INTERNOTIZIE |
GALLIANI ALLA FESTA DEGLI ULTRAS, MA PERCHE??
In molti interventi sulla vicenda Maldini si
è detto che la curva del Milan non è più quella di una volta. A
parte il fatto che non concepiamo l’idea stessa di curva, da
quelle di una volta a quelle di adesso e dal Milan al Lignano
Sabbiadoro, un contributo alla conoscenza dei fatti arriva da Luca
Fazzo.
Che sul Giornale ha messo a fuoco alcuni punti importanti.
Pubblichiamo alcuni estratti del suo lavoro, invitando
a leggere l’articolo completo,
pieno di episodi e riferimenti da far paura.
”Martedì scorso il pm milanese Luca Poniz ha chiesto il rinvio a
giudizio dei capi della nuova curva rossonera. Associazione a
delinquere finalizzata all’estorsione. I Guerrieri Ultras – questo
il nome del gruppo che ha cannibalizzato a tempo di record la
curva – sono accusati da Poniz di avere trasformato la Sud in una
macchina da soldi, imponendo con la forza la propria legge…”. Indiscreto:
si tratta dello stesso gruppo delle foto pubblicate ieri, quelle
della festa natalizia con Galliani edAmbrosini non
esattamente entusiasti di essere lì.
”Una inchiesta ancora riservata, condotta dalla Digos milanese,
sta ricostruendo in queste settimane il filo che lega un’altra
serie di violenze. Violenze ai danni dei tifosi «concorrenti». E
violenze sugli spalti, sorta di messaggi mafiosi inviati al Milan
per costringerlo a venire a patti con i nuovi capi della curva. Il
cervello è sempre lo stesso: Giancarlo Lombardi detto «Sandokan».
Lombardi alla partita non ci va più, perché colpito da diffida.
Uno dopo l’altro anche i suoi luogotenenti – Luca Lucci, Mario
Diana, Giancarlo Capelli – sono stati colpiti da diffida. Ma anche
dall’esterno i capi Guerrieri continuano a dettare legge. Lombardi
due giorni fa era in via Turati, davanti alla sede del Milan, a
farsi intervistare, spiegando e rivendicando gli insulti a Maldini.
Brigate Rossonere, Commandos Tigre, Fossa dei Leoni: i gruppi
storici sono spariti dalla curva molto in fretta”. Indiscreto:
i veri tifosi non hanno voce, se non per fare domande di
calciomercato a giornalisti che ne sanno meno di loro, mentre gli
ultras sono mediaticamente onnipresenti. In particolare Capelli,
il cosiddetto Barone (povero Liedholm, povero Causio, poveroSales, poveri
noi), si è visto su varie tivù locali trattato come un
interlocutore calcisticamente serio: gli facevano domande come se
avessero avuto davanti De
Rossi o Inzaghi,
prendendo e portando a casa i suoi monologhi.
”Se questo è il milieu che sta dietro i Guerrieri Ultras, non c’è
da stupirsi se le loro vittime scelgano quasi sempre di stare
zitti. La sera del 25 gennaio 2007, davanti a San Siro, Valter
Settembrini dei Commandos Tigre viene massacrato di botte da due
Guerrieri, Michele Caruso e Massimiliano Colombo. Lo accusano di
essere un confidente della Digos, lo rovinano di botte. Ma al
processo Settembrini non si costituisce neanche parte civile.
Scena ancora più eloquente a Torino, 20 maggio 2008,
Juventus-Milan. Un tifoso juventino, William Marzano, viene
aggredito brutalmente dai Guerrieri. Le telecamere immortalano il
solito Luca Lucci. Quando la polizia lo incrocia all’uscita dallo
stadio, pesto e sanguinante, Marzano dichiara testualmente: «Non è
successo niente, sono caduto dalle scale». L’impunità genera altre
violenze. Il 15 febbraio scorso Virgilio Motta, tifoso interista,
viene aggredito durante il derby. Luca Lucci gli sfonda un occhio,
Motta perde la vista per sempre. Questi sono i metodi criminali
della nuova curva del Milan”.
Gli avvertimenti della Sud dopo l’inchiesta sulle estorsioni e gli
striscioni contro Maldini La contestazione degli ultras rossoneri
tra processi, calciomercato e elezioni
Pretendono rispetto, promettono voti politici in cambio di favori
e fanno minacce in diretta tv. Un atteggiamento che puzza
tremendamente di mafia.
Eppure in questo caso i protagonisti sono gli ultras del Milan,
più banditi che tifosi. Per loro la Curva sud è «Cosa nostra»,
come recita una scritta recentemente apparsa sui muri di S.Siro.
Lì sopra, al secondo anello blu dello stadio, da almeno tre anni
nulla si muove senza l’assenso di Giancarlo Lombardi, detto
Sandokan, boss criminale e capo di un’associazione a delinquere
recentemente rinviata a giudizio per una tentata estorsione alla
società di via Turati.
In quell’inchiesta si fa riferimeno ai biglietti da estorcere con
le minacce, mentre tre giorni fa davanti alla sede del Milan, gli
uomini di Lombardi hanno parlato di voti elettorali. Perché
Sandokan oltre a controllare gli affari della curva sud e gestire
gli interessi di noti bar nel centro di Milano, gira in Ferrari e
orienta le opinioni politiche di molti curvaioli. E così chi era
in via Turati, lo ha sentito nei cori degli ultras e lo ha letto
sui cartelloni. Chiarissimo lo slogan: «Voto Podestà solo se resta
Kakà». Il riferimento è alle elezioni della Provincia di Milano,
che si chiuderanno questa sera, e al candidato del Pdl Guido
Podestà che giovedì, durante il comizio finale, ha avuto il
sostegno diretto del premier. Per questo gli uomini della Digos
interpretano quelle parole più come una concreta minaccia che come
un semplice sfogo scherzoso di tifosi che si vedono sfuggire il
loro miglior giocatore: il brasiliano Ricardo Kakà in procinto di
passare al Real Madrid per 70 milioni di euro.
La grave situazione è molto ben presente ai vertici societari che
già avevano annusato l’aria in occasione della sciagurata
contestazione a Paolo Maldini durante la sua ultima partita a
S.Siro. In quel caso, quelli della Sud, che come recita un’altra
scritta fuori dallo stadio «non sono ultras ma mafiosi»,
imputavano al giocatore il mancato rispetto nei loro confronti. E’
nota a tutti, infatti, l’insofferenza del capitano rossonero verso
quella parte di tifoseria. Una posizione sacrosanta quella di
Maldini che però al Milan pochi seguono. A partire dal futuro
capitano Massimo Ambrosini che lo scorso Natale assieme ad Adriano
Galliani è stato fotografato durante una festa dei Guerrieri
ultras, gli stessi che hanno minacciato e fatto finire il
vicepresidente del Milan sotto scorta. Incredibile, ma vero.
C’è di più: in quegli scatti, Galliani è ritratto in amabile
chiacchiera con Luca Lucci, all’epoca reggente per conto di
Lombardi della Curva sud. Oggi Lucci è sotto processo per aver
sfondato un occhio a furia di pugni a un tifoso dell’Inter durante
l’ultimo derby di campionato. E tanto per non farsi mancare nulla
fu proprio lo stesso Lucci, nel 2006, a prestare la sua Clio nero
a Luigi Cicalese, killer della ‘ndrangheta che il 31 ottobre di
quello stesso anno uccise a Segrate l’avvocatessa Maria Spinella.
Insomma, i fatti sono noti, i personaggi anche. Eppure tutti a
Milano fanno finta di nulla. A partire dallo stesso Galliani che
ha così commentato il suo silenzio rispetto alla contestazione di
Maldini: «Il silenzio è l’arma più efficace per non dare ulteriore
spazio a condotte di questo tipo». Un atteggiamento disarmante e
simile, nella sostanza, a quello che gli amministratori pubblici
avevano a Palermo negli anni ottanta. Allora, la città era
dilaniata dalla guerra di mafia, ma per loro il vero problema era
il traffico. E dunque, far finta di niente sembra la soluzione
migliore. Lo fa la società che così si tutela davanti al rischio
di perdere preziosi elettori per le Provinciali ma anche per le
Europee, dove il candidato del Pdl è lo stesso presidente del
Consiglio (e del Milan!) Silvio Berlusconi. Ma lo fanno anche i
giornalisti e le televisioni locali che vivono di calcio milanese
sette giorni alla settimane e dunque sanno tutto: gli affari di
mercato, ma anche quelli delle curve. Eppure senza battere ciglio
mandano interviste o addirittura invitano in trasmissione
personaggi come Giancarlo Lombardi e Giancarlo Capelli, più noto
come il Barone, anche lui imputato per estorsione.
Ecco allora i fatti: alle 14 di venerdì va in onda la striscia
sportiva di Telelombardia, si tratta della nota trasmissione Qsvs
(Qui studio a voi stadio) che ogni domenica segue le partite con
collegamenti dallo stadio e divertenti dibattiti in studio tra ex
giocatori e cronisti sportivi. Comunque sia, i due giornalisti,
Gianluca Rossi e Nicola Porro, dopo aver commentato gli ultimi
movimenti di mercato, lanciano il servizio sulla contestazione dei
tifosi milanisti per la cessione di Kakà. Prima passano immagini
di cori e fumogeni, dopodiché le interviste. E qui la cosa si fa
surreale, perché volti e voci sono quelli di Lombardi e del
Barone. «Il Milan deve restare una squadra mondiale – ha detto il
Barone – e non può permettersi di non comprare nessuno». E ancora.
«Due ore fa ho parlato con Kakà». Addirittura. «La colpa non è sua
– ha chiosato Lombardi – ma della società». Parole che sanno tanto
di minaccia. Eppure non è la prima volta. Già in occasione dei
fischi a Paolo Maldini, il Barone era intervenuto al telefono
durante la trasmissione Qsvs, ribadendo il diritto dei tifosi di
contestare la società.
Per capire meglio la gravità del fatto, ecco quello che scrive il
pm di Milano Luca Poniz a proposito dei due imputati nel processo
per le minacce estorsive al Milan. «Giancarlo Lombardi è il capo
indiscusso del gruppo dei tifosi organizzati denominato Guerrieri
Ultras, costituito con modalità e caratteri proprio
dell’associazione crimonosa, anche in relazione al riconosciuto
profilo criminale di Lombardi». Non meno grave l’identikit del
Barone, figura storica del tifo rossonero con ottime entrature in
società e amici illustri come Galliani e il presidente Berlusconi.
Scrive il magistrato: «Giovanni Carlo Capelli, alias il Barone, ha
il ruolo di coadiutore del Lombardi, suo alleato, intermediario ed
emissario del Lombardi presso il Milan nel tentativo di
legittimazione negli organi ufficiali della società stessa
mediante pressioni, dirette e indirette, nonché consigliere di
Lombardi per i comportamenti illegali da tenere».
MILANO - Le relazioni pericolose
tra club e capi-tifosi, con
scorta e processo in corso Alla
festa della Curva sud, l'ad
rossonero e gli estorsori del
Diavolo
Il vicepresidente del Milan ed
ex titolare della poltrona più
alta in Lega calcio, Adriano
Galliani, utilizza la scorta di
Stato per recarsi a incontri con
persone dalle quali gli agenti
di polizia dovrebbero
proteggerlo. Risultato: spreco
inutile di denaro pubblico. Un
brutto pasticcio di cui dovrà
prendersi carico il ministro
dell'Interno Roberto Maroni,
storico tifoso dei colori
rossoneri.
Lo strano cortocircuito va in in
scena a Milano. Pochi giorni
prima di Natale in un noto
ristorante del centro. Nel
locale parte il primo e gli
altri vanno dietro. Una, due,
tre volte. Canzoni da stadio.
Fermi, poi di nuovo insieme.
Come in curva. Anzi meglio. Qui
c'è pure da bere e da mangiare.
Le teste rasate non si contano.
Sono in tanti. Pigiati in un
piccolo ristorante di Brera. Di
solito qui si mangia carne
argentina. Questa sera si
festeggia il gruppo Curva sud,
tifo organizzato del Milan. Sta
scritto ovunque: sullo
striscione appeso alla parete,
su felpe e magliette. E' natale.
Per la precisione il 19 dicembre
2008. E vuoi che tra tanta gente
non ci sia un diffidato. Più
d'uno. La scelta è vasta: lancio
di fumogeni, rissa, resistenza.
Condannati, poi rilasciati, di
nuovo riacciuffati. Vita da
ultras. Nessuno ci fa caso.
Quello che conta sono i colori.
Storia antica quella della curva
rossonera. Gloriosa addirittura.
Per conferma chiedere a
Giancarlo Capelli, alias il
Barone, vecchio cuore rossonero,
capobastone del territorio
curvaiolo con lasciapassare per
tribune vip e transoceaniche a
bordo dell'aereo milanista.
All'adunata ci sta pure lui.
Bello con i suoi occhialetti
bicolore. Canta e si diverte. Ma
non dimentica la galera.
Annusata per qualche settimana.
Motivo: estorsione al Milan. Lui
più banderuola che bandiera. Ci
ha provato e gli è andata male.
E per questo a gennaio sarà alla
sbarra. Non da solo, ovviamente.
Ma con altre sei persone
arrestate dalla Digos di Milano
nel maggio 2007. Balordi di
professione come Giancarlo «Sandokan»
Lombardi, origini casertane,
capo armato dei Guerrieri Ultras
della sud indagato anche per
tentato omicidio. O come
Marietto Diana, precedenti per
armi e droga. Lombardi il 19
dicembre è in Costa Rica. Mentre
Marietto e lì assieme a Barone.
Tutti dovranno rispondere a
vario titolo di associazione a
delinquere, estorsioni, violenze
e minacce.
Il bello, però, deve ancora
arrivare. In tarda serata,
infatti, tra le tante teste
pelate più di tutte brilla
quella di Adriano Galliani,
vittima delle estorsioni e ad
oggi parte lesa con la società
nel processo che si svolgerà nei
prossimi mesi. Galliani sorride
imbustato nel suo completo
d'ordinanza: giacca blu e
cravatta gialla. Parla anche.
Dice che lui di quelle
estorsioni non sa nulla e
soprattutto, riferisce chi a
quella festa c'era, promette
nuove aperture a quei capitifosi
che fino al maggio 2007 si
spartivano i guadagni dei
biglietti per le trasferte.
Perché fino ad allora Barone,
Lombardi e Diana avevano
l'abitudine di fare la voce
grossa in società. E se Galliani
tergiversava, loro, beati, se ne
andavano a bussare alla porta
del presidente Berlusconi.
Dopo gli arresti di maggio e
alcune minacce anonime, il
Prefetto di Milano ha deciso di
dare la scorta a Galliani. Gente
della polizia pagata con soldi
pubblici. Agenti scelti
incaricati di seguirlo ovunque.
Fin dentro la tana del lupo, nel
frattempo diventato del tutto
mansueto, visto che tra Barone,
Diana, Luca Lucci, reggente
della curva in nome e per conto
di Lombardi, e Adriano Galliani
il 19 dicembre sono stati solo
baci e abbracci. Scontato, a
questo punto pensare che
l'emergenza sia passata e che il
ministro Maroni decida di
togliere la scorta a Galliani.
Perché la linea dura deve valere
per tutti: ultras e dirigenti.
Su questo lo stesso capo del
Viminale, il 16 settembre scorso
non aveva dubbi: «Se si vuole
salvare il calcio, le società
devono mettersi in prima fila e
isolare i violenti».
Intanto, poche ore prima del
pasticcio del 19 dicembre, in
via Vittor Pisani, sempre a
Milano, Galliani sta seduto ai
tavoli di Giannino, locale di
gran lusso, meta fissa di
calciatori, veline e politici.
Con lui il figlio, ultras in
borghese e consigliere del padre
in fatto di calciomercato. Si
mangia bene da Giannino. Poi
ecco comparire il Barone. Lui è
sorpreso. Galliani pure. Quattro
parole per condire la scena di
un incontro casuale e il
vicepresidente salta sull'auto
della scorta che si mette dietro
a quella del Barone. Quindi
l'incontro con gli ultras
immortalato da almeno tre
fotografie. Tutto concordato?
L'ipotesi appare quasi una
certezza se si ricorda ciò che è
avvenuto il 14 dicembre negli
studi di Mediaset. La giornata
di campionato si è appena
conclusa con il posticipo
Juventus-Milan. I rossoneri
hanno perso 4-2. In studio a a
Controcampo si commentano le
immagini. All'improvviso un
gruppo di ultras milanisti fa
irruzione. E' gente piuttosto
arrabbiata. Molti sono andati a
Torino senza biglietto e non
sono entrati allo stadio. Urlano
che vogliono i biglietti.
Qualcuno in studio si spaventa.
La sceneggiata dura pochi minuti
e si conclude all'esterno degli
studi di Cologno Monzese con
tafferugli vari fra carabinieri
e tifosi. Ci scappa pure un
fermo. Come si diceva, vita da
ultras. Il giorno dopo, il fatto
viene tenuto basso, soprattutto
dai Tg di Mediaset. Riferito
solo nella cronaca e non nel
retroscena di alcuni capitifosi
che da casa, guardando la tv,
comandavano il blitz con il
cellulare.
Alla Digos, però, hanno le idee
piuttosto chiare: Juve-Milan non
c'entra, c'entrano i biglietti
per le trasferte, quelli che
prima degli arresti del 2007
gestivano Barone e Lombardi e
che ora restano in mano alla
società. I capitifosi, che in
questi mesi sono tornati in
libertà in attesa del processo,
hanno rialzato la testa.
Minacciano contestazioni e lanci
di fumogeni organizzati per far
prendere multe salatissime alla
società. Tutto come scritto
nell'ordinanza d'arresto:
torciate a comando, ordini
impartiti via sms.
C'è di più, però: l'ombra della
criminalità organizzata che come
a Napoli, anche a Milano
infiltra le curve. L'inchiesta
ha messo a fuoco strane alleanza
tra tifosi della Juve e del
Milan. Un patto di ferro stretto
tra Lombardi e uno dei capi dei
Viking bianconeri, la cui sede,
stranamente si trova a Milano.
Il progetto nasce nel 2005.
L'obiettivo è lo scioglimento
della Fossa dei leoni, gruppo
storico del tifo italiano, per
controllare l'intera curva. La
cosa avviene puntualmente. Nel
frattempo, Sandokan Lombardi si
è già comprato i capi delle
Brigate Rossonere, altra sigla
del tifo milanista, con promesse
di denaro. Nel Risiko curvaiolo
restano fuori i ragazzi dei
Commandos tigre: il 16 ottobre
2006 davanti a un centro
commerciale viene gambizzato uno
dei capi. Il 27 gennaio 2007,
prima di Milan-Roma, Walter
Settembrini, altra figura
storica dei Commandos, viene
pestato a sangue in piazzale
Axum davanti a migliaia di
persone.
A questo punto la curva è roba
di Lombardi e pochi altri. Un
territorio franco dove tessere
affari di ogni genere. La droga
è uno di questi. Tanto più che
l'uomo dei Viking è imparentato
con la famiglia di 'ndrangheta
dei Rappocciolo. Gli uomini
dell'antimafia lo ritengono
«abilissimo a far perdre le
proprie tracce» soprattutto «per
il suo inserimento in circuiti
criminali di elevato spessore».
Nel 1998 a Milano partecipa a
una sanguinosa sparatoria. Lui
dalla parte degli uomini di Cosa
nostra e della 'ndrangheta
contro i serbi di Dragomir
Petrovic. Obiettivo: il monopolo
del traffico di droga. Di più:
il cognome Rappocciolo è
stranoto all'antimafia milanese
e presente nell'ultima grande
inchiesta che ha svelato le
infiltrazione del boss calabrese
Salvatore Morabito fino dentro
l'Ortomercato e ai piani alti
del palazzo Sogemi, la società a
partecipazione comunale che lo
gestisce. Non è finita. Perché
tra i picchiatori di Sandokan
c'è uno dei boss delle case
popolari di via Flaming, zona
ovest di Milano, già condannato
per l'omicidio del figlio del
superboss calabrese Santo
Pasquale Morabito. Un tipo tosto
legato ai clan Barbaro e Papalia
che regnano nell'hinterland sud
della città. La storia criminale
c'è tutta. «Tanto più -
confidano alcune ragazzi della
curva - che questi girano sempre
ben accavallati (armati, ndr)».
Hanno luoghi di ritrovo,
imboschi e una ragnatela di
rapporti con i più importanti
trafficanti di droga di Milano.
Fatti, questi, ben noti ad
Adriano Galliani che così, dopo
l'irruzione di Mediaset, annusa
l'aria. Tanto più che da mesi la
squadra gioca male e non fa
risultati. Cosa che non piace
alla proprietà. A Milanello
qualcuno parla di una
rifondazione. Berlusconi junior
vorrebbe la testa di Galliani e
Ancelotti. Insomma, le acque
sono agitate, meglio non creare
ulteriori increspature. Da qui
l'incontro di Brera, voluto
dallo stesso dirigente rossonero.
Un incontro gestito male.
Azzardato. E dove le parole del
vicepresidente vengono lette dai
capi come la promessa di
riaprire i rubinetti dei
biglietti per le trasferte come
era già cattiva abitudine fino
alla finale di Champions league
ad Atene nel 2007. Allora il
giro d'affari ruotava attorno ai
due milioni di euro l'anno.
Il capo dei Commandos, qualche anno prima, non poteva entrare allo stadio. Però alla festa del Milan campione d’Italia, nel 2004, aveva un tavolo accanto a quello del presidente Berlusconi. «Noi siamo soliti festeggiare con la nostra famiglia allargata», dice la società. Una definizione che comprende sia il presidente della Regione Formigoni e l’allora sindaco di Milano Albertini, sia una quindicina di ultrà esponenti deiCommandos, delle Brigate Rossonere, e della (oggi sciolta) Fossa dei leoni. Un frammento dei rapporti pericolosi che Inter e Milan intrattengono con i «cattivi» delle curve. Rapporti leciti,ma alla base di un giro d’affari da milioni di euro, della gestione di un potere su migliaia di ultrà, e di un meccanismo di ricatto più o meno latente verso i club. Che negli ultimi mesi è sfociato in unatentata estorsione ai danni dei rossoneri.Concolpi di pistola e un pestaggio.
Equilibrio
sottile
Il giro d’affari
La tentata
estorsione
IL
"CASO" LUCA LUCCI, CONDANNATO
A PIEDE LIBERO A 4 ANNI E
MEZZO DI CARCERE PER I "FATTI"
DI INTER-MILAN DEL FEBBRAIO
2009, "SCONTA" LA PENA E NEL
MAGGIO 2013 RITORNA ALLO
STADIO "PULITO CANDEGGINA" PER
LO STATO ITALIOTA...
Questa è la storia di Virgilio
Motta, tifoso dell'Inter. Un
tifoso strano, che faceva
parte di un gruppo sì, ma di
un gruppo che si chiamava
"Banda Bagaj" (Banda bambini,
in dialetto milanese) nato per
portare anche i piccoli allo
stadio. Un tifoso strano, un
tifoso normale, se ci passate
l’ossimoro. Un tifoso
aggredito come un ultrà, che
in quell'aggressione ci perde
un occhio, che per quell'occhio
avrebbe dovuto ricevere
140.000 euro di "danni", che
quei soldi non li ha mai
avuti. Un tifoso strano, che
non è morto di calcio: è stato
suicidato.
Rapporti a rischio. I capi
ultrà viaggiano spesso sugli
stessi charter che portano i
giocatori e i dirigenti. «Ma
volano a loro spese», fanno
sapere da Milan e Inter.
Entrano negli spogliatoi di
San Siro e nelle aree vip.
Perché i leader della curva
possiedono pass nominali, con
tanto di foto per «muoversi
liberamente in ogni settore
dello stadio, compresi gli
spogliatoi dei giocatori »
(deposizione di un dirigente
del Milan). Lostesso succede
per l’Inter.Avolte, i legami
diventano lavorativi. Come per
un esponente di Alternativa
rossonera, impiegato in un
ufficialissimo Milan point.
Infine, sul sito delle Brigate
rossonere Gilardino, Inzaghi,
Kakà e Gattuso mettono
gratuitamente a disposizione
la loro (costosa) immagine per
pubblicizzare magliette,
cappellini e felpe del gruppo.
Fin qui, niente di illecito.
Solo la prova di una certa
contiguità tra le società e i
gruppi di tifosi più estremi.
Di contatti che vengono
considerati inevitabili. E da
coltivare: servono a
«responsabilizzare» i capi dei
tifosi, con il risultato «di
essere una delle squadre meno
sanzionate in Europa e in
Italia», come chiarisce un
responsabile del Milan in un
verbale della Digos. Il fatto
è che l’equilibrio è fragile.
E il confine tra rapporto
corretto e complicità sottile.
Primo: i biglietti per le
trasferte. Di solito le
società li vendono ai
rappresentanti della curva.
Niente di illecito.Maquesto
cosa comporta?Unodei capi
ultrà del Milan haammessodi
rivenderli a 2-3 euro in più.Edè
il primo ricarico. Sui
biglietti si fonda poi
l’organizzazione dei viaggi:
pullman e treni per le
trasferte più vicine, aereo
per quelle distanti. I
curvaioli comprano il
pacchetto completo. Che
comprende, ovviamente, altri
ricarichi. Moltiplicando per
le 18 trasferte di campionato,
più quelle di coppa Italia e
di Champions, alle quali
partecipano in media, per le
squadre milanesi, tra le mille
e le 4 mila persone, si scopre
che una stagione calcistica
può fruttare 5-600 mila euro.
Sottobanco poi, è un’altra
storia: biglietti regalati,
venduti sottocosto o pagati
inmododilazionato. Per l’Inter
la magistratura ha escluso
questa prassi, sul Milan (come
parte lesa in un tentativo di
estorsione da parte di gruppi
ultrà) c’è un’indagine in
corso. «Ma per società molto
importanti — spiega Maurizio
Marinelli, direttore del
Centro studi sulla sicurezza
pubblica— l’omaggio può
arrivare anche a un migliaio
di biglietti». In questo caso
gli introiti per gli
ultrà-affaristi si
moltiplicano. «I capitifoseria
hanno un potere enorme
—aggiunge il procuratore capo
di Monza, Antonio Pizzi, che
ha condotto l’inchiesta oggi
passata a Milano —. Ricattano
le società che forniscono loro
biglietti sottocosto o in
omaggio. Il giro d’affari per
una curva è nell’ordine di
milioni di euro».Aquesto fiume
di soldi bisogna aggiungere
gli aiuti per le coreografie
(negati dalle società) e la
vendita dei gadget: cappelli,
felpe, magliette. Questa è la
montagna di soldi da spartire.
Che non arriva a tutta la
curva, manelle tasche dei
pochi che comandano.
Conseguenza: i capi degli
ultrà milanesi pensano più
agli affari che alla violenza.
Ma appena gli equilibri si
spostano, c’è qualcuno che per
entrare nel business è pronto
sparare. È quel che sta
succedendo intorno a San Siro.
Nell’autunno 2005 si scioglie,
dopo 37 anni, la Fossa dei
Leoni. È un gruppo storico del
tifo rossonero, ma ha due
macchie: è l’unico rimasto di
sinistra e non risparmia le
critiche alla società. La
ragione dello scioglimento
sembra tuttadacercarsi dentro
il codice d’onore ultrà: i
Viking juventini hanno rubato
lo striscione alla Fossa, che
per la restituzioneha chiesto
la collaborazione con la Digos.
Questa storia è anche un
pretesto. In realtà, c’è già
un nuovo gruppo, di destra,
che sgomita per la leadership:
i Guerrieri ultras. I
Guerrieri si sarebbero alleati
con le Brigate Rossonere. I
Commandos vanno in minoranza.
E pagano. «I nuovi cominciano
a sgomitare. In due direzione:
per guadagnare spazio nella
curva e per ottenere il
riconoscimento dalla società.
Che consente di partecipare al
giro d’affari» spiega un
investigatore. Così, l’ottobre
scorso, due uomini in moto
sparano alle gambe di A. L.,
32 anni, esponente dei
Commandos, davanti a un
supermercato di Sesto San
Giovanni. Il 25 gennaio, un
altro leader dello stesso
gruppo viene picchiato fuori
da San Siro da sette persone
(due sono state arrestate e
stanno per andare a processo).
È conciato così male che
ancora oggi non si sa se ce la
farà. Intanto, i Guerrieri
chiedono biglietti alla
società. Forse anche
abbonamenti. Mail Milan, per
due volte, rifiuta. E,
combinazione, subito dopo per
due volte dalla curva piovono
fumogeni: Milan- Lilla, 6
dicembre, e Milan-Torino, 10
dicembre 2006. Il Milan
annuncia una linea più dura:
taglia i pass. Galliani va in
procura a Monza, che nel
frattempo ha indagato dieci
ultrà:«Manon sono io che mi
occupo di queste cose». Non
c’è stata nessuna denuncia. La
procura è arrivata alla
tentata estorsione indagando
sulla sparatoria. «Nei nuovi
gruppi di ultrà—rivela
uninvestigatore — ci sono
molti delinquenti comuni, con
precedenti per spaccio e
rapine». Sicuri che valga la
pena tenerli in famiglia?
Sì, questa è la storia di
Virgilio Motta, che il 24
maggio scorso s'è ucciso per
colpa di questo Paese. “Anche”
di questo Paese, va bene? Così
mettiamo in conto le ovvie
giustificazioni a latere.
Quella di Virgilio Motta è una
storia perché è un esempio
perfetto di come funzionano le
cose, nei giorni della puzza
napoletana sdoganata sul
servizio pubblico, o dei cori
contro un ragazzo morto
sanzionati con uno
scappellotto. Qui
le cose non cambiano mai. E
questa storia è un monumento
alla merda stratificata
nell'immobilità.
Virgilio Motta, padre di una
bimba, è al Meazza per
assistere al derby milanese
del 15 febbraio 2009. Un
gruppo di ultras milanisti
cala dal secondo al primo
anello per punire un gruppetto
di interisti che hanno osato
strappare uno striscione.
Motta finisce per caso in
mezzo alla rissa. Gli arriva
un pugno che gli spappola un
occhio.
Il 17 luglio 2009 il giudice
Alberto Nosenzo condanna a
pene comprese tra sei mesi di
reclusione e quattro anni e
mezzo di carcere sei ultras
milanisti accusati, a vario
titolo, di rissa aggravata e
lesioni. Luca Lucci, uno dei
capi storici della curva Sud,
viene riconosciuto colpevole
di aver sferrato il pugno. A
Motta viene riconosciuta
invece una provvisionale di
140 mila euro a carico dei
condannati "da versare in
solido". La moglie di Lucci
alla sentenza urla a Motta che
"i 140 mila euro te li devi
spendere tutti in medicinali,
maledetto infame".
Ma in Italia funziona così, la
giustizia: i condannati,
semplicemente, non pagano
perché quei "poveretti"
risultano nullatenenti. E
Motta non se li può spendere
nemmeno in medicine quei
soldi, come pure avrebbe
voluto fare. Accetta suo
malgrado persino una sorta di
pagamento rateale: niente.
Entra in depressione, piano
piano. Spesso funziona così.
In silenzio. Pur andando allo
stadio, ancora. Senza bambini
però. I bambini no. Tre anni
dura. Poi, il 24 maggio, la fa
finita. Il suo legale,
l'avvocato Consuelo Bosisio,
dice che "le sue condizioni
psicologiche sono peggiorate
perché gli imputati condannati
per quegli scontri non gli
hanno versato i 140 mila euro
che gli dovevano come
risarcimento e con i quali lui
voleva andare a farsi curare
all'estero”.
Ma sono parole a posteriori. E
l'Italia è un posto che campa
solo a posteriori. E non
impara mai. Per dire: il 20
settembre i capi della curva
Sud del Milan vengono ricevuti
a Milanello per il “solito”
faccia a faccia minaccioso con
i giocatori, rito che usa un
po' ovunque quando le cose
vanno male e le società
abbassano lo sguardo di fronte
alle pretese violente dei
tifosi. Ecco, a Milanello
c'era anche Luca Lucci, il
capotifoso nullatenente che
tolse l'occhio ad un padre,
allo stadio. Libero, Luca
Lucci.
Facciamo finta che no, i cori
allo stadio di Torino e di
Verona non c'entrano niente
con questa triste storia. E
invece è proprio lo stesso
fottuto campo da gioco. Ci sta
bene tutto, sempre di più.
Accettiamo che non ci siano
più regole morali né
giustizia. Che la
stratificazione dell’impotenza
azzeri la memoria e
disinneschi tutto. Che senza
muri, senza limiti, si campi
meglio. E invece si campa
male. A volte i più deboli non
ci campano affatto.
Perciò è morto Virgilio Motta,
tifoso x di
una squadra x, che andava allo
stadio con i bambini.