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  INTERNOTIZIE

GALLIANI ALLA FESTA DEGLI ULTRAS, MA PERCHE??

In molti interventi sulla vicenda Maldini si è detto che la curva del Milan non è più quella di una volta. A parte il fatto che non concepiamo l’idea stessa di curva, da quelle di una volta a quelle di adesso e dal Milan al Lignano Sabbiadoro, un contributo alla conoscenza dei fatti arriva da Luca Fazzo. Che sul Giornale ha messo a fuoco alcuni punti importanti. Pubblichiamo alcuni estratti del suo lavoro, invitando a leggere l’articolo completo, pieno di episodi e riferimenti da far paura.
”Martedì scorso il pm milanese Luca Poniz ha chiesto il rinvio a giudizio dei capi della nuova curva rossonera. Associazione a delinquere finalizzata all’estorsione. I Guerrieri Ultras – questo il nome del gruppo che ha cannibalizzato a tempo di record la curva – sono accusati da Poniz di avere trasformato la Sud in una macchina da soldi, imponendo con la forza la propria legge…”. Indiscreto: si tratta dello stesso gruppo delle foto pubblicate ieri, quelle della festa natalizia con Galliani edAmbrosini non esattamente entusiasti di essere lì.
”Una inchiesta ancora riservata, condotta dalla Digos milanese, sta ricostruendo in queste settimane il filo che lega un’altra serie di violenze. Violenze ai danni dei tifosi «concorrenti». E violenze sugli spalti, sorta di messaggi mafiosi inviati al Milan per costringerlo a venire a patti con i nuovi capi della curva. Il cervello è sempre lo stesso: Giancarlo Lombardi detto «Sandokan». Lombardi alla partita non ci va più, perché colpito da diffida. Uno dopo l’altro anche i suoi luogotenenti – Luca Lucci, Mario Diana, Giancarlo Capelli – sono stati colpiti da diffida. Ma anche dall’esterno i capi Guerrieri continuano a dettare legge. Lombardi due giorni fa era in via Turati, davanti alla sede del Milan, a farsi intervistare, spiegando e rivendicando gli insulti a Maldini. Brigate Rossonere, Commandos Tigre, Fossa dei Leoni: i gruppi storici sono spariti dalla curva molto in fretta”. Indiscreto: i veri tifosi non hanno voce, se non per fare domande di calciomercato a giornalisti che ne sanno meno di loro, mentre gli ultras sono mediaticamente onnipresenti. In particolare Capelli, il cosiddetto Barone (povero Liedholm, povero Causio, poveroSales, poveri noi), si è visto su varie tivù locali trattato come un interlocutore calcisticamente serio: gli facevano domande come se avessero avuto davanti De Rossi o Inzaghi, prendendo e portando a casa i suoi monologhi.
”Se questo è il milieu che sta dietro i Guerrieri Ultras, non c’è da stupirsi se le loro vittime scelgano quasi sempre di stare zitti. La sera del 25 gennaio 2007, davanti a San Siro, Valter Settembrini dei Commandos Tigre viene massacrato di botte da due Guerrieri, Michele Caruso e Massimiliano Colombo. Lo accusano di essere un confidente della Digos, lo rovinano di botte. Ma al processo Settembrini non si costituisce neanche parte civile. Scena ancora più eloquente a Torino, 20 maggio 2008, Juventus-Milan. Un tifoso juventino, William Marzano, viene aggredito brutalmente dai Guerrieri. Le telecamere immortalano il solito Luca Lucci. Quando la polizia lo incrocia all’uscita dallo stadio, pesto e sanguinante, Marzano dichiara testualmente: «Non è successo niente, sono caduto dalle scale». L’impunità genera altre violenze. Il 15 febbraio scorso Virgilio Motta, tifoso interista, viene aggredito durante il derby. Luca Lucci gli sfonda un occhio, Motta perde la vista per sempre. Questi sono i metodi criminali della nuova curva del Milan”. 

Gli avvertimenti della Sud dopo l’inchiesta sulle estorsioni e gli striscioni contro Maldini La contestazione degli ultras rossoneri tra processi, calciomercato e elezioni
Pretendono rispetto, promettono voti politici in cambio di favori e fanno minacce in diretta tv. Un atteggiamento che puzza tremendamente di mafia.

Eppure in questo caso i protagonisti sono gli ultras del Milan, più banditi che tifosi. Per loro la Curva sud è «Cosa nostra», come recita una scritta recentemente apparsa sui muri di S.Siro. Lì sopra, al secondo anello blu dello stadio, da almeno tre anni nulla si muove senza l’assenso di Giancarlo Lombardi, detto Sandokan, boss criminale e capo di un’associazione a delinquere recentemente rinviata a giudizio per una tentata estorsione alla società di via Turati.

In quell’inchiesta si fa riferimeno ai biglietti da estorcere con le minacce, mentre tre giorni fa davanti alla sede del Milan, gli uomini di Lombardi hanno parlato di voti elettorali. Perché Sandokan oltre a controllare gli affari della curva sud e gestire gli interessi di noti bar nel centro di Milano, gira in Ferrari e orienta le opinioni politiche di molti curvaioli. E così chi era in via Turati, lo ha sentito nei cori degli ultras e lo ha letto sui cartelloni. Chiarissimo lo slogan: «Voto Podestà solo se resta Kakà». Il riferimento è alle elezioni della Provincia di Milano, che si chiuderanno questa sera, e al candidato del Pdl Guido Podestà che giovedì, durante il comizio finale, ha avuto il sostegno diretto del premier. Per questo gli uomini della Digos interpretano quelle parole più come una concreta minaccia che come un semplice sfogo scherzoso di tifosi che si vedono sfuggire il loro miglior giocatore: il brasiliano Ricardo Kakà in procinto di passare al Real Madrid per 70 milioni di euro.
La grave situazione è molto ben presente ai vertici societari che già avevano annusato l’aria in occasione della sciagurata contestazione a Paolo Maldini durante la sua ultima partita a S.Siro. In quel caso, quelli della Sud, che come recita un’altra scritta fuori dallo stadio «non sono ultras ma mafiosi», imputavano al giocatore il mancato rispetto nei loro confronti. E’ nota a tutti, infatti, l’insofferenza del capitano rossonero verso quella parte di tifoseria. Una posizione sacrosanta quella di Maldini che però al Milan pochi seguono. A partire dal futuro capitano Massimo Ambrosini che lo scorso Natale assieme ad Adriano Galliani è stato fotografato durante una festa dei Guerrieri ultras, gli stessi che hanno minacciato e fatto finire il vicepresidente del Milan sotto scorta. Incredibile, ma vero.
C’è di più: in quegli scatti, Galliani è ritratto in amabile chiacchiera con Luca Lucci, all’epoca reggente per conto di Lombardi della Curva sud. Oggi Lucci è sotto processo per aver sfondato un occhio a furia di pugni a un tifoso dell’Inter durante l’ultimo derby di campionato. E tanto per non farsi mancare nulla fu proprio lo stesso Lucci, nel 2006, a prestare la sua Clio nero a Luigi Cicalese, killer della ‘ndrangheta che il 31 ottobre di quello stesso anno uccise a Segrate l’avvocatessa Maria Spinella.
Insomma, i fatti sono noti, i personaggi anche. Eppure tutti a Milano fanno finta di nulla. A partire dallo stesso Galliani che ha così commentato il suo silenzio rispetto alla contestazione di Maldini: «Il silenzio è l’arma più efficace per non dare ulteriore spazio a condotte di questo tipo». Un atteggiamento disarmante e simile, nella sostanza, a quello che gli amministratori pubblici avevano a Palermo negli anni ottanta. Allora, la città era dilaniata dalla guerra di mafia, ma per loro il vero problema era il traffico. E dunque, far finta di niente sembra la soluzione migliore. Lo fa la società che così si tutela davanti al rischio di perdere preziosi elettori per le Provinciali ma anche per le Europee, dove il candidato del Pdl è lo stesso presidente del Consiglio (e del Milan!) Silvio Berlusconi. Ma lo fanno anche i giornalisti e le televisioni locali che vivono di calcio milanese sette giorni alla settimane e dunque sanno tutto: gli affari di mercato, ma anche quelli delle curve. Eppure senza battere ciglio mandano interviste o addirittura invitano in trasmissione personaggi come Giancarlo Lombardi e Giancarlo Capelli, più noto come il Barone, anche lui imputato per estorsione.
Ecco allora i fatti: alle 14 di venerdì va in onda la striscia sportiva di Telelombardia, si tratta della nota trasmissione Qsvs (Qui studio a voi stadio) che ogni domenica segue le partite con collegamenti dallo stadio e divertenti dibattiti in studio tra ex giocatori e cronisti sportivi. Comunque sia, i due giornalisti, Gianluca Rossi e Nicola Porro, dopo aver commentato gli ultimi movimenti di mercato, lanciano il servizio sulla contestazione dei tifosi milanisti per la cessione di Kakà. Prima passano immagini di cori e fumogeni, dopodiché le interviste. E qui la cosa si fa surreale, perché volti e voci sono quelli di Lombardi e del Barone. «Il Milan deve restare una squadra mondiale – ha detto il Barone – e non può permettersi di non comprare nessuno». E ancora. «Due ore fa ho parlato con Kakà». Addirittura. «La colpa non è sua – ha chiosato Lombardi – ma della società». Parole che sanno tanto di minaccia. Eppure non è la prima volta. Già in occasione dei fischi a Paolo Maldini, il Barone era intervenuto al telefono durante la trasmissione Qsvs, ribadendo il diritto dei tifosi di contestare la società.
Per capire meglio la gravità del fatto, ecco quello che scrive il pm di Milano Luca Poniz a proposito dei due imputati nel processo per le minacce estorsive al Milan. «Giancarlo Lombardi è il capo indiscusso del gruppo dei tifosi organizzati denominato Guerrieri Ultras, costituito con modalità e caratteri proprio dell’associazione crimonosa, anche in relazione al riconosciuto profilo criminale di Lombardi». Non meno grave l’identikit del Barone, figura storica del tifo rossonero con ottime entrature in società e amici illustri come Galliani e il presidente Berlusconi. Scrive il magistrato: «Giovanni Carlo Capelli, alias il Barone, ha il ruolo di coadiutore del Lombardi, suo alleato, intermediario ed emissario del Lombardi presso il Milan nel tentativo di legittimazione negli organi ufficiali della società stessa mediante pressioni, dirette e indirette, nonché consigliere di Lombardi per i comportamenti illegali da tenere».

MILANO - Le relazioni pericolose tra club e capi-tifosi, con scorta e processo in corso Alla festa della Curva sud, l'ad rossonero e gli estorsori del Diavolo
Il vicepresidente del Milan ed ex titolare della poltrona più alta in Lega calcio, Adriano Galliani, utilizza la scorta di Stato per recarsi a incontri con persone dalle quali gli agenti di polizia dovrebbero proteggerlo. Risultato: spreco inutile di denaro pubblico. Un brutto pasticcio di cui dovrà prendersi carico il ministro dell'Interno Roberto Maroni, storico tifoso dei colori rossoneri.
Lo strano cortocircuito va in in scena a Milano. Pochi giorni prima di Natale in un noto ristorante del centro. Nel locale parte il primo e gli altri vanno dietro. Una, due, tre volte. Canzoni da stadio. Fermi, poi di nuovo insieme. Come in curva. Anzi meglio. Qui c'è pure da bere e da mangiare. Le teste rasate non si contano. Sono in tanti. Pigiati in un piccolo ristorante di Brera. Di solito qui si mangia carne argentina. Questa sera si festeggia il gruppo Curva sud, tifo organizzato del Milan. Sta scritto ovunque: sullo striscione appeso alla parete, su felpe e magliette. E' natale. Per la precisione il 19 dicembre 2008. E vuoi che tra tanta gente non ci sia un diffidato. Più d'uno. La scelta è vasta: lancio di fumogeni, rissa, resistenza. Condannati, poi rilasciati, di nuovo riacciuffati. Vita da ultras. Nessuno ci fa caso. Quello che conta sono i colori.
Storia antica quella della curva rossonera. Gloriosa addirittura. Per conferma chiedere a Giancarlo Capelli, alias il Barone, vecchio cuore rossonero, capobastone del territorio curvaiolo con lasciapassare per tribune vip e transoceaniche a bordo dell'aereo milanista. All'adunata ci sta pure lui. Bello con i suoi occhialetti bicolore. Canta e si diverte. Ma non dimentica la galera. Annusata per qualche settimana. Motivo: estorsione al Milan. Lui più banderuola che bandiera. Ci ha provato e gli è andata male. E per questo a gennaio sarà alla sbarra. Non da solo, ovviamente. Ma con altre sei persone arrestate dalla Digos di Milano nel maggio 2007. Balordi di professione come Giancarlo «Sandokan» Lombardi, origini casertane, capo armato dei Guerrieri Ultras della sud indagato anche per tentato omicidio. O come Marietto Diana, precedenti per armi e droga. Lombardi il 19 dicembre è in Costa Rica. Mentre Marietto e lì assieme a Barone. Tutti dovranno rispondere a vario titolo di associazione a delinquere, estorsioni, violenze e minacce.
Il bello, però, deve ancora arrivare. In tarda serata, infatti, tra le tante teste pelate più di tutte brilla quella di Adriano Galliani, vittima delle estorsioni e ad oggi parte lesa con la società nel processo che si svolgerà nei prossimi mesi. Galliani sorride imbustato nel suo completo d'ordinanza: giacca blu e cravatta gialla. Parla anche. Dice che lui di quelle estorsioni non sa nulla e soprattutto, riferisce chi a quella festa c'era, promette nuove aperture a quei capitifosi che fino al maggio 2007 si spartivano i guadagni dei biglietti per le trasferte. Perché fino ad allora Barone, Lombardi e Diana avevano l'abitudine di fare la voce grossa in società. E se Galliani tergiversava, loro, beati, se ne andavano a bussare alla porta del presidente Berlusconi.
Dopo gli arresti di maggio e alcune minacce anonime, il Prefetto di Milano ha deciso di dare la scorta a Galliani. Gente della polizia pagata con soldi pubblici. Agenti scelti incaricati di seguirlo ovunque. Fin dentro la tana del lupo, nel frattempo diventato del tutto mansueto, visto che tra Barone, Diana, Luca Lucci, reggente della curva in nome e per conto di Lombardi, e Adriano Galliani il 19 dicembre sono stati solo baci e abbracci. Scontato, a questo punto pensare che l'emergenza sia passata e che il ministro Maroni decida di togliere la scorta a Galliani. Perché la linea dura deve valere per tutti: ultras e dirigenti. Su questo lo stesso capo del Viminale, il 16 settembre scorso non aveva dubbi: «Se si vuole salvare il calcio, le società devono mettersi in prima fila e isolare i violenti».
Intanto, poche ore prima del pasticcio del 19 dicembre, in via Vittor Pisani, sempre a Milano, Galliani sta seduto ai tavoli di Giannino, locale di gran lusso, meta fissa di calciatori, veline e politici. Con lui il figlio, ultras in borghese e consigliere del padre in fatto di calciomercato. Si mangia bene da Giannino. Poi ecco comparire il Barone. Lui è sorpreso. Galliani pure. Quattro parole per condire la scena di un incontro casuale e il vicepresidente salta sull'auto della scorta che si mette dietro a quella del Barone. Quindi l'incontro con gli ultras immortalato da almeno tre fotografie. Tutto concordato? L'ipotesi appare quasi una certezza se si ricorda ciò che è avvenuto il 14 dicembre negli studi di Mediaset. La giornata di campionato si è appena conclusa con il posticipo Juventus-Milan. I rossoneri hanno perso 4-2. In studio a a Controcampo si commentano le immagini. All'improvviso un gruppo di ultras milanisti fa irruzione. E' gente piuttosto arrabbiata. Molti sono andati a Torino senza biglietto e non sono entrati allo stadio. Urlano che vogliono i biglietti. Qualcuno in studio si spaventa. La sceneggiata dura pochi minuti e si conclude all'esterno degli studi di Cologno Monzese con tafferugli vari fra carabinieri e tifosi. Ci scappa pure un fermo. Come si diceva, vita da ultras. Il giorno dopo, il fatto viene tenuto basso, soprattutto dai Tg di Mediaset. Riferito solo nella cronaca e non nel retroscena di alcuni capitifosi che da casa, guardando la tv, comandavano il blitz con il cellulare.
Alla Digos, però, hanno le idee piuttosto chiare: Juve-Milan non c'entra, c'entrano i biglietti per le trasferte, quelli che prima degli arresti del 2007 gestivano Barone e Lombardi e che ora restano in mano alla società. I capitifosi, che in questi mesi sono tornati in libertà in attesa del processo, hanno rialzato la testa. Minacciano contestazioni e lanci di fumogeni organizzati per far prendere multe salatissime alla società. Tutto come scritto nell'ordinanza d'arresto: torciate a comando, ordini impartiti via sms.
C'è di più, però: l'ombra della criminalità organizzata che come a Napoli, anche a Milano infiltra le curve. L'inchiesta ha messo a fuoco strane alleanza tra tifosi della Juve e del Milan. Un patto di ferro stretto tra Lombardi e uno dei capi dei Viking bianconeri, la cui sede, stranamente si trova a Milano. Il progetto nasce nel 2005. L'obiettivo è lo scioglimento della Fossa dei leoni, gruppo storico del tifo italiano, per controllare l'intera curva. La cosa avviene puntualmente. Nel frattempo, Sandokan Lombardi si è già comprato i capi delle Brigate Rossonere, altra sigla del tifo milanista, con promesse di denaro. Nel Risiko curvaiolo restano fuori i ragazzi dei Commandos tigre: il 16 ottobre 2006 davanti a un centro commerciale viene gambizzato uno dei capi. Il 27 gennaio 2007, prima di Milan-Roma, Walter Settembrini, altra figura storica dei Commandos, viene pestato a sangue in piazzale Axum davanti a migliaia di persone.
A questo punto la curva è roba di Lombardi e pochi altri. Un territorio franco dove tessere affari di ogni genere. La droga è uno di questi. Tanto più che l'uomo dei Viking è imparentato con la famiglia di 'ndrangheta dei Rappocciolo. Gli uomini dell'antimafia lo ritengono «abilissimo a far perdre le proprie tracce» soprattutto «per il suo inserimento in circuiti criminali di elevato spessore». Nel 1998 a Milano partecipa a una sanguinosa sparatoria. Lui dalla parte degli uomini di Cosa nostra e della 'ndrangheta contro i serbi di Dragomir Petrovic. Obiettivo: il monopolo del traffico di droga. Di più: il cognome Rappocciolo è stranoto all'antimafia milanese e presente nell'ultima grande inchiesta che ha svelato le infiltrazione del boss calabrese Salvatore Morabito fino dentro l'Ortomercato e ai piani alti del palazzo Sogemi, la società a partecipazione comunale che lo gestisce. Non è finita. Perché tra i picchiatori di Sandokan c'è uno dei boss delle case popolari di via Flaming, zona ovest di Milano, già condannato per l'omicidio del figlio del superboss calabrese Santo Pasquale Morabito. Un tipo tosto legato ai clan Barbaro e Papalia che regnano nell'hinterland sud della città. La storia criminale c'è tutta. «Tanto più - confidano alcune ragazzi della curva - che questi girano sempre ben accavallati (armati, ndr)». Hanno luoghi di ritrovo, imboschi e una ragnatela di rapporti con i più importanti trafficanti di droga di Milano.
Fatti, questi, ben noti ad Adriano Galliani che così, dopo l'irruzione di Mediaset, annusa l'aria. Tanto più che da mesi la squadra gioca male e non fa risultati. Cosa che non piace alla proprietà. A Milanello qualcuno parla di una rifondazione. Berlusconi junior vorrebbe la testa di Galliani e Ancelotti. Insomma, le acque sono agitate, meglio non creare ulteriori increspature. Da qui l'incontro di Brera, voluto dallo stesso dirigente rossonero. Un incontro gestito male. Azzardato. E dove le parole del vicepresidente vengono lette dai capi come la promessa di riaprire i rubinetti dei biglietti per le trasferte come era già cattiva abitudine fino alla finale di Champions league ad Atene nel 2007. Allora il giro d'affari ruotava attorno ai due milioni di euro l'anno.

 

Il capo dei Commandos, qualche anno prima, non poteva entrare allo stadio. Però alla festa del Milan campione d’Italia, nel 2004, aveva un tavolo accanto a quello del presidente Berlusconi. «Noi siamo soliti festeggiare con la nostra famiglia allargata», dice la società. Una definizione che comprende sia il presidente della Regione Formigoni e l’allora sindaco di Milano Albertini, sia una quindicina di ultrà esponenti deiCommandos, delle Brigate Rossonere, e della (oggi sciolta) Fossa dei leoni. Un frammento dei rapporti pericolosi che Inter e Milan intrattengono con i «cattivi» delle curve. Rapporti leciti,ma alla base di un giro d’affari da milioni di euro, della gestione di un potere su migliaia di ultrà, e di un meccanismo di ricatto più o meno latente verso i club. Che negli ultimi mesi è sfociato in unatentata estorsione ai danni dei rossoneri.Concolpi di pistola e un pestaggio.

Equilibrio sottile
Rapporti a rischio. I capi ultrà viaggiano spesso sugli stessi charter che portano i giocatori e i dirigenti. «Ma volano a loro spese», fanno sapere da Milan e Inter. Entrano negli spogliatoi di San Siro e nelle aree vip. Perché i leader della curva possiedono pass nominali, con tanto di foto per «muoversi liberamente in ogni settore dello stadio, compresi gli spogliatoi dei giocatori » (deposizione di un dirigente del Milan). Lostesso succede per l’Inter.Avolte, i legami diventano lavorativi. Come per un esponente di Alternativa rossonera, impiegato in un ufficialissimo Milan point. Infine, sul sito delle Brigate rossonere Gilardino, Inzaghi, Kakà e Gattuso mettono gratuitamente a disposizione la loro (costosa) immagine per pubblicizzare magliette, cappellini e felpe del gruppo. Fin qui, niente di illecito. Solo la prova di una certa contiguità tra le società e i gruppi di tifosi più estremi. Di contatti che vengono considerati inevitabili. E da coltivare: servono a «responsabilizzare» i capi dei tifosi, con il risultato «di essere una delle squadre meno sanzionate in Europa e in Italia», come chiarisce un responsabile del Milan in un verbale della Digos. Il fatto è che l’equilibrio è fragile. E il confine tra rapporto corretto e complicità sottile.

Il giro d’affari
Primo: i biglietti per le trasferte. Di solito le società li vendono ai rappresentanti della curva. Niente di illecito.Maquesto cosa comporta?Unodei capi ultrà del Milan haammessodi rivenderli a 2-3 euro in più.Edè il primo ricarico. Sui biglietti si fonda poi l’organizzazione dei viaggi: pullman e treni per le trasferte più vicine, aereo per quelle distanti. I curvaioli comprano il pacchetto completo. Che comprende, ovviamente, altri ricarichi. Moltiplicando per le 18 trasferte di campionato, più quelle di coppa Italia e di Champions, alle quali partecipano in media, per le squadre milanesi, tra le mille e le 4 mila persone, si scopre che una stagione calcistica può fruttare 5-600 mila euro. Sottobanco poi, è un’altra storia: biglietti regalati, venduti sottocosto o pagati inmododilazionato. Per l’Inter la magistratura ha escluso questa prassi, sul Milan (come parte lesa in un tentativo di estorsione da parte di gruppi ultrà) c’è un’indagine in corso. «Ma per società molto importanti — spiega Maurizio Marinelli, direttore del Centro studi sulla sicurezza pubblica— l’omaggio può arrivare anche a un migliaio di biglietti». In questo caso gli introiti per gli ultrà-affaristi si moltiplicano. «I capitifoseria hanno un potere enorme —aggiunge il procuratore capo di Monza, Antonio Pizzi, che ha condotto l’inchiesta oggi passata a Milano —. Ricattano le società che forniscono loro biglietti sottocosto o in omaggio. Il giro d’affari per una curva è nell’ordine di milioni di euro».Aquesto fiume di soldi bisogna aggiungere gli aiuti per le coreografie (negati dalle società) e la vendita dei gadget: cappelli, felpe, magliette. Questa è la montagna di soldi da spartire. Che non arriva a tutta la curva, manelle tasche dei pochi che comandano. Conseguenza: i capi degli ultrà milanesi pensano più agli affari che alla violenza. Ma appena gli equilibri si spostano, c’è qualcuno che per entrare nel business è pronto sparare. È quel che sta succedendo intorno a San Siro.

La tentata estorsione
Nell’autunno 2005 si scioglie, dopo 37 anni, la Fossa dei Leoni. È un gruppo storico del tifo rossonero, ma ha due macchie: è l’unico rimasto di sinistra e non risparmia le critiche alla società. La ragione dello scioglimento sembra tuttadacercarsi dentro il codice d’onore ultrà: i Viking juventini hanno rubato lo striscione alla Fossa, che per la restituzioneha chiesto la collaborazione con la Digos. Questa storia è anche un pretesto. In realtà, c’è già un nuovo gruppo, di destra, che sgomita per la leadership: i Guerrieri ultras. I Guerrieri si sarebbero alleati con le Brigate Rossonere. I Commandos vanno in minoranza. E pagano. «I nuovi cominciano a sgomitare. In due direzione: per guadagnare spazio nella curva e per ottenere il riconoscimento dalla società. Che consente di partecipare al giro d’affari» spiega un investigatore. Così, l’ottobre scorso, due uomini in moto sparano alle gambe di A. L., 32 anni, esponente dei Commandos, davanti a un supermercato di Sesto San Giovanni. Il 25 gennaio, un altro leader dello stesso gruppo viene picchiato fuori da San Siro da sette persone (due sono state arrestate e stanno per andare a processo). È conciato così male che ancora oggi non si sa se ce la farà. Intanto, i Guerrieri chiedono biglietti alla società. Forse anche abbonamenti. Mail Milan, per due volte, rifiuta. E, combinazione, subito dopo per due volte dalla curva piovono fumogeni: Milan- Lilla, 6 dicembre, e Milan-Torino, 10 dicembre 2006. Il Milan annuncia una linea più dura: taglia i pass. Galliani va in procura a Monza, che nel frattempo ha indagato dieci ultrà:«Manon sono io che mi occupo di queste cose». Non c’è stata nessuna denuncia. La procura è arrivata alla tentata estorsione indagando sulla sparatoria. «Nei nuovi gruppi di ultrà—rivela uninvestigatore — ci sono molti delinquenti comuni, con precedenti per spaccio e rapine». Sicuri che valga la pena tenerli in famiglia?

 

 IL "CASO" LUCA LUCCI, CONDANNATO A PIEDE LIBERO A 4 ANNI E MEZZO DI CARCERE PER I "FATTI" DI INTER-MILAN DEL FEBBRAIO 2009, "SCONTA" LA PENA E NEL MAGGIO 2013 RITORNA ALLO STADIO "PULITO CANDEGGINA" PER LO STATO ITALIOTA...

Questa è la storia di Virgilio Motta, tifoso dell'Inter. Un tifoso strano, che faceva parte di un gruppo sì, ma di un gruppo che si chiamava "Banda Bagaj" (Banda bambini, in dialetto milanese) nato per portare anche i piccoli allo stadio. Un tifoso strano, un tifoso normale, se ci passate l’ossimoro. Un tifoso aggredito come un ultrà, che in quell'aggressione ci perde un occhio, che per quell'occhio avrebbe dovuto ricevere 140.000 euro di "danni", che quei soldi non li ha mai avuti. Un tifoso strano, che non è morto di calcio: è stato suicidato.
Sì, questa è la storia di Virgilio Motta, che il 24 maggio scorso s'è ucciso per colpa di questo Paese. “Anche” di questo Paese, va bene? Così mettiamo in conto le ovvie giustificazioni a latere. Quella di Virgilio Motta è una storia perché è un esempio perfetto di come funzionano le cose, nei giorni della puzza napoletana sdoganata sul servizio pubblico, o dei cori contro un ragazzo morto sanzionati con uno scappellotto. Qui le cose non cambiano mai. E questa storia è un monumento alla merda stratificata nell'immobilità. 
Virgilio Motta, padre di una bimba, è al Meazza per assistere al derby milanese del 15 febbraio 2009. Un gruppo di ultras milanisti cala dal secondo al primo anello per punire un gruppetto di interisti che hanno osato strappare uno striscione. Motta finisce per caso in mezzo alla rissa. Gli arriva un pugno che gli spappola un occhio.
Il 17 luglio 2009 il giudice Alberto Nosenzo condanna a pene comprese tra sei mesi di reclusione e quattro anni e mezzo di carcere sei ultras milanisti accusati, a vario titolo, di rissa aggravata e lesioni. Luca Lucci, uno dei capi storici della curva Sud, viene riconosciuto colpevole di aver sferrato il pugno. A Motta viene riconosciuta invece una provvisionale di 140 mila euro a carico dei condannati "da versare in solido". La moglie di Lucci alla sentenza urla a Motta che "i 140 mila euro te li devi spendere tutti in medicinali, maledetto infame".
Ma in Italia funziona così, la giustizia: i condannati, semplicemente, non pagano perché quei "poveretti" risultano nullatenenti. E Motta non se li può spendere nemmeno in medicine quei soldi, come pure avrebbe voluto fare. Accetta suo malgrado persino una sorta di pagamento rateale: niente. Entra in depressione, piano piano. Spesso funziona così. In silenzio. Pur andando allo stadio, ancora. Senza bambini però. I bambini no. Tre anni dura. Poi, il 24 maggio, la fa finita. Il suo legale, l'avvocato Consuelo Bosisio, dice che "le sue condizioni psicologiche sono peggiorate perché gli imputati condannati per quegli scontri non gli hanno versato i 140 mila euro che gli dovevano come risarcimento e con i quali lui voleva andare a farsi curare all'estero”.
Ma sono parole a posteriori. E l'Italia è un posto che campa solo a posteriori. E non impara mai. Per dire: il 20 settembre i capi della curva Sud del Milan vengono ricevuti a Milanello per il “solito” faccia a faccia minaccioso con i giocatori, rito che usa un po' ovunque quando le cose vanno male e le società abbassano lo sguardo di fronte alle pretese violente dei tifosi. Ecco, a Milanello c'era anche Luca Lucci, il capotifoso nullatenente che tolse l'occhio ad un padre, allo stadio. Libero, Luca Lucci.
Facciamo finta che no, i cori allo stadio di Torino e di Verona non c'entrano niente con questa triste storia. E invece è proprio lo stesso fottuto campo da gioco. Ci sta bene tutto, sempre di più. Accettiamo che non ci siano più regole morali né giustizia. Che la stratificazione dell’impotenza azzeri la memoria e disinneschi tutto. Che senza muri, senza limiti, si campi meglio. E invece si campa male. A volte i più deboli non ci campano affatto.
Perciò è morto Virgilio Motta, tifoso x  di una squadra x, che andava allo stadio con i bambini.

 

 

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