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Banche, nuovo record dei crediti a forte rischio:
sofferenze a 155,8 miliardi (+24,6%)
Mentre Visco ragiona sulla bad bank nazionale, arrivano i
nuovi dati sulla crescita esponenziale dei prestiti a
creditori insolventi che zavorrano gli istituti
La mole dei crediti
bancari italiani in sofferenza per
l’insolvenza del debitore tocca un nuovo record: a dicembre il
tasso di crescita sui dodici mesi è risultato pari al 24,6%
(con una crescita di 1,9 punti rispetto al 22,7% di novembre).
Si tratta di un nuovo massimo dal 1998. Lo fa sapere la stessa Banca
d’Italia il
cui governatore, Ignazio
Visco, sabato 8 febbraio
ha aperto la strada alla creazione di una bad bank nazionale,
cioè una sorta di veicolo-lavatrice in cui convogliare e
smaltire tutta la “spazzatura” del sistema il cui controvalore
supera i 300 miliardi di euro. Mentre le
sole sofferenze lorde delle banche italiane (categoria che
riguarda esclusivamente i crediti accordati a un debitore in
stato di insolvenza anche non certificata) a dicembre
ammontavano a 155,8 miliardi, 6,2 in più dei 149,6 di fine
novembre e ben 30,9 in più
rispetto ai 124,9 miliardi di fine 2012.
Secondo il Financial
Times, che cita fonti di governo, l’ipotesi non
troverebbe però sponda nel premier Enrico
Letta. Le fonti citate dal quotidiano della
City sostengono che “l’idea di una bad bank potrebbe essere controproducente per
l’Italia” e che il timore del premier sarebbe quello di
“accelerare il processo di un downgrade da
parte delle agenzie di rating nei prossimi mesi”. Bad
bank o meno, secondo il direttore generale dell’Abi, Giovanni
Sabatini,
che ne ha parlato con l’agenzia Bloomberg, dall’analisi della
Bce sulle banche italiane potrebbero emergere carenze tra i10-15
miliardi di euro.
Una cifra a suo dire gestibile e in linea con le stime di
Bankitalia.
Intanto imprese e famiglie continua a fare i conti con la stretta
del credito. A dicembre, sempre secondo Bankitalia, i prestiti
delle banche italiane al settore privato hanno registrato una
contrazione su base annua del 3,8
per cento (-4,3
per cento a novembre). Quelli alle famiglie sono in
particolare scesi dell’1,2 per cento (-1,5 per cento nel mese
precedente), mentre quelli alle società non finanziarie sono
diminuiti, sempre su base annua, del 5,3 per cento (-6 per
cento a novembre).
“L’aumento esponenziale di sofferenze ed incagli, non è
addebitabile esclusivamente alla crisi
sistemica seppur
generata dai banchieri, ma in massima parte ad una gestione
del credito spesso clientelare“, fanno nel frattempo
sapere Adusbef e Federconsumatori in una nota. Un credito,
attaccano le associazioni dei consumatori, “che nega piccoli
fidi a platee vaste di richiedenti senza Santi in Paradiso,
per erogare masse creditizie di decine di miliardi di euro
privi di garanzie reali, ai soliti amici, sodali, compagni di
merende dei banchieri di sistema, come insegnano i casi di
scuola di Zaleski,
Zunino, Ligresti,
che dovrebbero perfino interessare le Procure
della Repubblica per
violazione al codice penale per incauti
affidamenti“. Reiterata, quindi, la richiesta di
chiarimenti sul progetto bad bank nazionale del governatore
della Banca d’Italia “il quale, con la usuale scusa di
liberare risorse da utilizzare per il finanziamento
dell’economia, vuole rifilare l’ennesima patacca agli
italiani”.
Dal canto suo il Comitas,
l’associazione delle microimprese italiane, ricorda come “la
causa della crescita delle sofferenze è delle banche stesse.
Negli ultimi anni, infatti, gli istituti di credito da un lato
hanno fortemente ridotto il credito concesso a imprese e
privati, dall’altro hanno incrementato la revoca dei fidi,
rendendo insolventi aziende e cittadini. Se quindi non si
concedono più i soldi ai privati e si ritirano – spesso
immotivatamente – i prestiti già elargiti, si getta benzina
sul fuoco accentuando le difficoltà economiche di una
pluralità di soggetti, con effetti diretti sul tasso di
sofferenza”. Quanto alla bad bank, “auspichiamo che l’ipotesi
avanzata di costituire un fondo dove far confluire i crediti
in sofferenza possa alleggerire la situazione a patto che,
contemporaneamente, le banche allarghino i cordoni
della borsa e
ridiano ossigeno alle aziende, soprattutto piccole, che sono
in grado di crescere, innovarsi, internazionalizzarsi, e
assumere giovani”.
Berlino contro la Bce sull'acquisto Bond.
Ma il tasso Btp scende ai minimi dal 2006
I mercati leggono positivamente il rimando tedesco
alla Corte di giustizia europea sul programma di
acquisto di titoli di Stato della Bce: di fatto
riconosce l'autorità del tribunale comunitario su
quello nazionale. Milano chiude in rialzo dello
0,96%, spread in area 200. Negli Usa la
disoccupazione cala come previsto al 6,6%, ai minimi
da cinque anni, ma i nuovi posti di lavoro sono
'solo' 113mila
MILANO -
L'Alta Corte federale tedesca chiede
l'intervento della Corte europea sul
programma Omt della Bce, lanciato a settembre da
Mario Draghi, che prevede l'acquisto di titoli di
Stato di Paesi in difficoltà in cambio di rigorosi
piani di austerità di bilancio. Una mossa di cui l'Eurotower
prende atto ribadendo seccamente che "il programma
Omt rientra nel suo mandato". La lettura dei mercati
è, tuttavia, positiva: "La Germania - spiegano gli
addetti ai lavori - riconosce di fatto di non poter
deliberare senza aver interpellato la Corte europea.
Proprio quello che voleva la Bce secondo cui è
competente solo il tribunale comunitario". Questa
versione è sufficientemente accreditata da allentare
- dopo un primo scossone - le tensioni sul debito
pubblico dell'Eurozona in scia anche alle parole di
ieri del governatore Bce Mario
Draghi, che ha promesso costo del denaro basso
ancora a lungo e ha assicurato che l'Eurozona non si
trova in deflazione.
I primi a beneficiarne sono i Btp italiani che ben
comprati sul mercato secondario hanno visto il
rendimento precipitare al 3,68% ai minimi dal
febbraio 2006 (lospread è
in calo in area 200 punti), quando la crisi del
debito sovrano pareva impossibile. La mossa della
Germania si aggiunge
al trend delle ultime settimane con i grandi
investitori internazionali che spostano capitali dai
paesi emergenti verso i più sicuri mercati
occidentali premiando gli ex Piigs: dal Portogallo
all'Italia, dall'Irlanda alla Spagna fino alla
Grecia. La convizione è che la crisi sia alle spalle
e oggi, quindi, si tratta di Paesi che offrono buoni
rendimenti (se comparati ai treasury americani o ai
bund tedeschi) con rischi limitati.
A questa importante novità si aggiungono i dati sul lavoro
negli Stati Uniti,
che erano molto attesi dai mercati. Come da
previsioni, la disoccupazione Usa è scesa al 6,6% a
gennaio e si è portata ai minimi da cinque anni;
d'altra parte, però, la creazione di nuovi posti di
lavoro si è fermata a 113 mila unità e ha deluso le
aspettative per 170-180 mila nuovi occupati.
Nell'intero 2013 l'economia ha creato in media 194
mila nuove buste paga al mese, secondo i dati
rivisto oggi dal Dipartimento del lavoro, non
lontane dalle 200mila poste come obiettivo dalla
Fed. L'andamento degli ultimi due mesi è stato però
ben più lento e questo sarà oggetto di discussione
in seno alla Banca centrale Usa, chiamata sotto la
nuova guida di Janet Yellen a continuare o meno la
stretta agli stimoli monetari. E così a Wall
Street il
Dow Jones sale dello 0,4%, l'S&P 500 dello 0,55%,
mentre il Nasdaq avanza dello 0,9% alla chiusura dei
mercati europei.
Chiusura che avviene in terreno positivo: a Milano, Piazza
Affari rimbalza
positivamente al dato americano sul lavoro e termina
gli scambi a +0,96%. Rispetto allo scorso venerdì,
il Ftse Mib ha guadagnato un punto percentuale
circa, dopo un avvio di ottava decisamente negativo.
In rialzo anche gli altri listini: Londrachiude
a +0,2%, Francoforte aggiunge
lo 0,49%, e Parigi lo
0,96%. Sulla Borsa milanese è stata volatileTelecom,
che è partita a razzo, è passata in negativo e poi
ha chiuso tra
i migliori;
in evidenza ancheMediolanum,
dopo il giudizio positivo degli analisti di
Citigroup. In rialzo anche Mediaset,
grazie alle dichiarazioni del vice presidente Pier
Silvio Berlusconi, che ha parlato di "qualche
segnale positivo" per la pubblicità dall'inizio
dell'anno. L'euro chiude
sopra quota 1,36 dollari dopo i deludenti dati
sull'occupazione Usa, mentre il biglietto verde
arretra. La moneta europea passa di mano a 1,3616
dollari, dopo aver toccato in precedenza un minimo
di 1,3551 dollari.
Prima dei dati sull'occupazione Usa si sono
registrate alcune indicazioni macroeconomiche dal
Vecchio continente. In Germania la
bilancia commerciale ha segnato un surplus di 18,5
miliardi a dicembre con un avanzo di 198,9 miliardi
nel 2013. L'export è diminuito dello 0,9% su mese a
dicembre e aumentato del 4,6% su anno, mentre
l'import è sceso dello 0,6% congiunturale e salito
del 2% tendenziale. Dati sulla bilancia commerciale
anche in Gran
Bretagna,
dove il deficit di dicembre scende a 7,7 miliardi di
sterline. In Spagna,
invece, la produzione industriale è salita del 3,5%
tendenziale a dicembre. Nell'intero 2013 la
produzione industriale è scesa dell'1,8% sul 2012.
Numeri che dimostrano come la ripresa a Madrid sia
cominciata.
Draghi esclude il “rischio deflazione”. E annuncia:
“Azioni decisive se servirà”
L'Eurotower non tocca il costo del denaro e lo
lascia agli attuali minimi storici. Il presidente:
"Politica Bce non si riflette sui tassi in Italia e
Francia". E poi rassicura sul rischio di un calo dei
prezzi. Ma per gli analisti resta una reale minaccia
per la ripresa
Mario Draghi tenta
di allontanare lo spettro
della deflazione.
“L’Eurozona
sperimenterà un lungo periodo di bassa
inflazione“, ha avvertito il presidente
della Banca
centrale europea, ma “seguirà poi un rialzo
graduale dei prezzi” e per questo motivo è presto
per parlare di “deflazione”. Rispondendo ai
giornalisti a Francoforte, l’ex numero uno di
Bankitalia ha spiegato che la Bce ”monitora
attentamente” gli sviluppi sui mercati monetari ed è
pronta ad “azioni
decisive“ se necessario, promettendo tassi
ai livelli attuali o inferiori “ancora a lungo”.
L’Eurotower ha poi annunciato che il tasso
d’interesse di
riferimento resta invariato al minimo
storico dello
0,25 per cento. “Gli effetti della politica
monetaria di bassi tassi della Bce non si riflettono
a quelli applicati in Italia e
in Francia“,
ha affermato il presidente dell’istituto centrale
durante la conferenza stampa.
Tornando al rischio deflazione, Draghi ha precisato
che “non c’è alcuna analogia con la situazione del Giappone negli
anni ’90″ e ha ricordato che l’inflazione nell’area
della moneta unica “non è molto diversa dagli Stati
Uniti, dopo la ripresa è in corso da più
tempo”. Il numero uno dell’Eurotower ha quindi
spiegato che l’andamento dei prezzi al consumo è
condizionato “dai prezzi di energia e cibo” ma anche
“dalla debole domanda, dovuta all’elevato tasso di
disoccupazione”.
Ma molti analisti -
come riportava nei giorni scorsi il Financial
Times - restano convinti che un periodo
prolungato di calo
dei prezzi possa rappresentare una reale
minaccia per
la ripresa. “I rischi di deflazione ora sono
maggiori”, affermano gli osservatori, sottolineando
che se la minaccia deflazione si realizzasse questo
potrebbe esacerbare le pressioni sui Paesi della
periferia dell’area euro aumentando il costo
del debito e
soffocando le spese di famiglie e aziende. Tra gli
economisti, poi, non manca chi sostiene che alcuni
settori economici abbiano già crescita negativa.
Anche per questo la Banca
d’Inghilterra ha
lasciato i tassi di riferimento invariati allo 0,50%
confermando il piano di riacquisto Bond a 375
miliardi di sterline.
Proprio l’inflazione era
uno dei dossier alla base dell’incontro dei
banchieri centrali, che si sono riuniti
oggi. Continua infatti a preoccupare l’aumento dei
prezzi, in ulteriore
rallentamento nell’Eurozona (0,7% a gennaio), in
Paesi come l’Italia (0,6%) e inferiore alle attese
persino inGermania (1,3%),
che assottiglia pericolosamente la distanza di
sicurezza dal rischio-deflazione. Draghi – come
aveva già fatto in passato – non ha nascosto che
l’inflazione è molto bassa e ci rimarrà “a lungo”,
promettendo di agire se i rischi di deflazione si
facessero troppo concreti.
E ha cercato di rassicurare sul rischio deflazione.
Ogni crisi finanziaria, ha detto, “è sempre seguita
da un periodo di bassa inflazione”. E quella in
corso è dovuta ai bassi prezzi alimentari ed
energetici globali e a Paesi come Portogallo,
Irlanda e soprattutto Grecia,
il Paese più in difficoltà che secondo Bloomberg potrebbe
ricevere dall’Ue una estensione a 50 anni dei suoi
prestiti, con un taglio dei tassi su alcuni degli
aiuti già ricevuti.
L’altro dossier all’ordine del giorno sono
i tassi
troppo alti che
le banche si applicano sui prestiti di liquidità fra
loro. Gli stress test sulle banche non hanno infatti
ancora fatto chiarezza sui bilanci. C’è quindi poca
fiducia a prestare liquidità, specie verso il Sud
dell’Eurozona. Aggiungendosi allospread sui
titoli di Stato, che fa salire i tassi pagati dalle
banche e applicati poi sui prestiti a famiglie e
imprese, tutto ciò amplifica la stretta
creditizia che
sta frenando la ripresa in Paesi come l’Italia.
ARTIFICI CONTABILI PER INVENTARSI LA CRESCITA
Si può! Truccare
i dadi si può! Cambiare
le statistiche pur di nascondere la verità si può. A giugno 2013 l’Istat
trasformò il calcolo dell’indice di fiducia degli italiani ottenendo un
aumento di ben 20 punti celebrato da Saccomanni (regalategli un
lampadario) e Letta come l’ennesima luce in fondo al tunnel. Da allora gli
italiani sorridono alla vita. Ora ci risiamo. A settembre 2014 la
Commissione Europea utilizzerà una
nuova metodologia di calcolo del PIL. Spese
militari (?!) e di ricerca e sviluppo diventeranno investimenti.
La valutazione delle spese relative alla bilancia dei pagamenti e al
sistema previdenziale cambierà. Il tutto al fine di abbandonare l'ESA 95 (European
system of national accounts) e allineare il calcolo del PIL europeo alla
analoga metodologia di calcolo americana. L'Europa riparte alla grande.
Alcuni Paesi europei hanno già fornito i nuovi risultati con delle
simulazioni. Siamo tutti più ricchi e la luce splende in fondo al tunnel.
Per l'Italia, durante il periodo 2010-2012, vi è un aumento di PIL di più
di un punto percentuale. I
cacciabombardieri F-35 diventano un ottimo investimento,
in fondoportano
lavoro.Gli
altri Paesi europei anticipano addirittura un sensibile miglioramento: la
Gran Bretagna di 4%, Svezia e Finlandia di 5%.
Se il risultato di 1-2 punti percentuali in più sarà confermato per
l'Italia avremo 500 dai ai 900 milioni di euro da spendere in quanto
diventati virtuosi per la UE. Il problema è che i
soldi non ci sono.
Preparatevi a sei mesi di chiacchiere su un tesoretto che attribuiranno
alle capacità di Capitan Findus Letta e di Gelatina Saccomanni senza
spiegare che è solo artificio contabile. Più Pil e più bombe per tutti. E'
l'Italia che va...
Ma dove va?
Le agenzie
di rating non sono
sempre affidabili, sappiamo bene i danni che hanno fatto certificando come
investimenti sicuri i derivati tossici e amplificando la speculazione sul debito
pubblico dei Paesi
dell’euro tra 2010 e 2012. Ma ogni tanto hanno il pregio di sottolineare
l’ovvio, come ha fatto ieri Standard&Poor’s,
la più importante delle tre agenzie americane che dominano il mercato. Nel
suo report sull’Eurozona, S&P avanza un certo scetticismo sull’Italia:
“Siamo ancora incerti se i trend economici e nelle decisioni politiche
reggeranno”.
Non è ovviamente solo la situazione politica, difficile da decodificare, a
inquietare gli analisti. Ci sono i numeri. Due in particolare. Quello
sulla crescita è il più preoccupante: “La domanda
di lavoro e le
condizioni del credito strette limiteranno la crescita media del Pil in
Italia al +0,5 per cento annuo tra il 2014 e il 2016″. Le previsioni del
governo sono ormai così chiaramente gonfiate che perfino lo stesso premier Enrico
Letta dice
pubblicamente che la crescita dell’1,1 per cento nel 2014 è un
“obiettivo”, anche se nei documenti ufficiali è indicata come previsione.
E la differenza non è ovviamente solo semantica ma di credibilità.
Secondo dato: dice S&P che a fine anno il debito pubblico sarà del 134 per
cento del Pil,
inutile che Letta celebri riduzioni temporanee di qualche zero virgola. Ci
vorrebbero delle liberalizzazioni per
liberare la crescita, non potendo usare la leva della spesa pubblica. Ma
di queste non c’è traccia nel programma di Letta e neppure in quello di Matteo
Renzi, per la verità. Purtroppo ormai il governo, sia con Letta
che con il ministro dell’Economia Fabrizio
Saccomanni, ha scelto la linea dello struzzo: negare sempre,
contro ogni evidenza, contro ogni numero. E promettere, promettere,
promettere.
O si cambia tutto o fra 9 anni il nostro tenore di vita
sarà il 60% di quello statunitense, come negli anni’60
Niente luci e ombre, solo bianco e nero. L’Europa corre veloce nella sfida
economica con gli Stati Uniti, ma corre all’indietro, talmente veloce che
anche l’incerta economia statunitense sembra una locomotiva che porterà la
differenza tra i livelli di vita del Vecchio continente nel 2023,
praticamente domani, al 60% dei quelli Usa. Peggio di quanto era negli
anni’60.
Questo, naturalmente in assenza di profonde riforme economiche. Ma se ne
vedono così tante?
A spaventare è che questa previsione, basata su 50 pagine di cifre e
grafici complessi, la fa la normalmente tranquillizzante Commissione
europea, che non fa altro, da mesi e mesi, che parlare di luce in fondo al
tunnel, di ripresa difficile ma che c’è e così via. Lo fa nel suo ultimo
report trimestrale sull’area euro, uscito alcuni giorni fa a Bruxelles.
Le voci sulla ripresa sono dunque troppo ottimistiche? Il Trattato
commerciale che stiamo negoziando con gli Usa è forse solo un menù che
Washington si sta servendo in Europa? Oppure alla Commissione hanno già
considerato che questo importante accordo commerciale si incastrerà
perfettamente con una serie di riforme decisive a livello europeo e
nazionale (Italia compresa) e dunque il rischio non c’è davvero? Tutti gli
sforzi fatti dopo il boom della fine degli anni ’50 sono stati bruciati da
cinque anni di crisi? Eravamo arrivati quasi alla pari con i ricchi
spendaccioni statunitensi e invece, tra nove anni, la nostra economia sarà
andata così male che il nostro livello di vita sarà solo il 60% del loro:
Loro dieci bistecche? Noi sei. Loro dieci posti di lavoro? Noi sei. Loro
dieci giorni di ferie? Noi sei, e via così…
Vale la pena di leggere il passaggio originale: “On the assumption that
the euro area and US forecasts underpinning this scenario prove accurate,
the euro area is forecast to end up in 2023 with living standards relative
to the US which would be lower than in the mid-1960′s. If this was to
materialise, euro area living standards (potential GDP per capita) would
be at only around 60% of US levels in 2023…”
Eravamo diventati alleati con pari dignità, stavamo nella Nato tutti
insieme a gestire le sorti del Mondo e ci ritroviamo invece (tutti noi
dell’eurozona) a dover pietire una commessa da un’industria di Cincinnati
per tirare avanti?
Secondo i dati diffusi dalla Commissione il crollo europeo è evidente nei
dati sulla produttività del lavoro: un’ora di produttività del lavoro
nella zona euro era quasi il 90 per cento del valore negli Stati Uniti
nella metà degli anni ’90 , ma la cifra è scesa oggi di un 10% e si
prevede che arrivi al 73% entro il 2023. Qui si concentreranno le
principali motivazioni della differenza, per il resto sarà colpa dei tassi
di occupazione e delle ore lavorate procapite.
Secondo la Commissione dunque gli Usa sono usciti dalla crisi meglio di
quanto stia facendo la zona euro, con un tasso medio annuo di crescita
potenziale del 2,5% nei prossimi 10 anni, mentre la zona euro sarà in
media solo all’1% . I tassi di crescita procapite saranno anche qui la
metà di quelli statunitensi.
Marco Buti, direttore generale Affari economici cerca di trovare un
aspetto positivo in questo dramma, e scrive nella sua introduzione che “il
messaggio incoraggiante, tuttavia, è che le prospettive di crescita
modesta non sono ‘scolpite nella pietra’. Le proiezioni riportate sono
basati su uno scenario “del far nulla”, assumendo cioè che le politiche
attuali rimangono invariate. I responsabili politici – ammonisce Buti –
possono evitare il terribile scenario di crescita mediante l’attuazione di
riforme che contribuiscano a sviluppare appieno il potenziale
dell’economia”.
Monte dei Paschi, il mistero dei bilanci è un
segreto di Stato
Da due mesi il governo italiano
impedisce agli uffici di Bruxelles di rendere nota
la decisione con cui la Commissione europea il 27
novembre scorso ha imposto alla banca senese di
restituire entro il 2014 tre dei quattro miliardi di
aiuti di Stato ottenuti un anno fa
Il documento chiave è secretato. Da
due mesi il governo italiano impedisce agli uffici
di Bruxelles di rendere nota la decisione con cui la
Commissione europea ha imposto il 27 novembre scorso
alMonte
dei Paschi di Siena di
restituire entro il 2014 tre dei quattro miliardi di
prestito statale (i cosiddetti Monti
bond) ottenuti un anno fa. Il ministro
dell’Economia Fabrizio
Saccomanni si
avvale del diritto di espungere dal testo
“informazioni considerate confidenziali”. Un lavoro
di sbianchettatura evidentemente laborioso che
indica come la vicenda Mps sia ormai affare di
Stato.
Il triangolo delle
Bermude - Il
comunicato emesso lunedì scorso dalla Banca
d’Italia lo
conferma. Il governatore Ignazio
Visco e
il direttore generale Salvatore
Rossi hanno
ricevuto – con un rappresentante del ministero
dell’Economia – il presidente di Mps Alessandro
Profumo con
l’amministratore delegato Fabrizio
Viola e
il presidente della Fondazione Mps (azionista di
controllo della banca) Antonella
Mansi con
il direttore generale Enrico
Granata. Banca,
vigilanza e governo – intorno a un tavolo
triangolare sempre più somigliante al triangolo
delle Bermude – comunicano la loro compattezza:
“L’incontro si è svolto in un clima costruttivo,
nella responsabile consapevolezza di tutte le parti
che il Monte possa continuare a rappresentare una
realtà bancaria importante nell’economia del Paese,
a condizione di poter contare su un adeguato
supporto patrimoniale e su un assetto azionario
stabile”. In termini calcistici lo schema di gioco
adottato è il catenaccio. Adesso tenete bene a mente
l’espressione “adeguato supporto patrimoniale” per
capire che cosa c’è sotto.
Tutto comincia nell’autunno del 2011.
Lo spread supera quota 500, nasce il governo Monti.
L’Eba (European banking authority) ordina a Mps una
trasfusione di capitali freschi da 3,3 miliardi di
euro. La banca senese è pesantemente esposta sui
titoli di Stato italiani, la cui perdita di valore è
misurata dall’impennata dello spread. Scatta
l’allarme. Il direttore generale Antonio
Vigni viene
sostituito con un uomo di fiducia della Banca
d’Italia, Viola. Il presidente del Monte, Giuseppe
Mussari, prima
minaccia un ricorso alla Corte di giustizia europea
contro la raccomandazione Eba, ma poco dopo si
dimette. I suoi amici del Pd senese e nazionale
chiamano Profumo.
Per quasi tutto il 2012 il nuovo
vertice tratta la crisi Mps come difficoltà
fisiologica. Il 9 ottobre 2012, agli azionisti che
invocano l’azione di responsabilità contro Mussari,
Profumo replica seccamente: “Non abbiamo elementi”.
È vero che già dai primi di maggio il Monte dei
Paschi è oggetto di perquisizioni a tappeto per
l’inchiesta sulla acquisizione della banca
Antonveneta,
l’operazione del novembre 2007 che segna l’inizio
della fine. Ma il 20 giugno Mussari è stato
confermato presidente dell’Abi, l’associazione delle
banche, all’unanimità. E, soprattutto, il 9 ottobre
Profumo non ha elementi, però il 10 ottobre Viola
scova in fondo a una cassaforte in uso al suo
predecessore Vigni l’ormai celebre mandate
agreement, la prova che inchioderebbe Mussari, oggi
a processo per ostacolo alle autorità di vigilanza.
Nei giorni scorsi la dirigente della Consob Guglielmina
Onofri ha
testimoniato al tribunale di Siena che gli uomini di
Viola avevano già trovato il 20 settembre – venti
giorni prima – copia di contratto, con l’indicazione
che l’originale si trovava in quella cassaforte.
Elio Lannutti, presidente dell’associazione di
risparmiatori Adusbef, ha denunciato Viola per falsa
testimonianza.
Per capire tante stranezze va
spiegato il mandate agreement. Nel 2009 Mussari sta
andando con i conti in rosso sotto il peso della
sciagurata acquisizione di Antonveneta, pagata 9
miliardi quando ne valeva forse la metà. Per
rinviare i problemi convince Nomura e Deutsche
Bank a
ricontrattare operazioni che vedono Mps in forte
perdita. Le due banche fanno il favore, ma a fronte
della ricontrattazione con cui rinunciano ai
guadagni di due operazioni (rispettivamente
Alexandria e Santorini) ottengono una nuova
complicata manovra su titoli di Stato (Btp a
scadenza 2034) con cui si rifanno abbondantemente ma
a lungo termine, consentendo a Mussari di nascondere
per un po’ il buco del bilancio.
Gli ispettori di Consob e Bankitalia
notano già a fine 2011 queste operazioni in pesante
perdita, ma fare cattivi affari non è vietato. E al
processo, incalzati dalle domande della difesa di
Mussari, argomentano che senza il mandate agreement,
il contratto che appunto lega le due operazioni (Btp
2034 e ristrutturazione Alexandria), l’operazione in
Btp restava un’operazione in Btp, anche se
somigliava terribilmente a un “derivato sintetico”
con perdita automatica incorporata.
Come cambia il
pensiero di Profumo - La
distinzione è decisiva per capire la portata
dell’affare di Stato. L’esistenza
del mandate agreement viene rivelata dal Fatto il 22
gennaio 2013, con un articolo di Marco
Lillo. Lo
scandalo esplode e Mussari si dimette dall’Abi. Due
giorni dopo a Siena si svolge un’infuocata assemblea
degli azionisti, chiamati a un aumento di capitale
da 4,1 miliardi al servizio della eventuale
conversione dei Monti Bond. Infatti a dicembre 2012,
prima dello scandalo, Profumo ha avuto dal governo
Monti un prestito di quell’importo, perpetuo ma
convertibile in azioni quando lo decida la banca.
Trattandosi di un aiuto di Stato, la Commissione
europea dà la necessaria approvazione, provvisoria
in attesa di un piano di ritrutturazione della
banca. All’assemblea del 25 gennaio, nonostante la
fresca scoperta dei derivati nascosti di Mussari,
Profumo non perde l’aplomb: “La necessaria richiesta
del supporto pubblico si riconduce prevalentemente
alla crisi del debito sovrano e solo in misura
minore anche alle attività di verifica ancora in
corso sulle operazioni Alexandria, Santorini e Nota
Italia di cui tutti parlano”. Profumo ha dunque
chiesto gli aiuti di Stato lamentando difficoltà
esogene, come si dice in gergo, cioè non dovute alla
gestione di Mussari ma alla crisi mondiale. Il
commissario europeo alla Concorrenza,Joaquin
Almunia, se ne
ricorderà.
Il 6 febbraio Mps comunica di aver
calcolato in 730 milioni la perdita su Alexandria e
Santorini. All’assemblea degli azionisti del 29
aprile successivo torna in ballo l’azione di
responsabilità contro Mussari, e Profumo sfodera un
argomento opposto rispetto a tre mesi prima: “La
rilevazione operata a fini Eba a fine settembre 2011
ha evidenziato per la Banca una riserva AFS negativa
per 3,2 miliardi circa (di cui 1,2 miliardi
imputabili all’operazione Nomura e 870 milioni
imputabili all’operazione Deutsche Bank),
costringendo la Banca a ricorrere a onerose azioni
di rafforzamento patrimoniale”. Dunque le operazioni
di Mussari hanno lasciato in eredità un buco
patrimoniale di 2,07 miliardi, che Profumo fino a
quel giorno aveva ascritto alla “crisi del debito
sovrano”.
Qui parte l’attacco di Almunia. A
luglio 2013 scrive a Saccomanni (fino a due mesi
prima direttore generale della Banca d’Italia)
minacciando l’Italia di una procedura d’infrazione
sugli aiuti di Stato a Mps. Ai primi di settembre, a
Cernobbio, scopre le carte. Prima dichiara che
l’aumento di capitale da un miliardo prospettato da
Profumo è insufficiente. Poi concorda con Saccomanni
che l’aumento dovrà essere da tre miliardi,
finalizzati alla rapida restituzione del 74 per
cento dei Monti Bond. Strano. Profumo lavora su un
rafforzamento patrimoniale da 5,1 miliardi (4,1 di
Monti Bond più un miliardo di aumento di capitale).
Almunia invece impone di restituire 3 miliardi di
Monti Bond, e, siccome un decimo dell’aumento di
capitale da 3 miliardi va in spese, la banca ci deve
mettere 300 milioni suoi, mentre svanisce anche il
miliardo di maggior patrimonio che Profumo voleva
chiedere al mercato. Risultato: il di cui sopra
“adeguato supporto patrimoniale” scende da 5,1 a non
più di 3,8 miliardi, e per Mps non è una bella
notizia.
Le ragioni del castigo inflitto da
Almunia a Mps – compreso il ridimensionamento da
terza banca italiana a banca regionale – sono
scritte nel documento che il governo italiano non
vuole rendere pubblico. All’assemblea del 28
dicembre scorso l’azionista Giuseppe
Bivona,
rappresentante del Codacons, ha sostenuto, logica e
Trattato europeo alla mano, che Almunia, imponendone
la restituzione, ha di fatto bocciato gli aiuti di
Stato ai sensi dell’articolo 108 del trattato
europeo, secondo il quale una mazzata simile è
ammessa se “tale aiuto e` attuato in modo abusivo”.
Ma attenzione: la scelta di rimborsare i Monti Bond,
indebolendo la banca e ribaltando una decisione di
pochi mesi prima, è tutta italiana. Per Almunia
andava bene anche la conversione in azioni dei Monti
Bond, che avrebbe nazionalizzato il Monte quasi
azzerando gli azionisti attuali, a cominciare dalla
Fondazione. Per Bruxelles basta che gli azionisti
non risolvano i loro problemi con i soldi di
Pantalone. Perché dunque gridare in coro “tutto ma
non la nazionalizzazione!”, visto che i soldi
dei contribuenti erano
stati già versati senza rimpianti un anno fa? Forse
per evitare che un giorno emergano altre sorprese
che – trattandosi di banca controllata dallo Stato –
gravino sui conti pubblici. Qui si può solo
formulare un’ipotesi, visto che il documento
ufficiale è segretato nell’evidente imbarazzo di
banca, vigilanza e governo.
Fino a che Mussari era presidente
dell’Abi… - Per
tutto il 2012 Profumo e Viola, in sintonia con
Bankitalia e Consob, non hanno visto i perniciosi
derivati del presidente dell’Abi in carica,
continuando a battezzarli come operazioni in Btp.
Così anche dopo la scoperta del mandate agreement
Mps ha continuato a contabilizzare quelle operazioni
esattamente come le contabilizzava Mussari, che è
sotto processo per ostacolo alla vigilanza ma non
per falso in bilancio. Lo ha confermato Viola il 28
dicembre scorso: “In data 10 dicembre 2013, la
Consob ha di fatto confermato il trattamento
contabile applicato dalla banca, che risulta
conforme ai principi contabili IAS/IFRS ed è stato
concordato con i revisori esterni Kpmg sino al 2010
e Ernst & Young dal 2011”. È quel “di fatto” a
segnalare una continuità quantomeno sospetta.
Infatti, a dimostrazione di una situazione confusa,
la stessa Consob ordina a Mps anche di allegare al
bilancio i cosiddetti prospetti pro-forma, che
mostrano il bilancio come sarebbe se quelle
operazioni in Btp fossero considerate derivati: con
miliardi di euro che vanno e vengono da una partita
all’altra. Adesso l’unico obiettivo del triangolo
Mps-Bankitalia-governo è portare a casa al più
presto l’aumento di capitale da 3 miliardi:
eviterebbe le insidie della nazionalizzazione e
coprirebbe tutto, prima che dal nuovo esame europeo
di fine anno (in gergo asset quality review) emerga
un nuovo fabbisogno di capitale. O che dal documento
secretato di Almunia i mitici mercati scoprano
qualche scomoda verità.
Banche, così il governo anticipa di un anno il regalo da 4 miliardi di
euro
All'indomani della cacciata dal Senato di Mister B., ancora a piede libero
per la dimenticanza generale di questo popolo di rincoglioniti, avevamo
parlato di come il Governo, nel silenzio più assoluto, avesse
INCREDIBILMENTE PRIVATIZZATO LA BANCA D'ITALIA. (VEDERE
: L'ULTIMA SVENDITA SILENZIOSA). Il Governo BURLETTA,
infatti, con un bel decretino ad hoc fatto per rastrellare un miliardo di
euro senza sforare IL DEFICIT DEL 3% SECONDO GLI OBBLIGHI DELLA LETTERA
DRAGHI-TRICHET DEL 5 AGOSTO 2011( SOTTO IL IV GOVERNO BERLUSCONI), HA
RIVALUTATO LE QUOTE DELLA BANCA D'ITALIA. Cosa significa?? Fino ad
ieri, le quote della Banca d'Italia, PRIVATIZZATA DA AMATO NEL 1993 PER
LA FAMOSA MANOVRA DA 94.000 MILIARDI DI LIRE FATTA PER LA BANCAROTTA DELLA
LIRA SUL MERCATO MONETARIO,con temporanea uscita della stessa dallo
SME,fruttavano lo 0,5% delle riserve. In soldoni il capitale originario
della Banca d'Italia di 156.000 euro,mai toccato nemmeno da Amato,fruttava
al massimo 70 milioni di euro agli azionisti privati come INTESA SAN
PAOLO,UNICREDIT,POPOLARE DI MILANO,ecc. Incredibilmente, come
descritto ne
L'ULTIMA SVENDITA SILENZIOSA,
il III Governo Berlusconi riesce a partorire l'unica legge buona in 20
anni: ovvero il ritorno in mani pubbliche di tutte le quote della Banca
d'Italia detenute dalle merdose mani private. La legge, del 2005,
non viene attuata. Non solo, nella notte del 27 novembre 2013, mentre
tutti applaudono all'espulsione di Berlusconi dal merdoso Senato di Roma,
Saccomanni fa un decretino che stabilisce La Banca d'Italia come una
PUBLIC COMPANY, il solito neologismo inglese del cazzo PER DIRE CHE
L'ISTITUTO DIVIENE A TOTALE PARTECIPAZIONE PRIVATA !!! Il termine english
COMPANY non sta per "COSA PUBBLICA", ma per "APERTO AL PUBBLICO", cioè
aperto a PINCO PALLA O VATTELAPESCA. Il patrimonio originario di 156.000
euro viene portato a 7.500.000.000 di euro !!! Non solo: il limite dello
0,5% sulle riserve viene portato al 6% così al posto dei 70 milioni di
euro di utili si passa a 450 milioni di euro per la gioia di INTESA-SAN
PAOLO,UNICREDIT,BPM,UBI,ecc. !!! Infine tutte le quote detenute dal
pubblico vengono messe sul mercato a chi le vuole, ovvero BARCLAYS,
CITYGROUP,DEUTCH BANK,PNB PARIBAS, perchè il soggeto non deve essere
italiota ma comunitario !!! Tutto questo giro delle "tre tavolette" doveva
garantire un miliardo allo stato e utili alle Banche private
italiote con PERDITA TOTALE DELLA SOVRANITA' BANCARIA PUBBLICA DELLA BANCA
D'ITALIA. Purtroppo non è bastato: BURLETTA ha dovuto imporre la
retroattività al decreto per far incassare subito AD INTESA ED UNICREDIT
una rivalutazione tra i 2,7 ed i 4 MILIARDI DI EURO !!!
“Il governo presenterà un emendamento per confermare che le modifiche allo
statuto di Bankitalia sono valide a partire dal bilancio del 2013 – hanno
rivelato i relatori al decreto legge Imu Bankitalia, Andrea Fornaro e
Andrea Oliviero, entrambi in quota Partito
Democratico. La proposta di modifica, che sarà presentata
nell’aula di palazzo Madama, si rende necessaria perché il provvedimento è
stato pubblicato nella gazzetta ufficiale del 31 dicembre e quindi,
entrando in vigore il giorno successivo, si correva il rischio di poter
applicare la misura solo a partire da quest’anno”.
Un rischio che evidentemente il sistema bancario italiano, sotto pressione
per via della crisi del mattone, dei grandi debitori inadempienti e
dell’arrivo di nuovi paletti internazionali, non può correre. L’intera
faccenda non ha però mancato di generare malumori in Parlamento. Con Sel che
non ha esitato a parlare di incostituzionalità del
decreto legge.
”Questo ennesimo decreto in esame non risponde ai requisiti di
costituzionalità per vari motivi – ha dichiarato il senatore Luciano
Uras che ha posto la pregiudiziale di costituzionalità poi
respinta dall’Aula. Si scrive dl Imu si legge dl Bankitalia. Infatti, si
tratta in realtà della copertura di un’operazione ingannevole ed
artificiosa a favore di una parte del sistema bancario italiano in vista
di importanti scadenze europee, del tutto lontane ed estranee dalla
necessità di ridefinire la governance dell’Istituto”. Uras ha contestato
l’assenza di un vero dibattito politico procedendo “per decreto ad una
riforma storica dell’assetto proprietario e della governance della Banca
d’Italia che pregiudica palesemente la tutela
del risparmio”.
Senza contare che il governo ha già trovato un compratore per le
partecipazioni superiori alla nuova soglia di proprietà del 3/5%, cioè
quelle di Intesa e Unicredit. E che il guadagno delle banche venditrici
sarà tassato al 12% contro il 16% inizialmente previsto e il tradizionale
20 per cento. “Il testo che ci apprestiamo a votare, sottolinea il
senatore M5S, Francesco
Molinari è un regalo alle banche private e ai suoi padroni e una
truffa ai danni del popolo italiano. Ormai la svendita delpatrimonio
dello Stato per
mantenere intatti gli sprechi di una classe politica corrotta non conosce
limiti”.
L’aula del Senato ha approvato (9 gennaio) in prima lettura la conversione
in legge del discusso decreto che rivaluta le quote
di partecipazione al capitale della Banca d’Italia (1).
In questa fase, sono state introdotte modifiche opportune che, come giàavevamo
notato, seppelliscono l’idea iniziale di creare un libero mercato
internazionale delle “azioni” della banca centrale.
Nel frattempo, è stato reso noto (27 dicembre) il parere della Banca
centrale europea sulla bozza di decreto. Il parere richiede
“ulteriori dettagli” sul metodo di valutazione, che ha condotto alla cifra
di 7,5 miliardi per il capitale complessivo della Banca d’Italia, e
richiama il rispetto delle regole prudenziali e contabili europee nelle
operazioni di ricapitalizzazione che le banche italiane, azioniste della
Banca d’Italia, potranno fare sfruttando la rivalutazione delle loro
quote. Ma al di là di questi aspetti tecnici, quello che colpisce sono due
richiami espliciti, seppure formulati nel linguaggio soft dei
banchieri centrali.
Troppa fretta
A pagina 2 del parere leggiamo: “La Bce ha ricevuto la richiesta di
consultazione il 22 novembre 2013, mentre il decreto legge è stato
approvato il 27 novembre 2013”. Il Governo italiano ha dato solo tre
giorni lavorativi alla Bce per emanare il parere che, secondo quanto
previsto dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, doveva
precedere l’approvazione del decreto. Ciò equivale in sostanza a “un caso
di non consultazione”, ragion per cui “la Bce desidera richiamare
l’attenzione del Ministero circa il rispetto della procedura di
consultazione”. In altre parole, Mario Draghi (firmatario del parere in
qualità di Presidente della Bce), ha dovuto tirare le orecchie al suo
ex-collega Saccomanni, che prima di diventare Ministro sedeva al vertice
della Banca d’Italia, parte dell’Eurosistema.
Possibili trasferimenti dalla Banca d’Italia alle banche azioniste
Ma veniamo a un aspetto di sostanza, anziché di procedura. Il decreto
prevede un limite
massimo alle singole quote, pari al 3 per cento del capitale
della Banca (2).
Esso autorizza la Banca d’Italia a effettuare operazioni di acquisto
(temporaneo) delle proprie quote, presso quegli azionisti che detengano
partecipazioni superiori a quel limite. A pagina 5 del parere si legge:
“La Bce prende atto che la possibilità, per la Banca d’Italia, di
effettuare tali operazioni, può comportare un trasferimento di risorse
finanziarie agli azionisti”. In sostanza, la Bce richiama l’attenzione sul
potenziale costo, a carico della banca centrale, di quelle operazioni a
favore dei suoi azionisti. Poiché la Bce non quantifica questo costo,
proviamo a farlo noi. Naturalmente, il costo effettivo dipenderà dalle
decisioni del Consiglio superiore della Banca d’Italia. Noi possiamo solo
indicare una forchetta, che va da un minimo pari a zero, qualora il
Consiglio decidesse di non fare alcuna operazione di riacquisto, a
unmassimo indicato nella tabella sottostante. Gli importi massimi,
indicati nella terza colonna della tabella, sono stati calcolati
moltiplicando la quote di capitale che devono essere cedute da alcuni
azionisti della Banca d’Italia (in pratica le partecipazioni in eccesso
rispetto alla soglia del 3 per cento, indicate nella seconda colonna) per
il valore nominale del capitale della Banca, che rappresenta il prezzo
massimo d’acquisto da parte della Banca d’Italia. Come si vede, si tratta
di importi rilevanti, che sommano a un totale di quasi 4,2 miliardi di
euro (corrispondente a quasi il 56 per cento del capitale della Banca).
Trasferimento massimo a carico della Banca d’Italia, a favore di:
È
bene sottolineare che quello esposto qui è solo un esercizio.
Siamo sicuri che la Banca d’Italia eserciterà con la massima prudenza e
parsimonia l’autorizzazione ricevuta con il decreto legge, facendo in
modo che gli azionisti che hanno partecipazioni eccedenti il 3 per cento
trovino altri acquirenti delle eccedenze. Forse però si poteva evitare
di introdurre una discrezionalità, il cui esercizio potrebbe esporre la
banca centrale al rischio
di acquistare le proprie quote a un prezzo superiore a quello al quale
le dovrà rivendere in un momento successivo. Si può obiettare
che questa autorizzazione era necessaria, per agevolare il processo di
smaltimento delle quote in eccesso rispetto al limite del 3 per cento.
Tuttavia, lo stesso decreto prevede che le quote eccedenti siano
“sterilizzate”: private del diritto di voto e di ricevere dividendi
(dopo un periodo transitorio). Quindi, i “grandi azionisti” hanno tutto
l’incentivo a trovare acquirenti per le partecipazioni in eccesso; al
giusto prezzo, s’intende. Perché allora introdurre una agevolazione?
Forse anche alla Bce se lo sono chiesto…
(1) Su questo sito siamo più volte intervenuti sull’argomento: si
vedano gli articoli raccolti nel dossier.
Si vedano anche gli interventi di Marco Onado e di Luigi Zingales sul
Sole-24-Ore del 20/12/2013.
(2) La soglia era pari al 5 per cento nel decreto originale; è
stata abbassata al 3 per cento in fase di conversione.
Inps, 2013 in rosso per altri 14,4 miliardi.
Quest’anno atteso un buco nel patrimonio
I conti non migliorano neanche nel 2014, quando è
previsto un passivo di 11,9 miliardi. Lo si apprende
dall'ultimo documento firmato da Mastrapasqua, che
ha lasciato sabato scorso la presidenza
dell'Istituto. Pensioni, effetto Fornero: nuovi
assegni crollano del 43%
risultato
d’esercizio dell’Inps per
il 2013 sarà negativo per 14,4
miliardi. Continuano quindi a peggiorare,
anno dopo anno, i conti dell’Istituto nazionale
della previdenza sociale, a pochi giorni dall’addio
di “mister 25 poltrone”, Antonio
Mastrapasqua, che ha lasciato sabato scorso
la presidenza dopo l’approvazione di un ddl sul
conflitto di interessi. Ma il dato più
preoccupante è un altro: l’azzeramento
del patrimonio dell’Istituto
atteso nei prossimi mesi. Dal preventivo per
l’esercizio appena iniziato emerge infatti che negli
ultimi quattro anni il patrimonio netto è passato
dai circa 40 miliardi di euro del 2009 a 7,47
miliardi del 2013. E per il 21 dicembre 2014 è
atteso unrosso
di 4,5 miliardi.
Le attese per il 2014 non sono quindi più
rassicuranti. Per l’esercizio appena iniziato è
previsto un ulteriore passivo di 11,99 miliardi in
attesa di chiarire però se lo Stato si accollerà in
via definitiva l’onere delle pensioni
dei dipendenti pubblici dal
2012 in poi, cioè dall’anno in cui l’ente di
previdenza pubblica, Inpdap,
è stato fuso nell’Inps in scia alla riforma
Fornero.
Da ricordare inoltre che l’Inps è anche azionista
della Banca d’Italia e quindi beneficerà dellarivalutazione
delle quote di via nazionale prevista dal decreto
Imu-Bankitalia, come le banche tra cui
Intesa SanPaolo e Unicredit.
Pensioni, effetto Fornero: nuovi assegni crollano
del 43%
Dal confronto tra il bilancio preventivo Inps per il
2014 (nel quale sono contenuti i dati 2013 assestati
che risentono della riforma Fornero) e il bilancio
sociale per il 2012 emergono poi dati preoccupanti
sulle pensioni.
Nel 2013 sono stati stati liquidati 649.621 nuovi
assegni con un calo
del 43% rispetto
ai 1,14 milioni di nuovi assegni liquidati nel 2012.
E il divario dovrebbe aumentare ancora nel 2014, con
596.556 nuove pensioni previste e 739.924 assegni
che si prevede di eliminare. Tra il 2013 e il 2014
si prevede un crollo dei nuovi
trattamenti di anzianità. Nel 2013 –
secondo i dati assestati – sono stati nel complesso
170.604, mentre nel 2014 si stima che scendano a
quota 80.457 (57.891 delle quali ai lavoratori
dipendenti) con un calo del 52,8 per cento.
“Conti poco trasparenti, separare previdenza e
assistenza”
“Sono anni che ci battiamo per fare
chiarezza sui conti dell’Inps
chiedendo innanzitutto la separazione della spesa
previdenziale pura
da quella assistenziale“,
ricorda il segretario confederale Uil, Domenico
Proietti, sottolineando che “il dato che
emerge dal documento di previsione 2014 dell’Inps è
frutto di questa commistione, sulla quale bisogna
far chiarezza attraverso un’operazione di trasparenza
finanziaria“. E aggiunge: “Sui conti
dell’Inps pesa anche l’altissimo livello di disoccupazione degli
ultimi anni che, in un sistema a ripartizione,
incide negativamente attraverso la diminuzione della
contribuzione versata”.
Consumatori, azione di responsabilità verso
Mastrapasqua
Di fronte al buco di bilancio
dell’Inps, Adusbef e Federconsumatori auspicano
invece che venga avviata una “doverosa azione
di responsabilità verso
l’artefice unico di questa catastrofe, l’ex
presidente e collezionista di poltrone il
dimissionario Antonio Mastrapasqua”. E’ quanto si
legge in una nota dei consumatori. “Come mai – si
chiedono – sono stati disattesi i richiami della Corte
dei Conti e
le segnalazioni alle commissioni parlamentari su una
situazione allarmante dei bilanci Inps, che gettano
ombre su una gestione quanto meno discutibile?”.
La disoccupazione di massa è una scelta
politica?
Questa è una sintesi
dell’articolo “Serve
un acceleratore della crescita” pubblicato
oggi sul Sole 24 Ore.
Nel 2013 il mondo ha
raggiunto nuovi vertici di benessere:
+ 8% la produzione industriale, + 11% il
commercio mondiale rispetto al 2008 …Le banche
centrali hanno
collaborato allo stimolo fiscale garantendo
tassi d’interesse prossimi a zero; stabilità
dei titoli pubblici qualunque
fosse il livello del debito e del deficit;
finanziamenti diretti all’economia reale;
acquisti sul mercato dei titoli pubblici e
versamento degli interessi nelle casse del
Tesoro.
Questi risultati mettono in
luce, per contrasto, l’inaccettabile e
gratuita performance dell’Eurozona:
qui la produzione industriale e il PIL sono
ancora inferiori del 15% e dell’1,6%
rispetto al 2008; la crescita è minima,
tutta importata dall’estero, non in grado di
abbattere la disoccupazione (…) Se l’Europa
– solo l’Europa – adotta un sistema
monetario simile al gold
standard, a
cui aggiunge politiche del cambio,
monetarie, e fiscali Hooveriane, non
sorprende che le conseguenze siano simili a
quelle degli anni ‘30.
Fra queste conseguenze, vi è
anche l’isolata prosperità di un
grande paese europeo che
gode di un tasso di cambio sottovalutato. Il
suo enorme surplus commerciale drena domanda
dal resto del continente; i capitali
affluiscono copiosi; (…) il bilancio è in
pareggio senza austerità. Scambiando la
buona sorte per virtù, impartisce
lezioni ai
vicini. “La nostra nazione merita
l’ammirazione di tutti” – diceva nel ’32 il
Presidente del Consiglio francese, Tardieu –
per la sua “struttura economica armoniosa”,
la “parsimonia” dei suoi abitanti, “la
flessibilità del sistema economico”, la sua
“modernità (…)”. La Francia (…) insegna che
un paese in surplus non ha alcun incentivo a
modificare la situazione. Così è per la
Germania. Nel suo recente discorso al Bundestag,
la Cancelliera ha ribadito che la deflazione
è la strada obbligata per i paesi in deficit
commerciale. Dunque, tagli ai salari e ai
bilanci pubblici; aiuti, sotto pesanti
condizioni, solo quando si fosse sull’orlo
di una crisi sistemica. Ed in futuro,
‘contratti’ per imporre le riforme
strutturali: le nazioni europee – ha
osservato Carlo Clericetti – dopo aver
rinunciato alla moneta e alla sovranità di
bilancio, dovrebbero anche lasciare ad altri
le decisioni su quali riforme fare e come;
se non sono d’accordo, dice la Merkel,
“li
spingeremo” ad
accettare (…)
La storia degli anni ‘30
offre un altro insegnamento: nonostante i
pessimi risultati, le politiche
deflazioniste non vennero mai abbandonate
dalle élite democratiche del tempo,
trincerate dietro il motto: “l’austerità non
ha alternative!”. Solo i partiti
anti-sistema o perfetti outsider come F.D.Roosevelt risposero
al grido d’aiuto dei disoccupati. La crisi
odierna è per certi versi ancora più
complessa: l’Euro è più rigido del gold
standard, non è così facile uscirne (…) Ma
negli anni ‘30 non esisteva la
teoria macroeconomica,
oggi la scusa dell’ignoranza non vale più. O
non dovrebbe valere. Eppure, in questi anni
ci è stato detto, prima, che non c’era una
crisi della domanda; poi, che
l’insufficienza della domanda era reale, ma
‘di breve termine’; infine, si fa capire che
la crisi è necessaria per imporre le
riforme. La saldatura degli interessi della
Germania, dei riformatori neoliberali, e
degli eurocrati che puntano all’Unione
Politica Europea sta prolungando la crisi.
Il problema non è economico, è interamente
politico.
Ha notato Paolo Savona sul Sole del
22 Dicembre che le ricette deflazioniste –
sconfitte alla prova dei fatti – tuttavia
hanno vinto sul piano politico. Ma questa
‘vittoria’ comporta alti prezzi politici:
una deriva tecnocratico-autoritaria in
Europa, e una forte riduzione dei consensi
alle istituzioni democratiche
nazionali. Perciò un compromesso dovrebbe
essere nell’interesse anche
dell’establishment, per favorire la vera
pacificazione nazionale: quella fra chi non
ha lavoro e chi governa. In Italia, si tende
a cavalcare le pulsioni maggioritarie,
peroniste, e anti-costituzionali nella
speranza di contenere gli
effetti del calo
dei consensi. Ma la Corte
Costituzionale ci
ricorda che non si può favorire la
governabilità a scapito della rappresentanza
oltre un certo limite. Bisogna essere
davvero miopi per non vedere la fragilità di
questo disegno. Meglio sarebbe rappresentare
gli interessi del corpo elettorale, e
ritrovarne il consenso. Come fare?
Una strada c’è. La
Confindustria prevede una crescita dello
0.7% quest’anno e dell’1,2% nel 2015. Sono
cifre che non cambiano il quadro generale
(…) La nostra proposta è questa. Stabiliamo
un obiettivo
di crescita del 2% nel 2014 e
del 3% nel 2015. Supponendo che, in assenza
di politica economica, gli andamenti siano
quelli previsti dalla Confindustria, si
tratta di aggiungere 1,3% di crescita nel
2014 e 1,8% nel 2015. A parità di politica
monetaria e di tasso di cambio dell’euro,
l’onere di una accelerazione della crescita
ricade sul deficit pubblico. A sua volta la
misura del deficit necessario dipende dai
moltiplicatori fiscali. Recentemente i
moltiplicatori in Italia sono stati pari a
circa 1, ma quelli di alcune poste del
bilancio – in particolare gli investimenti
pubblici, gli acquisti di beni e servizi, i
trasferimenti alle fasce in condizioni di
povertà assoluta (come le spese sociali
studiate dal sottosegretario
Guerra per le
famiglie più bisognose) – paiono avere
valori pari o superiori a 2.
Sarebbe dunque sufficiente
uno stanziamento – rispetto alle cifre di
finanza pubblica indicate nella Legge di
Stabilità – dell’ordine dell’1% del PIL nel
2014 e del 0,6% nel 2015. L’impatto iniziale
degli aumenti di spesa parrebbe portare il
deficit dal 2,7% al 3,8% nel 2014 e dal 2,4%
al 3% nel 2015. Ma già nel 2014
l’allargamento della base imponibile darebbe
un maggiore gettito fiscale e risparmi di
spesa, per 0,5% del PIL (deficit al
3,3%) e nel 2015 per 0,7% (deficit al 2,3%).
Il rapporto debito/Pil nel
2017, grazie all’effetto sul denominatore,
cioè sul PIL, sarebbe inferiore di 3,5 punti
percentuali rispetto a quello che si avrebbe
in assenza di tale manovra; e vi sarebbero
quasi mezzo milione di disoccupati di
meno. Inoltre questi scostamenti modesti,
rispetto al vincolo del 3%, non farebbero
scattare alcuna sanzione nei confronti
dell’Italia.
Questo è il minimo che le
classi dirigenti devono al paese. Se non lo
si vuol fare, si ha il dovere di spiegare il
perché.
PierGiorgio Gawronski
Il bitcoin: un paradosso e un atto di fede.
Chi ci guadagna?
Il successo dei bitcoin tra
gli speculatori non
solo è un paradosso ma conferma che dietro
la moneta, di qualsiasi tipo essa sia, non
c’è nulla di concreto, soltanto un atto di
fede.
Iniziamo dal paradosso.
All’inizio di gennaio del 2009 compare in
rete il bitcoin, nessuno sa bene chi lo
abbia inventato, sicuramente si è trattato
di uno o più hacker che
hanno scelto lo pseudonimo Satoshi Nakamoto.
La leggenda vuole che il bitcoin fosse la
risposta di costui o costoro alla crisi
del credito del 2008, all’uso del
denaro pubblico, dei risparmi dei
contribuenti per salvare i giganti di Wall
Street. Si dice anche che Satoshi, chiunque
esso sia, facesse parte del movimento Cypherpunk,
nato negli anni Ottanta sulla scia
dell’omonimo movimento musicale, che vuole
liberalizzare l’informazione e distruggere
un sistema basato sul suo controllo e sui privilegi.
La leggenda vuole insomma che Satoshi ed i
bitcoin siano pane per il popolo,
il primo sicuramente vuole sostituire un
sistema equo, trasparente ed accessibile a
tutti alla creazione della moneta da parte
delle banche centrali, controllate da un
élite bancaria che ne è la sola beneficiaria
e che ormai governa il mondo – fa eleggere i
presidenti, gestisce il Fondo
monetario e
de facto controlla anche i nostri conti in
banca. Il bitcoin è lo strumento attraverso
il quale il popolo, o almeno quello che
naviga in rete, può riconquistare la
sovranità monetaria. Insomma come Prometeo
Satoshi ci ha dato il fuoco per conquistare
la libertà.
Non è facile in poche parole spiegare il
meccanismo attraverso il quale ci liberemo
della schiavitù della moneta cartacea
stampata dalla Bce o
dalla Fed,
ma proviamoci. All’origine
della creazione dei bitcoin ci
sono complessissime formule
matematiche che
offrono soltanto una soluzione e che non
sono reversibili, le hash.
Ogni volta che qualcuno ci riesce crea
bitcoin, ma prima che l’operazione si
concluda c’è bisogno dell’approvazione di
tutta la comunità che
li maneggia. Ogni soluzione è poi legata a
quella precedente ed alla successiva in una
catena temporale che è iniziata a gennaio
del 2009 e finirà quando tutti i 21 milioni
di bitcoin nascosti in rete saranno stati
letteralmente ‘estratti’ dal web. Chi si
dedica a questa attività infatti lavora come
in miniera, così nel gergo si parla di estrazione e
di minatori.
La concatenazione delle soluzioni, come le
vene minerarie, è il filo conduttore della
produzione dei bitcoin e garantisce il
massimo di trasparenza e
di sicurezzacontro
la contraffazione.
E veniamo al paradosso: dal 2009 quando è
comparso il valore del
bitcoin è passato da 0 fino
a1200
dollari (il
picco dello scorso novembre). Il motivo? La speculazione.
E chi specula non sono gli adolescenti che
passano la vita in rete o su facebook,
neppure gli impiegati ai quali viene
tagliato lo stipendio ad ogni manovra
finanziaria, ma i giovanotti di Wall Street.
Sono nate squadre di minatori pagate dalle
grandi banche e finanziarie che usano
computer velocissimi e tecniche sempre più
complesse per estrarre i bitcoin. Per ora
grazie all’aumento della complessità delle
soluzioni man mano che si estraggono i
bitcoin (siamo a quota nove milioni) ed al
sistema di verifica, la creazione dei
bitcoin è stabile ma il valore, il valore
non fa che salire perché tutti vogliono far
parte di questa ennesima speculazione. E chi
ci guadagna? I soliti noti.
E veniamo all’atto
di fede. Che il valore di una
moneta creata in rete da non si sa bene chi,
la cui produzione è legata a soluzioni
matematiche complessissime che richiedono
programmi informatici passi da 0 a 1200
dollari in 3 anni, non sorprende perché
rientra nella passione per
il gioco
d’azzardo che
brucia dentro gran parte dell’umanità, e
quindi su questo c’è ben poco da dire, ma
che questa stessa moneta inizi ad essere
usata per gli scambi da individui comuni,
ecco questo può essere spiegato soltanto
come un atto di fede.
In fondo tutte le monete oggi esistono in
base ad un atto di fede che chi le maneggia
esprime nel momento in cui le usa per
scambiare bene e servizi. Dietro al dollaro o
all’euro non
c’è una riserva diricchezza,
e cioè lingotti d’oro o tonnellate
d’argento, ne’ si può parlare di industrie o
risorse, come il petrolio o il gas naturale,
la creazione di moneta avviene invece
attraverso l’emissione del debito, un
principio che come la soluzione delle
formule dei bitcoin non ha nulla a che
vedere con la ricchezza di una nazione, anzi
in un certo senso le va contro. E’ però un
principio come un altro accettato come undogma religioso
da chi queste monete le usa ed in nome del
quale, a giudicare dalla storia, si è
disposti a tutto.
Riflettiamo su questi principi:
nell’immaginario collettivo il dollaro,
l’euro come il bitcoin, monete
prodotte dal nulla, sono simboli di
una divinità monetaria, l’ultimo sicuramente
rientra in una categoria sui
generis perché
potenzialmente tutti noi possiamo farne
parte ma de facto solo chi ha strumenti
costosissimi e particolari può produrlo.
Come le indulgenze medioevali chi stampa o
estrae queste monete si arricchisce, e chi
le usa non solo non va in Paradiso ma
finisce per impoverirsi.
Il muro delle Sparkassen tedesche:417 CASSE DI RISPARMIO LOCALI CHE
TRATTENGONO 1000 MILIARDI DI EURO FUORI CONTROLLO BCE, DI QUESTI , 67
MILIARDI SONO ANDATI A COPRIRE I BUCHI DELLE LANDESBANKEN SPROFONDATE
SOTTO I COLPI DEI SUBPRIME
contro una piena unione bancaria
La Germania è riuscita a tenere le sue 417 casse locali, di proprietà
pubblica, fuori dai meccanismi di supervisione della Bce. Ma nel complesso
questa rete di istituti ha attivi per mille miliardi. Trascurata così la
lezione delle Landesbanken, le casse regionali: per salvarle Berlino ha
speso più soldi (67 mld) di quelli a disposizione dell'intero fondo di
salvataggio Ue
ROMA - I soliti
tedeschi che, pur di non correre il rischio di dover sborsare un solo euro
per conto di un istituto straniero, stanno sabotando e castrando l'unione
bancaria europea, rendendola inutile, se non dannosa? Il giudizio, assai
diffuso dopo le ultime contorte trattative sulla futura regolamentazione
delle banche europee, è, in realtà, ingeneroso. Nella cocciuta,
insormontabile resistenza tedesca ai progetti di integrazione bancaria
europea, la diffidenza e l'avarizia non sono gli elementi cruciali. Per i
politici di Berlino, di qualsiasi colore, si è trattato soprattutto di
difendere un intero sistema politico: quello costruito e alimentato dalle
Sparkasse, le Casse di risparmio.
Le 417 Sparkassen sono, insieme, il sale e il lubrificante della
politica tedesca. Di proprietà pubblica, riversano al pubblico i loro
profitti, ma, soprattutto, con le loro attività locali di beneficenza
finanziano molte delle più vistose iniziative (dalla squadra di calcio al
parco per bambini) delle amministrazioni locali nonché il grosso delle
imprese locali. Chi ricorda le Casse di risparmio italiane della prima
Repubblica ha un'idea dell'intreccio strettissimo che, attorno a questi
istituti, si crea fra politica locale, nazionale e finanza. Su questa
trincea, i politici tedeschi non hanno ceduto un centimetro. Un fondo
comune europeo di assicurazione dei depositi non si farà, perché le
Sparkassen non vogliono rinunciare al loro fondo di categoria e non
vogliono che i loro soldi vengano utilizzati
per salvare banche estranee. Le regole europee sulle riserve obbligatorie
di capitale per loro non saranno applicate, consentendo alle Sparkassen di
risparmiare miliardi di euro. Infine, continueranno ad essere sorvegliate
da controllori tedeschi e non da quelli della Bce. Berlino ha infatti
ottenuto che gli uomini di Draghi si occupino solo di banche con più di 30
miliardi di euro di attivo, soglia che supera una sola cassa di risparmio
(quella di Amburgo).
Non è un'esclusione marginale, perché, tutte insieme, le Sparkassen hanno
attivi per mille miliardi di euro, su un totale, per tutte le banche
europee, di 27 mila miliardi: stiamo quindi parlando del 3-4 per cento
dell'intero sistema bancario europeo. Inoltre, il trattamento
preferenziale delle Sparkassen ha fondamenta assai poco solide. Le banche
sono tenute ad una gestione prudenziale ed agiscono solo a livello locale,
ma questo non ha impedito, negli Usa di Reagan o nella Spagna di questi
anni, crisi drammatiche di istituti del tutto analoghi. Basta che esploda
una bolla immobiliare e i tassi d'interesse salgano all'improvviso:
improbabile oggi, ma non domani. Infine, l'anello debole del sistema è la
sua proiezione extralocale: le Landesbanken, emanazione, insieme, delle
Sparkassen e dei governi regionali. E' attraverso le Landesbanken che lo
sbandierato localismo delle Sparkassen si affaccia sui mercati
internazionali.
Con esiti che sono stati disastrosi. Le Landesbanken sono state fra i
protagonisti negativi della bolla dei subprime e ne sono state travolte.
Poiché fanno parte del sistema Sparkassen è intervenuto l'apposito fondo
di salvataggio (quello preservato nei confronti della futura unione
bancaria). Ma le Landesbanken erano troppo grosse ed è dovuto intervenire
il governo di Berlino. Sborsando, per il salvataggio di queste medie
banche regionali, dalle tasche dei contribuenti tedeschi, ben 67 miliardi
di euro. Ora, per capire perché molti pensano che l'unione bancaria che
verrà trionfalmente presentata la prossima settimana sia solo una scatola
vuota, basta confrontare quei 67 miliardi con le disponibilità teoriche
massime del fondo di salvataggio europeo (quello che si deve confrontare
con 27 mila miliardi di attivi): 55 miliardi di euro. E neanche subito.
Fra dieci anni.
Debito pubblico, chi lo crea sta
mpando moneta e chi lo paga con le tasse
Nel 2014 diventerà operativo il fiscal compact, per chi voglia
rinfrescarsi la memoria ecco la definizione che riporta Wikipedia:
“Il Patto
di bilancio europeo o Trattato
sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione
economica e monetaria, conosciuto anche con
l’anglicismo Fiscal
compact(letteralmente riduzione
fiscale), è un accordo approvato con un trattato
internazionale il 2 marzo 2012 da 25 dei 27 stati membri
dell’Unione europea, entrato in vigore il 1º gennaio 2013.”
L’accordo contiene le regole d’oro della gestione fiscale
degli stati membri, tra queste c’è l’impegno del nostro paese
a ridurre
il rapporto tra debito pubblico e Pil al 60 per cento attraverso una
maxi manovra finanziaria all’anno per i prossimi 20 anni,
la prima avverrà quest’anno. Dato che al momento questo
rapporto supera il 132 per cento (equivalente a 2080 miliardi
di euro circa) bisogna ridurlo di almeno 900
miliardi di
euro, il che equivale a circa 45 miliardi l’anno per due
decadi. Per chi voglia cifre aggiornate al nano secondo sul
debito pubblico qui trovate
dove il conteggio avviene in tempo reale.
Naturalmente nel dibattito italiano non si parla del fiscal
compact, ma di questo non dobbiamo sorprenderci, se ne parlerà
a josa quando bisognerà tirar fuori i soldi per rispettarlo,
tra qualche mese. In pratica il pagamento dei 45 miliardi
avverrà o attraverso l’aumento
delle tasse o attraverso la contrazione della spesa pubblica,
che può comprende sia la riduzione dell’occupazione che dei
salari pubblici, o in tutti e due i modi. Morale: saremo più
poveri perché dobbiamo tirare la cinghia ulteriormente per
ridurre il volume totale dei nostri debiti.
La prima domanda da porre ai lettori di questo giornale ed a
tutti coloro che commentano quasi religiosamente i suoi
articoli è la seguente: a
chi dobbiamo restituire questi soldi? La
risposta più semplice è la seguente: alla banche straniere che
ce li hanno prestati. Ma dal 2011 in poi la percentuale delle
banche straniere nostre creditrici è scesa ed oggi è inferiore
al 40 per cento. Chi ha in portafoglio gran parte del nostro
debito pubblico sono le
banche italiane, tra le quale c’è anche il Monte dei
Paschi, che deve
allo Stato, e cioè a noi poveri debitori, 4 miliardi di euro.
Creditori e debitori sono le stesse persone, direte voi,
perché fanno tutti parte dello Stato, della collettività. Ma
questa spiegazione non è del tutto corretta perché né lo Stato
dei contribuenti né le banche nazionali controllano la massa
monetaria, detto in parole povere, non
stampano moneta. Entrambi la ricevono dalla banca
centrale attraverso il debito. Assurdo? Succede in quasi tutto
il mondo a pare qualche eccezione, come la Svezia e la Cina
dove la banca centrale è di proprietà dello Stato, quindi si
potrebbe dire che la collettività si indebita con se stessa.
La Banca Centrale Europea è l’unico organismo che ha il
diritto di stampare moneta, lo dovrebbe fare secondo parametri
fissi ma data la crisi Draghi è riuscito ad aggirarli ed è lui
alla fine che stabilisce quanta moneta cartacea si stampa. Da
notare che nessuno di noi europei lo ha eletto. La
Bce è una banca privata, di proprietà degli azionisti
delle banche centrali dell’Eu, tutti enti ed organismi non
statali, tra costoro ci sono anche alcune delle nostre banche.
Come funziona il meccanismo? La Bce crea dal nulla euro, nel
gergo comune trasforma carta straccia in banconote, questi
soldi vengono dati in prestito, oggi a tassi vicini allo zero,
alle banche di Eurolandia. Con questi soldi le banche
acquistano i buoni del Tesoro dello Stato con i quali i
governi nostrani ripagano ogni anno solo gli interessi sul
debito pubblico, di più infatti non si riesce a fare.
Idealmente questi soldi dovrebbero alimentare
l’economia e farla crescere: prestiti all’industria,
per l’innovazione o per le opere pubbliche ecc. La crescita
economica dovrebbe far aumentare il gettito fiscale con il
quale ripagare il prestito. Ma non è così nel nostro caso, e
questo lo sanno tutti ormai, l’austerità taglia le gambe alla
crescita quindi il circolo virtuale appena descritto diventa
un circolo vizioso di impoverimento.
Il punto cruciale su cui i lettori di questo giornale
dovrebbero riflette è il seguente: perché
la Bce e non lo Stato o l’Ue ha il diritto di produrre dal
nulla il bene denaro? E
perché i contribuenti in crisi di Eurolandia devono ripagare
questo bene creato dal nulla, in un momento in cui per farlo
si rischia di finire nella depressione economica, alla Bce –
tutti i soldi alla fine lì infatti finiscono dato che la banca
centrale, ed i sui azionisti privati, sono il solo creditore
dell’intero sistema? Dato che dietro gli euro, come dietro
qualsiasi moneta cartacea non c’è nulla, ma solo la fiducia di
chi queste banconote le continua ad usare indebitandosi, cioè
noi, e dato che il diritto a stampare moneta dal nulla alla
Bce glielo abbiamo dato noi, cittadini di sistemi democratici,
attraverso la delega ai nostri governanti, perché
non azzerare questo debito e ripartire da zero? In
passato ciò è avvenuto con le guerre, oggi si potrebbe farlo
per evitarle.
Fed, Bce e il controllo democratico delle banche centrali. Si
può disturbare il conducente?
Il dibattito pubblico su euro, Europa e Bce si fa sempre più
petulante e ripetitivo: da un lato, ci sono quelli “che
la BCE non stampa moneta perché è in mano ai tedeschi”,
dall’altro quelli “che
senza l’euro siamo tutti morti”. La classica discussione
all’italiana tra sordi, insomma.
Si dovrebbe parlare d’altro.
Potremmo ad esempio discutere di quali debbano essere le forme
di controllo democratico sull’operato della Banca
Centrale Europea e,
soprattutto, chiederci se sia giusto delegareall’opaca
diplomazia europea la nomina dei suoi vertici.
Vediamo perché.
Dal 2007 al 2013 sia la BCE, sia la Fed (banca centrale
americana, n.d.r.) hanno combattuto i devastanti effetti della
crisi dei subprime con l’arma della politica
monetaria: una produzione di nuovo denaro senza
precedenti nella storia dell’economia occidentale, che ha
cambiato decisamente il modo di intendere il governo della
moneta. Per apprezzare meglio la dimensione del fenomeno, vi
prego di dare un’occhiata al grafico qui sotto, che espone
l’andamento di M2 (indicatore di riferimento per misurare
l’offerta di moneta) tra il 2007 e il 2013:

Non facciamoci ingannare dalla derivata piuttosto simile delle
due curve.
Pur essendo entrambe crescenti, le scale di valore raccontano
due storie diverse: mentre l’offerta di moneta nell’area euro
aumenta del 39%, negli
Stati Uniti il progresso è del 57% e
una bella parte dello scarto matura da fine 2011 in poi.
Il dato è ancora più interessante se riletto alla luce
dell’andamento dell’economia reale dei due sistemi, illustrato
da quest’altro grafico:

Come si può osservare facilmente, le due curve
di evoluzione del Pil sono
praticamente incollate l’una all’altra nella primissima fase
della crisi e fino alla fine del 2011; in seguito i due trend
si disallineano in maniera radicale, con gli Stati Uniti
avviati a una ripresa economica stabile e l’Europa ancora in
affanno.
Non ci vuole un esperto per capire che c’è
una relazione tra
l’andamento nettamente migliore dell’economia americana e la
politica monetaria più coraggiosa della Fed.
Perché la BCE si è comportata così?
Normalmente i sostenitori del modello tedesco di banca
centrale difendono l’atteggiamento della BCE sottolineando il rischio
di inflazione e sventolando il vincolo di mandato che
obbliga Mario Draghi a non superare la fatidica soglia del 2% di
incremento dei prezzi. Eppure la realtà dei fatti dice che il
rischio di un’inflazione eccessiva è piuttosto lontano. Anzi:
alla fine del 2013, l’area
Euro si trova davanti alla concreta prospettiva di deflazione,
mentre gli Usa mostrano una dinamica dei prezzi decisamente
più sana.
La realtà è che la BCE ha fatto (e continua a fare, ogni
giorno) una precisa scelta
politica: avere una moneta forte che favorisca le
importazioni a buon mercato, tenere alta la pressione sui
salari e ricercare la competitività internazionale attraverso
la leva della produttività e rifiutando quella della
svalutazione.
E allora torniamo all’interrogativo iniziale: è giusto che
questa scelta politica (il cui prezzo è peraltro pagato in
misura maggiore dalle economie deboli dell’Eurozona) non sia
sottoposta ad alcun sindacato democratico? E’ giusto che la
politica monetaria sia derubricata a questione meramente
burocratica e delegata a funzionari che non rispondono a
nessuno?
Io, francamente, lo trovo assurdo.
Come trovo assurdo l’intero impianto ideologico della BCE,
frutto di una filosofia “ipertecnicista” secondo la quale le
questioni monetarie vanno protette dalla perniciosa influenza
della politica e dalle pressioni dell’elettorato.
Cosa deriva da questa impostazione? Prima di tutto ne deriva
il mito “dell’indipendenza del banchiere centrale”: il
banchiere centrale non è un mandatario
del Governo o del popolo, ma agisce nel superiore
interesse della stabilità
dei prezzi.
Divertente vero? Ve la immaginate “la stabilità dei prezzi”
che chiama al telefono Draghi e lo sgrida perché sta facendo
male il suo mestiere? Ce la vedete “la stabilità dei prezzi”
che si lagna del fatto che la Fed funziona meglio?No.
Succede invece che, per il principio dell’horror vacui, quella
BCE che non risponde ai governi, ai Parlamenti e alle altre
istituzioni democratiche, finisce per rispondere solo a sé
stessa, esponendosi alla gravissima responsabilità di decidere
senza alcuna legittimazione il
futuro di milioni di cittadini.
Mi pare che questo sia esattamente ciò che è successo
nell’ultimo quinquennio: andando per la maggiore il pensiero
economico di matrice rigorista, la
BCE ha perso una straordinaria occasione di intervento,
non approfittando di questi anni di inflazione contenuta. La
frigidità dei nostri banchieri centrali ci ha costretto, da un
lato, a subire gli effetti negativi della concorrenza cinese
(aziende che delocalizzano, disoccupazione) e, dall’altro a
rinunciare a una politica monetaria molto più aggressiva che
avrebbe favorito una crescita a inflazione bassa (proprio
grazie alla pressione sui prezzi di quella stessa concorrenza
cinese).
Ma, ribadisco, non mi preme tanto criticare la BCE: mi preme
di più mettere in luce la gravissimacarenza
di legittimazione democratica di
chi ha fatto quelle scelte (sbagliate). Queste persone non
rispondono a nessuno, non possono essere sfiduciate, non si
ripresenteranno alle prossime elezioni.
E’ giusto?
Gli americani, ad esempio, non la pensano così.
E, a tal proposito, concludo raccontandovi un esemplare
episodio accaduto dall’altra parte dell’Atlantico: a maggio
2013 Ben Bernanke (governatore della FED) annuncia a sorpresa
che la banca centrale americana potrebbe a breve adottare una
politica monetaria meno lassista. La dichiarazione determina
un’improvvisa impennata dei rendimenti del debito pubblico e
mette in difficoltàObama. Dopo
circa un mese, quando si comincia a discutere del possibile
rinnovo dell’incarico dello stesso Bernanke (in scadenza a
gennaio 2014), Barack Obama dichiara:“Credo
che Bernanke sia stato Governatore più a lungo di quanto
volesse”.
Aplomb anglosassone, ma messaggio chiaro, che tradurrei così:
“Caro
Bernanke, la politica monetaria la decido io, poiché il popolo
ha eletto me. Accomodati fuori, grazie”.
Risultato del dibattito? Il nuovo Governatore della Fed sarà Janet
Yellen, signora di sinistra e notoriamente favorevole
alla politica monetaria ultra-espansiva degli ultimi anni.
Ben Bernanke, invece, tornerà a fare l’insegnante.
Irlanda, lo scudo anti-spread ora pare un bluff
L’Irlanda prova
a rinascere e vuole farcela da sola, basta con la troika Ue-Bce-Fmi
e niente sostegno dal Fondo salva Stati Esm. Per l’Italia non è una buona
notizia. La Tigre celtica è stata travolta nel 2008 dalla crisi delle
sue banche, salvate da uno Stato che ha visto il debito
pubblicopassare dal 36 per cento del Pil nel 2007 all’86 per
cento del 2012.
Nel 2010 Dublino ha chiesto il salvataggio europeo
tramite il fondo salva Stati Efsf:
85 miliardi per un Paese che non poteva finanziarsi al tasso da strozzinaggio chiesto
dal mercato, il 7 per cento. In tre anni di sacrifici l’Irlanda ha rimesso
in discussione tutto tranne la tassazione
agevolata che le
permette di fare dumping fiscale attirando la sede delle grandi
multinazionali, che così sottraggono gettito ai Paesi in cui operano (tipo
l’Italia). Oggi la ex-Tigre celtica è l’allieva prediletta delle
istituzioni europee: nel 2013 il suo deficit è
al 7,4 per cento, il prossimo anno sarà il 5 e quello dopo l’agognato 3
fissato da Maastricht, la crescita è
ripartita (piano), +0,5 quest’anno, +1,7 e +2,5 in quelli successivi. Sui
mercati lo Stato si finanzia alla metà del tasso di cinque anni fa, un
comodo 3,5 per cento. Per Bruxelles il fatto che il tasso di
disoccupazione resti molto alto, nel 2015 sarà ancora l’11,7, è un
dettaglio secondario.
Il premier Enda
Kenny ha annunciato
che, quando a dicembre 2015 l’Irlanda uscirà dal programma di
aggiustamento, non chiederà la “linea di credito precauzionale” dal fondo
salva Stati Esm. Cioè quello strumento che in Italia abbiamo sempre
chiamato“scudo
anti-spread”, un intervento di sostegno dal fondo salva Stati con
acquisti di titoli di debito sul mercato secondario (o direttamente alle
aste) come premio ai Paesi che hanno fatto le riforme, senza sottoporsi
alle richieste umilianti e terribili della troika. L’intesa al Consiglio
europeo di giugno 2012
e poi le operazioni OMT annunciate dalla Bce di Mario Draghi prevedevano
la possibilità anche per i Paesi virtuosi, ma con conti difficili
(l’Italia), di beneficiare di un sostegno europeo presentandolo ai mercati
come unpremio,
invece che un salvataggio. Alla Bce non sarebbe dispiaciuto chel’Irlanda
chiedesse la linea di credito: tutta l’architettura di difesa dell’euro di
Draghi ne sarebbe uscita rafforzata. Invece niente. Lo “scudo” è soltanto
quello che si temeva: non quadro di premi e punizioni, ma un piano di
emergenza che, in caso di utilizzo vero potrebbe rivelare le sue
fragilità.
Un bluff che è meglio non andare a vedere. La mossa dell’Irlanda lascia
quindi l’Italia più scoperta, la fragile corazza che ci eravamo illusi di
avere attorno è carta velina. Per fortuna i mercati, distratti dalla liquidità immessa
dalle Banche centrali, sembrano non essersene accorti.
LA NECESSITA' IMPROROGABILE DI RIDISCUTERE I PATTI
I
dati ormai parlano chiaro e solo una disastrosissima classe dirigente
italiota,che il popolo non riesce e non vuole scrostarsi di dosso,si
ostina a rifiutare millantando fantasie senza senso.
I dati sul PIL appena usciti, la crisi annunciata dell’INPS (dopo
Alitalia Telecom Finmeccanica ecc.), il nuovo record della disoccupazione
e del debito pubblico, la forte deflazione dei prezzi alla produzione,
descrivono uno scenario di graduale
asfissia economica. La crisi dell’Eurozona sta portando alla
disperazione decine di milioni di Europei: tra questi, sei milioni di
italiani che vorrebbero lavorare ma non trovano lavoro.
Si tratta di una crisi strutturale: perciò a politiche vigenti essa è
destinata a trascinarsi a indefinitamente. Gli effetti di isteresi sull’offerta
aggregata consolideranno definitivamente, nei prossimi anni, il crollo di
civiltà in atto nei
paesi Mediterranei.
L’Euro venne varato senza che vi fossero le condizioni perché i paesi
aderenti potessero condividere una moneta unica. I padri dell’Euro
speravano che in corso d’opera opportune riforme istituzionali avrebbero
creato tali condizioni. Ma tali riforme (ammesso
che siano sufficienti) non sono mai state fatte. Anche dopo l’esplosione
della crisi, l’Europa si è limitata ad adottare:
-
provvedimenti tampone;
-
misure minime, al limite della violazione dei Trattati Europei,
strettamente necessarie per evitare il crollo dell’Euro, senza
correggere i Trattati;
-
modifiche ai Trattati inadeguate e controproducenti.
Insomma, i progressi istituzionali sono stati deludenti.Ad oggi chi ne
ha beneficiato è la Germania e l'Europa del Nord: i secondi mantenendo una
socialdemocrazia ad ogni costo con la compressione estrema della dinamica
salariale a fronte di uno stato sociale finanziato per oltre il 50%
dell'imponibile, contrazione adottata dai tedeschi sotto il cancellierato
Schroeder, che ereditava i costi ingenti dell'Unificazione tedesca del
1990. Ancorando poi l'euro ad una valuta forte come il marco, il risultato
è stato che la Germania sola ha beneficiato di una valuta pesantissima che
grazie alla compressione interna ha finito per generare un SURPLUS
COMMERCIALE AD OGGI DI QUASI 1800 MILIARDI DI EURO !! Uno "sterminio"
economico che ha finito per massacrare tutte le economie tipiche
d'esportazione di paesi che non hanno alcuna materia prima interna, come
Italia,Spagna,Portogallo,Grecia,Irlanda fino ad allora scudate da monete
nazionali deboli. Se in PIIGSF la crescita della
produttività accelerasse, non è detto che ciò determinerebbe un recupero
di competitività sulla Germania. Perché nel frattempo la produttività
tedesca non si ferma. Dunque non può essere questo il meccanismo di
riequilibrio: non esiste al mondo. Anche perché trasformerebbe l’Eurozona
in una micidiale macchina per sopprimere i diritti
dei lavoratori. (Guarda caso…). In ogni caso, in Germania
l’aritmetica è… un’opinione?! Non tutti i paesi possono avere
simultaneamente un avanzo commerciale. E per recuperare competitività la
Germania nel 2000-08 beneficiò di un’inflazione al 3-4% in PIIGSF, mentre
oggi l’inflazione tedesca è all’1,4% e non ci lascia margini.
In ogni caso, il surplus
commerciale tedesco
è illegittimo (accordi G20), devastante perciò immorale. La Germania
potrebbe crescere come tutti i paesi del mondo avvalendosi della domanda
interna. Ai tedeschi è riuscito con il sorriso e lo spread ciò che è
sprofondato con le panzer divisioni di Hitler. Il dominio economico
tedesco ha un pesante riflesso politico con i Trattati europei d'acciaio
non modellabile. Peggio
ancora, a peggiorare l’assetto normativo dell’Eurozona grazie alla
preminenza finanziaria acquisita: essa rende gli altri paesi vulnerabili e
perciò sensibili a minacce ed incentivi, dunque all’influenza politica dei
paesi in surplus. Perciò l’alleanza fra Italia, Spagna, Portogallo,
Irlanda, Grecia, e Francia non è mai nata.
L’ideologia macro-liberista
è molto forte in Europa: e porta a negare le analisi e le evidenze
empiriche che smentiscono la bontà delle politiche, degli assetti
istituzionali, e della filosofia di cui l’Eurozona è impregnata.
Non che la crisi sia stata provocata: ma non deve essere risolta se non
facendo funzionare il meccanismo di flessibilizzazione dei prezzi (quindi
dei salari) e di riduzione della spesa pubblica: sono questi i Valori
Prioritari, rispetto ai quali la disoccupazione e il PIL diventano non
solo secondari, ma strumentali.
La crisi in atto è dunque fondamentalmente politica. La
Storia ci insegna come
finiscono crisi di questo genere. Negli anni “30, un’intera classe
dirigente di politici, banchieri centrali, diplomatici, funzionari,
economisti, ecc., aveva legato il proprio cuore e il proprio destino al gold
standard. Ma fu proprio l’abbandono del gold standard a
consentire la fine della crisi. Eppure, l’establishment fino alla fine
lottò per conservare il sistema aureo. L’Inghilterra fu espulsa (per sua
fortuna) dai mercati, a causa dell’assenza di un lender
of last resort internazionale;
ma la BCE è stata costretta ad accettare, più o meno, questo ruolo nel
Luglio 2012, il che ha escluso tale evenienza. In altri casi, fu
necessaria la grande vittoria politica di un leader nuovo (Roosevelt,
Hitler), determinato a mettere fine alla crisi, a costo di ‘provarle
tutte’, anche sconvolgere gli equilibri esistenti. Tali vittorie politiche
richiedono: disoccupazione di massa; e una democrazia che lasci qualche
possibilità agli outsiders. L’establishment europeo sta cercando di
impedire l’insorgere di tali condizioni: applicando un po’ di flessibilità
al paradigma dominante; costituzionalizzandolo; e prevedendo penalità per
chi dovesse abbandonare l’Eurozona (l’uscita dall’Euro è vietata).Ora
la Commissione,
vista l’aria che tira, fa
la voce grossa con la Germania. Ma si tratta sempre di un’ammoina: il
limite per il surplus dei conti con l’estero è stato fissato a uno
stratosferico 6% del PIL. La Germania viaggia fra il 6 e il 7% da alcuni
anni. Ma un surplus tedesco al 5,9% non cambierà granché. Ora la BCE spiega
che ha tutti gli strumenti a disposizione per evitare la deflazione: se
necessario, interverrà.Dunque
la BCE dice che è perfettamente in grado di attenuare la depressione, ma
non muoverà un dito a meno che l’inflazione non diventi negativa. Com’è
possibile accettare una Banca Centrale i cui obiettivi politici sono così
contrastanti con quelli della società?
COLLABORAZIONISMO E CESSIONE DI SOVRANITA' POLITICA,ECONOMICA E
MONETARIA:dal Cavaliere di Arcor al Quisling Letta
L'italia così come la conosciamo fuoriusciva dopo due anni di occupazione
del Centro -Nord da parte della Germania nazista e del Sud da parte degli
Alleati. Sconfitta nel fascismo
con la defenestrazione del Duce del 20 luglio 1943,ad opera dei suoi
stessi accoliti in camicia nera coadiuvati dal re d'Italia - che poi prese
a scappare a Brindisi una volta firmato l'armistizio il 2 settembre 1943,
responsabile di aver trascinato un paese fragilissimo in una guerra di
massa,la penisola cercò il riscatto nella guerra partigiana di retrovia
che non sortì tuttavia l'effetto di indurre una sollevazione di massa
contro l'occupante nazista prima della vittoria Alleata finale contro la
Germania. Anzi:l'Italia, in relazione alla ferocissima campagna di
bombardamento alleato del territorio del Reich, divenne una preziosa
leva produttiva per i nazisti che pareggiavano gli ammanchi in patria con
il lavoro delle fabbriche italiane. Per espressa volontà americana,
l'Italia,all'indomani dello sbarco ad Anzio, che aggirava la noce di
Cassino,divenne fronte secondario,col risultato di trascinare la guerra
per altri due anni volendo sfondare il Reich da ovest e da est piuttosto
che da sud. Il 2 maggio 1945 i plenipotenziari tedeschi firmavano la resa
incondizionata delle truppe tedesche sul territorio italiano e da quel
momento le potenze vincitrici, ad eccezione dell'URSS,stabilirono la
propria sfera di influenza. Sostanzialmente l'Italia, pur essendosi
sganciata due anni prima dal crollo del nazismo e pur avendo combattuto
una guerra di retrovia,all'interno degli Accordi di Jalta,veniva trattata
come una semplice colonia e da colonia aderì, dopo l'espulsione dei
comunisti dalla compagine governativa ed all'indomani della vittoria della
DC alle elezioni democratiche del 1948, al Patto Atlantico che entro la
cornice della difesa contro l'espansionismo sovietico, stabiliva il
controllo statunitense dell'intera politica italiana soprattutto in
relazione all'esistenza del più grosso partito comunista occidentale.La
disintegrazione dell'URSS e del Patto di Varsavia non liquidò affatto
l'Alleanza Atlantica che anzi prese ad espandersi proprio in Europa
Orientale dando modo agli USA di aumentare il potere di controllo politico
dell'area in relazione alla globalizzazione dei mercati che ponevano
all'orizzonte nuovi "nemici" come le Tigri Asiatiche
(Cina,Vietnam,Singapore,Malesia,Indocina) ed i paesi ricchi di petrolio
che contrastavano l'ingerenza statunitense(Iran,Iraq,Siria,Libia).
Il disastro delle Torri gemelle di New york,con parziale danneggiamento
del Pentagono a Waschington, del settembre 2001 diede il via alla
strategia dell'attacco preventivo statunitense contro i così detti "stati
canaglia":prima l'Afghanistan e poi l'Iraq nel giro di due anni furono
investiti dalla potenza di fuoco nord americana, il tutto affiancata dal
codicillo di colonie del Patto Atlantico secondo quelli che sono i
precetti dello stesso in quanto gli USA vengono considerati potenza
attaccata senza alcuna dichiarazione di guerra da parte di alcuna nazione
!!! La guerra planetaria ed il controllo portarono ben presto gli USA
sull'orlo del tracollo economico che non tardò a palesarsi col crollo del
colosso bancario Lemhan Brother, punta di un gigantesco Iceberg costituito
da centinaia di miliardi di dollari di debiti basati sulla così detta
cartolarizzazione dei mutui immobiliari.La crescita abnorme dei contratti
derivati da mutui insolventi generò uno spaventoso effetto domino su tutta
l'economia mondiale che improvvisamente si contrasse a tal punto da
portare il governo nord americano ad un soffio dalla bancarotta con ben
due occupazioni da finanziare. L'onda lunga della crisi non tardò ad
investire anche l'Italia che con i governi propagandistici finto
imprenditoriali non adotto' alcuna misura di contrasto e difesa dal crollo
finanziario. Il paese, già infiacchito nei debiti da una unione monetaria
che impose un pesantissimo cambio 1 a 2000 contro il marco tedesco
trasformatosi in euro,venne pesantemente travolto nelle finanze
nell'estate del 2011 ed il 5 agosto dello stesso anno la Banca Centrale
Europea spedì al governicchio Berlusconi una Lettera d'intenti ovvero di
obblighi del governo da attuare CHE SANCIVA LA CESSIONE DI SOVRANITA'
ECONOMICO-FINANZIARIA DELL'INTERA NAZIONE ALL'EUROPA in cambio del
mantenimento in vita artificiale.
Saccomanni, qualche tempo fa, si
lasciò sfuggire una frase "Bisogna
dire la verità agli italiani".
Si riferiva allo sfascio economico. Poi è rimasto in silenzio, in attesa
di essere cacciato dal governo. Da allora ogni giorno è in bilico. Nel
frattempoCapitan
Findus Letta racconta le sue menzogne agli
italiani. Sposta sempre la linea della ripresa più in là, mentre il Paese
sprofonda con bollettini quotidiani di guerra vera, di deserto delle
aziende, degli investimenti. Questo doppio registro, l'Italia che viene
distrutta dalla mancanza di una politica economica e le
falsità di Letta propagandate dai giornali e
dalle televisioni ha assunto ormai una dimensione grottesca, fumettistica.
Letta interpreta una nuova parte della Commedia dell'Arte, il Mentitor
Cortese. Ogni sua dichiarazione si è dimostrata falsa
come un soldo bucato,
ma lui, imperterrito, continua con le
sue fandonie.
Ora vede la luce nel 2013, ora un po' più in là, alla fine del 2014.
Questa rappresentazione stucchevole di un ometto graziato dalla sorte e
politico a carico dei contribuenti dalla nascita (non ha mai fatto altro
nella vita, eoni fa, nel 1998 è stato ministro per le politiche
comunitarie del governo D'Alema) ha però un suo significato, quello di
garantire gli interessi dei nostri creditori internazionali, in primis la
Germania. Non sarà sfuggito che Capitan Findus ha quasi speso più tempo
all'estero dalla sua elezione che in Italia a farsi accreditare dalle
segreterie internazionali. Come Rigor Montis prima di lui, Letta
rappresenta l'assicurazione che l'Italia onorerà i debiti contratti dalle
nostre banche attraverso la BCE e i rimborsi dei titoli pubblici e degli
interessi. E' il novello Quisling italiano,
il collaborazionista norvegese al servizio dei nazisti durante l'ultima
guerra mondiale. Il suo è un governo
fantoccio che rappresenta gli interessi di Stati stranieri e
non dell'Italia. La cassa integrazione in deroga è al collasso,350mila
lavoratori sono senza sussidio da
nove mesi. Le
partite Iva sono crollate
dal 2008 al giugno del 2013 di 400mila unità. Disoccupazione fuori
controllo, debito pubblico esplosivo, chiusure di negozi e piccole e media
imprese come se piovesse. Il disastro Italia assomiglia a un bombardamento
quotidiano dove a una cattiva notizia ne succede una pessima.
Quisling Letta non ha fatto nulla per risollevare il Paese. Gli
ordini li prende dall'estero. E'
un procuratore fallimentare che deve garantire i creditori. Quanto potremo
andare avanti così? A venderci persino le spiagge? Due misure sono
improrogabili. Vanno
tagliati gli sprechi, le spese inutili che
ammontano a circa 100 miliardi. Queste voragini nel bilancio dello Stato
non possono però essere eliminate da chi ne gode i benefici, dai partiti e
dai Letta, che appunto per questo vanno mandati a casa. Vanno rinegoziati
con la UE il tetto del 3% che ci strangola, che va superato da subito per
gli investimenti in attività produttive, ristrutturato il nostro debito,
cancellati gli impegni impossibili assunti con il Fiscal
Compact con
nuove tasse per 50 miliardi all'anno per vent'anni, una pazzia. Primum
vivere, prima gli interessi nazionali.Ma non finisce quì: oltre agli
sprechi dovuti ad una classe politica sconfinata nei numeri e nei costi,
esistono montagne di miliardi dirottati in opere infrastrutturali senza
senso come il TAV Torino-Lione. Questa linea ferroviaria inutile
rappresenta il PRIMO CASO EUROPEO DI CESSIONE INFRASTRUTTURALE DI
SOVRANITA' A LATERE DI QUELLA POLITICA-ECONOMICA-FINANZIARIA TRATTEGGIATA
FINO AD ORA.
"Quando si tratta di TAV il Governo è un treno: il 20 novembre c'è
l'incontro con la Francia e occorre convincere i francesi a proseguire
un'opera sulla quale hanno espressoconcrete
perplessità.
In Italia s'ha da fare, per i soliti oscuri interessi, e quindi ci si
dispone a tutto pur di forzare la mano alla Francia. Anche a cedere
la nostra sovranità ai cugini d'oltralpe:
sulla tratta italiana vigerà la legge francese. Un treno
extraterritoriale! E ciò torna assai comodo alle imprese italiche, perché
i francesi non chiedono certificati antimafia. Si sta seguendo una prassi
pazzesca per simulare di corsa l'approvazione del Trattato: se ne ratifica
mezzo. Cioè si vota alla Camera, e si presenta poi ai francesi senza che
sia passato al Senato. Una cosa inaudita e del tutto anticostituzionale.
Nessuna Commissione parlamentare se ne è mai occupata: il Ministro Lupi ha
accentrato su di sé ogni decisione. Chissà di quali interessi è garante.
Il M5S ha presentato ben 1082 emendamenti all'obbrobrioso impiccio
chiamato "Trattato".
Glielo faremo sudare."
IL MODELLO CIPRO ESTESO A TUTTA EUROPA AD USO E
CONSUMO DELLA MERDOSA GERMANIA
Il futuro dell’Unione Bancaria europea si decide in
questi giorni tra Bruxelles e Francoforte.
Un altro pezzo di sovranità
nazionale ci abbandona senza
il parere degli italiani ALL'INDOMANI DELLA FAMOSA E
MISCONOSCIUTA LETTERA DELLA BCE DEL 5 AGOSTO 2011.
Cosa contano ormai gli italiani?
L’Euro ci ha sottratto sovranità monetaria, l’Unione
Bancaria ci
sottrarrà sovranità bancaria,
la funzione primaria della banca, la tutela del
risparmio.
E si tratta di un diritto sacrosanto scolpito nell’articolo
47 della
nostra Costituzione: "La
Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte
le sue forme; disciplina, coordina e controlla
l'esercizio del credito"...
Ma cosa
conta ormai la Costituzione?
La nostra economia è strozzata dalla scarsa
liquidità erogata da un sistema bancario che, a sua
volta, è strozzato da 140
miliardi di euro di sofferenze e
da una BCE sempre più minacciosa con lo "stress
test"
del 2014, sui bilanci bancari nei quali per la prima
volta verrà inserito il rischio di titoli di Stato.
Un esame che, per essere superato, costringerà le
banche italiane a rastrellare miliardi di euro di
nuova liquidità sul mercato.
L'Unione Bancaria aveva all'inizio due obiettivi
positivi, ha fatto l'opposto. L'Unione doveva sia
ricapitalizzare le banche in difficoltà per evitarne
il fallimento che spezzare il legame perverso tra
banche e Stati dovuto al debito pubblico nei bilanci
bancari con la condivisione del rischio a livello
UE. E, per inciso, le
banche italiane traboccano di oltre 400 miliardi di
nostri titoli.
Dopo due anni di dibattiti la vincitrice è sempre la
Germania. La Merkel vuole infatti solo mettere tempo
e ostacoli tra il fallimento di una banca in Europa
ed il rischio che i tedeschi debbano pagarne il
prezzo, ECCEZION FATTA PER IL
FALLIMENTO DELLE SUE MERDOSISSIME BANCHE FEDERALI,
LE BANKLANDEN, RIFOCILLATE IMMEDIATAMENTE DA BERLINO
CON 100 MILIARDI DI EURO PRELEVATI DALLE BANCHE
LOCALI TEDESCHE ESCLUSE MOTU PROPRIO DAL CONTROLLO
INTEGRATO BANCARIO.
La lista delle vittorie tedesche sancita nel summit
della scorsa settimana a Bruxelles è lunga.
Ci sarà un fondo europeo comune per la
ricapitalizzazione delle banche
in crisi che verrà costituito con contributi delle
banche stesse.
Però...
Tale contributo inizierà solo nel 2016 e sarà
completato nel 2026. Alla fine di questo periodo il
salvadanaio che le banche avranno costituito per
tutelare loro stesse sarà di appena 55 miliardi di
euro. Meno di 1% del totale dei bilanci delle banche
coinvolte.
Per capire l’esiguità della cifra si pensi che
dall’inizio della crisi i cittadini europei,
attraverso gli Stati, hanno sostenuto salvataggi
bancari per circa 550 miliardi.
Cosa succederà se da qui al 2026 una
banca dovesse trovarsi in difficoltà? In caso di
fallimento saranno coinvolti i gli obbligazionisti (bail-in)
e i depositi superiori a 100mila euro. Dopo aver
applicato il bail-in minimo dell’8%, gli Stati
potranno fare ricorso a fondi pubblici, ma solo
dietro autorizzazione di Bruxelles.Rischiamo
di non avere neppure il diritto di nazionalizzare
MPS,
o altre banche prossime al fallimento, ed essere
costretti a venderle allo straniero per un piatto di
lenticchie,cosi' come e' gia' stato fatto per la
banca d'italia nel silenzio assoluto.("Le
quote della Banca di Italia che dovevano passare
allo Stato potranno essere vendute e potranno essere
vendute a soggetti stranieri purché comunitari. Attraverso
il decreto sulla rivalutazione delle quote della
banca di Italia, per avere 900 milioni di Euro senza
sforare il tre per cento del deficit. Ne
regaleremo 450 all’anno agli azionisti della Banca
di Italia, che come sapete sono privati.Il
mostro in passato è stato in qualche modo limitato,
perché? Perché la ripartizione degli utili prodotti
dalla Banca di Italia è sempre stata riservata in
minima parte ai suoi azionisti privati, non più
dello 0,5 per cento delle riserve, che ammontano più
o meno a 22 miliardi di Euro. Per cui anni buoni e
anni cattivi non hanno consentito agli azionisti di
prendere più di 50 - 70 milioni di Euro all’anno dal
capitale della Banca di Italia.
Nel 2005 il governo Berlusconi
fa per miracolo una legge giusta e stabilisce che le
quote nel capitale della Banca di Italia, detenute
da soggetti non pubblici debbano passare entro tre
anni allo Stato.
Sono passati otto anni e quella legge è
rimasta inattuata.
Il 27 novembre notte tempo, mentre il Parlamento
dichiara la decadenza di Berlusconi e tutti i
cittadini sono distratti, Saccomanni
fa una clamorosa marcia indietro,
con un
decreto legge stabilisce
che la Banca di Italia non sarà più destinata a
diventare un istituto di diritto pubblico detenuto
dallo Stato, ma una
public
company,
ovvero una società a azionariato diffuso con
azionisti tutti privati.Inoltre, il
capitale della Banca di Italia passerà dagli attuali
156 mila Euro a 7,5 miliardi di Euro,
con un forte vantaggio patrimoniale per tutti
partecipanti,la
cosa più importante è che fino a oggi la Banca di
Italia non poteva distribuire un utile superiore al
10% dell’attuale capitale sociale, di 156 mila Euro,
più una quota delle riserve, che per prassi non
superava mai lo 0,5 per cento all’anno.
Nel progetto del governo Letta questo limite viene
alzato al 6% del nuovo capitale sociale di 7,5
miliardi di Euro, vale
a dire ben 450 milioni di utili distribuibili
all’anno. La
fine è peggio dell’inizio, perché un’altra
incredibile novità di questo magnifico progetto è
che le quote della Banca di Italia che dovevano
passare allo Stato potranno essere vendute e
potranno essere vendute a soggetti stranieri purché
comunitari. )
Insomma, viviamo già oggi in un Paese che conta poco
nel sistema europeo delle banche centrali,
immaginate quanto potrà contare se la sua banca
centrale sarà di proprietà degli stranieri!"
E' il modello del salvataggio di Cipro scritto
ora nero su bianco. Oltretutto, l’Italia è il Paese
che maggiormente in Europa colloca le sue
obbligazioni bancarie presso le famiglie.
Coinvolgerle nella ricapitalizzazione vuol dire
condividere con loro (e non con la Germania...) il
rischio di perdite. Alla fine
vuol dire sottrarre risparmio alle famiglie per
tappare i buchi delle banche.
I Paesi in difficoltà, i cosiddetti Pigs, hanno
provato ad alzare la voce. Addirittura "Gelatina"
Saccomanni ha trovato il coraggio di scrivere una
lettera di Natale a Bruxelles per chiedere che gli
Stati in difficoltà con le banche nazionali possano
attingere ai 700 miliardi di euro del fondo
salva-Stati (ESM)
a cui l’Italia peraltro contribuisce con 117
miliardi, metà dei quali già versati grazie nuove
emissioni di titoli pubblici su cui paghiamo
profumati interessi. La Germania non solo ha
risposto picche. Ha anche detto che sarà possibile
solo se un Paese accetterà di sottomettersi ad un
piano di aiuti della Troika.
Non è cambiato quindi nulla e restiamo
nello scenario del disastro greco.
Hai bisogno di aiuto? Io Europa (quindi io Germania)
ti presto i soldi, ma solo se mi lasci governare il
tuo Paese a botte di austerità e recessione. Martin
Schulz, l'amico fraterno del pdexmenoelle,
presidente dell’Europarlamento, ha annunciato che
Bruxelles sarà durissima su questo punto, la cui
supervisione sarà affidata alla BCE con il compito
di vigilare su 130 banche europee (di cui15
italiane). La vigilanza unica della BCE si
applicherà solo a banche al di sopra di 30 miliardi
di euro di attività su richiesta della Germania per
tutelare sotto la vigilanza domestica le sue
Landesbanken e Sparkasse, quasi metà
del sistema bancario tedesco,
quello spesso definito "zombie"
per l'incapacità di reggersi in piedi senza il
sostegno pubblico e proprio per questo sottratto
alla vigilanza di Draghi.
Non si spiega quindi cosa celebrino i tromboni di
regime nello sventolare l’accordo sull’Unione
Bancaria come un successo. Saremo, peggio di prima, costretti
a risolverci i problemi a casa nostra con i nostri
risparmi.
Perché dovremmo allora privarci del diritto di
regolare e agevolare il sistema bancario nazionale
senza ricevere nulla in cambio?
La morale di tutto questo è che con 400miliardi
di euro di BTP nella
pancia delle nostre banche se lo spread dovesse
ripartire, e ci sono tutte le premesse, questa
Unione Bancaria non farà nulla per evitare che la
crisi si abbatta sulle nostre banche con potenziali
perdite e fallimenti che dovremo comunque ricoprire
attingendo alle tasse ed al risparmio nazionale.
LE DISASTROSE
TRAPPOLE DEI
FONDI
PENSIONE
La trappola dei fondi integrativi si è estesa ai
dipendenti pubblici, da circa un anno sono attivi i
fondi Sirio e Perseorivolti
ai dipendenti pubblici, che si aggiungono a Espero. Tre
trappoline per i dipendenti della Scuola, della
Sanità, dei Ministeri.
Poi soprattutto è ripresa da alcuni mesi una forte
campagna a favore della previdenza integrativa dei
fondi pensione con articoli abbastanza indecenti su
“Il
Sole 24 ore”,
su Il Corriere della sera, etc.. Gli articoli che
appaiono su questi giornali, anche su un supplemento
del lunedì del Corriere della Sera che leggeranno
ben pochi, non sono rivolti ai lettori, gli articoli
sulla previdenza, come quelli sui fondi comuni,
servono per essere fotocopiati e usati come supporto
per le vendite, questo è il fine di questi articoli!
L’Italia ha una stampa economica, e in particolare
nel settore della previdenza, che non è cattiva, ma
pessima La regola è gonfiare i vantaggi parziali,
tacendo tutti i difetti e in compenso per quanto
riguarda il TFR (Trattamento
di Fine Rapporto) tacere tutti i vantaggi.
Vorrei smontare
alcune cose regolarmente scritte nei giornali,
pronunciate dai vari economisti di regime
intervistati, spinte in tutte le maniere dalla
propaganda. Il vero rischio non è la pubblicità, si
sa che è di parte, ma gli articoli dei giornali, dei
cosiddetti esperti e a volte anche dei miei,
sciaguratamente colleghi, docenti universitari.
Chiariamo alcune cose. Non
è vero che la previdenza integrativa è
indispensabile per integrare la propria pensione.
Totalmente falso, la propria pensione si può
integrare risparmiando, mettendo da parte i soldi,
investendoli in qualche maniera e usando quelli. Non
è vero che il TFR della pensione, deve essere messo
nei fondi pensione, assolutamente no, menzogna
spudorata, uno si tiene il TFR, se è un dipendente
pubblico il TFS (Trattamento
di Fine Servizio) e quando lo incasserà se vuole lo
utilizzerà per una rendita integrativa, tenendosi
però la sicurezza del TFR e del TFS fino a quell’età
e non dandola agli sfasciacarrozze del risparmio
gestito che gestiscono i fondi pensione.
Vantaggi fiscali? E’ falso come viene detto da
giornalisti,
sindacalisti, banche, assicuratori che la previdenza
integrativa ha forti vantaggi fiscali. Non è vero,
soprattutto per un giovane. Facendo i conti giusti
che sa fare chiunque conosce questa materia il
famoso vantaggio di pagare al 15 o al 9% di imposta
su quanto accantonato, all’inizio della pensione,
per un giovane significa un vantaggio di rendimento
in termini annui nell’ordine dello 0,5%. Una
miseria. Il
vantaggio fiscale è divorato dai costi,
è irrilevante.
Aggiungiamo il fatto che non è sicuro perché
nell’arco di 30/40 anni le leggi cambiano, quelle
tributarie tantissime volte. Nell’ultima legge di
stabilità hanno tolto un’agevolazione sulla
previdenza integrativa che riguardava le polizze
vita, cosiddette previdenziali, quindi questi
vantaggi fiscali sono incerti e comunque già adesso
insufficienti, al massimo potrebbero andare bene per
chi ha un reddito sui 300 mila Euro l’anno e a 5
anni dalla pensione, non è esattamente la categoria
di persone a cui sembra rivolgersi la previdenza
integrativa, quindi buttiamo via il discorso dei
vantaggi fiscali. È falso anche quello che che per
un lavoratore di un’azienda dove c’è un fondo di
categoria, c’è un grande vantaggio che rende
conveniente aderire ai fondi pensione, che è il
contributo datoriale, bruttissima parola, cioè del
datore di lavoro, non è vero che questo sia
determinante. Si può vedere con qualche semplice
simulazione che bastano un po’ di anni negativi e
viene divorato; non è affatto garantito, ma il
contributo del datore di lavoro ci sarà soltanto
finché dura il contratto collettivo di lavoro, 4/5
anni. E'
un’ingiustizia pagare di più alcuni lavoratori
rispetto a altri.
Di più quelli che aderiscono al fondo pensione, di
meno gli altri, questo è buttare a mare una
conquista sindacale nell’arco di più di un secolo:
stesso lavoro, stessa retribuzione. Invece no:
stesso lavoro ma chi aderisce al fondo pensione
viene pagato di più. Altra cosa falsa che Il
confronto tra fondi pensione e TFR è sempre
vantaggioso per il fondo pensione se si considera il
periodo positivo, ma se si prende un altro periodo
storico, senza risalire all’impero romano,
semplicemente a dal '62 al '82 con un fondo pensione
un lavoratore avrebbe perso circa l’80% in potere di
acquisto, 81% nel caso delle azioni, quindi avrebbe
perso i 4/5. In quello stesso periodo con il TFR
avrebbe perso soltanto il 18% che è già molto meglio
che perdere l’80 %. Quindi
falsità una dopo l’altra.
Oltre alla falsità vi sono cose che non vengono
dette. Per i fondi pensione aperti, chiusi, i piani
previdenziali e tutta l’altra congerie di
prodottacci per portare via soldi ai lavoratori non
c’è quasi nessuna trasparenza,
solo qualche dato generico e soprattutto regola
ferrea del risparmio gestito e della previdenza
integrativa. L’interessato che ha messo i suoi soldi
non ha diritto di sapere che titolo viene comprato,
quando, a che prezzo, che titolo viene venduto. A
questo punto è facile dire che nel torbido si pesca
bene, e altre battute per dire che lasciare la
possibilità al gestore di fare quello che vuole, lo
spingerà logicamente a fare porcherie varie,
porcherie che peraltro vengono fuori. Dare i propri
soldi a un fondo pensione a un piano individuale
previdenziale, soprattutto un fondo pensione, vuole
dire rischiare con i mercati finanziari , perché
vuol dire avere il risultato legato all’andamento ai
titoli azionari, obbligazionari. Non
è opportuno giocarsi la pensione alla roulette dei
mercati finanziari.
Nessun prodotto della previdenza integrativa, nessun
fondo pensione chiuso, aperto, socchiuso che sia,
nessun piano individuale previdenziale o
pensionistico, nessuna polizza vita garantisce in
potere d’acquisto i soldi messi dal lavoratore- La
garanzia in potere di acquisto c’è al massimo per un
periodo breve, mentre il TFR dà una base garantita
in potere d’acquisto per tutta la sua durata quanto
essa..
Questo è fondamentale perché nell’arco del ‘900, per
tre volte i risparmi previdenziali o non
previdenziali degli italiani vennero decimatidall’inflazione,
a cavallo della Prima Guerra Mondiale, a cavallo
della Seconda Guerra mondiale e al tempo petrolifero
dal '73 all’84/85. Non c’è nessun lavoratore
nell’arco del ‘900 che abbia vissuto senza
incontrare un momento in cui i risparmi risparmi
mobiliari venivano distrutti dall’inflazione. La
garanzia nei confronti dell’inflazione i fondi
pensione la danno per un periodo brevissimo! Questo
è il vero rischio di tutta la previdenza
integrativa, vedere il fondo che non fallisce,
formalmente non fallisce, "i
fondi pensione non falliscono, ma in potere di
acquisto possono perdere il 90%".
Mi rendo conto di essere la voce di colui che grida
nel deserto, quasi nessun altro lo dice, perché la
torta della previdenza integrativa è una torta ricca,
succosa, gustosa. Perché a differenza dei fondi
comuni, se uno mette i soldi nella previdenza
integrativa non può riscattarli, deve aspettare
l’età della pensione, quindi fino a 65/67/70 non può
riscattarli e per giunta la trasparenza è ancora
minore che nei fondi comuni dove già è bassissima. Questi
prodotti interessano alle banche alle assicurazioni,
ai gestori e alle società di gestione, ai sindacati
che ci mettono i loro amici, sono centinaia di
poltrone strapagate di parassiti che non fanno nulla
perché, e questo è veramente buffo, gli
amministratori dei fondi pensione, non gestiscono il
fondo pensione, subappaltano a un altro la gestione,
come spesso è stato subappaltato ad altri
l’amministrazione della raccolta delle quote.
Poltrone fatte per dare soldi, prese metà dai
sindacati e metà degli amici di Confindustria,
Confcommercio, dalle associazioni patronali.
Conclusione: evitare
tutti i prodotti previdenziali: fondi comuni,
aperti, chiusi, piani individuali pensionistici,
polizze vita.
Tutti da evitare, se uno li ha sottoscritti,
interrompere i versamenti, tenersi il TFR. Non
affidare i propri soldi a nessuna gestione, non solo
alla previdenza integrativa, ma neanche affidarla ai
fondi comuni, alle gestioni né italiane né estere,
sono uguali, sono scatole nere dove i gestori
mangiano, non dico mangiare tutto, ma possono
raschiare tanti soldi, con 2,5 di commissioni annue
di gestione, è uno sproposito!
Accordo Ecofin, ecco chi pagherà per le crisi
bancarie in Europa
Il ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni lo ha
definito un
accordo “storico”. L’accordo raggiunto nella
notte di martedì a Bruxelles è il primo passo
concreto verso l’unione bancaria. La
materia è delicata ma cruciale. Il
presidente della Bce Mario
Draghi lo
considera “un grande passo avanti”. Il presidente
dell’Europarlamento Martin
Schulz parla
di “un primo passo” e promette un esame
“durissimo”.
1. Perché l’accordo europeo è così importante?
Stabilisce come funzionerà il fondo
di risoluzione europeo, che dovrà
intervenire quando una banca andrà in difficoltà e
il nascente organismo
di Supervisione unica (di
fatto un’emanazione della Bce) dovrà decidere come
gestire la crisi, pilotando verso il salvataggio o
la bancarotta controllata. Operazioni costose, che
qualcuno deve pagare: prima gli azionisti, poi i
creditori, in parte anche i risparmiatori (è
l’approccio bail-in). Quel che resta sarà coperto
dal fondo.
2. Ogni Stato pagherà per le sue banche o la
gestione sarà europea?
Questo era il punto delicato. Si è trovato un
compromesso: il fondo nasce con contributi
nazionali tenuti separati, a
compartimenti stagni. Nel corso di dieci anni
diventerà un fondo
davvero europeo, così che i mercati
sappiano che in caso di dissesto di una banca esiste
uno strumento comunitario pronto a intervenire.
Questo, assieme alla supervisione rafforzata da
parte della Bce, dovrebbe rendere molto più
credibile il sistema bancario europeo, agevolando
quindi i finanziamenti a imprese e famiglie.
3. Quali sono le banche coinvolte?
In teoria tutte, anche i Paesi fuori dalla zona euro
possono entrare in questo progetto di Unione
bancaria. I 130
istituti principali saranno
sottoposti alla supervisione diretta della Bce che
vigilerà anche sugli altri ma per tramite delle
autorità nazionali (nel nostro caso la Banca
d’Italia).
4. Chi decide che una banca deve essere chiusa?
Il processo decisionale è complicato, c’è un board
del Meccanismo unico di supervisione che è composto
da un presidente, cinque membri della Bce e 18 delle
autorità nazionali, poi trasmette la sua decisione
al consiglio dei governatori della Bce, che poi
rimanda la palla al Meccanismo unico di
supervisione. Salvo che la Commissione o il
Consiglio (cioè l’esecutivo europeo e gli esecutivi
nazionali) non si oppongano, le decisioni del board
del Meccanismo unico di supervisione diventanooperative
in 24 ore. Sono previsti poteri che
permettono di agire anche
contro il volere di alcuni Stati o delle autorità di
vigilanza nazionali (nessun
governo o supervisore locale gradisce vedere
esplodere una crisi bancaria in casa propria).
5. Da dove arriveranno i soldi?
Il fondo per la risoluzione sarà finanziato dai
privati, cioè
dalle singole banche nazionali, ma potrà
attingere risorse anche dal fondo
salva Stati Esm (i
cui capitali per ora non vengono utilizzati) nella
fase transitoria, cioè finché il fondo non sarà
pienamente operativo.
6. Quando entrerà in vigore tutto questo?
Il meccanismo sarà pienamente operativo tra 10 anni
e serve prima l’approvazione di un trattato
intergovernativo, cioè devono ratificarlo i
singoli Stati membri (o meglio, un numero
sufficiente a garantire l’80 per cento delle risorse
al fondo di risoluzione). Il processo partirà dal
2016, salvo sorprese.
7. Quali sono i buchi in questa rete di protezione?
I tempi sono lunghi, le incognite tante, i dettagli
da chiarire decine. Il negoziato è appena
all’inizio. Se è rassicurante che si sia imposta la
logica che il “backstop”, cioè il
fondo per il pronto intervento, sia
europeo, per anni resterà frammentato su base
nazionale. Riducendo così l’effetto rassicurante per
gli investitori, che avranno ragioni per continuare
a preoccuparsi soprattutto delle crisi bancarie che
riguardano istituti operanti su diversi Paesi.

"A
chi obbediscono i partiti? Ai
loro elettori o ai lobbisti? La legge di Stabilità
non è fatta per i cittadini ma per tutelare
interessi e affari, caste e cordate. Vi sembra
eccessivo? Sentite questa: il Pd, prima firma il
capogruppo alla Camera, Roberto Speranza, presenta
un emendamento alla stabilità per salvaguardare le
casse dell’Inps. Viene previsto un tetto massimo di
150mila euro fra pensione e altri incarichi,
pubblici e privati. Bene. Parte la discussione in
commissione che si protrae per la notte. Le
trattative fervono nei corridoi.
Ma dopo una lunga gestazione, il Pd partorisce una
riformulazione che azzera il contenuto della norma:
il tetto sale fino a 294mila euro ed è applicabile
solo a chi cumula pensione e incarico nella pubblica
amministrazione salvando tutti i contratti in
vigore. Come dire: “abbiamo
scherzato, ci siamo sbagliati”.
Cos’è accaduto nel mentre, fra il prima e il dopo?
Quale manina è intervenuta? Per capirlo bisogna
uscire dalla commissione, farsi un giro, entrare
nella saletta fumatori nel cuore di Montecitorio e
immergersi nella folla
dei lobbisti che assedia il Parlamento.
E ascoltare:
“Tu
non avresti potuto fare niente al di sopra dei 150
mila euro compresa la pensione –
si sente dire a una persona che parla al telefono - ho
dovuto scatenare mari e monti. È stata una battaglia
durissima –
spiega compiaciuto mentre tesse le sue stesse lodi -
… ehhh,
è questo il Parlamento oggi. Io lo potrei portare…
scrivere in un manuale come caso di eccellenza di
azione di lobby… ho dovuto smuovere tutto”.
È tutto vero! Ma chi è che parla al telefono? La
voce è quella di un vecchio “lupo”
di Palazzo, consigliere parlamentare in pensione con
un incarico alla Camera dei Deputati. A nome di chi
parla lo rivela lui stesso: “Io
sono stato questa settimana in full immersion,
giorno e notte perché la commissione ha lavorato
giorno e notte per fare cazzate dietro... dietro a
queste faccende qua, perché avevo una marea di gente
che mi chiamava in questa condizione, chi per il
lavoro autonomo, chi perché c'hanno privilegi che
fanno i Consiglieri di Stato, i professori
universitari, ste cose qua, e quindi si sono salvati
pure quelli”.
Il "misterioso"
lobbista ha fatto calare la testa al Pd per conto
dei detentori di pensioni d’oro, accumulatori
seriali di incarichi, professoroni in quiescenza mai
andati (veramente) in pensione. Gente come Giuliano
Amato e Lamberto Dini.
Ecco a chi obbedito il Pd di Renzi(e, ndr). Mentre le
vittime sono i soliti noti. Noi." M5S
Camera
Porcellum bocciato dalla Consulta, accolto il ricorso dei cittadini. ALTRO
SILURO DEL POTERE GIUDIZIARIO ALLA POLITICA ITAGLIOTA. Solo una settimana
prima era stato affondato il finanziamento pubblico ai partiti...
La Corte Costituzionale ha bocciato la norma ideata dal
leghista Roberto Calderoli in tutti e due i punti sottoposti al vaglio di
legittimità rispetto alla legge fondamentale dello Stato: ovvero il premio
di maggioranza e la mancanza delle preferenze. Berlusconi: "Organo
politico della sinistra"
Il Porcellum è incostituzionale. E’ quanto ha deciso la Consulta, che
aveva respinto i quesiti referendari nel gennaio 2012 e
che, dopo un ricorso presentato dai cittadini, era stata chiamata a
pronunciarsi sulla
legittimità della norma con cui sono eletti gli ultimi tre parlamenti
(2006, 2008 e 2013). Incostituzionali, secondo gli ermellini, sia il premio
di maggioranza che
la mancanza
delle preferenze (cioè le liste
bloccate),
ovvero i punti sottoposti al vaglio della Corte. Tradotto: gli italiani
non andranno più a votare con la ‘porcata’ (copyright del suo ideatore, il
leghista Roberto
Calderoli),
o almeno non con le caratteristiche con cui era nata. A spiegarlo alcuni
costituzionalisti. Tra questi Valerio
Onida,
secondo cui con la pronuncia di oggi sono ‘morti’ premio di maggioranza e
liste bloccate, ma non il Porcellum. Onida
(uno dei saggi di Napolitano), del resto, ha praticamente tradotto quanto
fatto sapere dai giudici costituzionali, i quali dopo la sentenza avevano
fatto sapere che “resta fermo che il Parlamento può
sempre approvare nuove leggi
elettorali, secondo le proprie scelte
politiche, nel rispetto dei principi costituzionali”.
I TEMPI DELLA SENTENZA E GLI EFFETTI NON IMMEDIATI
Sembrava che la legge, dopo
il rinvio della discussione nel Senato,
dovesse resistere ancora e invece di fatto i giudici impongono ai
parlamentari quella riforma che
è stata a lungo chiesta dal presidente Giorgio
Napolitano. L’efficacia
del verdetto, comunque, decorrerà dal momento in cui le motivazioni
saranno pubblicate. “Nelle prossime settimane” fa sapere la Consulta. E
comunque, fino a nuova legge, non c’è un ritorno di fatto al Mattarellum. L’approdo
in Consulta della legge elettorale ha alle spalle una vicenda giudiziaria
di ricorsi e bocciature, alla
cui base c’è la testardaggine di un avvocato 79enne, Aldo
Bozzi. Nel
novembre 2009, in qualità di cittadino elettore, il legale aveva citato in
giudizio la Presidenza
del Consiglio e
il ministero dell’Interno davanti al Tribunale
di Milano, sostenendo
che nelle elezioni politiche svoltesi dopo l’entrata in vigore della legge
270/2005, il cosiddetto Porcellum, e nello specifico nelle elezioni del
2006 e del 2008, il suo diritto di voto era stato leso, perché non si era
svolto secondo le modalità fissate allaCostituzione –
ossia voto “personale ed eguale, libero e segreto (art. 48)” e “a
suffragio universale e diretto”. Il tenace avvocato è riuscito ad arrivare
fino in Cassazione. Che poi con
un’ordinanza del 17 maggio scorso aveva rimesso la questione ai giudici
costituzionalisti.
BERLUSCONI: “CONSULTA E’ DI SINISTRA”. BOZZI: “E’ TORNATO
MATTARELLUM”
La Corte costituzionale “è un organismo politico della sinistra” ha detto Silvio
Berlusconi, secondo cui ”la nostra
architettura istituzionale è fatta non per decidere, ma per vietare. Il
presidente del Consiglio italiano ha solo il potere di stendere l’odg del
Consiglio dei ministri. Non ho ancora un’informazione precisa, non posso
fare commenti. Bisogna vedere cosa hanno dichiarato incostituzionale” ha
aggiunto il Cavaliere. Entusiasta, invece, l’avvocato Aldo Bozzi: “Quattro
anni di battaglie andate a buon fine – ha detto all’Adnkronos – E adesso
bisogna sottolineare che non si crea nessun
vuoto giuridico: a mio parere, con la
pronuncia della Consulta, di fatto si torna alla legge elettorale
precedente, il Mattarellum.
Molto probabilmente torneremo a votare in estate. Ma intanto oggi ci
godiamo la vittoria, da domani penseremo a riassumere la pronuncia in Cassazione,
dove è pendente un altro procedimento”.
ONIDA: “NON C’E’ RITORNO AUTOMATICO AL MATTARELLUM”
Dopo la pronuncia della Consulta, i
costituzionalisti sono sostanzialmente d’accordo nel ritenere che uno
degli effetti sarebbe il ritorno al proporzionale,
ma le valutazioni “politiche” sul pronunciamento della Corte sono diverse.
“Non si torna alla legge precedente”, ossia ilMattarellum,
“ma si ha una conferma del proporzionale senza premio di maggioranza.
Questo sembrerebbe l’effetto della prima parte della sentenza” ha spiegato
il presidente emerito della Consulta Valeria
Onida, aggiungendo che “solo col
deposito della sentenza si produrrà l’effetto di far cessare l’efficacia
delle norme dichiarate incostituzionali. Quindi, per ora – ha precisato –
formalmente non è ancora cambiato nulla”. Uno dei saggi di Napolitano,
però, è andato anche oltre. “La Corte –
ha continuato il costituzionalista – ha fatto venir meno la previsione del premio
di maggioranza. Quindi, si dovrebbe
immaginare che, se non intervenisse nessun altra misura
legislativa, si applica il proporzionale
senza premio di maggioranza. Per l’altro aspetto”, ossia leliste
bloccate, “è stata dichiarata
incostituzionale la parte in cui non consente di esprimere preferenze. Ma
qui è più difficile capire l’effetto pratico se non ci fosse un intervento
legislativo: si può immaginare non solo che l’elettore possa dare
preferenze, ma che poi l’ordine di elezione sia determinato dalle
preferenze e non dall’ordine di lista? Su questo punto credo dovremo
attendere le motivazioni, per capirne bene la portata” della sentenza.
PELLEGRINO: “PARLAMENTO DELEGITTIMATO, 150 DEPUTATI DA
SOSTITUIRE”
Più drastico il giurista Gianluigi
Pellegrino, secondo cui “dopo il
pronunciamento della Consulta, il Parlamento è delegittimato; dal punto di
vista istituzionale è una decisione clamorosa. Nelle motivazioni della
sentenza, la Corte si sforzerà di dire il contrario. Ma l’effetto reale è
quello di una potente delegittimazione delle Camere”. Non solo. A sentire
Pellegrino le due camere andrebbero sciolte immediatamente. “Il Parlamento
e il governo – ha osservato il giurista – non sono intervenuti con una
riforma. Ora la sanzione costituzionale, priva le due Camere di ogni
minima legittimazione costituzionale e politica. A questo punto vi è un
dovere civico di procedere allo scioglimento, potendosi solo procedere
come indica la Consulta ad
una riforma elettorale che sia ampiamente condivisa, perché certo non si
possono usare le maggioranze
incostituzionali per
approvare la legge elettorale”.
Per Pellegrino si pone, inoltre, un altro problema:
quello dei parlamentari eletti con il premio
senza soglia bocciato
dalla Corte: “Sono stati eletti sulle base di una norma illegittima e ora
devono essere sostituiti. Alla Camera, dove non si sono concluse le
operazioni di convalida, la giunta deve espellere circa 150
deputati e
sostituirli con altri: dovrebbero uscire esponenti Pd, ed entrare
esponenti Pdl-Fi, Movimento
5 Stelle e
Lista civica”. Proprio Pellegrino, all’indomani delle ultime elezioni, a
nome di un’associazione di cittadini presentò ricorso alla giunta delle
elezioni di Camera e Senato contestando l’elezione dei parlamentari entrati
grazie al premio. “Ora presenteremo una nuova memoria alle giunte, che
dovranno accogliere i nostri ricorsi” ha annunciato. “A mio parere – ha
sostenuto il giurista -, il governo deve fare un decreto legge per
introdurre un sistema per l’elezione di collegio al primo turno con premio
su base nazionale al secondo turno. Il decreto deve essere convertito in 60
giorni: se lo sarà prima di eventuali
elezioni, si voterà con questo sistema. Altrimenti con la legge di stampo
proporzionale con sbarramento in
entrata, che si configura dopo la sentenza della Consulta”.
Consulta e Porcellum, ritorno agli anni '80
Una manciata di righe. Non di più. La nota della Corte
Costituzionale che ammette il ricorso anti-Porcellum è stringata, rimanda
alle motivazioni della sentenza che verranno diffuse tra qualche
settimana. Ma il testo è sufficiente per capire che oggi dalla Consulta è
stata partorita quella che può ben definirsi una svolta storica per gli
scenari politici e istituzionali presenti e futuri. Un colpo secco, tre
risultati: la Suprema Corte ha 'asfaltato' il sistema maggioritario,
affossato le pretese del futuro
segretario del Pd Matteo Renzi e azzoppato la credibilità di questo
Parlamento con
tutti gli atti che ha prodotto, compresa l'elezione del presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano. Questo terzo punto non è vero, ma è già
vero per i social network: il che è un fatto.
1. La Corte ha dichiarato incostituzionale il premio di
maggioranza del Porcellum. Non solo. Incostituzionale è anche la mancanza
delle preferenze, prevista dal sistema di liste bloccate. Che significa?
Di fatto, la sentenza di oggi indica i binari lungo i quali il Parlamento
potrà legiferare per approvare un nuovo sistema elettorale. Se non lo
farà, se non riuscirà a trovare un accordo su una nuova formula, quando si
tornerà alle urne, si voterà con quello che rimane del Porcellum al netto
dell'intervento della Consulta. E cioè con un sistema proporzionale, cioè
il Calderolum spogliato del premio di maggioranza. Quanto alle preferenze,
per reinserirle sarà necessario un intervento legislativo, che però
comunque è molto più semplice della reistituzione dei collegi, che
andrebbero ridisegnati.
2. Se questa è la prospettiva, si riducono i margini di
manovra di Matteo Renzi. Il sindaco avrebbe voluto un sistema
maggioritario a doppio turno, che di fatto coronerebbe la sua leadership,
premierebbe lo sforzo fatto per arrivare a fare il segretario del Pd,
santificherebbe la sua visione politica bipolarista. Ora se lo può
scordare. La sentenza della Consulta non porta buon vento per Renzi. Anzi.
Di fatto, lo annulla. Annulla il suo potere contrattuale verso Angelino
Alfano, interessato ad un impianto proporzionale e comunque assolutamente
interessato a restare al governo il più a lungo possibile, ad allontanare
lo spettro delle elezioni anticipate, per avere tempo di organizzare il
suo neonato Ncd. Ora, nell'era del post Consulta, nell'era del post
Porcellum, se Renzi non scende a compromessi con Alfano e la truppa
governista sulla legge elettorale, finisce in minoranza e non ha nemmeno
armi da agitare. La sentenza della Consulta lo ha infatti privato
dell'arma più preziosa: quella del ritorno al voto. Ora non gli
converrebbe più, visto che si voterebbe con quel che resta del Porcellum.
3. Però la sentenza della Consulta ha prodotto anche un
terzo effetto. Uno di quegli effetti perniciosi che non corrispondono alla
realtà ma diventano realtà sui media. Subito dopo la notizia sulla
bocciatura del Porcellum, i social si sono riempiti di commenti arrabbiati
sull'illegittimità di questo Parlamento, eletto a febbraio con una legge
elettorale evidentemente incostituzionale. Non è vero, la Corte
Costituzionale è chiara al proposito: gli effetti della sentenza di oggi
riguarderanno le prossime elezioni e non quelle passate. Però, anche se
non è vero, non ci si può nascondere che la riflessione sull'illegittimità
di questo Parlamento contiene suggestioni che troveranno spazio nel clima
attuale dell'anti-politica. Tant'è vero che Berlusconi e Forza Italia la
stanno già cavalcando alla grande. Un pasticcio. Che rischia di riportarci
al proporzionale
anni '80. In nome della stabilità e delle larghe
intese forever.
L'ULTIMA SVENDITA
SILENZIOSA:LA BANCA D'ITALIA
Dal 1999 il governo impastato centro
sinistrato presieduto dalla jattura storica Dalema ha iniziato una
poderosa svendita del patrimonio pubblico italiano costruito faticosamente
dalla crisi degli anni Trenta allo scopo di foraggiare IL CAPITALISMO
FAMILISTICO DI RELAZIONE ITALIOTA A PESANTE DANNO DEL PATRIMONIO DI TUTTI
che infatti proprio da quel momento storico ha iniziato ad erodersi fino
ad arrivare alle ossa odierne. La prima disastrosa operazione fu lo
smantellamento della rete telefonica nazionale, Telecom, che oggi è finita
di proprietà degli spagnoli. Via via scomparirono industrie
automobilistiche, Alfa Romeo-Innocenti-AutoBianchi-Lancia, industrie
siderurgiche, Italsider-Ferriere,industrie chimiche,SNIA-Viscosa,come
detto telecomunicazioni telefoniche e poi televisive con lo strapotere
concesso a costo zero a Mister B che gode tutt'oggi di una Legge
monopolistica, la Legge Gasparri, nonchè del pagamento concessionario
dell'1% sul fatturato effettivo (a lui che è stato condannato PER FRODE
FISCALE !!!),ISTITUTI DI CREDITO come il CREDITO ITALIANO, banche solide
con bilanci floridi gettate nelle mani di delinquenti come Geronzi che
fuse il Credito con Capitalia, piena zeppa di debiti, per dar vita ad
Unicredit. Questa formalina CAPITALISTOIDE ha generato mostruosità come le
ECO-MAFIE, la devastazione ambientale, la cementificazione scomposta, LE
FONDAZIONI PARTITICHE BANCARIE che hanno assoggettato l'intero credito
nazionale, LA DISINTEGRAZIONE DEL PATRIMONIO TECNICO ED INDUSTRIALE
SACCHEGGIATO DALLE AVIDISSIME MANI STRANIERE. Tra le ultime SVENDITE, E'
PASSATA NEL SILENZIO ASSOLUTO LA PRIVATIZZAZIONE DELLA BANCA D'ITALIA.
All'interno della distrazione nazionale PER LA DECADENZA DI UN
GERONTOCRATE PEDERASTA FRODATORE FISCALE PLURIMO, il governo
DISASTROSISSMO LETTA ha firmato il decreto ultimo per lo smantellamento
della Banca d'Italia.
"Le quote della Banca di Italia che
dovevano passare allo Stato potranno essere vendute e potranno essere
vendute a soggetti stranieri purché comunitari.
Insomma, viviamo già oggi in un Paese che conta poco nel sistema europeo
delle banche centrali, immaginate quanto potrà contare se la sua banca
centrale sarà di proprietà degli stranieri!" Lucio
Di Gaetano
di Lucio di Gaetano,
ex-dipendente Banca d'Italia
"Sono Lucio Di Gaetano, nella vita mi
sono sempre occupato di banche, per cinque anni ho lavorato in Banca di
Italia, per altri sette ho lavorato nel settore privato e ora faccio il
consulente di azienda.
Sono qui per parlarvi della fregatura che il governo Letta, di nascosto,
mentre si dichiarava la decadenza di Berlusconi ha fatto a danno di tutti
gli italiani, attraverso il decreto sulla rivalutazione delle quote della
banca di Italia, per avere 900 milioni di Euro senza sforare il tre per
cento del deficit. Ne
regaleremo 450 all’anno agli azionisti della Banca di Italia, che come
sapete sono privati.
Ma facciamo un passo indietro, perché la banca di Italia nella governance
ha azionisti privati? Perché c’è questa situazione da mondo di Oz dove un
istituto di diritto pubblico è partecipato da banche private che sono
detenute da fondazioni controllate dai partiti?
La Banca di Italia nasce nel 1893 ed è completamente detenuta da azionisti
privati, all’epoca si usava così. Nel '26 il governo fascista la
pubblicizza e espropria i suoi azionisti. Successivamente le quote del
capitale della Banca di Italia vengono cedute alle banche, nel frattempo
pubblicizzate a causa della crisi degli anni '30. Nel '93, a seguito della
crisi finanziaria il governo Amato concepisce un
mostro giuridico, la privatizzazione delle banche italiane
mediante la'attribuzione delle loro quote di controllo alle fondazioni
nominate dai partiti.
Il grosso del capitale viene quotato in borsa e di conseguenza oggi ci
troviamo nell’azionariato della Banca di Italia, banche che agiscono con
logiche di soggetti privati.
Per fortuna il mostro in passato è stato in qualche modo limitato, perché?
Perché la ripartizione degli utili prodotti dalla Banca di Italia è sempre
stata riservata in minima parte ai suoi azionisti privati, non più dello
0,5 per cento delle riserve, che ammontano più o meno a 22 miliardi di
Euro. Per cui anni buoni e anni cattivi non hanno consentito agli
azionisti di prendere più di 50 - 70 milioni di Euro all’anno dal capitale
della Banca di Italia, che non si è mosso dalla cifra originaria di 156
mila Euro con cui era stato valorizzato.
Nel 2005 il governo Berlusconi fa per miracolo una legge giusta e
stabilisce che le quote nel capitale della Banca di Italia, detenute da
soggetti non pubblici debbano passare entro tre anni allo Stato.
Sono passati otto
anni e quella legge è rimasta inattuata.
Il 27 novembre notte tempo, mentre il Parlamento dichiara la decadenza di
Berlusconi e tutti i cittadini sono distratti, Saccomanni
fa una clamorosa marcia indietro, con un
decreto legge stabilisce
che la Banca di Italia non sarà più destinata a diventare un istituto di
diritto pubblico detenuto dallo Stato, ma unapublic
company, ovvero una società a azionariato diffuso con azionisti
tutti privati.
Inoltre, il
capitale della Banca di Italia passerà dagli attuali 156 mila Euro a 7,5
miliardi di Euro, con un forte vantaggio patrimoniale per
tutti partecipanti, che saranno obbligati a pagare una imposta, per di più
agevolata, del 12%, e avranno, poi, tutto il tempo per eseguire l’obbligo
di vendita della quota eccedente il 5% eventualmente detenuta, con una
fortissima plusvalenza.
E torniamo alla fregatura di cui parlavamo all’inizio, la cosa più
importante è che fino a oggi la Banca di Italia non poteva distribuire un
utile superiore al 10% dell’attuale capitale sociale, di 156 mila Euro,
più una quota delle riserve, che per prassi non superava mai lo 0,5 per
cento all’anno.
Nel progetto del governo Letta questo limite viene alzato al 6% del nuovo
capitale sociale di 7,5 miliardi di Euro, vale
a dire ben 450 milioni di utili distribuibili all’anno.
Non è cosa di poco conto, perché se i grandi banchieri possono brindare a
champagne i cittadini non hanno proprio nulla da festeggiare! Quei 450
milioni, se non fossero dati ai banchieri privati andrebbero dritti nelle
casse dello Stato. Come è stato fino a oggi.
Ma non finisce qui, anzi la fine è peggio dell’inizio, perché un’altra
incredibile novità di questo magnifico progetto è che le quote della Banca
di Italia che dovevano passare allo Stato potranno essere vendute e
potranno essere vendute a soggetti stranieri purché comunitari.
Insomma, viviamo già oggi in un Paese che conta poco nel sistema europeo
delle banche centrali, immaginate
quanto potrà contare se la sua banca centrale sarà di proprietà degli
stranieri!
Interessa?
IL SENATORE DECADENTE COME IL SUO IMPERO,tra
passaporti russi e armi segrete,troje,puttane,nani e ballerine
Una intercettazione e un accertamento fiscale
sull'ex socio occulto Frank Agrama le carte che dovrebbero
cambiare la storia del processo. Ma la nuova mossa potrebbe essere
l'ennesima manovra dilatoria: fra due giorni il Senato deciderà
per la sua decadenza. Già lo scorso settembre l'ex presidente del
Consiglio aveva annunciato una svolta parlando di una sentenza
svizzera risultata inesistente
Un accertamento
fiscale negli
Usa e una intercettazione. Silvio
Berlusconi tenta
la carta delle nuove prove per chiedere una revisione del processo
Mediaset per
cui è stato condannato in via definitiva a 4 anni per frode
fiscale. Mentre il governo
Letta pone
la questione di fiducia sulla legge di Stabilità,
di fatto fissando il voto sulla decadenza il 27 novembre, il
leader di Forza Italia annuncia urbi
et orbi che questi documenti
cambieranno la storia del suo processo e fa sapere che si
rivolgerà alla magistratura di Brescia. La nuova mossa potrebbe
essere l’ennesima manovra dilatoria. Già lo scorso settembre l’ex
presidente del Consiglio aveva annunciato una svolta parlando di
una sentenza
svizzera risultata poi inesistente. Il
tutto mentre arriva in Italia l’amicoVladimir
Putin che,
secondo indiscrezioni di stampa, potrebbe avergli già consegnato
unpassaporto
diplomatico che
gli permetterebbe di viaggiare all’estero indisturbato. Solo
qualche giorno il Cavaliere aveva dichiarato che se
avesse avuto i documenti se ne sarebbe andato ad Antigua. Ma
c’è chi ha avanzato anche un’altra ipotesi: che l’ex premier possa
essere nominato ambasciatore
in Vaticano per la Russia.
Berlusconi: “Chiederò la revisione del processo a
Brescia”.
Le novità importanti, per quanto riguarda il processo Mediaset,
sono che in Usa il fisco americano sta per procedere con una causa
verso Frank Agrama e altre persone, ritenute responsabili di evasione
fiscale importante,
e da queste situazioni emergono testimonianze di
importanti dirigenti del gruppo Agrama, che dimostrano come la
vicenda che vede il gruppo Agrama protagonista sia una vicenda da
cui Silvio Berlusconi è assolutamente, completamente estraneo,
altri sono i protagonisti e sono dichiarati in modo chiaro, senza
possibilità che si possa interporre alcun dubbio – spiega l’ex
premier parlando in terza persona -. Probabilmente ne leggerò
anche una parte, e darò la notizia che noi intendiamo presentare
quanto prima una domanda
di revisione del processo alla
Corte competente, la Corte d’appello di Brescia, fidando sul fatto
che questa domanda possa essere assolutamente accolta, per la
chiarezza di queste notizie, che oltretutto sono anche confermate
da molti testimoni, che i giudici di primo e secondo grado non
hanno voluto nemmeno ascoltare. Abbiamo le deposizioni di tutti
questi inascoltati
testimoni,
che fanno riferimento alla realtà, una realtà che mi vede
completamento estraneo, che esclude assolutamente ogni mia
partecipazione a qualsiasi fatto illegittimo”.
L’intercettazione tra Frank Agrama e Bruce Gordon. Ci
sarebbe anche una intercettazione tra il produttore Frank
Agrama, condannato in via
definitiva a 3 anni dalla Cassazione come “socio
occulto” del
sistema di frodi ideato dal Cavaliere, e Bruce
Gordon, presidente della
distribuzione Paramount, tra le carte che dovrebbero cambiare la
storia del processo. Una conversazione in cui i due direbbero:
“Stiamo diventando veramente ricchi”. Cosa questo significhi lo
spiegherà Berlusconi alle 15.30 in conferenza stampa. Certo
è ed è nelle motivazioni della sentenza che la testimonianza di
Gordon è tra quelle considerate importanti dai giudici della
Cassazione per il verdetto finale. Il 21 dicembre 1993 il top
manager in una lettera al collega Lucas aveva confermato “la totale
sovrapponibilità tra Agrama e Berlusconi,
posto che non vi è distinzione né tra le società né tra le
persone, né tra le cifre’. (…) A conferma del legame a doppio filo
tra il produttore e il Cavaliere. Ora invece il Cavaliere vorrebbe
far pensare che i due avrebbero tramato alle sue spalle per
truffarlo.
I testimoni inascoltati. Era
il 26 settembre del 2011 quando il presidente del collegio di
primo grado tagliò una decina di testi della difesa. Il giudice Edoardo
D’Avossa in quell’occasione
aveva parlato di prescrizione ritenendo stringere i tempi perché
il dibattimento era iniziato nel 2006 e ancora non si riusciva a
chiudere. I testimoni tagliati all’epoca era tutti residenti
all’estero e nonostante le convocazioni da parte del Tribunale non
si erano mai presentati in aula. Adesso a processo definito e
fuori tempo massimo però dovrebbero dare il loro contributo.
Come con la tangente a Bettino Craxi. In
passato tante volte il Cavaliere in conferenza stampa ha tentato
di sviare l’attenzione sulle indagini che lo hanno coinvolto.
Quando i magistrati milanesi scoprirono la mazzetta a Bettino
Craxi (processo
prescritto grazie alle attenuanti generiche) il Cavaliere, era la
fine del 1995, convocò una conferenza stampa e annunciò
l’equivoco: quei soldi erano il pagamento “per la
commercializzazione di diritti televisivi” all’imprenditore Tarak
Ben Ammar (poi
entrato nel consiglio di amministrazione di Mediaset nel 1996 ).
Il Tg5 intervistò l’imprenditore franco tunisino che confermò la
versione dell’allora premier. Ma quelle parole non entrarono mai
in un verbale: convocato tre volte i magistrati milanesi non sono
mai riusciti a interrogarlo.
Intanto l’Europa, come riporta il Corriere della
Sera, ha messo sotto accusa l’Irlanda per il ritardo accumulato,
ben sette anni, nel rispondere alla richiesta di assistenza
giudiziaria dell’Italia
su due società: la Olympus trading Ltd e la Olympus trading
Ireland Ltd per i processi Mediatrade e Mediaset. Un’altra
rogatoria quella di Hong
Kong sarebbe
stata bloccata per anni grazie ai buoni uffici dell’ex
senatore Idv Sergio De Gregorio. L'attaccante,
apparso svogliato contro il Genoa, per la seconda volta in fila
non rispetta l'orario del raduno. La squadra in vista della
delicata sfida di Glasgow contro il Celtic è spronata dalla
dirigente. Intanto Seedorf si fa sentire: "Voglio diventare il
miglior allenatore del mondo"
Lega nord, verso il processo Bossi e figli. “Truffa
allo Stato per 40 milioni di euro”
Chiuse le indagini sullo scandalo che ha travolto il
Carroccio: in qualità di legale rappresentante al
Senatur è contestato l'intero ammontare del
finanziamento pubblico. Lui e i figli devono
rispondere di appropriazione indebita per 500mila
euro: 77mila per la laurea in Albania. Richiesta di
archiviazione per Roberto Calderoli, Matteo Brigandì
e Manuela Marrone
Quaranta milioni di
finanziamento pubblico alla Lega. Cifra
maggiore rispetto ai 18
milioni di euro venuti alla luce finora. La
Procura di Milano contesta al fondatore della Lega Umberto
Bossi –
nuovamente in
corsa per la segreteria del partito contro Matteo
Salvini il
prossimo 7 dicembre – la “truffa
aggravata per
il conseguimento di erogazioni pubbliche” ossia i rimborsi
elettorali ricevuti
dal Carroccio in base ai rendiconti al Parlamento
del 2008 e 2009. Una truffa
allo Statocommessa,
secondo i pubblici ministeri, in concorso con Maurizio
Balocchi, segretario amministrativo
della Lega ormai deceduto, per quanto riguarda il
rendiconto dell’esercizio 2008 e con Francesco
Belsito, ex tesoriere leghista per il
2009 e 2010. Con tanto di inganno ai presidenti di
Camera e Senato e ai revisori pubblici delle due
assemblee che autorizzavano i rimborsi basandosi su
rendiconti volontariamente falsati “in assenza di
documenti giustificativi di spesa e in presenza di
spese effettuate per finalità
estranee agli interessi del partito
politico”.
La Procura di Milano ha
chiuso le indagini relative all’inchiesta “The
family” in vista del prossimo passo: la richiesta di rinvio
a giudizio per dieci persone, tra cui Umberto
Bossi e i
suoi due figliRiccardo
e Renzo. Al centro, la gestione dei fondi
della Lega, caso scoppiato nella
primavera del 2012. Tra gli indagati, anche l’ex
vicepresidente del Senato Rosi
Mauro, l’ex
tesoriere della Lega Francesco
Belsito e
l’imprenditore veneto Stefano
Bonet, l’uomo degli investimenti in
Tanzania con i soldi del partito.
Chiuse le indagini anche
nei confronti di Rosi
Mauro, l’ex senatrice del Carroccio, che
ora è accusata di una appropriazione
indebita di
99.731,50 euro, denaro proveniente dalle casse del
partito. Tra i soldi di cui l’ex esponente lumbard
si è appropriata, secondo l’accusa, ci sono anche
77.131,50 euro “per acquisto titolo
di laurea albanese (in sociologia) – si
legge nel capo di imputazione – presso l’Università
Kristal di Tirana a
favore di Pierangelo
Moscagiuro”,
ex guardia del corpo della Mauro. Laurea presa il 29
giugno 2011 nella
stessa università scelta da Renzo Bossi,
detto ‘il Trota’, che consegue il titolo (in
Gestione aziendale) il 29 settembre 2010 con un
“corso di studi” durato un
solo anno, senza tuttavia mettere mai
piede in Albania.
Per la laurea del Trota a Tirana 77mila euro –
A Renzo e Riccardo Bossi, i due figli del ‘Senatur’
Umberto, viene contestato di aver usato a fini
personali circa 303mila
euro di
soldi pubblici ottenuti dalla Lega come rimborsi
elettorali. Renzo detto ‘il Trota’,
accusato come Riccardo di appropriazione indebita,
avrebbe speso tra le altre cose oltre 77mila euro
per l’“acquisto” dell’ ormai famosa laurea
albanese “presso
l’Università Kristal di Tirana”. Ma non solo. Il
secondo figlio di Bossi, che, nel 2010, a 21 anni
diventa il più giovane consigliere
regionale mai
eletto in Lombardia, pare avere una passione per le
auto e per la velocità. Con la sua Audi
A5 scorrazza
per la Lombardia accumulando oltre 7mila euro di multe.
Contestazioni che vengono pagate con i soldi del
partito. E nonostante la cattiva condotta
automobilistica, il Trota passa a una macchina più
potente, un’Audi
A6 pagata
48mila euro più 3mila di assicurazione. Ovviamente a
spese dei contribuenti. Il
10 aprile 2012 Renzo è costretto alle dimissioni dalla
sua carica in Regione.
Lo scandalo dei soldi pubblici girati dall’ex
tesoriere Francesco Belsito agli esponenti del
Carroccio fa terminare l’incarico tre anni prima del
previsto. Tuttavia, i due anni trascorsi al
Pirellone gli fruttano, secondo la legge, 40mila
euro di indennità.
La passione per le auto di lusso di Riccardo Bossi - Il
primo figlio del Senatur avuto nel 1979 dalla prima
moglie Gigliola Guidali, i giudici contestano 52
pagamenti. Soprattutto multe –
per oltre 2mila euro – ma non solo: con i soldi del
partito Riccardo paga anche il mantenimento della
moglie, l’affitto con
tanto di bollette, il veterinario,
l’abbonamento
Sky, il garage e
le spese di carrozzeria, nonché le rate per
l’Università dell’Insubria. E poi debiti personali, bonifici, assegni
circolari. Infine,
le auto: 20mila euro per il riscatto del contratto
di leasing per
la Bmw X5 e oltre 21mila per una Mercedes.
Per Belsito, oltre due milioni di appropriazione
indebita –
E’ di diverse pagine il dettaglio
delle spese contestate
all’ex tesoriere del Carroccio Francesco
Belsito tra
cui, oltre a multevarie,
risultano spese per bar,
ristoranti, rosticcerie ed
enoteche, nonché composizioni floreali, abiti,
hotel, scontrini di rivenditori di elettronica e
serramenti, 1.500 euro per acquisto di armi
e munizioni, ricariche telefoniche,
pagamenti di parcheggi,
cartelle esattoriali, diversi prelievidalle
casse del partito. E, per non farsi mancare nulla,
anche un servizio
di bonifica ambientale
e telefonica per un valore di 8200 euro.
Richiesta di archiviazione per Calderoli e moglie di
Bossi -
Richiesta di archiviazione perRoberto
Calderoli, Matteo
Brigandì e Manuela
Marrone, moglie di Umberto Bossi. Una
archiviazione parziale, solo per alcuni episodi, è
stata richiesta inoltre per Francesco Belsito,
Umberto Bossi e Rosy Mauro. “Pagare
le spese di un’abitazione a Roma,
luogo dove principalmente si svolge l’attività
politica e parlamentare, a un esponente di punta del
partito, può in definitiva a nostro giudizio essere
una scelta di impegno finanziario legittima (salvo
il dovere di darne conto in contabilità, qui non
rispettato, non decisivo ai fini del reato di
appropriazione indebita)”, scrivono i magistrati in
riferimento alla posizione di Calderoli. Per quanto
riguarda, invece, la posizione della Marrone, si
ricorda come fin dalla prima relazione del
procuratore generale, la moglie di Bossi sia stata
inserita, insieme alla Mauro e ad altri famigliari
del leader del Carroccio, all’interno del
“cosiddetto ‘cerchio
magico’ che
sarebbe stato alimentato con favoritismi
ed elargizioni a
danno del patrimonio della Lega”. “Certo – scrivono
i pm di Milano – non si può escludere che delle
somme corrisposte per la scuola
Bosina in
denaro contante la Marrone possa aver profittato a
titolo personale. Ma per tutti gli indagati, come in
questo caso per la Marrone, è stata applicata una
rigorosa regola probatoria”.
Salvini: “Mafiosi e assassini possono attendere…”.
Bossi: “Sconcertato” –
Il vicesegretario del Carroccio Matteo
Salvini inneggia all’indipendenza e
chiede “giudici eletti dal popolo” come unica via
per sfuggire ai tribunali. Candidato insieme a
Bossi alle primarie
per la segreteria del partito in
programma il 7 dicembre, scrive su Facebook: “Finito
(forse) con Berlusconi
e Ruby, adesso il Tribunale di Milano
torna a ‘occuparsi’ di Bossi e della Lega. I
processi a mafiosi e assassini possono attendere”.
Bossi invece accusa i magistrati di “strano
tempismo” rispetto alle primarie: “Questa cosa non
mi aiuta certo…una cosa che esce proprio adesso e mi
lascia sconcertato”.
Silvio Berlusconi, esce "Il Cavaliere nero" scritto da Paolo
Biondani e Carlo Porcedda. Pubblichiamo il capitolo "I numeri
della frode"
I numeri della frode
Una condanna da 10 milioni
La sentenza definitiva del 1° agosto 2013 ha inflitto a Silvio
Berlusconi quattro anni di reclusione, una condanna che però è
soltanto teorica: tre anni sono cancellati dall’indulto del 2006 e
il quarto potrà scontarlo da uomo libero, grazie al beneficio
dell’«affidamento in prova ai servizi sociali». Sul piano
economico, la condanna finale lo obbliga a risarcire il danno
provocato dalla frode fiscale: l’imposta evasa, naturalmente, e un
rimborso allo Stato, costretto a un’attività d’indagine resa
«difficilissima e costosa», come spiega la sentenza, proprio dalla
«particolare complessità dell’operazione di occultamento del reale
risultato fiscale» delle sue aziende. I giudici però hanno dovuto
commisurare il risarcimento a una piccola parte dell’evasione
totale: soltanto quei 7,3 milioni che sono sopravvissuti alla
prescrizione. Berlusconi è stato quindi condannato a rimborsare
allo Stato, in totale, 10 milioni di euro. Meno di un
trentaseiesimo dei profitti che ha potuto nascondere all’estero
con il reato di cui è stato dichiarato colpevole.
I numeri del nero
La massa di denaro nero che, fin dai primi anni Ottanta, si è
riversata sulle società offshore gestite e finanziate dalla
Fininvest, ma che oggi risultano «di proprietà personale di
Berlusconi», è, come scrivono i giudici, «colossale». Nel solo
processo All Iberian, che riguardava il primo gruppo di offshore,
attive nel periodo 1989-1994 (con ricadute fino al 1995), l’atto
d’accusa finale ha ricostruito una lunga serie di operazioni
riservate, per un valore totale di 1550 miliardi di lire: 775
milioni di euro. Il processo Mediaset interessa altre società
anonime, con un nuovo sistema di conti bancari: ci sono le
offshore più segrete del sistema Fininvest, a cui si aggiungono
società di copertura intestate a intermediari di comodo e
prestanome. Qui l’accusa ha come limite temporale il periodo
successivo: dal 1994 al 1998.
All Iberian 1 (finanziamento illecito al PSI) | |