guerra
cognitiva (qui
lascheda
di approfondimento).
Ovvero: una guerra intrapresa dalla parte più debole
coinvolta in un conflitto
asimmetrico mediante
la manipolazione di informazioni e idee, con il fine ultimo
di avere la meglio sull’avversario più forte.
La dottrina russa
Ben diversa è la dottrina seguita dalla Russia. Mosca è
partita dal confronto
informativo, concetto che descrive l’approccio di
Mosca all’uso delle informazioni, tanto in tempo di pace
quanto, a maggior ragione, durante un conflitto. Detto
altrimenti, la narrazione di stato interpreta in chiave anti
russa pressoché ogni azione dei governi occidentali, mentre
Mosca si considera in perenne stato di conflitto con gli
avversari, veri o soltanto percepiti.
È in un humus del genere che ha preso forma, nel 2013, la
nota Dottrina
Gerasimov. Valery Gerasimov, il capo di stato
maggiore della Russia, ha ripreso le tattiche sviluppate dai
sovietici, le ha mescolate con il pensiero militare
strategico sulla guerra
totale per poi presentare una nuova teoria della
guerra moderna. Una teoria che assomiglia più ad “hackerare
la società” di un nemico che non ad attaccarla
frontalmente.
L’approccio è di pura guerriglia, e viene condotto su tutti
i fronti con una serie di attori e strumenti. Ad esempio:
hacker, media, uomini d’affari, fughe di notizie, notizie
false, mezzi militari convenzionali e asimmetrici. In
sostanza, la Dottrina Gerasimov ha formato un quadro per
questi nuovi
strumenti. Il risultato, evidente anche nel
conflitto ucraino, è che le tattiche non militari non sono
ausiliarie all’uso della forza bensì il modo preferito per
vincere (anche se non sempre i risultati sono ottimali).
Attenzione però perché la Russia non ha un concetto di
guerra cognitiva da sbandierare. Al contrario, utilizza un
concetto di informazione e confronto psicologico,
consistente, come abbiamo visto, nell’impiego dei mezzi
digitali per influenzare i pensieri e i valori delle persone
(simile a ciò che la Cina chiama guerra cognitiva). L’Occidente dovrebbe
iniziare a prendere appunti e ad approfondire la questione.
A partire dall’attuale guerra in Ucraina
Usa, Wagner ha 50.000 uomini dispiegati in Ucrain,22-12-22a
La milizia privata russa Wagner spende "100 milioni al mese
per la guerra" in Ucraina. Lo ha detto il portavoce del
Consiglio della sicurezza nazionale Usa, John
Kirby, in un briefing con la stampa precisando che
"Wagner ha 50.000 uomini dispiegati, di cui 10.000
contractor e 40.000 detenuti reclutati dalle carceri russe".
"I combattenti Wagner hanno svolto un ruolo fondamentale a
Bakhmut", dove il presidente Volodymyr
Zelensky è stato in visita due giorni fa, ha
aggiunto Kirby.
Ucraina: Nyt, paracadutisti russi dietro il massacro di
Bucha
Il massacro
di Buchaè
stato compiuto dai paracadutisti russi del 234mo reggimento
d'assalto aereo guidato da Artyom Gorodilov. Lo rivela
un'indagine del New York
Times, secondo la quale le prove raccolte mostrando che
la strage sulla strade della città ucraina era parte di un
"deliberato e sistematico sforzo di assicurarsi
spietatamente una rotta verso Kiev". L'indagine condotta è
stata in grado di ricostruire minuto per minuto la strage
sulle strada di Yablunska grazie anche a conversazioni
telefoniche e segnali in codice usati dai comandanti sui
canali radio russi.
Ucraina, Zakharova: "Zelensky è il figlio di p.
dell'Occidente"
Il presidente ucraino, Vlodymyr
Zelensky è "il figlio di p." dell'Occidente" e "di
conseguenza tutto gli è permesso": lo ha detto la portavoce
del ministero degli Esteri russo,Maria
Zakharova, commentando su Telegram il suo viaggio a
Washington. "L'approccio pseudodemocratico di Ue e Usa -ha
aggiunto- rafforza ulteriorimento il senso di impunità di
Kiev e spinge (il governo ucraino, ndr) a passi estremamente
pericolosi con conseguenze imprevedibili".
FORTE STALLO NEL LUHANSK,NEL DONETSK invece:
Le forze russe
continuano a concentrare i loro sforzi principali sulla
conduzione di operazioni offensive nell'oblast di
Donetsk. Il vice capo del dipartimento operativo principale
dello stato maggiore ucraino, il generale di brigata Oleksiy
Hromov, ha dichiarato il 24 novembre che le forze russe
stanno concentrando gli sforzi nelle aree di Siversk,
Bakhmut e Avdiivka con l'obiettivo di accerchiare Bakhmut.[35] Hromov
ha affermato che 290 combattimenti si sono svolti nel Donbas
nell'ultima settimana, con 90 combattimenti nell'area di
Bakhmut.[36] Hromov ha affermato che la situazione più
difficile è nell'area di Bakhmut e che le forze russe hanno
anche tentato più volte nella scorsa settimana di sfondare
le difese ucraine intorno a Nevelske (16 km a sud-ovest di
Avdiivka).[37]
Le forze russe hanno
continuato le operazioni offensive in direzione di Bakhmut
il 24 e 25 novembre. Lo stato maggiore ucraino ha riferito
che le forze ucraine hanno respinto gli assalti russi vicino
a Bakhmut; entro 23 km a nord-est di Bakhmut vicino a
Bilohorivka, Yakovlivka e Bakhmutske; e nel raggio di 16 km
a sud-ovest di Bakhmut vicino ad Andriivka, Klishchiivka,
Ozarianivka e Opytne il 24 e 25 novembre.[38] Fonti russe
hanno affermato il 24 novembre che ci sono stati pesanti
combattimenti di posizione vicino a Bakhmut e che le forze
russe hanno stabilito il controllo su nuove posizioni nella
periferia sud-orientale della città.[39] Fonti russe hanno
anche riferito il 24 novembre che le forze russe hanno
completato una perlustrazione di Mayorsk a sud di Bakhmut.[40] I
milblogger russi hanno affermato che le forze russe hanno
condotto un assalto entro 13 km a sud-ovest di Bakhmut verso
Kurdiumivka il 24 e 25 novembre, con un milblogger che
afferma che le forze russe intendono tagliare la linea
ferroviaria nell'area.[41] Un milblogger russo ha affermato
il 25 novembre che le forze russe hanno sparato sui rinforzi
ucraini che si spostavano a Bakhmut dal nord-est attraverso
Kramatorsk e Sloviansk.[42]
Personaggi russi
influenti potrebbero tentare di stabilire le condizioni
informative per il continuo e lento progresso delle
operazioni offensive russe nell'area di Bakhmut. Il 25
novembre il finanziere del Wagner Group Yevgeny Prigozhin ha
dichiarato di proibire ai combattenti di Wagner di
rilasciare interviste sulla situazione nell'area di Bakhmut
e che un pio desiderio nei media russi confonde i militari
russi e ha un impatto negativo sulle operazioni
nell'area.[43] Prigozhin ha anche affermato che il compito
delle formazioni del gruppo Wagner nell'area non è quello di
prendere Bakhmut, ma piuttosto di degradare le forze ucraine
e il loro potenziale di combattimento.[44] I recenti
commenti di Prigozhin sono in contrasto con ISW' La
precedente valutazione del gruppo Wagner secondo cui le
forze del gruppo Wagner esagerano i guadagni territoriali
intorno a Bakhmut e la loro responsabilità per tali guadagni
per distinguersi ulteriormente dalle forze russe per procura
e convenzionali.[45] ISW ha anche notato in precedenza che
le forze del Wagner Group non hanno ottenuto guadagni
significativi intorno a Bakhmut da giugno.[46] Prigozhin
potrebbe stabilire condizioni informative per proteggere se
stesso e il Wagner Group dalle critiche secondo cui i
risultati della loro offensiva durata mesi per prendere
Bakhmut sono incongruenti con le continue affermazioni del
loro successo e importanza operativa nell'area.
Le forze russe hanno
continuato a condurre operazioni offensive nell'area della
città di Avdiivka-Donetsk il 24 e 25 novembre. Lo stato
maggiore ucraino ha riferito che le forze ucraine hanno
respinto gli assalti russi entro 37 km a sud-ovest di
Avdiivka vicino a Krasnohorivka, Marinka, Pervomaiske e
Novomykhailivka il 24 e 25 novembre. .[47] I milblogger
russi hanno anche affermato che le forze russe hanno
condotto operazioni offensive entro 10 km a sud-ovest di
Avdiivka vicino a Vodyane il 24 e 25 novembre.[48] Un
milblogger russo ha affermato il 25 novembre che anche le
forze russe hanno condotto un assalto vicino a Nevelske.[49] I
milblogger russi hanno affermato il 24 e 25 novembre che la
guerra urbana in corso tra le forze ucraine e russe è feroce
a Marinka. [50] Un milblogger russo ha affermato il 24
novembre che le forze ucraine si stanno preparando per
operazioni di controffensiva in direzione di Opytne (4 km a
sud-ovest di Avdiivka).[51] ISW non fa valutazioni sulle
future operazioni ucraine.
Uk: “I parà russi tornano nel Donetsk e nel Luhansk”
Nelle ultime due settimane la Russia ha probabilmente
dispiegato nuovamente lungo i fronti del Donetsk e del
Lugansk nel Donbass unità delle forze aviotrasportate che
nei mesi di settembre e ottobre erano state impiegate a
difesa del territorio occupato sulla riva occidentale del
fiume Dnipro nella regione di Kherson: lo scrive il
ministero della Difesa britannico nel suo aggiornamento
quotidiano dell’intelligence sulla situazione nel Paese. Il
rapporto, pubblicato su Twitter, sottolinea che queste unità
sono “gravemente indebolite” e alcune di esse sono state
probabilmente rafforzate con l’aiuto di riservisti. Tra i
possibili compiti operativi di questi paracadutisti,
conclude l’intelligence, ci sono le attività di supporto
alle linee di difesa nella zona di Kreminna-Svatove nel
Lugansk o all’offensiva contro la città di Bakhmut nella
regione di Donetsk.
Kiev, potente attacco russo su zona più popolosa a Kherson
Putin usa l'arma delle tenebre per provocare un'ondata di
profughi. La Russia: avanti fino a che Kiev non si convince
a cedere
Potente attacco dell'esercito russo oggi su Tavriyskyi,
uno dei quartieri più densamente popolati di Kherson,
città dell'Ucraina meridionale da cui le truppe di Mosca si
sono ritirate l'11 novembre: "I russi stanno intensificando
ibombardamenti sui
quartieri residenziali diKherson.
Dopo i missili di ieri, oggi hanno attaccato 13 volte, è
stato colpito uno dei distretti più popolati, Tavriyskyi,
nella parte settentrionale della città", ha dichiarato il
consigliere regionale Sergii
Khlan, come riporta Ukrinform.
Il capo militare Halyna
Luhovaha riferito che ci sono
distruzioni e il numero delle vittime è in corso di
accertamento
I funzionari dell'occupazione della Crimea hanno dimostrato
un maggiore disagio il 22 novembre,
probabilmente per gli attacchi ucraini ai GLOC russi nella
penisola e per le operazioni militari in corso al Kinburn
Spit. Fonti russe hanno condiviso filmati dell'attivazione
delle difese aeree russe il 22 novembre, sostenendo che le
forze russe hanno abbattuto diversi droni ucraini sopra la
Crimea.[57] Il capo dell'occupazione della Crimea, Sergey
Aksyonov, ha successivamente annunciato che la Crimea sta
portando il suo livello di minaccia terroristica ad alto
(giallo) almeno fino al 7 dicembre.[58] I
milblogger russi hanno affermato che le autorità russe si
stanno preparando per l'evacuazione di funzionari
dell'amministrazione e attrezzature militari ad Armyansk
(circa 100 km a sud-est della città di Kherson) a causa
della minaccia di attacchi ucraini sulla Crimea
settentrionale.[59] Un milblogger ha persino affermato di
aver contribuito a condurre l'evacuazione, mentre un altro
milblogger ha affermato che donne e bambini stanno già
evacuando da Armyansk.[60] Aksyonov ha negato le richieste
di evacuazione e alcuni milblogger hanno affermato che le
autorità di occupazione di Armyansk hanno condotto
esercitazioni di evacuazione.[61] ISW non è in grado di
confermare la veridicità di queste affermazioni. Il Centro
di resistenza ucraino ha anche riferito che le forze russe
stanno progettando di espandere una strada sull'Arabat Spit
(45 km da Dzhankoy) per trasferire attrezzature militari nel
tentativo di trasferire il GLOC da Armyansk.[62] ISW stima
che le forze ucraine non siano in grado di condurre un
attacco immediato ad Armyansk, ma queste affermazioni
probabilmente indicano che le autorità russe stanno
mostrando un livello di preoccupazione vicino al panico. e
alcuni milblogger hanno affermato che le autorità di
occupazione di Armyansk hanno condotto esercitazioni di
evacuazione.[61] ISW non è in grado di confermare la
veridicità di queste affermazioni. Il Centro di resistenza
ucraino ha anche riferito che le forze russe stanno
progettando di espandere una strada sull'Arabat Spit (45 km
da Dzhankoy) per trasferire attrezzature militari nel
tentativo di trasferire il GLOC da Armyansk.[62] ISW stima
che le forze ucraine non siano in grado di condurre un
attacco immediato ad Armyansk, ma queste affermazioni
probabilmente indicano che le autorità russe stanno
mostrando un livello di preoccupazione vicino al panico. e
alcuni milblogger hanno affermato che le autorità di
occupazione di Armyansk hanno condotto esercitazioni di
evacuazione.
Le forze russe hanno continuato a condurre operazioni
offensive nelle direzioni Bakhmut e Avdiivka il 22 novembre.
Lo stato maggiore ucraino ha riferito che le forze ucraine
hanno respinto gli assalti russi a Bakhmut; entro 30 km a
nord-est di Bakhmut vicino a Spirne, Bilohorivka, Yakovlivka
e Soledar; e nel raggio di 4 km a sud di Bakhmut vicino a
Opytne.[37] Lo stato maggiore ucraino ha anche riferito che
le forze ucraine hanno respinto gli assalti russi entro 8 km
a nord-est di Avdiivka vicino a Kamianka e Vesele, e entro
37 km a sud-ovest di Avdiivka vicino a Pervomaiske,
Krasnohorivka, Marinka e Novomykhailivka.[38] La
milizia popolare della Repubblica popolare di Donetsk (DNR)
ha pubblicato un video il 22 novembre che pretende di
mostrare la 100a brigata della milizia popolare DNR che
conduce un assalto vicino alle posizioni ucraine entro 16 km
a sud-ovest di Avdiivka, vicino a Nevelske. [39] Diverse
fonti russe hanno affermato che le forze russe hanno fatto
progressi a Marinka e che le forze ucraine hanno subito
pesanti perdite e si stanno lentamente ritirando dalle
posizioni in città.[40] I milblogger russi hanno affermato
che le forze russe hanno anche tagliato due delle tre strade
di rifornimento a Marinka.[41] Una fonte russa ha affermato
il 21 novembre che l'aviazione russa colpisce regolarmente
le posizioni delle forze ucraine a Marinka.[42] Un
milblogger russo ha affermato che l'avanzata russa nell'area
di Marinka è lenta perché il paesaggio circostante è
costituito principalmente da campi aperti con poca
copertura.[43]
22-11-22----Borrell: “Sistema elettrico ucraino al collasso”
“Un altro attacco come quello dei giorni scorsi al sistema
elettrico ucraino da parte della Russia lo distruggerà
completamente. E in quel caso non si potranno più usare le
infrastrutture di carico e scarico nei porti, con effetti
anche sulla capacità di esportazione di prodotti
alimentari”. Lo ha detto l’alto rappresentante della
politica estera Ue Josep Borrell nel corso del question time
al Parlamento Europeo.
Kiev: “Centinaia di cittadini rapiti dai russi a Melitopol”
Secondo il sindaco in esilio di Melitopol occupata Ivan
Fedorov i russi stanno continuando a rapire i residenti
della città dell’Ucraina sud-orientale: dall’inizio
dell’invasione gli invasori hanno rapito più di 700
cittadini, ha detto a Radio Svoboda. Intanto, ha riferito,
più di 100 civili sono tenuti prigionieri dagli occupanti
russi.
Pesanti combattimenti a sud di Mykolaiv
Pesanti combattimenti sono in corso tra russi e ucraini
sulla penisola di Kinbourne, territorio sulla riva sinistra
del fiume Dnipro, a sud di Mykolaiv. La portavoce del
Comando meridionale dell’esercito ucraino Natalia Goumeniouk
ha affermato che “un’operazione militare è attualmente in
corso nella penisola ma per il momento non vengono forniti
dettagli”. Le unità ucraine, ha detto il governatore Vitaly
Kim, stanno cercando di liberare tre cittadine a pochi
chilometri dalla città meridionale di Mykolaiv, ‘poi i russi
saranno fuori dall’intero distrettò, ha riferito Espreso Tv.
Scholz: “Prepariamoci a un’escalation in Ucraina”
La Germania “deve essere pronta a un’escalation in Ucraina”:
è l’avvertimento del cancelliere tedesco Olaf Scholz,
intervenendo a una conferenza a Berlino ospitata dal
quotidiano Süddeutsche Zeitung, come riporta il Guardian.
“Alla luce degli sviluppi della guerra e dei visibili e
crescenti fallimenti della Russia, dobbiamo essere pronti a
un’escalation”, ha affermato Scholz.
Zelensky: “2,5 miliardi dell’Ue un contributo per un inverno
difficile”
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ringraziato
l’Unione europea e la presidente della Commissione Europea
Ursula von der Leyen per gli ulteriori 2,5 miliardi di aiuti
a Kiev. L’Ucraina “ha ricevuto un’altra tranche di aiuti
macrofinanziari dell’Ue del valore di 2,5 miliardi di euro.
Un forte contributo alla stabilità dell’Ucraina alla vigilia
di un inverno difficile. Sono grato all’Ue e a Ursula von
der Leyen per la solidarietà e il sostegno. Attendiamo
dell’approvazione del programma macrofinanziario da 18
miliardi di euro per il 2023”, ha scritto Zelensky in un
messaggio su Twitter.
21-11-22---Agenzia atomica russa: “Zaporizhzhia a rischio
incidente nucleare”
La centrale nucleare di Zaporizhzhia è “a rischio di un
incidente nucleare”. Lo ha affermato l’amministratore
delegato della società statale russa per l’energia atomica
Rosatom, Alexei Likhachev, citato da Interfax. “L’impianto è
esposto al rischio di un incidente nucleare. Siamo stati in
trattative con l’Aiea tutta la notte”, ha detto Likhachev a
margine dell’evento Atomexpo 2022 a Sochi. “Stiamo
informando la comunità internazionale che l’impianto è a
rischio di disastro nucleare e Kiev crede chiaramente che un
piccolo incidente nucleare sarebbe accettabile”, ha accusato
il ceo di Rosatom, citato dall’agenzia Tass. “Le radiazioni
non chiederanno a Kiev che tipo di incidente vuole. Sarà un
precedente che cambierà per sempre il corso della storia,
quindi occorre fare tutto il possibile affinché nessuno
possa nemmeno pensare di danneggiare la sicurezza delle
centrali nucleari”, ha sottolineato Likhachev. Da settembre
fino a poco tempo fa, la centrale nucleare di Zaporizhzhia
ha visto “un periodo piuttosto tranquillo”, ha detto
Likhachev. “Tuttavia, ci sono stati almeno 30 attacchi
durante il fine settimana. L’impianto di stoccaggio del
combustibile nucleare esaurito, l’edificio speciale e le vie
di trasporto sono stati colpiti e i generatori diesel di
riserva sono stati danneggiati”, ha detto l’ad di Rosatom.
Kiev: “L’esercito russo sta bombardando Kherson”
“L’esercito russo sta bombardando Kherson, liberata 10
giorni fa, sono state colpite infrastrutture civili. Ci sono
feriti tra la popolazione”: Lo rende noto il vicepresidente
del consiglio regionale Yuriy Sobolevsky, come riporta Unian.
La pubblicazione “Suspilne Kherson” ha riferito di una serie
di esplosioni nella città a cominciare dalle 11 di questa
mattina.
IL PESO DELLA COREA
Corea del Nord. Repubblica Popolare Democratica di Corea.
Una sorta di buco nero che parrebbe aver risucchiato in se
stesso 25milioni di abitanti affamati e armati fino ai
denti. Per l’Asia orientale, un pericolo latente dall’inizio
della Guerra Fredda. Pericolo che ciclicamente diventa imminente.
Per l’agenda del Pentagono, una preoccupazione minore, da
non sottovalutare s’intenda, ma declassata nel passare degli
anni. Sicuramente per chiunque l’abbia visitata uno strappo
nel tessuto spazio temporale; una sorta di universo
parallelo dove ordine e disciplina imperano in una teocraziagovernata
per “mandato celeste” dall’ultimo erede dei Kim.
Lei
è ancora lì. A questo vanno sommati gli sforzi per ottenere
un’arma nucleare – grazie alla produzione di plutonio
e trizio –
che si starebbero portando avanti nel poligono nucleare diPunggye-ri.
Se Pyongyang raggiungesse la capacità
nucleare,
potrebbe impiegare in caso di escalation armi “tattiche”
contro le armate della Corea del Sud o peggio come
rappresaglia sulla capitale Seul. Innescando una temibile
reazione a catena che potrebbe concludersi con la completa
nuclearizzazione del penisola al prezzo di un costo di vite
umane enorme e dei danni al nostro pianeta con conseguenza
incalcolabili. Ed è questo che preoccupa il Pentagono: dover
mantenere i suoi accordi di mutua assistenza in assenza di
una soluzione pacifica, l’unica
garanzia della
piccola potenza asiatica messa a dura prova da una
prolungata carestia, e per questo perennemente soggetta a
quel tipo diretorica
bellicista che
in mancanza d’altro mette tutti d’accordo, rassicurando
vertici militari, politici di alto livello, e un popolo
tagliato completamente fuori dalla realtà, dal progresso e
dal tempo. Sebbene sia ancora da interrogarsi se tale stato
di “astrazione” dal mondo vada considerata come una
punizione o un dono dei “cari”
leader.Quale ultimo vero stato socialista in auge, rimane
una realtà che merita approfondimento e analisi, senza
mistificazioni in taluno o talaltro senso, nell’attesa della
sofferta quanto sperata e definitiva pace globale.Uno
studio approfondito avrebbe dimostrato come ogni stato
socialista che avesse a lungo intrattenuto rapporti con gli
occidentali e la “frivolezza” del loro Capitalismo,
fosse sempre finito per fallire, disgregarsi o adeguarsi
tradendo i suoi veri ideali e conformandosi all’Occidente.
Questo epilogo plausibilmente concepibile dopo una breve
disamina storica, varrebbe per la Federazione Russa della
post-perestrojka come
potrebbe valere in futuro per la Repubblica Popolare Cinese
della rivoluzione sociale della nuova rampante “classe
media”. È ancora importante dunque parlare della Corea del
Nord senza concentrasiesclusivamente sui
missili, ma analizzando la strenua resistenza ideologica che
la rende in qualche modo unica, più della stoica Cuba. Una
sorta di ultima
Thule del
socialismo reale.
A inizio marzo il fallimento del blitz russo ha fatto
passare lo scenario coreano dal 1950 al 1951. Dall’idea
iniziale della conquista totale, che la Corea del Nord di
Kim Il-Sung e la Russia di Vladimir Putin hanno accarezzato
nei confronti di Corea del Sud e Ucraina, a quella del
braccio di ferro con un nemico sostenuto dall’Occidente. Con
truppe direttamente inviate sul posto nel caso della Corea,
con la forza della guerra per procura in Ucraina. Dunque
addio idea della conquista totale e benvenuto al braccio di
ferro politico-militare volto a colpire un nemico sostenuto
da potenze esterne.
Ora con l’approssimarsi dell’inverno si apre lo scenario
Corea 1952: la cristallizzazione
del fronte come possibile via maestra alla
decantazione politica del conflitto.Pietro
Batacchi, direttore della Rivista Italiana Difesa,
ha del resto recentemente richiamato in campo il possibile
scenario coreano proprio unendo la ritirata russa da Kherson,
la stabilizzazione del fronte e l’apertura di spiragli
politici che nelle precedenti fasi di stallo, a marzo e
maggio, non esistevano.
Batacchi, in un’analisti
pubblicata su StartMag, parte
dal presupposto che la ritirata
russa da Kherson,
pur rappresentando un evidente scacco con il Cremlino, abbia
avuto la natura di un’operazione ordinata, quasi come se
fosse pianificata da tempo. “Nulla a che vedere, insomma,
con la disordinata rotta di Kharkiv”, fa notare l’analista,
che sottolinea inoltre come, peraltro, “gli Ucraini sembrano
molto cauti nell’avanzare perché i russi hanno lasciato
campi minati di sbarramento e indirizzamento per il tiro di
artiglieria, fatto saltare diversi ponti sull’Inhultes e
sugli scolmatori del Dnepr, e lavorano con l’Aviazione”. In
sostanza l’idea è quella di rafforzare il trinceramento diMosca
a Est del Dnepr nella
consapevolezza che questa linea del fronte finirà per
riassorbire l’inerzia ucraina. La dottrina
militare russa, nota Batacchi, “prevede la difesa di
manovra, ovvero una forma di difesa il cui obbiettivo è
infliggere perdite al nemico, guadagnare tempo e preservare
le forze amiche cedendo terreno”: qui, più che a Kharkiv è
stata messa in campo.
L’inverno in arrivo, l’effetto frenante del gelo e del fango
sarmatico, la stanchezza di contendenti che vedono le
perdite reciproche superare, secondo le stime più
attendibili, i 100mila morti e feriti per parte, la
difficoltà a trovare una situazione di netta prevalenza di
un esercito sull’altro e le situazioni pregresse di fatto
lasciano presagire che dalla Corea del 1952 si possa
arrivare, finalmente, alla Corea del 1953. All’accettazione
de facto di un confine come perno creato dalla situazione
militare, a mò di linea di armistizio. Il “partito” della
trattativa guadagna consensi, in Europa come negli Stati
Uniti, ha il forte sostegno di
attori comePapa Francesco,Xi
Jinping e NarendraModi.
Soprattutto, prende piede tra i militari della Nato. Pochi
giorni fa anche Il generale Mark A. Milley, capo del Joint
Chiefs of Staff americano, ha sostenuto in riunioni interne
al Pentagono, secondo quanto riporta il New
York Times, “che gli ucraini hanno ottenuto circa
quanto potevano ragionevolmente aspettarsi sul campo di
battaglia prima dell’arrivo dell’inverno e quindi dovrebbero
cercare di cementare i loro guadagni al tavolo delle
trattative”. Ovviamente, nessuna conferma ufficiale di tali
dichiarazioni è giunta né dal Pentagono né dalla Casa
Bianca, ma dalla trattativa Cia-Svr a Ankara allemanovre
tra Joe Biden e Xi al G20 molto lascia presagire che
sulla testa dei contendenti grandi manovre siano in corso. E
se inizialmente si temeva che l’inverno avrebbe potuto
portare con sé un’inevitabile continuazione di lutti e
morti, ora lo scenario pare cambiato. E lo spiraglio di una
cristallizzazione del fronte guadagna terreno.Tutto
questo ovviamente non vorrà dire pace in tempi brevi. Troppe
le trincee di odio scavate in nove mesi di guerra fino ad
ora. Troppe le violazioni dei diritti umani, consumatesi
soprattutto sul fronte russo ma che hanno avuto strascichi
spiacevoli sul fronte ucraino. Troppe le dichiarazioni al
veleno tra élite russe e occidentali e troppo complessi gli
otto anni di conflitto civile alle spalle dell’Ucraina per
una rapida risoluzione del conflitto. Ma la stasi sul campo
è la premessa a una riduzione della dinamicità e della
violenza del conflitto stesso e a dei margini di trattativa.
In Corea nel 1953 e, caso più recente, nella guerra
Iran-Iraq nel 1988 si arrivò alla pace per esaurimento
dei contendenti.
Non siamo ancora a quello scenario in Ucraina. Ma ad oggi
esso appare il più plausibile per l’apertura di serie
trattative di pace. Su cui l’Europa può e deve giocare, nel
prossimo futuro, un ruolo per facilitarle e accelerarne la
realizzazione.
“Gli Usa hanno chiesto a Zelensky di pensare a ‘richieste
realistiche’ per la pace”
Il consigliere alla sicurezza nazionale della Casa Bianca
Jake Sullivan ha suggerito al presidente ucraino Volodymyr
Zelensky di mostrarsi aperto a possibili negoziati con la
Russia: farlo – è la convinzione dell’amministrazione
americana – gli consentirebbe di aver maggior peso e poter
fare più leva sulla controparte. Lo riporta il Wall Street
Journal citando alcune fonti, secondo le quali Sullivan in
un recente incontro con Zelensky gli avrebbe raccomandato di
iniziare a pensare a “richieste realistiche e priorità per
le trattative, inclusa una rivalutazione” dell’obiettivo di
riguadagnare la Crimea, annessa nel 2014.
allarme era stato lanciato dalla nuova
Nuclear Posture Review dove si afferma che “i
nostri principali concorrenti continuano ad espandere e
diversificare le loro capacità nucleari, per includere
sistemi nuovi e destabilizzanti, nonché capacità non
nucleari che potrebbero essere utilizzate per condurre
attacchi strategici” e si sottolinea anche lo “scarso
interesse nel ridurre la loro dipendenza dalle armi
nucleari” e la problematica Usa di dover sostituire
tempestivamente i vettori attualmente in servizio che stanno
diventando obsoleti.
In quel documento, pubblicato per la prima volta in un’unica
edizione comprendente anche la National Defense Strategy e
la Missile Defense Review, si afferma che la Cina cerca di
avere almeno mille
testate nucleari entro la fine del 2030. Queste,
insieme alla 1550 russe (fissate dal trattato Start) mettono
in difficoltà la capacità di deterrenza nucleare
statunitense che dovrà quindi per la prima volta nella
storia affrontare due avversari dotati di un ingente
arsenale atomico allo stesso tempo.
La Repubblica Popolare Cinese (Rpc) viene ritenuta “la sfida
globale per la pianificazione della difesa degli Stati
Uniti” mentre la Russia “continua a enfatizzare il ricorso
alle armi atomiche nella sua strategia, a modernizzare ed
espandere le sue forze nucleari e a brandirle a sostegno
della sua politica di sicurezza revisionista”.
L’allarme lanciato dall’ammiraglio comandante lo Stratcom è
solo l’ultimo che giunge da oltre Atlantico. Altri esperti
di settore e militari in pensione hanno affermato, negli
ultimi mesi, che occorre un cambio di passo, da parte degli
Stati Uniti, per poter affrontare la sfida cinese alla pari.
Recentemente, ad esempio, il generale (in pensione)
dell’esercito Usa Ferrari ha affermato che occorre
una nuova filosofia più adatta alle mutevoli realtà di
un mondo scosso dalla guerra in Ucraina, da una Cina
diventata molto più aggressiva verso Taiwan e dai problemi
economici indotti dalla pandemia. Pertanto il Pentagono
dovrebbe “spendere di più e subito” per la Difesa
abbandonando la filosofia “capability
over capacity”.
Biden, sovranità sempre più limitata con la
Camera in mano ai repubblicani. Usa spaccati in due
Il Midterm ha consegnato una situazione ancora più caotica:
se da una parte Biden può contare su un certo numero di
repubblicani per il sostegno all'Ucraina, dall'altra c'è una
fortissima tensione verso l'attacco alla amministrazione sul
fronte Covid, sul fronte interessi extra della famiglia
Biden, sulla problematica Giustizia con le perquisizioni ad
hoc volute contro Trump.Infine la questione Ucraina con la
sempre maggiore riottosità a votare pacchetti di aiuti da 40
miliardi di euro a botta, soprattutto perchè molto
probabilmente la Casa Bianca dovrà RICHIEDERE L'ENNESIMO
INNALZAMENTO DEL DEBITO, e quì i repubblicani SONO SUL PIEDE
DI GUERRA FEROCEMENTE.
La visita di Scholtz a
Pechino e la forte irritazione USA.
La Cina sta sostituendo la Russia come
principale dipendenza geoeconomica della Germania. Questo il
senso della discussa visita di Olaf Scholz a Pechino, primo
leader occidentale a incontrare Xi
Jinping fresco
diterzo
mandato.
Se la guerra d’Ucraina ha interrotto il legame russo-tedesco
inaugurato cinquant’anni fa con i gasdotti, Berlino è
determinata non solo a proteggere ma a intensificare il
legame sino-tedesco.
DallaOstpolitikallaFernostpolitik(Fernostè
tedesco per Estremo Oriente).
Per la Germania l’accesso al mercato cinese è questione
esistenziale. Non può essere altrimenti per un paese che
fonda quasi metà del suo benessere sulle
esportazioni. Saltato il nesso del gas, se saltassero anche
i rapporti con la Cina nella Repubblica Federale andrebbero
contemporaneamente in fumo la manifattura, la principale
fonte di sostentamento e il collante sociale.
È così che Scholz prova a giustificarsi con gli Stati Uniti,
furibondi perché sanno che i cinesi dai tedeschi non
vogliono soltanto tecnologie preziose (vedi l’appello di Xi
a un’alleanza per l’intelligenza artificiale).
Al di là delle rassicurazioni, se la posta in gioco non
fosse così esistenziale, Scholz non avrebbe commesso il
madornale errore di recarsi a Pechino da solo, senza nemmeno
il presidente francese Emmanuel Macron, che pure implorava
una gita a due nonostante tutte le altre difficoltà
sull’asse renano. Così facendo, i tedeschi hanno concesso a
tante altre cancellerie europee di fare i bravi allievi di
Washington criticando la mossa che molti di loro avrebbero
voluto compiere. Ciò suggerisce che Berlino vuole negoziare
con urgenza accordi economici prima di un’ulteriore stretta
della guerra economica americana alla Repubblica Popolare.
Per esempio, Berlino vuole proteggere l’industria
automobilistica dalla rivoluzione dell’elettrico, che
minaccia di stravolgere il mercato del lavoro europeo. La
presenza di Volkswagen nella delegazione pechinese di Scholz
dimostra questa preoccupazione.
Mentre il Mainstream esulta
per l'iper tecnologico attacco ucraino a Sebastopoli,
il tempo sta per scadere e il baratro è
sempre più vicino
Pare davvero paradossale che sia stato un bugiardo
matricolato e seriale come Silvio
Berlusconil’unico esponente
dell’establishment italiano a dire cose vere sul conflitto
ucraino,a cominciare dalle sofferenze
del popolo
del Donbass che da oltre otto anni è assoggettato
ad offensive militari e crimini che non sono meno colpevoli
di quelli compiuti dai Russi, ma li hanno preceduti e si
sono ripetuti nella completa indifferenza della comunità
internazionale, preparando il terreno dell’offensiva di
febbraio e dell’inizio della guerra.
Quest’ultima, com’è evidente perfino ai sassi, ma non agli
esponenti della nostra classe politica, si è rivelata
un’occasione d’oro per la classe dominante statunitense, che
ha decuplicato i propri profitti sul piano delle vendite di
armamenti e su quello del mercato
energetico,imponendo i suoi prodotti
molto più cari ed inquinanti, e, sul piano politico, pur nel
crescente isolamento internazionale ha saputo piegare ogni
velleità di autonomia dell’Europa che si trova ad
affrontare, ed è solo l’inizio, una disastrosa crisi
economica e sociale cui arriva peraltro in ordine
sparso, come dimostrato dalle scelte della Germania di dar
vita a un proprio scudo di difesa economica e sociale (Abwehrschirm)
forte di oltre 200 miliardi di euro di spesa e dal
naufragare di ogni tentativo velleitario di porre un tetto
al prezzo del gas.Come
dimostrano i sondaggi, il popolo italiano nella sua grande
maggioranza è ben consapevole di questa situazione e chiede
l‘interruzione
del sostegno militare all’Ucraina
e l’avvio di un vero negoziato, ma si scontra con la
dabbenaggine e sordità della classe politica, pressoché
unanime nel perseguire ciecamente l’autodistruzione del
Paese conferendo il comando in capo al malfermoJoe
Biden,
all’invasato Jens
Stoltenberg e
all’avventuriera prussianaUrsulaVon
der Leyen. Mario
Draghi, dal
canto suo, ha ribadito fino all’ultimo il proprio
incondizionato appoggio alla politica della guerra, mediante
la quale la Nato, vera parte in causa, si illude di poter
piegare la Russia.Giorgia
Meloni,
continuatrice su questo come altri piani del governo dei
Migliori, non è da meno ed ha fatto dell’atlantismo a
prescindere la propria bandiera, alla faccia della sovranità
nazionale, di cui il sovranismo sbandierato a sproposito dai
fratelli italioti costituisce un’indegna e menzognera
caricatura.La situazione sul campo è sempre più pericolosa. Volodymyr
Zelensky ha
chiaritoapertis
verbis come
non intende negoziare con la Russia, evidentemente su
precisa istigazione di una parte del governo statunitense,
che appare spaccato e incerto sulla linea da portare avanti,
ma non manca di ammassare in modo confuso e incoerente
tasselli in direzione del conflitto globale e aperto, come
dimostrato da ultimo dal dispiegamento di truppe scelte
statunitensi ai confini stessi della Russia.Si tratta della
stessa fazione guerrafondaia,
apparentemente egemone nel Partito democratico statunitense
e su parte di quello repubblicano, che ha voluto
pervicacemente lo scontro con la Russia per mezzo
dell’Ucraina, come dimostrato dalle pressioni su Zelensky,
dirette e per mezzo dei neonazisti
ucraini, affinché,
come rivelato dall’Economist,
respingesse ogni proposta di neutralità che avrebbe fatto
dell’Ucraina, nella salvaguardia della sua sovranità, un
Paese prospero e pacifico in grado di svolgere un ruolo
effettivo di ponte tra Est ed Ovest, con grande beneficio
dei suoi sfortunati cittadini. E affinché venisse sabotato
il progetto di autonomia delle regioni orientali, in
particolare del Donbass, incarnato negli Accordi di Minsk I
e II, cui da parte di Kiev, sempre istigata da Washington e
dai propri settori neonazisti, coi bombardamenti
indiscriminati e le violazioni
massicce dei diritti umani che
sono andate avanti, contro la parte russofona del Paese, dal
2014 fino al 2022, determinando la base dell’invasione russa
del 24 febbraio.
Quest’ultima va certamente condannata, ma se vogliamo
evitare la catastrofe e
recuperare le ragioni della pace occorre fermare
l’escalation e rilanciare un negoziato vero, i cui elementi
centrali sono presenti in vari appelli formulati in questi
giorni e ripresi dalFatto
Quotidiano, come quello degli ex diplomatici, quello
degli intellettuali ed altri ancora, che vedono al loro
centro due elementi che io stesso avevo nel mio piccolo
proposto già da tempo, e cioè la neutralità dell’Ucraina, da
un lato, e l’autodeterminazione dei popoli delle regioni
contese (Crimea e Donbass) dall’altro.
Qualche segno di resipiscenza delle classi dominanti europee
è dato oggi cogliere nelle più recenti dichiarazioni di Sergio
Mattarella, di Emmanuel
Macron e soprattutto nelvoto
del Bundestag tedesco che ha bloccato iltrasferimento di
armi pesanti all’Ucraina. Ma non basta. Occorre raddoppiare
gli sforzi per far pesare sui governi europei il peso del
movimento della pace, che in Italia dovrà esprimersi in modo
molto chiaro nella manifestazione del 5 ottobre, evitando
l’inquinamento da parte di posizioni ambigue come quelle del
guerrafondaio Letta e simili.
Occorre che il Vaticano e la Cina, dove Xi
Jin Ping esce indubbiamente rafforzato a livello
interno ed internazionale dal recente congresso del Partito
comunista, uniscano i propri sforzi a quelli della grande
maggioranza dei governi di Asia, Africa, America Latina, e
dei popoli dell’intero pianeta che vogliono la fine della
guerra. Tempo non ce n’è molto e ilbaratro si
avvicina purtroppo a velocità impressionante.
Compromesso, grave errore, leggerezza, illusione. Sono state
utilizzate più parole per definire la cessione parziale di
uno dei quattro terminal del porto
di Amburgo, il terminale di Tollerort, al gruppo
statale cinese per le spedizioni e la logistica Cosco.
In ogni caso, la Germania è
finita nell’occhio del ciclone, accusata di voler avviare
una nuova collaborazione strategica con un Paese, laCina,
che, come recentemente successo con la Russia nel settore
energetico, potrebbe crearle potenziali ed enormi problemi
economici futuri.
Nonostante le polemiche, il cancelliere tedesco, Olaf
Scholz, ha difeso la soluzione sposata dal suo
governo sul porto di Amburgo. La viceportavoce
dell’esecutivo federale, Christiane Hoffmann, ha comunicato
che Scholz ha chiarito come non si tratti di vendere il
principale porto della Germania, ma “soltanto” una
partecipazione in uno dei suo quattro terminali.
Scendendo nei dettagli, infatti, la partecipazione finita
nelle mani di Cosco, e quindi della Cina, ammonta al 24,6%
del terminale di Tollerort. Si tratta, dunque, di una quota
ridotta e che non apre ad “alcuna influenza
strategica” dell’azienda, ha aggiunto Hoffmann. Nel
tentativo di alleggerire ulteriormente la tensione, la
portavoce ha infine chiarito che Scholz è consapevole della
decisione, e che questa “non ha nulla che vedere” con la sua
visita in Cina a novembre, dove a Pechino incontrerà il
presidente cinese Xi
Jinping.
Poco dopo l’annuncio della chiusura della trattativa con
Cosco, sempre dalla Germania, è arrivata un’altra notizia
che ribadisce la volontà tedesca di rafforzare l’interazione
economica con la Cina. Il gruppo chimico tedesco BASF ha
infatti comunicato di aver avviato la produzione di un nuovo
impianto di glicol neopentilico (NPG) nello Zhanjiang, con
una capacità produttiva annua di 80.000 tonnellate.
Il sito di NPG, che dovrebbe essere pienamente operativo nel
quarto trimestre del 2025, porterebbe la capacità globale di
NPG di BASF dalle attuali 255.000 tonnellate a 335.000
tonnellate all’anno, confermando il gruppo come uno dei
principali produttori di questo intermedio al mondo. In
questo momento BASF ha impianti per la produzione di NPG a
Ludwigshafen, Germania, a Freeport, Texas, negli Stati Uniti
ed anche a Nanchino e Jilin, in Cina.
Morale della favola: mentre l’Europa,
a cusa delle tensioni tra gli Stati Uniti e la Repubblica
Popolare Cinese, diffida sempre più di Pechino, la Germania
ha scelto di adottare un altro approccio.
La strategia economica della Germania
Le ultime vicende raccontate, quelle relative al porto
Amburgo e alla BASF, evidenziano come Berlino stia cercando
in tutti i modi di affinare una strategia
nazionale diintegrazione
industriale con la Cina. E per di più senza troppi
riguardi nei confronti della prospettiva europea comune, o
almeno della posizione strenuamente atlantista sbandierata
da Bruxelles.
Le relazioni economiche tra Germania e Cina, del resto,
risultano alquanto floride, e questo nonostante Berlino sia
un pilastro dell’europeismo, dell’atlantismo e della Nato.
Gli investimenti tedeschi oltre la Muraglia si concentrano
per lo più nel settore dell’automotive,
mentre quelli cinesi in Germania sono più variegati e
comprendono computer, stoffe e apparecchiature elettroniche.
Secondo i dati dell’Oec, nel 2020 la Germania ha esportato 106
miliardi di dollariin Cina.
Negli ultimi 25 anni le esportazioni tedesche verso la Cina
sono aumentate a un tasso annuo dell’11,8%, passando da 6,58
miliardi di dollari nel 1995 a 106 miliardi di dollari nel
2020. Altri dati da tenere in mente: nel commercio con il
mondo, l’avanzo complessivo tedesco supera la soglia fissata
dalla Commissione europea del 6% (l’8,5% del pil tedesco nel
2015, il 7% nel 2020), e pure quella cinese (l’1,9% del pil
nel 2020). Detto altrimenti, la Germania dà l’impressione di
voler sfruttare la propria posizione rilevante in seno all’Ue
per fare incetta dei benefici
commerciali che potrebbero tranquillamente essere
ripartiti tra i vari membri dell’Unione.
Come se non bastasse, il perenne avanzo tedesco (nel 2020
oltre 179 miliardi di euro) è fonte di instabilità
dell’economia internazionale, dato che le eccedenze
corrispondono sempre a dei disavanzi. Guardando al commercio
tra Cina e Ue, la Germania è l’unico Paese membro che
registra un surplus rilevante:14,4
miliardi nel 2020, con un interscambio di quasi 180
miliardi (82 miliardi di import e 96,5 di export). Il valore
è tuttavia destinato ad aumentare se consideriamo anche i
flussi in transito al porto di Rotterdam, in entrata e in
uscita dalla Germania.
Le conseguenze (geo)politiche
Deutsche Welle ha
scritto che oggi, in Cina, sono attive circa5.000
aziende tedesche, con investimenti pari a quasi 90
miliardi di euro. La Cina, inoltre, risulta essere
il partner commerciale più importante per Berlino (da sei
anni), il Paese che invia il maggior numero di studenti
stranieri nelle università tedesche (43.629), nonché quello
con il quale il governo tedesco ha elevato le sue relazioni
al livello di “partenariato
strategico globale“. Il Ministero degli Esteri
tedesco definisce i rapporti con la Cina come “sfaccettati e
intensi”. Ma la Cina, per la Germania, è allo stesso tempo
un partner, un concorrente e un “rivale sistemico”, per
adoperare il lessico degli Stati Uniti.
Bisogna poi considerare le oltre 100
partnership attive tra le città tedesche e quelle
cinesi. La più nota e importante, probabilmente, riguardaDuisburg eWuhan.
Lo zoo di Duisburg è orgoglioso, non solo dei suoi panda
rossi, ma anche del suo giardino cinese, completo di
padiglione acquatico, ponte ad arco e statue di leoni, il
tutto donato della sua città cinese gemella. Nel frattempo,
l’Università di Duisburg-Essen mantiene la cooperazione con
i partner cinesi. Aspetto ancor più rilevante, la città
tedesca si è trasformata in un incrocio della Nuova
Via della Seta. Qui, ogni settimana, arrivano dalla
Cina 60 treni colmi di merci. E quando il primo treno è
approdato alla stazione di Duisburg, nel 2014, Xi Jinping
era in piedi sui binari ad attenderlo, al fianco di Sigmar
Gabriel, all’epoca Ministro degli Esteri tedesco.
Se per anni la Germania ha evitato di affrontare la contraddizione di
essere colonna dell’atlantismo e alleata Usa e,
parallelamente, partner privilegiata della Cina, oggi Scholz
si trova in una posizione delicatissima. La sensazione è che
il cancelliere tedesco sappia perfettamente che Berlino non
si trovi a metà strada tra Washington e Pechino. La Germania
è infatti nettamente più vicina agli Stati Uniti. Eppure non
sembrerebbe avere alcuna intenzione di sacrificare le
opportunità economiche offerte dalla Cina.
Internamente, Scholz è stato criticato da più fronti. A
detta di Friedrich
Merz, leader della Cdu e all’opposizione, è stato
“un errore” dare il via libera all’accordo con la società
cinese ad Amburgo. “Non capisco come il cancelliere possa
insistere su una situazione del genere. Non si tratta di
questioni finanziarie bensì politico-strategiche”, ha
aggiunto Merz. Anche il presidente tedesco, Frank-Walter
Steinmeier, ha messo in guardia da una dipendenza
eccessiva della Germania dalla Cina. Intervistato
dall’emittente radiotelevisiva Ard,
Steinmeier è stato chiaro: “Per il futuro, significa che
dobbiamo imparare le lezioni e ridurre le dipendenze
unilaterali ove possibile, questo vale anche per la Cina in
particolare”. Dal canto suo la Cina ha auspicato una “cooperazione
concreta” con la Germania e la fine di “clamori
infondati”.
Evgeni Prigozhin,
il finanziatore del gruppo Wagner formato da combattenti
mercenari, ha ribattezzato la linea che fortifica le
posizioni russe nell’oblast
di Luhansk“Linea
Wagner”. Gli
echi della Seconda guerra mondiale non sono casuali,
Prigozhin vuole che i suoi mercenari diventino degli idoli
in Russia ed è molto bravo a raccontare i fallimenti
dell’esercito russo e le vittorie del gruppo di combattenti
costretti a correre in soccorso degli inefficaci soldati di
Mosca. Prigozhin ha
detto che la compagnia Wagner è anche aBelgorod,
e si sta occupando della fortificazione della regione
russa al confine con l’Ucraina colpita da attacchi sempre
più frequenti: le autorità di Kyiv non hanno mai ammesso la
responsabilità. I mercenari della Wagner sono conosciuti
soprattutto per aver combattuto le
battaglie di Mosca degli ultimi anni, mentre
le loro mansioni propagandistiche sono meno note, seppur
portate avanti con altrettanta brutalità e determinazione.
Prima dell’inizio dell’invasione russa in Ucraina, Mosca non
ammetteva neppure l’esistenza della Wagner, ora invece
permette che la compagnia si faccia pubblicità per
arruolare combattenti. Anche
Prigozhin ora rivendica la paternità della compagniache
prima del 24 febbraio rinnegava, nonostante, secondo alcune
inchieste condotte da giornalisti russi, abbia anche
finanziato la produzione di film in cui i protagonisti erano
i temerari uomini della Wagner rappresentati come eroici
salvatori della Russia e non solo.
Si tratta di una prima trincea scavata
dalla compagnia di contractor di Yevgeny Prighozin (lo “chef
di Putin”) e che in base alle informazioni si estendere per
circa due chilometri nei pressi della città diHirske,
oblast di Luhans’k.
Le immagini mostrano che il sistema di fortificazione si
compone di quattro
linee di piramidi di cemento divise su due
tracciati. Dietro il tracciato più interno vi è poi una
trincea scavata nella terra. I canali russi parlano di una
linea difensiva che dovrebbe estendere lungo tutta la
cosiddetta “linea Wagner” fino a includere anche gli accessi
a Lisichansk e Lugansk, tutti inUcraina
orientale. Il percorso della trincea, almeno
secondo le immagini rilasciate da media vicini al gruppo di
Prighozin, dovrebbe arrivare a circa 200 chilometri.
Distanza che appare ancora molto lontana dalla realizzazione
visto che al momento si passa da immagini che hanno rilevato
la presenza di blocchi di cemento su poco meno di due
chilometri a un massimo di 24 chilometri (come
riportato dal Corriere
della Sera). E le operazioni non sembrano procedere
con celerità. Tuttavia, al netto delle tempistiche, quello
che conta sono i messaggi insiti in questa ostruzione, che
certamente rappresenta più che simbolicamente il cambiamento
della guerra in Ucraina.
Gli analisti già disquisiscono sull’utilità di questa linea
di difesa che molti definiscono una sorta di “Maginot” dello
chef di Putin. La prima critica riguarda la lunghezza minima
dell’attuale tracciato: sembra molto difficile che si possa
concretizzare l’obiettivo propagandistico dei centinaia di
chilometri, e questo comporterebbe la possibilità per i
mezzi ucraini di semplicemente scavalcare la trincea in un
punto in cui non è stata costruita. Altri sottolineano la
totaleinadeguatezza di
questi blocchi piramidali di cemento, che appaiono ben
lontani dalle trincee tristemente conosciute in Europa
durante le guerre mondiali. Altri ancora ritengono la sua
costruzione un metodo di difesa che può al limite fermare
l’avanzata per qualche giorno, ma non rappresentare un
ostacolo insormontabile.
Il segnale più importante, più che tattico, è però sotto il
profilo strategico e anche politico. Innanzitutto, la scelta
di costruire una fortificazione difensiva in una guerra nata
come espressamente offensiva. Dall’invasione al timore di
una controffensiva, la svolta sembra
essere certificata proprio dalla nascita di questa trincea.
Questo induce a credere che in questa fase del conflitto il
desiderio di Mosca sia quello di blindare il più possibile
quanto conquistato in questi mesi di invasione,
stabilizzando l’occupazione di territori annessi e ritenuti
una sorta di “linea rossa” tracciata anche fisicamente nell’oblast
di Luhansk con questa trincea.
Questo sarebbe in linea con le nuove linee-guida dettata dal
generale Sergey
Surovikin, attualmente al comando delle
operazioni. Come
spiegato da Gian Micalessin su Il
Giornale, l’obiettivo dell’uomo scelto da Mosca è
quello di paralizzare l’Ucraina sia da un punto di vista
infrastrutturale che militare. Da un lato bombardando i siti
strategici, come centrali elettriche e snodi ferroviari, per
scoraggiare il governo di Kiev e la popolazione, dall’altro
lato bloccare fisicamente l’avanzata delle truppe ucraine
fermando l’arrivo dei rifornimenti e la possibilità di
nuove, devastanti, controffensive. Ipotesi che si è già
vista nei mesi precedenti e più
di recente anche a Kherson.
La mossa della “linea Wagner” ha però anche un chiaro sapore
politico. Dall’inizio della guerra, il gruppo
paramilitare russo, vera legione straniera di
Vladimir Putin, è sostanzialmente l’unico segmento
dell’invasione russa, insieme ai ceceni di Ramzan Kkadyrov e
altre unità d’élite, ad avere ottenuto risultati concreti
rispetto agli obiettivi fissati dai comandi di Mosca. Questa
situazione induce il capo di Wagner, Prighozin, a chiedere e
ottenere sempre maggiore spazio: perché Putin ha bisogno di
vittorie, ma anche perché questa guerra intestina di fatto
eleva lo status di Prighozin e dei suoi contractors rispetto
alle forze armate russe. Lo “chef
di Putin” ha da tempo alzato il tiro, prima
palesando pubblicamente la sua figura e poi accusando
direttamente i generali russi, e ha ottenuto sempre maggiore
spazio anche nell’opinione pubblica. Ora, questa mossa della
trincea “Wagner” ha anche il sapore propagandistico, non a
caso rilanciato da canali Telegram molto vicini alle mosse
dei mercenari del Cremlino. Tutto questo, naturalmente,
salvo che le forze ucraine arrivino nelle sue vicinanze e
potrebbe trasformarsi in un boomerang.
Il Burkina Faso si allinea al Mali e va verso
la Russia
Il sentimento anti francese, che ha portato alla cacciata
della Francia dal Mali, sta montando anche in Burkina Faso
dove l’Istituto francese di cultura della capitale
Ouagadougou è stato preso d’assalto dai manifestanti e
saccheggiato.
Il Burkina Faso si
sta allineando al Mali.
La giunta militare alla guida del paese è sempre di più
sollecitata – dalla società civile e dai politici - a
cambiare strategia nella scelta dei suoi partener e a
abbandonare gli alleati storici, i francesi.
Una svolta che porterebbe, nel Sahel, alla creazione di un
blocco solido anti-francese e, soprattutto, un avvicinamento
alla Russia che sta consolidando la sua presenza in tutta la
regione.
Il sentimento anti francese, che ha portato alla cacciata
della Francia dal Mali, sta montando anche in Burkina Faso
dove l’Istituto
francese di cultura della capitale Ouagadougou è stato preso
d’assaltodai manifestanti e
saccheggiato.
L’ex primo ministro ed ex presidente ad interim del Paese,
Isaac Zida, si è allineato con l’uomo forte del Burkina Faso,
il capitano Ibrahim Traoré, che ha deposto il 30 settembre
il suo predecessore e compagno d’armi Damiba.
Una presa di posizione che è accompagnata dalla necessità,
secondo Zida, di una nuova partnership con la Russia per far
fronte all’insurrezione jihadista nel paese: “Per riuscire
in questa riconquista c’è una scelta da fare, quella di una
nuova partnership strategica.
La Russia, come partner, fornirà al Burkina Faso
l’equipaggiamento militare necessario per affrontare questa
insurrezione come sta avvenendo nel vicino Mali” dove i
russi riforniscono le forze armate con “aerei da
ricognizione, veri e propri elicotteri da combattimento,
armi di ultima generazione e molti altri mezzi”.
Ai mezzi si andrebbero anche ad aggiungere gli uomini
necessari per l’addestramento delle truppe e i mercenari
della Compagnia Wagner per il contrasto sul campo dei
jihadisti. Avanguardie dei mercenari sono già presenti nel
paese, anche se le autorità negano. Zida, inoltre, sostiene
che una partnership con la Russia potrebbe dare nuovo vigore
alla lotta antiterrorismo, anche perché “non tutti i nostri
soldati sono dotati di un’arma individuale” per non parlare
“dei volontari mobilitati, che a volte vanno incontro al
nemico armati solo del loro coraggio e dei loro amuleti”.
Tutto ciò per l’ex presidente ad interim è uno scandalo
considerato “il
budget che ogni anno viene garantito alla Difesa. Tutto
ciò fa pensare che ci sia un vasto progetto di annientamento
graduale di questo paese”.
E il riferimento, nemmeno troppo velato, come è accaduto in
Mali, è alla Francia che da questi regimi golpisti è stata
accusata di “connivenza” con i jihadisti.
Le pressioni per un legame più deciso con Mosca
arrivano anche dalla cosiddetta società civile. Il
movimento burkinabé “Pro Russes Burkina” ha inviato le nuove
autorità del paese a “diversificare i partner strategici”,
indicando in particolare la Russia come nuovo fronte da
esplorare.
Barthelemy Zaongo, portavoce del movimento pro Russia, ha
spiegato che “non esistono partner buoni o cattivi” e che
bisogna “sapere negoziare le partnership: i rapporti
stato-stato sono fatti su interessi comuni”.
Il portavoce di Pro Russes Burkina, tuttavia, sostiene che
senza “la coesione sociale sarà difficile risolvere
l’equazione del terrorismo, anche se Mosca
ci accompagnasse sul campo geomilitare perché la nostra
crisi è prima di tutto interna”, ma la Russia
potrebbe dare una mano decisiva al paese, anche su questo
fronte.
Per la Francia, ex potenza coloniale, il clima del paese sta
diventando sempre più ostile, tanto da indurre
l’ambasciatore francese a Ouagadougou, Luc Hallande, ha
chiedere a tutti i cittadini francesi di “esercitare la
massima cautela nei giorni a venire”.
L’ambasciata francese e i centri culturali della capitale e
di Bobo-Dioulasso sono stati presi di mira e saccheggiati
durante le manifestazioni di sostegno al nuovo uomo forte
del Burkina Faso, il capitano Traorè.
Hallande ha invitato i cittadini francesi a limitare i
propri spostamenti allo stretto necessario, a evitare
assembramenti e a rimanere attenti ai messaggi di sicurezza:
“Ci siamo preparati per ogni evenienza e saremo in grado di
reagire se necessario, con calma e determinazione per
garantire la sicurezza della nostra comunità”.
L’Ambasciata di Francia e gli Istituti di Francia in Burkina
Faso resteranno chiusi fino a nuovo avviso. Intanto il
centro nord del paese rimane in balia delle milizie
jihadiste che moltiplicano gli attacchi alla popolazione e
alle postazioni dell’esercito che sembra incapace di reagire
e mettere in sicurezza questi territori, alcuni dei quali
sono totalmente nelle mani dei gruppi armati come la città
di Samou a est del paese.
Un gruppo armato di stampo islamista avrebbe imposto la
chiusura di tutte le chiese, il divieto di possesso, vendita
e assunzione di alcol, l’allevamento di suini e l’adozione
di un preciso codice di abbigliamento sia per gli uomini sia
per le donne. Gli uomini dovranno farsi crescere la barba e
le donne dovranno indossare il velo integrale.
Repubblica Centroafricana
nel piccolo paese africano le cui forze armate contano c.ca
15 mila uomini, operano più di 11 mila caschi blu della
missione Minusca in parallelo alla missioni Eutm
(addestramento- conclusasi a dicembre del 2021) ed Euam
(consulenza strategica) volute dall’Unione Europea. Com’è
possibile quindi che numerosi operatori di sicurezza russi,
comunemente associati al famigerato
gruppo Wagner,
possano operare in totale impunità? Per rispondere ad una
simile domanda occorre analizzare più nel dettaglio non solo
le condizioni in cui versano le forze armate centrafricane (Faca),
ma anche le caratteristiche della penetrazione Russa nel
paese. Infatti, comprendere quali siano gli elementi che
consentono agli operatori russi di agire con un ampio
margine di manovra in un teatro operativo piuttosto saturo
come quello centrafricano è fondamentale per capire il modus
operandi russo in Africa e perché la presenza dei degli
pseudo contractors russi rappresenta una minaccia per
l’Occidente e per i suoi interessi. Un esempio: Parigi, già
a novembre del 2021, avvertiva che la presenza degli uomini
del gruppo Wagner in Mali era incompatibile con l’operazione
Barkhane. A distanza di un solo mese, Macron annunciava la
fine dell’operazione durata in totale più di 7 anni. Il caso
paradigmatico della Repubblica Centrafricana permette quindi
di fare luce sulla guerra d’influenza che contrappone la
Russia all’Europa in Africa.
Il Settore della Sicurezza in RCA
In Rca si combatte sin dal 1989. Fra colpi di stato,
insurrezioni, campagne contro-insurrezionali ed episodi di
violenza intercomunitaria, l’Uppsala Conflict Data Program (Ucdp)
stima che più
di 14 000 persone abbiano perso la vita. Nel 2012 la
Seleka, una coalizione di gruppi insorti provenienti dal
nord del paese prevalentemente musulmano e storicamente
marginalizzato, riesce a spodestare l’allora presidente
Bozizé. Questo provocherà la dissoluzione delle forze armate
centrafricane e farà sprofondare il paese nel caos. Nove
anni dopo, a seguito dell’intervento delle Nazioni Unite con
l’operazione Minusca nel 2014 e l’arrivo dei primi
“consiglieri militari” russi nel 2018, le Faca hanno
riacquistato il controllo di tutti i principali centri
urbani del paese. Alla guida del paese siede ormai
saldamente Faustin-Archange Touadéra, politico centrafricano
di lungo corso, già primo ministro sotto Bozizé ed ora
rieletto per un secondo mandato presidenziale nel 2020.
Touadéra deve a sua volta affrontare l’insurrezione della
Coalizione dei Patrioti per il Cambiamento (Cpc), un nuovo
gruppo ribelle guidato dall’ex presidente Bozizé che
contesta la validità della sua rielezione. Nei primi mesi
del 2021 le Faca lanciano una violenta controffensiva con
l’aiuto di truppe ruandesi e dei “consiglieri militari”
russi riuscendo ad indebolire significativamente i ribelli
del Cpc. Un buon numero di questi è costretto a ritirarsi in
Ciad e in Sudan, mentre una piccola parte si dà alla
macchia.
Se I recenti successi militari delle Faca si potrebbero
considerare come un segno della “buona salute” del settore
della sicurezza centrafricano, le condizioni in cui versa
l’esercito suggeriscono il contrario. I numerosi progetti
di riforma delle Faca, da ultimo quello del Piano Nazionale
di Difesa (Pnd, 2017) elaborato con l’appoggio di Minusca,
sono stati infatti sistematicamente disattesi. I principali
ostacoli contro cui si sono scontrati i vari progetti di
riforma sono l’etnicizzazione e la politicizzazione del
personale di sicurezza. Storicamente i presidenti in carica
hanno infatti accordato una netta preferenza per i membri
della propria etnia d’origine e per i loro alleati politici,
stravolgendo di volta in volta la composizione delle forze
armate. Da ciò conseguono due principali effetti: la
crescita incontrollata delle forze armate e sistemi di
reclutamento opachi che spesso avvengono in parallelo a
quelli ufficiali. Se il Pnd prevedeva un aumento del
personale di sicurezza da 7000 a 9 800 , l’ International
Crisis Group stima che il loro numero si aggiri oggi
intorno alle 15 000 unità. Buona parte di queste nuove
reclute non ha però seguito l’iter previsto dalla legge, ma
è stata assunta a seguito del pagamento di una somma di
denaro, senza passare dalle normali procedure di “vetting”
(controllo dei precedenti penali e dell’attitudine al
servizio). Inoltre, alcune istituzioni come la Guardia
Presidenziale (in cui l’etnia del presidente in carica è
maggioritaria) sono state integrate all’esercito regolare al
di fuori da ogni quadro legale creando di fatto un sistema
di gerarchie multiple in cui diversi corpi dell’esercito
rispondono ad autorità diverse (ministero della difesa,
stato maggiore della difesa, presidenza). Questo sistema di
reclutamento inficia quindi non solo la disciplina delle
forze armate, ma anche la loro formazione aumentando il
rischio di episodi di violenza sulla popolazione. Se a ciò
si aggiunge il fatto che la legge di bilancio dell’RCA
prevede un taglio di più del 20% al budget della difesa per
il 2022 , la situazione si fa ancor più preoccupante per un
paese che permette ai militari di conservare il proprio
equipaggiamento (fucili d’assalto compresi) presso il loro
domicilio.
E i Russi?
Quando i ribelli della Seleka giungono a Bangui, a fine del
2012, il Centrafrica sprofonda nel caos. Per questo motivo
nel 2014 il consiglio di sicurezza delle Nu istituisce
Minusca con l’obiettivo di stabilizzare il paese. Tre anni
dopo si svolgono le prime elezioni, giudicate libere ed eque
da osservatori internazionali, che consacrano Touadéra.
Sempre nel 2016 l’Unione Europea dà il via alla propria
missione di addestramento (Eutm
Rca) al fine di rendere le forze armate centrafricane
“moderne, efficaci e democraticamente responsabili”.
Composta da 365 istruttori militari e 71 civili la missione
conta su un budget annuale complessivo di c.ca 30 milioni di
euro. Dal 2016 ad oggi Eutm Rca ha addestrato 5 battaglioni
delle Faca per un totale di 4 000 soldati e 1 200 ufficiali.
L’addestramento fornito dall’Ue e la presenza del robusto
contingente di Minusca non sono però sufficienti a risolvere
i problemi di sicurezza nel paese, tant’è che fra il 2020 e
il 2022 i ribelli lanciano 47 attacchi che causano 90 morti
fra le Faca. Il presidente, insoddisfatto dei risultati
ottenuti sul campo di battaglia, decide allora di rivolgersi
ai russi la cui presenza nel paese è andata crescendo a
partire dal 2018. Se non è chiaro come i mercenari russi
siano retribuiti, la concessione di numerosi giacimenti di
oro, diamanti e uranio al gruppo russo Lobaye Invest sembra
suggellare una qualche forma di accordo.
I consiglieri militari russi, poco interessati alla
promozione del rispetto dei diritti dell’uomo, a dispetto
dei consiglieri di Eutm forniscono un addestramento
“accelerato” di tre mesi (anziché sei), recentemente ridotto
a qualche settimana. Soprattutto però i russi partecipano
direttamente sia alle operazioni di combattimento sia alle
attività di polizia. Svincolati da costrizioni giuridiche, i
“contractors” russi sono più efficaci del personale delle Nu
nel condurre operazioni di controinsorgenza. Il giorno
precedente alla rielezione di Touadéra, l’ambasciatore russo
in Rca, Vladimir Titorenko, avverte infatti i ribelli che
rischiano di essere “totalmente annichiliti” se non
rinunceranno alla violenza. I successi militari ottenuti dai
contractors del Cremlino vengono poi amplificati da una vera
e propria macchina della propaganda che si scatena sui
social media bollando l’operato di Minusca e di Eutm come
fallimentare. Numerosi soldati centrafricani sfoggiano
orgogliosamente sui social patch e insegne appartenenti al
gruppo Wagner. Nel cortile dell’Università di Bangui viene
perfino eretta una statua che simboleggia la stretta
collaborazione fra Faca e “forze bilaterali russe”. Più
Bangui si lega a Mosca, più aumentano gli episodi di
violenza nei confronti della popolazione.
Uno documento riservato del European External Action
Service (Eeas), recentemente trapelato sui media, rivela che
numerosi battaglioni dell’esercito centrafricano (fra cui
quelli formati da Eutm) sarebbero sostanzialmente passati
sotto il controllo diretto degli pseudo-contractors di
Wagner. In effetti, se il Pnd mirava a ricostituire le Faca
come una forza di guarnigione con una presenza stabile su
tutto il territorio centrafricano, l’assenza di incentivi
economici per i militari dislocati nelle zone più remote del
paese ha di fatto contribuito a militarizzare la capitale,
dove ora risiede c.ca un terzo delle forze armate del paese.
I battaglioni dislocati nelle zone rurali e nella capitali
provinciali sono stati invece abbandonati a loro stessi, dal
momento che gli alti ufficiali delle Faca si muovono
raramente al di fuori della capitale e non si spingono oltre
le capitali provinciali. Abbandonati dai propri superiori,
in assenza di una struttura gerarchica chiara, diversi
battaglioni delle Faca si sono quindi trovati sotto il
diretto comando dei contractors russi. Mentre le alte sfere
dello stato e dell’esercito centrafricano intessono rapporti
sempre più profondi con i Russi, l’International Crisis
Group riporta che il malumore inizierebbe a serpeggiare fra
i ranghi della Faca a causa sia dei ritardi nel versamento
delle paghe sia dei trattamenti degradanti, sfociati
talvolta in violenze fisiche, cui sono sottoposti dai
“contractors” di Wagner. Non sorprende quindi la decisione
dell’Europa di sospendere indefinitamente Eutm, che avrebbe
dovuto essere rinnovata proprio nel 2022.
Il caso del Centrafrica è pertanto emblematico del ruolo
sovversivo che ha assunto la Russia in teatri come quello
africano. Il Cremlino si è infatti dimostrato
particolarmente abile nello sfruttare a proprio vantaggio le
debolezze interne dell’apparato di sicurezza centrafricano,
di fatto vanificando gli sforzi internazionali per una
riforma dello stesso (Ssr). Nonostante le ingenti somme di
denaro investite nella stabilizzazione del Centrafrica,
Nazioni Unite e Ue sembrano aver perso la guerra di
influenza nel piccolo paese africano. Senza un’adeguata
riforma delle pratiche di Ssr che tenga conto del ruolo di
attori sovversivi come la Russia, il rischio di vedere
questo scenario ripetersi in altri teatri come quello del
Mali, del Ciad e perfino della Libia è pertanto
pericolosamente alto.
Se il Gop vince le midterm
A ribadire a gran voce la promessa di questo tornante è Kevin
McCarthy, speaker della Camera in
pectore qualora i Repubblicani dovessero strapparla
agli avversari. Proprio qui cresce infatti l’idiosincrasia
per le generose elargizioni a Kiev, poichè un numero
crescente di conservatori dalla mentalità libertaria – che
hanno adottato il comandamento dell”America
first” dell’ex presidente Trump – si sono apertamente
opposti all’autorizzazione di miliardi di dollari in armi e
aiuti umanitari.
La combinazione tra nuovo
isolazionismo espending
review aveva infatti portato la cordata di 57
repubblicani della Camera a votare a maggio contro un
pacchetto di aiuti da 40 miliardi di dollari.
Il messaggio del Gop alla Nato
La chiusura dei rubinetti degli aiuti a Kiev non è solo un
messaggio interno destinato a cavalcare la faglia tra
isolazionisti e interventisti. Si tratta di un monito
alla Nato e all’Europa, costretta a diventare
“maggiorenne” una volta per tutte. Gli obblighi di spesa
all’interno dell’Alleanza sono un puntello sul quale i
falchi battono da tempo. La promessa di raggiungere il 2%
del Pil in spese militari, paventata nel 2006, è rimasta un
miraggio, vittima di un impegno “non formale” all’interno
del Trattato Atlantico. La necessità di rinegoziare i patti
di spesa al suo interno si è palesata con tutta la sua
drammaticità nel settembre 2014, dopo il colpo di mano russo
in Crimea. Fu quella l’occasione per formalizzare, al summit
di Newport, in Galles, quanto deciso ormai otto anni prima:
tutti gli alleati che spendevano meno del 2% del Pil in
ambito militare avrebbero dovuto evitare ogni ulteriore
riduzione per questa voce di spesa, nonché raggiungere la
soglia del 2% entro il 2024. Nel 2021, tra i grandi Paesi
europei solo la Francia rispettava l’impegno mentre
Germania, Italia e Spagna restavano ancora lontane
dall’obiettivo.
Da tempo Washington non perde occasione di ricordare agli
alleati che l’ombrello sull’Europa ha un costo e che
Bruxelles non potrà più a lungo recitare il ruolo del free
rider. E quand’anche le promesse di spesa fossero
raggiunte è tempo ormai per l’Europa di iniziare a costruire
una comunità
di Difesa che vada ben oltre le esercitazioni o la
mobilitazione nei momenti di emergenza. Un difetto atavico
dell’Unione che non solo ha visto più volte fallire
qualsiasi progetto militare comune, ma anche allontanarsi il
miraggio di unapolitica
estera monocroma.
Le lezioni securitarie del caso
Starlink-Ucraina
La disputa scoppiata sul costo dei servizi internet
satellitari forniti da Starlink all’Ucraina sotto attacco
russo nelle ultime settimane è interessante per le sue
implicazioni securitarie. Il braccio di ferro si è aperto
dopo che la SpaceX del miliardarioElon
Musk ha dichiarato di non poter più continuare
a finanziare il servizio e ha battuto cassa algoverno
federale degli Stati Uniti.
La CNN ha, sul tema, ottenuto documenti che dimostrano che
SpaceX ha richiesto al Dipartimento della Difesa degli Stati
Uniti di finanziare l’uso di Starlink da parte dell’Ucraina
sostenendo di aver bisogno di 120 milioni di dollari per
mantenere l’uso del servizio da parte dell’Ucraina per il
resto del 2022. La polemica montata riguardo le
affermazioni della società di Musk, forte
di un patrimonio superiore ai 200
miliardi di dollari, ha portato il magnate di origine
sudafricana e patron di Tesla a fare dietrofront,ma
resta un tema fondamentale su cui discutere: le conseguenze
strategiche per l’Ucraina e gli stessi Stati Uniti di mosse
del genere.
Storicamente lo Stato americano ha utilizzato Big Tech come
perno e proiezione del suo interesse geopolitico ed
economico, ottenendo un’ibridazione completa tra i
grandi colossi del “capitalismo delle piattaforme”e
le agenzie
federali di difesa, sicurezza e intelligence,
che in cambio dei proficui contratti garantiti alle
multinazionali ottengono dati, informazioni di prima mano e
capacità di infiltrazione nei server e nelle infrastrutture
critiche di Paesi rivali e non. Ma con Starlink e SpaceX in
generale Washington ha compiuto un passo in avanti: una
componente importante come la sicurezza
dell’accesso allo spazio in materia sia di
connettività Internet che di disponibilità di vettori è
stata di fatto appaltata all’industria privata. La quale
può, in vari momenti, alzare la posta.
Il Comando Spaziale degli Stati Uniti è rimasto
impressionato dalla capacità di SpaceX di fornire accesso a
Internet nelle parti dell’Ucraina devastate dall’invasione
russa dopo che Starlink è stato fornito su indicazione di
Musk alle forze di Volodymyr
Zelenskynelle prime giornate del conflitto.
Una percezione ribadita dal capo del comando in un’audizione
di fronte al Senato l’8 marzo scorso.
“Quello che stiamo vedendo con Elon Musk e le capacità di
Starlink ci sta davvero mostrando cosa possono garantire una
costellazione o un’architettura privata in termini di
ridondanza delle connessioni e aumento della capacità di
sostegno alla sicurezza informatica nazionale”, ha detto il
generale James
Dickinson, alla testa del Comando spaziale degli
Stati Uniti, durante un’audizione al Comitato delle Forze
Armate del Senato.
I commenti di Dickinson arrivavano in risposta alle domande
del senatore Tim Kaine (Democratico della Virginia ed ex
candidato vicepresidente di Hillary
Clinton), che ha osservato che la capacità di
Starlink di fornire comunicazioni dallo spazio sull’Ucraina
è da considerarsi una “notizia positiva” e anche un esempio
di “attori privati nello spazio che entrano in ambienti
delicati” sul fronte securitario. “La Russia ha cercato di
bloccare i
segnali e bloccare la copertura, e la risposta di SpaceX
mi ha meravigliato”, ha detto Kaine. Ha chiesto a Dickinson
se esiste un “quadro legale” per le compagnie spaziali
commerciali statunitensi che vengono coinvolte in situazioni
contestate, ricevendo in risposta che il Comando lavora a
tale prospettiva nella Cellula
di Integrazione Commerciale (Cic) costituita al suo
interno.
Space News ricordache il “il Comando
Strategico degli Stati Uniti ha originariamente creato il
Cic per condividere informazioni sulle minacce nello spazio
e altre questioni di preoccupazione data la dipendenza dei
militari dai servizi spaziali commerciali” e favorire
l’ibridazione tra pubblico
e privato. SpaceX ne è membro assieme alla
strategica Maxar,
aziende di intelligence
geospazialeche da tempo monitora in presa
diretta le mosse delle forze
armate russe, e a una serie di compagnie di peso:
Intelsat, SES Government Solutions, Inmarsat, Eutelsat,
Viasat, XTAR, Iridium Communications e Hughes Network
Systems.
Cosa ne consegue? Il fatto che l’ago
della bilancia nei rapporti tra interesse pubblico
e interesse privato è fortemente spostato verso il secondo
fronte laddove si parla di sicurezza spaziale e delle
dinamiche ad essa afferenti. Il caso Musk-Ucraina èrientrato
in tempi relativamente brevi ma lungi dal
rappresentare un incidente di percorso segnala, al tempo
stesso, un problematicovuoto
politico e una dipendenza strutturale del pubblico
dal privato in un settore critico. La richiesta di
finanziamenti governativi da parte di SpaceX ha messo il
Pentagono in un dilemma perché anche se il governo federale
Usa sta inviando
miliardi di dollari di armi, attrezzature e assistenza
all’Ucraina, sembra che il Dipartimento della Difesa non
abbia mai richiesto a SpaceX di fornire terminali Starlink e
servizi Internet alle forze ucraine.
Come ha detto un alto funzionario della difesa degli Stati
Uniti al
Washington Post, SpaceX “attacca il Dipartimento della
Difesa chiedendo il conto per un sistema che nessuno ha
chiesto esplicitamente, ma da cui ora così tanti dipendono”.
Starlink, con quasi 2mila satelliti in orbita terrestre
bassa, è di gran lunga la più grande costellazione di
satelliti commerciali del mondo. SpaceX ha ottenuto su
scala internazionale il permesso di lanciare 12mila
satelliti e sta cercando l’approvazione per dispiegarne
altri 30mila. Un semi-monopolista, di fatto, col potere di
imporre linee rosse anche in questioni critiche della sicurezza
nazionale.E
in quest’ottica il punto di caduta decisivo non è tanto il
fatto che Musk abbia voluto presentare la sua azienda come
il “Deus
X Machina“ capace
di fornire accesso Internet al Paese invaso e di sostenere
anche le comunicazioni strategiche tra forze di terra,
comandi e intelligence ucraina e controparti occidentali.La
lezione strategica nel fatto che tutti i massimi apparati
federali a stelle e strisce, a partire dal Presidente Joe
Biden, nulla
hanno fatto nel quadro della più critica situazione di
tensione geopolitica dell’era post-Guerra Fredda per rompere
la dipendenza da un’azienda privata che supplisce segmenti
della capacità d’azione degli Stati Uniti. Ponendo sotto
agli occhi di tutti un precedente a dir poco grave ma che
ora bisognerà capire in quanti altri casi (pensiamo ai
servizi cloud che vedono colossi come Amazon e Microsoft) ha
già avuto manifestazioni simili. E portando a diversi dubbi
sull’effettiva presenza di strumenti di contrappeso tra
apparati pubblici e grandi monopoli privati capaci di
impedire a quest’ultimi didettare
l’agenda alla
prima superpotenza globale.
Brutto
colpo da parte di Elon Musk: o mi date mezzo miliardo di
dollari, oppure chiudo l'utilizzo di Starlink.
Elon
Musk chiede al Pentagono di
garantire i fondi per mettere la
rete satellitare Starlink a
disposizione dell'Ucraina. Il
magnate ha 'acceso' i satelliti
all'inizio dell'invasione della
Russia, offrendo a Kiev una
fondamentale rete per le
comunicazioni. Secondo la Cnn, al
momento Musk ha donato circa
80mila unità Starlink all'Ucraina.
Il costo dell'operazione, come ha
twittato recentemente il numero 1
di Tesla e SpaceX, si aggira
finora attorno agli 80 milioni di
dollari e supererà i 100 milioni
entro la fine dell'anno.Il
finanziamento pare destinato ad
esaurirsi e Musk ha avvisato il
Pentagono: gli Stati Uniti devono
intervenire iniettando decine di
milioni di dollari ogni mese per
evitare che la rete di spenga.
Musk, riferisce la Cnn, ha inviato
una comunicazione al Pentagono a
settembre ipotizzando spese
ingenti: il mantenimento della
rete fino alla fine dell'anno
potrebbe costare fino a 120
milioni di dollari e
l'investimento per i prossimi 12
mesi potrebbe arrivare a 400
milioni: "Non siamo nella
condizione di donare altri
terminali all'Ucraina o di
garantire finanziamenti per la
rete esistente a tempo
indeterminato".Le sollecitazioni
arrivano in un momento
particolare. Musk, recentemente, è
salito alla ribalta con una serie
di tweet in cui ha prospettato il
'suo' piano di pace. In sostanza,
il magnate ha prospettato la
ripetizione dei referendum nelle
regioni che la Russia ha annesso
dopo averle strappate all'Ucraina:
se le consultazioni sotto l'egida
dell'Onu dovessero bocciare
l'annessione, la Russia dovrebbe
abbandonare le regioni. Per Musk,
invece, la Crimea va considerata
sostanzialmente terra russa. E
proprio questa affermazione in
particolare ha provocato la
reazione di Kiev: dal presidente
ucraino Voldymyr Zelensky in giù,
si sono susseguite le reazioni
negative alla proposta di Mr
SpaceX.
Dopo l'esplosione del NORD STREM1, già
tutto dimenticato, salta per aria una
condotta dell'oleodotto sibero-polacco
Il comunicato della società polacca Pern
Le notizie sono state diffuse dai media di Varsavia soprattutto
a partire dalle prime ore di questo mercoledì, ma già
nella serata di ieri la Pern,
società che si occupa delle infrastrutture petrolifere
polacche, aveva diramato l’allarme. “I sistemi di
automazione di Pern – si legge in una nota dell’azienda –
hanno scoperto la perdita su una delle due linee della
sezione occidentale dell’oleodotto Druzhba, a circa 70
chilometri da Plock”.Quest’ultima
è una città sulle rive della Vistola dove ha sede una delle
raffinerie più grandi d’Europa, il Pkn (Polski
Koncern Naftowy). Tecnici sono stati inviati sul posto per
accertare le cause, al momento ufficialmente sconosciute.
L’unica cosa certa è che una consistente perdita di petrolio
è stata rintracciata e registrata dalla Pern e ora, in
Polonia come all’estero, in molti sono in attesa di
ulteriori dettagli. E, soprattutto, di sapere se si potrà o
meno continuare a usufruire del petrolio russo.
Il percorso dell’oleodotto Druzhba
La rete di canali e tubazioni che porta il greggio dal cuore
della Siberia al Vecchio Continente, è una delle più
importanti al mondo. Non solo perché è la più lunga in
assoluto, ma anche per via della sua storica importanza
politica. Una circostanza che è possibile intuirla già dal
nome: Druzhba infatti vuol dire “amicizia“.
Le autorità sovietiche che hanno iniziato la costruzione
dell’oleodotto negli anni ’60 hanno scelto questa
denominazione per indicare la fratellanza tra Mosca e i
Paesi dell’allora blocco socialista.
Scopo dell’infrastruttura era infatti quello di rifornire di
petrolio ed energia i governi del Patto di Varsavia. Il
percorso delle tubazioni è stato fissato a suo tempo ad Almetyevsk,
cittadina del Tatarstan. Ancora oggi è qui che viene
caricato il petrolio estratto dalla Siberia,
dal Mar
Caspio e dagliUrali.
L’oro nero attraversa poi tutta la Russia centrale per
entrare nell’odierna Bierlorussia,
in cui si divide in due rami principali, uno settentrionale
e uno meridionale. Il primo arriva a rifornire il terminal
petrolifero di Plock, in Polonia, e prosegue poi fino ad
agganciarsi alla rete tedesca. Si tratta quindi della
sezione che porta materialmente il petrolio russo in Europa.
Il secondo invece scende attraverso l’Ucraina fino
al porto di Odessa, trasferendo quindi il greggio nei vari
terminal del Mar Nero.
Varsavia: “Perdita causata da un incidente”. L’intelligence
frena: “Cause ancora da accertare, tutte le ipotesi restano
possibili”
“Non ci sono motivi per credere che la perdita nella sezione
polacca dell’oleodotto Druzhba sia stata causata da un
sabotaggio”. A dichiararlo è stato Mateusz
Berger, sottosegretario polacco con delega alle
infrastrutture energetiche. Sul luogo della perdita stanno
operando Vigili del Fuoco e tecnici. La Pern intanto, così
come riferito dal quotidiano tedescoBild,
ha specificato che una delle due linee dell’oleodotto è
intatta e da lì il petrolio sta continuando a scorrere senza
problemi.Sulle
cause del guasto però, sempre da Varsavia sono arrivate
dichiarazioni che in parte vanno in controtendenza rispetto
a quelle del governo. Stanislaw Zaryn, portavoce del
coordinatore dei servizi segreti polacchi, ha scritto su
Twitter che al momento ogni ipotesi è al vaglio degli
inquirenti. Dunque, l’idea del sabotaggio non è stata
definitivamente scartata. “La causa della perdita
nell’oleodotto Druzhba è attualmente sotto inchiesta – si
legge sui suoi canali social – Finora non vi è alcuna
indicazione della causa del guasto. Tutte le ipotesi sono
possibili”.
Mosca: “Petrolio russo continua ad affluire”
Dalla Russia a parlare sono stati invece alcuni
rappresentanti della Transneft,
l’azienda che controlla l’export del greggio, secondo cui
per il momento dalla parte russa del Druzhba il petrolio
viene pompato regolarmente e non ci sono modifiche nelle
forniture. “Non ci è stato comunicato dall’operatore polacco
– hanno aggiunto – quanto tempo servirà per le riparazioni”.
Il greggio russo sta comunque continuando ad affluire in
Europa anche grazie al normale funzionamento dei rami
dell’oleodotto che transitano lungo il territorio ceco.
La stessa Transneft ha specificato che il petrolio sta
regolarmente affluendo in Polonia. Mentre, al contrario, i
problemi potrebbero esserci esclusivamente per la Germania.
La condotta è stata danneggiata infatti nel tratto che
collega la rete polacca alla raffineria tedesca di Schwedt.
Il governo del land di Brandeburgo ha confermato un calo di
pressione lungo la linea dell’oleodotto Druzhba. In corso la
valutazione dell’impatto della perdita sulle attività della
raffineria di Schwedt.
Danni ambientali dalla perdita di petrolio
La fuoriuscita del greggio semilavorato dalle condutture sta
causando, tra le altre cose, anche importanti danni
ambientali. I servizi di emergenza hanno localizzato in un
campo vicino al villaggio di Zurawice, 180 km a ovest di
Varsavia, chiazze di petrolio in un campo di mais. Si sta
adesso lavorando per realizzare un invaso e far affluire al
suo interno il greggio fuoriuscito. “Stiamo cercando le
perdite in un campo di mais – ha dichiarato ai media locali
Karol Kierzkowski, capo dei vigili del fuoco – Non è facile,
il greggio è entrato nel terreno. La perdita danneggerà
sicuramente l’ambiente”.
Trump
impegnato nelle elezioni midterm: negoziati per evitare una
terza guerra mondiale
L'ex presidente ha parlato a un evento di suoi sostenitori
per la campagna elettorale di metà mandato, tenendo una
linea diametralmente opposta a quella democratica
dell'ottuagenario al potere. Trump dopo aver schivato la
messa in stato d'accusa per l'assalto al Campidoglio del 6
gennaio 2021 si ricandiderà alle elezioni del 2024 in
concomitanza con la probabile uscita di scena di Putin....
L'ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha invitato
tutte le parti in conflitto in Ucraina a sedersi al tavolo
dei negoziati per evitare "una terza guerra mondiale".
"Dobbiamo chiedere negoziati immediati per una fine pacifica
della guerra o arriveremo a una terza guerra mondiale e non
rimarrà nulla del nostro pianeta, perché persone stupide non
capiscono il potere nucleare", ha detto Trump parlando a un
evento di suoi sostenitori in Nevada.Donald
Trump chiede
"negoziati immediati per una fine pacifica della guerra inUcraina"
per evitare una terza guerra mondiale che "non lascerebbe
niente sul pianeta". Nel corso di un comizio in Nevada,
Trump ha poi criticato Joe
Biden.
"Se fossi stato io presidente la Russia non
avrebbe mai invaso", ha detto accusando gliStati
Uniti di
aver "quasi costretto"Putin invadere
l'Ucraina. La "retorica" americana che ha preceduto la
guerra - mette in evidenza Trump - ha contribuito alla
decisione di Putin di agire.
Ucraina, ora gli Usa sembrano aprire al dialogo con Mosca.
Con buona pace di Zelensky
Dall’inizio della crisi Ucraina si è detto che a cercare la
pace dovranno essere i due protagonisti ovvero Vladimir
Putin da un parte eJoe
Biden dall’altra. Perché, se qualcuno ancora non
l’avesse capito, questa sporca guerra è tra gli Usa e il
loro braccio armatoe camuffato da
alleanza difensiva (la Nato) e la Russia, vista come una
tappa fondamentale da ridimensionare prima di dedicarsi al
vero problema verso l’egemonia politico economica mondiale,
la Cina.
Dopo mesi di morti e dolore forse qualcosa si sta muovendo
in senso positivo, dopo che i muscoli (anche quelli
nucleari) sono stati ben spiegati e mostrati al mondo.
Alcune cose successe negli ultimi giorni inducono a pensare
che da parte americana sia arrivato il momento della trattativa,
anche in vista delle elezioni di mid-term dove Biden
rischia una
bocciatura epocale, con
entrambe le camere del Parlamento che finirebbero in mano
repubblicana doveDonald
Trump ha
ancora una voce in capitolo notevole (qualcuno a Washington
DC lo vedrebbe addirittura speaker della Camera, dove
l’ottantaduenne Pelosi è al capolinea).
Qualcosa si sta muovendo,
dunque. In primo luogo la notizia fratta trapelare
attraverso il NYT riguardo l’attentato che ha provocato la
morte di Darya
Dugina, dove
fonti d’intelligence a stelle e strisce hanno indicato inKiev i
mandanti e gli esecutori, un atto che che dimostra un primo
distacco politico.
Infine, forse a rispondere all’inopportuna scelta di Zelensky di
emettere un decreto dove si impedisce all’Ucraina di
trattare con Putin, il Segretario di Stato americanoAntony
Blinken ha dichiarato che il suo Paese è “pronto” a
cercare una soluzione diplomatica con la Russia sul
conflitto in Ucraina. “Quando la Russia dimostrerà
seriamente di essere disposta a intraprendere la strada del
dialogo, noi saremo pronti. Noi ci saremo”, ha dichiarato in
una conferenza stampa a Lima. “Il fatto è che la Russia e il
Presidente Putin non hanno mostrato alcun interesse per la
diplomazia”, ha anche rimproverato Blinken, ma rimane il
fatto che più indizi portano a credere che da parte Usa ci
siaun
tentativo di arrivare a un tavolo negoziale.
Il punto sarà trovare un accordo che soddisfi entrambe le
parti: Mosca non rinuncerà ai territori annessi (forse
qualche concessione la potrebbe fare solo su Zaporizhia),
mentre Biden che vuole a tutti i costi riguadagnare la
fiducia dei suoi cittadini percossi da inflazione e crisi
post Covid e che non hanno molto interesse nella politica
estera, potrebbe
“accontentarsi” dell’egemonia militare oramai
conclamata sui paesi dell’Est Europa e, soprattutto, di
quella energetica avendo di fatto troncato la dipendenza
europea dalla Russia (anche attraverso Nord Stream)
imponendo al Vecchio Continente gli States come
interlocutore naturale per l’energia (atomica?).
E l’Ucraina? fin dall’inizio è stata considerata da
molti analisti come l’agnello sacrificale e sia in caso di
accordi sia in
caso di guerra prolungata è destinata a perdere.
L’aver accettato la mano sporca per il colpo di Stato del
2014 e l’aver continuato a voler evitare una soluzione per
ilDonbass prolungando
la guerra civile l’ha messa sul piatto sacrificale ancora
prima del febbraio scorso. Comunque vada a finire Zelensky
potrebbe diventare il grande sconfitto dalla storia e forse
è per questo che sta continuando a mostrare i muscoli: forse
a lui la guerra a questo punto conviene.
Il piano per la pace in Ucraina di Elon Musk
Il piano di Musk prevede quattro punti. Il primo propone di
tenere di nuovo i referendum russi con cui la Russia la
settimana scorsa aveva
annesso quattro
regioni ucraine: Luhansk e Donetsk (che la Russia già
considerava indipendenti) e le zone occupate di Zaporizhzhia
e Kherson . Musk propone di far votare di nuovo gli abitanti
di queste regioni, supervisionati da osservatori dell’ONU:
difficilmente però un voto che si svolge durante una guerra
può essere considerato libero.Il secondo punto prevede la
cessione definitiva della Crimea alla Russia, già occupata e
annessa otto anni fa con un altro referendum. Musk sostiene
che la Crimea abbia fatto parte del territorio russo «dal
1783».Il terzo punto obbligherebbe il governo ucraino a
mantenere la fornitura di acqua alla Crimea russa, mentre il
quarto prevede che l’Ucraina rimanga «neutrale».Il piano di
Musk è stato molto criticato da politici e diplomatici
ucraini ed europei oltre che da diversi esperti di diritto
internazionale. L’ambasciatore ucraino in Germania, Andrij
Melnyk, ha
risposto a Musk twittando:
«ecco la mia risposta diplomatica: fanculo», mentre il
presidente lituano Gitanas Nauseda ha twittato: «Caro Elon
Musk, se qualcuno cerca di rubare le ruote di una Tesla,
questo non lo rende il legittimo proprietario delle ruote».Musk
si è difeso dalle critiche ricevute per il suo piano
sostenendo di essere a favore dell’Ucraina, a cui fra
l’altro dall’inizio della guerra fa
utilizzare Starlink,
il suo servizio per connettersi a Internet via satellite.
«Una ulteriore escalation della guerra farà molti danni
all’Ucraina e al mondo», ha spiegato: «Se tenete al popolo
ucraino, lavorate per la pace».
LA COREA DEL NORD E
LA RUSSIA
“Questa spada simboleggia la forza.
Simboleggia la mia anima e quella del
nostro popolo che ti sostiene”. Era il
25 aprile del 2019 quando Kim
Jong Un pronunciava queste
parole all’indirizzo diVladimir
Putin. Al termine del loro
primo incontro in assoluto, a
Vladivostok, il presidente nordcoreano
regalò al suo omologo russo una spada
coreana.
Il capo del Cremlino ricambiò e offrì a sua volta un dono
altrettanto emblematico: un set da tè, accompagnato da una
sciabola russa e dalla promessa di visitare presto la Corea
del Nord. La pandemia di Covid-19 avrebbe impedito a Putin
di essere invitato a Pyongyang ma, in quell’occasione, i due
capi si piacquero subito e si impegnarono a rafforzare i
legami tra i loro Paesi.
Oggi Kim e Putin sono ancora più vicini. Un po’ perché russi
e nordcoreani sono sempre stati storicamente in simbiosi,
prima per motivi ideologici, ai tempi dell’Unione Sovietica,
e quindi politici. E poi perché lo scoppio della guerra
in Ucraina ha costretto la Russia a spostare il suo
baricentro geopolitico verso l’Asia, a stringere nuove
alleanze, rinsaldarne di vecchie e stringere preziose
partnership commerciali. Oltre alle relazioni russe con la
Cina, del quale abbiamo più volte scritto, spicca il ritorno
di fiamma dell’asse
Mosca-Pyongyang.
Pyongyang chiama, Mosca risponde
Lo scorso luglio la Corea del Nord riconosceva Donetsk eLugansk.
Immediata la reazione dell’Ucraina che,
nel condannare la decisione di Pyongyang, annunciava la
rottura delle relazioni diplomatiche con Pyongyang. I media
nordcoreani scrivevano inoltre che il ministro degli Esteri
della Corea del Nord,Choe
Sou Hui, aveva espresso il desiderio di sviluppare
relazioni con entrambe.
Qualche giorno dopo Alexander
Matsegora,
ambasciatore russo a Pyongyang,
nel corso di un’intervista
rilasciata al quotidiano russo Izvestia,
accreditava l’ipotesi
dell’avvicinamento
russo-nordcoreano. Matsegora,
citato dal sito Nk
News,
parlava di “molte opportunità” di
cooperazione tra il Donbass e la
Corea del Nord, lasciando
intendere che gli operai
nordcoreani avrebbero
potuto ricostruire i territori del
Donbass conquistati dalle forze
del Cremlino. “I nostri partner
coreani sono interessati ad
acquistare pezzi di ricambio e
unità costruite in Donbass e nel
ricostruire le loro strutture
produttive”, spiegava
l’ambasciatore.
Un mese più tardi, in concomitanza con
le crescenti difficoltà incontrate dai
russi in Ucraina, non si parlava più di
operai nordcoreani in Donbass, bensì di soldati.
Lo scenario disegnato dall’esperto
militare russo Igor Korotchenko su Channel
One Russia era curioso: “Ci sono
rapporti secondo cui 100.000 volontari
nordcoreani sono pronti a venire e
prendere parte al conflitto”. L’esperto
passava quindi ad elogiare la “ricchezza
di esperienza dell’esercito nordcoreano
nella guerra contro la batteria”. Di
queste due indiscrezioni non si è più
saputo niente.
In compenso, il 15 agosto, Kim Jong Un inviava un messaggio
a Putin per celebrare l’anniversario della resa del Giappone
nella Seconda guerra mondiale. Kim salutava la crescente “cooperazione
strategica e tattica, il supporto e la solidarietà”
tra Russia e Corea del Nord.
Per non farsi mancare niente, due settimane prima, il primo
agosto, mentre la Cina celebrava
la fondazione dell’Esercito Popolare di Liberazione, la
Corea del Nord incaricava il suo ministro della Difesa,Ri
Yong Gil, di scrivere un messaggio al suo omologo
cinese, Wei Fenghe. Secondo l’agenzia nordcoreana Kcna,
“il messaggio sottolineava che l’esercito popolare coreano
avrebbe condotto operazioni coordinate strategiche e
tattiche con l’esercito cinese”.
Arriviamo così all’inizio di settembre quando, l’AP,
riferiva di un rapporto dell’intelligence statunitense
secondo cui la Russia stava acquistando milioni di razzi eproiettili
di artiglieria dalla Corea del Nord. Il Cremlino ha
bollato la notizia come “falsa” e, in seguito, anche
Pyongyang ha negato il fatto, dicendo di non aver esportato
armi in Russia durante la guerra e di non avere intenzione
di farlo.
Kim-Putin e l'”alleanza 2.0″
Dall’inizio della pandemia all’inizio del 2020, per più di
due anni le relazioni tra la Russia e la Repubblica popolare
democratica di Corea sono rimaste bloccate in un limbo,
quasi congelate. Temendo la diffusione del coronavirus,
Pyongyang si è isolata pesantemente. Di conseguenza, il
commercio e ogni contatto umano tra Mosca e Pyongyang si
sono fermati quasi del tutto. Allo stesso tempo si sono
bloccati anche i processi diplomatici, ravvivati, come
abbiamo ricostruito, negli ultimi mesi.
Il Nord ha dichiarato la vittoria sul Covid e, come
sottolinea il think tank 38North,
ci sono buone ragioni per ritenere che almeno alcune delle
restrizioni al confine sul
lato nordcoreano inizieranno a essere presto revocate,
consentendo al Nord di riprendere i contatti fisici con la
Russia. In un incontro con il governatore della regione
russa Primorsky, l’ambasciatore nordcoreano in Russia,Sin
Hong Chol, ha annunciato che il Nord avrebbe
ripreso il traffico
ferroviario con la Russia – solo per le merci e non
le persone – già a settembre.
Tornando alla guerra in Ucraina, Il Pentagono sostiene che
la Russia si sia avvicinata alla Corea del Nord per chiedere
armi e munizioni. Del resto – è il ragionamento che potrebbe
fare il Nord – se il Pakistan, come affermano alcuni report,
invia munizioni all’Ucraina, e la Corea del Sud conclude
importanti accordi di armi con la Polonia, perché la Corea
del Nord non può vendere armi alla parte opposta del
conflitto, e quindi alla Russia? Considerando, poi, che
molte delle armi di Pyongyang sono basate su standard
sovietici, le sue munizioni potrebbero essere
compatibili con i sistemi d’arma utilizzati dall’esercito
russo.
In definitiva, Mosca e Pyongyang potrebbero essere sul punto
di ristabilire l’alleanza che esisteva tra loro durante la Guerra
Fredda, un’alleanza dissoltasi in seguito al crollo
dell’Unione Sovietica. È però probabile che, a differenza
del passato, il loro nuovo legame possa assumere i connotati
di un allineamento
strategicoanziché di un’alleanza
formale basata su un trattato vincolante.
Kim Jong un, a ben vedere, ha già raggiunto una capacità di deterrenza
nucleare e non ha più bisogno di impegni di difesa
da parte di Putin. Come se non bastasse, l’intesa
Mosca-Pyongyang dovrebbe essere inclusa nel più ampio
allineamento trilaterale che potrebbe comprendere anche la
Cina (in un allineamento che sarà guidato da Pechino). Resta
da capire quale sarà ilmodus
operandi di questo emergenteallineamento
trilaterale. Qualsiasi blocco
sino-russo-nordcoreano avrà tuttavia profonde implicazioni
per gli equilibri di potere in Asia e nel resto del mondo.
L'UK IN CRISI
ENERGETICA
Il Regno Unito, diversamente da
altri paesi Europei, Germania e
Italia in primis, gode di una
maggiore indipendenza dal gas
russo grazie alle risorse presenti
nel
Mare del Nord e a quelle fornite
attraverso il passaggio dalla
Norvegia.
Tre quarti del gas importati
arrivano da lì, oltre a circa 1.4
gigawatts (GW) di elettricità che
percorrono 730km lungo un cavo che
collega Blyth in Northumberland a
Kvilldal sulla costa opposta
norvegese.
Questa, come evidenziato nella lettera
che Liz Truss ha pubblicato sul Timesprima
di recarsi a Praga per incontrare i
leader europei, rappresenta la fonte di
approvvigionamento per almeno 1 milione
e mezzo di case, considerando che qui,
dati del 2021, il 40% dell’elettricità
si produce dal gas. Di più, il Paese è
collegato all’Europa da condotti che
arrivano in Belgio e Olanda e attraverso
i quali il gas viene spedito in entrambe
le direzioni, sulla base dei costi.
Questo flusso è principalmente diretto
verso le esportazioni nel continente per
assicurare i grandi stoccaggi che
sull’isola non sarebbero possibili.
Finora il sistema ha retto perché, in caso di necessità, gli
inglesi si sono ripresi indietro il loro gas, esattamente
come accade con l’elettricità trasferita attraverso
conduttori collegati a Francia, Belgio, Olanda e Norvegia.
Ma l’inverno in arrivo si prospetta differente, ha chiarito
il report di National
Grid, perché anche i paesi europei sono in deficit.
Al di là degli scenari geopolitici, la Francia sta
avendo problemi con i suoi reattori nucleari e la Norvegia
sta soffrendo per via della siccità che non permette di
alimentare il suo potenziale idroelettrico. Da qui il timore
che lo stato scandinavo possa decidere di tagliare il
cordone con Uk ed Europa per proteggere e garantire il suo
uso interno.
Il conflitto in Ucraina e le conseguenze nelle forniture in
arrivo dalla Russia per il Regno Unito non rappresentano,
invece, un problema primario. Negli ultimi 4 mesi, le
importazioni di gas da quella latitudine sono state
praticamente azzerate e lo stesso dicasi per il flusso di
petrolio russo che, negli ultimi 2 mesi, è arrivato a zero.
Il complessivo delle importazioni dalla Russia, nel periodo
che va da Gennaio a Luglio 2022 è sceso a una percentuale
del 4%.
A controbilanciare questi tagli è la capacità di fare
affidamento sul gas liquido naturale (LNG) fornito da Qatar eStati
Uniti, ma se le temperature precipitassero
repentinamente, non ci sarebbe nessuna garanzia di forniture
adeguate, sopratutto per le abitazioni degli inglesi.
Il blackout di Liz Truss
L’allarme blackout in realtà era già scattato quando, solo
qualche giorno prima del report di ESO, il fornitore di
energia Ofgem aveva
parlato apertamente del “rischio importante” di trovarsi in
emergenza per l’impossibilità di garantire forniture di gas
secondo gli standard richiesti abitualmente.
E qui tornano in gioco le promesse e i guai di Liz Truss.
Interpellata sul tema, mentre si trovava a Praga a
rinsaldare il rapporti di “amicizia” con Emmanuel
Macron e a farsi immortalare sorridente con Mario
Draghi, ha glissato, limitandosi ad un generico “Siamo messi
meglio di molti altri paesi europei”, ma senza smentire
chiaramente la possibilità del blackout. Questa impasse è
un’altra mina sulla già fragile posizione del primo ministro
la cui leadership non è mai stata veramente riconosciuta.
La sua elezione, in settembre, non è avvenuta grazie al
sostegno dei deputati del suo partito presenti a Westminster e
questa mancanza di un largo consenso, con un automatismo
tipico della spietatezza della politica, trasforma ogni
passo falso in un’occasione per generare caos.
Il fracking per la ricerca di petrolio e gas
Il fuoco amico non si ferma qui. Le ultime decisioni da
parte del governo, che ha revocato i divieti imposti nel
2019 di effettuare fracking in
mare per estrarre gas e ha elargito 100 nuove licenze per
scavare alla ricerca petrolio e gas, non sono andate giù ailaburisti,
agli ambientalisti e a molti deputati conservatori,
preoccupati per le conseguenze nell’opinione pubblica e
della loro futura rielezione.
Il rischio sismico che potrebbe conseguire alle
trivellazioni è una eventualità sulla quale la scienza
ancora non avrebbe una posizione univoca e definita e questo
fa paura. L’ultimo sondaggio commissionato dal governo sul
fracking, nell’autunno del 2021, dimostrò che solo il 17%
dei cittadini intervistati sosteneva la possibilità di
procedere su quella strada, mentre ’87% era totalmente
favorevole alle energie rinnovabili.
Per aggirare l’ostacolo, il governo ha già in tasca la sua
strategia pronta: pagare da 500 a 1000 sterline i residenti
delle zone interessate al fracking per ottenere il consenso
a procedere con le esplorazioni. E se questo non bastasse è
pronto un piano per distribuire
royalties, dall’1 al 6%, sulle estrazioni
effettuate.
La stima fornita dalle aziende del settore valuta un costo
tra i 4 e i 400 milioni di sterline per ogni sito
interessato, soldi che andrebbero spalmati in circa 20 anni
e soggetti al prezzo del gas e alla produttività dei
pozzi. “Con il 50% più uno dei consensi, raccolti porta a
porta – ha spiegato Rees Moog – si potrà procedere”. Nel
frattempo, se non si potranno garantire le forniture
necessarie si dovrà approvare il via libera ai blackout.
IL
PROBLEMA COREA DEL NORD
Era l’11 luglio del 1961 quando Cina eCorea
del Nord firmarono ilChina-DPRK
Treaty on Friendship, Cooperation
and Mutual Assistance,
traducibile come Trattato
di mutuo soccorso e cooperazione
sino-coreano. In piena
Guerra Fredda, e pochi anni dopo
la fine della Guerra di Corea,
nella penisola coreana il clima
continuava ad essere tesissimo. In
Corea del Sud, il nuovo leader
Park Chung Hee sollecitava un
aumento delle spese militari e
inaspriva la politica contro
Pyongyang. Il governo nordcoreano,
temendo un attacco da parte del
Sud, decise così di rivolgersi ai
suoi unici due partner dell’epoca,
Unione Sovietica e Cina, per
chiedere un supporto preventivo.
Kim Il Sung, nonno dell’attuale presidente
nordcoreano Kim Jong Un, firmò prima il Trattato di mutuo
soccorso e cooperazione tra Corea del Nord e Unione
Sovietica (questo il testo
completo), poi, pochi giorni dopo, approdò a Pechino per
mettere nero su bianco, assieme al premier cinese Zhou Enlai,
un trattato analogo con la Repubblica Popolare Cinese
(questo il testo
completo). Kim aveva finalmente un “ombrello”, per altro
doppio, con il quale difendersi da eventuali azioni
congiunte tra Seoul e Washington.
Già, perché, in virtù dei freschissimi accordi, nel caso in
cui qualcuno – Paese o coalizione di Paesi – avesse dovuto
torcere un capello alla Corea del Nord, o anche solo
minacciato di farlo, Cina e Urss avrebbero intrapreso tutte
le misure necessarie per opporvisi. Allo stesso modo,
Pyongyang avrebbe supportato militarmente Pechino e Mosca
qualora una o entrambe avessero subito attacchi
militari oaggressioni
esterne.
Mentre il trattato con l’Urss non è più in vigore dagli anni
’90, ed è stato riadattato tra il 1999 e il 2000 ad un
semplice trattato di consultazione, il patto con la Cina
continua ad essere in vigore. Il 7 luglio 2021, in occasione
del 60esimo anniversario della firma, il Trattato di mutuo
soccorso e cooperazione sino-coreano è stato rinnovato,
con tanto di annuncio ufficiale. Il portavoce del Ministero
degli Esteri cinese, Wang
Wenbin, ha spiegato che il trattato del 1961 è
stata una “decisione strategica presa con lungimiranza dalla
vecchia generazione di leader dei due Paesi” nonché “un
evento importante nella storia delle relazioni bilaterali”
tra Cina e Corea del Nord. Infine la parte più importante:
il trattato “rimane in vigore fino a quando non viene
raggiunto un accordo sulla sua modifica o risoluzione”, ha
chiarito Wang.
Dal punto di vista tecnico, e in conformità con l’articolo
7 dello
stesso trattato, il patto
sino-nordcoreano resta
in vigore (e si rinnova automaticamente ogni 20 anni), a
meno che le due parti, e quindi Pechino e Pyongyang, non
raggiungano un accordo sulla sua modifica o risoluzione.
Potrebbe sembrare un trattato simbolo dei tempi che furono,
anacronistico e privo di collegamenti con il presente, tanto
che soltanto gli addetti ai lavori conoscono la sua
esistenza. E invece, complice la tensione alle stelle nella
penisola coreana e la recente escalation missilistica di Kim
Jong Un,
questo trattato dovrebbe essere riletto con attenzione. Per
il contenuto, certo, ma anche per le possibili implicazioni
globali che
potrebbe avere.
Il Trattato di mutuo soccorso e cooperazione sino-coreano è
nato per promuovere la cooperazione pacifica tra Cina e
Corea del Nord in vari settori: dall’ambito culturale a
quello economico passando attraverso lo sviluppo
tecnologico. Il documento originale è molto breve, un paio
di pagine, condite da un’introduzione generale e sette
articoli. In apertura Zhou e Kim Il Sung si impegnarono a
“rafforzare e sviluppare ulteriormente le relazioni fraterne
di amicizia” tra i rispettivi Paesi, a rafforzare la
“cooperazione e assistenza
reciproca tra la Repubblica popolare cinese e il
Repubblica Democratica Popolare di Corea”, e a “presidiare
congiuntamente la sicurezza” dei due popoli per
salvaguardare e consolidare la pace dell’Asia e del mondo”.
Il secondo
articolo merita di essere evidenziato: “Le Parti
contraenti si impegnano congiuntamente ad adottare tutte le
misure per prevenire un’aggressione contro una delle Parti
contraenti da parte di qualsiasi Stato. Nel caso in cui una
delle Parti contraenti dovesse essere oggetto dell’attacco
armato da parte di uno o più Stati, ed essere coinvolta in
uno stato di guerra, l’altra Parte contraente le fornirà
immediatamenteassistenza
militare e di altro tipo con tutti i mezzi a sua
disposizione”.
Attenzione, poi, all’articolo
7: “Nessuna delle Parti contraenti concluderà
alcuna alleanza diretta contro l’altra parte contraente né
prenderà parte a qualsiasi blocco o a qualsiasi azione o
misura diretta nei confronti dell’altra Parte contraente”.
Il trattato di difesa stipulato con la Corea del Nord,
inoltre, è l’unico trattato formale di alleanza militare
firmato dalla Cina con un altro Paese che non è stato
revocato dalla fondazione della Repubblica Popolare. Come
abbiamo visto è stato anzi rinnovato. A conferma della sua
importanza strategica.
Con il passare degli anni molte clausole del
trattato sino-coreano sono diventate intrinsecamente
contraddittorie. Ad esempio, per garantire la pace in Asia e
la sicurezza di tutti i popoli (articolo 1), Pechino è stata
costretta a partecipare ad azioni contro Pyongyang
imponendolesanzioni attraverso
il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (ONU). Molti
analisti e diplomatici hanno poi maturato l’idea che Pechino
non sarebbe più “obbligata” a proteggere il Nord in caso di
conflitto, visto che lo sviluppo nordcoreano diarmi
nucleari avrebbe messo a repentaglio la sicurezza
nazionale cinese, violando così l’impegno di difesa comune.
In realtà, come abbiamo visto, la Cina ha ribadito
l’importanza del documento.
Attenzione però: oggi la Repubblica Popolare non considera
più la Corea del Nord come un “bene
strategico” bensì una “responsabilità
strategica“. Il legame ideologico che univa i due
Paesi è stato sostituito da interessi geopolitici reciproci,
riassumibili nel tenere a distanza gli Stati Uniti dalla
regione. Riducendo all’osso il trattato, e riadattandolo al
presente, qualora Stati Uniti o Corea del Sud dovessero
punire la Corea del Nord per i suoi test
missilistici, sempre più provocatori, allora la
Cina sarebbe teoricamente costretta a scendere in campo per
difendere Pyongyang.
C’è chi sostiene che Pechino, anche a fronte di una guerra
mossa contro il Nord, non entrerà mai in guerra contro gli
Usa e i loro alleati. È tuttavia soltanto una possibile
supposizione perché il trattato esiste ed è valido. Valido,
si badi bene, anche a parti invertite, e cioè qualora gli
statunitensi dovessero attaccare la Cina (ipotesi non
utopica viste le tensioni intorno a Taiwan).
In tal caso toccherebbe a Kim
Jong Un l’onere e l’onore di supportare il Dragone.
Allo stesso modo, la sezione 2 del trattato stabilisce che
l’aiuto sarà fornito solo quando una delle due nazioni
“viene invasa da” un Paese terzo, e non quando e se una
delle due nazioni dovesse invadere o attaccare terzi. Giusto
per capirsi, nel novembre 2010 la Corea del Nord bombardò
l’isola sudcoreana di Yeonpyeong, portando la tensione
intercoreana sull’orlo della guerra. Secondo le memorie
dell’ex presidente sudcoreano Lee Myung-bak, l’allora
emissario del leader cinese Hu Jintao, Dai
Bingguo, volò a Pyongyang e si sedette faccia a
faccia con il defunto leader nordcoreano Kim
Jong Il, padre dell’attuale Kim. Dai fu
chiarissimo: “Se la Corea del Nord attaccasse prima la Corea
del Sud e, di conseguenza, ci fossero scontri di armi su
vasta scala, la Cina non aiuterebbe la Corea del Nord”. Ma
se, oggi, la situazione dovesse essere inversa, la Cina di
Xi Jinping potrebbe pensarla diversamente.
GERMANIA; DOPO I 100 MILIARDI DI EURO PER
IL RIARMO, 200 MILIARDI DI EURO PER L'ABBATTIMENTO DEI COSTI
ENERGETICI
La svolta della Germania
Compatta, anche se con distinguo sulle priorità, la
maggioranza. Robert
Habeck, vicecancelliere e Ministro dell’Economia in
rappresentanza deiVerdi ha
parlato di necessità di reagire alla “guerra energetica”
della Russia. Ma la svolta più importante è quella diChristian
Lindner, “falco” rigorista dei Liberali che, daMinistro
delle Finanze, solo pochi giorni fa proponeva
in Europa il ritorno al Patto di Stabilità e ora ha corretto
le sue posizioni preparandosi, sul fronte interno, a dare il
via libera alle spese massicce del governo ma mantenendo, a
parole, il sostegno alla necessità di tornare nel 2023 alla
disciplina di bilancio.
“In passato”, nota La
Stampa, “durante la pandemia, il governo sospese la
regola del “freno
al debito” per ridare fiato all’economia. Si tratta di
una costituzionale che permette di derogare al pareggio di
bilancio per lo 0,35% del Pil annuale e che può essere
sospesa in caso di situazioni di eccezione e di catastrofi
naturale”. Laguerra
in Ucraina è lo stato d’eccezione dopo la
catastrofe pandemica che in questo caso può, anche negli
anni a venire, giustificare comunque eventuali prese di
posizione in controtendenza con questo auspicio. E Lindner
nel frattempo mira a mettere in campo aiuti attraverso ilFondo
di stabilizzazione economica introdotto durante la
pandemia.
Il maxi-fondo su cui puntano Scholz e Lindner
Lo scopo del Fondo di stabilizzazione economica (Fse) era
quello di stabilizzare l’economia in risposta alla pandemia
di Covid. L’Fse è stato creato con l’obbiettivo di fornire
sostegno sotto forma di misure di stabilizzazione per
aiutare le imprese di tutti i settori a rafforzare la loro
base di capitale e ad affrontare le carenze di liquidità. Si
rivolge alle imprese dell’economia reale la cui scomparsa
avrebbe un impatto significativo sul mercato del lavoro
tedesco o sull’attrattiva della Germania come sede di
attività. L’Fse agisce per mezzo di due strumenti di
stabilizzazione (che possono essere applicati in
combinazione) da un lato, promuove garanzie federali sui
prestiti, comprese le linee di credito, e sui prodotti del
mercato dei capitali; dall’altro, promuove misure di
ricapitalizzazione come mezzo diretto per rafforzare il
patrimonio netto delle imprese in difficoltà.
Fse ha fino ad oggi promosso operazioni
di ricapitalizzazione per 9 miliardi di euro esi
prevede il suo utilizzo anche per operazioni come quella di
Uniper che raddoppierà tale cifra. Può inoltre promuovere
manovre di sostegno alla banca pubblica KfW,
la Cassa Depositi e Prestiti tedesca, a cui fino ad
ora ha concesso 30 miliardi di euro. Dunque, il Fse creato
nel 2020 è di fatto ben al di là dal raggiungere le quote di
risorse stanziate: di fatto esso è stato “armato” con 600
miliardi di euro di risorse, corrette a 250
miliardi nel 2022. Una somma che Lindner spera di
poter orientare per coprire le spese per la crisi
energetica. Ma occultare una spesa pari al 5% del Pil in un
fondo che copre la metà dei 1.300 miliardi messi in campo daAngela
Merkel e da Scholz, ai tempi Ministro delle Finanze, è
complesso.
La “Cdp” tedesca
Così come è complesso operare con KfW. Negli anni la KfW è
diventata la più grande banca pubblica per lo sviluppo al
mondo e gestisce asset per 500
miliardi di euro. Durante la pandemia le risorse
sono state orientate per fare in grande ciò che in Italia è
stato affidato a Sace
con il programma Garanzia Italia: aprire alla
concessione di prestiti alle imprese in crisi mediate dalla
garanzia pubblica.
Due settimane fa il governo federale ha chiesto che KfW si
rafforzi, in modo che le società energetiche possano esser
sostenute con ancora più garanzie e supporto alla liquidità.
Si tratta di autorizzazioni di credito per un importo di
circa 67 miliardi di euro, che ricadranno alla fine nel
piano del Fse.
Il nuovo debito inevitabile
Sulla carta Berlino avrebbe i numeri per coprire dunque i
200 miliardi con fondi già stanziati. Ma il diavolo è nei
dettagli e riporta alla considerazione che per la Germania
sarà necessario
fare deficit. In virtù del nuovo regolamento Ue
sugli aiuti di Stato, infatti, la Germania ha promosso
misure di sostegno alle imprese tramite Fse e KfW, ma non
può mettere in campo con il loro ausilio i piani che Scholz
ha in mente per abbattere il prezzo del gas nella loro
interezza. Scholz ha intenzione di sterilizzare diverse
imposte, calmierare i prezzi del gas, finanziare gli
importatori, accelerare sugli investimenti in transizione
per superare la dipendenza dall’oro blu. Tutte misure per
cui un ricorso alla leva della spesa pubblica è necessaria,
in quanto politiche omnicomprensive e non mirate su un
singolo obiettivo come un’operazione di salvataggio
aziendale.
Quando Lindner è subentrato all’inizio di dicembre, si è
trovato a lavorare con un progetto di bilancio per il 2022
scritto dal suo predecessore (ora cancelliere) Olaf Scholz
prima dello scoppio dell’ondata di omicron della pandemia di
coronavirus. Tale
progetto includeva circa 100 miliardi di euro di nuovo
debito. E dopo aver assunto nuovi debiti per quasi 140
miliardi di euro quest’anno, il bilancio nazionale della
Germania per il 2023 prevede solo 17 miliardi di euro di
nuovo debito. Ipotesi irrealistica, in virtù dell’adesione
al freno costituzionale, di fronte a tale onerose necessità.
Semplicemente, il gioco delle tre carte potrebbe essere
l’assunzione di una forte quota di nuovo debito negli ultimi
mesi dell’anno per poi tornare alla disciplina sulla carta
l’anno prossimo. Anche se restano “elefanti
nella stanza” come ilfondo
per il riarmo da 100
miliardi di euro annunciato da Scholza
febbraio e ancora da strutturare operativamente, che
sicuramente convoglierà risorse pubbliche in un Paese che
viaggia verso una dura recessione.
E sulla necessità di fare debito si è espressa criticamente
anche la prestigiosa Frankfurter
Allgemeine Zeitung, che in un articolo ha
puntualizzato: “La Costituzione consente di aggirare il
tetto all’indebitamento solo se lo Stato non ha avuto alcuna
influenza sulla causa. Per questo Olaf Scholz e Christian
Lindner hanno parlato di guerra
energetica che la Russia sta conducendo contro la Germania”,
osserva la Faz, che attacca: “In effetti, la Germania non
può fare nulla per questa guerra, anche se deve essere
considerato criminalmente negligente che questo Stato non
abbia corretto la sua dipendenza unilaterale da una Russia
che da anni si comporta in modo più aggressivo, ma, al
contrario, l’ha smaccatamente perseguita”.
Più probabile che si arrivi a un regime
ibrido, ma se anche la metà delle risorse fosse utilizzata
per compensare il caro-bollette, finanziare tagli fiscali
e aumentare le reti di protezione sociale Berlino è in
grado di arrivare a 240 miliardi di nuovo debito nel 2022,
una quota pari al 6%
del Pil. Alla faccia di ogni prospettato ritorno
all’austerità. Dal 58,9% del 2019 la quota debito/Pil è
salita al 68,3% nel
2021; ora l’indebitamento netto lo potrebbe portare,come
minimo, al 70,9% a fine anno con
prospettive di peggioramento connesse allaprossima
recessione.
Per Berlino si fa dura e giustamente Scholz mette in campo
tutte le carte superando ogni possibile tentazione
austeritaria di ritorno.
Mentre in Italia si tentenna nel
varare un intervento da una decina
di miliardi, il governo tedesco si
è accordato sull’introduzione di
un tetto al prezzo del gas pagato
da famiglie e imprese. La
differenza sarà a carico dello
stato nell’ambito di un intervento
dal valore compreso tra i 150 e i
200 miliardi di euro. Il governo
attingerà al Fondo di
stabilizzazione economica, che non
fa parte del normale bilancio
federale. Un gruppo di esperti
elaborerà i dettagli del limite di
prezzo. “Il prezzo del gas deve
andare giù”, ha detto il
cancelliere tedesco Olaf Scholz,
annunciando il provvedimento. Alla
luce di quel che è accaduto ai
gasdotti Nord Stream è chiaro che
“presto il gas non sarà più
rifornito dalla Russia. Questo
significa anche che scomparirà la
prevista “Gasumlage”, il
supplemento gas in bolletta che
doveva aiutare le aziende
energetiche in difficoltà. La
misura doveva entrare in vigore il
1 ottobre, ma sarà annullata
perché “non serve più”, come ha
detto oggi il ministro tedesco
dell’Economia, Robert Habeck. Il
governo vuole ora aiutare
direttamente le aziende. Il
colosso Uniper, maggior
importatore tedesco di gas russo,
è del resto già in corso la
nazionalizzazione.La Germania è
però ben preparata al cambiamento
della situazione” ha aggiunto il
cancelliere tedesco. “Ci troviamo
in una guerra dell’energia“, ha
detto il ministro delle finanze
tedesco, Christian Lindner. “Con
l’attacco ai gasdotti la
situazione si è decisamente
inasprita”, ha aggiunto. Putin
vuole “distruggere molto di quello
che le persone per decenni hanno
costruito” in Germania. “Noi non
possiamo accettarlo e ci
difenderemo“, ha scandito Lindner.
Il freno al prezzo del gas deciso
oggi “è una chiara risposta a
Putin, ma anche una chiara
segnalazione al Paese. Noi siamo
economicamente forti, e questa
forza economica la mobilitiamo,
quando serve, come adesso”.Secondo
l’Agenzia tedesca delle reti,
nell’ultima settimana il consumo
di gas di famiglie e piccole
imprese è stato significativamente
superiore al consumo nello stesso
periodo dello scorso anno. La
settimana è stata anche più
fredda. I dati sono “molto
preoccupanti”, perché “senza un
considerevole risparmio, anche nel
settore privato, sarà difficile
evitare una carenza di gas in
inverno”, ha affermato il
presidente dell’Agenzia, Klaus
Mueller. Secondo Mueller, grazie
ai serbatoi gas ben riempiti (al
92%, ndr), si potrà superare
l’inverno senza danni, ma,
appunto, sarà necessario
risparmiare e “questo dipenderà da
ogni singolo individuo”.Il fronte
europeo – La mossa tedesca spiazza
gli altri paesi europei. Domani è
in programma il vertice
straordinario dei ministri
dell’Energia dell’Ue in cui
dovrebbero essere decisi
provvedimenti da adottare
congiuntamente ma Berlino ha
deciso di muoversi da sola. Le
trattative erano già prima
complicate. “La proposta di un
price cap allo stesso livello per
tutto l’import del gas è una
misura radicale che comporta
rischi significativi legati alla
sicurezza di forniture di
energia”, hanno sottolineato fonti
Ue spiegando il testo presentato
ieri sera dalla Commissione sugli
interventi sul mercato
dell’energia. “E’ una valutazione
di bilanciamenti, vantaggi e
rischi. Non credo che stiamo
dicendo ‘no a 15 Paesi membri,
diciamo che è meglio mettere un
price cap al gas russo e
negoziare” con i singoli fornitori
i prezzi dell’energia, aggiungono
le stesse fonti.Diversi paesi
membri” tra quelli che da
settimane chiedono una proposta Ue
sul price cap su tutte le
importazioni di gas, “stanno
diventando sempre più nervosi per
la mancata reazione della
Commissione europea, è un dato di
fatto”, afferma un alto
funzionario europeo alla vigilia
della riunione straordinaria dei
ministri dell’Energia. La
richiesta di un price cap
generalizato contenuta in una
lettera indirizzata all’esecutivo
Ue firmata da 15 stati, tra cui
l’Italia, è stata avanzata “per
esercitare pressioni sulla
Commissione”, tuttavia –
sottolinea la stessa fonte – “al
tavolo” dei Paesi membri “non c’è
una voce univoca”.
DISASTRO AMBIENTALE
Groenlandia, gli iceberg hanno perso sei miliardi di
tonnellate di acqua al giorno: “Si potrebbero riempire 7
milioni di piscine”
In Groenlandia gliiceberg hanno
persoseimiliardi ditonnellate diacqua al
giorno tra
il 15 e il 17 luglio.
La “guerra del caldo” ha colpito anche la grande isola,
soprattutto nella parte a nord
ovest.
A comunicarlo è stata la Cnn, basandosi
sullo studio del Centro
Nazionale Statunitense per i dati su neve e ghiaccio,
(Nsidc). Per dare un’idea di quei due giorni di luglio, la Cnn ha
commentato che l’acqua persa è sufficiente a riempire 7,2
milioni dipiscineolimpioniche.
L’emittente ha sottolineato, inoltre, che la temperatura in
Groenlandia si mantiene attualmente attorno ai15,5°,
ovvero circa 5 gradi in più del normale per questo periodo
dell’anno.“Lo scioglimento del nord di quest’ultima
settimana non è normale, se si considerano i 30-40 anni di
medie climatiche”, ha detto TedScambos,
ricercatore dell’Nsidc dell’Università
del Colorado. “Il disfacimento è in aumento e questo evento
ha rappresentato un picco” ha aggiunto. La preoccupazione
degli scienziati è che si possa ripetere lo scioglimentorecord
del 2019,
quando 532
miliardi di tonnellate di ghiaccio sono finite in mare.
Una primavera inaspettatamente calda e un’ondata di calore
nel mese di luglio di quell’anno hanno causato lo
scioglimento di quasi tutta la superficie della calotta
glaciale e, in quell’occasione, il livello
globale del mare si
èalzato in
modo permanente di 1,5
millimetri.
La Groenlandia, infatti, contiene una quantità di ghiaccio
tale da permettere di alzare
il livello del mare di 7,5 metri in tutto il mondo,
se si sciogliesse completamente.
Crisi climatica, dighe svuotate e “raccolti persi”: la
siccità mette in ginocchio il Marocco. “In passato abbiamo
patito la fame, mai la sete”
Il Marocco sta
vivendo uno dei periodi disiccità più
intensi e lunghi di sempre. Secondo un rapporto del
Ministero dell’acqua già da due anni a questa parte la
situazione climatica è peggiorata costantemente. Il 2021 è
stato “il quarto anno più caldo dal 1981, dopo il 2020, 2017
e 2010”. “La temperatura media ha superato quella della
norma per il periodo 1981-2010, fino a circa 0,9°C”, indica
il ministero. Sempre secondo lo stesso rapporto, asettembre
2021 il
Paese del Maghreb ha registrato precipitazioni che oscillano
in media tra 11,5 e 325 millimetri, “che costituiscono un
deficit stimato del 50% a livello nazionale, rispetto alla
media normale delle precipitazioni per questo periodo”.
Inoltre, fino al 18 luglio di quest’anno, la media nazionale
deltasso
di riempimento delle principali dighe del
Paese era solo del 29,2%, un calo di quasi la metà (45,2%)
rispetto allo stesso giorno nel 2021, o addirittura nel 2020
(44,4%) . Il dato si allontana sempre più dal 53,8%
registrato alla stessa data nel 2019.
Il ministro dell’agricoltura marocchino, Mohammed
Sadiki, ha espresso preoccupazione per la siccità,
prevedendo inoltre che il 2022 segnerà potenzialmente “il
peggior raccolto degli ultimi decenni”. I commenti del
ministro fanno eco a quelli del dipartimento
dell’Agricoltura degli Stati Uniti che, secondo quanto
riporta Bloomberg, aveva definito la siccità del Paese del
Maghreb “eccezionale”.
La siccità – “Non ho mai visto una cosa del
genere in più di ottant’anni della mia vita”. Esordisce
Fatima alla domanda se avesse mai avuto esperienza della
siccità che sta colpendo il Marocco nell’ultimo anno.
“L’acqua potabile scarseggia – continua Fatima – alcune
voltemanca
in casa anche per più di 48 ore di fila. Non
possiamo lavarci né cucinare”. “In passato abbiamo
certamente patito la fame, ma mai la sete. Ora a malapena
troviamo da bere. La pioggia non la vediamo da mesi, i
nostri raccolti sono tutti persi” spiega invece Mustafa, un
contadino della zona dei Beni Mellal, al ilfattoquotidiano.it.
Il ministero dell’acqua marocchino conferma infatti che il
periodo dal 2018 al 2022 ha visto “un susseguirsi di anni di
siccità”. La superficie innevata è notevolmente diminuita
nel periodo 2018-2022, essendo scesa da un valore massimo di
45.000 chilometri quadrati nel 2018 a soli 5.000 nel 2022,
un deficit di circa l’89%. Anche il numero di giorni di neve èdiminuito notevolmente,
da 41 nel 2018 a 14 nel 2022, ovvero una diminuzione del 65%
in 4 anni. Di conseguenza, il volume degli afflussi d’acqua
da settembre 2021 ammonta a circa 1,83 miliardi di metri
cubi, che rappresenta un deficit dell’85% rispetto alla
media annua. La situazione allarmante è illustrata in
particolare dal fatto che una delledighe
più grandi del Paese, quella di Sidi Mohamed Ben
Abdellah, a Rabat, ha registrato quest’anno “l’afflusso
d’acqua più basso della sua storia“, ovvero 51
milioni di metri cubi, che rappresentano “un deficit del 93%
rispetto alla sua media annuale”. Ma il ministero rimprovera
che anche l’uso
irrazionale dell’acquasta avendo un
effetto negativo sulla situazione già drammatica che sta
vivendo il Marocco. Secondo il dicastero, dei 258.931 pozzi
acquiferi individuati tra marzo e maggio del 2022, solo
22.519 (l’8,7%) sono autorizzati. Lo sfruttamento non
autorizzato dei pozzi, così come i pompaggi illegali,
sprecano infatti grandi quantità di acqua prima ancora che
venga utilizzata per soddisfare il bisogno di acqua
potabile.
Il cambiamento climatico – Già
nel 2021 il Gruppo
della Banca Mondiale (Wbg)
aveva evidenziato lavulnerabilità delMarocco ai
cambiamenticlimatici nel
suo ultimo rapporto “Climate Risk
Country Profile”. Secondo lo
studio, il cambiamento climatico
ha “già messo sotto pressione le
risorse naturali del Paese,
influendo sulla resilienza del
settore agricolo, in particolare a
causa della scarsità d’acqua”. Il
rapporto del Wbg prevede che le
temperature in tutto il Nord
Africa aumenteranno da 1,5°C a
3,5°C entro il 2050 e
potenzialmente 5°C entro la fine
del secolo. Pertanto, “si prevede
che i tassi di riscaldamento
saranno più rapidi all’interno del
paese”, spiegano gli esperti. Nel
frattempo, le proiezioni della
Banca Mondiale mostrano una
significativa diminuzione delle
precipitazioni annuali in tutto il
Marocco tra il 10% e il 20% e fino
al 30% nella regione del Sahara.
Lo studio richiama l’attenzione
poi sullesfide che
il Paese nordafricano deve
affrontare nelle aree semiaride,
in quanto molte delle comunità che
vivono in queste aree remote del
Marocco sonovulnerabili all’insicurezza
alimentare. Il Marocco ha già
compiuto sforzi per alleviare la
sofferenza rurale, stanziando 200
milioni di dirham (circa 20
milioni di euro) agli agricoltori
colpiti dalla siccità nella
regione di Rehamna a
Marrakech-Safi nel 2020 e avviando
un piano nazionale per l’acqua, da
12 miliardi di euro, che prevede
la costruzione di decine di dighe
in tutto il paese entro il 2027,
ma sembra che gli sforzi del
governo siano ancora
insufficienti. Uno degli effetti
più attuali del cambiamento
climatico è inoltre una maggiorefrequenza
di incendi dovuta
all’aumento delle temperature
estive, con medie costanti (anche
per settimane) superiori ai 45°C.
Dal 13 luglio incendi multipli
hanno distrutto almeno 9.000
ettari di foresta nelle province
di Larache, Ouezzane, Tetouan,
Taza e Chefchaouen, tutte situate
nel nord del Paese. La rapidaprogressione
delle fiamme,
alimentate da raffiche di vento
fino a 45 km/h, ha costretto più
di mille famiglie a evacuare diciassette
villaggi nelle zone bruciate di
Larache, dove persistono tre
grandi focolai. Il 21 luglio la
Direzione generale della
meteorologia (Dmn) del Marocco ha
riportato unanuova
allerta meteo, affermando
che un’ondata di caldo con
temperature comprese tra 44 e 48
gradi colpirà le province di
Agadir Ida Ou Tanane, Inzegane Ait
Melloul, Taroudant, Es-Semara e
Assa-Zag nei prossimi giorni,
allarmando il Paese su eventuali
nuovi incendi distruttivi.Crisi
alimentare e inflazione – Lasiccità e
gli effetti delcambiamentoclimatico stanno
impattando negativamente anche imercati del
Paese, anche alla luce della crisi
alimentare mondiale dovuta alla
guerra in Ucraina. Secondo i dati
condivisi dalla Fao, si stima che
il Marocco registrerà un calo del
68,4% della produzione di grano e
orzo nella stagione agricola
2022-2023, pari a circa 3,3
milioni di tonnellate. Uno degli
effetti più visibili è quello che
riguarda il rialzo
dei prezzi dei generi alimentari,
che ha raggiunto il 9,4% ad
aprile, con un aumento del 5% su
base mensile. Questo aumento dei
prezzi ha avuto un effetto diretto
anche sull’inflazione che, in base
ai dati dell’Alto Commissariato
per la Pianificazione (Hcp) del
Marocco, è aumentata del 6,3% su
base annua nel secondo trimestre
del 2022. Sempre secondo un
sondaggio dell’Hcp, il 79,2% delle
famiglie marocchine afferma che il
tenore di vita è peggiorato negli
ultimi 12 mesi. I risultati
dell’indagine indicano che le
famiglie marocchine sono
complessivamente pessimiste su
ogni indice, con l’86% delle
famiglie intervistate che afferma
di aspettarsi un aumento della
disoccupazione nei prossimi 12
mesi. La Banca Mondiale ha
avvertito che l’aumento
dell’inflazione e
l’impennata dei prezzi di beni non
sovvenzionati come il carburante
causerebbero infatti un aumento
della povertà dell’1,7% nella
regione. La banca ha aggiunto che
“per ogni aumento dell’1% dei
prezzi del cibo nel Nordafrica,
quasi mezzo milione di persone in
più potrebbero vivere in povertà”.
POLITICA
ITALIOTA
PD: UNA MASSA DI INVERTEBRATI
Dal libro dell'ebetino di Firenze (perche'
scrive pure libri.....)
“Dopo che ilMovimento
5 Stelle ha
annunciato che non voterà la fiducia anche ladestra prende
le distanze.Lega eForza
Italia non
vogliono che i ministri grillini rimangano dentro (…). Se
anche la destra non vota la fiducia è tutto finito e si va a
votare”, scrive l’ex segretario delPd,
nelle anticipazioni diffuse dal Corriere
della Sera.
“Se voglio fare qualcosa – prosegue Renzi – devo muovermi.
Avvicino il ministro
Giorgetti in
aula. Ci provo: ‘Giancarlo, sai meglio di me che sarà un
autunno complicato. Se mandiamo a casa Draghi per chiunque
governerà sarà peggio. Anche per voi’. ‘Ho capito ma a
questo punto che si può fare?’. Gli dico: ‘Prova a
convincere il tuo’ indicando (…) Salvini. ‘Se dice davvero
di sì al Draghi bis, io provo a convincere il Pd’. In quel
momento Lega sembrava disposta a far nascere un nuovo
esecutivo guidato
sempre dall’ex presidente della Bce. “Giorgetti sale le
scale, confabula con Salvini per qualche minuto. Poi si
girano.Salvini
mi fa segno con la testa che
lui sulDraghi
bis c’è e
Giorgetti scende le scale a confermarlo. Non è entusiasta,
anzi. (…) Ma il primo step è fatto: la Lega c’è. E se c’è la
Lega, Forza Italia non può che starci”. E’ a quel punto,
sempre secondo il racconto di Renzi, che ilPd
si defila.
A parlare per i dem è il ministro della Cultura: “Fermo
Franceschini, lo vedo scettico: ‘A noi
conviene lasciare che sia la destra aintestarsi
la fine di Draghi.
E a quel punto si va a votare. Noi faremo una campagna
elettorale tutta impostata sul rivendicare
Draghi e
lasceremo cheDi
Maio svuoti i 5 Stelle‘.
‘Ma sei sicuro, Dario? Ci sono due mesi e c’è l’estate nel
mezzo. Questo Paese ha la memoria
di un criceto,
nessuno si ricorda quello che è successo la settimana scorsa
e secondo te qualcuno ti darà (…) il merito di Draghi? Che
poi tanto ti allei con la sinistra che era contro Draghi. E
poi dove pensate che vada Di Maio? Non
sposta nulla. Non ha un voto‘.In
effetti la previsione
di Franceschini era
clamorosamente errata: rivendicare Draghi si è rivelata una
strategia fallimentare perEnrico
Letta,
che infatti ha eliminato quasi totalmente i riferimenti al
vecchio esecutivo nella parte finale della campagna
elettorale, mentre come è noto Impegno
civico,
la lista creata da Di Maio dopo la scissione dal M5s, non è
neanche arrivata al punto percentuale. Eppure, secondo Renzi, Franceschini avevachiuso
la porta a un Draghi bis.
Renzi racconta pure di un incontro con Draghi: “Siamo
entrambi in aula. Gli mando un sms. Ci incrociamo con lo
sguardo. Esco prima io, così che nessuno si accorga di
nulla. (…) ‘Mario, c’è un unico modo per tenere aperta la
partita. (…) Prendi la parola e annunci che vai
a dimetterti senza attendere il voto. E a quel
punto si fanno le consultazioni e la maggioranza delle forze
politiche indica ilDraghi
bis per 10 mesi, da qui a maggio 2023. Ci sarà un
nuovo governo guidato ancora da te con i grillini
all’opposizione”. Ma neanche l’ex presidente del consiglio
sembrava d’accordo su una sua permanenza aPalazzo
Chigi: “Draghi non mi sembra per nulla convinto –
scrive Renzi- Mi sento come quello che vuol convincere gli
altri ma che rimane da solo. (…) Il governo non riceve la
fiducia di Forza
Italia, Lega e 5
Stelle. L’esperienza Draghi è finita. (…) Chi ha
vinto la partita senza giocarla è Giorgia
Meloni“. Il leader d’Italia viva racconta dunque di
avere sempre mantenuto in dialogo personale con la capa di
Fdi: “Alle 21.38 sono in collegamento televisivo con il Tg1
. ‘Ma la smetti di stare in tv? Tanto non ti vota nessuno’
mi scrive la Meloni. ‘Devo prendere il 5% per fare
opposizione al nuovo governo’ le replico scherzoso. Risate
ed emoticon. Poi mi faccio serio: ‘Però è incredibile:
lavorano tutti per te’. Lei ride: ‘Manchi
solo tu‘. Certo! Qualcuno che rimanga a fare una
vera opposizione ci vuole: tocca a noi”.
IL GOVERNO DEI MEDIOCRI
L’unica novità del governo Meloni è Giorgia
Meloni. È la prima premier donna d’Italia, non un
maschio travestito, come insinua chi non ha ancora capito
che la campagna elettorale è finita e ha vinto la destra. Una
bella svolta, anzi una svolta bella: l’unica, però.
La premier è stata abile a destreggiarsi nella gabbia di
matti della coalizione, a dimostrare di non essere
ricattabile da B. (né Giustizia né Mise), a non subire diktat neppure
da Salvini (sennò lui sarebbe all’Interno e Giorgetti non
sarebbe al Mef). Ma nulla ha potuto contro il suo vero
tallone d’Achille, la mancanza di una classe dirigente
all’altezza delle attese dei tanti elettori che l’hanno
votata sperando in ben altro: un governo di forte
cambiamento e discontinuità, guidato dall’unica leader
rimasta sempre all’opposizione nell’ultimo decennio. E se ne
ritrovano uno di manutenzione, in continuità con la
restaurazione avviata da Draghi&C.dopo
il cambiamento dei due governi Conte.
Trovare qualcosa di nuovo e di buono in questa squadra, o squadretta,
è arduo, se si eccettuano un paio di nomi decorosi, come
Schillaci alla Salute. Abituati a giudicare dai fatti,
speriamo di essere smentiti. Ma gli 11 ministri (su 24, più
Meloni) reduci dai governi B. sono un pessimo segnale. Idem per
Salvini, di cui s’ignorava la competenza in Infrastrutture.
E perGiorgetti,
che conquista l’Economia per mancanza di alternative, ma
sarà difficile spacciare per nuovo, visto che sedeva nei
governi B. 2 e 3, ma anche in quelli più duramente
osteggiati da Meloni: Conte 1 e Draghi.
I conflitti di interessi non sono più
quelli macroscopici di B., ma sopravvivono in scala alla
Difesa con Crosetto,
capo della lobby delle armi e consulente di Leonardo, al
Lavoro con Calderone e
al Turismo conSantanchè.
Il guardasigilli Nordio,
pur non indicato da B., la pensa come lui, ed è
un’aggravante. Un velo pietoso su Casellati alle
Riforme (si spera che anche lì non cavi un ragno dal buco),Locatelli persecutrice
di mendicanti alla Disabilità,il
prescritto Fitto al
Pnrre
la sanfedista Roccella alla “Famiglia, Natalità e Pari
opportunità”: il ministero dei cavoli a merenda, così
ribattezzato con un maquillage che
cambia i nomi per non cambiare le facce.
Dopo i Migliori, che lasciano l’eredità peggiore, arrivano i
Mediocri, tutti allineati all’establishment,
che ora si spera ci risparmi almeno il mantra sul
populismo e il sovranismo, ufficialmente estinti. È il
prezzo altissimo pagato da Meloni per farsi accettare dai
poteri che comandano in Italia: quelli stranieri. Altrimenti
mai avrebbe giurato, già alla vigilia, fedeltà cieca e
assoluta a Usa, Nato e Ucraina,
cioè all’ottuso bellicismo draghiano, in tandem colneoministro
degli Esteri Tajani. Il
famoso sovranismo a sovranità limitata.
Acceso scambio di vedute tra Ignazio
La Russa eSilvio
Berlusconi in
Senato. Berlusconi appare molto irritato, batte i pugni sul
tavolo e dopo aver parlato con l’esponente di Fratelli
d’Italia (poi eletto alla presidenza del Senato), gli
rivolge un vistoso “Vaffanculo“.
Il tutto accade poco dopo l’appello di Liliana
Segre a
moderare i toni e ad evitare l’imbarbarimento del confronto
politico.
Un doveroso omaggio ai veri esperti e professionisti della
politica, che avevano previsto tutto perché non ne sbagliano
mai una.
Il CONTE MORTO. “Cinquestelle sotto il 10%, anche
il Sud boccia Conte” (Messaggero,
14.6).
“Perché Letta e Di Maio escluderanno Conte. Come è ormai
evidente, la parabola politica di Giuseppe Conte è vicina a
concludersi… Letta ha bisogno dei 5Stelle… ma devono essere
5S “de-contizzati”, ossia che si sono liberati della guida
dell’ex premier, relegandolo ai confini dello schieramento o
fuori… La frenesia anti-governativa di Conte rende i 5S
marginali e inservibili” (Stefano Folli, Repubblica,
17.5).
“I disastri di Giuseppe Conte. L’irresistibile discesa del
leader mai nato nel M5S” (Domani,
28.5).
“Meglio Fico e Di Maio che Conte per i 5Stelle” (Domani,
30.5).
“I 5Stelle pensano all’addio a Conte dopo il nostro
editoriale” (Domani,
31.5).
“Da un anno Conte tenta di diventare un leader, e ancora non
ha imparato a cosa va incontro chi prova a fare un mestiere
che non è il suo” (Sebastiano Messina, Rep,
31.5).
Ora è certo: Conte non esiste” (Piero Sansonetti, Riformista,
15.6).
“Conte e il M5S sparito” (Rep,
15.6).
“Di Maio se ne va, a Conte restano 4 stelle. Per il tacchino
M5S è arrivato Natale” (Alessandro Sallusti, Libero,
17.6).
Un partito di Di Maio? Per i sondaggisti sarebbe il colpo
mortale ai 5Stelle” (Messaggero,
18.6).
“Il romanzesco tramonto del M5S” (Messina, Rep,
18.6).
Un conflitto che certifica il tramonto populista” (Massimo
Franco, Corriere,
18.6).
“Antonio Noto, sondaggista: ‘Se andasse via Di Maio sarebbe
la fine del M5S’” (Libero,
20.6).
“Il Movimento è finito” (Massimo Cacciari, Dubbio,
22.6).
“Il funerale del grillismo” (Giornale,
22.6).
“Polvere di 5Stelle” (Repubblica,
22.6).
“M5S, il senso di una fine” (Antonio Polito, Corriere,
22.6).
La solitudine del Fondatore davanti all’abisso del
fallimento” (Messina, Rep,
23.6).
“5S, fallimento senza gloria” (Francesco Merlo, Rep,
23.6).
“Quei leader meteora che spariscono nel nulla. Giuseppi teme
di finire come Dini, Monti&C.” (Giornale,
23.6).
“Il M5S di Conte diventa una bad company” (Massimiliano
Panarari, Stampa,
23.6).
“Più premier che leader: il lungo declino di Conte” (Piero
Ignazi, Domani,
24.6).
“Di Maio è furbo e Conte un pirla” (Gianluigi Paragone, Verità,
24.6).
Il M5S è finito” (Piero Ignazi, Riformista,
24.6). “Il M5S di Conte non arriva al voto” (Vincenzo
Spadafora, Messaggero,
25.6).
“Caro Grillo, sciogli questa banda di paraculi” (Marcello
Veneziani, Verità,
26.6).
“Dai che ci liberiamo della piaga grillina”, “Ormai è
finita, Beppe scrive il necrologio del Movimento” (Libero,
29.6).
“Il prezzo della fine grillina” (Cappellini, Rep,
1.7).
Sansonetti: ‘Pronto chi parla? Nessuno. Era Conte’” (Libero,
3.7). “La crisi del partito mai nato. Conte non controlla
più il M5S. Tutti guardano a Crippa e D’Incà” (Domani,
19.7).
“L’isolamento dell’avvocato stretto dal duo Raggi-Dibba” (Messaggero,
19.7).
“Giarrusso rivela: Conte non ha alcun potere, è la Taverna
che comanda” (Libero,
19.7).
“Il capolavoro del M5S: fa la crisi e ci finisce secco” (Libero,
21.7).
Il M5S scompare, resta solo Di Battista” (Domani,
21.7).
“Lo zigzag di Conte, l’eterno indecisionista ridotto
all’irrilevanza. Ora si ritrova verso le elezioni alla guida
di un’Armata Brancaleone” (Sebastiano Messina, Rep,
21.7).
“È davvero l’ora (per il Pd) di mollare questi disperati
5Stelle” (Merlo, Rep,
22.7).
“Gli ‘affossatori’ (di Draghi, ndr)
M5S: pochi seggi e sondaggi impietosi” (Corriere,
23.7).
“Conte crolla nei sondaggi” (Rep,
24.7).
Conte giù nei sondaggi attacca Draghi” (Rep,
24.7).
“Conte pagherà il prezzo più alto per la caduta di Draghi. È
uscito completamente stritolato dal braccio di ferro con il
premier” (Ernesto Galli della Loggia, Corriere,
1.8).
“Il brand grillino non tira più” (Federico Pizzarotti, Rep,
2.8).
“Conte è stato l’unico beneficiato dalla pandemia,
altrimenti mai sarebbe finito a Palazzo Chigi. Fra un po’
inizierà a vendere i filmini di quando andava al G8, come le
dive sul viale del tramonto. Propongo da anni una specie di
San Patrignano per i celebro-lesi caduti”
(Roberto D’Agostino, Stampa,
9.8).
Raggi, idea di scalare il partito con Dibba” (Rep,
9.8).
“Conte come un nobile decaduto cerca un ruolo” (Corriere,
11.8).
“Grillo commissaria Giuseppi su simbolo e nomi. L’Elevato ha
un ‘vaffa’ autunnale pronto. In caso di flop elettorale, si
libererà dell’avvocato” (Giornale,
15.8).
“La scelta di rompere con i 5S… può essere sanata solo se il
Pd avrà un buon risultato unito a un disastro dei
‘contiani’… Fino al 25 settembre Conte è un avversario a cui
vanno sottratti gli elettori con argomenti convincenti. Più
il bottino elettorale dei 5S sarà magro, più il Pd avrà modo
di tirare i fili dell’opposizione. O di manovrare nei
palazzi se ne avrà il destro” (Stefano Folli, Rep,
23.8).
I guai grillini. Così Conte ha sfasciato tutto: governo,
M5S, campo largo” (Giornale,
24.8). “Per Conte l’asticella è il 10%. Raggi è pronta a
sfilargli il Movimento” (Messaggero,
24.8).
“Conte è un paternalista da Regno delle Due Sicilie” (Sofia
Ventura, Rep,
1.9).
“In 4 anni quel professore con il curriculum quasi vero ha
dimostrato che la sua identità consiste nel non avere
identità: si adegua ed esibisce quella che, di volta in
volta, gli commissionano… Come Arlecchino, ha due padroni:
Grillo e Bettini. È la sinistra dove è vero anche il
contrario” (Merlo, Rep,
3.9).
“Orfini: ‘Di sinistra? Macché, i 5S non vinceranno da
nessuna parte’” (Rep,
3.9).
“Voto a Conte: 3” (Francesco Bei sul suo discorso al Forum
di Cernobbio, Rep,
5.9).
Conte è un progressista della domenica” (Enrico Letta,
10.9).
“I sondaggi sono profezie che quasi mai si avverano. Dubiti
dunque di questa resurrezione di Conte. Nessun dubbio invece
su di lui, su Conte: ha sempre mentito” (Merlo, Rep,
13.9).
“Ha il talento di dire una cosa che vale l’altra e non
pensarne nessuna” (Mattia Feltri, Stampa,
13.9).
“Movimento 5Xylelle” (Foglio,
14.9).
Conte ha tradito, il M5S non esiste più” (Di Maio, 20.9).
“Mezzo uomo, parla un linguaggio mafioso. Se sarò aggredito,
il mandante morale è lui” (Matteo Renzi, 17.9).
“Ha un’aggressività di stampo peronista” (Antonio Polito, Corriere,
20.9).
“Forse oggi Conte caccerà Scarpinato” (Riformista,
23.9).
“Conte non lo voteranno i poveri, ma i poveracci, i ‘neet’,
i nullafacenti, gli assistiti professionisti, le zecche, i
parassiti, gli scarafaggi, i moscerini: che poi sono la
dieta del camaleonte” (Filippo Facci, Libero,
24.9).
LETTA CONTINUA. “Io in questo momento ho gli occhi
di tigre, non ho nessuna intenzione di perdere le elezioni”
(Enrico Letta, 21.7).
“Questa neonata grande coalizione (Pd-Calenda, ndr)
è un altro passo, forse quello definitivo, della Bad
Godesberg di Enrico Letta, della scelta definitivamente
occidentale ed europea che la sinistra italiana insegue da
50 anni… Solo adesso, nell’estate del 2022, e proprio nelle
elezioni più importanti dopo quelle del 1948, la sinistra
umiliata, dimessa e bastonata ha rialzato la testa… Non è
un’esagerazione: l’agenda Draghi è stata il lampo di Paul
Klee sulla politica che produce somiglianze ed è oggi
l’abracadabra della nuova coalizione del centrosinistra…
Enrico Letta è il papa che dell’altro ‘dolce Enrico’ sta
completando il lavoro… con l’ironia del front
runner e degli occhi di tigre… Molto più di un accordo
elettorale… questa neonata grande coalizione il 25 settembre
contenderà il governo del Paese a Meloni” (Francesco Merlo,Rep,
3.8).
Ora scateniamo la campagna Pd. Quando vedo i sondaggi sono
preoccupato fino a un certo punto: abbiamo il ruolo di
partito guida, a differenza degli altri” (Letta, Stampa,
8.7).
“Ogni voto a Conte va alla destra” (Letta, Corriere,
10.8).
“Il M5S è sempre più la Lega del Sud. Per noi la loro
crescita è positiva: rende contendibili parecchi collegi nel
Mezzogiorno” (Letta, Rep,
22.9).
“Bobo è contento per il Pd guarito dal virus dei grillini
che ha fatto ammalare la sinistra. Potevamo accorgercene
molto prima, l’importante è esserci arrivati. Letta tiene
insieme i cocci” (Sergio Staino, Stampa,
7.8).
“Letta rivede la rotta: ‘Ora io contro FdI, il Pd punta al
30%. Noi primo partito” (Rep,
9.8).
“Il duello tra Meloni e Letta, sintesi personalizzata dello
scontro bipolare” (Folli, Rep,
12.8).
“Saremo il primo partito” (Letta, 17.8).
“Meloni ha lo svantaggio del sopravvalutato e Letta il
vantaggio del sottovalutato” (Merlo, Rep,
24.8).
Questa scelta ‘O noi o loro’ è fondamentale per far capire
la posta in gioco” (Letta, 26.8).
“Pancetta o guanciale? E Letta cavalca la parodia della sua
campagna social” (Filippo Ceccarelli, Rep,
27.8). “Enrico e la parodia social-carbonara per tornare al
centro della scena” (Panarari, Stampa,
27.8).
“Letta e la sfida del Nord: dai giovani agli indecisi, la
rimonta parte da qui’” (Stampa,
2.9).
“E Letta è pronto a schierare anche Sala: ‘In prima linea
per la sfida del Nord’” (Messaggero,
3.9).
La Sicilia è contendibile. Letta: ‘Il vantaggio di Schifani
si è ridotto a 6 punti’” (Rep,
6.9).
“Dossier Pd: la strategia della rimonta” (Stampa,
7.9).
“La battaglia decisiva è su 62 seggi. I dem ora credono
nella rimonta” (Rep,
7.9).
“Letta punta sul voto utile: ‘Per il pareggio basta il 4%’”
(Messaggero,
7.9).
“Letta convince le imprese” (Rep,
10.9).
“La scommessa di Letta sul Sud: partita aperta in decine di
seggi” (Corriere,
12.9).
Il vento è cambiato, la rimonta è possibile” (Dario
Franceschini, Rep,
14.9).
“La notizia buona, per Letta, è che più si avvicina il voto
più si rafforza il senso della sfida a due tra lui e Giorgia
Meloni: difficile che non abbia effetti positivi su entrambe
le liste” (Cappellini, Rep,
14.9).
“Letta vede la rimonta” (Stampa,
15.9).
“Lunga vita a Enrico Letta… finché c’è Letta c’è speranza”
(Merlo, Rep,
17.9).
“Il tracollo di Salvini cambierà le elezioni e Berlusconi a
Nord viene eroso da Calenda” (Letta, 17.9).
Vinciamo noi’: il mantra di Letta” (Foglio,
19.9).
“Bari, la sinistra si sente Forrest Gump e cerca il
colpaccio” (Rep,
20.9).
“L’orgoglio del Pd. Letta: ‘E ora la rimonta’” (Rep,
24.9).
“Anche se perdo resto segretario” (Letta, Rep,
23.9).
IL TERZO PELO. “C’è un’area al centro, con
percentuali forse non irrilevanti, che può offrire al Pd una
sponda meno inaffidabile di Conte” (Folli,Rep,
22.7).
“Un Centro europeo per il dopo-Draghi” (Cacciari, Stampa,
23.7).
“Abbiamo tolto a FI la sua parte migliore, Gelmini e
Carfagna. Possiamo ripetere il 19% di Roma e battere il
sovranismo” (Calenda, Corriere,
1.8).
“Calenda: da soli per frenare la destra. Portiamo via voti a
FI e al Senato può uscire fuori un pareggio” (Messaggero,
2.8).
“Pd-Azione, obiettivo 37% per pareggiare al Senato” (Messaggero,
3.8). “È nato un nuovo bipolarismo. Noi abbiamo messo al
centro metodo e agenda Draghi” (Mariastella Gelmini, Corriere,
3.8).
“L’accordo Letta-Calenda riequilibra in parte una gara
sbilanciata a favore del centrodestra” (Antonio Polito, Corriere,
3.8). Calenda somiglia un po’ a un Ulivo senza Prodi”
(Folli, Rep,
3.8).
“Calenda aspira all’eredità dei papi laici o forse luterani,
Ugo La Malfa, Bruno Visentini, Giovanni Spadolini, la buona
amministrazione, il rigore dei conti e il cattivo carattere
che è stato una grande risorsa italiana, una specie di
lievito del progresso” (Merlo, Rep,
3.8).
“Se per il centrosinistra c’è una strada, non può che
passare da qui” (Annalisa Cuzzocrea, Stampa,
3.8).
ccordo Pd-Azione: il centrosinistra ha evitato il suicidio”,
“Il trionfo delle destre non è più così scontato” (Domani,
3.8).
“Da soli noi di Iv possiamo superare il 5%” (Maria Elena
Boschi, Messaggero,
4.8).
“Il M5S ha il 10 per cento” (Calenda, Corriere,
8.8).
“Il terzo polo smuove le acque” (Stefano Folli, Rep,
9.8). “Io e Carlo insieme possiamo fare il botto” (Renzi, Stampa,
10.8).
“Sarò io a sottrarre voti a Meloni, prenderò consensi in
uscita dal centrodestra, posso mandare FI sotto il 3%” (Calenda, Rep,
9.8).
Azione come il Sassuolo: una sorpresa. Col 10% freniamo la
destra al Senato” (Matteo Richetti, Messaggero,
13.8).
“Terzo Polo argine anti-destra. Maggioranza Ursula con
larghe intese che chiedano a Draghi di rimanere” (Calenda, Stampa,
10.8).
“Il Terzo Polo può ambire almeno al 10%, toglieremo voti al
centrodestra. Io candidato? Non so ancora dove” (Federico
Pizzarotti, che non sarà candidato da nessuna parte, Messaggero,
12.8).
“Siamo noi gli eredi politici di Draghi, ruberemo voti a
tutti. Possiamo raggiungere la doppia cifra” (Gelmini, Rep,
12.8).
Dopo il voto il terzo polo sarà decisivo. Pronti al dialogo
con tutti” (Renzi, Messaggero,
25.8).
“Calenda è la prova che il Centro esiste, la stagione di
Berlusconi è finita, il machismo dei populisti non digerirà
una donna premier” (Elsa Fornero, Stampa,
31.8).
“Debutta la coppia Calenda-Renzi: ‘Noi al 10% e Draghi può
tornare. Gelmini: ‘Saremo la sorpresa del voto’” (Corriere,
3.9).
“Servirà un nuovo governo Draghi isolando le estremità di
FdI e 5Stelle” (Calenda, Corriere,
21.8).
“No accordi col Pd, sì a un governo di unità nazionale,
anche con FdI” (Calenda, 5.9 mattina). “La linea non cambia,
stop a populisti e sovranisti” (Calenda, 5.9 sera).
“Il terzo polo supererà FI” (Boschi, Messaggero,
16.9).
“Draghi ha detto stop? Non poteva fare altrimenti, Ma dopo
il 25 tutti capiranno che serve l’unità nazionale” (Calenda, Corriere,
17.9).
“Calenda: ‘Puntiamo al 13%’” (Messaggero,
20.9).
“Prenderemo più voti della Lega. E la Meloni non governerà
mai” (Calenda, Foglio,
21.9).
“Calenda e Renzi ci credono: ‘Nel 2024 noi primo partito’” (Messaggero,
24.9).
“Calenda: ‘Giorgia, sei pronta? Pure io, ma è meglio Draghi’”
(Rep,
24.9).
“Profilo basso e campagna in sordina. La strategia di Renzi
per il ‘dopodomani’. L’ex premier studia una svolta ‘alla
Pirlo’: arretrare la posizione per contare di più” (Corriere,
29.8).
“La nostra missione è cancellare i 5Stelle” (Calenda, 1.9).
Vasto
programma.
DAL CROLLO DI DRAGHI ALLE ELEZIONI AL 25 SETTEMBRE:
CENTRODESTRA
"....che un intero Paese si metta con cieca
fiducia nelle mani di ottantenni sfidando le leggi della
natura, prima ancora che della Costituzione, mi lascia
sgomento. Ancora di più, visto il curriculum, affidarsi a
Draghi. A partire dall’acquisto dei derivati di Morgan
Stanley, che pesano ancora oggi sui conti pubblici per
miliardi, alle privatizzazioni selvagge, come Autostrade e
Telecom. Poi l’autorizzazione all’acquisto di Antonveneta
data a Montepaschi come governatore di Bankitalia. Il
capolavoro della lettera con i compitini assegnati al
governo Berlusconi e attuate da Monti e che, secondo quanto
contenuto nel Pnrr del governo Gentiloni, ci è costata 300
miliardi di euro di Pil solo dal 2012 al 2015. Per carità di
patria non parlo della Grecia e dell’uso che fece della Bce.
Oggi, da sostituto di Conte, appoggia un piano di sanzioni
che sembra fatto più per penalizzare l’Italia che la Russia
con la richiesta di tetto al prezzo del gas snobbata da
tutti: non bisogna essere esperti in materia per capire
quanto sia ridicola.Sta provocando il fallimento di imprese
edilizie che hanno l’unica colpa di aver creduto nello
Stato, che in 6 mesi ha varato 16 norme diverse, e poi le
gaffe come “Erdogan dittatore”. Daje e daje lo spread va
alle stelle, oltre 200. Credo che la buona immagine di
Draghi derivi solo dalla narrazione omissiva fatta dai media
dei salotti buoni e dal loro braccio politico: il Pd.
Nessuna democrazia liberale può reggere a lungo a tutto
questo.....", parole scrittte da Pietro Francesco Maria De
Sarlo, sostenitore del Fatto Quotidiano, che io approvo
totalmente sperando che Conte esca da questa escrescenza di
governo prima della chiusura estiva del Parlamento,
quantomeno per rendere un pochino amare le "vacanzine" dei
"nostri" "signori" parlamentari
Il decreto Aiuti è in mano a una bella galleria di
incoscienti
“C’è del metodo in questa pazzia” dice Polonio riferendosi
ad Amleto. Come nell’omonima pièce di
William Shakespeare, anche il manicomio della politica
italiana – a ben guardare – è attraversato da un filo di
logica che ne spiega (al limite, giustifica) le ricorrenti
mattane.
Scrivo queste note la sera prima degli esami del decreto
Aiuti e della possibile implosione
del governo; senza possedere sfere di cristallo di
sorta. Non per questo mi sfugge la follia, dagli evidenti
esiti provocatori, di inserire nel cruciale provvedimento,
in discussione il 14 luglio, il corpo estraneo
rappresentato dall’inceneritore
romano. Così come la costante ostentazione di un
vassallaggio psicologico al limite del servilismo nei
confronti di Nato e ambienti guerrafondai anglo-americani
riduce al ruolo di lacchè dello straniero presunti
rappresentanti del popolo italiano, quali il primo ministro Mario
Draghi e il titolare della FarnesinaLuigi
Di Maio.Che
dire delle materie ambientali e della riconversione
energetica affidate alle cure irridenti del pifferaio
magico Roberto
Cingolani, che se nestrafrega
dell’emergenza climatica e
dei morti per il crollo dei ghiacciai, visto che quanto
risulta interessargli – come da lunga biografia di
impresario dei finanziamenti all’accaparramento gabellato
per scientifico – è soltanto la benevolenza di quanti dalla
congiuntura di crisi intendonoricavarci
i dollaroni.
Senza dimenticare la gestione temeraria delle relazioni
industriali da parte del ministro preposto Andrea Orlando,
intento a baloccarsi con le questioni salariali e
occupazionali di sua competenza, mentre l’insofferenza dei
nostri lavoratori per gli ingiusti taglieggiamenti subiti e
le promesse migliorative mai
attuate sta
trascinandoli innanzi a un bivio:disperazione oribellione.
E parliamo non di nicchie disagiate, bensì di una componente
rilevante della società nazionale. Con le facilmente
prevedibili conseguenze in quanto a tenuta della coesione
sociale – per non dire di
ordine pubblico –
che l’espressione imbambolata in permanenza del politico in
carriera sembra non tenere minimamente in considerazione.
Dunque, una bella galleria di incoscienti, che al proprio particulare sacrificano
qualunque priorità, a partire dall’interesse generale per
arrivare alladignità.
Ma che razza di pensieri albergano in quelle loro testoline?
Prendiamo l’ultimo caso citato, l’Orlando stordito: il
ragazzotto cresciuto insieme alla quasi coetanea Raffaella
Paita (1969 contro 1974) nella Fgci (la federazione dei
giovani comunisti) de La Spezia, la città più litigiosamente
politicante d’Italia. Così i due personaggetti hanno
iniziato una scalata partendo dai polverosi corridoi in
penombra di partito, apprendendo un’idea di politica come pura
tecnologia del potere. La stessa convinzione che
accomuna tutti gli altri folli succitati, il cui distacco
dalla realtà assume due aspetti: il carrierismo e la
passione per i ricchi; di converso, l’insofferenza nei
confronti dei meno abbienti. Quelli che Matteo Renzi
definiva “gli
sfigati” e François Hollande“gli
sdentati”.Tutti
figli – questi e quelli – di un unico fenomeno sociale:
l’arrivo ai vertici della società di una pletora di parvenu,
interessati esclusivamente alla
propria ascesa personale.
In larga misura allevati alle teorie della cosiddetta Terza
Via, promossa negli anni Novanta da Tony Blair, Bill Clinton
e Gerard Schröder; gente che si faceva strada incassando il
consenso tradizionale del popolo di sinistra e promuovendo
politiche di destra. Il motivo per cui ora i giovani e i
ceti in difficoltà non si fidano più di questa sinistra: il
garden club del Terzo Millennio.
Il circolo dei privilegiati, composto da politicanti
e affaristi, a cui sbavano di appartenere anche
consistenti fette di giornalismo, anch’esso in carriera e
sempre pronto a offrire i propri servizi per acquisire
benemerenze. In questo momento cercando di sferrare il colpo
finale al tentativo di Giuseppe
Conte per salvare il salvabile del lascito
Cinquestelle; in quanto realtà incasinata ma estranea alle
frequentazioni compromettenti. Dalle “puntuali” accuse al
candido fazzoletto a tre punte da taschino di Giuseppi,
scambiato per una vaporosa “pochette” multicolore (nevvero,
Max Panarari?) alla rimozione del ruolo svolto
nell’assegnazione all’Italia delRecovery (da
Mariolina Sattanino in giù).
In effetti Conte bersaglio di invettive è la cartina di
tornasole della collusione, a mio avviso abbastanza
mafiosetta, tra carrieristi a oltranza. Il motivo della mia
simpatia nei confronti dell’ex premier, pur riconoscendone i
limiti di carattere e di determinazione politica. Insomma,
un bravo riformista moroteo di provincia, inviso alla canea
di privilegiati posizionali che nelle loro ansia
accaparrativa porteranno popolo e Paese allo
stremo; a partire dall’indifferenza nei confronti
di esclusioni
e disuguaglianze. Che necessiterebbero “Aiuti”.
L'IMPERO DEGLI UOMINI MERDA: DOPO AVER DISINTEGRATO IL
MOVIMENTO LIQUIDO FONDATO DA CASALEGGIO-GRILLO CON UN "BORBONISMO"
DA POLTRONA, DI MAIO, IL RAGIONIERE COL TERNO AL LOTTO DEL
SUCCESSO DEL FU MOVIMENTO 5 SBERLE, SI STACCA DALLA SUA
FORTUNA PER FONDARE UNA SUA PSEUDO-CREATURA PER CONCLUDERE
LA LEGISLATURA ED INCASSARE IL BONUS A VITA...
M5s, la scissione di Di Maio: “Oltre 60 parlamentari nel
nuovo gruppo”. C’è già il nome: “Insieme per il futuro”. Di
Battista: “Il futuro? Il suo”.Annunciata
dai giornali, auspicata (da una parte e dell’altra) e mai
veramente portata fino in fondo, alla fine è successa: Luigi
Di Maio ha
messo in atto la scissione dalMovimento
5 stelle. Proprio
quandoMario
Draghi stava per iniziare il suo discorso davanti
al Senato,
le agenzie di stampa hanno iniziato a battere la notizia
che più
di 50 parlamentari hanno
firmato per seguire il ministro degli Esteri nella sua nuova
formazione politica. Era già pronto anche il nome, “Insieme
per il futuro”,
e la prima lista di nomi. Il primo a commentare è stato l’ex
deputato e (per ora) ex esponente 5 stelle Alessandro
Di Battista.
E, seppur dicendo di non voler parlare della “nuova
scissione”, ha ricordato il perché lui se ne è andato: “Un
Movimento”, ha scritto su Facebook, “nato per non governare
con nessuno ha
il diritto di evolversi e governare con
qualcuno per portare a casa risultati. Non ha alcun diritto
di governare con tutti per portare a casa comode poltrone.Si
chiama ignobile tradimento“. Un
messaggio molto chiaro per l’ex collega,
al quale poco prima si era rivolto provocatoriamente anche
su Instagram: “Insieme
per il futuro? Il futuro di Di Maio”,
ha scritto. In mattinata era tornato a parlare sul blog
anche Beppe
Grillo:
“Chi non crede più nelle regole parli”, ha scritto. Neanche
tre ore dopo, l’ex capo politico, quello che nel 2018
guidava il Movimento al 33%, dava il via alla sua operazione
per spaccare definitivamente con il passato.
Gli impatti sull’esecutivo –
Quali effetti avrà l’operazione sull’esecutivo? Per ora, non
molti. Di Maio ha informato Draghi, che ha rinnovato la sua
fiducia e in serata è andato alQuirinale,
poco prima della conferenza stampa, per informare Mattarella.
Intanto i 5 stelle si sono affrettati a smentire le
indiscrezioni di Bloomberg: “Il M5s smentisce
categoricamente una sua uscita dal governo”, si legge.
Quindi hanno rivendicato l’impegno a lavorare con la
maggioranza: “Oggi il M5s ha lavorato sino all’ultimo
minuto, nell’interesse di tutti i cittadini, per ottenere
nella risoluzione votata dal Parlamento un chiaro
riferimento alla necessità di perseguire un’escalation
diplomatica, non militare e un più ampio coinvolgimento del
Parlamento in ordine agli indirizzi che verranno decisi nei
più rilevanti summit internazionali sul conflitto ucraino.
Il costante impegno che abbiamo dedicato a elaborare la
risoluzione è la smentita più forte alle voci di una nostra
uscita dal governo, che in queste ore sta malevolmente
circolando”.
I nomi di chi segue Di Maio – Al momento si
tratta di nomi da confermare. Ma insieme alle indiscrezioni
dello strappo, ha iniziato a circolare anche la
listadi chi ha deciso di seguire
l’ormai ex leader M5s. I numeri sono cambiati più volte nel
corso del pomeriggio, ma partendo dal fatto che alla Camera
servono almeno 20
deputati per far nascere un nuovo gruppo e alSenato ne
bastano 10, Di Maio può contare sul sostegno minimo per
continuare a giustificare la sua permanenza all’esecutivo. A
Palazzo Madama sono11 i
nomi di chi sta con lui: sicuramentePrimo
Di Nicola, senatore al primo mandato e che in
questi giorni si è più volte esposto in sua difesa, e Simona
Nocerino, la senatrice (anche lei al primo giro)
che avrebbe dovuto sostituire Petrocelli alla commissione
Esteri e fu silurata dai suoi stessi colleghi. Poi i
senatori (tutti eletti nel 2018) Fabrizio
Trentacoste, Antonella Campagna, Vincenzo Presutto,
Francesco Castiello, Gianmarco Corbetta, Pietro Lorefice,
Sergio Vaccaroe Daniela
Donno (già eletta anche nel 2013). Ha detto che
lascia il M5s, ma per ora non aderisce al progetto di Di
Maio, il senatoreEmiliano
Fenu. Alla Camera sono almeno 24:
ci sono i fedelissimi al secondo mandato come Gianluca
Vacca, Sergio Battelli, Daniele Del Grosso, Carla Ruocco e
il questore della CameraFrancesco
D’Uva. Ma anche la viceministra all’Economia Laura
Castelli e il sottosegretario agli Esteri Manlio
Di Stefano(entrambi al secondo giro).
E naturalmente Vincenzo
Spadafora(al primo mandato). Si parla
anche dell’adesione del viceministro della Salute Pierpaolo
Sileri. Poi Alberto Manca, Caterina Licatini, Luigi
Iovino, Andrea Caso, Davide Serritella, Paola Deiana, Filippo
Gallinella, Elisabetta Barbuto, Iolanda Di Stasio,
Sabrina De Carlo, Alessandro Amitrano, Elisa
Tripodi, Nicola Grimaldi,Dalila
Nesci, Simone Valente, Andrea Giarrizzo. Il
Movimento 5 stelle finora poteva contare su155
deputati e 72 senatori. Dopo la fuoriuscita dei
dimaiani, i numeri saranno ridimensionati: “Puntiamo a 60
iscritti”, dicono alcuni vicini al ministro degli Esteri.
“Insieme per il futuro” – Ma
cosa vuole fare Di Maio? Per il momento le intenzioni delministro
degli Esteri restano
confuse. I piani di rottura sono accelerati nelle ultime
ore: tutto è iniziato con la rottura pubblica della scorsa
settimana e poi si è passati alloscontro
sulla bozza di risoluzione che
chiedeva lo stop all’invio delle armi in Ucraina. Di Maio è
arrivato sabato scorso ad accusare alcuni colleghi M5s di
“disallineare l’Italia da Nato e Ue”. Un’accusa che ha
provocato un terremoto e portato alla diffida ufficiale di
ieri del Consiglio
nazionale M5s.
E soprattutto alla dura condanna anche di una voce
solitamente molto prudente nel Movimento come Roberto
Fico,
che ha invece definito “stupidaggini” le
parole di Di Maio e poi si è detto “deluso e arrabbiato”. E’
stato uno dei tanti punti di non ritorno delle scorse ore.
Ma adesso Di Maio cosa vuole fare? Già stasera il ministro
degli Esteri dovrebbe radunare i nuovi gruppi. Dicono alcuni
dei suoi più vicini, che l’obiettivo non sarebbe quello di
fare un “partito personale”, anche perché difficile basarsi
sui suoi consensi che sono indissolubilmente legati al
Movimento. Piuttosto Di Maio guarderebbe al2023,
a una formazione che “parta dai territori, dalle esperienze
degli amministratori locali e delle liste civiche”, dicono.
Per questo il primo cittadino di Milano, Beppe
Sala,
è considerato un interlocutore. E per questo lo stesso
sindaco ha avuto contatti diretti con Di Maio negli ultimi
mesi. Interlocutori sono pure tutti gli altri che guardano
al centro. L’obiettivo, in Parlamento, è quello di attrarre
anche deputati e senatori dei gruppi di centrodestra ma in
rotta con le forze di appartenenza. “I valori fondanti del
M5s restano e ce li portiamo con noi”, hanno assicurato. Ma
le cose possono ancora cambiare decine di volte.
La causa scatenante: la politica estera, Draghi, Grillo o il
doppio mandato?– Come si è arrivati alla
rottura lo abbiamo visto tutti, ma ancora resta da chiarire
quali sono state le vere cause scatenanti. I dimaiani
ribadiscono che tutto si è giocato sulle questioni di
politica estera: “Troppe
fibrillazioni“, dicono a ilfattoquotidiano.it,
“troppe minacce senza mai arrivare a niente. Sul nostro
posizionamento in questa guerra non si possono fare
battaglie politiche”. Il casus belli è stato quello
sicuramente, ma da
solo non poteva bastareper far
crollare tutto. Un elemento da non trascurare è anche quello
che più volte viene rinfacciato a Luigi
Di Maio: il ministro degli Esteri è al secondo
mandato in Parlamento e a breve gli iscritti dovranno votare
per decidere cosa vogliono fare di quello che è il principio
fondante del Movimento. Di Maio nega che sia quello il punto
della questione, ma è un fatto che restando dentro il M5s la
sua carriera politica aveva una data di scadenzae
ora no. Inutile dire che le prese di posizione, molto
chiare, degli ultimi giorni, di Grillo sul tema hanno avuto
un’influenza: il fondatore del Movimento non ne vuole sapere
di derogare a quello che è l’ultimo (unico) principio
davvero intoccabile del suo progetto politico. Poi c’è stato
sicuramente il
fattore Draghi: mancano le conferme ufficiali, ma
per il presidente del Consiglio governare con un’opposizione
(quella M5s) che contesta le sue scarse comunicazioni al
Parlamento e alcune delle strategie di politica estera, era
ed è un problema da risolvere. Non è escluso che nelle
ultime ore abbia osservato (se non incoraggiato) le mosse di
Di Maio. Infine a scatenare lo strappo ci sono stati
sicuramente i
pessimi rapporti tra Di Maio e Conte: negli
ambienti M5s non si esita a parlare di “odio
politico” ed è quello che di fatto si è scatenato
più o meno pubblicamente. La verità è che la scissione
arriva dopo mesi (anni) di faide interne e strategie per
costruire quella che di fatto si è dimostrata la sua
corrente di potere. L’obiettivo è sempre stato quello di
costruire il suo percorso personale che resistesse alla fine
dei suoi due mandati nel Movimento. Ora, senza simbolo e
senza Beppe Grillo, si completa la sua metamorfosi senza 5
stelle.
Ci aspetta una tempesta economica perfetta. Come negli anni
70, ma senza soldi da stampare
Neppure se l’avessero fatto apposta gli europei sarebbero
riusciti a creare una
tempesta economica e finanziariaperfetta come
quella attuale. Dopo decenni di crescita e di innovazione
tecnologica siamo ripiombati neglianni
Settanta: inflazione galoppante, guerra in alcuni
paesi produttori di materie prime strategiche, caduta dei
salari reali, rallentamento della crescita economica,
aumento dei tassi d’interesse e tumulto a piazza affari.
Mancano solo le Brigate Rosse, l’Ira, l’Eta e la leva
militare negli Usa per guerra in Vietnam per ottenere
de-ja-vu storico perfetto.
Negli anni Settanta due
guerre posero fine ad un lunghissimo periodo di
crescita e prosperità, molto simile a quello che abbiamo
vissuto negli ultimi trent’anni. La guerra del Yom
Kippurdel 1973 e
quella tra Iraq ed Iran del1980. Entrambe
causarono una contrazione dell’offerta di petrolio che ne
provocò un aumento improvviso dei prezzi. Negli anni
Settanta, però, i paesi importatori non avevano nessun
potere nei confronti dei paesi produttori. Oggi la decisione
di non acquistare più petrolio e gas naturale dalla Russia è
stata presa da noi europei. Perché questa decisione èimportante?
Vediamolo.
L’embargo del 1973 che
fece quadruplicare i prezzi del petrolio quasi nottetempo fu
un evento di portata mondiale, tutti ne risentirono e quindi
si dovette correre ai ripari usando organizzazioni
internazionali come ilFondo
Monetario.
A seguito dell’aumento vertiginoso delle entrate in dollari
nella bilancia dei pagamenti dei paesi produttori di
petrolio, il Fmi iniziò il riciclaggio dei petroldollari,
incanalò questa liquidità nel sistema finanziario
occidentale. I petroldollari sostennero
l’economia americana e quella occidentale attraverso
investimenti principalmente finanziari.
Oggi la situazione è completamente diversa. Paesi emergenti
come la Cina,
l’India ed
una buona fetta del continente africano non partecipano
all’embargo ed acquistano petrolio e gas russo inrubli a
prezzi privilegiati, stabiliti da contratti bilaterali.
Grazie al fracking, gliStati
Uniti sono
tornati ad essere un esportatore netto di petrolio e gas
naturale, e quindi beneficiano dell’aumento del prezzo,
nonostante partecipino alle sanzioni. L’improvvisa impennata
della domanda energetica europea è stata positiva per gli
Stati Uniti, ha assorbito l’aumento di capacità produttiva
iniziato nel 2017 e programmato per soddisfare l’ascesa
futura della domanda asiatica. LaRussia, come
avvenne negli anni Settanta con i paesi arabi produttori di
petrolio, si è trovata a dover gestireun
improvviso aumento delle entrate energetiche nella
bilancia deipagament,
– e già la contrazione della domanda europea non ne ha
fiaccato le finanze grazie all’aumento vertiginoso dei
prezzi -, entrate a quanto pare in gran misura in rubli. Ma
certo non verrà a riciclarle da noi.
Morale, la situazione in Europa è critica come lo era negli
anni Settanta, ma non nel resto del mondo, e questa
criticità viene messa in evidenza dal ritorno di
un’inflazione galoppante. Negli Stati Uniti, invece,
l’impennata dei prezzi è dovuta alla crescita sostenuta
delle domanda interna nel post
Covid. Tanto per capire, il prezzo della benzina
negli Stati Uniti è la metà di quello che paghiamo in
Europa, i salari dei lavoratori privi di qualificazione sono
aumentati dal 2019 e continuano a salire per attirare forza
lavoro, l’offerta di lavoro continua a crescere.
Riequilibrare l’economia americana sarà più facile perché è
essenzialmente una
questione interna legata, riequilibrare l’economia
europea è molto più complicato a causa della dipendenza dal
petrolio e dal gas estero.
Sapevano gli americani che lanciare la campagna di sanzioni contro
la Russia avrebbe fiaccato noi europei e rafforzato la
propria economia energetica? E’ chiaro che la risposta è
positiva,Washington
non avrebbe mai preso una decisione tanto negativa per la
propria economia. Noi invece sì.
Adesso che la guerra in Ucraina sta diventando una
realtà di lungo periodo e che fare il pieno di
benzina costa quanto un biglietto aereo low cost, ci si
accorge che siamo noi quelli che stanno peggio di tutti.
Persino la politica di armare l’Ucraina è più positiva per
gli Stati Uniti, dove si trova l’epicentro dell’industria
bellica occidentale e spera che i governi continuino a
spedire armi ed armamenti svuotando i magazzini militari e
così facendo dando spazio all’acquisto di nuove armi, più
moderne e micidiali. Altro pilastro della politica delle
sanzionil’embargo
su tutti i prodotti russi, e così non solo si è
chiuso l’accesso del Vecchio Continente a fonti energetiche
a prezzi competitivi, con un colpo di spugna è scomparso
anche il mercato russo per i nostri esportatori e per
l’industria del turismo. Voilà,
la crisi energetica ed il ritorno agli anni Settanta in
Europa. E la Russia? Dopo lo choc iniziale l’economia sembra
riprendersi, anche grazie all’aumento vertiginoso dei prezzi
energetici.
Una domanda: ma che succederà a guerra finita? Ipotizzando
che Putin perda, cosa pensano i nostri leader europei che
succederà in Russia? Un’elezione democratica? O il caos che
abbiamo visto negli anni Novanta. Sia che Putin perda o
vinca quel petrolio e gas naturale a basso prezzo non lo
vedremo più! Riflettiamo su questo punto.
La cosa più triste è che alla guida dell’Italia durante questo
disastro di politica estera c’era l’uomo che ha salvato l’Europa
dalla crisi del debito sovrano, così almeno si diceva. Ma
stampare soldi, va detto, è molto, molto più semplice di
guadagnarli.
RUSSIA, IMPERO DEL GRANO, DEL PETROLIO, DEL GAS, DELLE TERRE
RARE, DEI GAS NEON E DEL NICKEL
Ha fatto molto scalpore il fatto che nel sesto pacchetto di
sanzioni europee alla Russia non sia stato incluso il “re
del nickel” Vladimir Potanin, tra i più importanti
oligarchi di Mosca. Ex vicepremier di Boris Eltsin e attuale
fedelissimo di Vladimir Putin, secondo uomo più ricco della
Russia con 33,6 miliardi di dollari di patrimonio, Potanin è
stato risparmiato dall’attacco sanzionatorio europeo,
complice la dipendenza di Bruxelles e dei 27 Paesi membri
dell’Ue dalleforniture
di nickel russe.
L’impotenza sul nickel
Dopo esser raddoppiato a 48mila dollari la tonnellata nei
primi giorni della guerra tra Russia e Ucraina, il
prezzo del nickel è oggi assestato poco sopra
i 29.500 dollari, un prezzo del 22% superiore rispetto
al periodo pre-conflitto. Mosca è il terzo produttore
mondiale di nickel dopo le Filippine e l’Indonesia, coprendo
circa l’11% della disponibilità globale. La sua capacità
chiave sta nella potenzialità nel mercato del nickel
raffinato: nel 2021 la Russia ha estratto 250.000
tonnellate, di cui 193.006 tonnellate daNornickel,
il principale produttore mondiale di nickel raffinato, di
valore più pregiato rispetto a quello grezzo.
Data l’importanza di questo materiale per la transizione
energetica e settori industriali come quello
dell’auto elettrica, sanzionare il nickel russo è
complicato. Nel 2021 le importazioni europee di questo
prezioso materiale hanno toccato quota 5,92
miliardi di dollari e il peso della Russia è cresciuto
dopo il bando alle esportazioni di nickelgrezzo
da parte dell’Indonesia toccando, per laprecisione,
quota 2,51 miliardi di dollari. In particolare secondo Forbes,
“l’Unione europea ha acquistato da Norilsk Nickel”, la
società dell’oligarca risparmiato, “il 27% del nichel
importato nel 2021”.
Una quota che mostra come per Bruxelles sia difficile dire
del tutto di no a ogni importazione di materie prime
strategiche da Mosca. Il disaccoppiamento tra le catene del
valore del Vecchio Continente e quelle di Mosca, e in parte
tra quelle degli Usa e del loro rivale, non sarà mai totale.
Il caso del gas
naturale è emblematico e arcinoto, ma sono
decisamente numerosi gli esempi di questo tipo.
Washington risparmia l’uranio russo
Gli Usa non sono dipendenti dal nickel russo ma, essendo
esposti alla necessità di approvvigionarsi dai mercati
mondiali partendo da una
quota dominante nell’export del confinante Canada (fonte
di 44% degli approvvigionamenti di Washington), non hanno
toccato il patrimonio di Potanin e, di conseguenza, il suo
importante colosso.
Gli Usa sono maggiormente esposti sul fronte dell’uranio: nel
mercato della materia prima strategica per le centrali
nucleari, infatti, Mosca è centrale per gli States
assieme agli alleati Kazakistan
e Uzbekistan. A inizio maggio era emerso un
discorso chiaro sulla presenza di una strategia Usa performalizzare
il bando alle importazioni dalla Russia, ma nulla di
tutto questo è ancora ufficiale. I dati della US
Energy Information Administration certificano che il
Paese importa uranio per il 22% sia dal Canada che dal
Kazakistan e per il 16% dalla Russia, terza nella classifica
dei fornitori agli Usa, con una quota che consentirebbe di
ricevere da Washington 1,2 miliardi di dollari nel 2022.
Nella classifica seguono poi l’Australia (11%) e, quinto, l’Uzbekistan
(8%). Astana, Mosca e Tashkent, nel complesso, coprono il
46% delle forniture d’uranio agli Stati Uniti, una quota
difficilmente cancellabile in poco tempo.
Neon, arma segreta di Mosca
La Russia non ha subito sanzioni nemmeno sul fronte del gas neon, un
materiale importante in cui, invece, proprio Mosca ha
giocato d’anticipo contro l’Occidente. Il gas nobile in
questione è necessario per produrre semiconduttori, che
alimentano qualsiasi cosa, da smartphone e laptop alle
automobili. “Il gas”, ha scritto Foreign
Policy, “è un sottoprodotto della produzione russa
di acciaio, che viene poi inviato in Ucraina per essere
purificato e, a sua volta, spedito ai produttori di
semiconduttori all’estero”. Tutto questo, ovviamente, “in
tempo di pace”.
Bisogna sottolineare che “circa la metà del neon mondiale
per semiconduttori proviene da due sole società ucraine,
entrambe costrette a chiudere le loro operazioni durante
l’invasione russa”. Una di queste
è tra i tesori
del Donbass agognati dalla Russia. Il blocco
delle forniture di neon
al mercato globale, sottolineava ad aprileStart
Mag, ha reso ulteriormente più critica la
problematica sul mercato mondiale dei semiconduttori. Esso
rappresenta una crisi strutturale che può riverberarsi su
quel Chipageddon che
si sta prefigurando come la grande crisi industriale del XXI
secolo. Nella prima settimana di giugno il governo russo
ha imposto una restrizione alla vendita all’estero dei gas
nobili, di cui complessivamente controlla il 30% del mercato
mondiale, e spiegato che le vendite all’estero di prodotti
come il neon saranno subordinate all’ottenimento di un
permesso speciale dallo Stato; la politica resterà in vigore
fino al prossimo 31 dicembre. In questo campo, nemmeno è
possibile immaginare sanzioni occidentali. Anzi, è la Russia
a imporre un gioco duro.
Gli altri fronti caldi
Una serie di altri beni strategici per l’industria sono
stati interessati da sanzioni a macchia di leopardo o
restrizioni tali da non far pensare a rotture totali. Il 9
maggio scorso, ad esempio, il
governo britannico ha annunciato un nuovo pacchetto di
sanzioni, sia contro Russia che Bielorussia: dazi più alti
all’importazione dei metalli preziosi, come platino e
palladio, con una tariffa del 35% imposta a un mercato dal
valore di circa 2 miliardi di dollari, ma nessun bando
totale. Usa e Ue non hanno fatto altrettanto: in
particolare, la Russia conta per il 40% della produzione
mondiale di un altro materiale fondamentale per le industrie
a più alto tasso
di complessità tecnologica.
Pilatesca invece la soluzione adottata sull’alluminio.
Cinque anni fa gli Usa, in pieno braccio di ferro con la
Russia, provarono a imporre sanzioni
su Rusal, primo produttore mondiale di alluminio e
sul suo oligarca Oleg Deripaska. Il boom dei prezzi fece un
clamore tale da portare a un rientro dalle sanzioni stesse a
fine 2018. Oggi invece Deripaska e il suo patrimonio
personale sono sotto sanzioni da parte del campo
euroatlantico,ma
Rusal può operare. La Russia con 4,5 miliardi di dollari
di esportazioni è il secondo maggior venditore di alluminio
al mondo. I Paesi verso cui si dirigono i prodotti made in
Russia sonoTurchia
(20%), Giappone (14%), Cina (10%), Paesi Bassi (9%), Corea
del Sud (7,2%) e Italia (5,6%): sei Paesi coprono i due
terzi dell’export russo e Cina a parte sono tutti vicini o
membri del campo occidentale.
Le sanzioni, un Giano Bifronte
Si capisce dunque il perché di un sistema sanzionatorio a
macchia di leopardo che vede Mosca più colpita in alcuni
ambiti e trattata col guanto di velluto in altri:
l’integrazione della Russia nella globalizzazione e nelle
catene del valore ha retto a otto anni di braccio di ferro e
non finirà nemmeno col grande spartiacque della guerra in
Ucraina. Indipendentemente dai voleri di Vladimir Putin e
dell’Occidente. Vero e proprio caleidoscopio, le sanzioni
sono estremamente complesse: Usa, Europa e alleati mettono
sotto pressione la Russia in settori come la finanza,
la meccanica industriale, i beni di consumo e
contribuiscono a danneggiare la condizione economica del
Paese e della sua fascia più povera, oltre ovviamente a
mettere in difficoltà gli oligarchi, ma risparmiano quei
settori critici in cui la dipendenza dalla Russia è più
strutturata.
Parimenti, la Russia aumenta la sua dipendenza
dall’esportazione di materie prime strategiche ma in questo
campo riesce a puntare alla tempia dell’Occidente la pistola
del decoupling totale.
Opzione nucleare che non farebbe altro, però, che mandare
una volta per tutte nelle braccia della Cina il Paese
guidato da Vladimir Putin. Non a caso, sia che si parli di
materie prime che di gas o derrate alimentari, la grande
vincente della guerra in Ucraina e delle sanzioni è Pechino.
In grado di continuare ad accaparrarsi forniture a prezzi
privilegiati dalla Russia e ad essere corteggiata come
mediatrice dall’Ovest mentre nel mondo infuria la tempesta
scatenata dal conflitto ucraino.
Embargo al petrolio russo, il danno per Mosca stimato in 3
miliardi al mese. Ma l’Europa spenderà 2 miliardi in più
Il nuovo pacchetto di sanzioni europee contro Mosca
contempla anche il blocco delle importazioni via nave di
petrolio russo. Un divieto immediato del 75% dell’ import e
del 90% entro fine anno. L’Unione europea importa ogni
giorno tra
i 3 e i 3,7 milioni di barili di petrolio russo, circa
il 30-40% della produzione di Mosca attestata intorno ai 10
milioni di barili al giorno. Con l’embargo verrebbero meno
rapidamente1,7
milioni di barili.
Ai valori di mercato attuali (124 dollari al barile) il
taglio deciso dall’Europa vale circa 200 milioni di euro al
giorno con un danno finale che potrebbe superare gli 8
miliardi di euro al mese. Naturalmente la
Russia può vendere questi carichi altrove.
A differenza del gas che è più legato alle condotte, il
greggio si sposta principalmente via nave. Cina,
India ed
altri paesi hanno già mostrato grande interesse per quantità
aggiuntive di barili di Mosca, specie se offerti a sconto
anche di 20-30 dollari al barile come avviene oggi. Del
resto le quotazioni sono così alte (il 70% in più di un anno
fa) che i
guadagni per chi vende sono in ogni caso assicurati.
Tuttavia, analisti di Rystad Energy citati da Reuters,
affermano che Mosca sarebbe in grado di reindirizzare al
massimo 1
milione di barili precedentemente
destinati all’Ue. L’economia cinese fatica e le raffinerie
indiane lavorano già al massimo delle loro capacità. Ciò
significa una perdita di entrate di almeno3
miliardi di euro al
mese nella fase iniziale dell’embargo e poi fino a 4,5
miliardi una volta entrato in vigore il divieto totale.Inutili
farsi illusioni, l’embargo sarà doloroso anche per l’Europa che
dovrà a sua volta compensare il venire meno dei carichi
russi comprando da altri fornitori e verosimilmente a prezzi
più alti. Sempre secondo Rystadi
costi aggiuntivi per i paesi Ue potrebbero raggiungere i 2
miliardi di euro al mese.
La Russia è il terzo produttore di petrolio al mondo dopo
Stati Uniti ed Arabia Saudita. Dispone di riserve per 107
miliardi di barili,
le seste più grandi al mondo dopo Venezuela, Arabia
Saudita, Iran,
Canada e Iraq.
A parte il Canada questi paesi sono tutti membri dell’Opec,
l’organizzazione dei grandi produttori, che sinora non ha
accolto le richieste occidentali di aumentare la produzione
per calmierare il costo dei barili.
Brexit, ecco perché è iniziata la (silenziosa) retromarcia
di Londra
I danni dell'uscita dal mercato unico sono sempre più
evidenti. Così, il governo di Rishi Sunak sta pensando a un
clamoroso dietrofront per avere rapporti più fluidi con
l'Europa, scatenando la furia degli euroscettici. E qualcuno
scrive che "la Brexit è morta"
Vaiolo delle scimmie, primo caso rilevato in Italia. Giovane
rientrato dalle Canarie ricoverato allo Spallanzani
C’è il primo caso di vaiolo
delle scimmie rilevato
in Italia. Si tratta di un giovane ricoverato all’Istituto
Spallanzani di Roma, specializzato
nella ricerca e nella cure delle malattie infettive. Il
paziente era rientrato dalle