INTERNOTIZIE |
G
AFFARISTI CON SCIARPA E SPRANGA...ALLA SBARRA
18/12/2009
All’indomani
delle condanne di parte della
frangia mafio-fascistoide della
Curva Sud del Milan scompaiono i
profili di numerosi “esemplari”
da face book (due profili dei
quali compaiono all’interno di
questo “splendido” fascicolo),
per non parlare della scomparsa
dei siti storici
www.guerrieriultras.it
e Brigate Rossonere. Nel
frattempo continuano a pioggia
le condanne di parecchi
esponenti di questo pseudo
universo putrefatto:
"Neosquadristi", 18 condanne
In totale 104 anni di carcere
ROMA -
Condanne varianti da dieci anni
e sei mesi a 20 giorni di
reclusione, per complessivi 104
anni, sono state inflitte questa
sera a Roma a 18 estremisti di
destra finiti sotto processo con
l'accusa di aver preso parte ad
episodi di violenza avvenuti
nella capitale tra il giugno e
l'11 novembre 2007, il più grave
dei quali è l'assalto alle
caserme di polizia e carabinieri
in occasione della morte del
tifoso laziale Gabriele Sandri.
Le pene più pesanti sono state
decise dai giudici della settima
sezione del tribunale, dopo nove
ore di camera di consiglio, per
Fabrizio Ferrari (dieci anni e
sei mesi), Andrea Attilia (nove
anni e sei mesi), Alessandro
Petrella (otto anni e sei mesi)
e Roberto Sabuzi (otto anni).
Tra i condannati anche una
donna, Michela Ussia (quattro
mesi di arresto). Due le
assoluzioni, per Fabio Pompili e
Furio Natali.
Alcuni degli imputati sono stati
riconosciuti responsabili di
associazione per delinquere. I
reati contestati dai pm Pietro
Saviotti e Luca Tescaroli
andavano, a seconda delle
posizioni, dalle lesioni
aggravate alla devastazione,
dalla violenza al saccheggio.
Tra gli episodi finiti al vaglio
del tribunale l'aggressione agli
spettatori di sinistra al
concerto della Banda Bassotti a
Villa Ada nel giugno del 2007,
la progettazione di atti di
violenza contro le forze
dell'ordine, le tifoserie ostili
e la sinistra antagonista. La
maggior parte degli imputati
ritenuti responsabili degli
assalti alle caserme sono stati
interdetti per cinque anni dagli
stadi per manifestazioni
calcistiche e di rugby e
dovranno recarsi nei posti di
polizia un'ora prima degli
incontri.
Tra le parti lese che hanno
ottenuto risarcimenti ci sono il
Comune di Roma, l'Atac, il Coni,
gli agenti feriti e singoli
cittadini.
SANDOKAN LOMBARDI AL CINEMA, I SUOI ENERGUMENI IN GALERA
Il giudice delle direttissime di
Milano ha condannato a pene
comprese tra i sei mesi di
reclusione e quattro anni e
mezzo di carcere sei ultrà
milanisti accusati, a vario
titolo, di rissa aggravata e
lesioni per gli scontri avvenuti
durante il derby del 15 febbraio
scorso. Un tifoso rossonero,
invece, è stato assolto. Alla
pena più alta è stato condannato
Luca Lucci, che sferrò un pugno
contro un tifoso nerazzurro che
perse l'uso di un occhio. Al
supporter dell'Inter, costituito
parte civile, è stata
riconosciuta una provvisionale
di 140 mila euro a carico dei
sei condannati da versare in
solido. Il giudice ha anche
disposto per i condannati il
divieto d'accesso allo stadio
dai due anni ai cinque anni.
Francesco Lucci, fratello di
Luca, è stato condannato a due
anni e sei mesi. Dopo la lettura
della sentenza, alcuni amici
degli imputati, molti dei quali
con addosso la maglia della
curva sud milanista, hanno
urlato «bastardi» e «a
Spaccarotella hanno dato sei
anni». Alcuni momenti di
tensione si sono verificati
all'uscita degli imputati e dei
loro amici dall'aula.
«Quel pugno mi ha cambiato la
vita e moralmente non sto bene».
Lo ha detto V. M., tifoso
neroazzurro che durante il derby
del 15 febbraio scorso venne
colpito da un pugno e perse la
funzionalità dell'occhio
sinistro. Oggi gli ultrà
milanisti, accusati a vario
titolo di rissa aggravata e
lesioni in relazione a quegli
scontri, sono stati condannati a
Milano a pene fino a 4 anni e 6
mesi. «Cerco di non soffermarmi
troppo su quello che mi è
accaduto, altrimenti rischio di
diventare pazzo», ha spiegato il
tifoso dell'Inter che si è
costituito parte civile nel
processo. «Ho l'aiuto degli
amici che mi stanno vicino», ha
aggiunto il giovane, spiegando
anche che il suo occhio «si è
completamente svuotato di
materia per quel pugno e non ho
più il cristallino e l'iride». I
medici, ha raccontato il
giovane, «hanno detto che
sicuramente nella mano il mio
aggressore aveva un oggetto
tagliente». Luca Lucci, l'ultrà
del Milan che sferrò il pugno, è
stato condannato a 4 anni e sei
mesi. In un'udienza del processo
l'imputato aveva spiegato di
essere dispiaciuto per quello
che era successo. «Si fa fatica
a credergli, perchè in questo
processo ho capito veramente chi
è questa persona», ha affermato
il tifoso dell'Inter colpito
quella sera allo stadio.
(http://www.123people.it/ext/frm?ti=ricerca%20di%20persone&search_term=luca%20lucci&search_country=IT&st=ricerca%20di%20persone&target_url=http%3A%2F%2Fvale-inter.myblog.it%2Farchive%2F2009%2F07%2F18%2Fsentenza.html§ion=blog&wrt_id=350
) C’erano una volta gli
ultras del Milan. Al loro
posto oggi c’è un gruppo
criminale nei cui reali
interessi il calcio occupa poco
spazio. L’occupazione militare
della Curva sud di San Siro da
parte di questo gruppo criminale
è avvenuta con sorprendente
rapidità e con metodi brutali.
Dentro la curva il gruppo fa i
suoi affari indisturbato, in una
delle poche zone della nostra
società in cui le regole della
legalità non valgono. Omertà e
violenza hanno accompagnato
questa presa di potere. «Io sono
orgoglioso di non essere uno di
voi», ha detto Paolo Maldini.
Non è stata un’affermazione
casuale.
Alcuni passaggi di questa presa
di potere sono noti. Altri,
finora sconosciuti, il Giornale
è in grado di documentarli. Non
è l’unico caso di infiltrazioni
criminali nel tifo organizzato.
Ma il caso del Milan è più
drammatico, e merita di essere
raccontato.
Martedì scorso il pm milanese
Luca Poniz ha chiesto il rinvio
a giudizio dei capi della nuova
curva rossonera. Associazione a
delinquere finalizzata
all’estorsione. I Guerrieri
Ultras - questo il nome del
gruppo che ha cannibalizzato a
tempo di record la curva - sono
accusati da Poniz di avere
trasformato la Sud in una
macchina da soldi, imponendo con
la forza la propria legge. Gli
episodi ricostruiti da Poniz
fanno impressione. Ma c’è
dell’altro.
Una inchiesta ancora riservata,
condotta dalla Digos milanese,
sta ricostruendo in queste
settimane il filo che lega
un’altra serie di violenze.
Violenze ai danni dei tifosi
«concorrenti». E violenze sugli
spalti, sorta di messaggi
mafiosi inviati al Milan per
costringerlo a venire a patti
con i nuovi capi della curva. Il
cervello è sempre lo stesso:
Giancarlo Lombardi detto «Sandokan».
Lombardi alla partita non ci va
più, perché colpito da diffida.
Uno dopo l’altro anche i suoi
luogotenenti - Luca Lucci, Mario
Diana, Giancarlo Capelli - sono
stati colpiti da diffida. Ma
anche dall’esterno i capi
Guerrieri continuano a dettare
legge. Lombardi due giorni fa
era in via Turati, davanti alla
sede del Milan, a farsi
intervistare, spiegando e
rivendicando gli insulti a
Maldini.
Brigate Rossonere, Commandos
Tigre, Fossa dei Leoni: i gruppi
storici sono spariti dalla curva
molto in fretta. La prima volta
che il nome dei Guerrieri
compare in un rapporto dei
carabinieri è l’8 gennaio 2006,
Milan-Parma. Già in quel
rapporto si dice che il nuovo
gruppo è sospettato di rapporti
con ambienti della malavita, si
parla di una sparatoria avvenuta
poco tempo prima in via Faenza,
di gruppi che controllano lo
spaccio al Parco Lambro, di
contatti con l’oscura e tragica
storia di un agente immobiliare
morto suicida. I fatti
successivi confermeranno e
rafforzeranno questi sospetti.
Il capo, Lombardi, per la
giustizia è solo un ex ladro di
auto che ha fatto carriera: ha
messo in piedi due società di
informatica, la Avant Garde e la
L&B Informatica, controlla il
Bar Bianco all’interno del parco
Sempione insieme a un socio
macedone, gira con una Ferrari
360 Modena. Una faccia pulita,
un imprenditore? Può darsi. Ma
il 1° luglio scorso la stradale
lo ferma sulla tangenziale est
di Milano, a bordo di una
Renault Clio dal cui finestrino
vola un pacchetto imbottito di
cocaina. A guidare la Clio, è il
braccio destro di Lombardi: Luca
Lucci, un gigante rasato e
tatuato, che sotto il sedile ha
un coltello da 25 centimetri. E
qui la cosa si fa ancora più
interessante. Perché di Luca
Lucci parla in un verbale del 3
agosto 2007 il «pentito» Luigi
Cicalese. Tra decine di crimini,
Cicalese racconta anche di avere
assassinato l’avvocatessa
milanese Maria Spinella. Per
fuggire dal luogo del delitto,
dice di avere usato una Clio
nera. È l’auto di Lucci. «Luca è
un amico, gli diamo la cocaina,
lo serviamo noi». Il contatto
tra il gangster e l’ultrà
rossonero è Daniele Cataldo,
rapinatore e narcotrafficante,
amico d’infanzia di Luca Lucci.
Quando Cataldo gli chiede l’auto
che verrà usata per il delitto,
Lucci gliela dà senza fare
domande. Non è solo il suo
grossista di cocaina. È anche un
suo amico.
Se questo è il milieu che sta
dietro i Guerrieri Ultras, non
c’è da stupirsi se le loro
vittime scelgano quasi sempre di
stare zitti. La sera del 25
gennaio 2007, davanti a San
Siro, Valter Settembrini dei
Commandos Tigre viene massacrato
di botte da due Guerrieri,
Michele Caruso e Massimiliano
Colombo. Lo accusano di essere
un confidente della Digos, lo
rovinano di botte. Ma al
processo Settembrini non si
costituisce neanche parte
civile. Scena ancora più
eloquente a Torino, 20 maggio
2008, Juventus-Milan. Un tifoso
juventino, William Marzano,
viene aggredito brutalmente dai
Guerrieri. Le telecamere
immortalano il solito Luca
Lucci. Quando la polizia lo
incrocia all’uscita dallo
stadio, pesto e sanguinante,
Marzano dichiara testualmente:
«Non è successo niente, sono
caduto dalle scale».
L’impunità genera altre
violenze. Il 15 febbraio scorso
Virgilio Motta, tifoso
interista, viene aggredito
durante il derby. Luca Lucci gli
sfonda un occhio, Motta perde la
vista per sempre. Questi sono i
metodi criminali della nuova
curva del Milan. (http://contursiacida.blogspot.com/2009/05/curva-sud-milano.html
)
Una domenica bestiale e una
giornata allo stadio cambia
la vita. Il derby che doveva
essere una festa di gol e invece
si è
inghiottito un po' di vita di
alcuni tifosi. Era il 15
febbraio dell'anno scorso alcuni
cuori rossoneri scesero dal
secondo
anello al primo pieni di rabbia:
volevano vendicare lo sgarro di
aver visto uno loro striscione
tirato giù e strappato dai
tifosi
dell'Inter. In un attimo fu
tafferuglio, botte e in un
attimo
uno di loro tra le mani si
ritrovò "sangue, lacrime e una
sostanza
gialla e gelatinosa. Era il
cristallino
che non avevo più, assieme a
parte dell'iride".SEI
ULTRA'
milanisti per quella violenza
sono stati condannati
a pene fino a 4 anni e 6 mesi di
reclusione, un imputato, invece,
è stato assolto. Il verdetto,
dopo il processo per
direttissima,
è stato accolto da
insulti"Bastardi", "Infami", "A
Spaccarotella
avete dato solo 6 anni" hanno
protestato alcuni
giovani che indossavano
magliette della curva sud del
Milan.
Forse non si rendono conto che
la vittima ha perso la fun-
zionalità dell'occhio e oggi è
costretto a girare con una benda
e
gli occhiali da sole. Per
lesioni gravissime e per
l'accusa di rissa
aggravata, è stata condannato a
4 anni e 6 mesi di reclusione
Luca Lucci, uno dei capi della
curva sud del Milan. Il pm
Giovanni
Polizzi aveva chiesto per lui 4
anni e 8 mesi. Il tifoso
interista,
costituito parte civile e
assistito dall'avvocato Consuelo
Bosisio, ha ottenuto il
riconoscimento di una
provvisionale
di 140 mila euro a carico dei
sei condannati che dovranno
rispondere
in solido."I
140 MILA euro te li devi
spendere tutti in medicinali,
maledetto
infame", ha urlato la moglie di
Luca Lucci, rivolta al tifoso
nerazzurro costretto ad uscire
scortato dalle forze
dell'ordine,
assieme al suo legale.
Francesco Lucci, fratello di
Luca, è stato condannato a 2
anni e
mezzo di carcere, mentre Marco
Pacini a 2 anni. Angelo Vittori,
Marco Solari e Antonino Amato
sono stati condannati
rispettivamente
a un anno (pena sospesa), a un
anno senza sospensione
condizionale e a 6 mesi (pena
sospesa). Il giudice
Alberto Nosenzo ha disposto il
divieto di accesso allo stadio
per cinque condannati dai 2 ai 5
anni. Le altre tre parti civili
costituite,
tra cui un bambino di 13 anni
che era allo stadio col
padre, hanno ottenuto la
condanna al risarcimento che
verrà
stabilita in sede civile.
Il giudice delle direttissime di Milano ha condannato a pene comprese tra i 6 mesi di reclusione e 4 anni e mezzo di carcere 6 ultrà milanisti accusati, a vario titolo, di rissa aggravata e lesioni per gli scontri avvenuti durante il derby del 15 febbraio scorso. Un tifoso rossonero, invece, è stato assolto.
Alla pena più alta è stato condannato Luca Lucci, che sferrò un pugno contro un tifoso nerazzurro che perse l'uso di un occhio. Al supporter dell'Inter, costituito parte civile, è stata riconosciuta una provvisionale di 140 mila euro a carico dei sei condannati da versare in solido. Il giudice ha anche disposto per i condannati il diritto d'accesso allo stadio dai 2 anni ai 5 anni. Francesco Lucci, fratello di Luca, è stato condannato a 2 anni e 6 mesi.
Dopo la lettura della sentenza, alcuni amici degli imputati, molti dei quali con addosso la maglia della curva sud milanista, hanno urlato "bastardi" e "a Spaccarotella hanno dato sei anni". Alcuni momenti di tensione si sono verificati all'uscita degli imputati e dei loro amici dall'aula.
"Quel pugno mi ha cambiato la vita e moralmente non sto bene". Lo ha detto V. M., tifoso neroazzurro che durante il derby del 15 febbraio scorso venne colpito da un pugno e perse la funzionalità dell'occhio sinistro. Oggi gli ultrà milanisti, accusati a vario titolo di rissa aggravata e lesioni in relazione a quegli scontri, sono stati condannati a Milano a pene fino a 4 anni e 6 mesi. "Cerco di non soffermarmi troppo su quello che mi è accaduto, altrimenti rischio di diventare pazzo", ha spiegato il tifoso dell'Inter che si è costituito parte civile nel processo. "Ho l'aiuto degli amici che mi stanno vicino", ha aggiunto il giovane, spiegando anche che il suo occhio "si è completamente svuotato di materia per quel pugno e non ho più il cristallino e l'iride". I medici, ha raccontato il giovane,, "hanno detto che sicuramente nella mano il mio aggressore aveva un oggetto tagliente". Luca Lucci, l'ultrà del Milan che sferrò il pugno, è stato condannato a 4 anni e sei mesi. In un'udienza del processo l'imputato aveva spiegato di essere dispiaciuto per quello che era successo. "Si fa fatica a credergli, perché in questo processo ho capito veramente chi è questa persona", ha affermato il tifoso dell'Inter colpito quella sera allo stadio.
Il giudice ha accettato la richiesta di condanna formulata dal pm di Milano Giovanni Polizzi di 4 anni e 8 mesi di reclusione nei confronti dell'ultrà milanista sotto processo a Milano, assieme ad altri 6 tifosi rossoneri, per gli scontri avvenuti allo stadio di San Siro durante il derby Inter-Milan dello scorso 15 febbraio, nel corso dei quali un supporter nerazzuro perse l'uso di un occhio.Per gli altri imputati, il pm aveva chiesto pene da un minimo di 1 anno e 2 mesi di reclusione fino a 3 anni.
L'accusa aveva anche chiesto l'applicazione dai 3 ai 6 anni del divieto d'accesso nei luoghi di manifestazioni sportive e l'obbligo di presentarsi negli uffici di polizia durante le partite, ma il magistrato ha disposto per i condannati il diritto d'accesso allo stadio dai due anni ai cinque anni.
Per Francesco Lucci, fratello di Luca, il pm aveva chiesto 3 anni come per Marco Pacini. Per gli altri 3 tifosi, invece, erano state richieste pene di un anno e 2 mesi, un anno e 3 mesi e un anno e 6 mesi. Il pm ha parlato di "spedizione punitiva". Secondo l'accusa, infatti, gli imputati scesero nell'anello che ospitava i tifosi dell'Inter per vendicare lo "sgarro" di uno striscione stracciato. Dopo le conclusioni delle altre parti, in giornata potrebbe arrivare la sentenza.
Per il tifoso che ha subito la lesione all'occhio, l'avvocato Consuelo Bosisio aveva chiesto una provvisionale immediatamente esecutiva di 500 mila euro. "Non potrà più avere normali relazioni sociali", ha spiegato l'avvocato. Il giudice ha invece riconosciuto la provvisionale di 140 mila euro a carico dei sei condannati da versare in solido.
Una provvisionale di 10 mila euro, invece, è stata chiesta dal legale per una bambino di 13 anni che quella sera era allo stadio assieme al padre, rimasto coinvolto nei tafferugli (per lui una richiesta di 5.500 euro di provvisionale). "Quel bambino ha visto scene tremende", ha chiarito Bosisio. È stata chiesta una provvisionale di 20 mila euro poi per un altro tifoso nerazzurro che negli scontri riportò la frattura del setto nasale. Per queste lesioni, però, il pm ha chiesto l'assoluzione degli imputati perché "non sappiamo chi ha sferrato il pugno".
L'accusa aveva chiesto l'assoluzione per gli imputati anche dal reato di aver superato le separazioni dello stadio. Il difensore di Luca e Francesco Lucci, l'avvocato Paolino Ardia, aveva spiegato che "ad agire non è stata una falange armata, come si vuol far credere". Luca Lucci, ha aggiunto l'avvocato, "ha ammesso di aver sferrato il pugno e ha anche detto di sentirsi dispiaciuto per la lesione provocata all'occhio". Un altro difensore, l'avvocato Giovanni Adami, ha affermato: "Se la stessa rissa fosse avvenuta in una discoteca milanese, nessuno sarebbe stato denunciato".(http://www.loccidentale.it/articolo/calcio.+scontri+nel+derby+inter-milan:+pene+tra+i+6+mesi+e+i+4+anni+e+mezzo+di+carcere.0075399 ) Siccome al peggio non c’è limite, appena il giudice finisce di leggere la sentenza una ragazzotta della curva milanista si lancia ad un palmo da Virgilio Motta e comincia ad urlargli in faccia. Motta è l’interista cui il 15 febbraio scorso Luca Lucci, uno dei nuovi gerarchi del tifo milanista, spaccò a pugni il cristallino di un occhio, rendendolo orbo per il resto dei suoi giorni. Il giudice ha condannato gli imputati a versargli immediatamente centoquarantamila euro di risarcimento. E la giovane donna si lancia come una furia sulla vittima urlandogli in faccia «Infame, verme, bastardo, spero che i centoquarantamila euro te li spendi tutti in medicine». «Bastardo, infame», fanno eco gli altri ultras lasciando l’aula. Luca Lucci è stato condannato a quattro anni e mezzo di carcere, e rischia di farseli davvero perché è pregiudicato. Suo fratello Francesco e gli altri quattro imputati se la cavano con pene minori, perché rispondono solo della rissa. Ma i danni a Motta dovranno pagarli tutti insieme. Finisce così, alle 14,30 di ieri, il processo per la spedizione punitiva scatenata il 17 febbraio scorso dai Guerrieri Ultras, i nuovi signori della Curva Sud di San Siro, durante il derby Inter-Milan. Non è solo il processo per una rissa tra tifosi; è il processo che ha portato in aula per la prima volta la mutazione genetica degli ultrà milanisti, la nuova generazione di capibranco che ha cannibalizzato la vecchia, gloriosa curva rossonera, quella dei Commandos Tigre, delle «Brigate», della Fossa dei Leoni. Si chiamano Guerrieri, hanno le teste rasate, i bicipiti gonfi, e più di un contatto con la criminalità organizzata. I loro metodi sbrigativi hanno fatto piazza pulita. È dal pezzo di secondo anello occupato dai Guerrieri che parte, il 17 febbraio, la spedizione punitiva contro gli interisti della Banda Bagaj, all’anello inferiore. Il pretesto è uno striscione strattonato, la verità è che ai Bagaj quelli dei Guerrieri l’hanno giurata da un pezzo perché hanno il vizio di fare chiasso, di sventolare un tifo scanzonato che è lontano dai riti un po’ truci del mondo ultras. La squadraccia parte compatta, scende dal secondo al primo anello senza trovare resistenza. Uno steward sta succhiano il chupachupa. Un altro è al telefono. Parte la caccia all’interista. Il figlio tredicenne di Rizza, uno dei leader dei Bagaj, vede suo padre riempito di botte, ed è un incubo che lo seguirà a lungo. Intanto Luca Lucci, punta dritto contro Motta, lo colpisce da dietro con un gancio devastante all’orbita. Le telecamere del Meazza filmano tutto. Il processo che ne nasce varrebbe la pena di mandarlo in onda integrale, perché mai, durante le tante udienze, neanche lontanamente gli imputati mostrano segni di pentimento. Per la vittima, solo sguardi di scherno e insulti a mezza bocca. L’avvocato di Virgilio Motta è una donna giovane e tosta, Consuelo Bosisio. È lei - visto che il giudice sembra neppure accorgersi di quel che accade in aula - a mettersi di mezzo quando contro Motta partono le bordate degli imputati, ed è lei (milanista doc, peraltro) a chiedere ed ottenere il risarcimento. Ieri pomeriggio arriva la sentenza. Oltre al carcere e ai soldi, c’è il divieto per tutti i condannati di rimettere piede al Meazza: per cinque anni Luca Lucci, suo fratello Francesco e Marco Pacini; per due anni gli altri imputati. «Bastardi - ringhiano lasciando l’aula - allo sbirro Spaccarotella avete dato solo sei anni». (http://www.settimanasportiva.it/index/it/news.show/articolo.html?sku=4973 )
Biglietti gratis e un film
scoppia la pace con la curva
Cinquemila tagliandi al derby ed altre promesse. Protagonista di una pellicola sul tifo un pregiudicato che guida gli ultrà. E così nonostante il 4-0... di PAOLO BERIZZI
Berlusconi saluta i tifosi dopo la vittoria del 16mo scudetto
MILANO - Prima, a sorpresa,
il miele. "Avanti con Silvio.
L'amore non è bello se non è
litigarello". Poi, anche qui
non proprio in armonia con
quanto stava succedendo in
campo, lo spot
cinematografico. "Il 4
settembre tutti al cinema:
L'ultimo ultras" (co-protagonista
del film in uscita oggi -
diretto e interpretato dal
regista e ultrà laziale
Stefano Calvagna - è il capo
della curva Sud rossonera,
Giancarlo Lombardi, detto
Sandokan, recentemente
rinviato a giudizio per
tentata estorsione ai danni
del Milan e ritenuto dai
magistrati un boss criminale).
Sabato 29 agosto, stadio di
San Siro: disastroso (per il
Milan) derby della Madonnina.
All'ignaro tifoso quei due
striscioni vergati con vernice
spray e esposti a più riprese
sei giorni fa in curva Sud -
anche quando la squadra di
Leonardo era sotto di quattro
gol - hanno creato un senso di
smarrimento. Cos'è cambiato, e
perché, e così repentinamente,
tra i vertici del Milan e i
suoi ultrà? Erano, eravamo
rimasti alla durissima
contestazione di giugno: la
curva infuriata scesa in
piazza contro la società, rea
di voler vendere, e infine di
avere venduto, Kakà. "Galliani
gobbo, Berlusca interista.
Meschini e bugiardi: e ora
vendete il Milan".
Gli striscioni degli ultrà,
nei tribolati giorni delle
trattative con il Real Madrid
per l'asso brasiliano, poi in
effetti ceduto , erano puro
fiele. Puzzava di minaccia lo
slogan - che non sfuggì agli
uomini della Digos - scandito
alla vigilia delle elezioni
provinciali ed europee: "Voto
Podestà solo se resta Kakà"
(Guido Podestà, candidato del
Pdl in corsa all'epoca per la
guida della provincia di
Milano sostenuto direttamente
dal premier Silvio
Berlusconi). L'ultima partita
di campionato, il 23 maggio,
Guerrieri e Brigate rossonere,
i due gruppi oggi confluiti
sotto il marchio "Curva Sud
Milano", avevano messo in
scena una robusta
contestazione contro
Berlusconi (e il
giocatore-simbolo Paolo
Maldini). "Sono anni che
compri bidoni e figurine,
quest'anno chi compri... le
veline?" era scritto su un
lenzuolo srotolato in curva.
Accompagnato da un invito
rivolto al premier a vendere
il Milan e a andare "fuori dai
c...". E poi? Poi, passata
l'estate, qualcosa è successo.
Annunciate nuove contestazioni
alla ripresa del campionato -
per sfogare le frustrazioni di
mercato - gli ultrà hanno
improvvisamente cambiato
linea. Stop alle
contestazioni, "avanti con
Silvio".
E' bastato un atteggiamento
più "brillante" da parte dei
vertici del Milan, accusati di
tirchieria non solo negli
acquisti ma anche con la
curva. Cinquemila biglietti
omaggio sarebbero stati
destinati agli ultrà in
occasione del derby di sabato
scorso. Con la promessa, se la
pace continuerà a regnare, di
eventuali nuove forme di
sostegno nel corso del
campionato.
A decidere che era arrivato il
momento di finirla con le
critiche a Berlusconi sono
stati i due capi che da tre
anni governano la curva Sud:
Giancarlo Lombardi, detto
Sandokan, e il "Barone", al
secolo Giancarlo Capelli,
entrambi già arrestati e
diffidati ad andare allo
stadio. Stando a un'inchiesta
del pm milanese Luca Poniz,
Lombardi è un "criminale" a
capo di un'associazione a
delinquere recentemente
rinviata a giudizio (11 gli
ultrà finiti sotto processo,
tra cui gli stessi Lombardi e
Capelli) per una tentata
estorsione (biglietti) alla
società di via Turati.
"Lombardi - scrive il
magistrato - è il capo
indiscusso del gruppo di
tifosi denominati Guerrieri
ultras, costituito con
modalità e caratteri propri
dell'associazione criminosa,
anche in relazione al
riconosciuto profilo criminale
di Lombardi".
Sandokan da
oggi sarà sul grande schermo.
Interpreterà se stesso ne
L'ultimo ultras (un cameo
anche per Andry Shevchenko,
convinto a recitare nel film -
ha raccontato il calciatore al
Giornale - da Giancarlo
Capelli). Dice il regista
Stefano Calvagna: "Con
Lombardi ci unisce la passione
per il cinema, visto che
Giancarlo studiava per
diventare attore".
Calcio: scontri derby Milano, pm chiede sette condanne
17 Luglio 2009 10:36 SPORT
MILANO - Il pm di Milano Giovanni Polizzi ha chiesto quattro anni e 8 mesi di reclusione nei confronti di Luca Lucci, un ultra' milanista sotto processo a Milano, assieme ad altri 6 tifosi rossoneri, per gli scontri avvenuti allo stadio di San Siro durante il derby Inter-Milan dello scorso 15 febbraio, durante i quali un supporter nerazzuro perse l'uso di un occhio. Meno severe le pene chieste per gli altri imputati, che vanno da un minimo di 1 anno e 2 mesi di reclusione fino a 3 anni.
«Signore, lei ride troppo e
questo non va bene». LUCA
LUCCI - un armadio d’uomo con la
testa rasata e il bicipitone
tatuato - è il VICE capo ultrà
del Milan che al derby di
febbraio rovinò per tutta la
vita un tifoso rivale con un
cazzotto in faccia. Ieri lo
processano insieme a nove
camerati di curva. Lui ghigna,
scherza, insulta la sua vittima
e tratta male il pm. E non sa
che gli sta per piombare sulla
testa una rivelazione che getta
su tutta la faccenda una luce
ancora più cupa: quella sui suoi
legami con il mondo del crimine
organizzato.
Perché fu lui, leader indiscusso
della curva rossonera IN VECE DI
SANDOCAN , a fornire l’auto
usata dal killer LC per un
delitto efferato, e per poi
lasciare subito dopo la città.
Sulla Clio nera di LUCA LUCCI,
il 31 ottobre 2006 LC andò ad
appostarsi sotto casa
dell’avvocatessa Maria Spinella
prima di crivellarla di colpi. E
con la stessa auto fuggì a
Courmayeur dopo il delitto. A
passargli l’auto fu DC,
rapinatore e spacciatore, amico
d’infanzia del capo ultrà.
Ieri, quando questo singolare
filo rosso tra il mondo del tifo
organizzato e quello del crimine
viene alla luce, LUCA LUCCI
smette improvvisamente di
ridere.
A rivelare il dettaglio è
Celestina Gravina, il pm che
indagò sulla morte
dell’avvocatessa Spinella. Per
caso, la Gravina era di turno
anche il 15 febbraio scorso, la
sera del derby. E si è così
trovata a indagare sulla
spedizione degli ultrà
milanisti, che alle 20.34
scendono dal secondo anello del
Meazza per vendicare l’affronto
di uno striscione strappato. Ne
seguono 55 secondi di follia,
immortalati dalle telecamere
della Digos.
I filmati vengono proiettati in
aula ieri, per la prima volta.
Quando il nastro segna le 20.36
si vede LL che carica il destro
e colpisce in piena faccia
l’interista VM, spaccandogli
l’iride e rendendolo cieco per
sempre dall’occhio destro. In
aula, sono a pochi metri. La
vittima, con l’occhio bendato,
accanto al suo legale Consuelo
Bosisio. Dietro di lui LL,
enorme, con la t-shirt nera
d’ordinanza, guarda scorrere il
filmato delle violenze e quando
il giudice gli chiede se si
riconosce conferma
sghignazzando, «Certo che sono
io, basta vedermi di profilo!».
Poi, non bastasse, si mette a
insultare la vittima, il giudice
lo caccia, e lui continua in
corridoio: «’Sto pezzo di merda.
’Sto scemo».
Sembrerebbe un crudo, banale
trattato di sociologia
metropolitana. I dieci ultrà
sulla panca degli imputati. I
loro amici arrivati a
solidarizzare. I capelli a zero.
Le donne pallide, torve. Nessun
accenno di contrizione. Guardano
scorrere le immagini. Qualcuno
si identifica nelle immagini.
Altri negano di ritrovarsi in
quella ressa di incappucciati,
di black bloc da stadio, di
cazzotti che vanno e vengono.
Poi iniziano gli interrogatori.
Il primo è lui, LL. Racconta
come la Curva sud stesse
preparando la coreografia per il
derby da sei mesi. Che, appena
l’hanno dispiegata, da sotto gli
interisti hanno iniziato a
strapparla. «Siamo scesi per
avere un chiarimento, non per
fare a botte». Ma le immagini lo
ritraggono mentre, come prima
forma di chiarimento, si mette a
distruggere lo striscione della
«Banda Bagaj» interista. E
inizia la sarabanda.
«Siamo tutti ragazzi normali»,
sbruffa. Ma poi arriva la
domanda che non si aspetta. La
faccenda dell’auto del killer.
Apparentemente non c’entra con
il processo, ma getta una luce
diversa sulle sue retrovie. E
costringe a ricordare come non
sia la prima volta che i
Guerrieri Ultras, gruppo che ha
cannibalizzato la curva
milanista, inciampano in una
brutta storia.
«Signore, lei ride troppo e
questo non va bene». LL - un
armadio d’uomo con la testa
rasata e il bicipitone tatuato
- è il capo ultrà del Milan
che al derby di febbraio
rovinò per tutta la vita un
tifoso rivale con un cazzotto
in faccia. Ieri lo processano
insieme a nove camerati di
curva. Lui ghigna, scherza,
insulta la sua vittima e
tratta male il pm. E non sa
che gli sta per piombare sulla
testa una rivelazione che
getta su tutta la faccenda una
luce ancora più cupa: quella
sui suoi legami con il mondo
del crimine organizzato.
Perché fu lui, leader
indiscusso della curva
rossonera, a fornire l’auto
usata dal killer LC per un
delitto efferato, e per poi
lasciare subito dopo la città.
Sulla Clio nera di LL, il 31
ottobre 2006 LC andò ad
appostarsi sotto casa
dell’avvocatessa Maria
Spinella prima di crivellarla
di colpi. E con la stessa auto
fuggì a Courmayeur dopo il
delitto. A passargli l’auto fu
DC, rapinatore e spacciatore,
amico d’infanzia del capo
ultrà.
Ieri, quando questo singolare
filo rosso tra il mondo del
tifo organizzato e quello del
crimine viene alla luce, LL
smette improvvisamente di
ridere. A rivelare il
dettaglio è Celestina Gravina,
il pm che indagò sulla morte
dell’avvocatessa Spinella. Per
caso, la Gravina era di turno
anche il 15 febbraio scorso,
la sera del derby. E si è così
trovata a indagare sulla
spedizione degli ultrà
milanisti, che alle 20.34
scendono dal secondo anello
del Meazza per vendicare
l’affronto di uno striscione
strappato. Ne seguono 55
secondi di follia, immortalati
dalle telecamere della Digos.
I filmati vengono proiettati
in aula ieri, per la prima
volta. Quando il nastro segna
le 20.36 si vede LL che carica
il destro e colpisce in piena
faccia l’interista VM,
spaccandogli l’iride e
rendendolo cieco per sempre
dall’occhio destro. In aula,
sono a pochi metri. La
vittima, con l’occhio bendato,
accanto al suo legale Consuelo
Bosisio. Dietro di lui LL,
enorme, con la t-shirt nera
d’ordinanza, guarda scorrere
il filmato delle violenze e
quando il giudice gli chiede
se si riconosce conferma
sghignazzando, «Certo che sono
io, basta vedermi di
profilo!». Poi, non bastasse,
si mette a insultare la
vittima, il giudice lo caccia,
e lui continua in corridoio:
«’Sto pezzo di merda. ’Sto
scemo».
Sembrerebbe un crudo, banale
trattato di sociologia
metropolitana. I dieci ultrà
sulla panca degli imputati. I
loro amici arrivati a
solidarizzare. I capelli a
zero. Le donne pallide, torve.
Nessun accenno di contrizione.
Guardano scorrere le immagini.
Qualcuno si identifica nelle
immagini. Altri negano di
ritrovarsi in quella ressa di
incappucciati, di black bloc
da stadio, di cazzotti che
vanno e vengono. Poi iniziano
gli interrogatori. Il primo è
lui, LL. Racconta come la
Curva sud stesse preparando la
coreografia per il derby da
sei mesi. Che, appena l’hanno
dispiegata, da sotto gli
interisti hanno iniziato a
strapparla. «Siamo scesi per
avere un chiarimento, non per
fare a botte». Ma le immagini
lo ritraggono mentre, come
prima forma di chiarimento, si
mette a distruggere lo
striscione della «Banda Bagaj»
interista. E inizia la
sarabanda.
«Siamo tutti ragazzi normali»,
sbruffa. Ma poi arriva la
domanda che non si aspetta. La
faccenda dell’auto del killer.
Apparentemente non c’entra con
il processo, ma getta una luce
diversa sulle sue retrovie. E
costringe a ricordare come non
sia la prima volta che i
Guerrieri Ultras, gruppo che
ha cannibalizzato la curva
milanista, inciampano in una
brutta storia.
http://lombardia.indymedia.org/node/17477
DAL MEDIOEVO AL MEDIOEVO, BREVE STORIA DI UNA NAZIONE ALLO SFASCIO....
DOMENICA 30 marzo 2008 muore in una piazzola autostradale un ragazzo di 28 anni tifoso del Parma, travolto da un pullman in fuga di tifosi juventini, era in programma Juventus-Parma,dopo il tentativo, da parte dei tifosi del Parma,di aggredire quelli della Juventus per "vendicare" gli scontri che si ebbero all'indomani di un Parma-Juventus del 2005, scontri che costarono il divieto di frequentazione di tre anni comminato al medesimo tifoso parmigiano poi ucciso nella piazzola. Andare in giro con dei colori addosso è diventato un enorme rischio per tutti, a prescindere dall'appartenenza ad una presunta tifoseria organizzata. Una logica medioevale che ha preso piede in una nazione vuota, completamente svuotata di significati, per cui è lecito e logico ammazzarsi per un mondo perlinato di miliardari, piuttosto che impegnarsi quantomeno nel cercare di fare meno danni possibili quando ci si muove. Code in ogni dove, qualsiasi interstizio è riempito da parcheggi, auto e Centri Iper Commerciali con rimesse sotterranee a 100 metri di profondità rasentando le falde acquifere. Un paese spogliato, inquinatissimo, sostanzialmente invivibile socialmente ha creato questi vuoti pneumatici che si riempiono di scaramucce artificiose tra parti di fazioni risultato di macerie post-comuniste/neo-fasciste/consumiste. Una medioevalizzazione aggiornata al terzo millennio che, partendo da una economia statual-familiare-clientelare italiota delinquenziale, Garrone presidente della petrolchimica Erg e della società sportiva Sampdoria che vuole i contributi statali del Cip6-Enel per stoccare i suoi rifiuti tossico-nocivi nell'Etna previa autorizzazione del Ministero dell'Ambiente ( intervista documentata da Beppe Grillo nello spettacolo Reset, ndr) come specimen di una schiera spaventosa di personacce insediate contemporaneamente in 3-4 consigli di amministrazione di aziende che dovrebbero essere l'ossatura produttiva di una nazione, finisce nel liquame di una società scorporata di infinitesimali interessi egoistici senza la pur minima tensione sociale. In questo spurgo disintegrato si "illuminano" queste morti, questi assassinii voluti e confezionati così come sono volute le morti a migliaia sui posti di lavoro di una nazione economicamente barcollante tra la servitù della gleba ed il mega capitalista-latifondista ante rivoluzione industriale. Ma non è l'inizio questo: è la fase finale di un processo che, nel caso specifico del così detto calcio, ha avuto origine negli anni sessanta, gli anni del boom economico, anni che videro il primo morto da stadio nel 1963 a Salerno, durante Salernitana-Potenza, tal Giuseppe Plaitano morto a seguito delle botte seguite dagli scontri avvenuti tra tifosi e forze di polizia dopo che veniva annullato un gol alla Salernitana. Quella morte "collaterale" fu il segno del "cambiamento dei tempi" dato il sorgere della STRATEGIA DELLA TENSIONE voluta da servizi segreti destrorsi deviati che disseminavano bombe ed attentati in tutta la penisola per contrastare la regal borghesia sinistrorsa annoiata che si industriava nel terrorismo "romantico" che doveva scuotere le masse proletarie. Quelle scaramucce, che lasciarono parecchi morti "sfigati", nel senso che si ritrovarono lì per caso, non per scelta, che andarono ad esaurirsi biologicamente, nel senso che i ventenni sessantottini, diventarono i trentenni settantottini pronti ad accogliere "l'onda lunga" del rampantismo tangentocrate italiota, quella classe dirigente oggi verso la gerontocrazia clerical-sovietica sempre ad impastare nei discorsi elettorali le stesse medesime cose che farfugliavano alla fine dei settanta: sicurezza, sviluppo, più ricchezza, meno tasse, si spostarono negli stadi, visti con lungimiranza come nuovo teatro di pseudo scontro di masse impastate: nel 1979 così a Roma, con una scacciacani, un tifoso della Roma ammazzava un tifoso della Lazio, Paparelli. Da lì in poi, mentre i brigatismi rifluivano tra morti, incarcerati a vita, fuggitivi, riplasmati nelle televisioni private, voltagabbana, giornalisti prezzolati come prime penne intellettuali, iniziò una straordinaria discesa: nel 1983 all'indomani di Milan-Cremonese un tifoso del Milan, Fonghessi, veniva accoltellato a morte da altri tifosi del Milan. Vistisi in difetto, i tifosi "organizzati" dell'Inter cercarono subito di "pareggiare" i conti accoltellando un tifoso dell'Austria Vienna all'indomani di Inter-Austria Vienna di coppa Uefa del 1983. Nel frattempo si moltiplicavano gli scontri tra tifoserie con contusi, feriti gravi....Dai e dai i tifosi dell'Inter pareggiavano i conti durante la trasferta Ascoli-Inter del 1988, quando il tifoso ascolano Filippini ci lascivaa la pelle durante gli scontri con i supporter neroazzurri. Gli ultras rossoneri non rimasero a guardare: nel 1989 durante Milan-Roma muore un giovane tifoso romanista colto da infarto mentre scappava da una carica dei supporter rossoneri. I neroazzurri tentano il "pareggio" durante un Inter-Napoli del 1990 passato alla storia per gli striscioni antisemiti esposti sfruttando le travi di sostegno della copertura dello stadio. Il pareggio vero e proprio arrivava durante un Inter-Cagliari del 1991 quando moriva un ragazzo volando da una delle torri che porta agli spalti in circostanze misteriose. Nel maggio 1993 all'altezza della stazione di Arquata Scrivia, si scatena una battaglia campale tra i tifosi del Milan e quelli della Sampdoria, i cui treni speciali per tifosi incrociavano proprio in quella stazione. Non ci scappa il morto solo per miracolo, tuttavia i supporter rossoneri si "riportano in vantaggio" nel 1995: durante la trasferta Genoa-Milan moriva il tifoso del Genoa Spagnol accoltellato a morte da Simone Barbagia, un neotifoso del gruppo "Brasati". Nel frattempo la liceità dello scontro si era pervasa di simbologia neonazista: solo il decreto Mancino sulla sicurezza negli stadi del 1993 impose lo scioglimento del gruppo SKIN INTERISTA appostatosi nella così detta Curva Nord. Il 1995 segna una ulteriore involuzione in quanto lo scontro ed il morto viene cercato a prescindere dalla partita e non necessariamente nei pressi dello stadio. Infatti nel 1994, 30 gennaio, Salvatore Moschella, 22 anni, muore gettandosi dal treno su cui viaggia dopo essere stato aggredito con alcuni tifosi del Messina di ritorno dalla trasferta di Ragusa. I siciliani prima lo picchiano e poi continuano a infastidirlo. Moschella, nel cercare una via di fuga, si getta dal finestrino, mentre il treno rallenta in prossimità della stazione di Acireale. E ancora: il 24 maggio 1999, la mattina seguente la partita tra il Piacenza e la Salernitana, sfida decisiva per la permanenza in serie A, il treno speciale che riporta a casa gli oltre 3 mila tifosi campani, proprio in prossimità della stazione di Salerno, prende fuoco in una galleria. Nel rogo, appiccato dagli stessi tifosi, perdono la vita quattro giovani supporter granata. La cadenza si accelera: il 17 giugno 2001 a Messina si disputa l'acceso derby con il Catania, decisivo per la promozione in serie B. Tra le due tifoserie prima della partita si verifica un reciproco lancio di oggetti. Dal settore degli ospiti viene lanciata una bomba-carta che esplode in mezzo ai tifosi della Curva Nord e ferisce Antonino Currò, 24 anni, il quale finisce in coma e dopo pochi giorni muore. Poco prima i tifosi interisti, ancora in difetto nei confronti del "derby" dei morti con i "cugini", tentarono di scaraventare un motorino dal secondo anello della Curva Nord al primo durante Inter - Atalanta, solo la transenna della curva ha impedito la caduta del mezzo sopra la testa delle persone che assiepavano la parte sottostante. Le pesantissime squalifiche comminate alle società di calcio responsabili dei propri tifosi, nella fattispecie all'Inter fu inibito lo stadio di San Siro per 4 giornate disputando le partite casalinghe a minimo 300 chilometri di distanza da Milano per motivi di sicurezza, non interrompono la discesa:il pastone della faziosità infatti coinvolge le stesse forze di polizia che si distinsero "brillantemente" nel pestaggio reiterato e folle durante il G8 di Genova, pestaggio che produsse la reazione delle persone e la morte del giovane Giuliani ucciso da un altrettanto giovane Carabiniere, tal Placanica. E' un ulteriore salto verso il basso: Il 20 settembre 2003, finisce in tragedia il derby Avellino-Napoli. Muore Sergio Ercolano, ventenne tifoso partenopeo, precipitato nel vuoto durante gli scontri tra tifosi e polizia. In questo caso la società Napoli fu obbligata a giocare fuori dallo stadio casalingo per otto partite. Non basta: le forze di polizia furono accusate, durante il derby Roma-Lazio del 21 marzo 2004, di aver investito un bambino durante gli scontri con le tifoserie giallorossa e bincoazzurra, e per questo la partita fu sospesa. In realtà la notizia era falsa. Nell'aprile 2005 i supporter nero azzurri dell'Inter sospendevano il derby di Coppa dei Campioni con un fittissimo lancio di fumoggeni in campo dopo l'annullamento di un gol dell'Inter: siamo al tutti contro tutti, ovvero i gruppi "disorganizzati" si scontrano contro i loro stessi dirimpettai, contro la polizia e contro le stesse società per le quali fanno il tifo. All'indomani di questa partita veniva emesso il decreto Pisanu sopra la "sicurezza degli stadi", introducendo il biglietto nominale, il divieto di trasferta, il divieto di striscioni e l'ingresso elettronico scannerizzato. Nonostante ciò il tutti contro tutti segnò il derby siciliano tra Catania e Palermo del 2 febbraio 2007. Nella battaglia campale rimane sul campo l'ispettore di polizia Filippo Raciti, le cui dinamiche della morte sono ancora da stabilirsi con precisione. Non finisce quì: nel novembre 2007, in una piazzola di sosta dell'Autostrada del Sole, all'altezza di Arezzo, muore Gabriele Sandri, ucciso da un colpo di pistola di un poliziotto che interveniva per dividere le tifoserie laziali e juventine che erano venute al contatto. Scoppia una mezza rivoluzione a Milano, Bergamo e Roma con i gruppi ultras che prima sospendono le partite Inter-Lazio, Atalanta-Milan e Roma-Cagliari, e poi si scagliano contro le stazioni di polizia con l'intento di "vendicare" la morte del "loro commilitone"...in mezzo l'Italia vinceva il mondiale di calcio nel 2006 con lo scandalo del calcio scommesse che coinvolgeva arbitri, società di calcio e le stesse strutture che regolamentano quello che chiamano sport.
A quanto pare, questa accozzaglia di fascisto-delinquenti, coopta al loro interno persone “ben accavallate” di danari,come la ragazzetta di cui sopra, perché, come diceva Lenin,anche le rivoluzioni costano. Di rivoluzionario ivi non c’è nulla: solo la possibilità di avere un “rifugio” sicuro quando magari i parchi sono “troppo affollati” per lo “spacciottamento”,oppure quando non ci sono in vista “cene di gala”, così come ci illustra Davide Milosa de “IL MANIFESTO”.
Galliani e i Guerrieri di natale:cronaca di una serata tra il fior fiore della società
tratto dal
"MANIFESTO" del 28 Dicembre 2008
di Davide Milosa
MILANO - Le relazioni pericolose
tra club e capi-tifosi, con
scorta e processo in corso Alla
festa della Curva sud, l'ad
rossonero e gli estorsori del
Diavolo
Il vicepresidente del Milan ed
ex titolare della poltrona più
alta in Lega calcio, Adriano
Galliani, utilizza la scorta di
Stato per recarsi a incontri con
persone dalle quali gli agenti
di polizia dovrebbero
proteggerlo. Risultato: spreco
inutile di denaro pubblico. Un
brutto pasticcio di cui dovrà
prendersi carico il ministro
dell'Interno Roberto Maroni,
storico tifoso dei colori
rossoneri.
Lo strano cortocircuito va in in
scena a Milano. Pochi giorni
prima di Natale in un noto
ristorante del centro. Nel
locale parte il primo e gli
altri vanno dietro. Una, due,
tre volte. Canzoni da stadio.
Fermi, poi di nuovo insieme.
Come in curva. Anzi meglio. Qui
c'è pure da bere e da mangiare.
Le teste rasate non si contano.
Sono in tanti. Pigiati in un
piccolo ristorante di Brera. Di
solito qui si mangia carne
argentina. Questa sera si
festeggia il gruppo Curva sud,
tifo organizzato del Milan. Sta
scritto ovunque: sullo
striscione appeso alla parete,
su felpe e magliette. E' natale.
Per la precisione il 19 dicembre
2008. E vuoi che tra tanta gente
non ci sia un diffidato. Più
d'uno. La scelta è vasta: lancio
di fumogeni, rissa, resistenza.
Condannati, poi rilasciati, di
nuovo riacciuffati. Vita da
ultras. Nessuno ci fa caso.
Quello che conta sono i colori.
Storia antica quella della curva
rossonera. Gloriosa addirittura.
Per conferma chiedere a
Giancarlo Capelli, alias il
Barone, vecchio cuore rossonero,
capobastone del territorio
curvaiolo con lasciapassare per
tribune vip e transoceaniche a
bordo dell'aereo milanista.
All'adunata ci sta pure lui.
Bello con i suoi occhialetti
bicolore. Canta e si diverte. Ma
non dimentica la galera.
Annusata per qualche settimana.
Motivo: estorsione al Milan. Lui
più banderuola che bandiera. Ci
ha provato e gli è andata male.
E per questo a gennaio sarà alla
sbarra. Non da solo, ovviamente.
Ma con altre sei persone
arrestate dalla Digos di Milano
nel maggio 2007. Balordi di
professione come Giancarlo «Sandokan»
Lombardi, origini casertane,
capo armato dei Guerrieri Ultras
della sud indagato anche per
tentato omicidio. O come
Marietto Diana, precedenti per
armi e droga. Lombardi il 19
dicembre è in Costa Rica. Mentre
Marietto e lì assieme a Barone.
Tutti dovranno rispondere a
vario titolo di associazione a
delinquere, estorsioni, violenze
e minacce.
Il bello, però, deve ancora
arrivare. In tarda serata,
infatti, tra le tante teste
pelate più di tutte brilla
quella di Adriano Galliani,
vittima delle estorsioni e ad
oggi parte lesa con la società
nel processo che si svolgerà nei
prossimi mesi. Galliani sorride
imbustato nel suo completo
d'ordinanza: giacca blu e
cravatta gialla. Parla anche.
Dice che lui di quelle
estorsioni non sa nulla e
soprattutto, riferisce chi a
quella festa c'era, promette
nuove aperture a quei capitifosi
che fino al maggio 2007 si
spartivano i guadagni dei
biglietti per le trasferte.
Perché fino ad allora Barone,
Lombardi e Diana avevano
l'abitudine di fare la voce
grossa in società. E se Galliani
tergiversava, loro, beati, se ne
andavano a bussare alla porta
del presidente Berlusconi.
Dopo gli arresti di maggio e
alcune minacce anonime, il
Prefetto di Milano ha deciso di
dare la scorta a Galliani. Gente
della polizia pagata con soldi
pubblici. Agenti scelti
incaricati di seguirlo ovunque.
Fin dentro la tana del lupo, nel
frattempo diventato del tutto
mansueto, visto che tra Barone,
Diana, Luca Lucci, reggente
della curva in nome e per conto
di Lombardi, e Adriano Galliani
il 19 dicembre sono stati solo
baci e abbracci. Scontato, a
questo punto pensare che
l'emergenza sia passata e che il
ministro Maroni decida di
togliere la scorta a Galliani.
Perché la linea dura deve valere
per tutti: ultras e dirigenti.
Su questo lo stesso capo del
Viminale, il 16 settembre scorso
non aveva dubbi: «Se si vuole
salvare il calcio, le società
devono mettersi in prima fila e
isolare i violenti».
Intanto, poche ore prima del
pasticcio del 19 dicembre, in
via Vittor Pisani, sempre a
Milano, Galliani sta seduto ai
tavoli di Giannino, locale di
gran lusso, meta fissa di
calciatori, veline e politici.
Con lui il figlio, ultras in
borghese e consigliere del padre
in fatto di calciomercato. Si
mangia bene da Giannino. Poi
ecco comparire il Barone. Lui è
sorpreso. Galliani pure. Quattro
parole per condire la scena di
un incontro casuale e il
vicepresidente salta sull'auto
della scorta che si mette dietro
a quella del Barone. Quindi
l'incontro con gli ultras
immortalato da almeno tre
fotografie. Tutto concordato?
L'ipotesi appare quasi una
certezza se si ricorda ciò che è
avvenuto il 14 dicembre negli
studi di Mediaset. La giornata
di campionato si è appena
conclusa con il posticipo
Juventus-Milan. I rossoneri
hanno perso 4-2. In studio a a
Controcampo si commentano le
immagini. All'improvviso un
gruppo di ultras milanisti fa
irruzione. E' gente piuttosto
arrabbiata. Molti sono andati a
Torino senza biglietto e non
sono entrati allo stadio. Urlano
che vogliono i biglietti.
Qualcuno in studio si spaventa.
La sceneggiata dura pochi minuti
e si conclude all'esterno degli
studi di Cologno Monzese con
tafferugli vari fra carabinieri
e tifosi. Ci scappa pure un
fermo. Come si diceva, vita da
ultras. Il giorno dopo, il fatto
viene tenuto basso, soprattutto
dai Tg di Mediaset. Riferito
solo nella cronaca e non nel
retroscena di alcuni capitifosi
che da casa, guardando la tv,
comandavano il blitz con il
cellulare.
Alla Digos, però, hanno le idee
piuttosto chiare: Juve-Milan non
c'entra, c'entrano i biglietti
per le trasferte, quelli che
prima degli arresti del 2007
gestivano Barone e Lombardi e
che ora restano in mano alla
società. I capitifosi, che in
questi mesi sono tornati in
libertà in attesa del processo,
hanno rialzato la testa.
Minacciano contestazioni e lanci
di fumogeni organizzati per far
prendere multe salatissime alla
società. Tutto come scritto
nell'ordinanza d'arresto:
torciate a comando, ordini
impartiti via sms.
C'è di più, però: l'ombra della
criminalità organizzata che come
a Napoli, anche a Milano
infiltra le curve. L'inchiesta
ha messo a fuoco strane alleanza
tra tifosi della Juve e del
Milan. Un patto di ferro stretto
tra Lombardi e uno dei capi dei
Viking bianconeri, la cui sede,
stranamente si trova a Milano.
Il progetto nasce nel 2005.
L'obiettivo è lo scioglimento
della Fossa dei leoni, gruppo
storico del tifo italiano, per
controllare l'intera curva. La
cosa avviene puntualmente. Nel
frattempo, Sandokan Lombardi si
è già comprato i capi delle
Brigate Rossonere, altra sigla
del tifo milanista, con promesse
di denaro. Nel Risiko curvaiolo
restano fuori i ragazzi dei
Commandos tigre: il 16 ottobre
2006 davanti a un centro
commerciale viene gambizzato uno
dei capi. Il 27 gennaio 2007,
prima di Milan-Roma, Walter
Settembrini, altra figura
storica dei Commandos, viene
pestato a sangue in piazzale
Axum davanti a migliaia di
persone.
A questo punto la curva è roba
di Lombardi e pochi altri. Un
territorio franco dove tessere
affari di ogni genere. La droga
è uno di questi. Tanto più che
l'uomo dei Viking è imparentato
con la famiglia di 'ndrangheta
dei Rappocciolo. Gli uomini
dell'antimafia lo ritengono
«abilissimo a far perdre le
proprie tracce» soprattutto «per
il suo inserimento in circuiti
criminali di elevato spessore».
Nel 1998 a Milano partecipa a
una sanguinosa sparatoria. Lui
dalla parte degli uomini di Cosa
nostra e della 'ndrangheta
contro i serbi di Dragomir
Petrovic. Obiettivo: il monopolo
del traffico di droga. Di più:
il cognome Rappocciolo è
stranoto all'antimafia milanese
e presente nell'ultima grande
inchiesta che ha svelato le
infiltrazione del boss calabrese
Salvatore Morabito fino dentro
l'Ortomercato e ai piani alti
del palazzo Sogemi, la società a
partecipazione comunale che lo
gestisce. Non è finita. Perché
tra i picchiatori di Sandokan
c'è uno dei boss delle case
popolari di via Flaming, zona
ovest di Milano, già condannato
per l'omicidio del figlio del
superboss calabrese Santo
Pasquale Morabito. Un tipo tosto
legato ai clan Barbaro e Papalia
che regnano nell'hinterland sud
della città. La storia criminale
c'è tutta. «Tanto più -
confidano alcune ragazzi della
curva - che questi girano sempre
ben accavallati (armati, ndr)».
Hanno luoghi di ritrovo,
imboschi e una ragnatela di
rapporti con i più importanti
trafficanti di droga di Milano.
Fatti, questi, ben noti ad
Adriano Galliani che così, dopo
l'irruzione di Mediaset, annusa
l'aria. Tanto più che da mesi la
squadra gioca male e non fa
risultati. Cosa che non piace
alla proprietà. A Milanello
qualcuno parla di una
rifondazione. Berlusconi junior
vorrebbe la testa di Galliani e
Ancelotti. Insomma, le acque
sono agitate, meglio non creare
ulteriori increspature. Da qui
l'incontro di Brera, voluto
dallo stesso dirigente rossonero.
Un incontro gestito male.
Azzardato. E dove le parole del
vicepresidente vengono lette dai
capi come la promessa di
riaprire i rubinetti dei
biglietti per le trasferte come
era già cattiva abitudine fino
alla finale di Champions league
ad Atene nel 2007. Allora il
giro d'affari ruotava attorno ai
due milioni di euro l'anno.
Il capo dei Commandos, qualche anno prima, non poteva entrare allo stadio. Però alla festa del Milan campione d’Italia, nel 2004, aveva un tavolo accanto a quello del presidente Berlusconi. «Noi siamo soliti festeggiare con la nostra famiglia allargata», dice la società. Una definizione che comprende sia il presidente della Regione Formigoni e l’allora sindaco di Milano Albertini, sia una quindicina di ultrà esponenti deiCommandos, delle Brigate Rossonere, e della (oggi sciolta) Fossa dei leoni. Un frammento dei rapporti pericolosi che Inter e Milan intrattengono con i «cattivi» delle curve. Rapporti leciti,ma alla base di un giro d’affari da milioni di euro, della gestione di un potere su migliaia di ultrà, e di un meccanismo di ricatto più o meno latente verso i club. Che negli ultimi mesi è sfociato in unatentata estorsione ai danni dei rossoneri.Concolpi di pistola e un pestaggio.
Equilibrio
sottile
Rapporti a rischio. I capi
ultrà viaggiano spesso sugli
stessi charter che portano i
giocatori e i dirigenti. «Ma
volano a loro spese», fanno
sapere da Milan e Inter.
Entrano negli spogliatoi di
San Siro e nelle aree vip.
Perché i leader della curva
possiedono pass nominali, con
tanto di foto per «muoversi
liberamente in ogni settore
dello stadio, compresi gli
spogliatoi dei giocatori »
(deposizione di un dirigente
del Milan). Lostesso succede
per l’Inter.Avolte, i legami
diventano lavorativi. Come per
un esponente di Alternativa
rossonera, impiegato in un
ufficialissimo Milan point.
Infine, sul sito delle Brigate
rossonere Gilardino, Inzaghi,
Kakà e Gattuso mettono
gratuitamente a disposizione
la loro (costosa) immagine per
pubblicizzare magliette,
cappellini e felpe del gruppo.
Fin qui, niente di illecito.
Solo la prova di una certa
contiguità tra le società e i
gruppi di tifosi più estremi.
Di contatti che vengono
considerati inevitabili. E da
coltivare: servono a
«responsabilizzare» i capi dei
tifosi, con il risultato «di
essere una delle squadre meno
sanzionate in Europa e in
Italia», come chiarisce un
responsabile del Milan in un
verbale della Digos. Il fatto
è che l’equilibrio è fragile.
E il confine tra rapporto
corretto e complicità sottile.
Il patto
nerazzurro
Quindici maggio 2005, a San
Siro si gioca la partita
Inter-Livorno. In curva Nord,
quella nerazzurra, compare una
croce celtica. Sventola per
pochi minuti, poi viene
ritirata. Cosa è accaduto? Un
responsabile della polizia ha
avvertito un referente della
curva, che ha girato
immediatamente l’ordine: «Fate
levare quella roba». Il
magistrato che ha indagato
sugli ultrà interisti parla di
collaborazione «efficace». È
il sistema nerazzurro, per
come è stato ricostruito dagli
investigatori. Funziona così:
concessione di benefici
«limitati» ai capi-curva in
cambio di una sorta di
«servizio d’ordine». Il tutto
sotto la supervisione della
polizia, che però non compare
mai sugli spalti. L’Inter
assicura cinquanta biglietti
omaggio «consegnati a Franco
Caravita (leader della curva
Nord, ndr) e da questi gestiti
con successiva distribuzione »
ad altri esponenti degli
ultrà. La contropartita, per
l’immagine e per le casse di
una società di calcio, è
enorme: una curva calma,
niente guerriglia urbana
(rarissima fuori da San Siro
negli ultimi anni), poche
multe per incidenti e lancio
di fumogeni. Ma come: si
tratta con i «cattivi»? Ci si
affida a loro per il servizio
d’ordine, anche se alcuni
hanno precedenti penali? E
qual è il limite di questi
accordi? La risposta l’ha data
il pm Fabio Roia chiedendo
l’archiviazione dell’indagine
sul lancio di fumogeni che
portò all’interruzione del
derby diChampions del 12
aprile 2005: «È evidente come
questa intesa possa suscitare
qualche perplessità sotto il
profilo etico e della
eventuale prospettiva
investigativa, ma la gestione
dell’ordine pubblico in
situazioni di particolare
complessità comporta una
visione ampia e flessibile del
problema». Un pragmatismo
efficace da un lato,mache
dall’altro rappresenta una
sorta di resa del sistema
calcio: le società sono i
«soggetti deboli» per il
principio della responsabilità
oggettiva (le intemperanze dei
tifosi si pagano con multe e
squalifiche del campo);
polizia e carabinieri non
entrano mai nelle curve di San
Siro per evitare «possibili
provocazioni», eun anello
chiave della sicurezza sono
gli ultrà stessi. Viene da
pensare: ma cosa succede negli
stadi italiani se questo
modello,come accertato dopo
mesi di indagine, è il
risultato della «bonifica
culturale» del presidente
Moratti? Se il calcio è una
macchina da soldi, 3 per cento
del Pil, le curve tentano di
ritagliarsi la propria fetta.
Il tifo che diventa mestiere.
Il giro d’affari
Primo: i biglietti per le
trasferte. Di solito le
società li vendono ai
rappresentanti della curva.
Niente di illecito.Maquesto
cosa comporta?Unodei capi
ultrà del Milan haammessodi
rivenderli a 2-3 euro in più.Edè
il primo ricarico. Sui
biglietti si fonda poi
l’organizzazione dei viaggi:
pullman e treni per le
trasferte più vicine, aereo
per quelle distanti. I
curvaioli comprano il
pacchetto completo. Che
comprende, ovviamente, altri
ricarichi. Moltiplicando per
le 18 trasferte di campionato,
più quelle di coppa Italia e
di Champions, alle quali
partecipano in media, per le
squadre milanesi, tra le mille
e le 4 mila persone, si scopre
che una stagione calcistica
può fruttare 5-600 mila euro.
Sottobanco poi, è un’altra
storia: biglietti regalati,
venduti sottocosto o pagati
inmododilazionato. Per l’Inter
la magistratura ha escluso
questa prassi, sul Milan (come
parte lesa in un tentativo di
estorsione da parte di gruppi
ultrà) c’è un’indagine in
corso. «Ma per società molto
importanti — spiega Maurizio
Marinelli, direttore del
Centro studi sulla sicurezza
pubblica— l’omaggio può
arrivare anche a un migliaio
di biglietti». In questo caso
gli introiti per gli
ultrà-affaristi si
moltiplicano. «I capitifoseria
hanno un potere enorme
—aggiunge il procuratore capo
di Monza, Antonio Pizzi, che
ha condotto l’inchiesta oggi
passata a Milano —. Ricattano
le società che forniscono loro
biglietti sottocosto o in
omaggio. Il giro d’affari per
una curva è nell’ordine di
milioni di euro».Aquesto fiume
di soldi bisogna aggiungere
gli aiuti per le coreografie
(negati dalle società) e la
vendita dei gadget: cappelli,
felpe, magliette. Questa è la
montagna di soldi da spartire.
Che non arriva a tutta la
curva, manelle tasche dei
pochi che comandano.
Conseguenza: i capi degli
ultrà milanesi pensano più
agli affari che alla violenza.
Ma appena gli equilibri si
spostano, c’è qualcuno che per
entrare nel business è pronto
sparare. È quel che sta
succedendo intorno a San Siro.
La tentata
estorsione
Nell’autunno 2005 si scioglie,
dopo 37 anni, la Fossa dei
Leoni. È un gruppo storico del
tifo rossonero, ma ha due
macchie: è l’unico rimasto di
sinistra e non risparmia le
critiche alla società. La
ragione dello scioglimento
sembra tuttadacercarsi dentro
il codice d’onore ultrà: i
Viking juventini hanno rubato
lo striscione alla Fossa, che
per la restituzioneha chiesto
la collaborazione con la Digos.
Questa storia è anche un
pretesto. In realtà, c’è già
un nuovo gruppo, di destra,
che sgomita per la leadership:
i Guerrieri ultras. I
Guerrieri si sarebbero alleati
con le Brigate Rossonere. I
Commandos vanno in minoranza.
E pagano. «I nuovi cominciano
a sgomitare. In due direzione:
per guadagnare spazio nella
curva e per ottenere il
riconoscimento dalla società.
Che consente di partecipare al
giro d’affari» spiega un
investigatore. Così, l’ottobre
scorso, due uomini in moto
sparano alle gambe di A. L.,
32 anni, esponente dei
Commandos, davanti a un
supermercato di Sesto San
Giovanni. Il 25 gennaio, un
altro leader dello stesso
gruppo viene picchiato fuori
da San Siro da sette persone
(due sono state arrestate e
stanno per andare a processo).
È conciato così male che
ancora oggi non si sa se ce la
farà. Intanto, i Guerrieri
chiedono biglietti alla
società. Forse anche
abbonamenti. Mail Milan, per
due volte, rifiuta. E,
combinazione, subito dopo per
due volte dalla curva piovono
fumogeni: Milan- Lilla, 6
dicembre, e Milan-Torino, 10
dicembre 2006. Il Milan
annuncia una linea più dura:
taglia i pass. Galliani va in
procura a Monza, che nel
frattempo ha indagato dieci
ultrà:«Manon sono io che mi
occupo di queste cose». Non
c’è stata nessuna denuncia. La
procura è arrivata alla
tentata estorsione indagando
sulla sparatoria. «Nei nuovi
gruppi di ultrà—rivela
uninvestigatore — ci sono
molti delinquenti comuni, con
precedenti per spaccio e
rapine». Sicuri che valga la
pena tenerli in famiglia?
I MAFIO-FASCISTI:I NUOVI DELINQUENTI
DOPO LA RISSA DEL DERBY,LA FRANGIA NERA ESTREMISTA tenta di schiacciare i vertici berlusconiani
Fischi, striscioni,
contestazione
l'amara partita di Berlusconi
Tifosi rossoneri contro il
presidente del Consiglio:
"Sono anni che compri bidoni e
figurine, quest'anno chi
compri...veline?"
di FABRIZIO BOCCA

MILANO - Nel giorno della festa di Maldini, settantamila persone con una sciarpa celebrativa in mano, lo stadio di San Siro ha messo in scena anche una contestazione alla società e a Berlusconi, arrivato allo stadio proprio per festeggiare l'addio al Meazza del capitano rossonero. Ma ha trovato un clima molto diverso da quello che si aspettava. Dal secondo anello della curva sud dello stadio, dove risiede il tifo ultrà rossonero, sono arrivati anche fischi indirizzati alla società e al presidente del Milan. E soprattutto sono stati esposti pesanti striscion di contestazione. Il più pesante questo: "Sono anni che compri bidoni e figurine, quest'anno chi compri ... le veline?".
Per l'intero corso dell'anno i duri del tifo rossonero hanno contestato la società e Adriano Galliani se ne era anche lamentato in più di un'occasione dicendo che in altri paesi tutto questo non succede, che i tifosi sono molto più vicini alla squadra e alla società. Alternando anche insulti ai tifosi della Roma, gli ultrà sono andati però sul pesante: "Vendi kakà per risanare la società, e non spendi più i tuoi milioni . Caro Berlusconi grazie di tutti e vai fuori dai c....". Un altro ancora molto più secco: "Devi spendere!".
Parte del tifo si oppone anche alla separazione del Milan da Ancelotti dopo otto anni di panchina e numerosi successi tra cui due Champions League: "Carletto uomo di onestà vittima perdente di questa società". Altri attestati di stima nei confronti di Shevchenko. Sfogate le frustrazioni di mercato e contestata la società poi i tifosi hanno preso a sostenere normalmente il Milan in una difficilissima partita contro la Roma.

I rossoneri rischiano di non accedere direttamente alla Champions League: la Fiorentina (1-1 a Lecce) è infatti a tre punti e nell'ultima giornata, in caso di sconfitta a Firenze con più di un gol di scarto, il Milan dovrà passare dai Preliminari.


GLI STRISCIONI - La contestazione verso Berlusconi sta andando avanti anche durante la partita, sempre a colpi di striscioni esposti dalla Curva Sud. «Sono anni che compri bidoni e figurine. Quest'anno chi compri...le veline???», recita uno esposto sul finire del primo tempo. Poco prima due striscioni sono stati dedicati alla situazione di Andriy Shevchenko, l'attaccante che in estate dovrebbe rientrare al Chelsea dopo una stagione di prestito. «Sheva non si vende», era scritto sul primo e il concetto è stato ribadito poi su un altro lungo lenzuolo: «Sheva è un grande uomo e un grande calciatore, il suo futuro deve essere di un solo colore», con l'ultima parola scritta a lettere rossonere.
Maldini vs. Curva Sud: i fatti che hanno portato allo scontro
25.05.2009 10:21 di Pietro Mazzara articolo letto 5033 volte
© foto di Giacomo Morini
Il rapporto tra Paolo Maldini e la Curva Sud si è rotto in maniera definitiva ieri pomeriggio durante il giro di campo effettuato da Paolo per ricevere l'ultimo tributo del suo pubblico. Ma proprio durante questo cerimoniale, la Sud ha esposto in transenna la bandiera dedicata a Franco Baresi, indicato dagli ultras come il "vero ed unico" capitano. Gli screzi tra Maldini e la Sud sono da ricercarsi nella storia triste rossonera. Il primo scontro pubblico si ebbe durante Milan-Parma, stagione 97/98, la prima di Paolo da capitano. Il Milan arrivò decimo dopo i proclami di Capello di inizio stagione e durante la partita con i gialloblu, la Sud diede le spalle al campo, seguita stranamente da tutto lo stadio, prima di dare il via ad un fitto lancio di fumogeni e uova dopo il gol del vantaggio del Parma. Il secondo scontro risale alla finale di Istanbul, persa dal Milan contro il Liverpool. La Sud accusa i giocatori di essersi seduti ed identifica nel capitano l'uomo che avrebbe dovuto far mantenere alta la concentrazione. Infine, l'ultimo episodio si è avuto dopo Milan-Werder Brema di quest'anno, che ci è costata l'eliminazione dalla coppa Uefa. A fine partita, la Sud ha pesantemente fischiato la squadra e Maldini, prima di uscire, portò l'indice alla bocca, facendo segno ai tifosi di stare zitti. Inoltre, come riporta anche il sito della Gazzetta, in un'intervista rilasciata qualche mese fa alla rosea, Maldini aveva dichiarato: "Sono molto arrabbiato, come i miei compagni. Dopo tutto quello che abbiamo dato, fatto e vinto, meritiamo un trattamento diverso. Questo atteggiamento è iniziato nel derby di ritorno dell’anno scorso. Con un aiuto da parte della nostra curva, non avremmo perso quella partita. I motivi? Ci sono motivazioni economiche, giochi di potere. Ma se sono queste le ragioni per andare allo stadio, non so più che cosa pensare. Comunque non è solo la curva a non sostenerci: anche i tifosi degli altri settori se ne stanno zitti. Io credo che quando si canta 'Abbiamo il Milan nel cuore', poi bisogna dimostrarlo. Ormai noi giochiamo in trasferta o in campo neutro: mai davvero in casa. Non mi sembra logico, e la squadra non ci sta più. I fischi a Dida e Gilardino? Non li comprendo. I fischi ci sono sempre stati, ma qui si sta andando oltre. A San Siro si sentono applausi ironici per Dida quando blocca una palla facile. Ma quello è il portiere della finale di Manchester, è un campione d’Europa come Gilardino. San Siro è sempre stato magico: adesso stiamo perdendo questa magia"
«Vogliono
farci le scarpe, tanto poi a
chi gliene frega di dare i
biglietti a loro o di darli a
noi». Così, al telefono,
discutono due ultrà milanisti
del gruppo «Commandos tigre».
In curva sud, al Meazza, è
tempo di faide. Una nuova
formazione è nata, sulle
ceneri della disciolta «Fossa
dei leoni». «Guerrieri ultras».
Cercano spazio tra le frange
del tifo. E, soprattutto,
mirano a un riconoscimento da
parte del Milan. Perché dietro
la fede calcistica, esistono
interessi economici:
il mercato del
bagarinaggio e il
merchandising della curva.
Ogni mezzo è lecito.
Dalle aggressioni ai gruppi rivali alle intimidazioni nei confronti della società di via Turati. E sette «Guerrieri» sono stati arrestati, con l’accusa di associazione per delinquere, tentata estorsione, resistenza a pubblico ufficiale e lancio di oggetti durante una manifestazione sportiva. Nelle scorse settimane, l’ultima minaccia al club. Tagliandi per la finale di Champion’s League di questa sera, «o non saremo più in grado di tenere buoni i ragazzi della curva».
Una «cupola» agli ordini di Giancarlo «Sandokan» Lombardi e Giancarlo Capelli (il «Barone», capo storico della curva rossonera), seguiti da Mario Diana, Claudio Tieri, Alessandro Pozzoli, Marco Genellina, e Federico «Pablo» Zinguerenke. Gli agitatori della «sud», costati al Milan multe e il rischio di vedersi squalificare il campo. Per questo, la società avrebbe dovuto cedere ai ricatti dei «Guerrieri».
Milan-Lilla del 6 dicembre
scorso
.
(A
San Siro vengono accese torce
e fumogeni).
Lombardi invia un sms a
Diana: «Dopo che sono state
accese, ma tante, chiamami».
Pochi minuti dopo, ancora
Lombardi: «Grande, le ho
viste». E poi, «Bella torciata».
L’ultimo messaggio di Sandokan
è delle 21.22, a Pozzoli: «Sì,
camerata,
ma per le torce diffidano il
campo?».
Lombardi, dopo il lancio di
due torce, commenta con
Zinguerenke: «Dici basta?».
Risposta: «Penso di sì,
sicuramente un altro giro è
una botta. L’arbitro ha
scritto».
Ancora Lombardi: «Allora
basta!».
Alle 18.17, Lombardi chiama Pablo: «Ma secondo me, se chiami il Milan e chiedi un incontro adesso te lo danno...».
Questa la pretesa: agire in una «zona franca» e diventare interlocutori della società. Perché «la costituzione dei “Guerrieri ultras” - scrive il gip Federica Centonze nell’ordinanza di custodia cautelare - non è che un pretesto per stabilire una posizione di egemonia che prevede la commissione di delitti anche gravi, quali il ferimento di Avignano (il tifoso aggredito a colpi di pistola lo scorso 16 ottobre a Sesto san Giovanni), lo sfondamento dei cancelli, l’estorsione e che consenta la gestione degli affari che ruotano intorno allo stadio».
In particolar modo, «la gestione dei biglietti concessi dalla società Milan», così da «determinare notevoli introiti per i gruppi organizzati».
L’ultimo business, la
finale di coppa. Il 10 maggio
scorso, Sandokan e il Barone
si presentano nella sede del
Milan. Parlano con la
responsabile del settore
booking della società
rossonera, e con
l’amministratore delegato del
«Milan Entertainment».
Pretendono biglietti per la
partita contro il Liverpool.
La società prende tempo.
I «Guerrieri» chiedono
di incontrare il presidente
Sivio Berlusconi.
L’avvertimento è che «siamo in
grado di condizionare
l’atteggiamento di tutta la
tifoseria ultrà della curva,
verso chicchessia». La
minaccia, più esplicita, è di
non essere più in grado di
«tenere buoni i ragazzi».
Ancora, tra il 14 e il 17
maggio scorso, in via Turati
arrivano e-mail minatorie. Nel
frattempo, la contestazione
monta anche a San Siro.
Striscioni e cori contro
l’amministratore delegato del
Milan, Adriano Galliani. Lo
scorso 9 gennaio, dopo aver
sporto denuncia, Galliani ha
spiegato agli investigatori
della Digos di aver saputo
«dalla Gozzi che le richieste
di questi tifosi riguardavano
disponibilità e gestione dei
biglietti della curva sud», ma
di «non aver mai avuto alcun
tipo di rapporto diretto con
il tifo organizzato».
Condanne miti (l'accusa era tentato omicidio) per Michele Caruso (4 anni e 4 mesi, domiciliari) e Max Colombo (3 anni e 4 mesi, libertà vigilata), detto Nanà, i due ultras milanisti (Brigate rossonere) protagonisti del pestaggio al 42enne Walter Settembrini avvenuto prima di Milan-Roma del 25 gennaio.
La sentenza di ieri, però, conclude solo un capitolo di una storia tutta da raccontare.
A partire dall'ultras del Milan (Commandos Tigre, gruppo di riferimento di Settembrini) gambizzato il 17 ottobre 2006 a Sesto S.Giovanni.
Un fatto che le indagini inquadrano in uno scontro per gli affari (2 milioni di euro l'anno) in curva Sud. Dietro la lotta di potere, scatenata dopo lo scioglimento (oscuro) della Fossa (2005), ci sarebbero pregiudicati legati al crimine organizzato che opererebbero all'ombra di un nuovo gruppo ultras (arrivato dopo la Fossa).
Tra questi un elemento di spicco della banda di narcotrafficanti della Barona - non presente tra i 57 arresti di una settimana fa - , che partecipò alla sparatoria di via Faenza (1998), e un altro coinvolto nell'omicidio di Rocco Lo Faro (1996), figlio del boss della 'ndrangheta Sante Pasquale Morabito.
http://city.corriere.it/news/articolo.php?tipo=cronaca&id=48198&id_testata=2
L’ESTREMA DESTRA
L’uccisione avvenuta il 29 gennaio 1995, prima della partita Genoa-Milan, del giovane tifoso Vincenzo Spagnolo sul piazzale antistante lo stadio Ferraris, colpito al cuore da una coltellata da un ultrà milanista, mise in evidenza una realtà già profondamente mutata.
Dall’inizio di quel campionato si erano, infatti, già formate le “Brigate rossonere due”, una sorta di gruppo informale e clandestino, di struttura parallela al club ufficiale. Al suo interno anche qualche figura proveniente dalla militanza nell’estrema destra. La “rissa” a Genova, come scrissero i magistrati, “era stata da loro programmata”.
Alcuni dei personaggi
coinvolti li ritroveremo
nuovamente, di lì a qualche
anno, implicati in almeno
due altri gravissimi fatti
di sangue:
- il ferimento nell’aprile
1997, sui Navigli, in piena
campagna elettorale, del
consigliere comunale di
Rifondazione comunista
Davide Tinelli,
- l’assassinio di Alessandro
Alvarez, un giovane
neofascista, nel marzo del
2000 a Cologno, nell’ambito
di un mai chiarito
regolamento di conti
sul crinale di
oscuri traffici di armi e
droga. Quest’ultimo
episodio portò alla
rocambolesca assoluzione
dell’unico imputato, un
neofascista a sua volta,
riconosciuto innocente solo
per l’impossibilità di
utilizzare le prove
raccolte, irregolarmente
acquisite dai carabinieri
che sequestrarono senza
autorizzazione un suo
giubbotto con tracce di
polvere da sparo, e
raccolsero illegalmente una
sua deposizione in cui lo
stesso confessava di essere
stato presente al momento
dell’agguato.
I “ GUERRIERI”
Lo scioglimento della “Fossa dei leoni” giunse al termine di un lungo conflitto strisciante, prendendo a pretesto il furto di uno striscione ad opera di ultras juventini.
La “Fossa” venne accusata di aver richiesto l’intermediazione della Digos. Un fatto inaccettabile secondo le regole della curva. Prima le accuse, mai realmente dimostrate, poi le pressioni, le minacce e le aggressioni, infine la decisione da parte dei dirigenti della “Fossa” di abbandonare.
Nel vuoto creatosi si materializzò un nuovo gruppo che ne prese subito il posto, i “Guerrieri ultras”, con il simbolo di un guerriero scozzese. Non spuntavano proprio dal nulla, già presenti in curva, legati come ormai brigate e commandos a consolidati giri di malavita organizzata, colsero solo un’occasione. La curva con i suoi affari, valutabili secondo alcune stime, in due milioni di euro l’anno (tra rivendita di biglietti, gadget, coreografie e organizzazione delle trasferte), rappresentò un richiamo irresistibile.
Così è oggi la curva sud, quella del Milan, con nuovi padroni, in procinto di ridisegnare le gerarchie, non tramite infiltrazioni di tipo politico. I richiami sempre più insistenti alla destra sembrerebbero rappresentare in definitiva solo una conseguenza del prevalere di ambienti criminali, da sempre con spiccate simpatie destrorse.
Due i fatti di cronaca su cui la magistratura sta indagando.
- Il ferimento a colpi di
pistola, il 17 ottobre dello
scorso anno, a Sesto San
Giovanni, di un esponente
dei “Commandos tigre”,
- l’aggressione a Milano,
fuori dallo stadio, il 25
gennaio, ad un altro tifoso
milanista proveniente dai
centri sociali, accusato di
essere un confidente della
polizia. Dieci gli indagati
per il primo episodio, due
le persone arrestate per il
secondo.
IL FATTO - Martedì scattano le manette ai polsi di Giancarlo Capelli, alias "Il Barone", 59enne storico capo della curva rossonera. E poi, ai polsi di Giancarlo "Sandokan" Lombardi, 32enne, Mario Diana, 40 anni, Claudio Tieri, 33 enne, Federico Zinguernke, detto Pablo, 31enne, Alessandro "Peso" Pozzoli, 34 anni e Marco Genellina, 24enne. In effetti nell'ordinanza di custodia firmata dal gip Federica Centonze, ricorrono anche i nomi di Karim Navarrini, Cristian Torti e Davide Maarouf. Per loro tre però il pm non chiede alcuna misura cautelare, visto che non si configura il reato associativo.
LE MOTIVAZIONI - Perchè sono finiti in carcere? Per estorsione ma anche "per tutta una serie di delitti, in occasione e nell'ambito di manifestazioni sportive calcistiche, ed in particolare di reati di porto e lancio di torce ed artifizi pirotecnici e di estorsione, ai danni della società Milan Ac", scrive il gip. In effetti questa dizione generica è solo il preludio a una brutta storia che potrebbe - almeno a livello di ipotesi - essere "replicabile" come modello anche per altre società (ricordate il derby tra Roma e Lazio con i tifosi in campo?).
IL FERIMENTO - Le indagini cominciano con il ferimento di Leonardo Avignano, il 16 ottobre 2006. Il ragazzo "viene attinto da uno dei colpi d'arma da fuoco esplosi al suo indirizzo dal passeggero di una moto che immediatamente dopo si dà alla fuga" presso il Centro Commerciale 'Vulcano' di Sesto San Giovanni. Gli inquirenti indagano e cosa scoprono? Che Avignano risulta "appartenere ad un gruppo organizzato di tifosi ultras denominato Commandos Tigre. Le notizie acquisite in quel frangente dalla Digos di Milano e dalla Ps di Sesto San Giovanni convergono nella direzione di un atto criminale derivato da dissidi e risse verificatisi all'interno della curva ultras milanista, rispetto ai quali l'atto a danno di Avignano sembra avere una finalità punitiva". E qui occorre qualche spiegazione alle carte processuali.
LA STORIA - I Commandos Tigre sono una delle organizzazioni della curva milanista. Nascono poco dopo la Fossa dei Leoni, nata nel 1968. Le “Brigate rossonere”, la seconda formazione per importanza, arrivarono più tardi, nel 1975. Sono gli anni in cui nella curva sud dello stadio di San Siro, protagonisti migliaia di giovani, si sventolava un gran bandierone con il ritratto del Che. Un fenomeno solo in parte imitativo delle grandi manifestazioni di massa dell’epoca. Questo è lo scenario "consolidato" della tifoseria milanista, che poi però comincia a mutare. Dopo un anno dalla discesa in campo di Berlusconi. A mostrare quanto sia avvenuta la virata a destra dei supporter è l'uccisione avvenuta il 29 gennaio 1995, prima della partita Genoa-Milan, del giovane tifoso Vincenzo Spagnolo sul piazzale antistante lo stadio Ferraris. Dall’inizio di quel campionato si erano, infatti, già formate le “Brigate rossonere due”, una sorta di gruppo informale e clandestino, di struttura parallela al club ufficiale. Al suo interno anche qualche figura proveniente dalla militanza nell’estrema destra. La “rissa” a Genova, come scrissero i magistrati, “era stata da loro programmata”.
Non è finita, il tifo è molto agitato al suo interno. In preda a una sorta di convulsione politica. Nell’aprile 1997, sui Navigli, in piena campagna elettorale, viene ferito il consigliere comunale di Rifondazione comunista Davide Tinelli.
Nel marzo del 2000 a Cologno Alessandro Alvarez, un giovane neofascista, viene assassinato. Alla fine, dopo questo travaglio, muore la Fossa dei Leoni. E nascono i Guerrieri, con il simbolo di un guerriero scozzese.
I Guerrieri iniziano a "sgomitare". Non sono entrati in campo per nulla. Il loro intento è mettere le mani su un business molto redditizio, quello della rivendita dei biglietti. Un giro d'affari che viene stimato sui due milioni di euro all'anno.
"Il gruppo dei Gerrieri compare nell'autunno del 2005 - spiegano i magistrati - ad opera dell'indagato Giancarlo Lombardi che, dopo lo scioglimento della storica Fossa dei Leoni, cerca spazio all'interno della curva. Come si vedrà nel proseguio, tuttavia, la presa di posizione di Lombardi e soprattutto il metodo prevaricatore con cui cerca di affermarsi, determinano una serie di tensioni, legate in particolar modo alla gestione dei biglietti concessi a condizioni agevolate dalla società Milan, e fino a quel momento destinate alle formazioni consolidate, quali i 'Commandos Tigre', con il loro referente Michele Cardona, detto 'Ricky', e le 'Brigate rossonere', in persona del loro leader Giancarlo Capelli detto il Barone".
IL BARONE - Capelli, appunto. Il rispettatissimo "Barone". 59 anni, si trova all'improvviso senza organizzazione alle spalle. La Fossa si è sciolta, il leone è fuori dalla gabbia. Cerca un nuovo gruppo da guidare, con l'esperienza e la diplomazia, la forza e il carisma. Per Lombardi, alla ricerca di un posto al sole (e allo stadio) per i Guerrieri, è l'uomo giusto per "sfondare" e imporsi. Ma per fare questo deve prima provocare una rottura del "Barone" con l'altro capo storico, quello dei Commandos, Cardona.
Impresa riuscita, stando alle parole che Simone Chiodi, altro esponente dei Commandos, pronuncia davanti agli inquirenti: "Di certo c'è che il Cardona e il Capelli hanno litigato e da quel momento si può dire che non c'è più unità nella Curva, quasi una sorta di anarchia. Una mia deduzione è che il Lombardi sia riuscito nell'intento di spaccare la Curva per acquisire più potere con il suo gruppo - racconta Chiodi - Ricordo che durante la partita Milan-Torino ad un certo punto il Lombardi venne giù da noi stranamente per la prima volta a vadere la partita. Si fermò infatti per tutto il primo tempo. Quando furono lanciate le torce (in campo, ndr) lui si alzò con le mani ai fianchi guardando prima tutto il nostro settore e poi sopra, non proferendo parola. Noi rimanemmo di ghiaccio. Per la prima volta mi è sembrato che da noi sepreggiasse un senso di impotenza per un'azione che disapprovammo totalmente ma per la quale non abbiamo reagito perché avevamo la consapevolezza di vivere al di fuori delle regole dello stadio da sempre accettate da noi, e all'interno di una logica puramente mafiosa e criminale fatta di ricatti ed intimidazioni".
In pratica il meccanismo è semplice. Torce, bastoni, violenza. Tutto viene utilizzato per prendere il sopravvento all'interno della curva. E per coprire quel buco lasciato vuoto dalla Fossa dei Leoni.
IL MILAN - Ma non è l'unica direzione seguita da Lombardi e Capelli. Perchè l'obiettivo non è solo quello di avere il predominio, ma soprattutto quello di ottenere i tagliandi a prezzi scontati da rivendere. E allora Claudio Tieri, dei Guerrieri, inizia a tempestare di telefonate la società rossonera. All'altro capo del telefono risponde a volte Daniela Gozzi, responsabile della gestione settore stadio, a volte Marco Minorati, addetto al booking.
"Il Tieri continuava ad insistere di voler essere messo in contatto con qualche dirigente della società, minacciando, al contempo, che nel caso in cui la sua richiesta in merito ad un'eventuale distribuzione di bilgietti a favore del suo gruppo, sia da parte della società Milan, che da parte degli altri gruppi Ultras non fosse stata prese in considerazione, di poter causare disordini allo stadio sia tramite lancio di torce in campo che con scontri con gli altri gruppi ultras interni alla curva milanista, anche in occasione della partita del giorno successivo, l'8 novembre 2006", spiega Minorati ai magistrati. Lombardi chiama Tieri proprio l'8 novembre. E una sua frase intercettata è eloquente: "Noi siamo noi, vogliamo farci i cazzi nostri e lì dentro tutti si fanno i cazzi loro, non vedo il motivo perché non dobbiamo avere il filo diretto con la società".
Filo diretto a qualunque costo. E se c'è da portar dentro razzi e mazze, non ci sono problemi. Lo conferma una telefonata del 13 novembre 2006 tra Tieri e Karim Navarrini.
TIERI: Cazzo, mi sono
perso i gadget sabato sera
NAVARRINI: che gadget?
T. Eh il casco, il
manganello, qualche pezzo di
quei poliziotti
N. ahhh
T. Era da scavallargli tutto
N. che non è facile, vuol
dire anche pigliarle se gli
vai sotto per rubargli la
roba è pericoloso. Ho
sentito che li avete
pettinati mica da ridere
T. e minchia Marcone (Genellina,
ndr) sta entrando, aveva una
torcia in tasca, minchia
questo lo ha brancato io mi
sono subito messo in mezzo,
ma oh, ma che cazzo fai,
mollalo gli ho detto,
minchia per una torcia stai
facendo questo bordello,
minchia si gira l'altro,
sbammm, parte con il
manganello
N, oh, ma sei scemo?
T. oh ragazzi, ma siete
fuori? a quel punto lì cosa
abbiamo fatto, io glio ho
dato un caclio a uno, è
arrivato l'altro, il vecchio
di fossa...
N. Pablo?
T. Pab lo, ha caricato di
bestia poi nel frattempo
quell'altro correva dietro a
Marco verso le rampe,
minchia quando quelli lì
sono partiti, gli altri due
li abbiamo mollati un attimo
son partiti, siamo riusciti
a tirargli le manganellate
da dietro, minchia sono
finiti in un angolo tutti e
tre e tutti attorno, la loro
fortuna che è arrivato
Giancarlo che ha detto
"ragazzi lasciateli stare"
N. dopo ti vengono su ad
acchiappare se li ammazzi
eh...
T. va beh, magari li
spaccavi un po', ERA UN
PUNTO DOVE NON C'ERANO
TELECAMERE
MODELLO LAZIO - Sempre Tieri parla al telefono con Navarrini una settimana dopo. E dà un'indicazione interessante.
T. Sembra che la società
si stia ammorbidendo anche
su un discorso di agevolare
bene determinate cose. Se
sti merda invece di pagare
le multe ci girano un po' di
soldi per fare un po' di
cose non sarebbe mica
male...
N. Come fanno alla Lazio che
non pagano le multe e pagano
gli ultrà. Li pagano e basta
T. "almeno darci una mano
nelle trasferte più cazzute,
o regalami il biglietto o
pagami il volo"
T. Dice che la società
dovrebbe agevolarli,
rompendo meno i coglioni,
altrimenti lancerebbero
fumogeni in campo per fare
multare di 250mila euro la
società, "così ci
romperebbero meno il cazzo e
ci darebbero le loro
agevolazioni Alitalia".
N. Se vogliono rompere i
coglioni, romperemo i
coglioni
T. Spacchiamo lo stadio e
glielo buttiamo in campo,
però non lo facciamo alla
partita del Milan ma a
quella dell'Inter, così
almeno squalifichiamo il
campo a loro.
Tieri è sempre più esplicito, e direttamente con il Milan, parlando con la Gozzi. "Da questi biglietti facciamo uscire anche dei soldi che servono a diciamo... dare com un rimborso spese a chi dà una mano a contribuire a far sì che la curva sia sempre piena... Signora i fumogeni si possono eliminare, dipende tutto da voi, gli ho detto. Noi non abbiamo nessun problema a non accendere i fumogeni, dipende da voi! Ho detto, per adesso noi stiamo tranquilli.
L’ORIGINE, DOVE PARTE IL MAFIO-FASCISMO
Contrariamente alla crisi ideologica del mondo che si rifaceva al marxismo, liquefattosi soprattutto per il tracollo economico della nazione di riferimento principale,ovvero l’URSS, il mondo che a vario titolo si è rifatto al nazi-fascismo gode paradossalmente di un mito che sembra eternarlo: ovvero dal fatto che l’Asse (Nero) sia stato distrutto totalmente sul campo,morendo combattendo fino all’ultimo. Questa tensione all’autodistruzione ha finito per avvolgere i sinistri protagonisti di un alone mefitico irresistibile,surreale, cosa che il mondo sovietico, con la sua liquidazione,non ha lasciato ai posteri.
Pomeriggio del 01 maggio 1945. I cadaveri di Hitler, Eva Braun, Joseph e Magda Goebbels bruciavano a Berlino, ma in parecchi si erano scavati una fuga in grande stile dall’ultimo bunker del Fuhrer. Il giornalista argentino americano Uki Goni ha recentemente rintracciato la rete d’uscita nazista spulciando nella filiale di Marktgasse a Berna, in Svizzera. Gli elvetici giocarono per tutto il conflitto su una miriade di tavoli. Da una parte chiudevano il conflitto in Italia attraverso l’avvicinamento del generale SS Wolff,comandante in capo dell’Italia occupata dalla Germania nazista, dall’altra accompagnavano i nazisti all’uscita. Nella rete purtroppo rientrava anche lo stato di Dio in terra, una commistione che la curia naturalmente tiene ben nascosta nei suoi millenari archivi. D’altra parte anche il demonio è, teologicamente, una creatura di Dio. Così nella cattolicissima Argentina, una delle sedi d’arrivo principali per i nazisti in fuga, il presidente Peron dissertava amabilmente col “dottor morte” Mengele sopra vivisezione e mutazioni artificiali dei caratteri esteriori. L’importante colonia ivi stanziata non diede seguito ad una deriva ideologica esplicita. Il peronismo certamente non si presentava e non si presenta come una ideologia. Esso è più che altro un guazzabuglio di tante anime tenute insieme da una figura carismatica. Più attive in Europa le ex SS radunatesi intorno alla figura di Thiriart che fondava la Jeune Europe, una delle internazionali nere che in Italia radunò formazioni come Ordine Nuovo e Quaderni Neri che avevano tra le loro file personaggi come Gaudenti, futuro fondatore di Rinascita Nazionale e , Claudio Orsi, nipote di Cesare Balbo, nonché Marcantonio Bezichieri, dirigente di Fiamma Tricolore. Questa sezione vide poi la fuoriuscita dei cosiddetti Nazimaoisti, infiltratisi nella sinistra extra parlamentare entro l’ampia cornice della strategia della tensione italiana. In Jeune Europe a sua volta sorse il filone comunitarista, una sorta di idea mondialista euro asiatica, un guazzabuglio di idee sociali pseudo sinistrorse che in Italia presero piede all’interno del Fronte Nazionale di Adriano Tilgher che andò a realizzare la rivista Rosso è Nero affiliata al Partito Comunitarista Nazional Europeo sorto in Belgio nel 1984. Definitisi comunitari, propugnavano una preservazione dell’identità radicata sul territorio anche attraverso l’intervento sociale dello stato. Un razzismo patinato, meno cruento: al posto delle camere a gas e dello Zyclon B, muri sopra i mari, schedature dei migranti, ghettizzazione, scorporo delle identità, giustapposizione: “Noi andiamo a vivere presto in comune la nostra vita e la nostra rivoluzione! Una vita comunitaria per la pace, per la prosperità spirituale, per il socialismo.” ( 107, Da un discorso di Adolf Hitler al Reichstag del 1937) La deriva ideologica nazi fascista sembra incanalarsi entro la liquidazione del mondo sovietico avvenuta nel 1989. La disintegrazione della contrapposizione per blocchi ha dato spazio a nuove interpretazioni storiche ed ideologiche nelle quali tutto si confonde soprattutto entro gli schieramenti politici post democratici sempre più espressione di marketing sociali tesi a raccogliere i consensi più disparati saccheggiando l’intero spettro politico da sinistra a destra. A livello teorico tuttavia la commistione tra socialismo in un solo stato e nazional socialismo non sembra un assurdo come dimostrò lo stesso Hitler quando scelse il suo vessillo ( 108, cfrt. A. Hitler, Mein Kampf ) Dalle teorizzazioni anti imperialiste di Rathenau, in Germania circolavano parecchi libelli nazional comunisti come quelli di Laufenberg ( 109, cit. in G. Buonfino, Teatro Totale, Massenspiel, Chorspiel in AA.VV. Avanguardia Dada Weimar, Venezia, 1978, pag. 36-37) ritenuti responsabili, da parte di una certa storiografia, di quella cesura di opposti estremismi responsabile del crollo di Weimar. In realtà in Germania le opposte fazioni si fronteggiavano con violenza ed alla social democrazia si deve semmai il fallimento della costruzione di un socialismo di stato in grado di eliminare le contraddizione tra capitale e lavoro. Contraddizione che i nazisti seppero occultare grazie all’opera di elementi filo sovietici: i fratelli Strasser, come visto nel secondo capitolo del presente libro, e Muchow ( 110, cfrt. D. Diotti, I Momenti del Nazismo, Roma, 2006) ( 111, Muchow leader della Nationalsozialistiche betriebs Zellen Organization, morì in circostanze oscure nel settembre 1933) che seppero sfruttare ampiamente una composizione sociale dell’NSDAP costituita per ¾ da operai dequalificati, lavoratori industriali ed agricoli. Un nucleo molto forte e sfuggevole,tanto che in parecchi casi avveniva il balzo dall’altra parte. (112, cfrt. Sergio Bologna, Nazismo e classe operaia, 1933-1993, Milano 1994) Hitler naturalmente aveva pianificato un’altra direzione per l’NSDAP ed una volta giunto al potere spazzò via tutte quelle teste che andavano in direzione opposta:”Fra le SA, le camicie brune, il cui capo era Ernt Rohm, si era fatta largo l’dea di una “seconda rivoluzione” , si denunciava il sussistere nel Reich di gruppi reazionari, che erano quelli della destra, e una combutta di Hitler con i baroni dell’esercito e dell’industria. Ebbene il 30 giugno 1934 valse essenzialmente come troncamento di questa corrente radicalista del partito e di un suo supposto complotto.” ( 113, cit. in J. Evola, Note sul III Reich, appendice in AAVV., il fascismo visto dalla destra, Roma, pag. 160-161) La commistione destra sinistra ci riporta alle dichiarazioni di P. Drieu La Rochelle: “ Quando la vittoria non toccasse al tripartito, i più dei fascisti veri che scampassero al flagello passerebbero al comunismo, con esso farebbero blocco. Sarebbe allora varcato il fosso che separa le due rivoluzioni.” ( 114, cfrt. P. Drieu La Rochelle,Italia e civiltà, 1944) Thiriart, come visto, riprese il discorso negli anni sessanta. Il suo social nazionalismo allargato all’idea di una Europa anti americana si frammischiava con stalinismo, titismo, maoismo fino a giungere alla realizzazione del Partito Comunitarista Europeo. La corsa sfrenata di questa ibrida ex SS terminò nel 1970, quando vennero meno i finanziamenti economici per la realizzazione sul campo di una falange armata. In Italia la spinta social nazionale fu una diretta diramazione della socializzazione voluta da Mussolini. Questo filone prendeva quota anch’esso negli anni sessanta col fallimento del tentativo dell’MSI di entrare nel governo ( n.d.r. Il disastroso governo Tambroni). L’ala social nazionale si ricollegava al concetto di Europa come bastione anti americano presagendo uno svincolo dalla Nato, un riarmo, una moneta unica, un sistema economico dai forti accenti autarchici. Durante la visita in Italia di Nixon, i social nazionalisti diffondevano questo volantino: “ La civiltà europea, la nostra nazione, non ha bisogno di bandiere stellate. Se la democrazia puttaniera ha accettato una volta la liberazione, adesso è ora di finirla. Diamo il benservito all’alto protettore americano. Dimostriamo che l’Europa, da Brest a Bucarest, è in grado di difendersi da sola con le sue forze economiche e militari e, quel che più conta, di riprendere con energie morali e rinnovata coscienza politica il suo posto alla guida del mondo”. L’azione dei social nazionalisti si doveva comunque trasformare col riflusso e la fine delle agitazioni del 1968-69. Erano sorti agli estremi ideologici collusioni con apparati di stato ultra conservatori e filo americani e con la nascita del Partito Quadri Armato social-nazionale la deriva era verso la delinquenza al più alto livello. In mezzo si pose Lotta di Popolo. Franco Freda così li stigmatizzò: “La formula paradossale del Nazi Maoismo , non del tutto falsa, ma anche non del tutto giustificata, permette di scindere i suoi elementi costitutivi, perché i comunisti mirano a rilevare l’aspetto nazi per terrorizzare i compagni e i neofascisti mirano ad evidenziare gli aspetti maoisti per impaurire i camerati.” Lotta di Popolo social nazionale usciva dalla decisione di farsi movimento ( di contestazione) all’interno dell’eterno nostalgismo dell’MSI. Gli elementi estremisti dell’MSI erano stufi dell’immobilismo post repubblichino e volevano riplasmarsi sopra la nuova realtà che andava formandosi. Deus ex Machina di tutto ciò era l’eterno Thiriart che proprio in Italia ebbe numerosi seguaci. Giovane Nazione di Antonio De Bono e Spartaco Paganini, Movimento Politico Ordine Nuovo e Quaderni Neri di Salvatore Francia risulteranno essere i recapiti italiani di Jeune Europe. I militanti di Lotta di Popolo raccontano di scontri di piazza contro gli stessi picchiatori dell’MSI, tuttavia il fenomeno social nazionale sembrava non aver avuto particolare rilevanza a causa della profonda ambiguità, cosa che tuttavia non impedì la realizzazione di una organizzazione sfruttando il terreno ideologico prodotto dalla rivoluzione culturale in Cina: “ Il mondo si muove e noi non stiamo fermi. Ovviamente non è solo un nome che cambia ma è tutta una prassi che si va perfezionando …”. ( 115, da un volantino di Lotta di Popolo rinvenuto a Pisa il 27 aprile 1969) Il grimaldello maoista veniva abbandonato nel 1971: “ Occorre che i pochi elementi lucidi dei gruppi marxisti leninisti si scrollino dalla testa le proprie illusioni e le proprie superficialità…E’ ormai un dato di fatto che la maggior parte degli operai è del tutto integrata nella borghesia e ne ha accettato completamente la concezione mercantile e consumistica della vita. La realtà è ben diversa e lontana dalle analisi di classe tanto di moda in questi tempi: lo stesso comunismo ha dimostrato in ogni tempo che le proprie possibilità di consolidarsi si sono sempre identificate con i potenti imperativi di un popolo: lo capì per primo Stalin sia russificando il comunismo malgrado l’opposizione subito stroncata di Trotzky, sia ricorrendo agli istinti nazionali del popolo russo…E’ proprio questo potente richiamo alla comunità nazionale di un popolo che è riuscito a modellare delle incerte istanze di libertà dallo sfruttamento economico o razziale, in lotta armata contro gli oppressori.” Poi si precisa:” Bisogna abituare le masse ad una lotta permanente ed alla diffidenza sistematica nei confronti di tutto ciò che è ufficiale e tipico di questa società e di questa cultura…La lotta rivoluzionaria pertanto, contro ogni giudizio negativo basato sul metro del costume borghese o sull’interpretazione borghese del diritto e della morale, possiede un alto contenuto etico”. Lotta di Popolo Social Nazionale cedeva il fronte ideologico all’ulteriore riflusso del 1977. I fuoriusciti ed i “cani sciolti” ( *1°a- Tra questi “cani sciolti” abbiamo Walter Maggi,scomparso per overdose nel maggio 2007.” Al cospetto di qualche parente infastidito dai simboli pagani e dai saluti fascisti, a Milano, il 30 maggio scorso, di pomeriggio, presso la camera mortuaria dell’obitorio di via Ponzio, in zona Città Studi, una piccola folla di un centinaio di camerati si è ritrovata per rendere l’estremo saluto a Walter Maggi, quarantaduenne figura di rilievo del variegato panorama del neofascismo milanese, già dirigente del Fronte sociale nazionale di Tilgher, poi del Movimento dei socialisti nazionali(ex Lotta di popolo social nazionale). A rendere omaggio al feretro, prima della traslazione della salma al cimitero di Lambrate, dove sarebbe stata cremata, anche Adriano Tilgher, il segretario del Fronte sociale nazionale, giunto appositamente da Roma, e persino Stefano Delle Chiaie, il “grande vecchio” del neofascismo italiano, attorniato da alcuni amici calabresi. Il Fronte sociale nazionale, una specie di reincarnazione di Avanguardia nazionale (insieme a Ordine nuovo la maggiore organizzazione dell’estremismo di destra fra gli anni Sessanta e Settanta, sciolta nel 1976 per ricostituzione del partito fascista), al di là dalle apparenze, è tuttora diretto da Stefano Delle Chiaie, detto “caccola” per la sua bassa statura, inquisito e assolto per la strage di piazza Fontana e alla stazione di Bologna, ma soprattutto al servizio, in ben 17 anni di latitanza, del franchismo spagnolo, del generale Augusto Pinochet in Cile e di altre svariate dittature sudamericane. Spalla a spalla con Tilgher e Stefano Delle Chiaie: Marco De Rosa e l’italo-argentino Attilio Carelli, storici esponenti della Fiamma tricolore; l’onorevole Paola Frassinetti, deputata di Alleanza nazionale; Marco Clemente e sua moglie, Roberta Capotosti, entrambi dirigenti di An; Fabrizio Fratus ( 1b- “Fabrizio Fratus, ex Fiamma tricolore, molto legato a Lino Guaglianone (tra gli uomini simbolo di questa destra dura che vuole tornare a farsi sentire a Roma contro il rientro nei ranghi imposto da Alemanno. Lino Guaglianone, ex terrorista dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari), ora ricco commercialista e imprenditore, proprietario della palestra Doria in via Mascagni a Milano, una figura importante di raccordo fra la destra radicale e gli “istituzionalizzati” aennini.) e ora tornato nei ranghi di An. «Non mi riconosco in Cuore nero - spiega Fratus - ma colpendo loro hanno colpito tutta la destra.”(Fratus si riferisce alla distruzione del Centro Sociale di Roberto Jonghi Lavarini ( 2b- fondatore di Cuore Nero a Milano. «Tra i simpatizzanti di Cuore nero ci sono giovani borghesi della Milano bene e proletari figli del popolo, uniti dall´appartenenza alla comunità ideale della destra». Poi l´autoritratto sconfina in una retorica un po´ comica: «Siamo giovani romantici, arditi, futuristi, dannunziani, pazzi e poeti: avanguardia e tradizione, siamo come i 300 spartani delle Termopili, una falange formidabile, una testuggine invincibile».
Dice cose così, il trentaquattrenne Jonghi Lavarini, e le dice da quando stava ancora in An: dieci anni fa, da presidente del consiglio di Zona 3, teneva in bella mostra nel suo ufficio un ritratto di Mussolini in uniforme col braccio destro teso nel saluto romano. Una delle tante intemperanze, neppure la più tosta, che gli costò l´allontanamento dal partito. Adesso si fa chiamare "Barone nero", senza più imbarazzi. Ed è senz´altro a se stesso che Jonghi Lavarini pensa quando traccia le coordinate della galassia dell´estrema destra milanese raccolta attorno al centro culturale devastato ieri notte da un´esplosione. Lui è un (ex) «giovane borghese della Milano bene», mentre a rappresentare i «proletari figli del popolo» dovrebbe essere l´altro partner della strana coppia che si è messa in testa di riunificare tutte le anime del neofascismo in questo negozio a un passo dal Monumentale: Alessandro Todisco, per tutti Todo,l’ultras dell’Inter)
sito in Viale
Certosa a Milano),
non più tardi di un anno fa
ancora segretario
dell’onorevole
Daniela Santanchè;
Roberto Jonghi Lavarini,
chiamato il “Barone nero”, già
presidente per Alleanza
nazionale al Consiglio di zona
3; il nobile
Tomaso Staiti di Cuddia delle
Chiuse,
segretario della federazione
missina fra la fine degli anni
Settanta e l’inizio negli anni
Ottanta, più volte deputato
oggi capo del Movimento
NazionalPopolare, e
Marco Valle, storico dirigente
del Fronte della gioventù,
poi nella Fiamma tricolore e
nel Movimento sociale europeo,
oggi nella commissione di
garanzia cittadina di Alleanza
nazionale.
Stefano Di Martino,
vice presidente del Consiglio
comunale milanese e dirigente
nazionale di An, non potendo
intervenire, aveva inviato un
suo messaggio, ricordando la
lunga militanza in comune con
lo scomparso. Più che un
funerale, quasi un’istantanea
dell’estrema destra milanese,
in bilico tra una miriade di
gruppi, Alleanza nazionale, ma
anche frange della malavita
organizzata. Dal saluto a
Walter Maggi si dipana tutta
la storia fisica del
sottobosco
neofascista che nel 1995 Pino
Rauti cercò di coagulare in
Fiamma Tricolore
all’indomani della svolta di
Fini a Fiuggi dell’anno
precedente. Lo spazio di una
breve stagione presto
naufragata in furibondi
litigi, espulsioni e
scissioni. Anche a Milano. Nel
capoluogo lombardo sono due le
aree di riferimento: da un
lato,
Forza nuova
con un patto d’alleanza con
Azione sociale di Alessandra
Mussolini,
il Fronte sociale nazionale di
Tilgher e il Movimento
sociale-lista Rauti
fuoriuscito da Fiamma
Tricolore, dall’altro, la
Fiamma tricolore.
Capo indiscusso di Forza Nuova
in Milano è
Duilio Canu,
ex fondatore e leader di
Azione skinhead,il
cui striscione campeggiava in Curva Nord interista,
organizzazione sciolta
d’autorità nel 1993 per
istigazione all’odio razziale.
Con lui anche il vecchio
Sergio Gozzoli,
a 14 anni nella Rsi, e Don
Giulio Tam,
prete fascista ordinato a suo
tempo dallo scismatico
monsignor Lefebvre.(Recentissima
la feroce polemica interna
alla Chiesa Cattolica in
relazione al pacchiano errore
di Papa Benedetto XVI di
riaccogliere i preti
scismatici lefebreviani
negazionisti dell’Olocausto)
Azione sociale,
l’ultima creatura di
Alessandra Mussolini, è invece
guidata da
Roberto Giacomelli,
“maestro” di arti marziali in
una nota palestra, la
Bulldog’s Gym, situata in una
traversa di viale Monza. Poche
decine di elementi. Con loro,
comunque, candidato alle
ultime elezioni politiche,
anche Lino Guaglianone, ex
terrorista dei Nar (visto in
precedenza con Fratus).
Il Fronte sociale nazionale,
venti militanti in tutto, dal
canto suo, non si è ancora
ripreso dalla pesantissima
vicenda dell’assassinio di
Alessandro Alvarez,
un giovane neofascista
cresciuto nell’organizzazione,
freddato con tre colpi di
pistola a Cologno nel marzo
del 2000, sullo sfondo di
non mai chiariti traffici con
la malavita organizzata.
Praticamente inesistenti,
infine,
i fedelissimi dell’ex capo di
Ordine nuovo Pino Rauti,
appena una decina,raggruppati
intorno al Movimento Sociale
lista Rauti. In forte ascesa,
invece, sull’altro versante,
la Fiamma tricolore,
solo un centinaio di iscritti,
ma con forti intrecci ormai
consolidati con alcuni gruppi
giovanili legati al circuito
Hammerskins.
Da qualche tempo questa
formazione sta tentando di
importare anche a Milano
l’esperienza romana delle Onc
(Occupazioni non conformi) e
delle Osa (Occupazioni a scopo
abitativo, ovviamente “solo
per italiani”), lanciando a
livello locale temi come il
“mutuo sociale”. L’immaginario
utilizzato è di tipo
movimentista, fortemente
aggressivo e violento.
Forti i legami con alcune
frange ultras delle curve, sia
dell’Inter che del Milan, di
cui parleremo (Nel corso del
2008 tuttavia forti dissidi
interni porteranno ad un
progressivo ridimensionamento
di Fiamma Tricolore: la
fuoriuscita di Cuore Nero, di
Blocco Studentesco e dell’area
Hammer…). In mezzo, per
così dire, gli aderenti al
Movimento nazionalpopolare di
Tomaso Staiti
di Cuddia, un piccolo gruppo
con buone risorse economiche
situato presso la sede degli
ex repubblichini dell’Unione
nazionale combattenti in via
Rivoli;
il Movimento dei socialisti
nazionali, a cui ultimamente
era approdato anche Walter
Maggi,
nell’orbita del quotidiano
Rinascita Nazionale e
dell’omonimo gruppo (animati
da Ugo Gaudenzi, inizialmente
utilizzando lo stesso stemma
delle Ss italiane), e della
rivista Uomo Libero di Piero
Sella, conosciuta per le sue
tesi razziste e antisemite.
Non più di trenta, comunque, i
militanti di questo
raggruppamento, su posizioni
marcatamente antimperialiste e
filo-islamiche. A fare da
ponte tra queste sigle e
Alleanza nazionale, la
cosiddetta
“Destra per Milano” di Roberto
Jonghi Lavorini fondatore del
Centro Sociale Cuore Nero
assieme all’ultras dell’Inter
Todisco,
ancora una volta nella lista
di An alle ultime elezioni
comunali. Jonghi Lavarini,
aderente alla “Fondazione
internazionale generale
Augusto Pinochet”, per anni
collaboratore dell’agenzia
investigativa Tom Ponzi, per
la quale si è occupato
soprattutto di “infedeltà e
devianze”, da anni si vanta di
intrattenere relazioni con i
neonazisti tedeschi dell’Npd. A tenere i contatti fra
tutte le diverse famiglie
dell'estrema destra, il
Comitato per Sergio Ramelli,
alias “I camerati”,
dicitura con cui solitamente
si firmano i manifesti. Una
sorta di coordinamento
milanese, ora presieduto, dopo
la morte di
Nico Azzi, da Luca Cassani detto “Kassa”, inquisito
nel 1997 per l’accoltellamento
di un consigliere comunale del
Prc, poi successivamente
prosciolto,attualmente uno dei
capi bastone dei milanisti
Guerrieri Ultras Curva Sud.
A questa struttura di
collegamento continuano a dare
il proprio contributo anche
altre storiche figure
dell’estremismo nero:
Remo Casagrande,
notissimo picchiatore degli
anni Settanta,
Cesare Ferri,
accusato e poi assolto per la
strage di piazza della Loggia
a Brescia, e Maurizio Murelli,
condannato in concorso con
Vittorio Loi per aver ucciso
nel 1973 un poliziotto a
Milano, colpito al petto dal
lancio di una bomba a mano
durante i disordini seguiti a
una manifestazione dell’Msi.
Nico Azzi, per la cronaca,
apparteneva al gruppo de La
Fenice, la sezione milanese di
Ordine nuovo. Rimase ferito
dall’esplosione del
detonatore, il 7 aprile 1973,
nella toilette del treno
Torino-Roma mentre tentava di
innescare un ordigno a tempo,
composto da due saponette di
tritolo da mezzo chilo l’una,
che avrebbe certamente fatto
una strage. Le modalità di
svolgimento dei suoi funerali,
nel gennaio scorso,
suscitarono più di qualche
protesta, soprattutto per il
luogo dove fu officiato il
rito funebre: la basilica di
Sant’Ambrogio, dedicata al
patrono della città, dove tra
fasci littori e croci celtiche Nico Azzi fu accompagnato
nel suo ultimo viaggio,
presente il vicepresidente di
Alleanza nazionale Ignazio La
Russa, da due schiere di
camerati intenti a salutarlo
romanamente. Da questo
crogiuolo, di storie e
percorsi, ha preso corpo anche
il nuovo progetto di “Cuore
nero”. L’inaugurazione di
“Cuore nero” era stata a lungo
preparata, anche con ripetuti
incontri, in particolare con
Gabriele Adinolfi, uno dei
fondatori di Terza posizione,
gruppo eversivo della seconda
metà degli anni Settanta, ed
oggi mente pensante di casa
Pound a Roma, il principale
centro sociale dell’estrema
destra capitolina. Non a caso,
in questi ultimi mesi,
Adinolfi era stato più volte
visto a Milano, insieme al
figlio Carlomanno, ospite a
casa di Maurizio Murelli a
Cusano Milanino. In prima fila
a gestire l'operazione erano
stati chiamati Roberto Jonghi
Lavarini e soprattutto
Alessandro Todisco (già
condannato per istigazione
all’odio razziale nell'ambito
dello scioglimento a Milano di
Azione skinhead e coinvolto in
diverse aggressioni), in grado
di mobilitare il giro degli
Hammer e degli ultras: la vera
massa di manovra. LA SETTA
DEGLI HAMMER
Gli Hammer, non più di un
centinaio fra Lombardia,
Veneto e Lazio, si considerano
l’elite del movimento
naziskin. Strutturati quasi
come una setta segreta, in
modo gerarchico e piramidale,
appartengono alla rete
internazionale degli “Hammer
Skin White Nation” in lotta
nel mondo per la supremazia
della “razza bianca”. Più
difficile di quanto si pensi
potervi entrare. Gli aspiranti
sono costretti ad una gavetta
di almeno quattro anni e,
successivamente, se ammessi, a
riti di iniziazione. Si parla
di pestaggi di immigrati o di
lotta con il coltello contro
cani da combattimento. Solo
alla fine si potrà essere
“marchiati” da un grosso
tatuaggio con due martelli
incrociati in una parte
visibile del corpo, collo o
avambraccio. Uscirne è
difficilissimo. Chi l’ha fatto
ha dovuto cancellare o
bruciare i tatuaggi e subire
per anni minacce e ritorsioni.
Già sciolti dalla
magistratura, una prima volta
nel 1998, “per istigazione
all’odio razziale, etnico e
religioso”, gli Hammer a
Milano saranno una ventina, ma
con altrettanti “novizi” in
cerca dei due agognati
martelli. Attorno a loro
ruotano anche altri gruppi,
come gli “Ambrosiana skinhead”,
una ventina di giovanissimi
ragazzi di periferia, sempre
con il coltello in tasca,
assidui frequentatori di pub,
tra via Ripamonti e il
Ticinese, con più di qualche
legame “di strada” con la
malavita locale. Nella
galassia delle teste rasate,
anche cani sciolti. Tra gli
altri, la banda capitanata dal
fratello di Alessandro Todisco, Franco, detto “Lothar”,
esperto in arti marziali e
plurigiudicato anche per furto
e stupefacenti, nonché per
rissa allo stadio in occasione
di Inter-Basilea dell’agosto
2004, alla perenne ricerca
di scontri e risse unitamente
a un giro ristretto di amici
tra cui spiccano “il Pirata”,
“Fanter” e “Darietto”. Oggi
“Lothar” si guadagna da vivere
facendo il buttafuori, grazie
all’interessamento di Marco
Clemente di Alleanza
nazionale, già in Forza nuova
ed attualmente esponente della
corrente di Alemanno, di cui
cura i finanziamenti a Milano
e in Lombardia. )
si raggrumarono agli inizi
degli anni ottanta nella
rivista
Orion
andando a creare due fazioni:
Nuova Azione di Marco Battarra
(*2a) e Forza Nuova
a sua volta confluita nel
Movimento Antagonista Sinistra
nazionale con all’interno il
musulmano
Claudio Mutti,
fanatico cultore della 13°
divisione SS costituita da
musulmani erzegovini che
combatterono contro i
partigiani di Tito. Una buona
componente social nazionale
fuoriusciva dai ranghi di
Rauti e del suo Movimento
Sociale Fiamma tricolore
grazie all’opera di
Tilgher(Fronte Sociale
Nazionale).
Dalla testata Fronte nazionale
un editoriale veniva titolato:
Rosso è Nero. Il richiamo era
il primigenio fascismo
socialista poi ripreso nei 600
giorni di Salò, nonché tutta
l’esperienza dei fratelli
Strasser e di Rathenau
( ndr. Già citati in
precedenza). La deriva
tuttavia era dietro l’angolo:
“ La legione di Osama ( Bin
Laden) raccoglie elementi da
tutte le nazioni arabe, così
come le SS da tutte le nazioni
ariane. L’esaltazione della
spiritualità semita ricorda
l’interesse nazionalsocialista
per la spiritualità ariana,
soffocata nel sangue
dall’intollerante eresia
giudaica, trionfante nella
confusione razziale a Roma
negli ultimi anni
dell’Impero.”
Con l’approssimarsi delle
elezioni politiche del 2001 e
sotto il pesante incalzo della
ricerca di danari, Tilgher si
avvicinava a Rauti e di
conseguenza rientrava
nell’alveo del danaro
forzitaliota-alleanzino
berlusconiano. Rosso è Nero
non ci stava e nei suoi
editoriali inaugurava un
corposo mix di riferimenti
disparatissimi: da Stalin a
Mussolini, dal subcomandante
Marcos a Cafiero. I social
nazionali si ribattezzavano
nuovamente entrando nel
Partito Comunitarista Nazional
Europeo.
La tesi si fa esplicita:
“Il comunitarismo è contrario
alla lotta di classe…Il lavoro
sarà il criterio di valore per
stabilire le nuove gerarchie.
Ai lavoratori migliori non
verranno dati maggiori
guadagni ma posizioni di
potere.” Torna così a
riaffacciarsi il concetto
nazista di “sangue e suolo”.
(* 2°a- link: http://www.micciacorta.it/articolo.php?id_news=472 )
Il breve percorso storico
riportato ci è servito per
porre in risalto quel
frammischiarsi, quell’impastarsi
di idee e persone che
contraddistinguono un sotto
mondo illuminato dal pallore
di luci sotterranee.
Doppia,tripla militanza,
opposti che si intersecano.
Così, ad esempio, i destrorsi
ultras dell’Inter ( “Alessandro
Todisco,
per tutti
Todo. Ha 35
anni, la testa rasata, il
corpo tappezzato da tatuaggi e
una fama conquistata sugli
spalti di San Siro come
capo degli Irriducibili
dell´Inter. Todo, da
sempre legatissimo agli
ambienti della destra
oltranzista, è stato coinvolto
nell´inchiesta giudiziaria che
portò allo smantellamento di
Azione skinhead, sulle cui
ceneri sono nati gli
Irriducibili. Da qualche anno
ha aperto un negozio, gadget e
abbigliamento a uso degli
ultrà, proprio nella zona
attorno al Monumentale,
dandogli un nome molto
politicamente scorretto,
"Calci e pugni", a parodiare
il "Baci e abbracci" di Vieri
e Maldini. Come tutti i
piccoli astri di questa
galassia nera, Todo era un
assiduo frequentatore della
Skinhouse di via Cannero, alla
Bovisa. Da lì, una sera
d´estate del 2003, partì la
spedizione punitiva che contro
alcuni giovani del centro
sociale Conchetta. Ma il
locale è stato chiuso
nell´ottobre scorso, per cause
di forza maggiore: i lavori
della metropolitana. «Ci si
andava per una birra, ed era
finita lì», racconta Todo.
«Alla Skinhouse non si faceva
politica e anche per questo
abbiamo pensato che fosse
arrivato il momento di
proporre qualcosa di nuovo a
Milano; abbiamo visto giusto,
dopo quello che è successo
l´altra notte: la cosa che ha
più dato fastidio sono stati
gli inviti spediti a tutti
quelli che stanno a destra, da
An a Forza nuova».)
si confondono con i “camerati”
del Milan grazie agli
interessi incrociati di
Giancarlo Capelli,
“il barone” delle Brigate
Rossonere, e di
Franco Caravita,leader
dei Boys Ultras nerazzurri. E’
solo la punta di un Iceberg:
mentre sul fronte interista si
sono mantenute, anche sotto la
dirigenza Moratti, influenze e
connotazioni spiccatamente
destroidi, attraverso il
gruppo degli Skins prima e
degli Irriducibili e Viking
oggi, sul fronte milanista da
tempo sia le Brigate Rossonere
che ancor di più i Commandos
Tigre hanno dato una svolta di
tipo razzista al tifo. La
situazione è andata
peggiorando da quando, due
anni fa (ottobre 2005), si è
sciolta la storica Fossa dei
Leoni, ultimo baluardo di un
modello ultras che non
ammetteva compromessi con i
vertici societari e, seppur
composta principalmente da
ragazzi di sinistra, non
consentiva si “politicizzasse”
il tifo. Da allora uno scontro
senza esclusione di colpi ha
iniziato a insanguinare la
“lotta per il potere” della
curva milanista costellandola
anche di aggressioni e agguati
a pistolettate. Diversi i
procedimenti giudiziari
attualmente in corso.
Molti i nomi degli ultras
interni alla destra radicale:
il già citato Luca Cassani, ex
Fossa dei Leoni ed oggi
esponente di spicco dei
Guerrieri;
l’ex assessore di Opera e
responsabile locale
dell’Associazione culturale
Area COMITATO PER SERGIO
RAMELLI (legata alla corrente
di Alemanno, nonché come visto
collettore finanziario per il
sostegno di tutta la galassia
d’estrema destra),
Alessandro Pozzoli, detto
“Peso”, anche lui già attivo
nella Fossa, poi con i
Guerrieri, indagato per le
“guerre intestine” nella curva
milanista e parente di quell’Alberto
Pozzoli, ex esponente di
spicco della curva interista e
consigliere comunale di
Alleanza nazionale a Opera,
accusato insieme al collega
Ettore Fusco della Lega per
l’incendio, nel dicembre
scorso, delle tende destinate
ai Rom. Nelle scorse elezioni
comunali i Guerrieri Ultras
del Milan hanno sostenuto due
candidati di Alleanza
nazionale: Carlo Fidanza,
attuale capogruppo a Palazzo
Marino e
Roberto Jonghi Lavarini,
primo dei non eletti,come
visto fondatore di Cuore
Nero,legato a doppio filo agli
Irriducibi dell’Inter. Un
“guerriero”,
Carlo Lasi,
finito nei guai per un tentato
omicidio (ha sparato al suo
datore di lavoro per futili
motivi), è stato persino
candidato in An nei consigli
di zona 3 e 4. Questa alleanza
tra curve e fascisti si è
anche consolidata grazie a
Giancarlo Capelli, storico
leader delle Brigate Rossonere,
e
Giancarlo Lombardi, detto “Sandokan”,
dei Guerrieri Ultras, in
rapporti di strettissima
amicizia con Alessandro
Todisco,
leader insieme al fratello
Franco “Lothar” degli
Irriducibili interisti.
Ultimamente hanno entrambi
partecipato ad una festa per
la fine dei suoi arresti
domiciliari e prima ancora ai
funerali di Nico Azzi,il
predecessore di Cassani alla
cura del COMITATO PER SERGIO
RAMELLI. I vertici delle curve
dello stadio milanese si
frammischiano spesso e
volentieri sia con i vertici
dell’estrema destra che con
collettori delinquenziali di
medio livello, il cui fulcro
rimane ancora il quartiere
dormitorio di Quarto Oggiaro.
Si parla di cameratismo, ma
non si vede in loro una
effettiva base ideologica se
non quella di tutelarsi “il
territorio” per la difesa di
interessi specifici (da cui la
scazzottata del derby ad
esempio, tipica mossa per
saggiare il terreno e vedere
se è possibile una
“espansione”….).(
http://www.osservatoriodemocratico.org/page.asp?ID=2884&Class_ID=1004
)
RECENTISSIME (http://infolaspinta.blogspot.com/2009/02/foto-di-gruppo-in-nero-dalla-nuova.html )
il 30 gennaio 2009/
Il capannone è basso e grigio,
delimitato da un muro, tra due
palazzine. Fino a qualche
tempo fa ospitava una
carrozzeria. La via è senza
uscita. Poco oltre i prati.
Siamo alla periferia di
Bollate (Novate-Quarto Oggiaro,questo
è il percorso), a Madonna
in Campagna, in via Alfieri 4.
È qui che il 18 ottobre scorso
è stata inaugurata la nuova
Skinhouse. La precedente
esperienza, in via Cannero a
Milano, nel quartiere Bovisa,
si era conclusa dopo dodici
anni a metà ottobre del 2006,
causa i lavori per l´apertura
della stazione di Dergano
della linea tre della
metropolitana. Anche in quel
caso lo spazio era stato messo
a disposizione da un privato,
una costruzione inserita
nell´area di un'ex officina, e
a nulla erano valse le
proteste dei cittadini che si
erano costituiti in comitato
per chiederne la chiusura a
seguito dei concerti fino a
tarda notte, con naziskin
provenienti da diverse città,
anche dalla Svizzera,con il
contorno di inni fascisti
cantati a squarciagola e
montagne di lattine di birra
ovunque. Eppure proprio da via
Cannero il 7 agosto 2004 era
partita una spedizione di
teste rasate, con magliette
nere con svastiche e aquile
naziste, diretta ai Navigli
dove aveva accoltellato sei
giovani dei centri sociali,
uno dei quali rimasto per
giorni tra la vita e la morte. Lo stesso pubblico
ministero Luisa Zanetti
nella sua richiesta di
custodia cautelare nei
confronti dei partecipanti al
raid squadristico aveva
sottolineato come la
"Skinhouse di Milano" fosse
una "base per ritrovarsi, per
organizzarsi, per riunirsi,
per pianificare e decidere gli
atti aggressivi e intimidatori
(quali risse,
lesioni,danneggiamenti, furti,
devastazioni, incendi)", un
"luogo di partenzaper le
spedizioni punitive e per
rifugiarsi al termine delle
stesse" .Il 13 dicembre dello
stesso anno, nel corso di una
perquisizione erano anche
stati sequestrati coltelli,
bastoni, mazze da baseball e
catene.
*THE HAMMERSKIN NATION*
Ad animare la nuova realtà di
Bollate, come la precedente,
la setta degli Hammer, una
sorta di circuito
internazionale neonazista, con
sedi anche in Europa in
Inghilterra, Spagna, Francia,
Olanda, Svizzera e Italia,
originata da una costola del Ku Klux Klan nella
seconda metà degli anni
Ottanta a Dallas nel Texas.
Gli Hammerskins sono da sempre
uno dei più pericolosi e
violenti gruppi dediti al
perseguimento della
"supremazia della razza
bianca", i cui militanti negli
Stati Uniti sono stati più
volte accusati e condannati
non solo per aver assaltato
sinagoghe ebraiche o per aver
compiuto brutali pestaggi, ma
anche per l´assassinio di
alcuni ragazzi di colore. Così
è stato nel giugno 1991 ad
Arlington nel Texas, dove tre
aderenti alla Hammerskin
nation (Hsn) uccisero a
fucilate un ragazzino che
aveva avuto il solo torto di
incrociarli, e a Natale dello
stesso anno, a Birmingham in
Alabama, quando un senzatetto
nero fu finito a colpi dimazza
da baseball e di stivali
ferrati. Dopo l´ennesimo
accoltellamento di un giovane
afro americano nel 1999 in
California un tribunale penale
li definì "una gang di
strada". Ma l´elenco dei
delitti da citare sarebbe
molto più lungo.
*IL DOPPIO MARTELLO*
In Italia la "fazione
madre" degli Hammerskin è da
sempre quella milanese.
Ora ha anche riaperto la sede.
Una cinquantina i
militanti,compresi gli
aderenti ad Ambrosiana
skinheads e a Brianza skin,
due gruppi locali ora federati
agli Hammer. Agli Ambrosiana
skinheads fa ancora
riferimento quel Riccardo
Colato, detto "Riki", già
condannato per un raid a Bari,
il 3 gennaio 2006, dove si
trovava in vacanza,contro un
pub frequentato da gay.
Denunciato per discriminazione
razziale e danneggiamenti,
assieme ad altri cinque, ebbe
il foglio di via con l´ordine
di non tornare più nel
capoluogo pugliese per tre
anni. Ogni "fazione" deve
essere composta da almeno sei
membri, ma per diventare
Hammerskin, e cioè entrare in
quella che i suoi promotori
considerano "l´élite
dell´élite" del movimento
naziskin, è necessario seguire
una lunga trafila: essere
presentato da un altro membro
e prestarsi a un periodo di
prova che dura almeno quattro
anni. Successivamente si è
sottoposti a riti iniziatici.
Si parla di pestaggi ai danni
di immigrati e di lotte con il
coltello contro cani da
combattimento. Solo alla fine
si potrà ricevere la toppa e
tatuarsi su una parte visibile
del corpo, collo o
avambraccio, il simbolo con i
due martelli in marcia mutuato
dal film, di cui si rovesciano
il senso e le intenzioni, di
Alan Parker, The Wall, del
1982, basato sulle musiche
dell'omonimo album dei Pink
Floyd. Il doppio martello
nell'immaginario degli
Hammerskin rappresenterebbe
l'arma per abbattere i muri
che proteggerebbero le
minoranze etniche e religiose.
Surreali, in questo contesto,
le dichiarazioni di alcuni
esponenti della Skinhouse
rilasciate a un giornale
locale: "Noi non siamo
assolutamente nazisti e
nessuno di noi ha mai avuto
denunce per aggressioni". Ma è
sufficiente entrare nella
sezione eventi del loro sito
per imbattersi subito
nell´effige di un manifesto
del 1944 utilizzato per il
reclutamento nelle Ss
italiane, seguito da una
locandina dedicata agli"Eroi
della Rsi" che invita a un
pellegrinaggio al Campo X del
Cimitero Maggiore a Milano,
dove sono stati sepolti alcuni
dei più importanti gerarchi
del fascismo, tra gli altri
Alessandro Pavolini e
Francesco Maria Barracu.È
possibile poi visionare un
poster a firma "Italia Hammer
Skinheads"con tanto di saluti
romani, ma anche una foto
scattata in occasione
dell´Hammerfest del 2007, il
più importante raduno
internazionale del gruppo, con
la bandiera di guerra del
Terzo Reich con il doppio
martello al posto della
svastica. Fino a qualche tempo fa compariva anche
l´istantanea di uno striscione
esposto allo stadio di San
Siro in favore della
liberazione di "Norberto",
cioè Norberto Scordo. La
storia è questa: la scorsa
estate, essendo rimasta ancora
vacante la carica dicapo degli
Hammer, dopo la scelta del
vecchio leader Alessandro
Todisco,detto "Todo", di
impegnarsi a tempo pieno in
Cuore nero, si era deciso di
affidare temporaneamente le
redini del gruppo a un
triumvirato. Tra loro anche
Norberto Scordo, già
condannato insieme ai due
fratelli Todisco, Alessandro e
Franco, per aver aggredito a
martellate nel 1992 due
giovani, un ragazzo e una
ragazza di 18 anni, usciti dal
Centro sociale Leoncavallo.
Neanche il tempo di insediarsi
che Scordo, a seguito di
un´altra aggressione ai danni
di alcuni punkabbestia, il 19
luglio, alle colonne di San
Lorenzo, è finito dietro le
sbarre,processato e condannato
a sei mesi per direttissima. È
uscito solo qualche settimana
fa.
*CUORE NERO BREWERY*
L´apertura della nuova
Skinhouse a Bollate non è la
sola novità nel panorama
neofascista milanese. Il 6
settembre scorso era stata
anche inaugurata la nuova sede
di Cuore nero a Milano, in via
Pareto angolo via San Brunone,
a pochi passi da viale
Certosa. In realtà si era
trattato solo
dell´allargamento dell´ex
negozio Il sogno di Rohan,passato
da una a due vetrine, con
relativo cambio di insegna.
Una dellesocietà dell´ex Nar
Lino Guaglianone, da sempre
uno dei finanziatori diCuore
nero, aveva infatti acquistato
e messo a disposizione di
Nicoletta Cainero, moglie di
Alessandro Todisco, i locali
attigui. I muri divisori erano
stati abbattuti e si era
provveduto a montare vetri
antisfondamento. Nella
palazzina di fronte, al primo
e al secondo piano,erano state
anche installate alcune
telecamere di sicurezza.
L´idea di costituire una casa
comune per tutte le sigle del
neo fascismo milanese è
comunque da tempo tramontata.
Prima l´incendio doloso,
l´11aprile 2007, dello spazio
ben più capiente affittato in
viale Certosa,quasi sul
piazzale antistante il
Cimitero Maggiore, poi una
serie di contrasti interni,
hanno ridimensionato il
progetto. Particolare peso
hanno avuto in questo senso le
spaccature intervenute nella
Fiamma tricolore con l´uscita
a livello nazionale di
Gianluca "Boccia" Iannone,di
Casa Pound e del Blocco
studentesco, ma anche, sul
fronte opposto, di una
corrente, capitanata dall´ex
commissario della federazione
romana Giuliano Castellino,
vogliosa di far subito parte,
senza anticamere, del
cosiddetto Popolo delle
libertà. A Milano ciò ha
significato, da un lato,
l´entrata di Cuore nero nel
circuito di Casa Pound, ma
anche, dall´altro, la
fuoriuscita di Matteo"Stizza"
Pisoni, il vice di Alessandro
Todisco, e del suo
gruppo,rientrati nell´orbita
di Alleanza nazionale
attraverso la formazione di
Area identitaria Lombardia,
vicina a Carlo Fidanza, il
capogruppo di Anin Consiglio
comunale. Gli Hammer, dal
canto loro, anche in polemica
con Alessandro Todisco, si
erano già precedentemente resi
autonomi. Forse troppa
politica per loro. A seguito
di questi avvenimenti sono
state anche in parte
ridisegnate le gerarchie.
Alessandro Todisco e sua
moglie ora si occupano quasi
solo della gestione del
bar-negozio di via Pareto e
della vendita delle magliette
e dei gadget, mentre si è
fatta largo una nuova figura
emergente. Si tratta di
Francesco Cappuccio, detto
"Doppio malto", ex addetto
stampa de La Destra. Prima
curava una rubrica sul sito
del partito di Francesco
Storace, adesso la fanzine di
Cuore nero, appunto Doppio
malto, una pubblicazione che
nel giugno scorso ha messo in
prima pagina uno skin con
tanto di boccale di birra in
mano, nell´atto di brindare
all´entrata del campo di
sterminio di Auschwitz, dove,
grazie a un fotomontaggio, al
posto della famigerata scritta
"Il lavoro rende liberi",
compariva "Cuore nero brewery",
letteralmente "Birrificio
Cuorenero".A oggi Cuore nero
non raccoglie più di cinquanta
militanti, tra skin,ultras
delle curve e balordi di
periferia, soprattutto
provenienti da Quarto Oggiaro. Tra loro anche Franco
Todisco, il fratello di
Alessandro, detto "Lothar",
sempre presente allo stadio,
sponda Inter,ma anche gran
bevitore, rintracciabile,
dopo una certa ora, con il suo
giro di amici in alcuni bar di
Brera.Il 20 gennaio scorso le
abitazioni di ambedue i
fratelli, insieme a quelle di
altri sette ultras dell'Inter,
sono state perquisite. Così il
magazzino di proprietà di
Franco Caravita, leader dei
Boys. Sequestrati qua e là
coltelli, tirapugni,
noccoliere, palle chiodate,
manganelli con l'effige del
Duce, bandiere con la croce
celtica e la svastica.
Nella casa di Michael Maron,
un'appartenente agli
Irriducibili, la faccia da
stadio di Cuore nero, anche
cocaina e un bilancino di
precisione."Todo" e "Lothar"
sono ora sottoposti
all'obbligo di firma
giornaliero. Al centro delle
indagini i disordini dell'11
novembre 2007 (*) a
Milano,seguiti all'uccisione
nei pressi di Arezzo del
tifoso laziale Gabriele
Sandri. Nell'occasione si
tentò di assaltare il
commissariato di San Siro, la
caserma dei carabinieri di via
Vincenzo Monti e la sede Rai
di corso Sempione.
*DIASPORE*
Il piccolo arcipelago
dell´estrema destra milanese
vive comunque una fase di
stallo. Forza nuova di
Duilio Canu,ex Skinhead,
vivacchia con le solite
iniziative che si tengono al
cosiddetto Presidio di piazza
Aspromonte 31, a metà tra una
sede e un pub. Pochi gli
appuntamenti culturali: uno
dei più pubblicizzati qualche
mese fa, in marzo, riguardava
una "serata in onore" di Leon
Degrelle, l´ex generale belga
comandante ,e poi fuggitivo
una volta che le cose si
misero male, di una Divisione
delle Waffen Ss. È qui,
comunque, che il 17 maggio
scorso gli Hammer hanno potuto
tenere un loro concerto di
nazirock dopo il divieto,
giunto a seguito delle
numerose proteste, di suonare
alla palazzina Liberty. Forza
nuova a Milano ha fatto
ultimamente parlare di sé solo
per alcuni volantini e
striscioni minacciosi nei
confronti degli
extracomunitari,distribuiti a
fine settembre al liceo
linguistico Manzoni di via
Rubattino, in zona Ortica,
confinante con un dormitorio
di proprietà dei"Martinitt",
ospitante una ventina di
ragazzi magrebini e kossovari
fra i 14 e i 18 anni. Ma il
gruppo, ormai composto solo da
una trentina di fedelissimi
guidati da Duilio Canu,
continua a perdere pezzi.
L´ultimo ad andarsene, per far
ritorno, sembrerebbe, alla
Lega nord, è stato Remo
Casagrande, uno dei più famosi
squadristi di Milano negli
anni Settanta.
La Fiamma tricolore e La
Destra, nella quale sta
confluendo a livello nazionale
il Fronte sociale nazionale di
Adriano Tilgher, a Milano
città praticamente non
esistono più,
anche se ufficialmente sono
ancora rappresentate
rispettivamente da Attilio
Carelli (presente alle esequie
di Maggi) e Roberto Perticone.
In particolare La Destra,
nel giro di pochi mesi, ha
subito un vero tracollo. A
sbattere la porta per prima è
stata, agli inizi di marzo,Carla
De Albertis, ex assessore
comunale alla Salute, in quota
ad An,silurata nel novembre
2007 dal sindaco Moratti per
la sua opposizione all´Ecopass,
poi Barbara Ciabò,
consigliera comunale passata
in novembre a Forza Italia.
In ottobre ad abbandonare il
partito, con un durissimo
comunicato, era stata invece
l´intera organizzazione
giovanile de LaDestra,
Gioventù italiana, con l´ex
responsabile Vincenzo Sofo in
testa. Presenze solo
virtuali sono al momento anche
quelle formatesi a seguito di
questa diaspora, dal Movimento
per l´Italia di Daniela
Santanchè, che aveva lasciato
il partito di Francesco
Storace ancor prima del
congresso di novembre, a La
vera destra del Nord di Carla
De Albertis, per arrivare a
Destra federale, animata da
Carmelo Lupo, consigliere
circoscrizionale di zona 4.Così
dicasi per Destra libertaria
di Luciano Buonocore, uno
dei leader della cosiddetta
Maggioranza silenziosa nei
primi anni Settanta, che nelle
ultime elezioni politiche, pur
essendo tra i dirigenti
nazionale de La Destra,
improvvisamente dopo un
incontro con Ignazio La Russa
lanciò un appello di voto in
favore del Pdl al Senato.
Qualcuno, come Roberto Jonghi
Lavarini, mai smentito, parlò
in un blog d´area di una somma
di 35 mila euro finita nelle
tasche di Buonocore e di un
appalto di MilanoSport a uno
dei figli. Comunità in
movimento, la sigla dietro la
quale si sono aggregati Lino
Guaglianone e il suo gruppo,
dal canto suo, risulta
inattiva dal 28 maggio, giorno
della sua presentazione.
*PATRIA E LIBERTÀ*
Maggiore attivismo mostra,
invece, Destra per Milano
di Roberto Jonghi Lavarini,
il "Barone nero", che dopo il
fallimento delle liste de
LaDestra con la Fiamma
tricolore, ha ufficialmente
aderito al Pdl. Lo stesso
Jonghi ha presenziato
nell´ottobre scorso al Lido di
Milano alla festa del Popolo
delle libertà, partecipando
alla cena di gala con Silvio
Berlusconi, al quale ha anche
regalato un libro apologetico
sulla storia della Rsi. Mille
euro a testa per esserci,
cifra non indifferente per chi
come lui solo nel 2005
dichiarava al fisco un reddito
pari allo zero assoluto.Roberto
Jonghi Lavarini, tra l´altro,
è stato nominato vice
presidente di uno pseudo
centro studi denominato Patria
e libertà (esattamente come
l'organizzazione paramilitare
di estrema destra cilena che,
al soldo della Cia, nel
settembre 1973 sostenne il
colpo di Stato del generale
Pinochet), a sua volta
presieduto da tale conte
Ferdinando Crociati Baglioni,
storico patrizio romano di
fede fascista, segretario
personale di Guido Mussolini,
figlio di Vittorio e nipote di
Benito. Non solo, Jonghi si è
pure incontrato in via
riservata sia con Ignazio La
Russa sia con Piergianni
Prosperini. Una delle ragioni:
le tensioni interne a
Destra sociale, di Paola
Frassinetti e Carlo Fidanza,
e ad Azione giovani, che
continuano a perdere consensi
proprio in favore del"Barone
nero", vissuto ormai come
pericoloso concorrente
interno, tanto più dopo le
ripetute dichiarazione
"antifasciste" sia di
Gianfranco Fini che del
sindaco di Roma Gianni
Alemanno.
*SENZA CONFINI*
L´estrema destra milanese, in
conclusione, continua ad
essere assai frastagliata e
divisa, ma soprattutto
utilizzata, in alcuni casi,
come ben esemplificato dalla
vicenda Buonocore,
letteralmente comperata a suon
di euro, dalla destra di
governo, in primis Alleanza
nazionale. Molti i fili che
legano ancora questi due
mondi. Legami incentrati a
volte su interessi di modesto
cabotaggio come i voti di
preferenza per entrare in
consiglio comunale, forniti ad
alcuni candidati di An da quei
piccoli serbatoi elettorali
che spaziano dagli ultras agli
ambienti di Cuore nero. Carlo
Fidanza docet. Ma non solo.
Nonostante le impegnative
dichiarazioni di Gianfranco
Fini per cui "chi è
democratico è antifascista",
nell´arco degli ultimi mesi,
tra settembre e ottobre, i
rappresentanti di An a Milano
sono riusciti a proporre di
intestare una via a Giorgio
Almirante, storico leader
missino, già firmatario nel
1944 di bandi per fucilare
alla schiena i renitenti alla
leva dell´esercito
repubblichino, nonché ex
segretario di redazione de La
Difesa della razza, ad
avanzare la richiesta di
traslare al famedio le spoglie
di Carlo Borsani, uno dei
gerarchi milanesi che non
esitava a mettere la propria
firma sul giornalino delle Ss
italiane Avanguardia, a
presentare come gruppo
consiliare nella sede della
provincia un libro dedicato
alla Legione Muti, provocando,
causa proteste, la sospensione
del consiglio in corso.
Proprio a Bollate, invece,
dove ha aperto la nuova
Skinhouse, due consiglieri
comunali, sempre di An, si
sono presentati a una seduta
con le magliette dell´Italia
campione del mondo 1938, nere,
con stemma sabaudo e fascio
littorio. A superare tutti,
comunque, il sindaco di Forza
Italia di Buccinasco,Loris
Cereda, che aveva organizzato
per fine novembre, con il
patrociniodel Comune, un
convegno su Julius Evola, il
massimo riferimento teorico
per il neonazismo italiano.
Solo le pressioni del prefetto
Gian Valerio Lombardi avevano
alla fine fatto saltare
l'iniziativa. I confini tra
tutte le destre a Milano sono
spesso invisibili.
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