Un Ferragosto di gelo è calato
sull’economia italiana. La
recessione non diminuisce di
intensità e la produzione
industriale continua a perdere
terreno. Per tre ragioni:
peggioramento dello scenario
internazionale, crisi dell’euro e
aggiustamento fiscale incompleto. La
probabilità che la recessione 2012
sia peggiore di quella del 1993 è
cresciuta rispetto a qualche mese
fa.
di Francesco Daveri* (Fonte: lavoce.info)
E così è arrivata la gelata
di Ferragosto. Non sul
clima, che anzi vede alternarsi
sempre nuove ondate di temperature
equatoriali di fronte alle quali i
meteorologi stanno finendo le
denominazioni di origine mitologica.
La gelata di Ferragosto è ben più
grave perché riguarda l’economia:
viene dalla stima preliminare del Pil e
dai dati sulla produzione
industriale del secondo
trimestre 2012.
Le cifre in breve
I numeri della gelata parlano quasi
da soli. Il Pil (destagionalizzato,
senza effetti di calendario e al
netto dell’inflazione) è sceso
dello 0,7
per cento nel secondo
trimestre 2012 rispetto al trimestre
precedente. E’ la quarta diminuzione
trimestrale consecutiva, e la terza
dello stesso ordine di grandezza in
termini percentuali. E’ un segno che
la recessione, iniziata nel terzo
trimestre 2011, continua purtroppo a
mordere con identica intensità.
Rispetto al secondo trimestre 2011
(l’ultimo trimestre di crescita
positiva), il Pil del secondo
trimestre 2012 è diminuito del 2,5
per cento.
Anche se l’Italia è ormai
prevalentemente un’economia di
servizi, l’andamento del Pil
continua ad essere molto correlato
con l’andamento della produzione
industriale. La produzione
industriale è calata dell’1,8
per cento nel secondo
trimestre 2012 rispetto al trimestre
precedente e dell’8
per cento rispetto al
secondo trimestre 2012. In termini
di livelli, il Pil è tornato ad
essere di poco inferiore al suo
livello del terzo trimestre 2009. Il
terzo trimestre 2009 è stato il
primo trimestre di ripresa dopo la Grande
Recessione del 2008-09. E
anche il valore di 82,6 raggiunto
nel giugno 2012 dalla produzione
industriale è solo di un punto
superiore a quello di giugno 2009.
L’insieme di questi dati dicono che
la recessione dell’ultimo anno si è
a questo punto mangiata
completamente la timida e graduale
ripresa avvenuta tra la seconda metà
del 2009 e la prima metà del 2011.
Guardando ai settori, a soffrire
sono soprattutto quelli che
producono beni il cui acquisto può
essere rinviato nel tempo, quindi i
beni di investimento e i beni di
consumo durevole (con un vero
tracollo per l’industria
automobilistica). Ma, a differenza
che nel 2008-09, la crisi tocca
duramente anche la produzione di beni
di consumo non durevoli. E’
il riflesso del fatto che i dati del
mercato del lavoro fanno oggi
registrare un’altra cruciale
differenza rispetto al 2009: iltasso
di disoccupazione di giugno
2012 ha sfiorato l’11 per cento
della forza lavoro, pari a due
milioni e ottocentomila persone
circa. Erano “solo” due milioni nel
giugno 2009 e un milione e mezzo nel
giugno 2007. La disoccupazione è
aumentata drammaticamente tra i
giovani: nel giugno 2012 è salita al
35 per cento del totale tra quelli
che sono in cerca di lavoro. Era
pari al 25 per cento nel giugno 2009
e al 20 per cento nel giugno 2007.
Perché la “gelata”
La crisi italiana ha tre
cause principali. C’è il rallentamento
dell’economia mondiale:
come documentato dalla graduale
revisione al ribasso delle
previsioni del Fondo Monetario, i
principali mercati di sbocco
extra-europei (Usa, paesi emergenti)
delle esportazioni italiane – la
voce del Pil che ha mostrato
andamenti eccezionali nel recente
passato che ha trainato la ripresa
2009-2011 – hanno visto rallentare
la loro crescita dalla seconda metà
del 2011. Poi c’è la crisi
dell’euro che, malgrado le
iniezioni di liquidità della Bce, ha
fatto salire il costo e diminuire la
disponibilità del credito
soprattutto per le piccole e medie
imprese meno patrimonializzate e ha
fatto scendere drammaticamente
l’export italiano nei paesi
dell’area euro sud, sprofondati in
situazioni recessive almeno
qualitativamente confrontabili con
quella italiana. E infine c’è l’aggiustamento
fiscale in corso, quello
che dovrebbe azzerare il deficit
pubblico strutturale dell’Italia nel
2014, e che è entrato pienamente a
regime proprio nel secondo trimestre
2012, con il pagamento della prima
rata dell’Imu e, a livello locale,
con l’aumento delle addizionali
Irpef. Nell’insieme il cocktail si è
rivelato micidiale, almeno nel primo
semestre 2012.
Il 2011-12 e il 1992-93
Anche nel 1992 l’Italia era
sull’orlo del precipizio. E anche
nel 1993 ci volle un aggiustamento
fiscale molto consistente per
evitare il rischio del default. Il
risultato fu una sequenza di sei
trimestri di crescita negativa del
Pil, oscillante tra -0,4 in ognuno
dei primi tre trimestri e -0,2 in
ognuno degli altri tre trimestri di
recessione. Nell’insieme, una
recessione prolungata, ma meno
intesa di quella di oggi. Oggi,
rispetto al 1992-93, c’è uno
scenario internazionale più
difficile e una crisi precedente da
cui l’economia aveva solo cominciato
a riprendersi. E poi ci manca la svalutazione della
lira che fece decollare le
esportazioni e rese meno drammatiche
le conseguenze dell’aggiustamento
fiscale di allora. Allora la lira si
deprezzò del 25 per cento circa,
mentre oggi l’euro si è deprezzato
solo del 15 per cento rispetto al
giugno 2011. Sul fronte interno,
l’aggiustamento fiscale di Monti è
ancora in via di realizzazione e,
prima dell’approvazione della
spending review, si è basato quasi
esclusivamente sul lato delle
entrate. E c’è il buio completo su
cosa avverrà dopo
il governo Monti. L’insieme
di queste circostanze sta certamente
riducendo, se non annullando, il
potenziale effetto benefico della
manovra “salva Italia” sulla fiducia
delle aspettative di famiglie e
imprese. Ed è solo la fiducia che fa
ripartire investimenti e acquisti di
beni durevoli. Da dove possono
arrivare le buone notizie nel
secondo semestre 2012 e nel 2013? Da
due fronti. Il primo fronte è quello
del fisco: la maggior parte delle
cattive notizie fiscali per
consumatori e imprese è
probabilmente già alle spalle. Anzi,
se la spending review funzionasse e
fosse anzi rafforzata nel corso
dell’anno, già nel 2013 potrebbero
aprirsi spazi per le tanto
sospirate riduzioni
di imposte finora sempre
annunciate e mai realizzate dai
governi del passato. E poi c’è il
secondo fronte, il cantiere europeo.
Un calo
degli spread dei paesi
mediterranei associato ai progressi
nel ridisegno del funzionamento
dell’unione e al nuovo piano di
interventi della Bce sui mercati
obbligazionari potrebbe dare modo
all’aumento di liquidità della prima
parte del 2012 di arrivare
finalmente alle imprese.
Nel complesso, è difficile negare
che, con i dati di Ferragosto, la
probabilità che la recessione 2012
sia peggiore rispetto a quella del
1993 è cresciuta rispetto a qualche
mese fa.