divisione
dell’esercito. Un interrogativo non ha
ancora avuto risposta: Assad è consapevole
della straordinaria importanza politica di
quanto sta accadendo in Siria? C’è chi ne
dubita.
E
QUINDI QUELLO CHE LUI VUOLE
NON CONTA ASSOLUTAMENTE UN
CAZZO !!!"
L'UOMO MERDA STA TORNANDO
Il maggiordomo Pdl sbava
sul ritorno del Padrone
Berlusconi. "Genuflessia
assoluta prima
dell'ambizione". E scarica
immediatamente la maitresse
lombarda del Bunga Bunga,
oggi un lontano ricordo da
cancellare anche nella mente
degli italioti, cosa molto
facile, che però resiste.
Nel partito c'è aria di diaspora.
Gli ex An avvertono: se
torna Forza Italia, andiamo
via
CON IL PARTITO DEI
DEFICENTI SMANDRAPPATO TRA IL
COMUNISMO FILOSOFEGGIANTE BASATO SUL
NULLA DI VENDOLA, L'EBETINO RENZI E
GLI UOMINI CHE C'ENTRANO IN UN
GABINETTO, ASSUEFATTOSI A RATIFICARE
SEMPLICEMENTE LE LEGGI DEVASTANTI DEL
GOVERNO TECNICO, CHE IN 9 MESI HA
CANCELLATO PENSIONI ED ARTICOLO 18 COL
VOTO DEI PARTITI "RESPONSABILI" E
MAI E POI MAI E' ANDATO ADDOSSO A
PRIVILEGI, ENTIZZAZIONE DELLO
STATO,SPRECO, SUSSISTENZA FINANZIARIA
A TUTTI I VARI CLUB ITALIOTI,SEMPRE
GRAZIE ALLA COALIZIONE DEI "PARTITI
RESPONSABILI", L'UOMO
MERDA STA FIUTANDO LA CRONICA
DIMENTICANZA ITALIOTA
MENTRE LA
NAZIONALE E MONTI RIESCONO A SPOSTARE
IN LA' LA REDDE RATIONEM DI UNA
NAZIONE CHE CONTINUA AD AVERE 2000
MILIARDI DI EURO DI DEBITI ED UN PESO
SUL PIL DEL 120%. TRA I
REFERENDUM DEL 2011 SUL LEGITTIMO
IMPEDIMENTO, IL NUCLEARE E L'ACQUA
PUBBLICA, E LE AMMINISTRATIVE DEL
2012, IL PARTITO DELLE TROIATE
IN LIBERTA' SI E' RIPIEGATO SUL 15%.
ORA IL SUO SCOPO E' BALCANIZZARE
AL MASSIMO IL PARLAMENTO IMPASTANDO LA
RIFORMA DELLA GIUSTIZIA E QUELLO DELLA
PUBBLICA INFORMAZIONE AD UN SUO
USO SPECIFICO: OVVERO DISINFORMARE E
BLOCCARE I SUOI PROCESSI
(NASTRO FASSINO-CONSORTE,
CONCUSSIONE-PROSTITUZIONE MINORILE
RUBY SU TUTTI, I RESTANTI FINIRANNO IN
PRESCRIZIONE (FRODE FISCALE MEDIASET).
LO FARA' CON DEI PAGHERO'
POLITICI, VISTO CHE LE FINANZE VERE E
PROPRIE SCARSEGGIANO ANCHE PER L'UOMO
MERDA:
MEDIASET -60%, -75% DI UTILI PER
MEDIOLANUM, 7 MILIONI DI EURO DI
CONSOLIDATO CONTRO I 160 DEL 2010 PER
FININVEST. UNA WATERLOO ECONOMICA
CLAMOROSA NASCOSTA ENTRO IL RECINTO DI
UN PAESE SPAPPOLATO TRA
FORTILIZI RICCHISSIMI CHE SI MESCOLANO
IN UNA PRATERIA CHE SI STA
TRASFORMANDO, LENTAMENTE MA
PROGRESSIVAMENTE, IN SAVANA A CAUSA
DELLA PROGRESSIVA SCARSITA' DI
"ACQUA". IL TEMPO A DISPOSIZIONE
GLIELO HA DATO, COME NEL
NOVEMBRE 2010 DI FRONTE AL VOTO DI
SFIDUCIA CHIESTO DA FINI, LA MUMMIA
EGIZIA DEL QUIRINALE: NIENTE ELEZIONI
POLITICHE IN AUTUNNO. SI STA
INVENTANDO TUTTA QUELLA MERDA DI
SIMBOLI TARGATI MARKETING SOCIALE DA
AFFIANCARE AL SUO PREDELLINO IN VIA DI
DECOMPOSIZIONE DA PUNTELLARE CON UNA BELLA E NUOVA LEGGE ELETTORALE
PROPORZIONALE CHE VADA A
FAVORIRE LE LISTE PIU' PICCOLE IN MODO
DA AMMORTIZZARE UNO SCONFITTA
ROVINOSA: CON MARONI A CAPO
DELLA LEGA DELL'EX ALLEATO BOSSI E CON
CASINI CHE HA LANCIATO L'ALLEANZA CON
"OH, RAGASSI ,SIAMO PASSI !!!",
L'UOMO
MERDA E' RIMASTO ISOLATO: SE SI
VOTASSE CON IL PORCELLUM ALL'ARMATA
DEL MERDA RIMARREBBERO GLI STRAPUNTINI.
QUINDI "IL CAZZONE IN CAPO" CHE SI
CANDIDA AL MINISTERO DEL TESORO IN
"TEAM" COL SUO SEGRETARIO DI CUI E'
PRESIDENTE IN UN GOVERNO NEL QUALE
SAREBBE IL PRESIDENTE DEL
PRESIDENTE....AL COMANDO DEL CONCORDIA
AFFONDATO SUGLI SCOGLI.
LA SUA
MARA CARCAGNA AVEVA VENTILATO LE
PRIMARIE PER SANCIRE ANGELINO JOLIE
CANDIDATO PREMIER: ORA INVECE SI
FARANNO LE "SECONDARIE" UNA VOLTA
CONSTATATO CHE SENZA IL MERDA NON VA
DA NESSUNA PARTE. IL MERDA HA
DATO IL SUO IMPRIMATUR: LISTA
RIVOLUZIONE CON SGARBI(!!!), LISTA DEL
FARE(CON BERTOLASO DETTO SALARIA SPORT VILLAGE), LISTA DELL'APPARIRE( TARGATA
SATANCHE'), LISTA FILO MERIDIOS, LISTA
PARA-LEGA-GNOSTA, MA E' SEMPRE FORZA
ITALONIA L'ETERNO RITORNO MAFIO
DELLUTRIANO A RIDESTARE
L'ENCEFALOGRAMMA OBLIQUO DELL'UOMO
MERDA!!
Recuperati
affetti della ragazza moldava nella cabina del
comandante. Intanto la Francia apre un'indagine
preliminare sul disastro della Concordia
Cermortan seguita
da Schettino in plancia
Alcuni oggetti
personali della 25enne moldava, Domnica Cemortan,
sono stati trovati dai sub nella cabina del
comandante della Costa Concordia Francesco
Schettino. È Proprio a proposito di questi
oggetti gli inquirenti ieri hanno chiesto
spiegazioni nel corso dell'interrogatorio che è
andanto avanti per sei ore, in una caserma di
Marina di Grosseto. Domnica Cemortan, ai pm
Navarro e Pizza, che l'avevano sentita come
persona informata sui fatti, ha confermato di
essere stata in plancia di comando la sera del
13 gennaio, quando avvenne l'urto con lo scoglio
nei pressi dell'Isola del Giglio.
La donna, con l'aiuto di una interprete, ha
ricostruito su richiesta della procura, tutto
ciò che ha visto e sentito quella sera. Grazie
alle sua dichiarazioni ora gli investigatori
pensano di poter aggiungere nuovi particolari.
La donna ha, infine, ribadito di essere
imbarcata regolarmente con biglietto per questo
gli investigatori le hanno chiesto di spiegare
perché alcuni suoi effetti personali erano stati
trovati nella cabina del comandante. La ragazza
ha ammesso la sua vicinanza al comandante
Schettino difendendolo come "eroe" per la
manovra che ha permesso alla nave di arenarsi
sugli scogli molto vicino alla riva subito dopo
l'impatto.
La procura ha intenzione a breve di sentire la
donna, identificata come avvocato, che la
mattina del 14 aveva incontrato il comandante
Scettino all'Hotel Bahamas dell'Isola del
Giglio. Il comandante aveva con sè alcuni
oggetti prelevati dalla nave e fra questi, in un
sacchetto rosso un computer.
Indagine Francia. La procura di
Parigi ha annunciato l'apertura di un'indagine
preliminare sul naufragio della Costa Concordia,
e ha chiesto alla gendarmeria marittima di
interrogare "l'insieme dei passeggeri francesi
sopravvissuti" per determinare circostanze del
naufragio e gestione dei soccorsi.
Oltre all'ex dg della Juventus sono stati
condannati in primo grado gli ex designatori
Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto. il pm
Stefano Capuano: "Non è stato un processo
farsa" 8/11/11
di Dario
Pelizzari
Il 25 luglio
2012 un camion si scontra
frontalmente con una Land Cruiser che si
dirige verso
Otijwarongo
in Namibia. I tre occupanti dell'auto muoiono
sul colpo, tra loro c'è il giudice Michele
Barillaro. Il conducente del camion si salva.
Qualche settimana prima, il 9 luglio, il
ministero dell'Interno aveva tolto la
scorta a Barillaro, gip presso il
tribunale di Firenze. In seguito, il 16
luglio, Barillaro aveva ricevuto delle minacce
contenute in una lettera recapitata all'Adnkronos.
Una lettera non firmata e non rivendicata,
scritta in rosso: "Compagni!!!! BARILLARO
senza SCORTA Senza PIU' celerini che lo
guardano come un bambino idiota: CHE REGALO!!
Grazie ai neri burocrati suoi degni compari
che l'hanno giustiziato con le loro mani!!
Ladro di stato era ora! Fascista e impunito!!
Gli scrivani del popolo diventano giustizieri
della storia I Compagni lo manderanno a far
compagnia a un altro fascista vent'anni dopo
via d'amelio BARILLARO è il nostro regalo di
compleanno". A chi gli chiese se aveva
paura delle minacce, Barillaro rispose con un
sorriso.
Chi era Barillaro? E' stato consigliere
applicato alla Corte d'Assise d'Appello di
Caltanisetta dove ha redatto la sentenza nel
processo Borsellino ter sulla
strage di via D'Amelio e la sentenza nel
processo a Totò Riina e altri per
l'attentato all'Addaura contro
Giovanni Falcone. Per la sua attività gli fu
assegnato il premio internazionale "Rosario
Livatino". Su Borsellino disse "Ora
tutti lo osannano, ma a quei tempi era stato
lasciato solo". A Firenze, Barillaro si
era occupato del pericolo degli anarco
insurrezionalisti, ma soprattutto delle
infiltrazioni mafiose e delle loro relazioni
con l'enorme riciclaggio verso la Cina,
che denunciò pubblicamente. L'11 luglio la
Guardia di Finanza eseguì 111 perquisizioni
sequestrando 47 milioni di euro in
un'operazione sul trasferimento di soldi
dall'Italia alla Cina.
L'operazione,
firmata da Barillaro, era la terza del genere.
Per il flusso di denaro illegale, in totale,
sono stati scoperti 4,5 miliardi di
euro, 24 persone arrestate e 581
denunciate. Numeri pazzeschi per un giudice a
cui era stata tolta la scorta. Il 25 luglio,
lo stesso giorno della morte di Barillaro,
Ingroia veniva ufficialmente
trasferito in Guatemala, il giorno successivo
moriva Loris D'Ambrosio di
infarto fulminante senza che ne fosse disposta
l'autopsia. Spariva così il custode delle
suppliche di Mancino, imputato al processo di
Palermo per i collegamenti mafia - Stato.
Ingroia si guardi dai camion. Ci vediamo in
Parlamento. Sarà un piacere.
Motori fermi. Ducati in vendita
Sarà straniera (colosso indiano),altro pezzo d'Italia che
viene colonizzato (dopo Parmalat
(sotto la francese Lactails), Edison
(sotto il colosso energetico francese EDF), Fiat (sotto la statunitense Crysler),
Bulgari (sotto la francese
Lyhm-Arnaud), Alitalia (SOTTO Air
France), UNICREDIT (sotto scalata
dagli arabi di Abu Dhabi), Ferretti
(ad un colosso cinese)....)
Andrea Bonomi ha dato l'annuncio al Financial
Times: il prezzo è un miliardo di euro.
Trattative già avviate con Bmw e l'indiana
Mahindra. Si tratta, dunque, di un altro pezzo
del nostro made in Italy che se ne
Finmeccanica crolla
E dopo Borgogni
rischia Guarguaglini:
il suo rischio è stata una
buonauscita da 5 MILIONI DI EURO
!!! DAL COINVOLGIMENTO DEI VERTICI
DI FINMECCANICA NELLA LOGGIA
MASSONICA P3 E NEL CASO
LAVITOLA-TARANTINI, CON LE OSCURE
COMMESSE PANAMENSI, ALLE COMMESSE
SIRIANE PRO REGIME DI ASSAD....
MILIARDI DI EURO ALLA
SUPER DIFESA
ITALIOTA
Nel 2009 il delirante
ministro della difesa La Russa
bruciava 350 milioni di euro,
all'indomani della tragedia de
L'Aquila, per sbattere in orbita il
SICRAL 1B COSMO -SKY MED, oggi, in
pieno governo Tecnico, abbiamo 12
MILIARDI DI EURO di spese per decine
di F-35 targati Star and Shit.
Dicono che non potevamo farne a
meno. Che per essere al passo con i
tempi e con le esigenze della guerra
aerea elettronica, l’Italia non
potesse rinunciare a due
Gulfstream 5, superjet che
sono come la Ferrari
dei cieli e che in proporzione
costano anche quanto una Ferrari:
750 milioni di dollari in totale,
compreso il supporto logistico
necessario. Una bella cifra,
soprattutto in momenti come questi
di magra e di quaresima militare.
Proprio in queste settimane il
governo sta decidendo di mandare a
casa migliaia di soldati, compresi
gli avieri dell’Aeronautica.
Il
ministro della Difesa,
Giampaolo Di Paola, ha
inoltre in programma altre spese
ingenti: l’acquisto, per oltre 12
miliardi di euro, di 90 esemplari di
F35 Lockheed Martin, gli aerei più
costosi della storia dell’aviazione,
un’operazione contestatissima, su
cui il Parlamento esita a dare il
suo assenso proprio per l’impegno
finanziario previsto. Infine pure
sui voli militari di Stato è
scattato un piano di risparmi
all’osso. Su indicazione del
presidente del Consiglio,
Mario Monti, è stato
ridotto al lumicino l’uso degli
aerei del 31esimo Stormo (3 Airbus,
5 Falcon e 2 elicotteri Agusta
Westland) per il trasporto degli
alti dignitari della Repubblica.
Rispetto a un anno fa, quando per i
ministri del governo di
Silvio Berlusconi volare
con i jet militari faceva status ed
era un passatempo in voga, ora solo
il presidente del Consiglio, quello
della Repubblica e i presidenti di
Camera e Senato possono usare senza
particolari restrizioni gli aerei
dell’Aeronautica. Tutti gli altri,
compresi i ministri, devono mettersi
in coda, presentare regolare domanda
al sottosegretario di Palazzo Chigi,
Antonio Catricalà,
comunicargli il motivo dello
spostamento, i dettagli della
trasferta e attendere l’ok o anche
l’eventuale diniego.
Il
nuovo regime ha colto in pieno lo
scopo: da novembre alla fine di
giugno i voli autorizzati sono stati
circa 200, a prima vista tanti, ma
molti, molti meno rispetto a prima,
con una riduzione di oltre il 37 per
cento e un risparmio di 5,2 milioni
di euro, secondo fonti governative.
La riduzione è stata così drastica
che ora c’è addirittura chi teme
possa risultare eccessiva e
controproducente rendendo necessario
un surplus di manutenzione per
evitare che l’inattività forzata
possa trasformare in fretta quei
velivoli in ferrivecchi. E c’è chi
prevede che per il basso numero di
ore volate, i 5 piloti e i 10 tra
tecnici ed assistenti del 31esimo
Stormo possano addirittura essere
costretti a fastidiose verifiche
periodiche con l’Enac, l’ente
nazionale dei voli, per mantenere
aggiornati i brevetti. In questo
clima austero, l’acquisto dei due
Gulfstream ha il sapore di una festa
per il giorno dei morti. Il
Gulfstream 5 è un executive, un
aereo decisamente di lusso, in
Italia finora in esercizio ce n’era
solo uno, usato da Alba, una
compagnia di aerotaxi per banchieri,
finanzieri e industriali di primo
livello. Porta al massimo 19
passeggeri, è in grado di traversare
l’Atlantico senza scali e in un
quindicennio nel mondo ne sono stati
prodotti appena 200 esemplari, 23
dei quali usati dai capi di Stato e
di governo. Opportunamente
attrezzato e dotato, può essere
impiegato anche per le contromisure
di guerra elettronica, per
disturbare le centrali nemiche e
proteggere le proprie, ed è proprio
a questo scopo che, secondo le fonti
ufficiali, i due Gulfstream
sarebbero stati acquistati
dall’Aeronautica italiana.
L’operazione avviata 16 mesi fa dal
sottosegretario alla Difesa,
Guido Crosetto del Pdl,
presenta aspetti inconsueti. Pur
essendo prodotti dalla statunitense
Grumman con il
contributo della Nasa,
i Gulfstream non sono stati forniti
dagli americani, ma dal governo
israeliano nell’ambito di una serie
di accordi al massimo livello
politico tra Italia e Israele.
Il
comunicato ufficiale emesso dal
ministero della Difesa italiano non
parla del prezzo d’acquisto dei
velivoli e nemmeno cita
esplicitamente i Gulfstream,
limitandosi a fornire qualche cenno
sui vantaggi che l’intesa
arrecherebbe al nostro paese, in
particolare alla sua industria
bellica, cioè la
Finmeccanica. Per reperire
le cifre relative ai Gulfstream (750
milioni di dollari) bisogna leggere
il comunicato di Israel
Aerospace Industries (Iai)
nel quale si dà conto anche della
fornitura di un satellite di
osservazione a Telespazio (182
milioni di dollari). In base a
questi accordi
Alenia-Aermacchi,
Telespazio, Selex
ed Elsag, tutte
aziende del gruppo Finmeccanica,
acquisiscono a loro volta contratti
con il governo israeliano per un
totale di 850 milioni di euro. In
particolare la Alenia-Aermacchi
fornirà 30 jet M346 per
l’addestramento avanzato dei piloti
israeliani.
Forse per la contemporanea tragedia
che ha colpito l’Abruzzo, forse per
un tardivo senso del pudore dei
nostri militari (con la crisi
economica, i 350 milioni di euro
investiti sono proprio tanti),
pochissimi italiani sono stati
informati che a 36.000 chilometri
dalla terra c’è adesso un secondo
satellite da guerra che sfoggia il
tricolore, testimonial delle
sciocche ambizioni di potenza
imperiale di qualche politico e
generale.
Il nuovo satellite del programma
“SICRAL” (Sistema Italiano per
Comunicazioni Riservate e Allarmi)
“amplierà le potenzialità di
comunicazione in base alle nuove
esigenze operative delle forze
terrestri, aeree e navali”, fa
sapere il Ministero della difesa.
“Il sistema – aggiunge - sarà in
grado di garantire l’interoperabilità
tra le reti della Difesa,
assicurando le comunicazioni
strategiche e tattiche sul
territorio nazionale e nelle
operazioni fuori area”. Il SICRAL 1B
assicurerà inoltre le trasmissioni
delle forze NATO in banda UHF
(ultra-high frequency) ed SHF (super
high frequency), in base ad un
Memorandum firmato nel 2004 da
Italia, Francia, Gran Bretagna e
Alleanza Atlantica. Se necessario,
il satellite supporterà “le
comunicazioni nella sicurezza
pubblica, nell’emergenza civile e
nella gestione e controllo delle
infrastrutture strategiche negli
interventi della Protezione Civile,
delle unità militari intervenute
nelle attività di disaster relief”,
quasi a volere riaffermare
simbolicamente che in tema di
terremoti e disastri vige la totale
subalternità del civile al militare.
La fase di lancio e posizionamento
orbitale del satellite è stata
coordinata dal Centro Spaziale del
Fucino in Abruzzo (megaimpianto di
Telespazio Spa con 90 antenne
disseminate in una superficie di
370.000 m2); successivamente il
controllo del satellite è stato
trasferito al Centro Interforze di
Gestione e Controllo SICRAL di Vigna
di Valle, frazione del comune di
Bracciano a pochi chilometri da
Roma. Vigna del Valle è uno dei
maggiori centri strategici del
sistema di guerra nazionale ed
alleato. L’installazione “top
secret” sorge all’interno di una
vecchia infrastruttura
dell’Aeronautica Militare, accanto
agli impianti del “ReSMA”, il
reparto AMI dedito alle
“Sperimentazioni Meteorologia”.
Dotata di avanzate e complesse
tecnologie elettroniche,
informatiche e telematiche, la
stazione interforze opera in
funzione del collegamento ed
integrazione tra un centinaio di
terminali terrestri, aerei e navali
che compongono la principale rete di
telecomunicazioni delle forze
armate, con diversi sistemi
satellitari. Tra essi c’è il SICRAL
1, l’altro satellite militare
italiano presente in orbita dal
febbraio del 2001, dopo un lancio
dal centro spaziale di Kourou, nella
Guyana francese. Meno costoso
(“solo” 300 milioni di euro) e meno
sofisticato del SICRAL 1B, il
satellite ha avuto un ruolo chiave
nelle operazioni delle forze armate
italiane in Iraq e Afghanistan, pur
evidenziando qualche “piccolo
problema” ai sensori di
stabilizzazione. Sino al prossimo
anno opererà congiuntamente al nuovo
arrivato; poi completerà il suo
ciclo vitale per trasformarsi in uno
dei tanti relitti ad altissimo
rischio ambientale che vagano dello
spazio. Andrà meglio – forse - con
il SICRAL 1B, progettato per avere
una vita operativa di 13 anni. Per
continuare a partecipare attivamente
e in autarchia alla spasmodica corsa
alle “Guerre Stellari”, i vertici
della Difesa puntano comunque allo
sviluppo e alla realizzazione di una
nuova generazione di satelliti, i
SICRAL 2, il primo dei quali
dovrebbe entrare in orbita per la
fine del 2012.
Si è dunque di fronte ad una
dispendiosissima ossessione spaziale
che l’entourage del ministro La
Russa giustifica profetizzando
incommensurabili ritorni di ordine
finanziario per l’economia italiana.
Con occhio più attento, si scopre
però che d’“italiano” nei sistemi di
telecomunicazione satellitare SICRAL
c’è poco, molto poco. Il SICRAL 1B è
stato realizzato attraverso una
“Public-Private Partnership” fra la
Difesa e la “Thales Alenia Space
Alliance”, un consorzio creato dal
colosso dell’industria bellica
francese Thales (67%) e da
Finmeccanica (33%). Una partnership
dove il “pubblico” (dicasteri alla
Difesa e allo Sviluppo economico)
assume più del 75% dei costi, circa
270 milioni di euro, mentre il
“privato” incamera gli eventuali
profitti. Con il SICRAL 1B, infatti,
Telespazio Spa, joint-venture in
mano a Finmeccanica e per un terzo
del capitale all’immancabile Thales,
potrà vendere circa un quarto della
capacità del satellite a clienti
istituzionali, quali la NATO, o ad
altre nazioni che hanno bisogno di
comunicazioni riservate (sino ad
oggi si sono fatte avanti Bulgaria,
Romania e Sud Africa).
“Thales Alenia Space” è ormai una
società leader in Europa nel settore
spaziale, delle telecomunicazioni e
dei sistemi radar e vanta ben 11
siti industriali in 4 paesi
(Francia, Italia, Spagna e Belgio).
È tuttavia nel paese transalpino che
sono state realizzate le componenti
d’eccellenza del SICRAL 1B. A Cannes
sono state fatte pure le prove
ambientali del sistema. All’Italia
(gli impianti di Torino e L’Aquila)
è toccato l’assemblaggio e le
operazioni integrative del
satellite. Era andata certamente
meglio con il satellite di prima
generazione. Il SICRAL 1 fu infatti
costruito dal consorzio “SITAB”:
Alenia Spazio (70%), Avio (20%) e
Telespazio (10%). Ancora a
Telespazio fu affidata la
realizzazione del Centro Interforze
di Gestione e Controllo di Vigna di
Valle.
Non c’è l’ombra di aziende italiane
nel sistema di lancio utilizzato per
il nuovo apparato militare. La base
mobile nell’Oceano Pacifico è
gestita infatti dalla “Sea Launch
Company”, società con sede a Los
Angeles, California, che ha pure
curato le operazioni e i test
pre-lancio del SICRAL 1. La “Sea
Launch Company” è una holding con
capitali statunitensi, russi ed
ucraini, costituita nel 1995 dai
colossi militari mondiali Boeing
Commercial Space Co., RKK Energiya,
Kvaerner Maritime AS ed NPO Yuzhnoye.
Di fabbricazione russo-ucraina il
vettore che ha portato in orbita il
satellite “italiano”, lo Zenit 3SL,
frutto di un programma industriale
che ha ricevuto ingenti
finanziamenti dalla Chase Manhattan
Bank (400 milioni di dollari), dalla
Banca Mondiale (175 milioni), dalla
Banca Europea per la Ricostruzione e
lo Sviluppo (65 milioni) e dai
governi di Russia (100 milioni) ed
Ucraina (75 milioni).
Il SICRAL non è l’unico oggetto dei
deliri stellari dei militari
italiani. C’è ad esempio pure il
programma Cosmo SkyMed (Constellation
of Small Satellites for
Mediterranean basin Observation),
avviato congiuntamente all’ASI,
l’Agenzia Spaziale Italiana, con il
lancio, nel biennio 2007-08, di tre
satelliti radar per l’osservazione
terrestre (il produttore, è ancora
una volta, Thales Alenia Space).
Rapporto super consolidato quello
tra la Difesa e l’agenzia spaziale.
“Le forze armate stanno consolidando
la loro dimensione spaziale con la
collaborazione dell’ASI realizzando
mezzi che possano assolvere sia alle
esigenze militari e
contemporaneamente a quelle civili e
alle emergenze ambientali”, ha
dichiarato recentemente l’onorevole
Marco Airaghi, responsabile del
settore spaziale al ministero della
Difesa.
Il 12 febbraio 2009, il capo di
stato maggiore delle forze armate,
generale Vincenzo Camporini, e il
commissario straordinario
dell’agenzia spaziale italiana,
Enrico Saggese (già vicepresidente
Finmeccanica ed ex amministratore
delegato di Telespazio), hanno
sottoscritto un nuovo accordo di
collaborazione nell’ambito del
programma di ricognizione
Cosmo-SkyMed di seconda generazione.
L’accordo prevede lo sviluppo, la
realizzazione e la messa in orbita
nel biennio 2014-2015 di “satelliti
duali radar SAR” destinati alle
forze armate di Italia, Belgio,
Francia, Germania, Grecia e Spagna.
L’ennesimo programma militare a cui
vengono destinati fondi in budget di
ministeri nati con ben altre
finalità.
L’ASI, nello
specifico, è un’agenzia che dipende
interamente dal Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e
della Ricerca, quello diretto da
Mariastella Gelmini.
L'ex manager Fininvest presenta una
proposta allettante per rilevare la
tv di Telecom con il Fondo
Clessidra. Indiscrezioni sul
coinvolgimento del giornalista, che
ammorbidirebbe l'impatto politico
dell'eventuale acquisizione
Negli scorsi giorni ho parlato della
necessità di una riforma dellalegge
Gasparri, sostenendo che
fino a che le sue norme non fossero
state superate in Italia si sarebbe
continuata a porre una ”questione
televisiva”. Qualcuno ha sorriso.
Dopo quest’ultima notizia dovrebbe
farlo un pò meno. In base
all’articolo 43 della legge Gasparri
Mediaset puó acquistare La7 in
quanto illimite
antitrustindicato
è che nessun soggetto puó avere
ricavi superiori al 20% del totale
del sistema integrato delle
comunicazioni (cd Sic). Mediaset
detiene nel calderone infinito del
Sic circa il 13% dei ricavi per cui
ben potrebbe in base alle vigenti
norme acquisire la televisione del
gruppo Telecom, che,visti
i suoi ricavi, poco inciderebbe
sull’incremento del 13%e
comunque in una misura largamente
inferiore alla soglia del 20%.
Questo dice la legge Gasparri e le quantificazioni
del Sic fatta dall’Autorità
per le garanzienelle comunicazioni (dati
indicati da Agcom nell’ultima
relazione al Parlamento).
Esiste poi un problema di
concentrazione limitativa della
concorrenza affidato alla vigilanza
dell’Autorità Antitrust. Ma visti i
precedenti non c’è da stare allegri.
Per l’Agcm come per l’Agcom non é
esistito in Italia un problema di
posizioni dominanti nel mercato
della televisione. Quanto al limite
contenuto nello stesso articolo 43
della Gasparri sulnumero
dei programmi irradiabili (non più
del 20% del totale), dopo le
interpretazioni di Agcom sul monte
complessivo dei canali,
praticamente è come se non ci
fosse. Neppure le abbondanti soglie
massime per laraccolta
pubblicitariasarebbero
ostative, giacchè nel Sic non si è
individuato tra i mercati che lo
compongono quello
pubblicitario (stavolta davvero
Sic!). Infine, ci sarebbe il limite
massimo dei cinque mux per ciascun
operatore. Ma c’è un dubbio mai
chiarito: questo limite riguarda i
soggetti che partecipano alla gara
per l’assegnazione delle ulteriori
frequenze (attualmente è scritto
nelle norme sul beauty contest)
ovvero è diventato un principio di
sistema?
Eletto il cda di Premafin
Paolo Ligresti si ribella a Ugf,ENTRATA
IN FONSAI
L'assemblea di Premafin ha eletto il
nuovo cda che sarà composto da 12
rappresentanti del socio di
maggioranza Unipol, nominando alla
presidenza Pierluigi Stefanini. Luigi
Reale sarà il 13esimo componente del
board quale rappresentante dei soci di
minoranza Canoe e Limbo, holding dei
Ligresti. Oltre a Stefanini, nel
consiglio siederanno in rappresentanza
del gruppo bolognese: Carlo Cimbri (ad
Unipol), Piero Collina, Roberto Giay,
Marco Pedroni, Ernesto Dalle Rive,
Milo Pacchioni, Claudio Levorato,
Vanes Galanti, Germana Ravaioli,
Rossana Zambelli e Silvia Cipollina.
L'assemblea ha anche approvato a
maggioranza l'esonero dal divieto di
concorrenza per gli amministratori
proposto da Unipol.
La Limbo, holding lussemburghese di
Paolo Ligresti, aveva dichiarato di
voler impugnare l'esito della
votazione per la nomina del cda di
Premafin se Ugf avesse partecipato al
voto. "Limbo ritiene che Ugf non possa
votare su candidati che sono anche
suoi amministratori e su quelli eletti
in conflitto di interesse. Se Ugf
partecipa, Limbo esprime ogni più
ampia riserva di impugnazione", ha
detto Paolo Ligresti prendendo la
parola all'inizio dell'assemblea. In
precedenza un rappresentante legale di
Unipol aveva proposto la mozione di
poter votare gli amministratori in
concorrenza.
"Prendo atto di tale eccezione
(sollevata da Limbo, ndr), ma non
rientra nei miei poteri di presidente
escludere il socio Unipol dal voto,
fermo restando il diritto di impugnare
la delibera ove sussista". Lo ha detto
la presidentedi
Premafin, Giulia Ligresti, alla
ripresa dell'assemblea della holding
per la nomina del nuovo cda,
rispondendo all'intervento del
fratello Paolo, cui fa capo Limbo,
dopo una pausa per una consultazione
con i legali. Limbo ha sollevato
l'eccezione di conflitto di interesse
sul voto in assemblea da parte di
Unipol in relazione all'articolo 2390
del codice civile che prevede il
divieto di assumere incarichi in
società in concorrenza. Limbo, la
holding lussemburghese di Paolo
Ligresti, è socia di Premafin con
l'1,974%.
"Sento la necessità di dire che verrà
fatto quanto necessario per il
rispetto degli impegni presi verso i
soci di minoranza per la liquidazione
delle loro quote, trattandosi di
impegni leciti, validi ed efficaci. Se
da questo deriverà da Ugf un'opa
obbligatoria è assolutamente
benvenuta". Lo ha detto Jonella
Ligresti, prendendo la parola
all'assemblea di Premafin chiamata a
eleggere il nuovo cda. L'accordo
siglato a gennaio tra i Ligresti e Ugf
prevedeva il diritto di recesso e la
manleva. A maggio Consob aveva
stabilito che tali indicazioni non
potevano figurare nell'accordo. La
famiglia Ligresti però evidentemente
non intende rinunciare a quanto era
stato stipulato in origine. In una
nota congiunta il 25 giugno Unipol e
Premafin avevano indicato che si
adeguavano alle indicazioni di Consob
in merito alla manleva, di cui
avrebbero beneficiato i Ligresti e al
diritto di recesso.
Fonsai-Ligresti, battaglia su
Mediobanca
la Consob in campo contro Bollorè
Un testo di 63 cartelle, più 23 pagine
di allegati, firmato dal presidente
Vegas è stato appena consegnato ai
magistrati. Si cerca di sciogliere il
nodo dell'Opa
di MASSIMO GIANNINI
CONSOB-Ligresti-5/8/2012. "Una brutta
pagina di storia per il capitalismo
italiano". Al piano nobile della sede
di Piazza Verdi della Consob (il
quinto, dove "alloggiano" il
presidente Giuseppe Vegas e l'intero
board della Commissione) si respira
un'aria pesante. Lo scandalo Ligresti
è molto più che "degradante", come lo
definiscono eufemisticamente i
garantisti a contratto della
scandaleide berlusconiana. È invece
potenzialmente devastante, per quel
poco che resta del Salotto Buono che
fu, ai tempi del Grande Vecchio Enrico
Cuccia.
La bancarotta dell'impero di Don
Salvatore, che attraversa gli ultimi
quattro anni della parabola declinista
dell'asfittica e autoreferenziale
finanza tricolore, sta travolgendo i
già precari equilibri della Galassia
del Nord. Chiama pesantemente in causa
Mediobanca (e di riflesso Generali e
tutti i "satelliti" del sistema) che è
ormai nel mirino delle indagini di
Vigilanza e delle inchieste
giudiziarie. Nasconde una guerra di
potere feroce, che si combatte dal
2009.
E che in un vortice di geometrie
variabili vede alternarsi, nel ruolo
di carnefici e vittime, i principali
protagonisti di un establishment ormai
compromesso: non solo Ligresti e i
suoi figli, ma anche Cesare Geronzi e
Vincent Bolloré, Alberto Nagel e
Renato Pagliaro, Giovanni Perissinotto
e Alessandro Profumo. Una partita
mortale, che si è giocata e si gioca
in due tempi diversi.
L'AFFARE GROUPAMA-FONSAI
Ilprimo
tempo della partita, sul quale stanno
indagando la magistratura e la
Vigilanza, si gioca tra la primavera
del 2009 e l'autunno del 2010. A
ricostruire quel match è la Consob,
nel documento riservato trasmesso la
settimana scorsa alla Procura della
Repubblica di Milano. Un testo di 63
cartelle, più 23 pagine di allegati,
firmato dal presidente Vegas, che
ricostruisce per filo e per segno i
passi compiuti in quell'anno dal
finanziere bretone Vincent Bolloré,
per "manipolare i corsi azionari" dei
titoli Premafin, la holding dei
Ligresti che ha in pancia Fonsai, e
per consentire l'ingresso massiccio
nel capitale dei francesi di Groupama.
L'atto d'accusa, sottoscritto da
Vegas, recita, a pagina 62:
"Sussistono elementi in base ai quali
è ragionevole concludere che Vincent
Bolloré abbia posto in essere una
manipolazione del mercato delle azioni
Premafin, nella forma di acquisti di
tali azioni effettuati tramite
Financiere de l'Odet SA e Financiere
du Perguet SAS nel periodo 22
settembre-22 ottobre 2010 con modalità
e in tempi idonei a produrre un
aumento del prezzo delle azioni
Premafin da 0,8 euro a livelli
prossimi a 1-1,1 euro, ottenendo
l'effetto di stabilizzarlo intorno a 1
euro, nell'ambito della preparazione
di un accordo tra Groupama e il gruppo
Ligresti che prevedeva, tra l'altro,
l'acquisizione da parte di Groupama di
una partecipazione in Premafin tramite
un aumento di capitale con emissione
di nuove azioni al prezzo di 1,1 euro.
Potrebbe essere, pertanto,
configurabile l'illecito di
manipolazione del mercato previsto
dall'articolo 185 del decreto
legislativo numero 58/1998".
La Consob documenta fino in fondo il
gran lavoro di Bolloré, per
raggiungere i suoi scopi. "Dal 2009
- si legge nel documento - il
gruppo Ligresti ha manifestato
difficoltà economiche, con connesse
tensioni finanziarie, aggravatesi nel
2010". Nella sostanza, il crac della
famiglia comincia lì, e il finanziere
bretone ne approfitta per entrare in
campo.
Comincia a rastrellare azioni Premafin,
e intanto prepara il terreno per
l'operazione con Groupama. Una rete
fitta di incontri serve allo scopo.
"Il 23 giugno 2010 ha incontrato Jean
Azema, discutendo con lui della
situazione finanziaria di Premafin e
Fondiaria-Sai". "Il 25 giugno ha
incontrato Jonella Ligresti... Cinque
giorni più tardi, il 30 giugno 2010,
presso la sede di Unicredit, socio
rilevante di Mediobanca e finanziatore
di Sinergia e Premafin, ha incontrato
Alessandro Profumo, al quale ha
presentato un documento" nel quale si
delineava già l'operazione Groupama.
In autunno un'altra girandola di
incontri, il 14, il 19 e il 20
ottobre, di nuovo con Azema, con
Profumo, poi a Parigi con la famiglia
Ligresti al gran completo. Il tutto,
per mettere a punto il piano che, come
spiega il documento Consob, gli
avrebbe permesso di "affiancare
Groupama, quale partner con un
rapporto privilegiato, in
un'operazione che consentiva a
Groupama di costituire una forte
posizione in funzione
dell'acquisizione in futuro del
controllo di Premafin e,
conseguentemente, di Fondiaria-Sai".
Ma perché era importante questa
acquisizione, per Bolloré e per i
francesi? Questo la Consob non lo
dice, ma la risposta è sempre la
solita: entrare nel business
traballante dei Ligresti è il
passpartout per accedere al Tempio
della finanza italiana, cioè la nota
filiera
Mediobanca-Generali-Unicredit-RCS-Telecom.
In quel Risiko il finanziere bretone
non gioca in proprio: c'è un sistema
che, in quel momento, lavora per lui,
e lui lavora per quel sistema.
Ligresti vuole farlo entrare, è
Ligresti vuol dire Silvio Berlusconi,
in quella fase presidente del
Consiglio. Geronzi è suo amico da
sempre, e in quel momento è presidente
di Mediobanca.
Questa ragnatela che mescola politica
e finanza ha interesse a rafforzarsi e
crescere sempre di più nella Galassia.
Le autorità di controllo, in quel
momento, lasciano fare. Alla Consob in
quel periodo c'è Lamberto Cardia, gran
ciambellano della corte di Gianni
Letta (Vegas arriverà solo nel
novembre 2010). Cardia non vede, non
sente, non parla. Tutto torna.
L'operazione non va in porto, perché
di lì a poco tutto cambia e tutto
precipita. Ligresti tracolla, Geronzi
subisce un'altra condanna e trasloca
in Generali, a Mediobanca si impongono
gli "alani " di Maranghi, Nagel e
Pagliaro. Ma il sospetto dell'illecito
resta.
Per questo venerdì scorso il direttore
generale della Consob Gaetano Caputi
ha firmato la contestazione di
illecito amministrativo da notificare
a Bolloré. Toccherà alla Procura
valutare l'atto d'accusa della
Commissione, e decidere se avviare
l'azione penale.
L'AFFARE FONSAI-UNIPOL
Il secondo tempo della partita è oggi.
Il cratere gigantesco creato dai
Ligresti è ancora aperto. Bisogna
riempirlo, senza caderci dentro e
senza sporcarsi le grisaglie.
L'obiettivo è quello di sempre,
perseguito da Cuccia con i buoni
uffici di una politica gregaria e
ancillare di fronte ai cosiddetti
Poteri Forti, o ai loro simulacri:
blindare la cassaforte del capitalismo
nazionale, possibilmente senza scucire
un euro e scaricando i costi sui
piccoli azionisti e sul parco buoi
dell'apposita Borsetta italiana. Ora,
per raggiungere l'obiettivo,
Mediobanca persegue il noto schema:
Fonsai, quinta compagnia
d'assicurazione italiana tecnicamente
fallita grazie all'opera di
sfruttamento e svuotamento massiccio
operato da Don Salvatore e dai suoi
picciotti, va salvata ad ogni costo
perché altrimenti Mediobanca ci
rimette 1 miliardo di prestiti che
negli anni gli ha generosamente
concesso, e Unicredit ci rimette 170
milioni per aver seguito
pedissequamente la ruota.
L'Unipol di Carlo Cimbri, la stessa
esecrata Unipol alla quale nell'estate
dei Furbetti fu impedito ad ogni costo
di scalare la Bnl, ha fatto
un'offerta. Sensata, sul piano
industriale, anche se un po'
accidentata sul piano finanziario.
In un Paese normale, di fronte a un
crac enorme come quello di Fonsai, o
si sarebbe commissariata subito la
compagnia, o sarebbe arrivata un'Opa
del cavaliere bianco di turno. In
Italia non se ne parla neanche.
Dunque, via libera a Unipol, che entra
nel Salotto Buono senza disturbarne le
gerarchie. Via libera a qualunque
costo. Compresi i sospetti 45 milioni
da liquidare ai Ligresti, per
accompagnarli senza danni alla porta,
e con tante grazie. Oggi Alberto Nagel,
amministratore delegato di Piazzetta
Cuccia, è sulla graticola per questo.
Vive le sue ore più difficili.
Martedì è stato ascoltato per sei ore
dalla Procura di Milano, ed è uscito
dall'interrogatorio- fiume con la
qualifica ufficiale di indagato.
"Ostacolo alle autorità di Vigilanza",
è l'ipotesi accusatoria del sostituto
procuratore Luigi Orsi. Deve spiegare
la natura del "papiello" di due
cartelle, con il quale il 17 maggio ha
consentito, con tanto di sigla di suo
pugno, a liquidare quella buonuscita
al finanziere di Paternò e al suo
clan. Il manager sostiene che si
trattò della sigla su "un foglio
scritto da Jonella solo come presa di
conoscenza di una serie di desiderata
della famiglia". La magistratura
sospetta invece che si possa trattare
di un vero e proprio "patto para
sociale", che come tale doveva essere
comunicato entro cinque giorni al
mercato in base all'articolo 122 del
Testo Unico della Finanza.
Anche la Consob vorrebbe vederci
chiaro. La scorsa settimana Vegas ha
mandato tre suoi emissari alla Procura
di Milano, per portare documenti e per
acquisirne altri. Il paradosso è che
tra quelli da acquisire manca proprio
il famigerato "papiello": la Procura
non può darlo, perché formalmente è
coperto da segreto istruttorio. Nel
frattempo è uscito sui giornali, ma
questo fa parte delle anomalie
italiane. Fatto sta che la Commissione
vuole procedere, a prescindere dalle
mosse della magistratura.
Fare luce su quella cartucciella
siglata da Nagel e Ligresti è
fondamentale. Se si accertasse che si
tratta di una scrittura ufficiale e
vincolante per i firmatari, per
Mediobanca sarebbe un disastro. La
Consob, e a Piazza Verdi questa
ipotesi non si esclude affatto,
potrebbe a quel punto imporre
l'obbligo dell'Opa su Fonsai, che
aveva escluso nei mesi scorsi proprio
a condizione che non vi fosse alcun
esborso a favore dei Ligresti. Se
questo accadesse, salterebbe
l'operazione Unipol, il
commissariamento di Fonsai sarebbe
inevitabile, e la filiera
Mediobanca-Unicredit vedrebbe sparire
d'incanto dalle sue casse 1,2 miliardi
di euro.
LA MORALE DELLA FAVOLA
Anche per questo Nagel è sulle spine.
Oltre che ai magistrati e alla Consob,
che lo ha sentito più volte in questi
mesi, potrebbe essere chiamato a
riferire ai suoi consiglieri in un cda
straordinario convocato a settembre. E
potrebbe addirittura dover rendere
conto ai suoi soci, all'assemblea già
fissata per il 28 ottobre. Ma è
improbabile che questo accada. In
genere cane non mangia cane. Tutti gli
affari progettati o realizzati dalla
Galassia, almeno un tempo, erano
intrecciati e dunque vincolati in un
giro micidiale di patti di sindacato e
di conflitti di interesse, che oggi si
definiscono, con più "fairness",
operazioni "con parti correlate". Ma
adesso, come questa intera vicenda
dimostra, neanche i Poteri Forti sono
più quelli di una volta. Sembrano
piuttosto Poteri Morti, che tuttavia
si disputano ancora, senza alcuna
pietà, le spoglie del tesoro di un
tempo.
Perché, infatti, Nagel è ora
nell'occhio del ciclone? Quali oscure
truppe si muovono, nell'ombra della
battaglia, per ribaltare ancora una
volta i vecchi equilibri? Difficile
dirlo. Ma un grande banchiere mi fa
notare: "Su Mediobanca si sta
consumando una vendetta... ".
L'impeachment di Nagel, cioè, potrebbe
essere il "secondo tempo di un'altra
partita", comunque collegata a quella
giocata su Fonsai. Il manager, in
altre parole, potrebbe pagare il
peccato di "ubris" compiuto su
Generali, quando pochi mesi fa ha
fatto rotolare la testa
dell'amministratore delegato
Perissinotto, "colpevole" di aver
appoggiato i suoi amici Arpe e
Meneguzzo, capifila della cordata
Sator-Palladio, schierati contro
Unipol per la conquista di Fonsai.
Cavalcando l'intervento della
magistratura, qualche socio forte
della Galassia potrebbe essere tentato
di prendersi una rivincita su Nagel,
troppo giovane e troppo potente. I
segnali di insofferenza, verso le
ambizioni "cucciane" di Mediobanca,
sono ormai tanti. Troppi. Dal
fallimento delle mire su Bpm e Burani
a quello ancora più clamoroso su
Impregilo.
Questa, in fondo, è la morale della
favola. Piazzetta Cuccia è gravemente
indebolita. Come ricordava Alessandro
Penati sabato scorso su questo
giornale, in un anno ha perso in Borsa
il 60% del suo valore. Il suo
amministratore delegato è seriamente
"ferito". Presto potrebbe cominciare
la caccia. Sarebbe interessante capire
cosa pensano Monti e qualche suo
ministro, come Corrado Passera, di
questa "brutta pagina di storia ". Ma
per ora, tra i tecnici, tutto tace.
L'unica cosa certa è che la Consob,
stavolta, sembra intenzionata a non
mollare la presa. Tanto che a Piazza
Verdi qualcuno si è meravigliato del
fatto che il pm Orsi, sabato scorso,
abbia salutato tutti e sia partito per
le ferie. In una fase tanto calda, ci
sarebbe molto da fare e molto da
indagare, sulle troppe miserie del
capitalismo italiano.
Unipol raddoppia l'utile netto
semestrale
Blackrock entra al 5%, S&P taglia il
rating
MILANO-
Unipol archivia il primo semestre con
un utile netto consolidato di 121
milioni di euro, in crescita del
112,3% rispetto ai 57 milioni di euro
del primo semestre del 2011. La
gestione migliora, come conferma
l'indice tecnico combined ratio, sceso
al 95,5% nonostante l'impatto del
sisma in Emilia, stabile rispetto a
fine 2011 ma in calo rispetto al 99%
del giugno scorso. Anche il margine
solvibilità si rafforza, salendo a
circa 1,6 volte i requisiti
regolamentari. Anche il patrimonio
sale, a 3,36 miliardi, principalmente
per via dell'apprezzamento dei titoli
governativi italiani detenuti (pari a
10,3 miliardi), la cui riserva si è
apprezzata di 174 milioni. Si
apprezzano di 45 milioni invece le
riserve sinistri del ramo Rc auto, il
cui importo complessivo "risulta in
linea con il valore centrale
determinato in base alle stime
individuate dall'attuario incaricato e
verificate dall'attuario revisore
nelle relazioni sulle riserve tecniche
dell'esercizio 2011". Una risposta,
indiretta, all'Isvap, organismo di
vigilanza che il 3 luglio aveva
inviato una lettera alla cooperativa
bolognese rilevando una
sottoriservazione nel settore Rc auto
e natanti per almeno 210 milioni,
esortando a darne conto nella
semestrale. La compagnia sembra
reclamare la bontà della propria
metodologia contabile, pur diversa da
quella dell'Isvap, e starebbe
dialogando con l'autorità per far
valere le proprie tesi.
"Lavoriamo intensamente sui
fondamentali del core business e i
buoni risultati realizzati, in linea
con le previsioniannuali,
riflettono le politiche di gestione
degli ultimi tre anni" ha detto l'ad
Carlo Cimbri. "Selezione dei rischi e
partnership agenti-impresa sono gli
elementi essenziali per affrontare un
contesto economico complicato che si
riflette soprattutto nelle difficoltà
del settore vita, inteso come forma di
risparmio".
Il manager, reduce da un incontro con
le prime linee di Fondiaria-Sai, sta
iniziando a lavorare all'integrazione,
il cui avvio formale è previsto a
inizio 2013. "Unipol ha già avviato le
fasi che porteranno nei prossimi mesi
all'integrazione con Fondiaria-Sai,
lavorando fianco a fianco con i
manager delle nuove compagnie del
gruppo per realizzare le importanti
sinergie potenziali alla base della
creazione di valore per gli
azionisti".
L'aumento di capitale propedeutico
alla fusione è ancora in corso (manca
l'asta dei diritti inoptati, pari al
28% delle ordinarie) ma al di fuori
dell'operazione, nei giorni scorsi, è
entrato nell'azionariato Blackrock,
leader statunitense del risparmio
gestito che ha comunicato alla Consob
una quota del 5,03% acquistata tramite
i propri fondi comuni. Un segnale di
incoraggiamento per Unipol, cui si
contrappone quello di Standard & Poor's,
che ha tagliato di un livello il
rating a Unipol Gruppo Finanziario (da
BBB- a BB+) e alla controllata
operativa Unipol Assicurazioni (da
BBB+ a BBB) "riflettendo l'impatto
negativo sul profilo di rischio
dell'investimento in Fonsai". I rating
restano sotto osservazione con
implicazioni negative. Di contro,
l'agenzia ha innalzato il merito di
credito di Fonsai e delle sue
controllate da B a B+, in seguito alla
chiusura dell'aumento di capitale che
ha ripristinato "un'adeguatezza
patrimoniale" al di sopra del minimo
regolamentare.
Telecom ha venduto Virgilio
a Libero.it
Nasce il più grande player
italiano del web
Telecom Italia
completa la vendita di
Matrix, società che
controlla tra l'altro
Virgilio, a Libero.
Dall'operazione nasce la più
grande società italiana del
settore internet. Il gruppo
fondato da Paolo Ainio era
stato acquisito nel 2001, ai
tempi della bolla, da
Lorenzo Pellicioli, allora a
capo della Seat Pagine
Gialle. Ora l'ha comprato il
finanziere egiziano Naguib
Sawiris: con un esborso di
88 milioni l’ex patron di
Wind (e uno dei soci del
gruppo che ora è controllato
dai russi di Vimplecom)
rileverà Matrix per farla
confluire dentro il suo
portale Libero.it. A fine
2011 il gruppo aveva
registrato un fatturato di
96 milioni e dava lavoro a
280 persone. Il
perfezionamento
dell'operazione è atteso
intorno alla fine di
novembre. Oltre che nel
settore internet con
Virgilio, Matrix è tra i
player italiani leader nel
mercato del digital
advertising sia a livello
nazionale sia locale.
Inoltre con il servizio
'1254' è attiva nel mercato
della directory assistance.
Libero spiega che con
l'acquisizione di Matrix
nascerà il primo player
italiano del mercato
internet. La realtà
combinata Libero-Virgilio
"rappresenta la più
importante internet property
italiana, con oltre il 60%
di market reach,
corrispondente a 18 milioni
di visitatori unici mensili,
oltre 3,5 miliardi di pagine
viste mese e 14 milioni di
email account attivi".
La leadership indiscussa è
quella di Google (che ha
l'88% di market reach), ma
il nuovo guppo
Libero-Virgiliodiventa
un gigante tricolore, anche
se è controllato da un
imprenditore egiziano.
"Insieme a Virgilio
cresceremo e potremo
realizzare importanti
sinergie - spiega Antonio
Converti, presidente e ad di
Libero.it - la fotografia di
fine 2011 delle due aziende
unite insieme darebbe un
gruppo da 150 milioni di
fatturato con un ebitda
leggermente positivo. Libero
ha meno ricavi di Virgilio,
ma è più profittevole".
Per Telecom si tratta di
un'operazione positiva,
anche perché l’obiettivo del
gruppo di qui a fine anno è
ridurre i debiti di circa
2,5 miliardi. La società
presieduta da Franco Bernabè
a fine giugno aveva 30,3
miliardi di passività e per
fine anno l'obiettivo è di
arrivare a 27,5 miliardi a
cui andrebbero aggiunti i
circa 300 milioni spesi per
l’asta delle frequenze di
quarta generazione in
Brasile. Per centrare
l’obiettivo, oltre a Matrix,
Telecom conta di chiedere
entro fine anno la vendita
de La7 e dei multiplex
digitali del gruppo. Ma il
grosso della cifra arriverà
grazie ai flussi di cassa,
stimati in 2,4 miliardi.
La guerra
per il controllo del gruppo
sarebbe iniziata a febbraio
2011, quando si scopre che
il patron ha intestato a sè
le quote che a fine degli
anni '90 aveva assegnato in
tre parti uguali agli eredi
di primo letto Giuseppe e
Violetta, e a Marina, avuta
dalla seconda moglie
Inossidabile allo scorrere
degli anni e altrettanto
fermo nelle sue convinzioni,
l’ottantaseienne
Bernardo Caprotti
non ci sta a perdere il
controllo della sua
Esselunga, la più
importante catena italiana
di supermercati non
cooperativa. Neanche se ad
acquisirla siano i figli,
per la verità mai troppo
amati. L’autore del best
seller ‘Falce e Carrello’,
che si scagliava contro il
sistema Coop e per il quale
è stato
condannato per “illecita
concorrenza a causa di
denigrazione ai danni di
Coop Italia”,
ha invece vinto una
battaglia per lui ben più
importante:
il lodo arbitrale attivato
lo scorso aprile che lo
vedeva contrapposto agli
“eredi” Violetta e Giuseppe,
avuti dalla prima moglie
Giulia Venosta.
Il
collegio arbitrale,
presieduto dal giurista
Ugo Carnevali
e composto da Pietro
Trimarchi per
Caprotti senior e
Natalino Irti per i
figli, ha dato ragione alle
sue pretese, che il patron
dell’impero dei supermercati
da oltre 6 miliardi di
fatturato ha tenuto a
sottolineare con un
comunicato che non è
sbagliato definire
muscolare, se si pensa che è
rivolto a parte della sua
famiglia. “Bernardo Caprotti
-si legge – è il dominus di
Esselunga e della stessa può
disporre nel rispetto delle
leggi che governano il
Paese”. E ancora: Bernardo
Caprotti “ha esercitato i
suoi diritti secondo i patti
sottoscritti con i figli”.
Che non hanno tardato nel
rispondere: “Il lodo è
impugnabile ed è stato
pronunciato a maggioranza
con una ferma e durissima
presa di posizione
dell’arbitro
Natalino Irti, il
quale ha evidenziato gravi
violazioni processuali
nonché giudizi arbitrali
contrari a principi di
ordine pubblico”.
Giuseppe
e Violetta Caprotti hanno
annunciato di ricorrere alla
giustizia ordinaria per
tentare di annullare l’esito
di questo lodo e in ogni
caso pende già un giudizio
separato presso il tribunale
di Milano
con l’udienza che dovrebbe
tenersi il prossimo 23
ottobre. La guerra per il
controllo del gruppo avrebbe
inizio a febbraio 2011,
quando si scopre che il
patron di Esselunga, senza
darne comunicazione e senza
versare alcun corrispettivo,
ha intestato a sè le azioni
che a fine degli anni ’90
aveva assegnato, attraverso
la fiduciaria Unione
Fiduciaria (gruppo
Bipiemme), in tre
parti uguali ai figli di
primo letto Giuseppe e
Violetta, e a Marina, avuta
dalla seconda moglie, con
l’usufrutto del padre su
circa un terzo delle quote.
Si trattava del 92 per cento
di Supermarket
italiani, la
holding che controlla per
l’appunto Esselunga. Per sé
aveva tenuto il restante 8
per cento. Quote che, dopo
il lodo sono tornate in
possesso del fondatore
dell’impero.
Il
mistero è fitto sui motivi
che hanno indotto Caprotti a
sparigliare le carte e
riappropiarsi di tutto. Non
è ancora chiaro quale sarà
il futuro della catena di
supermercati, che da molto
tempo è oggetto di
attenzioni di potenziali
acquirenti, tra i quali
anche le odiate cooperative
oltre a giganti esteri come
l’americana Wal Mart.
Il fondatore non mai voluto
cedere alle avances, e forse
aveva capito che i figli, in
possesso della nuda
proprietà avrebbero potuto
accettare qualche offerta a
lui sgradita? O forse egli
stesso vuole trattare in via
esclusiva con un possibile
compratore? C’è anche chi
pensa che non veda di buon
grado il passaggio di
gestione ai figli, con
Giuseppe che fu estromesso
dalla direzione nel 2005
dopo due anni da
amministratore delegato per
presunte incapacità
gestionali. Forse a ottobre
se ne saprà di più.
La Procura di Milano lo
accusa di ostacolo
all’attività di vigilanza
nell'inchiesta sul dissesto
di Premafin e Fonsai. Al
centro il presunto accordo
segreto per la "buonuscita"
di 45 milioni di euro al
costruttore siciliano.
Consultazioni per valutare
la sostituzione del manager.
L'autodifesa: "Ho solo
firmato per conoscenza un
appunto con i desiderata
della famiglia
L’affaire Ligresti inguaia
anche l’amministratore
delegato diMediobanca.Alberto
Nagel, infatti,
sarebbe da alcuni giorni
indagato per ostacolo
all’attività di vigilanza
nell’ambito dell’inchiesta
del pmLuigi
Orsisu
Premafin e Fonsai. La
notizia è emersa in serata a
poche ore dall’avvio
dell’interrogatorio del
manager che ha orchestrato
il “salvataggio” dell’ormai
ex galassiaLigrestida
parte di Unipol che si è
svolto in una caserma della
Guardia di Finanza, a
Milano.
Tema dell’interrogatorio
durato oltre sei ore,il
presunto accordo segretofirmato
con Salvatore Ligresti per
garantire l’uscita di scena
della famiglia del
costruttore siciliano in
cambio di una ricca
buonuscita di circa 45
milioni di euro cui si
aggiungono tutta una serie
di benefit per il patriarca
e i suoi tre figli Paolo,
Jonella e Giulia già
beneficiari diimbarazzanti
pagamenti da parte di
Fondiaria Sai. E cioè un
ufficio, un autista, una
segretaria e una cascina per
Salvatore, una liquidazione
per Jonella e il
mantenimento delle posizioni
in Francia e Svizzera per
gli Giulia e Paolo.
Un patto segreto che
Mediobanca ha fino ad ora
vigorosamente smentito, ma
che secondo le testimonianze
(e le registrazioni) dei
Ligresti sarebbe stato
siglato il 17 maggio scorso
e sulla cui esistenza la
Procura sta indagando da
almeno da dieci giorni,
quando la famiglia del
costruttore siciliano, ha
iniziato a vuotare il sacco
con Jonella che, a supporto
delle sue dichiarazioni, ha
portato a Orsi la
registrazione effettuata di
nascosto di una sua
conversazione con l’avvocatoCristina
Rossello nel corso
della quale verrebbe
confermata l’esistenza di un
accordo firmato da Ligresti
senior e da Nagel. Eppure
martedì scorso, quando la
Procura ha disposto il
sequestro del documento
presso lo studio
dell’avvocato, che è anche
segretaria del patto di
sindacato che controlla
Mediobanca, si è trovata in
mano un foglio di due pagine
non firmato. E mentre le
ricerche dell’eventuale
originale proseguono, la
lista degli indagati che
vede Ligresti nel mirino del
pm per per
aggiotaggio e ostacolo
all’autorità di vigilanza
si è
quindi allungata con il
banchiere che secondo le
indiscrezioni delle ultime
ore avrebbe agito in
concorso con il costruttore
di Paternò.
Un bel guaio per Nagel, che
mette in difficoltà
l’istituto già provato dalle
ripercussioni di operazioni
infelici, a partire dagli
esosi finanziamenti concessi
agli stessi Ligresti che per
la sola Fondiaria Sai
ammontano complessivamente a
oltre 1 miliardo di euro in
prestiti subordinati.
Naturale, quindi, che in
queste ore, come sostiene l’Adn
Kronos, siano in corso
colloqui e contatti tra
vertici e azionisti della
società che sarebbero
orientati a propendere per
le dimissioni del manager,
la cui poltrona peraltro
vacillava già da qualche
mese.
Al termine
dell’interrogatorio, che si
è svolto nella sede del
Nucleo di Polizia Tributaria
della Guardia di Finanza, a
Milano, il manager non ha
rilasciato dichiarazioni e
si è allontanato su un’auto
con i vetri scuri.
In tarda serata Mediobanca
ha diffuso un comunicato,
inviato anche a Borsa e
Consob. “Alberto Nagel
conferma di non aver
stipulato alcun accordo o
patto con la famiglia
Ligresti inerente
l’integrazione
Unipol-Premafin”, si legge.
“In data 17 maggio 2012, su
richiesta di Jonella
Ligresti, Alberto Nagel ha
siglato, esclusivamente per
presa di conoscenza, la
fotocopia di un foglio di
carta dalla stessa
manoscritto che riportava un
elenco di desiderata della
famiglia Ligresti. Richieste
in parte note e non
destinate a Mediobanca, che
non è parte di alcun accordo
con la famiglia in
questione, né quindi
impegnative per l’Istituto”.
Un elenco che, conclude il
comunicato, “tenuto conto
anche della risposta della
Consob al quesito di Unipol
del 24 maggio 2012, non si è
mai tradotto in alcuna
ipotesi di accordo con
Mediobanca, Unicredit o
Unipol Gruppo Finanziario”.
La
missiva è relativa al
presunto accordo tra
l'ingegnere di Paternò e
l’ad di Mediobanca, Alberto
Nagel, per la cessione del
controllo della galassia
assicurativa al gruppo
Unipol. Se l'esistenza di
questo patto fosse
confermato, rischierebbe di
cadere l'intero piano di
riassetto del gruppo
assicurativo messo a punto
con la banca perché
contrario alle disposizioni
della Consob
Spuntano
nuove prove sul
presunto
accordo fra
Salvatore Ligresti
e il gruppo
Unipol.
Dopo la notizia
dell’interrogatorio (da
parte dei Pm di Milano) del
patron di Permafin in
compagnia della figlia
Jonella proprio
sul progetto “Grande Unipol”,
ora il gip Roberto Arnaldi,
ha disposto il sequestro di
una lettera ’compromettente’.
Nella missiva, datata il 17
maggio scorso, si legge che
Ligresti ha accettato di
cedere la holding
Premafin a Unipol,
in cambio di 45
milioni di euro
per sé. La corrispondenza è
avvenuto fra Ligresti e
Alberto Nagel,
amministratore delegato di
Mediobanca.
Ma l’istituto bancario
smentisce tutto: “Non c’è
nessun accordo con i
Ligresti e nessun documento
è mai stato firmato”.
La buona
uscita dell’ingegnere di
Paternò sarebbe stata
discusso in una riunione tra
Ligresti, la figlia, Nagel,
e Cristina Rossello,
segretario del patto di
sindacato di Mediobanca,
nella sede di Compass. Non
avrebbero preso parte
all’incontro
l’amministratore delegato di
Unipol, Carlo Cimbri,
e quello di Unicredit,
Federico Ghizzoni,
che lo avrebbero, però,
sottoscritto. Se l’esistenza
di questo accordo fosse
confermata, rischierebbe di
cadere l’intero piano di
riassetto del gruppo Fonsai
messo a punto con Unipol. La
Consob,
infatti, ha concesso alla
compagnia bolognese
l’esenzione da obbligo di
offerta pubblica di acquisto
“a cascata” (sul totale
delle azioni ordinarie delle
società quotate di cui si
arriva a detenere
indirettamente una
partecipazione superiore
alla soglia del 30%) su
Premafin, Fonsai e
Milano Assicurazioni,
a patto che fossero
stralciati tutti i premi
alla famiglia Ligresti. Nel
frattempo, però, Unipol ha
già finalizzato l’ingresso
in Premafin e ne detiene
oggi l’81 per cento.
Il
manoscritto è stato
sequestrato dalle Fiamme
gialle negli uffici
dell’avvocato Rossello a
Milano. Il pubblico
ministero milanese Luigi
Orsi l’ha
interrogata per due ore, al
termine del colloquio non ha
voluto rilasciare ai
giornalisti alcuna
dichiarazione
Nell'interrogatorio si è
approfondita l'accordo raggiunto
tra il gruppo assicurativo e la
compagnia bolognese. Intanto il
gruppo assicurativo si trova
senza consiglio di
amministrazione dopo le ennesime
dimissioni in massa. Il patron
della Permafin è indagato anche
per aggiotaggio e
ostacolo all'attività di
vigilanza della Consob
Salvatore
Ligresti, EX azionista
di maggioranza del gruppo
Permafin,
indagato per
aggiotaggio
e ostacolo all’attività di
vigilanza della Consob nell’inchiesta
sulla holding omonima (con
Giancarlo De Filippo) è
stato interrogato con la
figlia Jonella (vice
presidente di Fonsai)
per diverse ore dal pubblico
ministero milanese
Luigi Orsi. Il
colloquio è avvenuto giovedì
scorso, ma è trapelato solo
ora e le conseguenze non si
sono fatte aspettare: il
consiglio di amministrazione
della Fonsai è decaduto dopo
le dimissioni di 8 componenti.
Hanno comunicato di aver
lasciato il cda il presidente
Cosimo Rucellai,
l’amministratore delegato
Emanuele Erbetta
i consiglieri Nicolò
Dubini,
Vincenzo La Russa,
Valentina Marocco,
Enzo Mei,
Giorgio Oldoini
e Antonio Talarico.
Tenuto conto delle precedenti
dimissioni di Andrea
Broggini,
Maurizio Comoli,
Graziano Visentin,
Roberto Cappelli,
Ranieri de Marchis
e Salvatore Militello,
le dimissioni di cui sopra
hanno determinato il venir
meno della maggioranza degli
amministratori nominati
dall’assemblea.
Secondo gli
inquirenti Ligresti avrebbe
“manipolato” il titolo
Premafin grazie alle
partecipazioni detenute da
enti controllati da due
società fiduciarie con sede
alle Bahamas. In sostanza, le
due fiduciarie, riconducibili
per l’accusa a Ligresti,
avrebbero acquistato le azioni
Premafin per sostenere il
titolo in Borsa. Ad “aprire le
porte” per gli altri
reati di natura fallimentare
invece è il crac di
Sinergia e
Imco,
provocato proprio da una
richiesta del magistrato. La
Procura di Milano ha puntato
negli ultimi tempi
sull’operazione tra
Unipol e Fonsai.
L’ultimo interrogatorio di
Ligresti si è concentrato
sull’accordo raggiunto tra il
gruppo assicurativo e la
compagnia bolognese. Il pm
Orsi ha chiesto precisazioni
riguardo all’operazione che,
dopo cinque mesi di
trattativa, ha portato alla
cosiddetta “Grande Unipol”.
Quindi nell’ultimo faccia a
faccia con l’imprenditore non
vi sarebbero state domande né
sui trust off-shore, né sul
fallimento delle holding Imco
e Sinergia.
L’assemblea di
Permafin
dello scorso 12
giugno, quella che ha dato via
libera all’aumento riservato a
Unipol, non è stata una
passeggiata: Paolo
e Jonella Ligresti,
la cui presenza in assemblea
era indispensabile per
approvare l’operazione con il
gruppo bolognese, si sono
presentati solo dopo alcune
ore, in un clima di grande
tensione, e pur votando a
favore di Unipol hanno
invitato il Cda a impegnarsi
per trovare offerte
migliorative rispetto a quella
di Bologna. Paolo Ligresti ha
pesantemente attaccato anche
Mediobanca e
Unicredit, le
banche che hanno sponsorizzato
l’operazione con Unipol,
accusandole di averlo
costretto al sì a Bologna
dietro la minaccia di procede
per via legale per il pegno
sulla quota di Premafin in
Fonsai, causando così il
default della holding. Il
magistrato Orsi ha condiviso
l’iniziativa del custode
giudiziale che ha chiesto a
Premafin di bloccare l’aumento
riservato a Unipol fino a una
nuova deliberazione
dell’assemblea che permettesse
di valutare anche l’offerta
alternativa dei fondi Sator e
Palladio. Un’iniziativa che
però non è stata accolta da
Premafin che, la scorsa
settimana, ha eseguito la
ricapitalizzazione.
RESPINTO IL RICORSO SATOR-PALLADIO
AL TAR DEL LAZIO CONTRO L'OK
DELL'ISVAP ALLA FUSIONE
UNIPOL-FONSAI
Il Tar del Lazio ha
respinto il ricorso d'urgenza di
Sator Palladio sull'autorizzazione
dell'Isvap all'operazione
Unipol-Fonsai. I due fondi, autori
di un'offerta alternativa a quella
della compagnia bolognese su
Fonsai, avevano richiesto di
bloccare con una procedura
d'urgenza l'ok che l'istituto di
vigilanza aveva dato a
Finsoe-Unipol ad acquisire il
controllo di Premafin e delle sue
controllate. Nell'ordinanza del
Tar del Lazio presieduto da Luigi
Tosti, si legge inoltre che "sul
piano sostanziale emerge che
l'istituto ha condotto le
valutazioni di propria competenza,
in particolare circa la capacità
patrimoniale delle società
coinvolte nel progetto di
aggregazione dei gruppi Unipol e
Fonsai, espressamente confutando
anche le argomentazioni
dell'esposto Sator-Palladio mercè
il rinvio alle analisi compendiate
nella relazione tecnica". Dunque,
conclude il tribunale "non
esistono i presupposti per la
concessione di misure cautelari",
cioè della sospensiva richiesta da
Sator-Palladio. Inoltre i giudici
amministrativi hanno stabilito che
"per la definizione dell'istanza
cautelare, non appare necessaria
l'istanza istruttoria verbalizzata
nel corso della discussione" (Sator
e Palladio avevano chiesto di
acquisire in giudizio ulteriore
documentazione da Isvap)
Fusione Unipol-Fonsai
Il giudice blocca l'aumento
Premafin:IL 40% DI QUEST'ULTIMA E'
IN MANO AI GIUDICI !!!
Il custode giudiziale del 20% che
fa capo a due trust offshore
sequestrati dai magistrati in
quanto società occulte
riconducibili ai Ligresti, quindi
fuori legge, ha chiesto alla
holding di convocare un'assemblea
straordinaria per riesaminare
l'aumento di capitale riservato da
400 milioni, funzionale all'arrivo
di Unipol nella compagine
azionaria
MILANO-
Nuova, pesante tegola sul cammino
verso la fusione a quattro tra
Premafin, Unipol, Fonsai e Milano
Assicurazioni. E' forse presto per
giudicare se si tratti di uno stop
definitivo ma certo l'ostacolo ha
avuto l'effetto di una valanga:
con una lettera (di cui è stata
data notizia in nottata) il
custode giudiziale del 20% di
Premafin che fa capo ai trust
offshore The Heritage e The Ever
Green, ha chiesto alla holding di
convocare con urgenza un'assemblea
straordinaria per riesaminare - ed
eventualmente revocare - la
delibera del 12 giugno che ha
approvato l'aumento di capitale
riservato da 400 milioni,
funzionale all'arrivo di Unipol
nella compagine azionaria e,
successivamente, alla
sottoscrizione dell'aumento di
capitale della controllata Fonsai.
Il custode del pacchetto (nominato
lo scorso 21 giugno e che dunque
nell'assemblea scorsa non aveva
votato), ricorda nella lettera che
l'assise dello scorso 12 giugno
non era stata messa in condizioni
di raffrontare serenamente e in
modo compiuto le due proposte sul
tavolo - quella di Unipol e
quella di Sator Palladio - e
dunque invita la società a
riconvocarne un'altra, con la
massima sollecitudine, e nelle
more "suggerisce" di
non dar luogo al suddetto aumento
di capitale riservato. Un
suggerimento che, provenendo da un
custode nominato dal giudice,
suona quasi come un ordine.
Dunque, quell'assemblea non era
stata messa in condizione di fare
una scelta equilibrata e, aggiunge
il custode giudiziale, si possono
rilevare "profili di invalidità"nelle
deliberazioni assunte. Il
professionista (Alessandro Della
Chà) chiede di allegare la propria
relazione alla proposta all'ordine
del giorno della convocanda
assemblea.
Dal canto suo Premafin, ricevuta
la lettera, si è comunque
riservata "ogni più opportuna
valutazione sul merito della
medesima comunicazione, anche con
riferimento alle circostanze di
fatto in essa riportate". Ed ha a
sua volta chiesto al custode di
trasmettere la relazione
illustrativa preannunciata, in
modo da poter deliberare
"avvedutamente" entro il prossimo
29 giugno, quando peraltro è
previsto un nuovo cda Premafin.
A questo punto si prefigura una
situazione di difficoltà anche
procedurale per Premafin.
Rispetto
all'assemblea del 12 giugno, c'è
un nuovo "azionista", cioè il
custode giudiziale, che ha in
consegna il 20% della holding
parcheggiato da anni nei paradisi
fiscali e ritenuto dalla Consob
riconducibile ai Ligresti (il
tribunale, dal canto suo, l'ha
sequestrato); non basta, un altro
20% sempre di Premafin è in mano
ai curatori fallimentari di
Sinergia-Imco (dichiarate fallite
dal tribunale due giorni dopo la
medesima assemblea dell'aumento di
capitale riservato ad Unipol).
Quando insomma si tornerà a
votare, il quadro di Premafin sarà
diverso: ci sarà ancora il 5% di
Bollorè, e il 30% in mano ai tre
fratelli Ligresti, ma ci sarà
anche un 40% che fa riferimento ai
magistrati. Ieri, intanto, un cda
fiume in Fonsai aveva
ulteriormente reciso i legami con
la famiglia Ligresti, votando
all'unanimità (voto a favore anche
di Jonella e di Paolo): il Cda ha
convocato un'assemblea ordinaria
entro il 25 settembre con
all'ordine del giorno l'azione
sociale di responsabilità. La
mossa chiamerà in causa la
famiglia azionista, coinvolta
nelle operazioni con parti
correlate finite sotto scrutinio
del collegio sindacale e da ultimo
dell'Isvap.
L'Isvap chiede
a Unipol
di adeguare le riserve
La semestrale
sarà più pesante per 350 milioni.
Vertice in procura con Consob e il
custode. Oggi il consiglio di
amministrazione Fonsai dovrà
deliberare sui concambi e fare il
punto con Mediobanca
MILANO
- Nuovo colpo di scena nella
battaglia per il controllo di
Fonsai. L'Isvap - ancora guidata
da Giancarlo Giannini nonostante
il suo mandato quinquennale sia
scaduto - il 3 luglio scorso ha
inviato una lettera a Unipol
rilevando una sottoriservazione
nel settore Rc Auto e natanti per
circa 350 milioni, di cui la
compagnia dovrà tenere conto nella
semestrale 2012. Inoltre entro
dieci giorni Unipol dovrà fornire
documentazioni e chiarimenti utili
all'autorità e con riferimento ai
sinistri con costo atteso
inferiore a 100mila euro, ed entro
30 giorni una relazione da parte
della funzione internal audit
sulle varie fasi del processo di
riservazione.
Stupisce che il provvedimento
dell'authority di vigilanza sul
settore assicurativo arrivi appena
13 giorni dopo il via libera che
la stessa Isvap ha messo in calce
all'operazione di fusione tra
Unipol, Premafin, Fonsai e Milano
assicurazioni e che dovrà portare
a lanciare due aumenti di capitale
sul mercato per un totale di 2,2
miliardi.
Tuttavia la procedura di analisi
delle riserve di Unipol va avanti
da molto tempo, almeno dall'inizio
di febbraio, cioè da quando la
divisione di Vigilanza 1
dell'Isvap guidata da Giovanni
Cucinotta aveva inviato la prima
richiesta di documentazione. Altre
domande sono state inviate il 2 e
il 29 maggio, a cui la compagnia
ha risposto il 18 maggio e il 29
giugno. E ora la lettera sugli
adeguamenti necessari a pochi
giorni dalla eventuale partenza
degli aumenti delle società
interessate alla fusione.
I nuovi rilievi Isvap non sembra
vadano a impattare sulla procedura
autorizzativa, dalla quale
peraltro Cucinotta era stato
escluso forse proprio per i dubbi
che nutriva sul bilancio del
"salvatore" di Fonsai che lo hanno
portato a non firmare la delibera
autorizzativa. Ora la lettera
inviata da Giannini suona come uno
scarico di responsabilità se
insorgeranno problematiche future
alla solidità del nuovo gruppo
anche se gli aumenti di capitale
proposti sono stati pensati di
taglia superiore al dovuto, in
modo da far confluire 600 milioni
nella pancia della società di
Bologna.
Tutto ciò accade mentre si sta
decidendo la partenza o meno degli
aumenti di capitale di Premafin,
Fonsai e Unipol già deliberati ma,
almeno il primo, contestato dal
custode giudiziale del 20% di
azioni Premafin. Ieri la procura
di Milano che sta indagando per
aggiotaggio ha convocato i
funzionari Consob per capire
alcuni snodi delicati delle
operazioni, in particolare le
valutazioni delle diverse società
che hanno portato a definire i
termini di concambio delle future
fusioni. Il custode Alessandro
Della Chà ha invece incontrato le
banche creditrici che hanno
approvato la ristrutturazione del
debito Premafin e sostenuto con
grande vigore l'operazione
Fonsai-Unipol. In serata, secondo
indiscrezioni, c'è stato un nuovo
vertice in procura con il pm Luigi
Orsi per fare il punto della
situazione e studiare le prossime
mosse.
Oggi il cda Fonsai dovrebbe rifare
le delibere sui concambi e
ricevere da Mediobanca una
conferma sulla formazione del
consorzio di garanzia per gli
aumenti. Ma senza un nuovo via
libera della Consob la grande
operazione di creazione del nuovo
polo assicurativo non può ancora
partire.
Il
Governo italiano ha dato parere
favorevole alla delibera di circa
2 miliardi di euro in strumenti
finanziari di patrimonializzazione
assimilabili a obbligazioni e
simili ai Tremonti bond in favore
della Banca Monte dei Paschi di
Siena.
La proposta del
Tesoro ha condotto il Cdm ad
attuare alcune misure in favore di
MPS, anche in seguito alla
raccomandazione dell'Eba (Autorità
bancaria europea) che invitava ad
assicurarsi che i principali
istituti bancari europei
aumentassero la propria dotazione
patrimoniale attraverso la
costituzione di una somma di
capitale, eccezionale e
temporaneo, tale da portare, entro
il 30 giugno 2012, il coefficiente
Core Tier 1 al 9%, anche per
potersi così difendere da nuove
possibili intemperie e scosse di
mercato.
La decisione di
aiutare la banca è stata presa dal
Consiglio dei ministri su proposta
di Mario Monti “in attuazione
della dichiarazione dei capi di
Stato e di Governo dell'Ue del 26
ottobre 2011 sulle misure di
rafforzamento del settore bancario”.
Palazzo Chigi ha
reso noto che: “s'è reso
necessario per rispettare
l'impegno preso dall'Italia con i
partner”, dopo che
Montepaschi ha dichiarato che non
avrebbe potuto ricorrere a “soluzioni
private” di rafforzamento
patrimoniale.
Il comunicato del Governo prosegue
affermando che
“La Banca
d'Italia ha ritenuto opportuno,
considerata l'incertezza delle
operazioni in corso di
realizzazione, che lo strumento
legislativo contemplasse un
importo massimo di 2 miliardi.
Sarà poi Banca Mps, in prossimità
dell'emissione, a stabilire la
cifra effettivamente necessaria.
La sottoscrizione pubblica,
conclude il comunicato, sarà
soggetta al via libera della
Commissione europea sulla
compatibilità delle misure decise
con il quadro normativo
dell'Unione in materia di aiuti di
Stato e alla presentazione di un
piano di ristrutturazione da parte
di Banca Mps”.
E così, il nuovo sostegno pubblico
a Mps arriverà fino a 2 miliardi,
che sommati agli 1,9 miliardi dei
Tremonti-bond ricevuti nel 2009,
porta a quota 3,9 miliardi
l'esposizione potenziale del
gruppo bancario nei confronti
dello Stato. Mps
è dunque una banca
tecnicamente fallita visto che
capitalizza più o meno la metà dei
Bond in rinnovo.
In sostanza, dato ch e il mercato
non ha consentito al Mps di
terminare con soddisfazione il
piano di dismissioni e il ricorso
a un aumento di capitale sarebbe
stato per il momento imprudente,
il Governo ha deciso di sostenere
finanziariamente la terza banca
del Paese. E pensare che, per i
danni del terremoto in Emilia, va
meno della metà: come sempre una
storia tutta italiana.
Ligresti: "Le
banche ci hanno minacciato"
"L'offerta di Sator e Palladio è
migliore di Unipol"
Con una
lettera di fuoco, Paolo Ligresti
chiede di convocare l'assemblea di
Premafin, la holding che controlla
Fondiaria Sai. Si scaglia contro
le banche che starebbero pilotando
la fusione con la compagnia
bolognese a scapito dell'offerta
di Matteo Arpe. "Alcuni
amministratori di Premafin sono in
conflitto", se ne devono andare.
La Russa e Librio si dimettono
MILANO
- Paolo Ligresti attacca
le banche e il consiglio di
amministrazione di Premafin. Con
una
lettera 1di fuoco,
in qualità di azionista di
Premafin attraverso la
lussemburghese Limbo (10% di
Premafin) ha stigmatizzato il
comportamento del cda che
nell'ambito del salvataggio di
Fondiaria Sai non hai mai preso in
considerazione l'offerta dei fondi
Sator (riconducibile a Matteo
Arpe) e Palladio (del duo
Meneguzzo e Drago) alternativa a
quella della compagnia bolognese
Unipol. E le banche, perché con la
minaccia di escutere il pegno sui
titoli Premafin, hanno di fatto
costretto i Ligresti a votare in
assemblea a favore dell'accordo
Unipol.
"All'assemblea del 12 giugno -
mettere nero su bianco il figlio
di salvatore Ligresti - sotto la
minaccia di escussione dei pegni
da parte delle banche, al solo
fine di non pregiudicare la
continuità aziendale, la scrivente
si è trovata suo malgrado
costretta a votare in favore della
delibera di aumento di capitale
riservato a Ugf, insistendo
tuttavia in tale sede con vigore
affinché il consiglio di
amministrazione valutasse
operazioni di investimento
alternative e ottenendo in
proposito l'impegno di tutti i
consiglieri, poi disatteso". Le
banche sono soprattutto Unicredit
e Mediobanca.
Eppure, dice Paolo Ligresti nella
sua lettera "le ultime proposte di
Sator e Palladio, pur rivolte a
Fondiaria Sai, a parere della
scrivente appaiono consentire una
migliore valorizzazione, rispetto
all'accordo Ugf, delle
partecipazioni in Premafin di
tutti gli azionisti, compresi
quelli di minoranza, posto che non
par oggi dubbio che la definitiva
attuazione dell'accordo Ugf
comporterebbe una valorizzazione
irrisoria delle azioni Premafin".
Ora sarebbe giunto il momento di
far cadere l'esclusiva con Unipol,
convocare una nuova assemblea ed
allargare il campo di battaglia
per il controllo di Fondiaria
anche ai fondi Sator e Palladio.
La lettera chiede quindi di
chiamare di nuovo a raccolta i
soci con all'ordine del giorno la
revoca degli amministratori in
carica e la nomina di un nuovo
consiglio di amministrazione. Del
resto, viste le decisioni prese
dall'attuale board, alcuni
amministratori in carica sono in
aperto conflitto di interessi con
Unipol, perché la compagnia
bolognese ha promesso loro
(attraverso la manleva) di non
chiamarli in causa per eventuali
azioni di responsabilità.
Le parole di Ligresti sono
pesantissime, anche se giungono un
po' tardive. Arrivano infatti solo
dopo la richiesta di convocazione
di una nuova assemblea avanzata
dal custode giudiziale Alessandro
Della Chà, nominato dal giudice di
Milano per gestire il 20% di
Premafin sequestrato ai fondi
offshore dal pm Luigi Orsi, un 20%
della holding che per anni è stato
manovrato dai Ligresti, senza che
questi abbiano mai informato la
Consob o il mercato che anche
quella quota in Premafin era
riconducibile a loro.
Il consiglio di amministrazione
tornerà a riunirsi lunedì 2 luglio
per esaminare, insieme agli
advisor, la documentazione inviata
dal custode giudiziale. Nel
frattempo è stata deliberata la
cooptazione di Luca Cagnoni al
posto del dimissionario Giuseppe
De Santis. Inoltre dal consiglio
si sono dimessi due
amministratori, Samanta Librio e
Geronimo la Russa. In serata è
arrivata anche la risposta di
Unipol, affidata a un comunicato
stampa. Unipol "Richiama" Premafin
agli obblighi contrattuali e
sottolinea, che la posizione di
Ugf e della cordata Sator-Palladio
"non sono tra loro in alcun modo
comparabili" e che un eventuale
differimento dei tempi per
procedere al completamento
dell'operazione arrecherebbe "a
Ugf e Premafin danni gravissimi e
irreparabili". L'invito è "a
portare a compimento l'aumento di
capitale" deliberato lo scorso 12
giugno sottolineando che qualora
ciò non avvenisse si verificherà
"un grave inadempimento".
Gabetti e
Grande Stevens tornano a processo
per aggiotaggio informativo sul
convertendo Fiat DEL 2005.
La Cassazione
ha annullato le assoluzioni
accordate ai due ex vertici di
Ifil ed Exor nell'ambito del
procedimento per aggiotaggio
informativo. Ma la prescrizione è
prevista per febbraio 2013. IL
CASO: nel settembre 2005,
segretamente, la IFIL controllata
Agnelli comprava il 10% delle
azioni FIAT dalla altrettanto
controllata EXOR che le deteneva
attraverso un equity swap, ovvero
una cessione di pacchetti azionari
attraverso un prezzo concordato
futuro allo scopo di tutelarsi da
eventuali oscillazioni dell'azione
stessa. Ogni azione acquistata
dalla IFIL pesava 6,5 euro quando
sul mercato l'azione valeva 8
euro. In questo modo gli Agnelli,
con quel 10% di azioni rastrellate
fuori mercato,mantenevano quel 30%
di controllo azionario necessario
per mantenere la maggioranza a
fronte di un prestito di 3
miliardi di euro chiesto alla
banche nel 2002 che, a scadenza,
nel settembre 2005, si sarebbe
convertito in azioni di proprietà
delle banche che avrebbero messo
gli Agnelli in minoranza.
L'operazioni di derivati così
disegnata naturalmente di per se'
non e' fuorilegge, ma è illegale
diramare un comunicato stampa, il
24 agosto 2005, nel quale IFIL(Agnelli)
dichiarava, in virtù della
scadenza del prestito bancario,
che non c'erano in vista
operazioni finanziarie tali per il
mantenimento della maggioranza
azionaria. In virtù di quel
comunicato stampa l'azione crebbe
in maniera artificiosa
determinando in tal modo un
risparmio notevole agli Agnelli
messi alle strette, scongiurando
altresì una eventuale OPA da parte
di concorrenti.
MILANO
- La Cassazione ha
annullato le assoluzioni accordate
a Gianluigi Gabetti e a Franzo
Grande Stevens nell'ambito del
processo Ifil-Exor per aggiotaggio
informativo. In particolare, la
quinta sezione penale, accogliendo
il ricorso della Procura di
Torino, della Procura generale e
della Consob nei confronti di
Gabetti, di Grande Stevens, della
Ifil Investments e della Giovanni
Agnelli Sapaz, ha disposto un
rinvio alla Corte d'Appello di
Torino per il giudizio di secondo
grado.
Il presunto reato, in ogni caso,
dovrebbe risultare prescritto già
nel febbraio del 2013. La
decisione della Cassazione non
riguarda la terza figura chiamata
in causa, Virgilio Marrone, per il
quale l'assoluzione resta dunque
confermata. Tuttavia saranno
processate anche due "persone
giuridiche", la Exor (ex Ifil) e
l'accomandita Giovanni Agnelli
Sapaz. La vicenda è legata all'equity
swap Ifil-Exor, la complessa
operazione finanziaria che nel
settembre del 2005 permise a Ifil
di conservare il controllo della
Fiat. Il processo, nel quale viene
ipotizzato l'aggiotaggio
informativo, riguarda soltanto un
comunicato diffuso da Torino (su
richiesta della Consob) il 24
agosto di quell'anno in cui veniva
spiegato che, pur essendo in vista
del convertendo con le banche, non
erano in programma o allo studio
iniziative particolari sul titolo
Fiat.
Nessun salvataggio è stato
possibile per la galassia dell’imprenditore
Salvatore Ligresti. Il
tribunale Fallimentare di Milano ha dichiarato
il fallimento di Imco
e Sinergia, le holding
personali della famiglia. Il buco che ha portato
i giudici, coordinati dal presidente Filippo
Lamanna, ammonterebbe a circa 110
milioni di euro (400 di indebitamento e
290 di attivi, ndr). Ieri i legali delle due
società avevano chiesto ai giudici due settimane
di tempo per presentare un piano di
ristrutturazione del debito, ma il tribunale,
con i giudici Roberto Fontana e Filippo
D’Aquino, ha bocciato l’istanza.
Ligresti è indagato per concorso in aggiotaggio
nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta
manipolazione delle azioni Premafin
La Procura di Milano,
che aveva chiesto fallimento per le due holding
dei Ligresti poco meno di due mesi fa, ieri
si era opposta alla richiesta di tempo da parte
di Ligresti, spiegando in sostanza che c’era
incertezza riguardo agli investitori che
avrebbero dovuto, secondo la bozza del piano di
salvataggio, sottoscrivere le quote del fondo
immobiliare Hines, il quale avrebbe dovuto
accollarsi 243 milioni di debiti
e versare 50 milioni cash. Inoltre, il pm aveva
avanzato seri dubbi su alcune operazioni
sospette ancora in atto, a suo dire, da parte di
Imco e Sinergia con parti correlate, e avrebbero
drenato risorse soprattutto da Milano
Assicurazione. Bocciata dunque la richiesta di
rinvio per il piano di salvataggio, è scattato
il fallimento delle due holding.
Dovuto, secondo quanto scrivono i giudici nel
provvedimento, anche alle “banche creditrici non
si sono dimostrate disponibili a finanziare
direttamente” l’accordo “di ristrutturazione”
del debito di Imco. I magistrati spiegano
inoltre che l’accordo con le banche creditrici
“non è stato per nulla raggiunto”. Ma non solo,
secondo i giudici c’erano “rischi di
inquinamento dei valori di mercato
delle partecipazioni e di aggiotaggio
relativo alle società collegate, alcune delle
quali quotate in borsa”. Anche per questo,
secondo il collegio, non si è potuto concedere
“un ulteriore differimento”, considerando anche
il fatto che “la richiesta di rinvio” non era
supportata “da sufficienti elementi di serietà”.
Il fallimento non dovrebbe
avere conseguenze sul riassetto del gruppo
Fondiaria-Sai previsto con il
piano Unipol e la prevista
fusione. “Le due cose – ha spiegato l’ad di
Unicredit, Federico Ghizzoni
prima della notizia del fallimento sono legate
dal filo conduttore della famiglia, ma le
aziende sono separate”.
Premafin dice sì ad Unipol
e si salva dal fallimento sbugiardando i
Ligresti
Al termine di un Cda durato
sei ore la Holding che controlla Fonsai
smentisce gli azionisti di riferimento, i
Ligresti, ed accetta il concambio proposto dal
gruppo bolognese
MILANO - Premafin accetta la
proposta di Unipol e si salva, almeno per ora,
dal fallimento. Al termine di un cda durato
quasi sei ore e terminato a notte fonda la
holding che controlla Fonsai ha scelto di
'vivere' nonostante la decisione dei suoi
azionisti di riferimento, la famiglia Ligresti,
di rompere con Bologna per puntare sull'offerta
di Sator e Palladio, mettendo a rischio la
continuità aziendale.
"Sono stati confermati i concambi che assegnano
a Premafin lo 0,85% del nuovo gruppo. Premafin
va avanti con Unipol" ha riferito un consigliere
al termine della riunione. Scegliendo di stare
con Bologna, Premafin può ancora sperare nella
ristrutturazione del debito da parte delle
banche creditrici, condizione necessaria per
poter approvare nell'assemblea in programma
martedì il bilancio nel presupposto della
continuità aziendale. Pur "in un contesto
estremamente fluido" e "pur continuando a
sussistere plurime incertezze", tra cui la
decisione di Paolo e Jonella Ligresti di non
rinunciare alla manleva e al recesso, la
holding, si legge in una nota emessa su
richiesta della Consob, non ritiene che vi siano
"elementi di novità incontrovertibili tali da
indurre a mutare risolutivamente parere" in tema
di continuità aziendale.
Superato il primo esame ora il piano di
integrazione con Unipol deve passare al vaglio
dei cda di Fonsai e Milano Assicurazioni in
programma domani. Decisivo, oltre al parere dei
board, sarà quello del comitato degli
indipendenti che ha il potere di
bocciare la proposta arrivata
da Bologna. Una proposta che ha confermato i
concambi avanzati dalle tre società dei Ligresti
ma che ha respinto alcune delle richieste
aggiuntive apposte da Fonsai e Milano
Assicurazioni. Intanto le banche creditrici di
Premafin tengono alto il pressing sulla holding.
Gli istituti confermano l'intenzione di
procedere all'escussione del pegno sulla quota
in Fonsai qualora il piano di integrazione con
Unipol, sponsorizzato da Mediobanca e Unicredit,
non dovesse andare per qualche ragione in porto.
In caso contrario gli istituti, a valle
dell'assemblea di Premafin in agenda martedì,
sono pronti a firmare la ristrutturazione del
debito indispensabile per approvare il bilancio
sul presupposto della continuità aziendale.
Perchè ciò avvenga, oltre alle delibere dei cda,
è necessario che l'assemblea di Premafin dia il
via libera all'aumento di capitale da 400
milioni riservato a Unipol. In quella sede si
vedrà se i Ligresti stanno bluffando o se
porteranno il loro azzardo fino alle estreme
conseguenze bocciando la ricapitalizzazione e
condannando Premafin al fallimento. Per ora la
famiglia si è detta unita, nonostante solo Paolo
e Jonella abbiano comunicato la loro decisione
"irrevocabile" di non voler rinunciare a manleva
e recesso.
Ma, secondo alcune voci, Giulia Ligresti,
presidente di Premafin, inizierebbe a nutrire
dei dubbi sulla scelta dei fratelli, anche in
ragione dei rischi legali che correrebbe in caso
di default di Premafin. Infine il cda della
holding, in risposta alla richiesta di Fonsai,
ha deliberato "di verificare in tempi rapidi con
quest'ultima e con il sistema bancario" la
proposta di Sator e Palladio dando mandato a
Giulia Ligresti e al consigliere indipendente
Luigi Reale per gli approfondimenti. In ogni
caso, ha ribadito oggi Unipol con una lettera,
per la holding resta il vincolo di esclusiva con
Bologna.
L'imprenditore,
proprietario dell'emittente, aveva ha chiesto ai giudici europei di
riconoscergli un maxi indennizzo di due miliardi per non aver potuto
trasmettere perché non aveva frequenze su cui farlo sostenendo che le scelte
non erano dovute a impedimenti tecnici ma politici.
Secondo la Corte, nel non
assegnare le frequenze a Europa 7 le autorità italiane non hanno rispettato
“l’obbligo prescritto dalla Convenzione europea dei diritti umani
di mettere in atto un quadro legislativo e amministrativo per garantire
l’effettivo pluralismo dei media”. L’Italia è stata quindi condannata per aver
violato il diritto alla libertà d’espressione.
All’emittente televisiva è stato quindi riconosciuto il diritto a un
risarcimento di 10 milioni di euro per danni morali e di 100 mila euro per le
spese legali sostenute per presentare il ricorso a Strasburgo.
Arriva così al suo epilogo una
storia cominciata nel luglio del 1999 quando Europa 7,
in base alla legge n.249 del 1997, ottenne la licenza per trasmettere
attraverso tre frequenze per la copertura dell’80% del territorio nazionale.
Tuttavia l’emittente ebbe l’effettiva possibilità di iniziare a trasmettere
solo nel 2009 e su una sola frequenza. Nel condannare l’Italia la Corte ha
sottolineato come, avendo ottenuto la licenza, Europa 7, potesse
“ragionevolmente aspettarsi” di poter trasmettere entro massimo due anni. Ma
non ha potuto farlo perchè le autorità hanno interferito con i suoi legittimi
diritti con la continua introduzione di leggi che hanno via via esteso il
periodo in cui le televisioni che già trasmettevano potevano mantenere la
titolarità di più frequenze. Di Stefano, proprietario
dell’emittente, aveva ha chiesto ai giudici europei di riconoscergli il maxi
indennizzo per non aver potuto trasmettere per anni perché non aveva frequenze
su cui farlo. Con la sentenza i giudici hanno innanzitutto stabilito che
negando le frequenze a Europa 7 le autorità italiane hanno violato il diritto
alla protezione della proprietà privata e quindi causato un danno
economico all’emittente. Durante l’udienza pubblica che ha avuto
luogo lo scorso ottobre i difensori dello Stato italiano avevano
sottolineato che Di Stefano è stato già risarcito nel 2009, quando il
Consiglio di Stato gli ha riconosciuto una compensazione di un milione di
euro. Oltre alla questione strettamente economica, i giudici dovevano
stabilire tra l’altro se le scelte del governo siano state dovute a reali
impedimenti tecnici, oppure, come sostenuto da Di Stefano, da motivazioni
politiche.
”La condanna che arriva dalla
Corte europea dei diritti umani sul caso Europa 7 è solo la conferma dei danni
prodotti da Berlusconi e dal suo governo” afferma in
una nota il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. L’ex presidente
del Consiglio ha utilizzato a proprio uso e consumo le istituzioni, piegandole
ai propri interessi e calpestando la democrazia e
l’informazione. L’Italia dei Valori, che per prima ha portato avanti la
battaglia per ristabilire le regole sull’attribuzione delle
frequenze, continuerà a battersi affinchè nel nostro Paese venga
affermato lo stato di diritto e risolto una volta per tutte il conflitto
d’interessi. L’emittente televisiva Europa 7 è stata vittima di un vergognoso abuso perpetrato per anni e per questo nessun
risarcimento sarà mai abbastanza”.
SNAI IN FORTE
CRISI: MEZZO MILIARDO DI EURO DI DEBITI
San Siro, in
vendita l'area dell'ippodromo
Snai costretta a cedere, vale 160
milioni
I terreni e
le piste di trotto e di
allenamento di Trenno saranno
venduti al miglior offerente.
Snai, la proprietaria, entro un
anno dovrà restituire ai
creditori 250 milioni. Ora,
fallita la strada di un bond,
resta solo la cessione. In
bilancio gli immobili valgono 90
milioni, ma si spera di farli
fruttare quasi il doppio
di Sara
Bennewitz
Ora che è
fallito anche l’ultimo tentativo
di reperire nuovi finanziamenti
sul mercato, Snai è costretta a
vendere i suoi gioielli. Il gruppo
delle scommesse ippiche entro un
anno dovrà rimborsare ai suoi
creditori circa 250 milioni di
euro e così ora le banche fanno
pressione sulla società affinché
venda il prima possibile i terreni
e le aree adiacenti allo stadio di
San Siro.
Per mesi il gruppo guidato da
Maurizio Ughi aveva provato a
cercare una soluzione alternativa.
A metà dicembre la società aveva
interrotto le trattative con il
fondo di private equity
Bridgepoint per cedere l’attività
dei giochi, mentre questa
settimana dopo lunghe trattative è
sfumata anche la possibilità di
reperire sul mercato 350 milioni
attraverso il lancio di
un’obbligazione ad alto rischio.
Il costo di questa emissione era
lievitato a un interesse del 10,5
per cento (37 milioni all’anno), e
tale da assorbire circa un terzo
dei margini generati dal gruppo
dei giochi. Troppo.
Le banche, dunque, hanno preferito
accantonare l’idea del bond e
studiare un nuovo piano per
risolvere l’emergenza debito. E
così, dopo aver provato invano a
trovare una soluzione alternativa,
a questo punto la strada migliore
per risolvere i problemi
finanziari di Snai è vendere i
terreni del parco di Trenno e
tutte le strutture adiacenti allo
stadio di San Siro (tranne quella
del galoppo, che è vincolata). In
bilancio gli immobili hanno un
valore di circa 90 milioni, ma
potrebbero fruttare quasi il
doppio e permettere alla società
di dimezzare la sua esposizione
con le banche. Un vecchio accordo
tra Snai e un partner immobiliare
valutava queste attività 260
milioni. Ma oggi, secondo le
banche creditrici, sarebbe
impossibile realizzare una simile
somma, anche perché Snai ha poco
tempo per chiudere l’operazione e
quindi non può aspettare né i
tempi della burocrazia, né quelli
di un’e ventuale ripresa del
mercato immobiliare che ancora
scricchiola. Ma facciamo un passo
indietro. Il 15 maggio del 2007
Snai stipulò un accordo con un
advisor immobiliare, Varo, e una
società di sviluppo, Losito &
Associati, dandogli un’esclusiva
per trattare la vendita e
offrendogli anche un diritto di
prelazione ad acquistare queste
aree al prezzo di 260 milioni. Era
inteso che, se fosse cambiato il
piano regolatore milanese e Snai
avesse ottenuto l’edificabilità di
parte di questi terreni, Losito &
Associati avrebbe pagato 1.500
euro in più per ogni metro quadro
edificabile. Ma così non è stato.
Il contratto firmato due anni fa
avrebbe dovuto scadere con la fine
del 2012.
Snai non può aspettare tanto,
tuttavia, e il prezzo pattuito con
Losito & Associati è comunque
fuori mercato. Per questo
Unciredit, banca di riferimento
del gruppo dei giochi, vorrebbe
chiudere il vecchio accordo sugli
immobili e nominare un nuovo
advisor di livello internazionale
per gestire la vendita il prima
possibile e al miglior prezzo. A
questo proposito, il partner
ideale di Snai potrebbe essere
Cushman & Wakefield, società
americana che è controllata dalla
Exor della famiglia Agnelli. Data
l’esperienza e la clientela di
riferimento a cui si rivolge
Cushman & Wakefield, i tempi della
trattativa potrebbero accorciarsi
notevolmente e consentire a Snai
di chiudere l’operazione entro il
marzo 2011, quando la società
dovrà rimborsare alle banche e
agli altri creditori 250 milioni
di debito.
Concentrati sullospread,
abbiamo perso di vista ilPil.
Ma il dato diffuso dall’Istat ieri ricorda che l’Italia ha un
problema più urgente del costo del debito pubblico, la recessione.
Nel secondo trimestre del 2012, tra marzo e giugno, la ricchezza
prodotta è diminuita dello 0,7 per cento rispetto al trimestre
precedente. E di ben il 2,5 per cento nel confronto con lo stesso
periodo del 2011. Se il Pil rimanesse immobile fino a dicembre
avremmo comunque un crollo del 1,9 per cento (la “variazione
acquisita”). Purtroppo, invece, il Pil continuerà a scendere. Le
cose non andavano così male dal 2009, quando la crisi travolse
l’economia reale italiana, con un tracollo del 5 per cento. Il
governatore della Banca d’ItaliaIgnazio
Viscoha già avvertito che la crescita resterà negativa
anche per tutto il 2013.
Al Presidente del ConsiglioMario
Montirestano
tre opzioni: continuare come se niente fosse, annunciare una nuova
manovra correttiva o chiedere gli aiuti europei, come hanno fatto
Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo e Cipro. NelDef,
il Documento di economia e finanza presentato in aprile, il governo
ha impostato la politica economica su un Pil ben diverso: -1,2 per
cento. Già allora sembrava un eccesso di ottimismo , ma il premier
aveva la necessità contabile di salvare almeno formalmente
l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013 (il deficit è cifrato
a -1,7 nel 2012 e -0,5 nel 2013). “L’impatto dell’aggravamento della
recessione sul deficit sarà di circa un punto: nel 2013 sarà 1,4
invece che zero virgola”, spiega Stefano Fantacone, economista del
Centro Europa Ricerche. Quindi, se Monti volesse rispettare gli
obiettivi che ha preso con i mercati, dovrebbe trovare circa un
punto di Pil, 16 miliardi.
Ma fare un’altra manovra rischia di peggiorare le cose, nuovi tagli
e nuove tasse aggraverebbero la crisi. “La recessione del 2009
dipendeva soprattutto dal crollo delle esportazioni. Che poi si sono
riprese. Questa volta sono i consumi delle famiglie che si stanno
riducendo drasticamente, scenderanno del 2,5 per cento, forse del 3
per cento” avverte Fantacone. Il governo ha comunque pronte le leve
per agire su entrate e uscite, con il taglio delle agevolazioni
fiscali (che per molti significherebbe un aumento delle imposte) e
con il rapporto elaborato dal professor Francesco Giavazzi sulla
riduzione dei sussidi pubblici alle imprese. Ma, se può, Monti
eviterà altri interventi recessivi. Il governo – anche se non può
ammetterlo – sta riconoscendo che il rigore imposto dalla Germania
aggrava problemi già seri.
Restano le altre due opzioni. Monti ancora non ha scelto, sono
entrambe ad alto rischio. Larichiesta
di aiuti al fondo europeo salva Stati Efsfper
ridurre lo spread diventa più probabile con il precipitare della
recessione: gli aiuti non andrebbero all’economia reale, ed è
probabile che la troika Ue-Fmi-Bce imponga altri sacrifici in cambio
del sostegno (anche se il premier sta facendo di tutto per limitare
queste “condizionalità”). Ma unariduzione
del costo del debito, grazie all’acquisto di titoli di
Stato già in circolo o direttamente alle aste, potrebbe limare la
spesa per interessi (circa 85 miliardi all’anno) quel tanto
che basta da rendere non più necessarie le temute manovre
correttive. Nell’intervista di ieri al Wall Street Journal, Monti
dice: “Quello che chiediamo è che le autorità europee certifichino
la buona condotta dell’Italia traducendola in interventi per tenere
gli spread entro limiti ragionevoli”. In ogni dichiarazione pubblica
Monti si avvicina sempre più alla richiesta esplicita di sostegno,
soltanto un mese fa diceva che il “meccanismo anti-spread”
all’Italia non sarebbe servito.
La terza ipotesi è la più rischiosa, ma anche con i benefici
maggiori, se le cose vanno bene:restare
immobili e aspettare. Sempre al Wall Street Journal Monti
assicura che “non ho dubbi che la notte prima della disintegrazione
dell’euro la Bce farebbe quello che serve per salvare l’euro”.
Ovvero: se c’è l’emergenza, Mario Draghi comprerà debito italiano (e
spagnolo) con o senza la richiesta di aiuto posta oggi come
condizione (con il conseguente memorandum di impegni da firmare). Ci
vogliono nervi molto saldi, però, e sperare che tutto vada liscio. A
giudicare dalla gaffe di ieri e dalla successiva smentita – “con il
governo precedente lo spread sarebbe a 1200” – anche quelli di Monti
cominciano a risentire dello stress.
Secondo
l'accusa i lavoratori venivano
sottoposti a turni di 18-20 ore al
giorno senza sicurezza né tutele. Il
tutto arriva mentre per l'ex
stabilimento di Faenza ancora molti
aspetti sono in alto mare. Per le
operaie in attesa di essere
ricollocate e i sindacati è una
doccia gelida. "Speriamo che non
saltino gli accordi presi"
di
È
stato condannato in primo grado
Franco Tartagni,
presidente della Atl
Group di Forlì, che
poi sarebbe il nuovo proprietario
dell’Omsa. La “sentenza storica”,
come l’hanno definita Elena Ciocca
e Manuela Amadori, le piccole
imprenditrici che denunciarono gli
illeciti, è stata emessa dal
giudice Giorgio Di Giorgio nei
confronti di 4 imprenditori cinesi
e 4 italiani, implicati
nell’inchiesta sulla Divanopoli
forlivese.
Nella lista
dei condannati italiani, 1 anno a
testa, spicca oltre a Silvano
Billi, Luciano Garoia ed Ezio
Petrini (delle ditte Polaris e
Cosmosalotto) il nome di Tartagni,
titolare della Tre Erre, un grande
mobilificio confluito nella Atl
Group che ha recentemente
acquisito il sito produttivo
dell’Omsa di Faenza.
L’indagine
degli inquirenti prese il via nel
2009 e iniziò a far luce su
diverse irregolarità compiute ai
danni di piccoli imprenditori
contoterzisti, i cui diritti
venivano violati, favorendo la
manodopera cinese a basso costo,
per abbattere i costi di
produzione dei mobili.
È
l’ennesima doccia
fredda per le 140 ex operaie
dell’Omsa che in
questi mesi sono impegnate in un
periodo di formazione
professionale con la
Atl Group. L’azienda
con l’aiuto delle istituzioni (dal
Ministero dello sviluppo
economico, alla Regione Emilia
Romagna, al Comune di Faenza) ha
potuto rilevare i due grandi
capannoni di via Pana, appartenuti
per decenni alla multinazionale
Golden Lady. Ora che le donne
dell’Omsa iniziavano cautamente a
tirare il fiato si sentono finite
dalla padella alla brace: il fatto
che l’azienda sia stata comprata
da un condannato è tutto meno che
un buon biglietto da visita.
“Secondo
me questa è una sentenza
importantissima, dal punto di
vista del diritto – ha commentato
il pubblico ministero
Fabio Di Vizio che da
tre anni segue la vicenda. Lo è
per la tutela della garanzie dei
lavoratori. Il profilo
etico-sociale è importante, ma qui
oggi ha vinto il diritto”.
La
condanna è arrivata in seguito
all’accertamento di una
strutturale violazione delle norme
della sicurezza sul lavoro.
Nell’intesa criminale tra
imprenditori forlivesi e cinesi
l’imperativo categorico era
abbattere i costi di produzione,
bypassando le disposizioni più
elementari sui diritti degli
operai in fabbrica: ciò significa
turni di lavoro da
Inghilterra del ‘700:
gli operai, perlopiù cinesi, erano
costretti a lavorare per 18-20
ore, in ambienti spesso
inadeguati, senza servizi
igienici, né tutele di alcun tipo.
La pausa pranzo ovviamente era un
optional.
Tra le
condanne comminate ai cinesi
quelle di 2 artigiani: un anno e
nove mesi per loro. Altri 2 se la
sono cavata con un anno e mezzo e
9 mesi. I quattro uomini sono
stati riconosciuti colpevoli di
rimozione e omissione dolosa delle
cautele atte a prevenire infortuni
sul lavoro.
Il giudice
Di Giorgio ha disposto anche, per
i soli imputati forlivesi, che
rifondano le spese legali: 1800
euro per ciascuna delle parti
civili costituitesi a processo: si
tratta dei Comuni di Forlì,
Bertinoro e Castrocaro e della
Camera di Commercio. Il valore
economico del danno da loro subito
verrà stabilito in un secondo
tempo dal giudice di parte civile.
Intanto il
pool dei 4 avvocati della difesa
(Marco Martines, Guido Magnisi,
Massimo Beleffi e Filippo Poggi)
prepara il ricorso in appello. La
loro tesi è che non ci sia mai
stata una sinergia delittuosa tra
italiani e cinesi: sostengono
infatti che i loro assistiti
fossero semplici committenti dei
cinesi, che avrebbero gestito
autonomamente le fabbriche.
“Per noi
questa sentenza è la vittoria più
importante” dichiarano le
imprenditrici Ciocca e Amadori,
due donne che hanno aperto gli
occhi a un’intera città,
costringendola a guardare. “Ci
serve a dare uno schiaffo a chi
non ci ha creduto e si è permesso
di dire che davamo la caccia alla
streghe”.
Intanto è
forte la preoccupazione tra chi si
è battuto da sempre a fianco delle
operaie ex-Omsa.
“La Regione, quando si discusse
dell’acquisizione, si era fatta
garante e la vicenda della TreErre
non sembrava nulla di
preoccupante” ammette Samuela Meci
della Filctem Cgil di Faenza.
“Dovremo stare attenti e vigilare,
oggi più che mai, affinché non ci
siano ripercussioni negative per
le lavoratrici che stanno
svolgendo il loro training all’Atl”.
“Non
conoscendo ancora le motivazioni
della sentenza non esprimo giudizi
sull’aspetto legale” – commenta
Antonio Cinosi,
segretario Cisl per la provincia
di Ravenna. “In un momento
delicato come è questo – continua
– la notizia non può certo
favorire il prosieguo regolare
della riconversione produttiva.
L’auspicio è che non salti, anche
per l’insorgenza di eventuali
motivi giuridici ostativi, un
processo lungo che abbiamo seguito
per due anni”.
senza petrolio si fermerebbe. I
primi cinque Paesi da cui lo importiamo
sono Arabia Saudita, Azerbaijan, Iran,
Libia e Russia. L'Italia era il partner
principale della Libia,
dove, dopo la guerra a Gheddafi (oggi è
presidente un suo ex-ministro...) conta
come il due di picche. L'influenza
commerciale sull'area si è spostata a
Washington e a Parigi. Con la Libia ci
siamo comportati né più né meno come
nelle guerre mondiali. Abbiamo bombardato un Paese con cui
avevamo stipulato un trattato di pace.
Voltagabbana per vocazione. Adesso è il turno dell'Iran dal
quale l'Italia importa il 13% del
greggio annuale e con cui l'ENI fa da
sempre buoni affari.
Alla Farnesina, qualche giorno prima di
Natale, mentre ci si occupava di amenità
come il prelievo massimo in contanti dei
pensionati, si è tenuta una riunione con
la presenza, tra gli altri, dei
rappresentanti di Stati Uniti, Canada,
Francia, Germania, Gran Bretagna e
Italia (c'era anche un funzionario della
UE a fare da tappezzeria) per discutere
delle sanzioni all'Iran. Una
barzelletta, rappresentanti dei Paesi
europei che discutono con la UE che li
rappresenta. La UE in politica estera
dovrebbe avere una sola voce.
In sostanza le sanzioni
all'Iran si traducono in un embargo. Non
si compra più il suo petrolio in modo
che non possa investire i profitti nel
riarmo. L'Italia però, pur aderendo, ha
invocato il "pregresso", i
crediti che ha nei confronti dell'Iran
che quindi le consentirebbero di
importare greggio anche durante
l'embargo. Chapeau!
L'Iran non ha digerito le sanzioni che
strangolerebbero la sua economia e ha
minacciato la chiusura dello
stretto di Hormuz dal quale
transitano 17 milioni di barili al
giorno, pari al 20% del petrolio
mondiale che viene commerciato e, per
sicurezza, ha fatto dei test per missili
a largo raggio. Gli Stati Uniti hanno
replicato con l'invio della portaerei USS John C. Stennis.
Il Pentagono ha spiegato che "Si
tratta di spostamenti che avvengono
regolarmente per garantire la stabilità
della Regione". Se venisse bloccato
anche solo temporaneamente lo stretto di
Hormuz, il prezzo del barile
schizzerebbe a 150 dollari (la media del 2011 è stata di
100). Gli americani stabilizzano i Paesi
dove sono presenti i loro interessi. Il
pianeta è cosa loro. La Ue invece, come
le stelle fisse, resta a guardare.
Cina e Russia hanno
dichiarato che non potranno tollerare un
intervento degli Stati Uniti contro
l'Iran. Hormuz come Danzica? L'Italia non deve
preoccuparsi, è senza una
politica estera, ma vanta "crediti
pregressi".
ll governatore della Lombardia sotto inchiesta dalla Procura di Milano per i
70 milioni di euro che la Fondazione Maugeri ha pagato a Pierangelo Daccò e
per il mezzo milione di euro delle elezioni regionali 2010. Lo scrive il
Corriere della Sera. E spuntano anche delibere della Giunta a favore
della Fondazione LE SETTE DOMANDE AL PRESIDENTE /
LO SPECIALE
Il lobbista è stato
condannato per dieci capi di imputazione,
tra cui associazione per delinquere,
favoreggiamento, rivelazione di segreto e
corruzione. Non potendo beneficiare della
sospensione della pena, quando la sentenza
passerà in giudicato, l'uomo d'affari, che
ora è libero, dovrà essere di nuovo
arrestato.
L'uso del
termine P4, con cui è ormai nota
l'associazione a delinquere, non è
soltanto frutto del mondo del giornalismo,
che pure, per ovvie esigenze, si è sentito
autorizzato a richiamare alla mente dei
lettori un termine già noto (quello, cioè,
della loggia massonica
Propaganda
Due,
detta P2, di
Licio Gelli),
ma si deve anche all'esplicita connessione
di uno dei più rilevanti protagonisti
della stessa P4,
Luigi
Bisignani,
alla loggia di
Gelli
alla quale è stato iscritto, come risulta
dagli elenchi rinvenuti a
Castiglion
Fibocchi[1]
COME DICIAMO DA ANNI: LA CRISI NON ESISTE!!!
DISOCCUPAZIONE,CROLLO DELLA PRODUTTIVITA', SONO TUTTE STRONZATE. O MEGLIO:
ESISTE SOLO QUANDO NE VIENI COLPITO PERSONALMENTE, ALTRIMENTI, NON ESISTE UN
CAZZO DI NIENTE, SONO TUTTE PUTTANATE!!OggiSyriza si candida ad essere il primo
partito di Grecia e a vincere le elezioni di domenica,
probabilmente le più delicate della storia dell’Unione Europea. Alex
Tsipras, il giovane leader del partito (38 anni), ha promesso di
mantenere la Grecia nell’Europa e nell’Euro, ma vuole
discutere da capo il “memorandum” che detta la linea alla politica ellenica in
cambio dei finanziamenti che servono a evitare la bancarotta. I
sondaggi parlano di un testa a testa con i conservatori di
Nuova Democrazia di Antonis Samaras. I sostenitori di Syriza ci
credono e come il loro leader, allontanano scenari apocalittici: “Se vinciamo
non sarà la fine dell’euro”, commenta un ragazzo, “ma l’inizio di un nuovo
corso di liberazione per i popoli europei”. Di certo, non è la prospettiva del
default a mettere paura: “Cosa significa fallire?”, chiede
Aris, ingegnere civile di 29 anni, disoccupato. “Noi siamo già falliti, come
paese: abbiamo 2 milioni di disoccupati, 25 mila persone che vivono in strada
solo ad Atene, migliaia di persone che avevano un lavoro e una vita stabile e
oggi per mangiare devono fare la fila alle mense pubbliche”(18 giugno 2012)
"Abbiamo ripreso il
controllo del potere in Egitto". A dare l'annuncio è il Supremo Consiglio
delle forze armate dopo le pronunce della corte Suprema che ha ritenuto
incostituzionali le scorse elezioni e l'esclusione degli ex di Mubarak dalla
competizione elettorale
Un nuova strage di
civili ha insanguinato la Siria nel 63esimo venerdì di proteste contro il
regime. A Hula, nella provincia ribelle di Homs, le forze di sicurezza del
regime di Bashar al-Assad hanno ucciso un centinaio di persone nel corso di un
bombardamento (26-05-2012)
Potenti esplosioni fanno tremare
la capitale siriana, facendo innalzare colonne di fumo. Tra le vittime anche
alunni che andavano a scuola. Testimoni raccontano l'orrore e donne in lacrime
nella zona. Ancora denunce dell'opposizione: decine uccisi o arrestati negli
ultimi giorni di A. STABILE
Si è conclusa la
pesante offensiva nella
capitale e varie province dell'Afghanistan: 47 vittime in totale. Attacchi ad
ambasciate, Parlamento e Isaf.
Il racconto di Andrea Cucco:
"Sparatorie ovunque". La rivendicazione: "Vendetta per profanazioni marines"
/ Mappa
L’escalation di violenze nei primi mesi del 2012
dovrebbe far riconsiderare la definizione di frozen conflict con cui è stato
definito il contesto macedone, circa due milioni di abitanti un quarto dei
quali albanesi stabiliti principalmente nel nord. Con un tasso di
disoccupazione del 30% di Alessandro Cesarini
Polemico addio su Twitter del
colonnello che ha inflitto 98 miliardi di multa alle concessionarie del
gioco d'azzardo di Stato. Sue anche le principali inchieste delle Fiamme
gialle sul cyber crime. "Cancellati 37 anni di sacrifici, momento difficile
e indesiderato"
Accuse incrociate
dopo
il voto che ha
salvato il senatore
dagli arresti domiciliari. il
leghista: "Abbiamo votato compatti,
si guardi tra dc e vecchi compagni".
Di Pietro polemico coi democratici.
Saviano: "E' scambio". La replica
della Finocchiaro: "E' offensivo"
Sparatoria
nell'appartamento dove l'assassino della scuola
ebraica era asserragliato da oltre 30 ore. Ha
resistito fino all'ultimo. Sarkozy aveva detto:
"Lo voglio vivo".....povero scemetto, si spera
vivamente che questa gentaglia messa al potere
senza arte ne parte venga spazzata via, dal voto
naturalmente. Per quanto riguarda lo stragista,
troppi lati oscuri non fanno pensare ad un
terrorismo tout court solo ed essenzialmente
incagliato nella jihad. La prossimazione e la
pochezza dell'informazione, non solo in
generale, ma anche di intelligence, non fa che
ghettizzare un malessere interno che a noi
risulta inspiegabile...
Conflitto a fuoco e
tre agenti feriti nella notte in un edificio non
lontano dalla scuola ebraica. La polizia è certa
che il giovane di 24 anni sia il responsabile
dell'attacco di martedì. Arrestato il fratello.
La svolta dall'omicidio del primo parà.
La Francia si è
fermata
per i funerali dei 3 bambini e del rabbino (Foto
- Video)
La Cassazione: "Berlusconi
pagò
e Dell'Utri mediò con la mafia"
Nel dispositivo
della sentenza che ha annullato con rivio la
condanna per concorso esterno del senatore la
suprema Corte dice che è stato lui a trattare
con le cosche per assicurare la protezione della
famiglia del Cavaliere che tirò fuori "cospicue
somme"
ROMA - Silvio
Berlusconi pagò ("cospicue somme") le famiglie
mafiose per assicurarsi protezione e Marcello
Dell'Utri fece da mediatore nella trattativa.
Questo scrivono i giudici della Cassazione nelle
motivazioni della sentenza
1 che
ha annullato con rinvio la condanna per concorso
esterno a Dell'Utri. Spiegano i supremi giudici
- nella sentenza 15727 di 146 pagine - che in
maniera "corretta" sono state valutate, dai
giudici della Corte d'Appello di Palermo, le
"convergenti dichiarazioni" di più collaboratori
sul tema "dell'assunzione, per il tramite di
Dell'Utri, di Mangano ad Arcore, come la
risultante di convergenti interessi di
Berlusconi e di Cosa Nostra". Provata anche la
"non gratuità dell'accordo protettivo, in cambio
del quale sono state versate cospicue somme da
parte di Berlusconi in favore della mafia".
Per quanto riguarda l'assunzione del mafioso
Mangano come stalliere alla villa di Arcore, ad
avviso della Suprema Corte il dato di fatto
"indipendentemente dalle ricostruzioni dei
cosiddetti pentiti, è stato congruamente
delineato dai giudici di merito come indicativo,
senza possibilità di valide alternative, di un
accordo di natura protettiva e collaborativa
raggiunto da Berlusconi con la mafia per il
tramite di Dell'Utri che, di quella assunzione,
è stato l'artefice grazie anche all'impegno
specifico profuso da Cinà".
E se nel periodo in cui lavorò con Berlusconi il
rapporto con la mafia, secondo i giudici, va
provato il concorso esterno in associaizone
mafiosa nel periodo che va dal 1977 al 1982
quando Dell'Utri lavorava con Rapisarda.
In casa
dell'ex presidente della banca del Vaticano, carabinieri e pm trovano un
dossier riservato per
gli amici: "Se mi dovesse succedere qualcosa qui c'è scritto il perché. Ho
visto cose da far paura"
Ettore Gotti
Tedeschi temeva di essere ucciso e aveva preparato – come polizza sulla vita –
un memoriale sui i segreti dello Ior. L’ex presidente della cosiddetta banca
vaticana, dal settembre 2009 al maggio 2012, aveva consegnato un paio di
esemplari del dossier agli amici più fidati, con una postilla a voce: “Se mi
ammazzano, qui dentro c’è la ragione della mia morte”. Martedì scorso, una
copia del dossier è stata trovata dagli uomini del capitano Pietro Raiola
Pescarini, il comandante del Nucleo Operativo del Noe, quando i Carabinieri
hanno perquisito l’abitazione di Gotti su delega della Procura di Napoli.
Proprio per approfondire il contenuto del
dossier sullo Ior ieri sono decollati alla volta di Milano
(leggi)
i vertici della Procura di Roma
di Marco Lillo
L’indagine della Gendarmeria
vaticana sulla diffusione di documenti segreti “ha permesso di individuare una
persona in possesso illecito di documenti riservati”. A dichiararlo il capo
della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi,
spiegando che questa persona “si trova ora a disposizione della magistratura
vaticana per ulteriori approfondimenti”. E’ l’esito della “attività di indagine
avviata dalla Gendarmeria secondo istruzioni ricevute dalla Commissione
cardinalizia e sotto la direzione del Promotore di Giustizia” spiegano da Città
del Vaticano. Informato dell’accaduto Benedetto XVI si è
detto “addolorato e colpito”, come riferisce una fonte vicina al Papa, che
sottolinea come “si tratti di vicende dolorose” e come il Pontefice,
“consapevole della situazione” mostri “partecipazione” e sia appunto “addolorato
e colpito”.
Si tratta di Paolo
Gabriele, ‘aiutante di camera’ della famiglia pontificia, in
sostanza il cameriere del papa. Questa mattina Gabriele è stato ascoltato in un
interrogatorio dal promotore di giustizia vaticano, Nicola Picardi. Gabriele,
conosciuto come ‘Paoletto’ in ambienti vaticani, è uno dei laici ammessi
all’interno delle stanze degli appartamenti papali. Definito come una persona
semplice e molto devota al pontefice, fa parte della selezionatissima cerchia di
persone che lavorano a contatto con Benedetto XVI. Nello staff di collaboratori
del Papa figurano anche quattro laiche, coordinate da una suora tedesca.
Benedetto XVI aveva incaricato a
fine aprile i cardinali Herranz, presidente emerito della Pontificia Commissione
per i testi legislativi, Tomko, prefetto emerito della Congregazione
dell’Evangelizzazione dei popoli, e Salvatore de Giorgi,
arcivescovo emerito di Palermo, di far luce sulle ripetute fughe di documenti
riservati dagli archivi del Papa. Il promotore di giustizia della Città del
Vaticano, competente sul territorio, è il professor Nicola Picardi.
Secondo
Il Foglio.it, i cardinali Julian
Herranz, Josef Tomko e Salvatore
De Giorgi sarebbero infatti “insospettiti principalmente del fatto
che molti leaks usciti dal Vaticano sono lettere riservate del Papa”. Anche se,
aggiunge il quotidiano online, “secondo molti egli sarebbe vittima della volontà
del Vaticano di trovare in tempi brevi un colpevole di una carenza di governance
che non sa gestire. Insomma, un capro espiatorio in
mancanza di meglio”.
Una mole ingente di documenti
riservati tuttavia è stata trovata dalla Gendarmeria Vaticana in un appartamento
di via di Porta Angelica, dove Gabriele abita con la moglie e i tre figli.
Romano, poco più che 40enne, l’uomo lavora nell’appartamento pontificio dal
2006, ed è stato inserito nella “famiglia” del Papa dopo essere stato a servizio
del prefetto della Casa Pontificia, monsignor James Harwey. Ieri pomeriggio
Gabriele è stato prima fermato dagli agenti comandati dall’ispettore generale
Domenico Giani e poi interrogato dal promotore di
giustizia (cioè una sorta di pm), Nicola Picardi, che lo ha dichiarato in
arresto. A quanto si è appreso, i sospetti sul maggiordomo sono stati raccolti
dalla Commissione Cardinalizia che indaga sulle fughe di notizie direttamente
nell’appartamento del Papa. E se anche qualcuno ora si domanda in Vaticano se si
tratti del “Corvo” o di un “capro espiatorio”, sembra molto difficile che
l’arresto sia stato compiuto con leggerezza trattandosi di un “familiare” del
Papa.
Qualcuno infatti deve pur aver
trovato ieri il coraggio di avvertire Benedetto XVI di quanto stava accadendo
prima a casa del suo collaboratore e poi nella caserma della Gendarmeria. E si
può ben supporre che tali informazioni siano state presentate al pontefice con
prove assolutamente inoppugnabili. Anche se, ovviamente, resta da capire se
Gabriele, che finora godeva di unanime stima in Vaticano e anche tra i
giornalisti che lo conoscevano, abbia agito da solo, mosso da un malinteso senso
di giustizia, come accredita Gianluigi Nuzzi nel libro
“Sua Santita’”, dove sono pubblicate le “carte segrete” sottratte all’archivio
del Papa, oppure è parte di una più ampia cospirazione, volta a indebolire il
Papa e i suoi collaboratori. In proposito è da registrare che ieri venivano
fatte filtrare notizie su un possibile coinvolgimento del presidente uscente
dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, nella fuga dei
documenti riservati. Si e’ trattato probabilmente di un cortocircuito mediatico,
essendo in corso nelle stesse ore, a poche decine di metri di distanza,
l’interrogatorio di Gabriele e la drammatica seduta del
Consiglio di Sovrintendenza dello Ior che ha sfiduciato Gotti Tedeschi.
Il sito
Korazym.org, sempre molto attento a quel che
avviene alla banca vaticana, ipotizza oggi gli scopi di un eventuale mandante di
Gabriele: “La manovra – scrive – è chiara. Si vuole far vedere che la Curia è in
balia del vento, che il Papa non riesce a governare, che il segretario di Stato
è inutile e via di seguito. Ma i fatti invece dimostrano il contrario. I
problemi quando ci sono vengono affrontati direttamente e senza paura. E vengono
risolti: per ora – infatti – quello che è certo è che la sicurezza vaticana ha
svolto con efficienza l’indagine e che la commissione cardinalizia voluta dal
Papa ha saputo fare le dovute ricerche con discrezione ed efficacia”.
Non è la prima volta che un membro
della “famiglia pontificia” si macchia di una simile infedeltà. E’ noto infatti
il caso del dottor Riccardo Galeazzi Lisi, il medico di
Pio XII, che veniva “stipendiato” da alcuni vaticanisti
affinché li tenesse informati sulla salute del Papa, come ha raccontato in un
libro l’attuale decano della Sala Stampa della Santa Sede, Benny Lai.
Pio XII, una volta scoperto che Galeazzi Lisi lo tradiva, non lo rimosse,
semplicemente si limito’ a non rivolgergli più la parola. “Se vuole stare in
Vaticano che stia, ma faccia in modo che io non lo veda”, disse Papa
Pacelli, che non immaginava però fin dove sarebbe arrivato,
l’”archiatra corrotto” arrivato a fotografarlo sul letto di morte.
La condanna più pesante è per l'ex
governatore di Bankitalia. Un anno e 8 mesi ai vertici di Unipol, Giovanni
Consorte e Ivano Sacchetti, e un anno all'ex leader della Banca
lodigiana, Giampiero Fiorani. Assolto il senatore del Pdl Luigi Grillo
Condanne ridotte in appello per
i protagonisti della tentata scalata di Banca popolare italiana (Bpi) ad Antonveneta.
La Corte ha inflitto la pena più pesante, che riduce comunque
quella di primo grado (4 anni), all’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio,
condannato a due anni e mezzo di carcere. Poi un anno e 8 mesi ai vertici di Unipol, Giovanni Consorte
e Ivano Sacchetti (in primo grado 3 anni ad
entrambi), un anno e mezzo
all’imprenditore Luigi Zunino (2 anni e 8 mesi in
primo grado) e un anno all’ex leader della Popolare di Lodi Giampiero
Fiorani (un anno e 8 mesi in primo grado). Assolto invece il
senatore del Pdl Luigi Grillo che in primo grado era
stato condannato a 2 anni e 8 mesi. Inoltre la Corte ha revocato la confisca
di 39,6 milioni di euro a Unipol.
Dopo le dichiarazioni spontanee
rese questa mattina in aula da Consorte, i giudici
della quinta Corte d’appello si sono ritirati in camera di consiglio. Oltre
ai 16 imputati c’erano anche le due società Unipol e
Nuova Parva, condannate rispettivamente a pagare
230mila e 100mila euro. Cifre ridotte rispetto ai 900 mila e i 360 mila euro
chiesti nel primo processo.
Infine i giudici hanno assolto,
oltre a Grillo, tutto il gruppo dei ‘lodigiani’: Marcello
Dordoni, Giuseppe Ferrari Aggradi, Luigi Gallotta, Giampiero Marini,
Luigi Acchiarini, Paolo Raimondi,
Sergio Tamagni e Carlo Baietta e
la Corte ha emesso un verdetto di non doversi procedere nei confronti di Bruno Bersagnoli.
La vicenda giudiziaria iniziò quando il gip Clementina Forleo firmò l’autorizzazione ad intercettare
Fiorani.
Da lì si dipanò una rete di politici che includeva anche l’ex governatore
della Banca d’Italia Fazio. I pm Eugenio
Fusco e Giulia Perrotti, scoprirono che
la Bpl di Fiorani cominciava a rastrellare azioni Antonveneta prima di
quanto dichiarato a Consob e Bankitalia, senza agire nel rispetto delle
regole. Fiorani si mosse, tra gli altri, insieme a
Ricucci, Gnutti per impedire
il buon esito dell’Opa lanciata il 30 marzo 2005 dall’Abn Amro. Appena
scattò l’offerta olandese, Fiorani finanziò amici,
prestanomi, fondi e società offshore per realizzare una scalata occulta alla
banca di Padova e rendere così vana la richiesta straniera. Poi lanciò a sua
volta un’offerta pubblica di acquisto. Fiorani con i suoi amici rastrellò il
40 per cento di Antonveneta, senza lanciare una regolare Opa, obbligatoria
per chi vuole superare la soglia del 30 per cento. La Consob denunciò il
patto occulto tra gli scalatori italiani e a quel punto Bankitalia avrebbe
dovuto bloccare l’operazione. Anche perché il governatore Fazio venne
allertato sulle precarie condizioni della Bpl dai suoi ispettori, Giovanni Castaldi e Claudio Clemente.
I giudici hanno confermato le accuse e la pena
emessa dal tribunale in primo grado per l'ex re del latte di Collecchio. In aula
il 73enne aveva chiesto scusa alle persone che aveva contribuito a rovinare di Nicola Lillo
Il verdetto di
Cassazione previsto per il 22 novembre. Lo "zar" dei servizi segreti italiani
è stato condannato in appello per aver indotto alla falsa testimonianza nel
processo Diaz l'ex questore di Genova Colucci. Tra i processi principali sulle
violenze di dieci anni fa è il primo ad avviarsi alla conclusione. Ancora
bloccato "per problemi di notifica" quello sulla sanguinosa irruzione nella
scuola occupata dai "no global", sempre più a rischio prescrizione
Arriva il momento della verità per
Gianni De Gennaro, ex capo della polizia e “zar” dei
servizi segreti italiani come direttore del Dis, il Dipartimento delle
informazioni per la sicurezza. E’ prevista domani l’udienza nella quale la
Corte di Cassazione deciderà se confermare o meno la condanna a un anno e
quattro mesi di reclusione per istigazione alla falsa testimonianza in
relazione ai fatti del G8 di Genova.
Secondo l’accusa, l’allora capo
della polizia avrebbe spinto l’alto dirigente di Ps Francesco
Colucci, questore del capoluogo ligure durante il G8 del 2001, a modificare la la sua testimonianza al processo
sulla sanguinosa irruzione alla scuola Diaz, avvenuta la notte del 21 luglio.
Una pressione, di cui Colucci parla diffusamente in telefonate intercettate,
tesa ad allontanare da sé qualunque responsabilità nella catena di comando
dell’operazione che si concluse con oltre sessanta feriti su 93 arrestati,
tutti poi risultati estranei all’accusa di appartenere al “black bloc”, che
era stato protagonista di due giorni di devastazioni.
Insieme a De Gennaro – difeso dal
professor Franco Coppi – è stato condannato, per lo
stesso reato, a un anno e due mesi, anche l’ex capo della Digos di Genova Spartaco Mortola, attualmente capo della polizia
ferroviaria di Torino, dopo la nomina a questore. De Gennaro e Mortola hanno
scelto il rito abbreviato, mentre Colucci ha scelto l’ordinario. Per entrambi
la condanna è stata sospesa dalla condizionale e a nessuno dei due è stata
inflitta la pena accessoria della sospensione temporanea dai pubblici uffici.
L’ex capo della Digos ha anche un’altra condanna in appello, a tre anni e otto
mesi, per l’irruzione alla Diaz.
Su quest’ultima, che dalla
ricostruzione processuale emerge come una pagina nera della polizia italiana,
si è innescata una polemica che riguarda proprio i tempi del giudizio in
Cassazione. Un mese fa è emerso che gli atti giacciono ancora alla Corte
d’appello di Genova, nonostante la sentenza risalga al 18 maggio 2010. Il
problema starebbe nella difficoltà di notificare la sentenza e gli atti a
tutte le parti coinvolte nel procedimento. Quindi tutto è fermo. Le
associazioni vicine al movimento denunciano che lo stallo potrebbe far
scattare la prescrizione prima della sentenza definitiva, “salvando” i 25
poliziotti condannati, e in particolare gli alti dirigenti come
Franco Gratteri, Gianni Luperi, Gilberto Caldarozzi, Vincenzo Canterini.
Timori rilanciati anche da Magistratura democratica,
che invita i colleghi genovesi ad accelererare le pratiche per “sgombrare il
campo da ogni sospetto”.
Scontri dopo una partita
di calcio
almeno 73 morti e centinaia di feriti
Le violenze al termine
della partita tra la squadra locale e l'Al Ahli
del Cairo. Invasione di campo e poi una vera e
propria battaglia. Scene simili nella capitale,
senza vittime. "Rinviati a data da destinarsi"
tutti i match del campionato maggiore. Arrestate
47 persone. I Fratelli Musulmani accusano i
sostenitori di Mubarak
I giocatori dell'Al Ahli in fuga (afp)
IL CAIRO - Almeno 74 persone persone hanno perso la
vita e centinaia sono rimaste ferite nelle
violenze scoppiate dopo una partita di calcio a
Port Said, nel Nord-Est dell'Egitto. Gli scontri
sarebbero esplosi per motivi calcistici, dopo
un'invasione di campo, al termine della gara di
campionato tra la squadra del posto, l'Al Masri,
e l'Al Ahli, formazione del Cairo. LA GALLERIA
FOTOGRAFICA1
- IL VIDEO2
Secondo la ricostruzione fornita dalla tv Al
Arabiya, alla fine del match vinto per 3-1
dall'Al Masri, i tifosi locali sono entrati in
campo per inseguire i giocatori dell'Al Ahli
spingendosi fino al tunnel che porta agli
spogliatoi. A quel punto si è scatenata una vera
e propria battaglia, sia con i tifosi avversari
che con le forze dell'ordine. Ci sono stati
fitti lanci di bottiglie e pietre. I tafferugli
sono proseguiti anche fuori dall'impianto. "Lo
spogliatoio si è trasformato in un obitorio", ha
raccontato un testimone. Un altro dei presenti
ha riferito che prima del fischio d'inizio il
clima era buono, ma poi durante l'incontro ci
sono stati scambi di insulti tra le due
tifoserie e ogni gol era seguito da un'invasione
di campo. In città è stato schierato anche
l'esercito che ha inviato i suoielicotteri per
portare via dallo stadio giocatori e tifosi
della squadra ospite.
Il ministro dell'Interno Mohamed Ibrahim ha reso
noto che molte delle vittime sono morte nella
calca e che dopo gli incidenti sono state
arrestate 47 persone.
La scena si è ripetuta al Cairo, dove l'arbitro
ha sospeso l'incontro una volta avuta notizia
delle violenze di Port Said. Una decisione cui i
tifosi hanno reagito appiccando il fuoco ad
alcuni settori dello stadio. In questo caso per
fortuna non ci sono state vittime.
Dopo questi gravissimi episodi la Federcalcio
egiziana ha deciso di "rinviare a data da
destinarsi" tutte le partite del campionato
maggiore e il Parlamento è stato convocato per
domani in seduta straordinaria.
I Fratelli Musulmani, la maggiore forza politica
nell'Egitto del dopo-Mubarak, non credono che
gli incidenti siano scoppiati soltanto per la
follia di gruppi di ultrà e accusano i
sostenitori del presidente deposto un anno fa
dalla protesta di piazza. "Gli eventi di Port
Said sono stati pianificati e sono un messaggio
dei sostenitori dell'ex regime", ha affermato il
deputato Essam al-Erian in un comunicato
pubblicato sul sito internet del Partito della
libertà e della giustizia (Plj), la formazione
politica della Fratellanza.
Ex presidente della Banca Popolare
di Milano e attuale presidente di
Impregilo, è stato messo agli
arresti domicialiari dalla Procura
di Milano per i finanziamenti
concessi alle società riconducibili
a Francesco Corall. Vengno
contestate presunte mazzette per 5,7
milioni di euro
Giovanni
Consorte e Ivano Sacchetti gli unici
condannati, per le accuse minori, al
processo di secondo grado. Nel primo l'ex
governatore della Banca d'Italia aveva
avuto tre anni e sei mesi di reclusione
Il lobbista è stato
condannato per dieci capi di imputazione,
tra cui associazione per delinquere,
favoreggiamento, rivelazione di segreto e
corruzione. Non potendo beneficiare della
sospensione della pena, quando la sentenza
passerà in giudicato, l'uomo d'affari, che
ora è libero, dovrà essere di nuovo
arrestato.
L'uso del
termine P4, con cui è ormai nota
l'associazione a delinquere, non è
soltanto frutto del mondo del giornalismo,
che pure, per ovvie esigenze, si è sentito
autorizzato a richiamare alla mente dei
lettori un termine già noto (quello, cioè,
della loggia massonica
Propaganda
Due,
detta P2, di
Licio Gelli),
ma si deve anche all'esplicita connessione
di uno dei più rilevanti protagonisti
della stessa P4,
Luigi
Bisignani,
alla loggia di
Gelli
alla quale è stato iscritto, come risulta
dagli elenchi rinvenuti a
Castiglion
Fibocchi[1]
L'indagine
è stata avviata dalla
Procura
della Repubblica
di
Napoli
grazie ai
PM
Francesco
Curcio
e
Henry John
Woodcock.
Secondo gli inquirenti
Luigi
Bisignani,
uomo chiave dell'associazione a delinquere
e sottoposto dal 15 luglio 2011 a
detenzione
domiciliare
per
favoreggiamento
e rivelazione del
segreto
d'ufficio,
avrebbe instaurato,
grazie alla
intricata rete di amicizie potenti sulla
quale e per mezzo della quale operava, "un
sistema informativo parallelo"[2]
che riguarda - secondo la Procura di
Napoli - "l'illecita acquisizione di
notizie e di informazioni, anche coperte
da segreto, alcune delle quali inerenti a
procedimenti penali in corso nonché di
altri dati sensibili o personali al fine
di consentire a soggetti inquisiti di
eludere le indagini giudiziarie ovvero per
ottenere favori o altre utilità".
Come si
accennava,
Luigi
Bisignani
sarebbe riuscito a tessere la sua tela
criminale grazie a un nutrito gruppo di
amici potenti. Lo stesso Bisignani è stato
compagno dell'attuale sottosegretario alla
Presidenza del Consiglio
Daniela
Santanchè;
è inoltre definito come un grande amico di
Gianni
Letta
e
Italo
Bocchino,
vicepresidente di
Futuro e
Libertà per l'Italia,
il partito del Presidente della Camera
Gianfranco
Fini.
Tra i suoi conoscenti anche
Denis
Verdini,
esponenti importanti dell'Eni e della RAI,
oltre che diversi vertici dei servizi di
sicurezza.[3]
Dopo averlo
intercettato, gli investigatori si sono
presi cura di trascrivere il contenuto
delle intercettazioni.
Il 9
agosto 2010 Bisignani parla con
Enrico
Cisnetto,
editorialista del
Giornale
di colui che a quel tempo era direttore
del quotidiano,
Vittorio
Feltri.
In questa intercettazione - e
precisamente dalle parole di Cisnetto -
si viene a sapere che
Feltri
avrebbe intenzione di prendere il posto
di
Silvio
Berlusconi.
A detta di Cisnetto, inoltre, parte
dell'operato di Feltri è finalizzata a
destabilizzare il premier (che "sarebbe
svenuto" se avesse sentito ciò che
Feltri diceva di lui a cena).[4]
Il 18
agosto 2010 una telefonata a
Flavio
Briatore
rivela il parere di Bisignani sul
sottosegretario Santanché, che viene
descritta come un'opportunista. Nei
giorni successivi Bisignani la definirà
come una "stronza".
[4]
Il 12
settembre 2010 in una telefonata con il
figlio Renato, Bisignani parla del
ministro del Turismo
Brambilla
in modo poco lusinghiero definendola "stronza,
brutta, un mostro, mignotta come poche,
la più mignotta di tutte".[4]
Il 14
ottobre 2010 l'allora direttore generale
della RAI
Mauro
Masi
riceve da Bisignani la lettera di
licenziamento per
Michele
Santoro
e, al telefono, esulta con lo stesso
faccendiere affermando che ormai il
conduttore di
Annozero
"è morto" e che "je stamo a spaccà er
culo"[4]
Una delle
preoccupazioni del faccendiere è legata
anche alla possibilità che la
Gabanelli
"faccia puttanate"[4]
Il 2
dicembre 2010 il ministro dell'Ambiente
Stefania
Prestigiacomo
si lamenta con Bisignani del fatto che
tutti, nel centrodestra, sono referenti
di
Berlusconi.[4]
Il 27
gennaio 2011 Bisignani si congratula con
Masi, dopo che questi ha appena litigato
in diretta con Santoro. "Sei stato
bravissimo", dice a Masi, "io lo avrei
preso a schiaffi".
Dalle
parole dello stesso Bisignani, emerge
chiaramente la sua sfera di influenza
politico-istituzionale. Basti pensare al
caso della
Santanchè,
che, trovatasi in seria difficoltà dopo
che
Fini
l'aveva esautorata di ogni potere
all'interno di
Alleanza
Nazionale,
accettò il consiglio del faccendiere di
iscriversi a
La Destra
di
Francesco
Storace,
con la speranza di ottenere così una
maggiore visibilità. Fallito il tentativo
(La
Destra
infatti non superò la soglia di
sbarramento per approdare in
Parlamento,
la Santanchè era, oltretutto, candidata
premier per quel partito), Bisignani operò
al fine di riavvicinare la Santanché al
PDL.
Una nuova collaborazione governativa era
allora una prospettiva piuttosto lontana
per l'attuale sottosegretario, a causa del
veto posto da Fini, che non tollerava il
rientro nelle file del governo di
un'avversaria. Il veto cadde grazie alla
mediazione di Bisignani, che, sempre
secondo le sue parole, convinse i finiani
contattando
La Russa,
Ronchi
e
Bocchino.
Durante un pranzo a
Montecitorio,
alla presenza di Berlusconi e Fini,
Bocchino annunciò infine la caduta del
veto.
Da
segnalare come i rapporti fossero stretti
anche con
Italo
Bocchino,
il quale si era rivolto al faccendiere per
chiedergli una mano per ripristinare i
finanziamenti al quotidiano
il Roma,
che erano stati sospesi da Berlusconi
tramite il responsabile dell'editoria
Elisa
Grande.