Aleksandr Dvornikov, chi è il generale russo scelto da Mosca come
comandante unico dell’operazione militare in Ucraina.
Un solo comandante per
coordinare l’invasione dell’Ucraina. Dopo 44 giorni, la Russia ha deciso
di scegliere ungenerale che
tenga insieme tutti i fronti e supervisioni quella che per Mosca è un
“operazione militare speciale”. Il prescelto, racconta laBbc,
è il generale Aleksandr
Dvornikov, già a capo della spedizione in Siria.
La scelta è ricaduta su di lui nei giorni in cui si fanno sempre più
insistenti le voci di un “attacco finale” nel sud e nell’est del Paese
per ‘riunire’ Crimea eDonbass e
poter dichiarare di aver raggiunto unobiettivo
militare, se non proprio la vittoria.
“Ci aspettiamo che il comando e il controllo complessivo delle
operazioni migliorino”, ha affermato la fonte interpellata dalla tv
pubblica inglese. La riorganizzazione è stata fatta appunto nel
tentativo di migliorare il coordinamento tra
le varie unità, poiché i gruppi russi erano stati precedentemente
organizzati e comandati separatamente, ha affermato il funzionario. “Una
persona deve avere la responsabilità di tutto: deve coordinare ilfuoco,
dirigere la logistica,
adoperare le forze
di riserva, misurare i successi e gli insuccessi delle
differenti ali del fronte e, in base a quello che vede, modificare la
strategia”, ha spiegato il funzionario alla Bbc.
Tutto questo finora non è avvenuto in Ucraina, anzi – secondo la fonte –
le truppe impegnate sui fronti diversi si sono contese mezzi, equipaggiamenti e
uomini. E diversi generali sono scesi “on the ground”, alcuni dei quali
perdendo anche la vita. Sono sei – secondo gli ucraini – quelli uccisi
dall’inizio della guerra. Un numero enorme per gli standard di guerra.
Dvornikov ha60
anni e
finora era a capo delDistretto
militare del sud.
Formatosi nell’accademia Frunze di Mosca, Dvornikov è un “Eroe
della Russia” grazie
proprio al successo dell’operazione in Siria. La scelta ricaduta su di
lui riporta alla mente la strategia già portata avanti in quel
conflitto, ovvero la“tecnica
Grozny”,
precedentemente usata anche nella capitale cecena. Raid a tappeto, senza
distinguere obiettivi
civili e
militari, così da aprire la strada all’esercito affinché possa prendere
possesso delle città.
Ucraina, la guerra merita di essere condannata ma bisogna raccontarla
tutta la storia.
Come diceva qualcuno, in guerra la prima a morire è
sempre l’informazione. I media occidentali lo stanno
tragicamente confermando. Nella massima parte, essi figurano come
megafoni della voce del padrone a stelle e strisce: sono portatori di
una visione a tal punto di parte, a tal punto sfacciatamente ideologica,
che sembrerebbe impossibile accettarla anche in minima parte. Eppure i
più, letteralmente, se la bevono.
I monopolisti del discorso non vi dicono che la Ue ha già dichiarato
guerra alla Russia. Ha inviato in Ucraina sistemi d’arma non
solo difensivi ma offensivi, la Nato sta pensando di mandare
gli aerei da combattimento. Inviare armi difensive a un paese in guerra
non è un atto di guerra contro il suo nemico, lo è però l’invio di armi
offensive. Gli Usa stanno conducendo una strategia bellica indiretta,
usando l’Ucraina come “bastone contro la Russia” (Giulietto Chiesa). E,
insieme, usando la Ue come
“prima linea” del conflitto, inducendola a mandare armi
offensive in Ucraina: e ciò del tutto contro l’interesse della Ue
stessa, che in questa guerra ha solo da perdere.
Lo scopo di tutto ciò? Difendere l’Ucraina e la sua sovranità? Nemmeno
per sogno! Avete sentito Draghi? Dobbiamo batterci perché
l’Ucraina entri in Ue,
ha asserito: altro che neutralità e sovranità ucraina! Lo vuole il
popolo, dicono i media nostrani: ne siamo sicuri? Perché il guitto
Zelensky – un attore Nato, è il caso di dire – limita i partiti
d’opposizione, allora? Che cosa desiderano realmente gli ucraini?
A mio avviso l’obiettivo vero per gli Usa e per la loro colonia Ue è a) annettere
l’Ucraina nella propria area d’influenza e b) provocare ilregime
change in Russia: detto altrimenti, sostituire Putin con un
“fantoccio” atlantista, modalità Eltsin che svendeva il paese a
Washington e rotolava ubriaco di vodka. E ciò di modo che la Russia, un
poco alla volta,si
normalizzi, fino a diventare colonia di Washington tra le
tante.
Sembrava, in effetti, che quello fosse il suo destino dopo il 1989:
piegarsi, umiliarsi, genuflettersi al cospetto della civiltà del
dollaro. Tutto cambiò con Putin, che iniziò
a dire di no: no all’espansionismo Nato, no all’atlantizzazione
degli spazi post-sovietici, no alla cultura del nulla di marca
globalista. Per quello, Putin è da anni tra i nemici principali della “globalizzazione”,
vale a dire della americanizzazione coatta del pianeta.
Nel 2014 gli Usa dirigono da dietro le quinte un golpe in Ucraina (velvet
revolution),
noto come Euromaidan: e vi insediano un “governo fantoccio” a loro
gradito, atlantista
e filo-Ue.
Tale governo inserisce in Costituzione la volontà di entrare nella Nato.
Nel 2021 Usa e Ue armano pesantemente le forze armate ucraine. Il guitto
Zelensky nasce in quel contesto: come prodotto in vitro di serie
televisive hollywoodiane, letteralmente recitando un copione scritto in
terra americana. Da attore a presidente del suo paese in un attimo, con
un solo obiettivo: favorire il transito dell’Ucraina verso
la Ue e verso la Nato,
di fatto portando le basi militari Usa ai confini con Mosca.
Nessuno – almeno, non io – vuole giustificare o magari glorificare il
gesto di Putin, ossia l’invasione dell’Ucraina: la guerra, ogni guerra, merita
di essere condannata, a partire da quelle del proprio paese
(l’Italia sta sciaguratamente mandando armi in Ucraina, come sappiamo,
con una retorica guerrafondaia stomachevole e orwelliana, appellano
“missione di pace” l’invio di mitraglie pacifiche e di missili
democratici).
Si tratta però di
raccontarla tutta la storia: e se vogliamo, come vogliamo,
condannare la guerra, dobbiamo condannarla a partire dal suo reale
cominciamento e dalle sue reali cause, vale a dire, appunto,
dall’espansionismo della Nato verso Oriente, verso le aree
post-sovietiche. Detto altrimenti, con parola cara a Lenin e obliata
dalle sinistre fucsia – la nuova “sinistrash” postmoderna,
interscambiabile con la destra bluette –, la causa primissimaè
l’imperialismo made in Usa. Rammentiamo che, nel 2008, a
Bucarest, la Nato aveva proclamato senza perifrasi che Ucraina e
Georgia, presto o tardi, sarebbero entrate nella Nato stessa. Se si
vuole condannare una rissa, si condanna non solo il contegno – certo
criticabile – di chi ha tirato l’ultimo pugno, ma anche, ovviamente, di
chi ha assestato i colpi precedenti, e magari anche
di chi l’ha avviata.
“Cargo colpito nel porto di Mariupol cercava di evacuare battaglione
Azov”
Le forze russe hanno colpito un cargo ucraino denominato Apache che
nella sera di ieri ha
cercato di evacuare via mare da Mariupol cittadini ucraini. A
riferirlo, secondo quanto riporta l’agenzia russa Tass, è il
rappresentante ufficiale del Ministero della Difesa della Federazione
Russa Igor
Konashenkovsottolineando che “il regime di Kiev
non abbandona i tentativi di evacuare da Mariupol i
leader del reggimento nazionalista Azov e mercenari stranieri.
I precedenti tentativi di evacuazione aerea con elicotteri sono
falliti”.
Il cargo Apache, battente bandiera maltese, ha cercato di raggiungere il
porto di Mariupol ma è stato bloccato dalla flotta russa del Mar Nero,
sostiene Mosca. Una nave di pattuglia della Flotta del Mar Nero e le
navi della guardia di frontiera, spiega Konashenkov, ha dovuto aprire il
fuoco sulla nave per fermarla. “Come risultato di un colpo diretto sulla
nave, un incendio è scoppiato a poppa della nave”, sottolinea
Konashenkov. La nave, aggiunge, “è andata alla deriva, l’equipaggio ha
contattato le navi di frontiera con una richiesta di cessate il fuoco e
ha confermato la loro disponibilità a soddisfare tutti i requisiti dei
marinai russi. Nessun
membro dell’equipaggio è stato ferito“. Dopo l’ispezione, la
nave e il suo equipaggio sono stati scortati verso il porto di Yeysk.
Al termine della quarta settimana di guerra in Ucraina, la Russia ha
parzialmente ottenuto uno degli obiettivi impliciti dell’invasione:
coinvolgere gli Stati Uniti. Il problema per il presidente Vladimir
Putin è che la visita del suo omologo Joe Biden in Europa ha allontanato
piuttosto che avvicinare la prospettiva di un negoziato pubblico tra
Mosca e Washington sul futuro di Kiev ma soprattutto sugli equilibri
strategici nel Vecchio Continente.
Gli incontri di Biden con i vertici dell’Ue, del G7 e
dellaNato indicano
che la superpotenza è ancora interessata a raccogliere i dividendi di un
conflitto che non la minaccia direttamente. Le priorità statunitensi
sono: mantenere il fronte occidentale compatto contro la Russia, evitare
fughe in avanti degli alleati-satelliti europei, imbarazzare la Cina,
rispolverare la retorica dei diritti umani. Se poi c’è la possibilità di
aiutare i membri dell’Ue a ridurre la dipendenza energetica da Mosca
vendendo loro gas naturale liquefatto americano (gnl), tanto meglio.
La nuova tornata di sanzioni; le forniture militari all’Ucraina;
l’aumento dei contingenti Nato in Est-Europa; il rifinanziamento
dell’assistenza umanitaria e la promessa di accogliere fino a centomila
rifugiati dal paese in guerra; la menzione della Cina (invitata
esplicitamente a non aiutare la guerra della Russia e a non agevolare
l’evasione delle sanzioni occidentali) nel comunicato dell’Alleanza
Atlantica; i sussidi ai media che “combattono la disinformazione e le
violazioni dei diritti umani”; l’accordo per
fornire all’Ue 15 miliardi di metri cubi di gnl statunitense o degli
alleati internazionali nel 2022; l’impegno della Commissione Europea a
creare le condizioni per l’acquisto di 50 miliardi di metri cubimade
in Usa all’anno almeno fino al 2030: tutte le decisioni annunciate
o rivendicate a Bruxelles rispondono agli obiettivi degli Stati Uniti.
Rimane in prospettiva la questione del riarmo
tedesco, che preoccupa anche la Polonia – probabile che Biden ne
discuta con i vertici polacchi durante le tappe a Rzeszów e Varsavia.
L’offensiva scatenata dalla Russia contro l’Ucraina prosegue ormai da un
mese. L’avanzata su tre fronti – nord, est, sud – non pare essersi
arrestata, ma procede a rilento da ormai due settimane.
L’imminente capitolazione di Mariupol, città portuale sul Mar d’Azov,
potrebbe consentire un’accelerazione del processo di occupazione dell’ex
paese sovietico. L’assedio delle città richiede infatti l’impiego di un
numero enorme di unità militari (diverse decine per ogni via di accesso
al centro urbano), soprattutto per conglomerati urbani di medio-grandi
dimensioni. La caduta definitiva della martoriata Mariupol, quasi 500
mila abitanti prima della guerra, consentirebbe alle Forze armate russe
di trasferire gran parte dei militari moscoviti e delle truppe
ausiliarie ivi
dispiegate (milizie del Donbas e kadyrovtsy ceceni)
su altri fronti sensibili.
Con gran parte dell’esercito ucraino tenuto impegnato
dall’accerchiamento militare delle metropoli Kiev e Kharkiv, gli
strateghi russi potrebbero decidere per una convergenza a tenaglia su
Dnipro (ex Dnipropetrovs’k), città da un milione di abitanti ubicata sul
corso del grande fiume Boristene che taglia in due da nord a sud
l’Ucraina. Procedendo gradualmente in tal senso, le truppe di Kiev
dispiegate sulla linea
di contatto del Donbas sarebbero costrette a una dolorosa scelta:
sfruttare l’unica via ancora libera per ripiegare a ovest del Dnepr
oppure lasciarsi chiudere in una sacca priva di rifornimenti bellici e
carburante. Mosca non può dar per certo che le truppe ucraine optino per
la prima scelta (apparentemente più logica); potrebbero decidere di
sacrificarsi per tenere impegnato a lungo l’esercito russo nel bacino
del Donec, concedendo tempo prezioso alle regioni occidentali per il
ritiro di nuove forniture militari occidentali.
GLI OBIETTIVI RAGGIUNTI DALLA RUSSIA [di Mirko
Mussetti]
In questi primi trenta giorni, l’esercito russo ha raggiunto pochi
obiettivi, ma dalla discreta importanza strategica.
La quasi completa distruzione degli assetti dell’aeronautica ucraina
toglie a Kiev il controllo dei cieli nazionali e permette ora a Mosca
un maggiore, seppur cauto, impiego di velivoli militari nelle
operazioni belliche.
Il controllo
della centrale nucleare di Enerhodar (Zaporižžja) –
la più grande d’Europa con sei reattori attivi – amplifica
ulteriormente la leva energetica della Russia sul paese aggredito, con
l’aggiunta del giustificato terrore della cittadinanza di una
dispersione radioattiva dolosa nel bassopiano sarmatico ucraino.
Il controllo
stabile di Kherson e dei territori circostanti – tra cui
l’importante invaso idrico di Kakhovka cherifornisce
di acqua dolce la Crimea – permette una doppia possibilità
operativa: spingere verso ovest fino alla città portuale di Odessa per
sottrarre all’Ucraina l’accesso al Mar Nero; muovere verso nord-est
costeggiando la sponda sinistra del fiume Dnepr, inteso come
sbarramento difensivo naturale tra la Russia e i territori più
nazionalisti dell’Ucraina.
L’ottenimento di un corridoio terrestre in fase di consolidamento tra
il Donbas e la Crimea trasforma il piccolo Mar d’Azov in un “lago
russo”, consentendo collegamenti logistici futuri più sicuri tra la
Federazione e la grande penisola eusina.
La cattura dell’Isola dei serpenti emargina il porto di Odessa,
impedendo qualsiasi collegamento navale tra l’Ucraina e la confinante
Romania. Inoltre inibisce qualsiasi intervento di polizia aerea
dell’alleanza atlantica sui cieli dell’Ucraina sud-occidentale. Al
termine del conflitto, le zone
economiche esclusive nel ricco quadrante nord-occidentale (risorseoffshore)
del Mar Nero potrebbero essere ridisegnate in favore di Mosca.
Nonostante i numerosi affanni logistici e le considerevoli perdite
umane, non si può affermare che il primo mese di combattimenti sia
stato foriero di soli insuccessi o irrimediabili sconfitte per Mosca.
Qualsiasi paragone con le numerose guerre
asimmetriche combattute negli ultimi anni dalle potenze
occidentali appare fuori luogo; questa è una guerra convenzionalecontro
un esercito ben addestrato e armato, la prima combattuta da una
superpotenza da diversi decenni. La Russia non ha (ancora) perso.
LA
MANIFESTAZIONE DELLA QUARTA TEORIA POLITICA DI DUGIN:
Karaganov, consigliere di Putin: “È una guerra
esistenziale con l’Occidente. Colpire obiettivi in Europa? È
possibile, se va avanti così”.
Ammette che il suo Paese
ha colpito per primo, ma lo ha fatto “prima che la minaccia
(ucraina, ndr)
diventasse ancora più letale”. Una “guerra
esistenziale” che per l’autore della ‘dottrina
Putin‘ ha provocato – e tuttora provoca – non solo morti,
ma la perdita della “superiorità
morale” dei russi: “Ora siamo sullo stesso terreno
dell’Occidente. L’Occidente ha scatenato diverse aggressioni. Ora
siamo sullo stesso terreno morale. Ora siamo uguali, stiamo
facendo più o meno come voi“. Inutile far riferimento ai
tentativi diplomatici che avrebbero potuto far desistere la Russia
dall’invadere il paese confinante: “Dagli occidentali abbiamo avuto
promesse di tutti i tipi in questi trent’anni. Ma ci hanno mentito o
le hanno dimenticate”.
L’unico
grande errore commesso dalla Russia, nella visione di
Karaganov, fuaccettare nel
1997 il ‘Founding
Treaty‘ sulle relazioni Russia-Nato, che prevedeva
l’allargamento dell’Alleanza Atlantica. “Firmammo perché eravamo disperatamentepoveri,
al collasso – afferma – ma questo allargamento è quello di
un’alleanza aggressiva. È un cancro e noi volevamo fermare questa
metastasi. Dobbiamo farlo, con un’operazione chirurgica”.A
suo avviso, “le uccisioni di massa in Kosovo (contro i serbi, ndr)
sono avvenuti dopo lo stupro della Serbia. Fu un’aggressione
indicibile. E il processo
a Milosevic è
stato un triste e
umiliantespettacolo dimeschinità
europea“.
Oltretutto, il dittatore serbo fu giudicato dal Tribunale
penale internazionale,
il cui diritto non è riconosciuto dalla Russia, come l’ordine
europeo emerso
dopo la caduta del muro di Berlino: “Non
dobbiamo riconoscere un
ordine costruito contro la Russia. Abbiamo cercato di integrarci, ma
era una Versailles 2.0. Dovevamo distruggere quest’ordine. Non con
la forza, ma attraverso una distruzione costruttiva rifiutando di
parteciparvi. Ma quando la nostra ultima richiesta di fermare la
Nato è stata respinta, si è deciso di usare la forza”.
Sull’obiettivo della guerra in Ucraina, il capo del Consiglio di
politica estera e della difesa ha le idee chiare: “La maggior parte
delle istituzionisono,
secondo noi, unilaterali
e illegittime. Minacciano la Russia e l’Europa orientale.
Noi volevamo una pace giusta, ma l’avidità e la stupidità degli
americani e la miopia degli europei ci hanno rivelato che questi
attori non la vogliono. Dobbiamo correggere
i loro errori“. Ascoltando le sue parole, la possibilità
che il conflitto possa allargarsi e coinvolgere anche altri Paesi
non è da escludere del tutto, perché “se va avanti così, gli obiettivi
in Europa potrebbero essere colpiti o lo saranno per
interrompere le linee di comunicazione”.
Un’ipotesi, quest’ultima, che non considera i recenti fallimenti
dell’esercito russo, come il ritiro delle truppe dalla
capitale ucraina. “E se l’operazione su Kiev avesse lo scopo di
distrarre le forze ucraine dal teatro principale a sud e sud-est? –
domanda retoricamente – Tra l’altro le truppe russe sono state molto
attente a non
colpire obiettivi civili, abbiamo usato solo il 30-35%
delle armi”. I massacri avvenuti negli scorsi giorni e documentati
dai media internazionali non fanno testo, nella visione di Mosca:
“La storia di Bucha è
unamessinscena,
una provocazione”.Karagarov
ignora le prove. Ma ignora anche le risorse e le persone perse in 44
giorni di guerra: i
russi sono “pronti
a sacrificare tutto ciò
per costruire un sistema
internazionale più vitale.
Vogliamo costruire un sistema internazionale più giusto e
sostenibile. Diverso da quello emerso dopo il crollo dell’Unione
Sovietica e che, a sua volta, ora sta crollando. Ora ci stiamo tutti
fondendo nel caos. Vorremmo costruire la Fortezza Russia per
difenderci da questo caos, anche se per questo diventeremo più
poveri”. Per evitare tutto ciò, per ottenere un cessate il fuoco,
“l’Ucraina deve diventare neutrale e
completamente demilitarizzata:
niente armi pesanti, qualsiasi parte dell’Ucraina rimanga. Ciò
dovrebbe essere garantito da potenze esterne, compresa la Russia, e
nessuna esercitazione militare dovrebbe aver luogo nel paese se uno
dei garanti è contrario. L’Ucraina dovrebbe essere un cuscinetto
pacifico”.
Per Sergej
Karaganov,
ex consigliere di Putin,
quella in Ucraina è una guerra
contro l’Occidente.
Intervistato dal Corriere
della Sera,
il capo del Centre for Foreign and Defense Policy di Mosca ha
spiegato che il conflitto era
a suo avvisoinevitabile perché
l’Ucraina “è
stata riempita di armi e
le sue truppe sono state addestrate dalla Nato, il loro esercito è
diventato sempre più forte”. Inoltre, stando alle sue parole, c’è
stato “un rapido aumento delsentimento
neonazistain
quel Paese. L’Ucraina stava diventando come la Germania intorno
al1936-‘37“.
La versione di uno degli uomini più ascoltati da Putin è quella che
Mosca continua a propagandare dall’inizio del conflitto, da un lato
negando massacri e dall’altro addossando alla Nato le
mosse che hanno portato all’invasione dell’Ucraina.
Sono trascorsi più di 40 giorni
dall'invasione russa dell'Ucraina che ha provocato lo scoppio della
guerra tra Mosca e Kiev. Scoppiata il 24 febbraio 2022 con il casus
belli dell'indipendenza del Donbass e della "denazificazione" – secondo
Putin – dell'Ucraina, l'offensiva del Cremlino ad oggi si sviluppa su
quattro fronti: Kiev, Kharkiv (Luhansk e Donetsk Oblasts), Mariupol e
Kherson. L'invasione russa dell'Ucraina è il punto d'arrivo della crisi
russo-ucraina che dal 2014 contrappone i due Paesi, e che ha subito una
escalation prima tra il marzo e l'aprile del 2021, poi all'inizio del
2022 con l'invasione militare. Una delle cause principali del
conflitto risiede nella svolta europeista del governo ucraino, e nella
sua volontà di aderire alla NATO, osteggiata da Mosca.
Gli attacchi russi hanno colpito moltissime città, tra cui anche le aree
più a ovest, vicine al confine Ue, come Leopoli. Ad oggi le città più
martoriate sono Kharkiv, Mariupol, Kherson, che hanno subito numerosi
bombardamenti e sono state rase al suolo. Man mano che gli ucraini
riconquistano le città precedentemente occupate dai russi, emergono
testimonianze su crimini di guerra commessi contro i civili, come nel
caso della città di Bucha, in cui si è dato il via a un vero e proprio
massacro.
Contemporaneamente all'offensiva russa sul campo, continua la guerra
economica da parte dell'Occidente, che ha varato cinque pacchetti di
sanzioni contro Mosca. Il conflitto ha provocato la maggiore crisi di
rifugiati in Europa dallo scoppio della seconda guerra mondiale: sul
sito di UNHCR è possibile vedere i dati aggiornati sui rifugiati ucraini.La
guerra sta coinvolgendo molti Paesi nel mondo e, come spiegato dall'ONU,
ha un impatto a livello globale. L'Occidente – Unione Europea, Stati
Uniti e NATO – non è intervenuto militarmente in Ucraina, ma ha
rafforzato le difese militari al confine con l'area NATO, ha inviato
armi e imposto durissime sanzioni a Putin. Dal canto suo, il capo del
Cremlino ha firmato un decreto che impone il pagamento del gas russo in
rubli, ha vietato l'ingresso nel Paese ai leader europei e ha emanato
delle contro-sanzioni nei confronti dell'Occidente. Turchia e Israele si
pongono come mediatori del conflitto e interlocutori di Mosca, mentre la
Cina è sospettata di stare aiutando militarmente il Cremlino nella
prosecuzione dell'offensiva.
Finora i mercenari di Mosca non erano mai comparsi. E adesso la
compagnia privata potrebbe avere un nuovo ruolo: reclutare una
legione straniera per la guerra di Putin
Dopo esseri ritirati dalla regione di
Kiev verso la Bielorussia e i confini a nord dell’Ucraina, le forze
armate russe si stanno riposizionando a est del Paese dove si stanno
concentrando ora i combattimenti con le forze ucraine. Secondo gli
analisti, lo spostamento di truppe indica che il nuovo obiettivo di
Mosca potrebbe essere la città di Slovyansk, nel sud est dell’Ucraina,
proprio nella zona di confine con Donbass occupato dai russi. In
effetti, come dichiarato dal Cremlino a più riprese, abbandonata
l’idea di prendere Kiev dove le truppe ucraine hanno riconquistato
quasi tutto il territorio portando alla luce anche terribile crimini
coma a Bucha, ora l’obiettivo è il sud e l’est dell’Ucraina dove i
combattimenti sono intensi.
La Russia cerca di unire i due fronti sud ed est
L’idea di Mosca sarebbe quella di unire i due fronti sud ed est in un
unico blocco chiudendo in una morsa le forze armate ucraine che
resistono ormai da oltre un mese e togliendo definitivamente
all’Ucraina ogni possibilita di riconquistare uno sbocco al mare. La
battaglia infatti imperversa ancora nella città portuale di Mariupol
che però i russi stanno cercando di oltrepassare con offensive alle
sue spalle. Si combatte anche nei dintorni di Kharkiv, nell’est, e di
Izyum, conquistata e persa a più riprese dai due eserciti. Le truppe
russe si stanno preparando anche per un attacco a Slovyansk che, se
portato a temine, potrebbe voler dire l’accerchiamento di molte unità
ucraine nel Donbass.
Si combatte anche nel Sud dell'Ucraina
Secondo il ministero della Difesa del Regno Unito, le forze russe si
stanno consolidando e riorganizzando nella regione sud est
dell’Ucraina con l’ausilio di nuove truppe e mercenari ma è
improbabile che le truppe che si sono ritirare dal nord di Kiev
possano essere operative in breve tempo visto che richiedono una
significativa riorganizzazione prima di essere disponibili. Al momento
comunque l’avanzata russa al sud sembra rallentare. Le forze russe,
che inizialmente hanno ottenuto rapidi avanzamenti, ora guadagnano
terreno con molta fatica. Anche ad ovest, dove i russi avevano tentato
di spingersi verso Odesa, con l'obiettivo di bloccare l'accesso
dell'Ucraina al Mar Nero, l’ avanzata si è bloccata a Mykolaiv, dove
un contrattacco delle truppe ucraine ha respinto le forze russe verso
la città di Kherson anche se le infrastrutture di Odessa continuano
ad essere bombardate e l’accesso al mare da parte dell'Ucraina è
praticamente impossibile per il blocco navale della marina militare di
Mosca.
42° GIORNO DI GUERRA --- 06-04-22
I massacratori di Bucha in fila per spedire a casa i beni razziati ai
morti
di Daniele Raineri
Le telecamere di un ufficio di spedizioni in Bielorussia hanno ripreso
i militari di Mosca mentre si preparavano a inviare il bottino dei
saccheggi: televisioni, vestiti, casse audio e tavoli
Imboscata alle porte di Kiev: il tank ucraino sorprende
la colonna di blindati russi--Periferia
di Kiev. Un tank ucraino T64 nascosto tra le case riesce a sorprendere
una colonna di blindati russi BTR 82A.
Il carro armato centra un mezzo nemico e in pochi istanti si genera un
conflitto a fuoco. Successivamente si verificano delle esplosioni
probabilmente provocate da un improvviso attacco dell'artiglieria
ucraina. La battaglia è stata ripresa dalla telecamera di un drone.
Siamo a Nova Basan, un villaggio a est della capitale al centro di
numerosi scontri: alcuni casali stanno bruciando già prima della
battaglia. Lungo la strada c’è una colonna delle forze di invasione
che si sta ritirando: sono carri armati T72 e blindati Btr82, il più
moderno veicolo russo di questo tipo con un cannoncino a tiro
rapido. Insomma è uno schieramento potente, ma cieco: nessuno
sorveglia cosa succede sui fianchi. Non ci sono i piccoli droni che
la Nato impiegava in Iraq e Afghanistan, né gli elicotteri previsti
dalla tradizione sovietica. Altrimenti avrebbero avvistato le tracce
lasciate sul terreno fangoso dai cingoli di un tank ucraino T64B,
che si è nascosto tra le abitazioni.
Il carro armato si sposta dal suo rifugio e apre il fuoco
distruggendo un blindato. A quel punto, la colonna russa reagisce in
maniera caotica. I mitraglieri sparano a caso perché non conoscono
la posizione del nemico; i fanti scendono dai mezzi e si disperdono,
senza tentare un contrattacco. Il convoglio sotto attacco rallenta.
Proprio quello che volevano gli ucraini: in quel momento iniziano a
cadere i proiettili dell’artiglieria, che da chilometri di distanza
dirige i colpi sulle coordinate indicate dal drone.
Dopo la fine della battaglia sulla strada sono stati fotografati
almeno due veicoli russi carbonizzati – altre fonti parlano di
cinque mezzi distrutti – e numerosi corpi. Dal punto di vista
militare, l’imboscata è da manuale: l’azione coordinata tra un
singolo tank e l’artiglieria ha permesso di infliggere gravi danni
senza avere perdite. Per i generali russi invece si tratta
dell’ennesima lezione sull’arretratezza dei loro metodi di
combattimento
Ucraina, ha un nome e un volto il macellaio di Bucha. Un quarantenne
alla guida di 1600 ventenni provenienti dalle regioni interne della
Mongolia. Senz'altro imbevuti fino alla cime dei capelli di
Rodnoveria ed Iper-Nazionalismo esoterico, tuttavia meri
esecutori di carnefici esperti in torture e sevizie, ovvero i
reparti Specsnaz Ceceni.
Kiev pubblica su Telegram l'elenco dei soldati russi coinvolti,
anche il nome del comandante e il suo indirizzo.
Ha un nome e un volto il comandante delle
truppe russe che il 31 marzo hanno smobilitato da Bucha lasciandosi
alle spalle cadaveri di civili per strada, nelle fosse comuni,
ucraini giustiziati con un colpo alla nuca e le mani legate.I
volontari del progetto InformNapalm hanno trovato e pubblicato su
Telegram i dati del comandante dell'unità militare 51460, 64/a
brigata di fucilieri motorizzati, coinvolta in crimini di guerra a
Bucha, nella regione di Kiev. Lo riferisce l'Agenzia Unian. "Siamo
riusciti a trovare anche l'indirizzo di casa del boia russo". Si
tratta del tenente colonnello Omurbekov Azatbek Asanbekovich.Su
Telegram è stato pubblicato anche l'indirizzo email e il numero di
telefono di Asanbekovich. Di Asanbekovich, comandante dell'unità
militare 51460, 64ma brigata di fucilieri motorizzati, è stata
pubblicata anche la foto: giovane, in tuta mimetica, un carrarmato
alle spalle, le labbra carnose, gli occhi allungati dei buriati, la
più grande minoranza etnica di origine mongola della Siberia. Da
dove è partita per muovere guerra all'Ucraina l'unità 51460,
esattamente da Knyaze-Volkonskoye, nel territorio di Khabarovsk,
nell'estrema Russia orientale.
"Siamo riusciti a trovare anche l'indirizzo di casa del boia russo",
hanno scritto i volontari di InformNapalm, citati da Unian,
annunciando la pubblicazione di dati, archivi e spiegazioni su come
trovare il comandante russo. "Ogni ucraino dovrebbe conoscere i loro
nomi. Ricordate. Tutti i criminali di guerra saranno processati e
assicurati alla giustizia per i crimini commessi contro i civili
dell'Ucraina", si legge nella dichiarazione della Direzione
principale dell'intelligence del Ministero della Difesa
dell'Ucraina, pubblicata sul suo sito. E a seguire l'elenco
dettagliato di 87 pagine con i nomi degli oltre 1.600 soldati russi
ritenuti coinvolti nel massacro di Bucha. Truppe che in parte
rispondono al tenente colonnello Asanbekovich. "Macellai", come li
ha definiti oggi il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Nell'elenco i soldati sono identificati con grado militare, nome e
cognome, data di nascita ed estremi del passaporto. Per molti di
loro solo l'indicazione 'soldato semplice'. Tra i cognomi anche
alcuni tra i più diffusi in Cecenia. Alcuni dei loro volti si vedono
nelle foto pubblicate in rete, ragazzi, occhi a mandorla, sorridenti
davanti all'obiettivo: 'la banalità del male', forse Hannah Arendt
quella frase la ripeterebbe. Per gli attivisti, in base alle
informazioni che hanno avuto, sono stati proprio i militari di
questa unità a commettere "scioccanti crimini di guerra nelle città
di Bucha, Gostomel e Irpen, nella regione di Kiev". I residenti di
Bucha dal canto loro hanno raccontato al sito di news Obozrevatel
che i soldati russi sono "semplicemente andati di cortile in cortile
sparando a tutti gli uomini e ai ragazzi. Tra di loro abbiamo
riconosciuto buriati con gli occhi stretti e lunghi". Per Mosca
invece quei cadaveri abbandonati sono solo propaganda, una messa in
scena dell'Occidente e dell'Ucraina. Ma tra la realtà e la
propaganda il confine può essere sottile solo se si tratta di
parole. A Bucha parlano i corpi senza vita e senza sepoltura di
cittadini inermi.
LA RAPPRESAGLIA PER LA PERDITA DEL 331° REGGIMENTO
PARA'
Una lista di oltre
1.600 soldati,
con nomi, cognomi, facce e in alcuni casi indirizzi e recapiti
telefonici. Tutto contenuto in 87 pagine diffuse sul sito della
Direzione principale dell’intelligence del ministero della Difesa
dell’Ucraina. Un unico appellativo: “Tutti
criminali di guerra”.
Si tratta dei giovani soldati russi che secondo l’intelligence di Kiev erano
di stanza nella cittadina alle porte della capitale nei giorni in cui
sono stati perpetrati i terribilicrimini
contro la popolazione civile,
con uomini, donne, bambini e anziani che sono stati legati e giustiziati
sommariamente, abbandonati in fosse, gettati nei pozzi o per strada, con
diverse persone torturate.
A guidare le truppe durante la mattanza nella quale si calcola siano
morte almeno
400 persone c’era
colui che è già stato ribattezzatoIl
boia di Bucha,
nonostante Mosca neghi
ogni responsabilità del proprio esercito: il comandante dell’unità
militare 51460 della 64esima brigata di fucilieri motorizzati, il 41enne
colonnelloOmurbekov
Azatbek Asanbekovich.
Faccia pulita, la sua, almeno dalle poche immagini circolate online
grazie al lavoro dei volontari del progetto InformNapalm che
le hanno scovate e pubblicate online. Così come pulite sono le facce dei
suoi soldati, tutti ragazzi apparentemente molto giovani, da quello che
si può vedere, che però, secondo le accuse, si sono resi responsabili
dei terribili crimini commessi a pochi chilometri dalla capitale
ucraina. “Siamo riusciti a trovare anche l’indirizzo di casa delboia
russo“,
hanno annunciato i volontari di InformNapalm.
“Tutti i criminali di guerra saranno assicurati alla giustizia per i
crimini commessi contro la popolazione civile ucraina”, assicurano
invece dal ministero della Difesa ucraino.
Nell’elenco di nomi della “64esima brigata di fanteria motorizzata
separata della 35esima armata”, i soldati sono identificati con grado
militare, nome e cognome, data di nascita ed estremi del passaporto. Per
molti di loro, al posto del grado militare è scritto semplicemente ‘privato’,
ad indicare, forse, gruppi di volontari o addirittura di paramilitari
provenienti da milizie private. Tra questi figura anche qualche nome
proveniente da diversi distretti della Cecenia.
Intorno ai fatti di Bucha si è intanto scatenato il solito scambio
di accuse tra le parti. Se il governo di Kiev chiede alblocco
Nato-Usa provvedimenti severi nei confronti della Russia, da
Mosca viene negata qualsiasi responsabilità dell’accaduto, con il
ministro degli Esteri,Serghej
Lavrov, che parla di “messinscena
dell’Occidente” e dell’Ucraina sui social network: una
versione, la sua, che però contrasta con le dichiarazioni dinumerosi
testimoni sentiti dai media internazionali, con l’Unione
europea che con il suo portavocePeter
Stano ha ribadito che un’indagine sarà necessaria, aggiungendo
però che “queste aree di cui parliamo sono state sotto l’occupazione,
sotto il controllo dell’aggressore, delle truppe russe, o sono state
bombardate dall’aggressore. Quindi, naturalmente, non c’è nessun altro
che avrebbe potuto commettere queste atrocità”.
Ci sono due comandanti ceceni che hanno operato nella zona di Bucha,
entrambi famosi e crudeli. Uno è Hussein Mezhidov, comandante del
battaglione Sud della Rosgvardia cecena. L’altro è Anzor Bisaev,
meno famoso e con lo stesso compito di ''pulizia'' del territorio.
Il primo è stato geolocalizzato lì dall’inizio dell’invasione,
perché ha preso parte alla riconquista dell’aeroporto di Hostomel.
poi, secondo alcune fonti si sarebbe spostato in Donbass intorno al
25 marzo. Bisaev è arrivato nella zona ai primi giorni di marzo e
sarebbe rimasto più a lungo. Il 23 marzo infatti c’è stato un summit
tra i comandanti ceceni, in cui si è deciso – stando a Kadyrov – di
renderli parte della liberazione dell’intera Ucraina, ossia il
trasferimento in altre zone dove sarebbero stati più utili: Donbass
e Mariupol. Alla riunione erano presenti Mezhidov, Bisaev, Magomed
Tushaev e il grande capo Sharip Delimkhanov. Ci sono numerosi video
che mostrano Mezhidov e Bisaev nei sobborghi di Kiev. In alcuni
fanno operazioni umanitarie, aiutando vecchi e bambini.
Stalin e la questione ucraina: così Lenin si pentì di averlo nominato
segretario generale del Pcus
Il 3 aprile 1922 Iosif
Stalin diventaSegretario
generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica,
una carica creata da Vladimir Lenin per l’uomo che, in quel momento,
ritiene essere un suo fidato luogotenente. Lenin è ancora il leader
riconosciuto, ma le sue condizioni di salute, dal maggio del 1921, sono
precarie in seguito a un ictus che non gli consente più di dedicarsi a
tempo pieno all’attività politica e di governo. Il ruolo offerto a
Stalin deve fungere anche da
copertura a
Lenin. L’Ufficio politico del partito ha il compito di controllare la
salute del leader, aspetto che per Lenin diventa una indesiderata gabbia
poiché gli sono limitate le letture dei giornali e gli incontri.
Il 1922 è un anno di precari equilibri sia per lo stato che per il
partito, diviso e solo formalmente unito nel nome di Lenin. Da
segretario, Stalin accumula potere e attraverso la gestione delle
nomine, delle promozioni e dei trasferimenti crea un corpo di quadri
dirigenti a
lui fedeli.
Stalin non ha lo spessore dei grandi rivoluzionari bolscevichi: non ha
il carisma del capo dell’Armata Rossa Lev
Trockij,
al quale va il merito di avere vinto la guerra civile, ma non ha nemmeno
il prestigio di Lev Kamenev, il presidente del Soviet di Mosca, o di
Grigorij Zinovev a capo del Comintern, l’Internazionale comunista sorta
nel 1919. Kamenev e Zinovev sono in grado di affrontare Lenin sul piano
politico e teorico mentre Stalin appare più un uomo con
competenze organizzative.
Stalin è anche ministro del primo governo sovietico, delegato alla
spinosa questione delle nazionalità. L’Unione
Sovietica nasce ufficialmente il 30 dicembre 1922 come frutto
di un trattato tra la Repubblica federale russa e le tre repubbliche di
Bielorussia, di Ucraina e di Transcaucasia (Armenia, Azerbagian e
Georgia). L’Urss sorge e si dissolve – il 31 dicembre 1991 – attorno al
tema delle nazionalità, un aspettofonte
di tensione anche nella fase di impianto. Nel maggio del 1923
Sultan Galeev, che voleva realizzare una repubblica nazionale
tataro-baskira unendo tutti i musulmani di Russia, è il primo alto
dirigente che viene processato per “deviazione nazionalistica”.
In questo quadro anche l’Ucraina esce frustrata dal
suo desideriodi
indipendenza, in contrasto con i principi di autodeterminazione
dei popoli sanciti nel 1918 dalla Dichiarazione dei diritti del popolo
lavoratore. L’Ucraina era stata la regione più ricca dell’ex impero
zarista e avrebbe potuto godere dell’indipendenza sulla base degli
accordi del 1917 (rivelatisi temporanei) di Brest-Litovsk,
godendo dell’appoggio della Germania – poi sconfitta nella Prima guerra
mondiale – della Francia, troppo lontana per esercitare la sua
influenza, e della Polonia, a sua volta intervenuta e sconfitta
nell’ambito della guerra civile russa. L’Ucraina resta un’osservata
speciale perché animata da
forti tensioni controrivoluzionarie durante la guerra civile.
Lenin accusa Stalin di muoversi, nella gestione delle nazionalità, sulla
base del
precedente nazionalismo zarista russo,
un aspetto che ripugna il capo della rivoluzione. Nel febbraio del 2022
il presidente della Russia, Vladimir Putin, ha attribuito a Lenin la
colpa dell’esistenza dell’Ucraina ponendosi in linea di continuità con
lo sciovinismo zarista e
con Stalin.
Molto presto, già a dicembre del 1922, Lenin si rende conto che Stalin
non è la persona adatta al ruolo, ammettendo di avere compiuto un
errore. Lenin formula la proposta di allontanare Stalin dalla
segreteria, ma
inutilmente: il potere del leader è ormai solo formale, i suoi
articoli vengono pubblicati a distanza di mesi. Eppure la capacità di
riflettere sul corso dell’esperienza rivoluzionaria porta Lenin a nuove
e più realistiche considerazioni che lo allontanano dall’iniziale
intransigentismo, ma la sua riflessione non è più seguita dai membri del
partito, ormai incentrati sulle
manovre di successione al leader malato. In una lettera,
testamento al partito, Lenin esprimele
sue più severe critiche a Stalin, avvisando del pericolo gli
altri dirigenti, ma la lettera non viene pubblicata e non influisce
nelle manovre di successione.
Da straordinario manipolatore, Stalin si presenterà come il
più fedele continuatoredi Lenin e contro la
volontà del leader della rivoluzione, che non voleva cerimonie e
mausolei, renderà il corpo di Lenin reliquia
ufficiale del regime ribattezzando poi Pietrogrado in
Leningrado. Nel corso degli anni, Stalin farà eliminare tutti gli
esponenti del partito che potevano metterlo in ombra, compresi Kamenev e
Zinovev che l’avevano sostenuto nella fase di successione. Assieme a
loro il terrore staliniano – secondo i calcoli dello storico Aleksej
Timofejchev – provocherà la morte dioltre
sette milioni di persone.
Ucraina come sponda per un nuovo ordine
mondiale? Le
ambizioni di Cina e Russia oltre la guerra a Kiev. “Xi
vuole rompere lo schema americanocentrico”“Russia eCina continuano
a parlare con una sola voce negli affari globali, con l’obiettivo di
andare verso unordine
mondiale multipolare,
giusto e democratico”. Le dichiarazioni del ministro degli Esteri
cinese, Wang
Yi,
al termine dell’incontro con il suo omologo russo, Serghej
Lavrov,
tornano su un tema caro a Pechino.
Ma se negli anni la questione del “nuovo
ordine mondiale” è
stata sollevata ciclicamente nelle dichiarazioni dellaRepubblica
Popolare,
questa riproposizione nel corso di un conflitto, quello in Ucraina,
che vede coinvolte a diversi livelli tutte e tre le principali potenze
mondiali, Stati
Uniti, Russia eCina,
assume un significato diverso.Secondo Paolo
Magri,
direttore dell’Istituto
per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi),
il messaggio di Pechino è rivolto “soprattutto agli Stati Uniti e al
loro braccio militare, ovvero laNato.
Quindi, Pechino fa
riferimento a un ordine che preveda più spazio per la Cina che intende
mettersialla
guida dei Paesi in via di sviluppo.
La Nuova
Via della Seta e
iBrics sono
tutti esempi che esprimono lo stesso concetto, ossia ‘anche noi vogliamo
partecipare alla definizione delle regole del gioco, soprattutto in
campo economico’”. Una visione, questa, condivisa anche daVittorio
Emanuele Parsi,
direttore dell’Alta
Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell’università
Cattolica di Milano, che vede però il messaggio cinese più indirizzato
“a chi crede che il mondo sottol’egemonia
americana abbia
portato più danni che benefici. Gli esempi nella storia recente
abbondano, dall’invasione dell’Iraq alla
gestione del ritiro dall’Afghanistan,
ma anche della crisi
economica del 2008.
Ciò che stanno dicendo è che vogliono una gestione dell’ordine diversa”,
che si allontani da quella americanocentrica.
NAZIONAL-ESOTERISMO,
iper-tradizionalismo (RODNOVERIA), Evola e scontro tra Mondi
escatologici:la mostruosa fusione dell'ideologia che muove Putin. Dugin
e LA QUARTA TEORIA POLITICA:un'Idra ideologica capace di inghiottire
estrema destra, terzoposizionismo ed iper-bolscevismo anti-materialista.
Tra la fine degli anni 1980 e il 1992, Dugin visse a Parigi dove
stabilì contatti conAlain
de Benoist, il principale ideologo della Nouvelle
Droite francese; i due si distanziarono dal 1993, poiché De
Benoist non condivideva le mire imperiali dell'eurasiatismo, anche se
rimane il pensatore più simile a Dugin in Europa occidentale.[24] Nel
1992 Dugin iniziò a pubblicare il suo giornale,Elementy,
il cui titolo riproduceva quello del giornale Élements dellaNouvelle
Droite debenostiana.[25]
Nel 1990-1991 Dugin fondò l'Associazione Arktogaia, che nel 1993-1994
confluì come nucleo ideologico nel Partito
Nazional-Bolscevico che lo stesso Dugin fondò insieme allo scrittoreĖduard
Limonov.[23] Negli
stessi anni Dugin si dedicò allo studio delle origini dei movimenti
nazionali e alle attività dei gruppi esoterici a essi correlati insieme
al giornalista diestrema
destraChristian
Bouchet all'epoca membro dell'Ordo
Templi Orientis.[26] Celebrò
sia lozarismo sia
laprassi
politica diStalin,
oltre a Julius Evola,[7] e
fu uno dei collaboratori più prolifici al settimanaleDen (Il
giorno), uno dei centri ideologici dell'anti-cosmopolitismo russo,
attraverso il quale disseminò le teorie eurasiatiste.[23]
In quegli anni Dugin studiò la semiotica geopolitica e le teorie
esoteriche del controverso pensatore tedesco Herman
Wirth (1885–1981), co-fondatore dellaAhnenerbe.
Il risultato confluì nel libro La teoria iperborea (1993), in cui
Dugin supporta le teorie di Wirth come base per la sua visione
eurasiatica che propone come possibile soluzione per colmare il vuoto
ideologico lasciato dall'esaurimento di comunismo, liberalismo e
democrazia in Russia.[27] Dugin
inoltre contribuì alla diffusione della leggenda secondo cui Wirth
avesse scritto un'opera fondamentale sulla storia degliEbrei e
sull'Antico
Testamento, il cosiddetto Palestinabuch,
che avrebbe cambiato la storia del mondo se non fosse andato perduto.[28]
Le differenze ideologiche con Limonov si fecero nel frattempo
incolmabili e portano Dugin a uscire dal Partito Nazional-Bolscevico
insieme ai militanti più accesamente nazionalisti. Dugin si spostò
quindi ancora più a destra, con la fondazione di organizzazioni
anti-liberali e anti-progressiste che sempre mantennero un basso
profilo, tra le quali il Fronte Nazionale Bolscevico. Dopo la rottura
con Limonov, nel 1998 Dugin
si avvicinò aEvgenij
Primakov e, in seguito, alla cerchia diVladimir
Putin.[29]
Dugin è stato descritto dalla francese Marlène Laruelle, storica dell'eurasiatismo,
come senza dubbio il principale ideologo dell'eurasiatismo contemporaneo
o neo-eurasiatismo.[31] Nei
primi anni 1990 condivise tale primato con Aleksandr Panarin; in un
primo momento i due erano in opposizione, in quanto Panarin criticava
l'approcciopagano dell'eurasiatismo
dughiniano, il quale vede l'uomo come principalmente integrato nel mondo
naturale e la civiltà urbana come organismo tendenzialmente parassitario
distaccato dal mondo naturale.[31] Panarin
si riavvicinò a Dugin nei primi anni 2000, poco prima di morire di
malattia, entrando nel Partito Eurasia e scrivendo un preambolo al libroPolitical
Philosophy di Dugin.autore=Matteo Luca Andriola|
Nel 2019 Dugin e Bernard-Henri
Lévy — considerati esponenti ideologici di spicco degli oppostisovranismo emondialismo —
si confrontarono sul tema di quella che è stata definita "la crisi del
capitalismo" e l'insurrezione dei populismi nazionalisti.[32]
Il pensiero di Dugin è in molti aspetti simile a quello di Alain
de Benoist, spesso citato da Dugin stesso, e della Nouvelle
Droite francese, e i due ebbero dei contatti tra la fine degli
anni 1980 e i primi anni 1990; grandi differenze constano nel fatto che
De Benoist non condivide l'idea di un "impero eurasiatico" che saldi
l'Europa occidentale alla Russia, e si appoggia solo parzialmente al
tradizionalismo integrale, che è invece fondamento imprescindibile per
Dugin.[25] Oltre
che principale ideologo dell'eurasiatismo contemporaneo,[36] Dugin
è elencato tra i circa trenta più influenti ispiratori dellarodnoveria (neopaganesimo
slavo-russo).[37] Jafe
Arnold, uno dei principali studiosi accademici del dughinismo e delle
sue radici esoteriche, ha definito il filosofo russo come il pioniere
della giunzione tra eurasiatismo, tradizionalismo e geopolitica
geofilosofica risultante in un capitolo del tutto nuovo nella storia del
tradizionalismo integrale,[38] parte
di quello che lo studioso Pavel Nosachev ha definito un nuovo
"tradizionalismo russo".[39] Lo
studioso Michael Millerman ha messo in luce la centralità del pensiero
filosofico-politico di Heidegger nell'opera di Dugin, ritenendo l'heideggerismo
il vero cuore del dughinismo a cui eurasiatismo e tradizionalismo
sarebbero ancillari.[40] Lo
studioso Mark Sedgwick ha definito al contempo il dughinismo come una
prassi che unisce in sé sia il tradizionalismo "duro" (orientato
all'azione politica radicale;à la Evola) che il
tradizionalismo "morbido" (orientato alla contemplazione; degli altri
autori tradizionalisti).[41]
Dugin è stato variamente definito da accademici e giornalisti
dell'Occidente come il "filosofo più pericoloso al mondo",[42] "uno
dei più pericolosi esseri umani sul pianeta", tra i cento "maggiori
pensatori al mondo", nonché il "cervello di Putin", il "Rasputin di
Putin", il "folle mistico russo", il "guru del
Cremlino", e con vari altri epiteti definiti dalla Laruelle come indice
di una "ossessione dell'Occidente nei suoi confronti".[43] Il
giornalista americano Charles Clover lo ha definito nel suo libroBlack
Wind, White Snow, basato su un'ampia intervista a Dugin stesso, come
"inventore, architetto e impresario del'Eurasia" che ha contribuito alla
concezione e alla costruzione della politica russa contemporanea
orientandola verso una "conquista della realtà".[44]
Il 4, simbolo del Dio del Cielo, Dyeus,
e simbolo astronomico di Giove,
usato come simbolo della 4pt.
«Il regno del nazional-bolscevismo,
il Regnum, l'Impero della Fine ... È il ritorno degli angeli,
la resurrezione degli eroi, l'insurrezione del cuore contro la
dittatura della ragione. Questa Ultima Rivoluzione è compito
dell'acefalo, il portatore senza testa di croce, falce e martello,
coronato dal sole dello svastika eterno.[45]»
Nel nazionalbolscevismo, "nazione" è da intendersi,
come ben esplicito nel russo narod, come un ente integrale, organico,
per sua essenza refrattario a qualsiasi suddivisione anatomica, dotato
di un suo destino particolare e di una sua struttura unica.
Nella dottrina tradizionale ogni nazione è manifestazione di un
principio divino, sprituale, angelico. Esso è "al di fuori del tempo e
dello spazio" e "purtuttavia costantemente presente nelle vicissitudini
storiche della nazione", è un essere di luce, un "pensiero di Dio", la
cui "struttura è visibile nelle realizzazioni storiche della nazione,
nelle istituzioni sociali e religiose che la caratterizzano, nella sua
cultura", nei re divini, nei grandi eroi, nei pastori, nei santi. Esso è
l'Assoluto particolarizzato.[45]
"Bolscevismo"
è da intendersi come il "marxismo di destra" o "comunismo di destra",
"le cui origini risalgono alle antiche società iniziatiche e alle
dottrine spirituali di età remote", che conserva le basi mistiche,
spirituali, e gnostiche presenti in Marx ma non nel marxismo successivo.
Esso è al contempo scevro delle componenti decadenti del marxismo
successivo, quali progressismo e umanismo. Tale bolscevismo
trovò terreno fertile in Russia e presso altri popoli tradizionali non
ancora "alienati dallo Spirito", come la Cina.[45]
Più di recente (dalla pubblicazione di La quarta teoria politica nel
2009), Dugin ha utilizzato il nome di "quarta teoria politica"
(abbreviato "4pt") per la sua idea. Quarta in quanto oltrepassante le
tre teorie politiche precedenti, che si sono alternate plasmando il
mondo moderno—fascismo, comunismo e liberalismo—; quarta in quanto "il
numero 4 è il segno di Giove, il pianeta dell'ordine e della monarchia.
È un simbolo indo-europeo patriarcale del Dio del Cielo —Dyaus, Zeus, Deus".[46]
«La
Quarta Teoria, nelle parole stesse di Dugin, è un recupero del
nazionalbolscevismo che rappresenta "il socialismo senza
materialismo, ateismo, modernismo e progressivismo". È altresì un
recupero della Tradizione spirituale gnostica ed esoterica
originaria e un invito al dialogo costruttivo fra la sinistra
radicale e la Nuova Destra debenostiana,
oltre che con i vari movimenti Verdi ed ecologisti, superando vecchi
steccati ideologici ed approdando a nuove sintesi ideali.[47]»
Secondo Dugin stesso, i sistemi politici-culturali dell'Iran e della
Cina odierni sono già delle manifestazioni storiche della quarta teoria
politica.[48]
«... la meccanica del processo
ciclico, nel quale la corruzione dell'elemento terra (e della
corrispondente coscienza umana), la desacralizzazione della civiltà
ed il moderno "razionalismo" con tutte le sue logiche conseguenze,
sono considerati come una delle fasi della degenerazione.[45]»
Per Dugin, "il centro di gravità della Tradizione si colloca entro una
sfera non soltanto non razionale, ma persino non umana"; esso è l'"asse
del sacro".
L'anello di giunzione tra tradizionalismo e ideologie anti-liberali
(molte delle quali storicamente furono anti-tradizionaliste,
prefiggendosi la distruzione non solo dei rapporti capitalistici ma di
tutte le istituzioni tradizionali — monarchia e chiesa), per Dugin (e
per il nazional-bolscevismo) si trova nella concezione tradizionalista
della ciclicità delle ere, per cui nella modernità tutte le istituzioni
tradizionali "perdono la loro forza vitale, e pertanto
l'auto-realizzazione metafisica deve trovare metodi e vie nuove".[45]
Dugin stesso paragona il nazionalbolscevismo e
l'eurasiatismo alla filosofia diJulius
Evola, alla via
della mano sinistra dell'esoterismo occidentale, nonché albuddhismoesoterico e
altantra delle
tradizioni di matriceindiana,
ossia alle vie di "trascendenza distruttiva", utili per una
purificazione del mondo dalla corruzione data dalla degenerazione
dell'Occidente liberale-globalista, per una cosciente azione di
distruzione delle istituzioni degenerescenti, in un'ottica accelerazionista della
fine dei tempi.[45]
Dugin fa proprio il misticismo escatologico indo-ariano
conservato dalle tradizioni dell'India e non solo, relativo alla discesa
dell'umanità prisca (ariana, successivamente divisasi in ramiindoeuropei eturanici)
dall'Iperborea (il
polo nord, il cui primo centro spirituale fu inRussia,
nelle regioni settentrionali della Siberia e
degliUrali,
da cui gli Ariani si propagarono in tutta l'Eurasia),[53] la
corruzione demonica e degenerazione bestiale dell'umanità nell'era
corrente (Kali
Yuga) determinata da un'apertura, in seno all'apparato
tecnocratico della civiltà occidentale, dell'"uovo
cosmico" non più dalle altezze del Cielo (polo nord) che permea il
mondo con gli spiriti divini, ma dalle bassezze della Terra (polo sud)
che permea il mondo con forze ctonie dissolutrici,[54] e
il ristabilirsi futuro della giustizia celeste sulla Terra per opera di
una nuova incarnazione del Dio supremo del Cielo (ilKalkiindù,
il Maitreya buddhista,
laseconda
venuta dell'escatologia cristiana, e la figura equivalente in tutte
le altre tradizioni):
«Nella tradizione indo-aria la fine
dell'era corrente assisterà al ritorno di Dio sulla Terra. Una nuova
gloriosa Età dell'Oro sorgerà. La Sua venuta inizierà una Grande
Guerra, dopo la quale Egli fonderà il suo regno millenario. Questa
sarà l'era descritta come Krita
Yuga negli antichi testi indù — un'età di giustizia, dovere,
virtù e felicità; un tempo nel quale il "Grande Dio Bianco" del
Cielo regnerà supremo sulla Terra. Nella religione indù sarà il
decimo e finaleavatāra del
SignoreViṣṇu: Kalki il
Distruttore.[55]»
L'escatologia indiana degli yuga è
equivalente ad altre escatologie indoeuropee quali la teoria delle ere
della tradizione greca formulata daEsiodo e
ilRagnarǫk della
tradizione germanico-scandinava (eddica).[56] Dugin
compara e combina le tradizioni indo-ariane anche con l'escatologiabiblica,
di derivazione mesopotamica (e
quindi essa stessa di matrice ariana, per lineaturanico-sumera[57]),
per cui secondo Dugin l'era contemporanea rifletterebbe gli eventi
narrati nell'Apocalisse
di Giovanni, per cui l'Occidente guidato dagli Stati Uniti
sarebbe il "Regno dell'Anticristo"
guidato da Babilonia
la Grande, la Bestia, madre di tutte le prostitute e gli abominii
della Terra.[58]
«Gli USA sono una cultura chimerica,
anti-organica, trapiantata che non ha né tradizioni statali sacrali
né una base culturale, ma che, tuttavia, cerca di imporre il suo
modello "babilonico" anti-etnico, anti-tradizionale, anche in altri
continenti.[58]»
Nel solco di altri pensatori tradizionalisti, in una linea di pensiero
già tracciata in Russia — rappresentata tra gli altri da Konstantin
Nikolaevič Leont'ev —, ilcristianesimo,
specialmente quello occidentale (cattolico eprotestante),
è per Dugin e per i pensatori della quarta teoria politica causa e
veicolo dell'utilitarismo economico e moralistico e delle forze
dissolutorie dell'Occidente morente, per cui Leont'ev affermava che "per
noi Russi è più conveniente una fusione con i popoli asiatici e di
religione non-cristiana per il semplice fatto che tra di essi non è
ancora irrimediabilmente penetrato il moderno spirito europeo".[59] Dugin
afferma che le radici dell'ideologia individualista liberale-globalista
e del mondo che ha prodotto siano da trovarsi nelnominalismo che
prese piede nella teologia cristianascolastica medievale
(cattolica e poi protestante), vale a dire l'idea che i nomi degli enti
e delle categorie di enti siano "suoni vuoti" e non rappresentazioni di
essenze collettive, prevalendo sulrealismo,
ossia l'idea che i nomi siano rappresentazioni di essenze spirituali
reali che generano gli enti e le categorie di enti.[60]
Il cristianesimo occidentale è vuota "anti-tradizione", a differenza
dell'ortodossia russa che ha conservato una tradizione iniziatica esoterica;[61][62] secondo
Dugin l'ortodossia russa preserva una connessione con l'antica religione
russa, slavo-ariana, con le linee iniziatiche pre-cristiane, che la
rendono una continuazione cumulativa di tutta la tradizione spirituale
russa che sia pre-cristiana, cristiana o post-cristiana, una tesi
sostenuta anche da Mircea Eliade nei suoi ripetuti riferimenti a una
"religione cosmica popolare" persistente nell'Europa orientale.[63] Teologicamente,
l'ortodossia russa ha mantenuto una visione "manifestazionista" della
realtà che permette la continuità tra umano e divino, e la possibilità
di deificazione dell'umano, al contrario della visione "creazionista"
della realtà che è prevalsa nel cristianesimo occidentale portandolo
all'esaurimento.[64] Dugin
è per questo vicino sia al movimento dellarodnoveria —
il recuperoneopagano della
fede slava indigena — che aivecchi
credenti ortodossi, dei quali è anche un membro iniziato.[62] I
vecchi credenti sono quegli ortodossi russi che si distaccarono dallaChiesa
ortodossa russa nel XVII secolo perché contrari alle riforme
occidentalizzanti operate dal patriarcaNikon (1605–1681),
che volle allineare la Chiesa russa, nella dottrina e nella pratica,
allaChiesa
ortodossa greca, sceverandola dai suoi elementi slavo-russi
paganizzanti; secondo Dugin entro l'ortodossia russa sarebbero quindi i
vecchi credenti i rappresentanti più genuini della continuità della
tradizione spirituale russa, slavo-ariana, integrata con la gnosi
escatologica del cristianesimo originario che identifica i Russi come la
"Terza Roma" e il Katechon che
contrasta l'Anticristo.[65] Secondo
la Laruelle, Dugin propone una fusione dell'ortodossia russa con il
neopaganesimo in modo tale che la prima si separi definitivamente dal
cristianesimo occidentale e si identifichi con la forza nazionale del
paganesimo ancorato alla terra russa.[62]
Nel suo testo The Metaphysical Factor in Paganism (1990/1999),
Dugin, che segue in ciò Julius Evola, ritiene che siano lereligioni
pagane (gentili, etnico-indigene; in russoyazychestvo,
che letteralmente significa "pratica della lingua [nativa]"), e non le
tre religioni monoteistiche, le più adatte a realizzare l'idea
imperiale, in quanto permettono quella coesistenza di unità e
molteplicità, la molteplicità degli dèi, spiriti o angeli, visti come
emanazioni o espressioni dell'Uno cangiante, e quindi la complementarità
di immanenza e trascendenza, che è necessaria in un sistema di tipo
imperiale.[66]
La Siberia è prevista da Dugin avere un ruolo centrale
nella nuova identità e nel destino della Russia eurasiatica imperiale;
terra di irradiazione nel mondo degli Ariani, ultimo "impero del Cielo"
dopo Thule-Iperborea, la Siberia è rimasta "cuore immacolato" dell'Eurasia
ai margini dello sviluppo della storia del mondo verso la civiltà
occidentale e la sua degenerazione finale assorbita dalla saturazione
del polo sud della Terra, preservandosi da essa, e le sue popolazioni, "teofore"
(portatrici di Dyeus, Tengri, Dingir),
hanno conservato intatta la sapienza estatica originaria degli Ariani,[68] pronte
a re-irradiarla e riattivarla nel mondo mentre essa è scomparsa in
Occidente, si è indigenizzata inIndia con
l'assorbimento degli Ariani nelle popolazioni neredravidiche,
e si è isolata in un solipsismo contemplativo nell'autosufficienza
collettiva della civiltà cinese.[49] I
re-sacerdoti dei popoli ariani (indoeuropei-turanici)
sono tali per diritto divino, "figli del Cielo", in quanto nascono da
madri vergini fecondate dallo Spirito di Dio procedente dal polo nord, o
discendono da linee di sangue con tali origini, e sono caratterizzati da
capelli biondi o fulvi (biondo-rossi) e occhi azzurri.[49] La
Siberia è per Dugin il centro spirituale della Russia-Eurasia dove
avviene la messa a terra delle forze del polo nord, la giuntura tra
Cielo e Terra; prevalentemente nordica nella genealogia e
prevalentemente orientale nella religione, la Russia centrata in Siberia
ha per Dugin il destino cosmico di risvegliare tutti i popoli alla
rivolta contro l'Occidente e al recupero delle proprie tradizioni
religio-politiche, imperiali e indigene,[69] in
alleanza con laCina,
con il mondo dell'Islam (specialmente
quelle frange, soprattuttosciite iraniane
ma anchesunnite turche,
che hanno chiaramente identificato il nemico di Dio della fine del
mondo, ilDajjal,
nell'Occidente), e potenzialmente con l'India,
e con un'America
meridionale e un'Africa decolonizzate
e reintegrate nelle loro essenze autentiche.[70]
La quarta teoria politica apre una lotta escatologica contro tutto ciò
che l'Occidente liberale-globalista incarna di nefasto, e apre al
recupero di tutto ciò che non è moderno né occidentale: "il pre-moderno,
il post-moderno, l'anti-moderno, l'Asia, la tradizione romana".[48] Dugin
teorizza la possibilità di una riorganizzazione della società
nell'antica tripartizione indoeuropea di sacerdoti, guerrieri e
contadini, affinché il Cielo riconquisti la Terra,[6] in
quello che identifica come un "socialismo indoeuropeo",[48] o
un verticale "platonismo politico".[33] Si
tratterebbe di invertire "il processo della modernità che iniziò con il
posizionare, all'opposto, il materiale al di sopra dello spirituale, la
Terra sopra il Cielo".[6] Come
identificate daGeorges
Dumézil, le caste tradizionali sono tre, mentre la quarta casta, le
moderne masse urbane, borghesi nel loro dualismo tra capitalisti e
proletari, sono il frutto dell'unione dei rifiuti delle caste
tradizionali.[48]
Dioniso consegnato alla ninfa Nisa,
di Jacques Francois Courtin. Dioniso è dualità tra Cielo e Terra,
e mediatore tra i due principii, e in quanto tale per Dugin è
(come poi Gesù
Cristo) un simbolo della modalità propria del Dasein.[71]
Il Dasein rappresenta il futuro nuovo centro per un nuovo inizio
di civiltà, nuovoaxis
mundi, punto di congiunzione tra Cielo e Terra, che nascerà in
Eurasia (nonostante, per Dugin come per Evola, il mondo a occidente
giungerà prima rispetto all'Oriente all'instaurazione del nuovo ciclo di
civiltà, in quanto l'Occidente è giunto ormai al fondo finale della
degenerazione[48]),
e allo stesso tempo l'uomo nuovo che lo indicherà.[59] "Riflettendosi,
ilDasein si fa popolo", lingua, storia, spazio e
tempo.[48]
«Il Dasein impone la
trasfigurazione dell'uomo ed il suo ricongiungimento alla dimensione
del sacro: una conquista e riappropriazione dell'ordine
sovrannaturale attraverso l'identificazione di Essere e divenire.
... Egli è un Soggetto partecipe del Divino, ed in quanto tale, di
fronte alla constatazione dell'allontanamento dalla norma, tende a
ristabilire l'ordine; a riappropriarsi della dimensione del sacro, e
dunque a preparare la via per il nuovo Avvento.[59]»
«L'Esserci in Heidegger, rileva Dugin,
è in stretto rapporto con il Geviert, il Quadrato che
consente di intendere, oltre la comprensione impostasi con la
metafisica, la relazione Essere-Evento. In tal senso il Dasein è
l'uomo reintegrato nelle sue possibilità originarie, l'uomo
tradizionale aperto al cosmo e all'influenza dellepotestates che
lo animano, oltre il dualismo razionalista soggetto-oggetto.[5]»
Il Dasein è anche "una forma esistenziale di comprendere il
popolo, che si oppone alle teorie dei liberali, con la loro idea vuota e
insignificante di individuo; alle teorie dei comunisti, basate su classi
e collettività, concetti altrettanto vuoti che non si oppongono affatto
a quelli liberali, poiché questo tipo di collettività è solo un
agglomerato di atomi individuali, come già detto; e, infine, alle teorie
dei nazionalisti, che si rifanno al concetto di Stato nazionale, altra
idea borghese antitetica all'impero e all'idea del sacro".[48]
Il Dasein e ilGeviert in cui si manifesta,
nella post-modernità "liquida" risultata dall'involuzione delle caste
sono completamente occultati e operanti nel nascondimento, sono funzione
di ciò che Dugin chiama il "Soggetto Radicale" (o, secondo una
traduzione migliore che lui stesso ha proposto, il "Sé Radicale"[56]),
corrispondente all'"Individuo Assoluto" o "Uomo Differenziato" di Evola.
Il Dasein è l'essenza ed esperienza più radicale dell'uomo, "pura
presenza dell'intelletto", ciò che rimane dell'uomo quando è liberato da
qualsiasi forma storica secondaria, e non è né individuale né
collettivo. Tale pura presenza dell'intelletto si schiude solo quando
l'uomo si trova di fronte alla morte. E "tale Risveglio non è un'idea
trascendente, ma un'esperienza immanente, che deve tornare a essere la
radice della politica".[48] Dugin
compara il Soggetto Radicale anche alla "Persona Assoluta", forma
dell'Assoluto personificato, del pensiero indiano, ilParam
Atman, che in quella che definisce "trascendenza immanente" è sempre
centro anche laddove non è possibile averne uno, come nel mondo liquido
postmoderno, dove non v'è simmetria che dia forma.[48]
Il Soggetto Radicale si manifesta "quando è saltata la trasmissione
regolare delle forme del sacro" e, non trovando altro che il nulla
intorno a sé, ossia il mondo liquido dato dal dissolversi di tutte le
forme tradizionali, punta a una nuova fondazione.[48] Dugin
valorizza ai massimi livelli un'azione storico-politica che assuma
tratti poietici, magico-rituali, demiurgici, come tipico della
tradizione slavofila.[5]
«Noi non vogliamo restaurare alcunché,
ma far ritorno all'Eterno, che è sempre fresco, sempre nuovo: questo
ritorno è dunque un procedere in avanti, non a ritroso. Il Soggetto
Radicale, inoltre, si manifesta tra un ciclo che finisce e uno che
nasce. Questo spazio liminale è più importante di tutto ciò che sta
prima e di tutto ciò che verrà dopo.[48]»
Diversamente dalla parcellizzazione riduzionista e analitica della
realtà promossa dalla modernità razionalista e liberale, per Dugin come
per la tradizione originale platonica e indo-europea, ed eurasiatica
tutta, v'è "unità fondamentale delle strutture della conoscenza, della
società e del cosmo", quindi l'uomo è veicolo di trasporto della
"trascendenza nell'immanenza inverando il Cielo sulla Terra":[33]
«... l'uomo è un anello della catena
degli dèi. Egli è teso tra le due origini (nachala), e compie
da sé, con la sua esistenza, il trasferimento dell'una nell'altra,
come un demiurgo, un dio ... Egli crea l'ordine del cosmo, organizza
le copie, e dissolve i fenomeni nella contemplazione delle idee.»
37° GIORNO DI GUERRA---01-04-22
Guerra Russia-Ucraina, ucciso miliziano italiano nel Donbass: è stato
colpito da una bomba a mano. Combatteva con i separatisti
Un miliziano italiano di 46 anni, Edy
Ongaro, combattente con le forze separatiste del Donbass,
è rimasto ucciso il
30 marzo in battaglia, nel villaggio diAdveedka,
a nord di Donetsk. È stato colpito da una bomba a mano. La notizia,
diffusa la sera del 31 marzo con un post dal Collettivo Stella Rossa
Nordest, è stata confermata all’Ansa da
Massimo Pin, amico di Ongaro, in contatto con esponenti della ‘carovana
antifascista’ che si trova nell’Oblast.
Lo ricorda lo stesso Collettivo Stella Rossa – Nordest su Facebook: “Si
trovava in trincea con altri soldati quando è caduta una bomba
a mano lanciata dal nemico. Edy si è gettato sull’ordigno
facendo una barriera con il suo corpo. Si è immolato eroicamente per
salvare la vita ai suoi compagni”. Ongaro, di Portogruaro (Venezia)
combatteva con le forze separatistefilo-russe e
si trovava nel Donbass dal 2015. Il “martirio” diEdy
Ongaro “serva a rompere il castello di bugie di questa guerra,
ma soprattutto a rilanciare la lotta
antifascista e internazionalista. Il sacrificio di Edy mostri
la forza del proletariato che saprà portare al trionfo del comunismo”,
proseguono i compagni del miliziano italiano: “Era un compagno puro e
coraggioso ma fragile ed in Italia aveva commesso degli errori. InDonbass ha
trovato il suo riscatto,
dedicando tutta la sua vita alla difesa dei deboli e alla lotta contro
gli oppressori. Ha servito per anni nelle fila di diversi corpi delle
milizie popolari del Donbass fino alla fine dei suoi giorni. Ti
salutiamo Compagno Partigiano con il motto che ti era tanto caro: ‘Morte
al fascismo, libertà al Popolò”, si conclude il post.
Nel 2015 Ongaro parlava in un’intervista della propria decisione di
raggiungere la regione per unirsi alle forze filo-russe contro
l’Ucraina. “Mi chiamo Edy Ongaro, nome di battaglia Bozambo. Vengo dalla
provincia di Venezia, Giussago di Portogruaro, un piccolo paesino come
tanti in mezzo alla campagna”, diceva nell’intervista a Spasidonbass.ru riproposta
all’epoca da Antenna 3.
“Con molto orgoglio e molto onore posso dire di essere parte della
Prizrak, questo battaglione internazionalista, mi sento dal primo
momento tra compagni e compagne. In ogni Stato, in ogni parte del globo
c’è qualche minoranza, qualche etnia che viene calpestata e allora
bisogna reagire”, dice nell’intervista. A spingerlo nel Donbass “Il
rispetto verso se stessi e verso gli altri: questo dovrebbe portare
molte persone, soprattutto per chi come me era in condizioni
deplorevoli, scandalose per uno stato che si dice civile”, a fare la
stessa scelta di ‘Bozambo’. “A queste persone dico; se
potete, venite qui“,
diceva. “Finché ci sarà aria nel mio corpo e finché sangue scorrerà, da
qui non uscirò mai. La
mia scelta è restare qui,
sto cercando di avere la cittadinanza in queste repubbliche”.Ongaro era
stato implicato in una rissa in un bar di Portogruaro, dove aveva
colpito l’esercente con un calcio
all’addome,
scagliandosi alla fine anche contro un carabiniere. Concessi i termini a
difesa, Ongaro era stato rimesso in libertà dal giudice in attesa del
processo, ed era sparito. Da allora di lui erano arrivate solo notizie
via social. In Donbass, già all’epoca, si era arruolato con i
separatisti della brigata Prizrak,
composta soprattutto da foreign
fighter.
Per i filo-russi era diventato una specie di eroe, incurante di
rischiare la vita sotto le bombe per combattere contro il governo di
Kiev, a fianco “di tutti i civili neo-russi che hanno visto l’inferno in
terra”. “Questo è il nostro giorno” aveva scritto quando Vladimir Putin
aveva firmato in diretta tv il decreto col cui la Russia riconosceva
l’indipendenza dall’Ucraina delle repubbliche del Donbass. Il suo nome
di battaglia,”Bozambo“,
era stato scelto in ricordo di un partigiano della seconda guerra
mondiale, e sosteneva che a spingerlo alla lotta con i ribelli filo
russi delle repubbliche di Donetsk e Luhanskm sarebbe stato il ricordo
delle violenze inferte dai fascisti alla sua famiglia. (Foto:
dal profilo Fb del Collettivo Stella Rossa Nordest)
Guerra Russia-Ucraina, da Irpin all’inferno di Bucha: la battaglia a
nord-ovest di Kiev per allontanare i tank di Mosca dalla capitale
Dal trionfo di Irpin all’inferno
diBucha.
Lunedì, attorno alle 16,30, è stato lo stesso sindaco della cittadina
alle porte di Kiev a dare la positiva notizia per il fronte ucraino
attraverso il suo canale Telegram al
termine di una giornata campale. La capitale ha respirato icombattimenti,
specie la parte a nord-ovest, proprio in direzione dei due centri della
cintura, distanti tra loro una manciata di chilometri e a venti minuti
di macchina da Maidan.
Il messaggio postato dal sindaco-combattente, Oleksandr
Markushin,
è stato ripreso in fretta dagli altri canali Telegram e poco dopo è
arrivata la conferma. Le battaglie
decisive per
evitare lo sfondamento deitank
russi con
laZ sul
ferro si sono sviluppate proprio in quel fazzoletto di terra.
Negli ultimi giorni i combattimenti si sono fatti più intensi. In realtà
la cacciata dei russi da Irpin era stata annunciata verso la metà della
passata settimana, ma la conquista non era stata totale. Di riflesso,
mentre a Irpin il primo cittadino celebra la notizia sulle ceneri di una
cittadina che in sostanza non esiste quasi più, a pochi chilometri a
nord la situazione resta drammatica: “Colpi contro le case
dei civili, infrastrutture distrutte, fuoco sui cittadini in
fase di evacuazione:
l’esercito russo sta commettendo crimini
inenarrabili su Bucha. Non li perdoneremo”, è il commento di un
portavoce militare di Kiev rilasciato nel pomeriggio.
Stando a quanto riferito da una delle due parti coinvolte nel conflitto,
la situazione a Bucha sarebbe drammatica. A una ventina di chilometri in
linea d’aria, l’eco dei bombardamenti e
dei colpi di artiglieria è stata una fedele compagna per tutto il corso
della giornata. I ripetutiboati alternati
al suono dellesirene che
oggi hanno riecheggiato tre volte nel corso della giornata su Kiev. Una
situazione divenuta una prassi ormai. La capitale è ridotta a unoscheletro
vuoto, soprattutto nella zona periferica a nord-ovest. Gli
abitanti della zona sembrano ormai rassegnati e a ogni suono della
sirena nessuno reagisce con particolare ansia.
Eppure le bombe e i proiettili cadono a pochi chilometri.
Se l’esercito ucraino dovesse riuscire a respingere le truppe russe
ancora più indietro, verso nord e verso il confine
bielorusso, a Kiev si aprirebbe una nuova partita e soprattutto
si allenterebbe la morsa. La città ha un aspetto spettrale, le strade
sono semivuote e tutti i negozi,
gli uffici e le attività sono chiuse. Solo nella zona centrale tra il
quartiere olimpico e piazza Indipendenza, lungo via
Shota Rustaveli, alcuni caffè e ristoranti sabato hanno
timidamente riaperto i battenti. Soprattutto i giovani ne
stanno approfittando. Servizi attivi anche all’interno dellastazione
ferroviaria con i convogli da e perLeopoli eKharkiv operativi,
ma per il resto, a parte farmacie, qualche ‘magazin’, un paio dibanche e
i venditori ambulanti, tutte le saracinesche sono abbassate. L’attesa
normalità è ancora lontanissima.
“Non c’è un cessate il fuoco a Mariupol,
la città è ancora sotto attacco. Il cessate il fuoco riguarda i corridoi
umanitari, il segmento che va da Berdyansk a Zaporizhzhia“.
Lo ha detto la vicepremier ucraina con delega alla Reintegrazione dei
Territori Occupati, IrynaVereshchuk,
incontrando in videocollegamento i media internazionali a Leopoli.
Inoltre, ha spiegato, “non abbiamo un mediatore, non ci sono organi
terzi che possono verificare l’eventuale violazione del
cessate il fuoco
”.
Putin firma decreto per coscrivere 134.500 persone
Il presidente russo Vladimir
Putin ha
firmato un decreto sullacoscrizioneprimaverile per
“effettuare dal 1 aprile al 15 luglio 2022, la coscrizione di cittadini
russi di età compresa tra 18 e 27 anni che non sono nella riserva (…),
per un totale di134.500
persone“,
si legge nel testo del documento pubblicato
sul portale Internet ufficiale di informazioni legali, come riporta
l’agenzia russaRia
Novosti.
35° GIORNO DI GUERRA---30-03-22
Ministero difesa ucraino: “Nessun ritiro di truppe russe da Kiev e
Chernihiv”
A differenza di quanto annunciato da Mosca, non c’è nessun
ritirosu vasta scala dei russi dalle aree di Kiev
e Chernihiv ma solo movimenti limitati. Lo comunica Oleksandr
Motuzyanyk, portavoce del ministero della Difesa ucraino. “Il
nemico ha ritirato le unità che hanno subito le perdite maggiori per
rifornirle”, rende noto Motuzyanyk, aggiungendo che “l’assedio di
Chernihiv continua, come missili e colpi di artiglieria lanciati dalle
forze russe”.
Ucraina, l’offensiva russa compie il suo primo mese. Le campagne
precedenti: dai 40 giorni in Iraq ai quattro anni dell’assedio di
Sarajevo
Le armate di Vladimir Putin sono ferme da giorni sulla stessa linea di
combattimento e non hanno ancora conquistato le principali città,
nonostante la massiccia campagna di bombardamenti: il piano di
completare l'intera operazione in 15 giorni appare sempre più
irrealistico. Se si guarda indietro ai conflitti degli ultimi decenni,
prendere il controllo di uno Stato a suon di bombe non si è mai
rivelata un'operazione rapida per chi ci ha provato. Ecco i precedenti
La guerra russa in Ucraina sta per compiere
un mese e
non sembra vicina a interrompersi. Secondo le informazioni del
Pentagono le armate di Vladimir Putin sonoferme
da giorni sulla
stessa linea di combattimento e non hanno ancora conquistato le
principali città (qui
la mappa dell’invasione),
nonostante la massiccia
campagna dibombardamenti e attacchi
missilistici.
Col senno di poi sembra ancora più irrealistica la
tabella di marcia contenuta in presunti documenti russi – la cui
autenticità non è mai stata confermata – secondo cui l’intera
operazione si sarebbe dovuta completare
in 15 giorni.
Il governo di Mosca ha forse peccato di ottimismo pensando
all’offensiva in Crimea del febbraio 2014, quando alle milizie
bastarono poco più di cinque giorni (23-28 febbraio) per prendere il
controllo delle sedi istituzionali: in quel caso però si trattava di una
sola regione amaggioranza
russofona che
non venne difesa (o quasi) dall’esercito di Kiev. Se invece si
guarda indietro alle campagne militari degli ultimi decenni,
prendere il controllo di uno Stato a suon di bombe non si è mai
rivelata un’operazione
rapida per
chi ci ha provato, cioè – in quasi tutti i casi – l’alleanza
occidentale a guida statunitense.Afghanistan –
L’operazione Enduring
freedom iniziò
il 7
ottobre del 2001 con
i bombardamenti di Usa e Regno Unito contro Al Qaeda e i Talebani.
All’inizio furono colpite Kabul e Kandahar (dove risiedeva il leader
talebano, il Mullah Omar) poi gli obiettivi di comando, controllo e
comunicazione. Nell’attacco vennero utilizzate tutte lemigliori
tecnologie a
disposizione: i Talebani peraltro possedevano unadebolissima
contraerea,
il che permetteva ai velivoli di operare senza grandi pericoli.
Nonostante ciò, fino all’inizio di novembre i guerriglieri islamici
conservavano ampie
porzioni di territorio:
per piegarli vennero lanciate quasi settemila tonnellate di bombe
BLU-82, tra le più potenti al mondo. Il 12 novembre le forze
talebane abbandonarono Kabul, il 26 cadde Kandahar. Solo dopo la
battaglia di Tora Bora (12-17 dicembre) fu possibile instaurare il
governo provvisorio con a capo Hamid Karzai, che giurò il 22
dicembre. Ma gli attacchi aerei sulle sacche di resistenza
continuarono per tutto l’anno successivo: solo il 1°
marzo del 2003 il
segretario alla Difesa Donald Rumsfeld dichiarò la “fine dei
combattimenti”, che di fatto però non si realizzò mai del tutto fino
al 2021, con la riconquista del Paese da parte dei talebani.
Durata dell’offensiva: 510 giorni (7 ottobre 2001 – 1° marzo
2003)Iraq –
Il rovesciamento di Saddam Hussein da parte degli Usa – considerata
un’operazione molto rapida – impiegò quaranta giorni per
realizzarsi. La guerra iniziò la mattina del 20
marzo del 2003 con
l’invasione del Paese. Già in serata le forze britanniche e i
marines avevano occupato il porto di Umm Qasr, impossessandosi dei
giacimenti petroliferi del sud, e si trovavano in prossimità di
Bassora, che però fu presa solo il6
aprile.
Gli iracheni opposero resistenza per alcuni giorni nei pressi di
Hilla e Karbala, aiutati da una tempesta di sabbia e dalla necessità
americana di rifornire i propri mezzi. Il 9 aprile, tre
settimane dopo
l’inizio dell’invasione, gli americani entrarono nella capitale
irachena con labattaglia
di Baghdad.
Di lì a poco le rimanenti difese irachene crollarono: il 10 aprile i
curdi entrarono a Kirkuk e
il 15 aprile cadde anche la città natale del rais,Tikrīt.
Il 1º
maggio 2003 il
presidente Bush atterrò sulla portaerei Abraham Lincoln e vi tenne
un discorso avendo alle spalle uno striscione con la scrittamission
accomplished (missione
compiuta). La cattura di Saddam però risale solo al 13 dicembre
successivo.
Durata dell’offensiva: 42 giorni (20 marzo 2003 – 1° maggio
2003)Libia –
L’intervento militare mirato a deporre Muammar
Gheddafi durante
la prima guerra civile libica fu inaugurato il19
marzo 2011 dallaFrancia con
un attacco aereo diretto contro le forze terrestri del raìs attorno
a Bengasi. Seguirono offensive di altri Stati, dapprima portate
avanti in autonomia e poi unificate il 25 marzo sotto l’operazioneUnified
protector a
guidaNato.
La coalizione – composta inizialmente da Belgio, Canada, Danimarca,
Italia, Francia, Norvegia, Qatar, Spagna, Regno Unito e Usa – si
ampliò fino a comprendere 19 Paesi. Le missioni aeree e i lanci di
missili Tomahawk della Nato miravano siti militari, antiaerei e
forze lealiste di terra, con particolare impegno dell’aeronautica
francese e britannica. In soli due giorni, dal 31 marzo al 2 aprile,
le forze Nato condussero 178
operazioni e74
attacchi aerei in
Libia, potendo contare su una forza complessiva di 205 aerei e 21
navi. Le operazioni portarono – momentaneamente – alla conquista di
Tripoli, Sirte e di quasi tutta la Libia. Il20
ottobre 2011 Gheddafi
venne ucciso dai ribelli mentre si nascondeva e alla fine del mese
le forze alleate si ritirarono.
Durata dell’offensiva: 251 giorni (19 marzo 2011 – 20
ottobre
2011)
Bosnia –
L’assedio
di Sarajevo,
il più lungo nella storia bellica della fine del XX secolo, si
protrasse dal 5
aprile 1992 al29
febbraio 1996.
Vide scontrarsi le forze del governo bosniaco sostenuto dalla Nato,
che aveva dichiarato l’indipendenza
dalla Jugoslavia,
contro l’Armata Popolare Jugoslava e le forze serbo-bosniache, che
miravano a distruggere il neo-Stato indipendente della Bosnia ed
Erzegovina. Tra aprile e maggio 1992 Sarajevo fu completamente
isolata dai serbi: le principali strade che conducevano in città
furono bloccate, così come anche i rifornimenti di viveri e
medicine. I servizi come l’acqua, l’elettricità e il riscaldamento
furono tagliati. Nella seconda metà del 1992 e nella prima metà del
1993 l’assedio raggiunse il suo apice: i rapporti indicano una media
di 329
esplosioni al giorno,
con un massimo di 3.777 bombe sganciate il 22 luglio 1993. Quando i
serbi effettuarono un raid contro un sito armi dell’Onu, i jet della
Nato iniziarono l’operazione Deliberate
Forceattaccando
depositi di munizioni serbi e altri obiettivi militari strategici.
Nell’ottobre 1995 fu raggiunto il cessate il fuoco e il 14 dicembre
fu firmato l’accordo di Dayton sui confini e l’assetto del nuovo
Stato. Il governo bosniaco non dichiarò la fine dell’assedio di
Sarajevo fino al 29 febbraio 1996.
Durata dell’offensiva: 1425 giorni (5 aprile 1992-29 febbraio 1996)
Bosnia, la “piccola Jugoslavia” dove torna la paura della guerra. L’Onu
teme la nascita di un esercito separatista serbo, ma anche i croati
puntano alla spartizione---Oltre
le pareti vetrate della grande sala stampa del Parlamento bosniaco,
il rappresentante speciale degli Stati Uniti per i Balcani
occidentali, Gabriel
Escobar,
lunedì mattina ha rassicurato tutti. “La
Bosnia-Erzegovina resterà un Paese sovrano e indipendente”,
ha detto il diplomatico di fronte a decine di giornalisti impegnati
a prendere appunti sulle sorti del loro stesso Paese. Le sue
dichiarazioni sul fatto che “una
guerra non ci sarà” sarebbero
state scontate fino a qualche mese fa. Ma hanno smesso di esserlo
negli ultimi giorni, ossia da quando il membro serbo della
presidenza tripartita,Milorad
Dodik,
ha arricchito la sua retorica
secessionista di
progetti concreti per realizzareistituzioni
indipendenti in ambito militare, giuridico e fiscale.
Settimana scorsa era diventato un caso internazionale il rapporto in
cui l’Alto rappresentante Onu per il Paese, Christian
Schmidt,
sottolineava che se i separatisti
serbi,
storici alleati dei russi, arriveranno alla creazione
di un proprio esercito sarà“molto
realistica” la
prospettiva di un ritorno al conflitto. Come rappresaglia, laRussia aveva
minacciato di porre ilveto all’estensione
della missione militareEufor
Althea in
Bosnia-Erzegovina (il dispiegamento di forze internazionali che dal
2004 hanno il compito di mantenere la pace nel Paese), se nel testo
da adottare non fossero stati tolti tutti i riferimenti al report di
Schmidt. Alla fine, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha
approvato all’unanimità il prosieguo della missione, ma alle
condizioni imposte dai russi, che sono così riusciti a minare
l’autorità dell’Alto rappresentante. E a dare implicitamente credito
alla politica separatista del leader del partito nazionalistaSnsd Dodik,
che ha emanato dallo scorso lugliocentinaia
di proposte per
smantellare pezzo dopo pezzo i propositi unitari degliaccordi
di Dayton,
i trattati di pace siglati nel 1995 e sulla cui fragile e
anacronistica architettura si basa la stabilità della
Bosnia-Erzegovina. Anche se le crepe più profonde sembrano avere
epicentro in Republika
Srpska (entità
a maggioranza serba che compone il Paese insieme alla federazione
croato-musulmana), tutte le parti in causa hanno le proprie
responsabilità. “La Bosnia Erzegovina intesa come Stato sovrano non
raggiungerà mai la normalità se non verrà messa fine a questa crisi
– racconta aIlfattoquotidiano.itZlatko
Dizdarević,
giornalista e intellettuale bosniaco di fama internazionale – Il
problema è che in questo Paese il nazionalismo, l’odio, la
preparazione al conflitto rientrano in un progetto politico portato
avanti dai leader di tutte e tre le parti. Le ambizioni e le idee di
questi politici sono diverse, ma l’obiettivo finale è lo stesso”.
Il patto tra Hezbollah e la Wagner: "800 mercenari dalla Siria
combatteranno con i russi in Ucraina". Ecco lo scenario
La notizia diffusa da una tv araba e rilanciata da Novaya Gazeta: i
primi 200 uomini sarebbero già atterrati a Gomel, in Bielorussia.
Obiettivo è la guerra casa per casa, per spezzare la resistenza delle
città occupate. Ma mancano conferme indipendenti
Secondo quanto riferito da Roman
Tsymbaliuk, ritenuto l’ultimo giornalista di Kiev ad
aver lasciato laRussia a
gennaio, il colonnelloYuri
Medvedev, comandante della 37/ma brigata fucilieri
motorizzati, è stato travolto da un suo sottoposto con un tank.
Sarebbe stata una protesta per via dell’alto numero di perdite della
sua unità nel conflitto. Dei circa 1.500
componenti con cui il suo battaglione aveva iniziato la
guerra, tra morti e feriti ne
avrebbe perso la metà.
Le immagini del comandante trasportato in un ospedale in Bielorussia
con gravi ferite alle gambe hanno fatto il giro dei social, dopo
essere state condivise anche da un account del leader ceceno Ramzan
Kadyrov, fedelissimo del presidente Vladimir Putin. Fonti
russe hanno elogiato l’alto ufficiale, cui sarebbe stata promessa
una medaglia al valore e un risarcimento in denaro. Ma ad alcune ore
dall’incidente, l’intelligence occidentale, citata da media
britannici, ne avrebbe confermato la morte. Non ci sono invece
informazioni sulla sorte del militare che lo ha investito. La
ricostruzione arriva mentre appaiono sempre più forti le tensioni
tra le truppe di Putin. Le notizie sulle perdite in battaglia sono
sempre più gravi: Mosca ha confermato oggi 1.385 soldati uccisi e
3.825 feriti, mentre per Kiev e la Nato i morti sono dieci volte di
più, tra cui decine di alti ufficiali, come in dieci anni di guerra
in Afghanistan. I russi avrebbero poi lasciato sulle strade
dell’Ucraina anche decine di tank e altri mezzi corazzati. Dei
115-120 Gruppi tattici di battaglione con cui aveva iniziato la
guerra, almeno una ventina sarebbero fuori dai giochi. Una
situazione di difficoltà che anche gli alti comandi di Mosca
sembrano propensi a riconoscere: l’orizzonte del 9 maggio per la
fine del conflitto – giorno simbolico della vittoria sovietica sul
nazismo – potrebbe servire anche a calmare le truppe con una
data-limite per il ritorno a casa.
29° GIORNO DI GUERRA - - - 24-03-22
Kiev, militari ucraini distruggono nave russa nel porto occupato di
Berdyansk: le prime immagini
Lo Stato Maggiore delle Forze Armate ucraine sostiene di aver
colpito e distrutto la nave da sbarco russa "Orsk" ancorata nel
porto di Berdyansk. Da stamane ci sono fiamme nel porto della
citta' occupata dai russi nella provincia di Zaporizhzhia, situata
circa 70 chilometri a sudovest di Mariupol, sul mare di Azov. Sui
social si vedono foto con densi pennacchi di fumo nero che si
levano dalle banchine. "Ce ne saranno altre", assicurano da Kiev.
Leggi gli aggiornamenti.
Le sanzioni fanno paura a Putin? Non molto, in realtà, grazie alla
sua finanza parallela occulta triangolare
Fanno davvero paura le
sanzioni occidentali a Putin?
In realtà, non molto. Ma paventarle, serve come “merce” di scambio
nelle trattative. Ci sta, nella cinica visione geopolitica putiniana.
D’altra parte, incombe sull’Europa che sta condannando Putin il
rischio di una
grave crisi finanziaria, anche
tenendo conto della storica e viscerale avversione degli investitori
alle misure di ritorsione che toccano ineluttabilmente l’economia
reale. Lo scopo del Cremlino è evidente: destabilizzare le potenze
occidentali grazie al ricatto
energetico,
ossia colpendo il polmone delle loro economie. E obbligandole ad una
nuova ripartizione delle risorse mondiali, e anche di quelle
tecnologiche (tra le conseguenze della guerra in Ucraina, vi è
quella che coinvolge i
servizi informatici,
dagli acquisti on line alle prenotazioni alberghiere, dalle
operazioni di sorveglianza alle operazioni bancarie: parecchie
multinazionali hanno parte delle loro società basate nell’Europa
dell’Est, in ballo ci sono un milione di dipendenti e sviluppatori).
Per fronteggiare strategicamente le sanzioni, la Russia dispone di riserve
in valuta al
momento di poco sopra i 630 miliardi di dollari, di cui una parte è
bloccata in certi paesi. Inoltre vanta la quinta riserva
aurea mondiale,
pari a 2361,64 tonnellate d’oro depositate nei caveaux della Banca
Centrale russa: gli Stati Uniti ne hanno 8134, la Germania 3362,
l’Italia 2452 e la Francia 2436. Dal 2008, dopo la crisi finanziaria
mondiale, la Russia ha cominciato ad acquistare oro regolarmente e
in modo massiccio. Allora, il suo stock era di 500 tonnellate. Nel
2012 aveva superato la barriera delle 800 tonnellate, nel 2014 – in
concomitanza con le sanzioni comminate per l’annessione della Crimea
– i depositi di oro russo hanno raggiunto quasi mille tonnellate. Ma
la vera accelerazione si è avuta nel biennio successivo: 1500
tonnellate nel 2016, 1900 nel 2018, 2300 nel 2020.
Negli ultimi cinque anni Mosca ha sviluppato all’estero quella che
molti analisti occidentali hanno definito “shadow
finance”,
una vera e propria finanza ombra, parallela a quella dei mercati
principali ma che opera clandestinamente o quasi, sfruttando l’uso
delle cyber valute e del denaro sporco, sulla falsariga delle
esperienze condotte per esempio dall’Iran e dalla Corea del Sud, o
dalla grande criminalità organizzata, ma anche dai talebani o dall’Isis
(che si finanziava col contrabbando del petrolio, col traffico della
droga e dell’arte rubata).
L’export russo di gas e petrolio incide oltre il 55 per cento del
bilancio statale, una risorsa vitale in valuta. Coi nostri
soldi Putin ha riorganizzato ed ammodernato le forze armate. Per
aggirare il taglio delle forniture all’Occidente – sempre che ci
sia… – Mosca avrà considerato sbocchi alternativi, magari
incoraggiando nuovi clienti con tariffe concorrenziali (vedi Cina,
India, Turchia). Senza dimenticare che le sanzioni decise nel 2014
non sono state poi così efficienti come qualcuno potrebbe credere:
da quel momento, la Russia ha progressivamente diversificato le
sue relazioni commerciali, rafforzando l’autonomia della sua
produzione industriale, ed aggirando il boicottaggio con
sistematiche triangolazioni, tramite società ombra (con sedi sociali
e nazionalità straniere), società dalle quali dipendeva e continua a
dipendere un fitto reticolo di transazioni elaborate all’estero per
gestire il commercio formalmente proibito dalle sanzioni ma violato
allegramente da nugoli di imprenditori poco scrupolosi che coi russi
hanno così fatto lucrosi affari: un segreto di Pulcinella, peraltro
a cui ha fatto allusione lo stesso Putin quandoha
messo in guardia l’Italia nel caso applicasse le sanzioni
decise da Washington e da Bruxelles.
Ma non è solo un peccato italiota. Le
Monde, la scorsa settimana, ha pubblicato cinque puntate
(ognuna una pagina intera) di un’inchiesta sulle grandi aziende
francesi che hanno mantenuto, nonostante le sanzioni, ottimi
rapporti con la Russia e che non intendono (per esempio Total e
Renault) rinunciare al ricco e indispensabile mercato
russo. Aspettiamoci, poi, l’ennesima beffa delle
“compensazioni” per i presunti mancati affari degli imprenditori
nostrani con la Russia, quando venderanno lo stesso i loro prodotti
a società intermediarie (in Serbia, in Cina…) che li gireranno a
Mosca. Tanto paga Pantalone.
Guerra Russia-Ucraina, gli ultimi giornalisti rimasti a Mariupol
raccontano i 20 giorni nella città bombardata: il reportage dell’AP
Venti giorni a Mariupol. Venti giorni fatti di bombe, di connessioni
difficili, se non impossibili. Venti giorni di “morti in ospedale,
cadaveri nelle strade e di dozzine di corpi spinti in una fossa
comune”. L’ultimo video-giornalista rimasto a Mariupol Mstyslav
Chernov, insieme con il fotografo Evgeniy
Maloletka, ha raccontato in un lungo reportage dell’Associated
Press i suoi giorni nella città ucraina assediata dai russi. Dalla
partenza verso il porto che affaccia sul Mar d’Azov alla fuga
“forzata” dalla città.
“I
russi ci stavano dando la caccia. Avevano una lista di
nomi, inclusi i nostri, e si stavano avvicinando. Eravamo gli unici
giornalisti internazionali rimasti nella città ucraina di Mariupol e
da più di due settimane ne documentavamo l’assedio da parte delle
truppe russe. Stavamo registrando all’interno dell’ospedale quando
uomini armati hanno iniziato a perlustrare i corridoi. I chirurghi
ci hanno dato dei camici
bianchi da indossare per camuffarci. Improvvisamente,
all’alba, una dozzina di soldati hanno fatto irruzione: ‘Dove sono i
giornalisti, cazzo?'”. Inizia così il racconto di Chernov che spiega
anche di aver guardato le fasce indossate dai militari e, nonostante
l’ipotesi che fossero russi travestiti, di essersi fatto avanti. I
soldati erano lì, nell’ospedale dove il video-giornalista e il
fotografo stavano raccogliendo immagini, “per tirarli fuori di lì”.
L’ordine era chiaro: portare i giornalisti via da Mariupol.
Lasciare indietro “medici che ci avevano ospitato, donne incinte e
persone che dormivano per i corridoi”, scrive il giornalista dell’Ap,
lo ha fatto sentire malissimo. Usciti dall’ospedale i militari
insieme con i reporter hanno percorso per “nove minuti, forse 10”,
comunque “un’eternità” il percorso “attraverso strade e condomini
bombardati”. Quindi l’arrivo “in un seminterrato buio” dove
video-giornalista e fotografo hanno capito come mai i soldati
avessero rischiato la vita per portarli fuori dall’ospedale. “Se ti
beccano (i russi ndr.) ti porteranno davanti alla telecamera e ti
faranno dire che tutto ciò che hai filmato è una bugia. Tutti i
tuoi sforzi e
tutto ciò che hai fatto a Mariupol sarannovani“,
ha spiegato loro un poliziotto. Gli stessi poliziotti che, pochi
giorni prima come si scopre più avanti nel reportage, avevano
chiesto loro proprio di raccontare al mondo cosa stesse accadendo a
Mariupol.
Chernov ha lasciato la città il 15
marzo. Prima, insieme a Maloletka, ha passato 20 giorni a
Mariupol e, per un lungo periodo, è rimasto l’unico giornalista
internazionale a raccontare l’assedio della città.
Il suo viaggio, racconta, è cominciato il 23
febbraio. Originario di Kharkiv, Chernov aveva già
raccontato guerre in Iraq e in Afghanistan: “Sapevo che le forze
russe avrebbero visto la città portuale di Mariupol come un punto
strategico per la sua posizione sul Mar d’Azov, così la sera del 23
febbraio sono andato là con il mio collega, Malotelka, fotografo
ucraino per The Associated Press, nel suo furgone Volkswagen
bianco”. I primi giorni dopo l’invasione, iniziata il 24 febbraio,
solo un quarto dei residenti di Mariupol hanno lasciato la città.
Gli altri sono rimasti, convinti che “la guerra non fosse in
arrivo”. Bomba dopo bomba, si legge nel reportage, “i
russi hanno tagliato l’elettricità, l’acqua, le scorte di
cibo, e infine, soprattutto, i ricevitori dei telefoni cellulari,
delle radio e della televisione”. Senzainformazione,
scrive Chernov, si raggiungono due obiettivi: “Il primo è il caos,
le persone non sanno cosa sta succedendo e vanno nel panico”. Il
secondo “è l’impunità“.
“Senza informazioni provenienti dalla città, senza immagini degli
edifici demoliti e dei bambini in punto di morte, le forze russe
potevano fare ciò che volevano”. Per questo, dice, lui e il collega
si sono presi questi rischi, per “inviare al mondo ciò che
vedevamo”, tanto da finire nel mirino dei russi.
Il racconto quindi prosegue con le descrizioni dei bombardamenti.
Uno dopo l’altro i bambini sono morti. E “le ambulanze hanno smesso
di raccogliere i feriti perché le persone non potevano chiamarle
senza segnale” e perché era difficile muoversi “per le strade
bombardate”. A volte, racconta, “correvamo fuori per filmare una
casa in fiamme e poi tornavamo tra le esplosioni”. I posti dove era
possibile connettersi in città, scarseggiavano. “C’era un solo
posto, fuori da un negozio di alimentari saccheggiato in Budivel’nykiv
Avenue”. Anche lì, però, il segnale internet “è svanito il 3 marzo”.
Quindi Chernov e il collega si sono spostati al settimo piano
dell’ospedale. Da lì hanno visto “disfarsi gli ultimi brandelli di
Mariupol”.
“Per diversi giorni, l’unico collegamento che abbiamo avuto con il
mondo esterno è stato tramite un telefono satellitare”, si legge
ancora nel reportage. A quel punto, scrive ancora, “avevo assistito
a morti in ospedale, cadaveri nelle strade e dozzine di corpi spinti
in una fossa comune”.
Il video-giornalista e il fotografo erano lì anche quando è stato
colpito l’ospedale materno-pediatrico. “Quando siamo arrivati i
soccorritori stavano ancora tirando fuori dalle rovine donne incinte
insanguinate”. Erano senza batterie e senza collegamento internet. È
stato allora che hanno conosciuto un agente di polizia che li ha
portati a una fonte di alimentazione e ha provveduto alla
connessione internet: “Questo cambierà il corso della guerra”. E
così, in effetti, è stato per l’attacco all’ospedale. Per mandare
tutti i file, foto e video, “ci sono volute ore, ben oltre il
coprifuoco”. “I bombardamenti sono continuati, ma gli ufficiali
incaricati di scortarci attraverso la città hanno aspettato
pazientemente”.
Poi Chernov e Maloletka sono
tornati in un seminterrato, senza connessione. Non sapevano che
fuori, intanto, le loro foto erano state spacciate per false dai
canali di informazione russi. Intanto a Mariupol “non funzionava
alcun segnale radiofonico o televisivo ucraino”. Solo una radio
filorussa che diffondeva un unico messaggio “Mariupol è circondata,
consegna le tue armi”.
L’11 marzo, tre giorni prima di lasciare la città, “l’editore ci ha
chiesto di trovare le donne sopravvissute all’attacco all’ospedale
materno-pediatrico, per dimostrare la loro esistenza”. Così i due
hanno ritrovato in un altro ospedale le donne che avevano
fotografato, i cui scatti hanno fatto il giro del mondo. “Siamo
saliti al settimo piano per inviare il video e da lì ho visto un
carro armato dopo l’altro avvicinarsi all’ospedale. Avevano la
lettera Z diventata emblema russo della guerra. Eravamo circondati,
decine di medici, centinaia di pazienti e noi”.
Solo allora, dopo ore passate nell’oscurità, sono arrivati i soldati
ucraini che li hanno portati via. “Non sembrava un salvataggio”,
scrive Chernov che ammette di essersi “vergognato” per essere
partito. Anche il racconto del viaggio per lasciare Mariupol è
dettagliato. I due dell’Associated
Press hanno dovutoattraversare
quindici posti di blocco russi. Con loro in auto anche una
famiglia di tre persone. “A ogni posto di blocco – scrive ancora
Chernov – la madre seduta davanti pregava furiosamente”. Solo allora
ha capito che l’esercito ucraino non sarebbe entrato a Mariupol,
dovendo affrontare così tanti posti di blocco equipaggiati con
“soldati e armi pesanti”.
“Mentre ci fermavamo al sedicesimo posto di blocco, abbiamo sentito
delle voci. Voci ucraine. Ho provato un enorme sollievo. La madre
davanti all’auto è scoppiata a piangere. Eravamo fuori”, dice ancora
Chernov. Lui e Maloletka erano gli ultimi giornalisti a Mariupol. “Ora
non ce ne sono più”.
Lui, conclude, avrebbe saputo come raccontare sia l’attacco aereo al
teatro di Mariupol, dove si erano rifugiate centinaia di persone,
sia il bombardamento alla scuola d’arte della città. “Ma ora non
possiamo più arrivarci”.
Guerra Russia-Ucraina, “la Fsb ha arrestato Gavrilov”: è il vice
comandante della Guardia nazionale, che ha subito ingenti perdite
Il vice comandante della Guardia
nazionale in
Russia (Rosgvardia),
il generale RomanGavrilov,
“è stato arrestato dall’Fsb“.
A riportarlo è Christo
Grozev,
direttore esecutivo del sito di giornalismo investigativo Bellingcat,
citando tre diverse fonti. L’intelligence di Mosca sarebbe
intervenuta a causa della “fuga di informazioni
militari che
ha portato alla perdita di vite umane”, ha spiegato una delle fonti.
La notizia dell’arresto non è confermata, ma l’agenzia di
informazione russaUra.ru riporta
che Gavrilov è statolicenziato.
La certezza è che la Rosgvardia, corpo creato nel 2016 che risponde
direttamente al presidente Vladimir
Putin,
nell’invasione russa in Ucraina ha subito ingenti
perdite.
Gavrilov quindi potrebbe aver pagato le difficoltà dell’avanzata di
Mosca. Già settimana scorsa, infatti, è stata diffusa la notizia
dell’arresto del generale Sergei
Beseda e
del suo vice,Anatoly
Bolukh.
I due erano a capo del dipartimento dell’Fsb per l’intelligence
estera, quello
che si è occupato di raccogliere informazioni per preparare l’invasione.
Secondo Grozev, è chiaro che Putin riconosca come quella che lui
definisce “operazione speciale in Ucraina” non stia andando come
aveva previsto.Gavrilov
in precedenza aveva lavorato per il Servizio
di protezione del Presidente (Fso),
comeViktorZolotov,
il numero uno di Rosfvardia. Secondo il portale Ura.ru,
a licenziare Gavrilov sarebbe stato lo stesso Zolotov “per ragioni
sconosciute, forse compromettenti“,
ha detto all’agenzia una fonte delle forze dell’ordine. Tuttavia,
c’è anche chi nega tutto. Il deputato della Duma Alexander
Khinshtein ha
definito la notizia dell’arresto assolutamente falsa: “Ho appena
parlato io stesso con il generale Gavrilov”, ha scritto suTelegram.
Lo spettro del ’98: “Soldi come carta straccia, li buttavamo via”
Sanzioni, oggi scade il debito. Se Mosca paga in rubli sarà default
Ventiquattro anni fa la crisi e la svalutazione dei risparmi aprì la
strada al primo mandato di Putin.
Primo rimborso di obbligazioni in dollari: un test sulle
misure dell'Occidente
La Russia versa i 117 milioni di dollari per pagare gli interessi
sui suoi bond. Ma non si sa se i soldi finiranno ai creditori
La Russia avrebbe pagato regolarmente e in dollari le cedole da 161
milioni dovute
oggi su bond governativi denominati nella valuta statunitense. “Il
pagamentoè
arrivato alla banca americana di
riferimento, che è titolare del nostro conto in valuta estera”, ha
detto il ministro delle finanze russo
Anton Siluanov. “Attualmente
il pagamento è in fase di elaborazione e finoranon
abbiamo avuto indicazioni sul fatto che sia andato o meno a buon
fine. Ma
sappiamo che la banca è in contatto con l’Ofac e ci ha chiesto le
informazioni necessarie sullo scopo del pagamento. Quindi stiamo
aspettando informazioni dalla nostra banca”. Ieri l’agenzia di
rating statunitenseFitch ha
ribadito che un pagamento in rubli anziché in dollari (ipotesi
prospettata da Mosca) avrebbe determinato l’avvio della procedura
di default che prevede un “periodo di grazia” di 30 giorni. Data
chiave sarà ora quella del prossimo4
aprile quando
arrivano a scadenza bond per2
miliardi di dollari.L’ammontare
complessivo dei titoli governativi russi denominati in dollari è
relativamente modesto, circa
40 miliardi di dollari.
Ce ne sono altri
105 che
fanno a capo a società per lo più a controllo pubblico. In testa
il colosso del gasGazprom,
circa 30 miliardi, che di recente ha lanciato messaggi
rassicuranti ai creditori. Debiti in dollari per alcuni miliardi
di dollari a testa fanno capo a Russian Railways, Lukoil, Rosneft
oltre che alla prima banca russa Sberbank.Non
sembra che Mosca non sia al momento a corto di valuta estera. Le
riserve della banca centrale russa, equivalenti a 640
miliardi di
dollari sono in parte bloccate ma il paese incassa 800 milioni di
dollari al giorno in fora di pagamento per l’export di gas,
petrolio e carbone.
Gli ucraini: "Ucciso Oleg Mityaev, è il quarto generale russo morto"
Oleg Mityaev sarebbe il
quarto a essere caduto dall'inizio dell'invasione. Mosca non
conferma
La foto del suo cadavere è stata postata dal reggimento ucraino Azov.
Il giornale ucraino Telegraf ricorda
che il generale Mityaev aveva guidato le truppe russe nel 2015 nel
Donbass.
Gli altri generali russi uccisi sarebbero Andrei
Sukhovetsky il 3 marzo, il generaleAndrei
Sukhovetsky il 7 marzo vicino a Kharkiv e Artem
Vitkol'11 marzo. Mosca ha confermato la
morte di solo uno dei quattro graduati.
Il messaggio di Putin agli oligarchi “traditori”: “Si sentono parte
della casta occidentale. Ma il popolo russo li sputerà via come
moscerini”
“Non sto affatto giudicando quelli che hanno una villa
a Miami o
inCosta
Azzurra,
che non possono fare a meno del foie
gras,
delle ostriche o
delle cosiddettelibertà
di genere.
Questo non è assolutamente il problema, ma, ripeto, il problema è
che molte di queste persone sono
mentalmente lì e non qui,
non con il nostro popolo, non con la Russia. Questo è, secondo loro
– secondo loro! – un segno di appartenenza a una
casta superiore,
a una razza superiore. Queste persone sono pronte a vendere
le loro madri per
avere il permesso di sedersi nell’anticamera di questa casta molto
alta”. È il gelido messaggio che il presidente russo Vladimir Putin
rivolge in diretta tv ai cosiddetti “oligarchi“,
i ricchissimi imprenditori vicini al potere politico i cui beni e
conti correnti all’estero sono stati tra i primi bersagli delle sanzioni
economiche degli
Stati occidentali.Queste persone – dice in un discorso alla nazione
incentrato proprio sull’economia russa – vorrebbero essere come gli
occidentali, “imitandoli in ogni modo possibile. Ma dimenticano o
non capiscono affatto che questa cosiddetta casta superiore, se ha
bisogno di loro, è solo per usarli
come materiale sacrificabile per
causare il massimo danno al nostro popolo. L’Occidente collettivo
sta cercando didividere
la nostra società,
speculando sulle perdite militari e sulle conseguenze
socio-economiche delle sanzioni, per provocare
una guerra civile in
Russia e cerca di raggiungere l’obiettivo usando la sua “quinta
colonna”. E c’è solo un obiettivo,la
distruzione della Russia“,
avverte. “Ma qualsiasi nazione, e soprattutto il popolo russo, sarà
sempre in grado di distinguere i veri patrioti dalle canaglie e
dai traditori,
e li sputerà
semplicemente fuori,
come un moscerino che gli è volato accidentalmente in bocca”.
Il messaggio di Putin agli oligarchi “traditori”: “Si sentono
parte della casta occidentale. Ma il popolo russo li sputerà via
come moscerini”
"Molte di queste persone sono mentalmente lì e non qui, non con
il nostro popolo, non con la Russia. Queste persone sono pronte
a vendere le loro madri" per sentirsi parte dell'Occidente . È
il gelido messaggio che il presidente russo rivolge ai
ricchissimi imprenditori vicini al potere i cui beni e conti
correnti all'estero sono stati tra i primi bersagli delle
sanzioni economiche
20° GIORNO DI GUERRA--15-03-22
Zelensky: “Non entreremo nella Nato, va ammesso”
Bisogna ammettere che l’Ucraina non entrerà a far parte della Nato.
È questo il concetto espresso dal presidente ucraino Volodymyr
Zelensky in una riunione online dei leader dellaJoint
Expeditionary Force, secondo quanto riportano l’agenzia di
stampa russa Ria
Novosti, ma anche l’agenzia di KievUnian. “L’Ucraina
si rende conto che non è nella Nato. Abbiamo sentito per anni
parlare di porte aperte, ma abbiamo anche sentito dire che non
possiamo entrarci, e dobbiamo riconoscerlo”: queste le parole di
Zelensky.
La Russia ha
chiesto allaCina assistenza
militare per sostenere l’invasione dell’Ucraina. Lo riporta il Financial
Timescitando fonti americane, secondo le quali
Mosca avrebbe chiesto attrezzature militari
e altra assistenza militare a Pechino fin dall’inizio
dell’invasione. La richiesta ha suscitatopreoccupazione all’interno
della Casa Bianca, sollevandotimori sulla
possibilità che Pechino metta a rischio gli sforzi per aiutare le
forze ucraine a difendere il paese.
Gli Stati Uniti si sono “preparati a mettere in guardia gli alleati
sulla situazione alla luce delle indicazioni che la Cina potrebbe
aiutare la Russia”, mette in evidenza il Financial
Times, riferendo che alcuni funzionari americani hanno ricevuto
indicazioni di alcune carenze nelle
armi delle forze russe.
La guerra in Ucraina è il primo banco di prova dell’asse
Mosca-Pechino
Dal 1989 la narrativa occidentale non è cambiata: è rimasta trionfalista.
Anche davanti all’offensiva militare russa in Ucraina,
l’atteggiamento dei leader occidentali è vittorioso. La lotta è tra
il bene e il male, noi siamo il bene, Putin è il male e l’esito è
certo: vinceremo noi. Nessuno si domanda come sia possibile che la
dicotomia degli anni Trenta e Quaranta sia tornata a tormentarci,
nessuno ha il coraggio di fare autocritica e
chiedersi dove abbiamo sbagliato, dal momento che non siamo riusciti
a contenere o a rimuovere il male sul crescere. I media giustamente
celebrano l’eroismo e il patriottismo degli ucraini, ma si guardano
bene dall’analizzare gli errori di politica estera commessi dalla
peggiore classe politica dell’era moderna da quando il blocco
comunista è imploso. Non c’è nulla di meglio di un po’ di storia per
confrontarci con la realtà.
Non è la prima volta che Vladimir
Putin attacca
militarmente un’altra nazione – il male non si materializza in poco
tempo: se incontrastato cresce, si rafforza, si consolida. Lo ha
fatto nel 2008 in Georgia, ad esempio. Non è neppure la prima volta
che l’esercito russo letteralmente rade al suolo intere città: è
successoin
Siria nel
2012. Vi ricordate le immagini di Aleppo dove non era rimasto in
piedi neppure un edificio? Chi pensate che guidasse i carri armati
russi e chi dava gli ordini? Certo non l’esercito siriano. È
successo anche durante laseconda
guerrain
Cecenia,
iniziata nel 1999 con la repressione brutale dei moti di
indipendenza.
In tutte queste nazioni, come in Ucraina oggi, colonne di milioni di
profughi si sono mosse come formiche sul mappamondo. Mentre
marciavano, spesso l’aviazione russa radeva al suolo le loro case,
gli ospedali, le scuole, le chiese, le moschee. Edificio dopo
edificio, tutto veniva centrato dai missili e si trasformava in
macerie. La tattica di Putin è sempre stata la stessa: radere
tutto al suolo,
fare tabula rasa, cancellare il passato. Queste offensive militari
si sono materializzate sotto gli occhi del libero e democratico
Occidente, il blocco di nazioni che ha vinto la guerra fredda ma che
non ha saputo gestire la pace. E così le guerre di Putin si sono
moltiplicate intorno a noi, avvicinandosi
sempre di più.
Guerre in cui l’esercito russo agiva come i barbari di Attila. A
volte, come nel caso dello Stato Islamico, queste guerre ci hanno
anche fatto comodo e segretamente siamo stati contenti delle
vittorie di Putin. Inebriati dall’euforia della vittoria della
guerra fredda, come scrisse Francis
Fukuyama,
ci siamo davvero illusi che la storia fosse finita, che eravamo
riusciti ad
annientare la guerra.
E così negli ultimi quindici anni non ci siamo accorti che, mentre
Putin vinceva le sue guerre di conquista territoriale, molte cose
cambiavano sullo scacchiere mondiale. Nonostante l’espansione della
Nato verso est, ad esempio, l’immagine degli Stati Uniti quale
potenza mondiale, il cui compito è garantire i principi democratici
e la libertà nel mondo, si è via via lacerata.
Le menzogne per invadere l’Iraq, gli insuccessi in Siria e Libia e,
più recentemente, l’abbandono dall’Afghanistan hanno offerto a nuovi
dittatori come Putin una potente narrativa politica antiamericana,
diversa da quella della guerra fredda: una narrativa
moderna.
All’ombra del declino americano, che culmina con l’assalto al
Congresso del 6 gennaio dietro incitamento del presidente uscente
Trump, questa narrativa ha permesso alla Russia e alla Cina, potenze
autoritarie, di avvicinarsi, di formare un blocco
ideologico-politico che contrapponga alla decadenza del modello
democratico americano la stabilità di quello autocratico.La
risposta dell’Occidente è stata di spingere Putin e Xi fuori del
circolo magico dell’élite politica internazionale e di accerchiarli
con alleanze e patti a
carattere militare.
Anche la Cina, dunque, negli ultimi dieci anni è stata allontanata
da Washington. La politica diretta a tenere a distanza Pechino,
iniziata da Obama, è culminata nella guerra tariffaria di Donald
Trump, seguita dal divieto
di accesso delle
imprese cinesi alle tecnologie più innovative americane. Nonostante
le pressioni cinesi, Joe Biden non ha rimosso le restrizioni di
Trump, né ha abbandonato il piano strategico dei suoi due
predecessori, e cioè di creare la versione asiatica della Nato, che
va dall’India al Pacifico.
Invece di seguire il motto romano divide
et impera, l’Occidente trionfalista ha
fatto di tutto affinché i nemici si coalizzassero,
un’unione che ha funzionato bene per una serie di motivi. A livello
economico le due nazioni sono complementari: la Russia produce
materie prime di cui necessita la Cina e la Cina prodotti ad alta
tecnologia, oltre a investire in un settore di cui la Russia ha
bisogno. Tra i progetti, ad esempio, la produzione di aerei che
faranno concorrenza a Boeing e Airbus. Tutto ciò spiega perché nel
2021 il commercio tra le due nazioni è cresciuto del 37%.
Tra i due leader esiste anche un’intesa, una simpatia a carattere
personale che scaturisce dalla condivisione di un’infanzia dura e
dal desiderio comune di riportare le proprie nazioni alla
gloria del passato. Obiettivo di Putin, lo zar, e di Xi,
l’imperatore, è costruire un nuovo ordine mondiale di cui Russia e
Cina siano le incontrastate icone. La guerra in Ucraina è il primo
banco di prova dell’asse Mosca-Pechino: se la Russia riesce a
sopravvivere economicamente grazie al mercato e all’economia cinese,
una volta che tutti i legami con l’Occidente saranno recisi, allora
accanto alle macerie delle città ucraine ci saranno anche i detriti di
molte multinazionali occidentali. E chi pensa che Putin e
Xi non abbiano pianificato a tavolino la loro strategia è ancora
affetto dalla sindrome del trionfalismo occidentale.
Dovevano fornire informazioni in vista dell’invasione, comprendere
quale situazione politica i russi avrebbero trovato sul campo, una
volta invasa l’Ucraina.
E le cose non sarebbero andate proprio com’erano state prospettate.
Per questo motivo, secondo i noti giornalisti investigativi Andrei
Soldatov eIrina
Borogan, adesso Vladimir
Putinavrebbe dato il via alle epurazioni.
Ad essere colpiti, finendo agli arresti
domiciliari, sarebbero stati due operativi della quinta
divisione della Fsb,
il reparto dei servizi
segreti russi incaricati di raccogliere informazioni in
Ucraina. I due giornalisti citano fonti interne agli 007 di Mosca.
La notizia raccolta dall’analista russo specializzato nei servizi di
intelligence, che non ha ancora avuto alcuna conferma ufficiale, è
stata rilanciata anche dal sito dissidente Meduza.
Dopo due settimane di guerra, la tesi dei due analisti è che Putin
si sia finalmente reso conto di essere stato fuorviato:
l’intelligence, temendo di far arrabbiare il leader, gli avrebbe
fornito ciò che lui stesso voleva sentire. Quindi i due sarebbero
stati fermati per uso improprio dei fondi
stanziati per le operazioni, nonché per lescarse
informazioni di intelligence.
Ai domiciliari – secondo Soldatov e Borogan – sono finiti il capo
della quinta divisione della Fsb Sergei
Beseda e il suo viceAnatoly
Bolukh. Beseda è un ufficiale di primo livello dei servizi
russi, da tempo considerato nel cerchio più ristretto dei fidati
del Cremlino,
tanto da essere inserito negli elenchi dei sanzionati da
Ue e Usa fin dal2014 perché
sarebbe stato tra i protagonisti dei tentativi di Mosca di fermare
la rivoluzione ucraina del 2014. Beseda è responsabile
dell’intelligence sull’Ucraina, Bolukh delladisinformazione.
Da giorni diversi media internazionali continuano a ribadire che
Putin è infuriato per le informazioni
erronee raccolte dalla Fsb, tra gli eredi delKgb,
in vista dell’invasione dell’Ucraina. Il direttore della Cia William
Burns negli scorsi giorni ha detto di ritiene che alcune
delle ipotesi messe sul campo da Putin si sono rivelatefalse,
incluso il pensare che l’Europa sarebbe stata distratta dalle
prossime elezioni in Francia e
dal cambio della leadership inGermania.
E definendolo come determinato a controllare l’Ucraina, il numero
uno della Cia ha detto che il presidente russo sta “ribollendo nella
combustibile combinazione di rancore e
ambizione”.
Ucraina, perché la hitlerizzazione del nemico è un pericoloso
strumento che giustifica la guerra (
La citazione esatta sarebbe Dum ea Romani parant consultantque,
iam Saguntum summa vi oppugnabatur. Questa frase non è
pronunciata dagli ambasciatori di Sagunto per chieder l'aiuto di
Roma nello sforzo di respingere l'assedio che nel 219
a.C. il generalecartagineseAnnibale
Barca aveva posto alla città, ma è l'amaro commento di Livio
alla situazione (cfr. Livio, XXI, 7, 1). Roma tergiversò, sicché
dopo otto mesi di combattimenti la città si arrese e Annibale la
rase al suolo. Questo attacco fu ilcasus
belli dellaseconda
guerra punica.)
In primis, siffatto dispositivo produce una destoricizzazione integrale
dei rapporti di forza, ai quali sostituisce la metafisica
sovrastorica del male assoluto. La concretezza storica e il
diagramma dei rapporti di forza politici e geopolitici, economici e
sociali, spariscono d’incanto, sostituiti dalla metafisica del male
assoluto che individua di volta in volta l’avvento imprevedibile del
nuovo Hitler sempre in agguato nella penombra sovrastorica. E così,
per limitarci al caso specifico della situazione ucraina, sparisce
di scena la lunga storia che dagli anni Novanta ci porta al nostro
tormentato presente, con l’espansione irresponsabile della Nato e
con l’egualmente irresponsabile accerchiamento della Russia, ossia
le condizionireali che
ci hanno condotti a questa sporca guerra. Essa va condannata, certo:
ma va condannatatutta,
dall’espansionismo Nato al gesto di Putin.
In luogo di queste condizioni storicamente determinate, resta solo
la figura metafisica del nuovo Hitler che ancora una volta torna
alla ribalta e che come il diavolo in terra combina disastri per via
della sua intrinsecamente malvagia natura. Destoricizzazione
completa della situazione, come si diceva. Forze metafisiche del
male contro forze metafisiche del bene: manicheismo 2.0.
In secondo luogo, la hitlerizzazione dell’avversario nega in forma apriorica ogni
possibile via del negoziato, della diplomazia e della possibile
risoluzione pacifica delle contese. Con l’avversario si può trattare
pacificamente, cercando accordi diplomatici. Con Hitler bisogna
invece necessariamente intraprendere la guerra totale, senza
mediazione possibile. In tal guisa, la hitlerizzazione
dell’avversario diventa un pericoloso strumento per
giustificarela guerra totale, vuoi anche la
guerra mondiale che troppo spesso è stata disinvoltamente evocata da
più parti in queste settimane. Lo schema del nuovo Hitler rende
sempre giustificabili i disastri più osceni, presentati di volta in
volta come risposte dolorose ma
necessarie al male assoluto.
Semplificando, ubi Hitler, ibi Hiroshima. Se l’avversario non è
tale, ma è direttamente il nemico assoluto, il male sulla terra, in
una parola il nuovo Hitler, allora ogni reazione è giustificata e,
di più, doverosa.
Perfino, in casi estremi, la bomba atomica, ciò che dovrebbe destare
particolare preoccupazione nel tempo in cui continuamente si evoca
la possibile guerra nucleare. Queste considerazioni, si badi, non
sono affatto volte a giustificare la presunta bontà di Putin. Essa
è inesistente,
come inesistente è quella di Biden, di Xi Jinping e di chiunque si
trovi sulla plancia di comando della politica (basterebbe aver letto
Machiavelli).
Semplicemente, queste considerazioni aspirano a mettere in guardia
rispetto a un dispositivo, quello della reductio
ad hitlerum, che viene ormai apertamente ammesso e utilizzato a
ogni latitudine senza una debitaconsiderazione
critica, senza una approfondita riflessione su presupposti
e conseguenze. Dunque, nel più totale trionfo del dogmatismo. Un
siffatto dispositivo, oltretutto, sta sempre più contribuendo a
mettere pubblicamente alla berlina le sacrosante ragioni di chi
oggi, in Europa e in Italia, sostiene le ragioni della pace, ben
sapendo che abissale è la differenza tra il giusto invio di sostegno
al popolo ucraino e il pericoloso invio di armi e militari in
Ucraina. “Forse volete sostenere Hitler?”, si domanda indignati a
chi osi oggi – ed è il caso del sottoscritto – sostenere le ragioni
della pace.
L’altro volto della guerra in Ucraina: “Nei villaggi le forze di
Mosca abbandonano molti mezzi”
dal nostro inviato Corrado Zunino
Un carro armato russo e il suo pilota fermati dalla resistenza
ucraina a nord di Kharkhiv (reuters)
Un racconto della resistenza. I servizi britannici danno credito
ai report dei partigiani di Kiev. “Ora l’esercito invasore sembra
stanco e demotivato”. Il tentato golpe a Leopoli e in altre
quattro regioni occidentali...
L'ex patron del Chelsea Abramovich al tavolo dei
negoziati: “Unico tra gli oligarchi ad aver detto di sì”L'Onu
parla di 102 civili uccisi tra cui 7 bambini, dall'inizio degli
scontri, ma il numero potrebbe essere molto più alto. Il presidente
Zelensky ha riferito invece che i minori deceduti a causa dei
combattimenti sarebbero 16 e 45 i feriti.
Secondo l'Onu sarebbero 102i
civili morti,
tra cui 7
bambini,
dall'inizio degli scontri in Ucrain