Che cosa avete capito della crisi in Ucraina?In
fondo una storia molto semplice: il glorioso popolo ucraino che si
ribella, lotta contro il dittatoreYanukovich,
il cattivo Yanukovich, le proteste vincono a prezzo di qualche scontro
di strada, Putin si arrabbia e occupa la Crimea. Sullo fondo la
richiesta degli ucraini, del popolo ucraino di entrare nell’Unione
Europea. Fine delle trasmissioni.
In realtà la storia è un po’ diversaperché
per capire che cosa sta accadendo davvero in Ucraina bisogna considerare
le nuove tecniche di comunicazione e di manipolazione dell’opinione
pubblica. Bisogna considerare due fattori: primo, dalla metà degli anni
Novanta l’Ucraina è diventata uno scenario strategico importante, da
quandoBrzezinskilo
indicò come un obiettivo prioritario per gli interessi dell’Occidente.
Secondo punto, dalla fine degli anni Novanta si applicano tecniche di
occupazione del potere molto diverse rispetto a quelle usate fino a quel
momento.
Funziona così:proteste
di piazza in apparenza spontanee sono in realtà pianificate con cura e
guidate per il tramite di Organizzazioni non governative, Associazioni
umanitarie e partiti politici;
in un crescendo di operazioni pubbliche amplificate dai media
internazionali e con appoggi all’interno delle istituzioni, in
particolare dell’esercito, che finiscono per provocare la caduta del
“tiranno”.
Si fa salire la tensione, le proteste fino al momento in cui il
Presidente, per quanto in apparenza potente, cede e va via. Queste
tecniche furono ideate alla fine degli anni Novanta, e applicate per la
prima volta in Serbia alla fine degli anni Novanta. RicordereteMilošević,
sembrava fortissimo benché sconfitto in Kosovo, improvvisamente fu
costretto alle dimissioni grazie alle proteste di piazza di un
movimento.
Quell’esperimento ebbe un successo clamoroso e fu ripetuto altre volte.
Fu ripetuto sempre nello spazio dell’ex Unione Sovietica, in Georgia, in
Kirghizistan e in Ucraina nel 2004 quando larivoluzione
arancioneebbe
un clamoroso successo emozionando tutti noi. Era il periodo natalizio,
seguimmo quella rivoluzione dagli schermi e facemmo tutti il tifo per
quella bella rivoluzione, che portò al potere per la prima volta un
leader, amico degli occidentali, degli americani e nemico dei russi.
Fu proprio in quell’occasione però che Putin,fino
a quel momento in rapporti ottimi con gli americani, capì che cosa stava
accadendo e decise di reagire. Reagì usando gli stessi metodi: cominciò
a tagliare il petrolio, a fare pressioni sociali, a spaccare l’opinione
pubblica interna fino a quando nel 2010 Yanukovich vinse le elezioni e
per cui l’Ucraina della sfera americana tornò nella sfera russa.
Se non si è consapevoli di questi movimenti con un’origine piuttosto
lunga non si capisce quello che è accaduto in questi giorni, perché è
andato in scena esattamente lo stesso scenario. Le manifestazioni di
piazza sono state in buona parte ispirate, organizzate, incoraggiate da
dei professionisti.La
variabile nuova emersa è molto inquietante perchéaccanto
a migliaia di pacifisti sinceri e disinteressati che nemmeno riuscivano
a leggere questi disegni, sono apparsi degli estremisti neonazisti
impresentabili che per la prima volta, rispetto ad altre rivoluzioni
pacifiste. Hanno usato delle tecniche di guerriglia sofisticate: assalto
ai ministeri, barricate, bombe molotov e con modalità ulteriori molto
sorprendenti e inquietanti, perché in questi giorniabbiamo
avuto la prova che dei cecchini hanno sparato sia sui manifestanti, sia
sull’esercito,facendo
però ricadere la colpa su Yanukovich. Tutto questo ovviamente per
fomentare il caos che poi ha portato alla caduta di Yanukovich.
Perché è successo proprio alla fine di febbraio? Perché è accaduto
proprio durante i giochi olimpici di Soci, ovvero sull’evento
internazionale che Putin aveva pianificato per rinverdire l’immagine di
Russia come potenza. In quei giorni la Russia non poteva permettersi di
intervenire, né di reagire nell’Ucraina, e proprio in quei giorni la
guerriglia armata, perché tale è stata, ha esercitato la massima
pressione costringendo Yanukovich alle dimissioni.
Finite le Olimpiadi Putin ha risposto in maniera meno sofisticata, ma in
modo altrettanto sorprendente invadendo o comunque occupando la Crimeache
ormai è evidente, si avvia verso l’indipendenza dall' Ucraina.
Questo cosa significa? Oggi le guerre, gli scontri di potere molto
spesso avvengono attraverso queste modalità, queste tecniche di
comunicazione e di manipolazione delle masse e dell’opinione
pubblica,estremamente sofisticate, usate anche in tempi recenti in
Tunisia, in Egitto e in maniera drammatica e violenta in Siria e in
Libia.
Tutto questo con un corollario dei media. Perché i media sono
importanti? Per una ragione molto semplice: se una rivoluzione, un
movimento di piazza non ha un audience televisiva importante non esiste
e per il regime è facilissimo reprimerlo. In più, se ci sono i grandi
media internazionali, e pensiamo al peso della Cnn ma in generale di
tutti i media che parlano in maniera intensa di quell’argomento, i
manifestanti si sentono sostenuti e ringalluzziti e il potere si sente
sempre più fragile. Fino a quando non è costretto a cedere e,
chiaramente, chi perde viene descritto come il dittatore, il cattivo,
l’impresentabile anche quando in realtà non lo è. Nel caso di Yanukovich
non c’è gara, era l’uomo dei russi benché i russi non lo amassero
troppo, mase
noi pensiamo aMubarako
piuttosto aBen
Aliin Egitto e in
Tunisia che sono stati amici a lungo dell’Occidente, ci rendiamo conto
di quanto spregiudicate possono essere queste tecniche moderneche
vengono usate in maniera molto più diffusa di quanto l’opinione pubblica
possa capire.
Dunque la
guerra non dichiarata tra Stati Uniti e Russia per il controllo di
questo territorio durerà ancora a lungo con colpi informali,
asimmetrici, metodi non convenzionali che a mio giudizio l’opinione
pubblica quasi sempre non riuscirà a capire.
Secondo punto, in generechi
vuole capire davvero che cosa accade nel mondo non può accontentarsi di
una lettura superficiale,
limitata solo alle grandi tematiche lanciate dai media, ma, per quanto
possibile, deve cercare di leggere in trasparenza per capire e per
cogliere quei segnali, e ce ne sono sempre tanti, che indicano quando un
movimento è davvero spontaneo oppure quando il movimento è indotto per
fini e con ispiratori, che non si mostrano quasi mai.
E se avete trovato interessante questo intervento non esitate a farlo
circolare e passate parola!
Iraq, l’Occidente e quel vizio del petrolio
Leviolenze
degli ultimi giornitestimoniano
che dopo la (ri)presa delle città irachene di Falluja e Ramadi da parte
di cellule qaediste il Paese vive ancora nell’inquietante ricordo del
decennio passato. L’invasione americana del 2003 ha aperto un vuoto di
potere destabilizzante, di cui da diversi anni traggono beneficio
soprattutto le multinazionali petrolifere. Perché sì, possiamo dirlo: inIraqc’è
stata una guerra per l’oro nero.
Nel 2011, anno in cui si chiuse formalmente il conflitto, le truppe
statunitensi e le compagnie mondiali del greggio hanno fatto staffetta,
si sono date il cambio con l’obiettivo di avviare unrestyling
completo dell’industria petrolifera nazionale. Prima della
guerra il comparto era totalmente chiuso all’ingresso delle società
occidentali. I margini di trattativa erano bassisssimi. Dopo dieci anni
di sangue e migliaia di vittime il mercato del petrolio iracheno, oggi,
è gestito esclusivamente da privati come ExxonMobil, Chevron,British
Petroleum e Shell.
Ognuna di queste compagnie possiede filiali importanti nel Paese.
Anche la texana Halliburton, dove lavoròDick
Cheney, ex vicepresidente degli Stati Uniti, oggi mantiene
diverse attività redditizie. In molti negli anni hanno sostenuto che il
petrolio fosse il primo motivo (anche se non il solo) alla base di una
guerra per cui i cittadini iracheni stanno pagando ancora il loro
prezzo.
Il risultato è che per la prima volta in 30 anni le compagnie
petrolifere occidentali hanno cominciato adesplorare
la via dei giacimenti iracheni, tra i più grandi al mondo,
raccogliendo ingenti profitti. Dal canto suo Washington ha mantenuto un
alto livello d’importazioni a seguito dell’invasione, anche se
l’approccio commerciale degli States non è servito in alcun modo a
rilanciare l’economia nazionale di Baghdad.
Nel 1998 Kenneth Derr, allora amministratore delegato di Chevron, disse
che “l’Iraq
possiede enormi riserve di petrolio e di gas“. Ammise che gli
sarebbe piaciuto accedervi. Oggi lo fa. Nel 2000 sono state la Exxon,
Chevron, BP e Shell a promuovere George W. Bush e il suo vice Cheney
alla Casa Bianca. Dopo nemmeno una settimana dalle elezioni il loro
sforzo venne ampiamente ripagato con la creazione dellaNational
Energy Policy Development Group(NEPDG),
una task force energetica affidata, guarda caso, proprio a Dick Cheney,
con il compito di sviluppare una politica energetica nazionale in
supporto del comparto privato.
La circostanza naturalmente accompagnò l’amministrazione americana e le
multinazionali mondiali del greggio a untavolo
comune; nel mese di marzo furono rivisti gli elenchi e le mappe
che delineavano l’intera capacità produttiva irachena nel comparto. E’
in quel momento – secondo diversi analisti dell’industria petrolifera –
che si apre la pianificazione di un invasione militare contro Saddam
Hussein. L’allora primo segretario al TesoroPaul
O’Neill nel 2004 confessa che il progetto era già stato pensato nel
febbraio 2001, ben 6 mesi prima degli attentati dell’11 settembre.
Trascorsi un paio d’anni e iniziato il conflitto, il governo di Baghdad,
già fortemente condizionato da Washington, decise infatti che il suo
mercato petrolifero avrebbe dovuto accogliere l’interesse degli
investitori internazionali. Per questo venne costituito un comitato ad
hoc che guidasse le operazioni commerciali. I membri non sono mai stati
resi pubblici, ma è noto che vi facesse parte Ibrahim Bahr al-Uloum, poi
nominato ministro del Petrolio iracheno dal governo americano di
occupazione. Da quel momento i rappresentanti di ExxonMobil, Chevron,
ConocoPhillips e Halliburton, mantennero incontri di routine con lo
staff di Cheney agendo come dei veri e propri consulenti dell’esecutivo
iracheno.
Prima dell’invasione erano due i fattori che ostacolavano l’attività
delle compagnie petrolifere occidentali:Saddam
Husseine lalegislazione
nazionale. Ucciso il primo e by-passata la seconda, con la
ferma opposizione dell’opinione pubblica irachena edel
Parlamento, tutto cambiò. Le imprese occidentali cominciarono a
firmare contratti su contratti che agevolassero l’accesso al trattamento
del petrolio nel Paese aprendo, nel tempo, un vortice di privatizzazioni
inarrestabile.
Il meccanismo portò la produzione petrolifera irachena ad aumentaredi
oltre il 40 per cento in cinque anni, per 3 milioni di barili di greggio
al giorno, ma l’80 per cento del prodotto ancora oggi viene esportato
lasciando la popolazione locale in una paradossale precarietà
energetica. Il Pil pro capite è aumentato significativamente, ma rimane
ancora tra i più bassi al mondo e ben al di sotto delle stime vantate
dagli altri vicini arabi. I servizi di prima necessità come l’acqua e
l’elettricità rimangono un lusso, mentre il 25 per cento della
popolazione vive in uno stato di assoluta povertà.
La promessa dinuovi
posti di lavorolegati
allo sviluppo del comparto energetico deve ancora materializzarsi. I
settori del petrolio e del gas oggi rappresentano meno del 2 per cento
dell’occupazione totale, mentre le società straniere si affidano a una
manodopera importata. Ebbene sì, in Iraq c’è stata una guerra per il
petrolio. A poco più di una decina di giorni dall’anniversario
dell’aggressione americana (il 20 marzo 2003) è sempre un bene
ricordarlo.
Ungheria: vittoria scontata di Orban, padrone anti-Ue
Da un lato c’è lui,Viktor
Orban: nazionalista anti-europeista, leader indiscusso del
partito populista e conservatore Fidesz. Il premier magiaro in carica
dal 2010 sarà riconfermato senza problemi nelle elezioni del 6 aprile,
anche grazie alla riforma elettorale maggioritaria e uninominale
disegnata a sua immagine e somiglianza. Dall’altro l’opposizione -una
coalizione variegata, composta da socialisti, liberali, centristi e
verdi- che candida il 39enne socialista Attila Mesterhazy, ma è data per
sconfitta. Gli ultimi sondaggi accreditano Orban addirittura al 47%
mentre il suo sfidante sarebbe fermo a un misero 20% (con la coalizione
comunque sotto il 30%). In gioco c’è ilfuturo
dell’Ungheria, un Paese di quasi 10 milioni di abitanti dove da
anni si diffondono pericolose tendenze autoritarie associate ad un
rinascente antisemitismo: quello incarnato dal partito di estrema destra
Jobbik (una formazione ideologicamente non lontana dalla grecaAlba
Dorata), che domenica potrebbe volare oltre l’inquietante
soglia del 15%.
“Orban rimane forte, ma almeno stavolta l’opposizione ha provato ad
unirsi. Certo, la sfida elettorale in un solo round (prima della riforma
c’era un sistema a doppio turno, ndr) non aiuta”. Isvan Hegedus, ex
parlamentare ungherese, è una delle più autorevoli voci critiche del
premier in carica. Militante di Fidesz “quando era un partito
conservatore e liberale” negli anni post-sovietici, ne è uscito non
appena il partito ha iniziato la virata a destra. Lo abbiamo incontrato
a Bruxelles, dove dirige un centro studi sulla politica ungherese, poco
prima della partenza alla volta diBudapest.
Perché, gli chiediamo, Orban rimane così popolare se ha fatto unalegge
bavaglio per la stampa, riformato la costituzione a colpi di
maggioranza accentrando su di sé moti poteri e messo a rischio
l’autonomia della magistratura? “In realtà il Paese è più diviso di
quello che si crede, e molta gente è stanca di Orban”. Ma la verità è
che manca una vera alternativa. “Molte sono le colpe della coalizione
che sfida il premier. Innanzitutto i partiti non hanno una chiara
strategia comune, incerti tra competizioni e cooperazione. E poi c’è lacorruzione”.
Il numero due socialdemocratico Gabor Simon è stato recentemente
coinvolto in un grosso scandalo per aver depositato 800.000 euro al
fisco depositandoli in una banca austriaca.
Insomma, la domanda non è se Orban sarà riconfermato premier, ma con
quale percentuale. E se porterà il suo Paese più lontano dalla
democrazia nei prossimi quattro anni. “Possiamo solo augurarci che non
stravinca. Già perdere con un margine aiuterebbe”, conclude amaro Istvan.
Corea del Nord "come apartheid, nazismo, khmer rossi". Duro rapporto
dell'Onu sui diritti umani
Una commissione di giuristi incaricata dalle Nazioni
Unite relaziona a Ginevra. Il rappresentante di Pyongyang lascia la
sessione per protesta. Anche la Cina critica: "Critiche su informazioni
non di prima mano"
GINEVRA
-
I crimini commessi dal regime Nordcoreano sono paragonabili a quelli dei
nazisti, del regime dell'apartheid e dei khmer rossi e devono essere
fermati. Lo ha dichiarato a Ginevra il presidente di una commissione
d'inchiesta delle Nazioni Unite.
"Affrontare le piaghe del nazismo, dell'apartheid dei
khmer rossi ha richiesto coraggio da parte delle grandi nazioni", ha
dichiarato Michael Kirby, di fronte al consiglio dei diritti umani dell'Onu.
"E' nostro dovere" affrontare "le violazioni dei diritti umani e i
crimini contro l'umani commessi nella repubblica popolare di corea", ha
aggiunto. Siamo nel 21mo secolo e ci troviamo di fronte ad un altro
flagello vergognoso che tocca il mondo di oggi. Non possiamo più
permetterci di vederlo", ha insistito. Nel rapporto pubblicato il 17
febbraio i giuristi incaricati dall'Onu hanno stilato una lista
documentata di accuse per crimini contro l'umanità su larga scala.
Il rapporto ha provocato la dura reazione sia della Cina
sia della stessa Corea del Nord. Il rappresentante nordcoreano presso l'Onu
a Ginevra, Se Pyong So, ha abbandonato il dibattito mentre prendeva la
parola il rappresentante del Giappone. Shigeo Lizuka, a nome
dell'associazione delle vittime rapite in Corea è intervenuto durante il
tempo concesso al Giappone in sede di dibattito, e l'ambasciatore
nordcoreano ha inizialmente presentato una mozione d'ordine e interrotto
il discorso di Lizuka. Quest'ultimo ha ripreso la parola su richiesta
del presidente del consiglio. L'ambasciatore nordcoreano si è allora
alzato in silenzio e ha lasciato la sala, seguito da una decina di
fotografi. Anche la Cina ha protestato, sostenendo che il rapporto non
ha legami con la realtà, perché non si basa su informazioni di prima
mano, e che formula accuse contro la Cina non corroborate. Il rapporto,
sostiene Pechino, getta ombre sulla credibilità dell'organismo dell'Onu.
Le mani unte di Putin sull’ex Urss. “In Transnistria può capitare lo
stesso”
Dopo la Crimea "potrebbe continuare un’ulteriore disgregazione dello
spazio post-sovietico", spiegano alcuni esperti a ilfattoquotidiano.it.
Nel mirino di Mosca, l'ipotesi dello Stato de facto che si è staccato
dalla Moldavia a seguito del crollo dell'impero sovietico
Il governo presieduto dal nuovo capo, il filorussoSergey
Aksyonov, si è affrettato ad
anticipare al 30 marzo il referendum sullo status della repubblica. A
prescindere da un intervento ufficiale dell’esercito russo sulla
penisola, non cambierà il risultato del voto che sembra già volgere in
favore di Mosca.Mentre
il senatore americanoJohn
McCainsi
dice pronto ad una nuova “guerra fredda” con la Russia,
e la “cortina di ferro” sembra alzarsi di nuovo per dividere il mondo a
metà tra ilblocco
filorussoe
pro-americano, alcuni esperti dell’Ucraina frenano questa retorica. “La
Crimea è un caso a parte”, spiega ailfattoquotidiano.itAlexey
Vlasov, tra i massimi esperti della
materia e vice preside della facoltà di Storia dell’Università statale
di Mosca. All’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in
Europa (Osce),
da dove è appena tornato, molti colleghi concordano con lui sul fatto
che la questione della Crimea esiste e andrebbe risolta. “I diritti deicittadini
russofonidella
Crimea che sono stati promessi dopo il crollo dell’Urss, in realtà non
sono mai stati garantiti”, osserva lo studioso.
L’autonomia della repubblica è stata sancita dallaCostituzionedel
1998, ma Vlasov sostiene che valga “solo sulla carta”. La soluzione,
secondo l’esperto, potrebbe essere quella di creare una commissionead
hocche
coinvolga tutte le parti in causa per garantire l’autonomia effettiva
della Crimea, sia sul piano economico, sia su quello linguistico.
Nell’ipotesi in cui la Russia cercasse solo una sua maggiore autonomia,
il risultato sarebbe un’entità territoriale in bilico, come lo sono già
l’Abcasiae
l’Ossezia
del Sud, ai confini con la Georgia.
Queste due repubbliche autoproclamate sono riconosciute ad oggi soltanto
dallaRussia,
dalVenezuelae
da alcuni una manciata di altri stati minori, mentre la comunità
internazionale si schiera con laGeorgiache
li considera territori occupati.
La storia post-sovietica dei due territori,
diversamente della Crimea, è stata segnata da conflitti sanguinosi con
Tbilisi in seguito alla disgregazione dell’Urss.
Le due repubbliche hanno cercato protezione sotto l’ala della “Madre
Russia”. Ma se il primo presidente della Federazione russa,Boris
Eltsin, ha respinto la richiesta per
sostenere il suo alleato, l’allora presidente georgianoEduard
Shevarnadze, la svolta è arrivata conPutin.
Nel 2006 ha usato il precedente delKosovoper
dettare il nuovo corso della politica estera russa. Secondo ilCremlino,
il principio dell’autodeterminazione dei popoli applicato ai kosovari
doveva valere anche per gli Stati non riconosciuti sullo spazio dell’ex
Urss. Anche se la posizione di Mosca sul Kosovo è rimasta immutata: in
una sorta didoppio
giocosi
è sempre schierata a favore dell’integrità territoriale dellaSerbia.
“La Russia ha garantito l’integrità territoriale della
Georgia per 18 anni, finché Tbilisi non ha scatenato la guerra contro di
noi uccidendo i nostricaschi
blunell’Ossezia
del Sud”, commenta Andrei
Suzdaltsev, vicepreside della facoltà
dell’Economia e politica mondiale dellaHigh
School of economicsdi
Mosca. Ailfattoquotidaino.it illustra
la dinamica del conflitto russo georgiano scoppiato nell’agosto del 2008
(per la Georgia, è stata la Russia amuovere
guerra). Proprio in seguito di quella
crisi, con una disposizione dell’allora presidenteDmitry
Medvedev, la Russia ha riconosciuto
l’indipendenza dell’Ossezia del Sud e dell’Abcasia, “tenendo conto della
volontà degli osseti e degli abcasi”. Infatti sia l’Ossezia del Sud colreferendumdel
1991, sia l’Abcasia con l’iniziativa del parlamento del 1995 avevano già
bussato alla porta di Mosca.
“Con il caso della Crimea potrebbe continuare
un’ulteriore disgregazione dellospazio
post-sovietico”, nota Suzdaltsev, che
comunque più che una Crimea indipendente vede, in futuro, una specie di
confederazione tra l’Ucraina e la Repubblica autonoma. Il nuovo governo
dellaCrimeaha
detto che spera di poter contare su un sostegno economico russo,
seguendo l’esempio di alcuni Stati non riconosciuti della galassia russa
che costituiscono una voce significativa delbilancio
federale. Ciò è vero soprattutto per
l’Ossezia del Sud, che nel 2009 contava una popolazione di 50mila
persone (secondo i dati dell’Assemblea parlamentare del Consiglio
d’Europa). Infatti, soltanto con “i decreti di maggio”della terza
presidenza Putin, sono stati stanziati 669 milioni dirubli(circa
14 milioni di euro) alla repubblica delCaucaso.
Risolta la crisi in Crimea, sullo spazio dell’ex blocco sovietico se ne
potrebbe presentare subito un’altra.
LaMoldavia,
a differenza dell’Ucraina, non ha rinunciato alla firma dell’accordo di
associazione con l’Unione
europea. Anzi, al vertice diVilniusa
novembre scorso ha fatto un’ulteriore passo versoBruxelles.
Mosca non ha visto di buon occhio questo gesto, rivolgendo la sua
attenzione sullo Stato non riconosciuto dellaTransnistria,
territorio con una vasta popolazione russa che si è staccato dalla
Moldavia dopo il crollo dell’impero sovietico. Anche la repubblica
autoproclamata è stata luogo di un conflitto sanguinoso traChisinaue
i separatisti, placato nel 1992 dalle forze russe dislocate in
Transnistria. “Conflitto che è stato congelato, ma che potrebbe
riaccendersi ora che Chisianau si sta avvicinando all’Ue”, sostiene ailfattoquotidiano.itVladimir
Solovyev, giornalista che segue la
Moldavia per il giornale russoKommersant.
Minaccia che si legge nelle parole pronunciate di recente dall’inviato
speciale di Putin per la Transnistria,Dmitry
Rogozin. “Il ‘treno Moldavia’ che
corre verso l’Europa potrebbe perdere qualche carrozza”. Proprio in
questi giorni allaDumaè
stata presentata una proposta di legge per facilitare l’ingresso nella
Russia di nuovi soggetti territoriali. Questo provvedimento potrebbe
essere funzionale non solo al caso della Crimea, ma anche dellaTransnistria.
Venezuela, proteste contro Maduro. “Paese in crisi, diritti umani a
rischio”
International Crisis Group pubblica un'analisi sugli scontri a Caracas,
che hanno già provocato dieci morti. E punta il dito contro il
successore di Chavez, incapace di fermare le violenze. Stati Uniti
accusati di finanziare quello che il governo definisce “golpe fascista”Le manifestazioni di sabato inVenezuela,
con da una parte i sostenitori e dall’altra gli oppositori del
presidenteNicolas
Maduro,
sono state l’immagine della spaccatura politica del Paese. Decine di
migliaia di venezuelani hanno manifestato aCaracase
in altre città. Maduro deve fronteggiare la più grave protesta
dall’elezione, contestata dall’opposizione, a capo di Stato lo scorso
aprile. I morti nelle violenze e negli scontri sono già almeno dieci. La
situazione “rischia di erodere ulteriormente la stabilità e la tutela
dei diritti umani in una nazione già polarizzata alle prese con ungrave
crisi economicae
con uno dei tassi diomicidiopiù
alti al mondo”, si legge in un’analisi dell’International
Crisis Group
Lo riferiscono fonti siriane. I cassoni che avrebbero dovuto
trasportare le armi chimiche, merci pericolose e tossiche, non
rispettavano i parametri di sicurezza
I militari di Putin controllano il territorio. Il capo della Marina
ucraina giura fedeltà alle autorità della Crimea. Premier ucraino
Iatseniuk: "Ci hanno dichiarato guerra". Kerry va a Kiev: "A rischio posto
di Mosca nel G8". Merkel: "Putin accetta gruppo di contatto Osce".
Medvedev: "Dialogo sì, ma non con chi ha usurpato il potere"
Dopo la paura, si fa strada la diplomazia. Putin accetta
una mediazione, parteciperà a un tavolo di discussione. Anche se la
Russia, per bocca di Medvedev, non riconosce il nuovo regime ucraino, e
ritiene Yanukovich "un presidente democraticamente eletto e rimosso con la
forza". Di certo, l'esercito russo ha preso il controllo della Crimea. E
ha dalla sua parte il comandante della Marina ucraina, che passa con Putin
e rischia il processo per alto tradimento. Gli Stati Uniti si schierano
con forza: Kerry sarà martedì a Kiev, incontrando quel governo provvisorio
che Mosca non riconosce. Washington fa sapere di aver annullato ogni
missione e colloquio di collaborazione economica con la Russia.Obama,
che ha condannato senza mezzi termini l'intervento russo in Crimea esi
è confrontato con Putin in una telefonata-fiume di 90 minuti,sta
studiando la situazione e sentirà al telefono i leader dei Paesi alleati.
In Ucraina è in corso un'occupazione di fatto da parte della Russia che,
secondo il segretario di Stato americano, John Kerry, mette a rischio il
posto di Mosca all'interno del G8 e le sue relazioni con Washington.Il
fronte occidentale della fermezza, guidato dagli Usa, accusa un
significativo smarcamento: la Germania non condivide l'idea di espellere
la Russia dal G8. Come spiega il ministro degli Esteri Frank-Walter
Steinmeier: "C'è chi vorrebbe mandare un segnale forte a Mosca, c'è invece
chi, e io sono tra questi, considera il G8 l'unico formato in cui
l'Occidente può parlare direttamente con la Russia, dovremmo
sacrificarlo?". Il ministro Steinmeier anticipa la proposta tedesca, che
di lì a poco la cancelliera Angela Merkel avrebbe fatto a Putin: chiedere
all'Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Copperazione in Europa) di
promuovere un "gruppo di contatto". Anche il governo italiano "si associa
alle pressanti richieste della comunità internazionale affinché sia
rispettata la sovranità e l'integrità territoriale dell'Ucraina"(leggi
articolo di Vincenzo Nigro).
Colloquio Merkel-Putin.
Più tardi, il Cremlino riferisce che ad Angela MerkelVladimir
Putinha
ribadito le ragioni dell'intervento russo in Crimea già espresse a Obama:
si è reso necessario per la minaccia portata alla popolazione a
maggioranza russofona da parte delle frange ultranazionaliste salite al
potere a Kiev. Misure, a detta del presidente russo, "appropriate" vista
la situazione in Ucraina. Il Cremlino conclude sottolineando la posizione
comune di Putin e Merkel sul proseguimento di consultazioni bilaterali e
multilaterali alla ricerca di una "normalizzazione" in Ucraina.
DaBerlino,
la versione dei fatti è decisamente diversa. Durante il colloquio,
riferisce il portavoce del governo tedesco, Angela Merkel ha accusato
senza mezzi termini il presidente Putin di aver violato il diritto
internazionale con "l'inaccettabile intervento russo" in Crimea. La
cancelliera ha contestato a Putin la violazione del memorandum di Budapest
del 1994, con cui la Russia si era impegnata a rispettare l'indipendenza e
la sovranità di Kiev secondo le frontiere allora esistenti, e anche la
violazione del trattato sulla presenza della flotta russa del Mar Nero del
1997. E Putin ha detto sì alla proposta di un "gruppo di contatto" che
accerti i fatti e avvii il dialogo sotto l'egida dell'Osce (Organizzazione
per la Sicurezza e la Cooperazione Europea).A
seguire, il premier russoMedvedev,
citato da Ria, ha dichiarato che la Russia è pronta ad aprire relazioni
con l'Ucraina, "ma non con quanti hanno preso il potere con il sangue.
Anche se la sua autorità è praticamente inesistente, Yanukovich è l'unico
capo di Stato legittimato dalla Costituzione ucraina". "La Russia - ha
aggiunto - ha bisogno di una Ucraina forte e stabile, una partner
affidabile ed economicamente prospera. Invece i nuovi leader hanno
usurpato il potere, prevedo che il loro governo sarà molto instabile e si
concluderà con un'altra rivoluzione e altro sangue".
Nato a Russia: ritiro truppe e dialogo.
Al termine delle riunioni del Consiglio Atlantico straordinario e del
Comitato Nato-Ucraina, il segretario generale della Nato,Anders
Fogh Rasmussen,
ha spiegato che "molti Stati membri hanno chiesto" un Consiglio
Nato-Russia, che può essere convocato anche a richiesta di uno solo dei 28
Paesi dell'Alleanza. Rasmussen ha precisato che "nessuno al momento" ha
invocato l'articolo 4 del trattato, che implica l'attivazione
dell'Alleanza militare. La Nato auspica una pacifica soluzione, da
ricercare sotto l'egida del Consiglio di Sicurezza dell'Onu o dell'Osce
anche con il dispiegamento di osservatori internazionali. Rasmussen ha
espresso "grande preoccupazione per l'autorizzazione all'uso della forza
in Ucraina da parte del parlamento russo" e che l'Alleanza Atlantica
"resta al fianco" di Kiev. Rasmussen ha ribadito che l'azione di Mosca è
contraria al diritto internazionale e ha chiesto alle truppe russe di
ritirarsi.
I soldati russi in Crimea.
Secondo il governo di Kiev, sono già 15 mila e muovono sul territorio
senza resistenze. Prendendo il controllo dei luoghi strategici. E
sequestrando le armi, come accaduto in una base radar e in un'accademia
della Marina militare ucraina.I
russi hanno esortato il personale delle due strutture a schierarsi con
quelli che hanno definito i "legittimi" leader della penisola. Dalla base
radar di Sudak sono stati portati via fucili, pistole e munizioni,
caricati su un'auto. Armi sono state prelevate anche dalla struttura per
l'addestramento della Marina a Sebastopoli, la città sul Mar Nero che
ospita una base della Flotta russa. Nella notte sono atterrati altri sette
aerei militari russi per il trasporto delle truppe e 11 elicotteri.Uomini
armati e in mimetica, presunti militari russi, hanno circondato la caserma
del reparto A-0669 della Marina militare ucraina vicino a Kerch (Crimea) e
controllano gli ingressi della struttura. Secondo il vice comandante
ucraino del reparto, Alexiei Nikoforov, i militari hanno detto di volere
"sorvegliare la struttura assieme agli ucraini".Attaccato
prima solo da civili con giubbotto anti proiettile e caschi poi anche da
militari russi il quartier generale della Guardia di frontiera ucraina a
Simferopoli. L'edificio è ora sotto controllo di "uomini armati non
identificati", rende noto l'agenzia ucraina Unian. Militari ucraini e
russi si fronteggiano, oltre che alla base di Perevalnoe, a 25 chilometri
da Simferopoli, anche in quella della marina ucraina di Feodosia, sempre
in Crimea.Intanto,
dopo cheInterfaxaveva
riferito di interi reparti dell'esercito ucraino in Crimea passati dalla
parte delle autorità locali filorusse, arriva l'annuncio diuna
clamorosa defezione:
il comandante in capo della Marina ucraina ha giurato fedeltà alle
autorità filo-russe di Crimea. L'ammiraglio Denis Berezovski, in
conferenza stampa dallo stato maggiore della base navale russa a
Sebastopoli, ha giurato fedeltà "al popolo della Crimea" impegnandosi a
"difenderlo".Berezovski,
nominato solo venerdì scorso al vertice della Marina ucraina dal
presidente ad interim Olexandre Tourtchinov, ha inoltre giurato di
"obbedire agli ordini del comandante supremo della Repubblica autonoma di
Crimea". Parole che il primo ministro di Crimea, Sergey Axionov, ha
salutato come un "evento storico", perché l'ammiraglio Berezovski
accettava di porsi "agli ordini delle autorità legittime della penisola",
che Kiev considera invece nominate in violazione della sua costituzione.Kiev
risponde alla defezione di Berezovski annunciando di averlo rimosso
dall'incarico e di indagarlo per alto tradimento dopo essersi rifiutato di
combattere i russi e di essersi invece arreso alla base russa di
Sebastopoli. Il nuovo comandante in capo della Marina ucraina è Serhiy
Hayduk.
Edimburgo contro Londra: “Senza sterlina non ci accolleremo nostra quota
debito”. La Scozia può rendersi indipendente a 3 secoli dall'Union Act.
Il 6 dicembre del 1922 il Regno Unito perdeva l'Irlanda
Nervi sempre più tesi dopo che il cancelliere dello scacchiere George
Osborne ha negato alla Scozia la possibilità di mantenere la moneta
inglese in caso di indipendenza. La paura principale dei britannici del
sud è che, appunto, si possa ripetere in scala isolana quello che sta
succedendo a livello europeo, con tutte le turbolenze della moneta unica
comunitaria
“Vogliamo continuare a tenere la vostra moneta e, se non ce la
concedete, non ci facciamo carico della nostra quota didebito
pubblico”, dicono ora gli scozzesi. “Assolutamente no, non
vogliamo una unione monetaria senza una politica federale, volete che
facciamo la fine dell’Eurozona?”, dicono gli inglesi.
Si giocherà soprattutto sul versante finanziario la lotta delle prossime
settimane fraLondraedEdimburgo.La
Scozia, come noto, voterà per l’indipendenza a settembre. Per ora pare
prevalere il fronte dei “no”, ma il battaglione dell’autonomia dal resto
delRegno
Unitocresce di
giorno in giorno. Il primo ministro scozzeseAlex
Salmond, del resto, ha stupito più di una volta in cabina
elettorale. Così, ora, nervi sempre più tesi a Londra, dopo che il
cancelliere dello scacchiere (ministro del Tesoro)George
Osborneha negato al
governo scozzese la possibilità di mantenere lasterlinain
caso diindipendenza.
La paura principale dei britannici del sud è che, appunto, si possa
ripetere in scala isolana quello che sta succedendo a livello europeo,
con tutte le turbolenze della moneta unica comunitaria. Però gli
scozzesi ribattono piccati e ipotizzano il rifiuto di accollarsi quei
146 miliardi di quota “nordica” del debito del Regno Unito.
Il calcolo, fatto dalNational
institute of economic and social research, porta anche a una
considerazione: il rapporto fra debito pubblico “ereditato” e Pil in una
Scozia indipendente sarebbe dell’80%. Troppo e troppo pericoloso per una
stabilità finanziaria di un nuovo Stato. Così, ecco la mossa di Salmond,
che annuncia la possibilità di sganciarsi anche dalla quota di debito.
Di scritto, tuttavia, c’è ancora ben poco, si tratta soprattutto di
annunci televisivi e ai comizi. Però la minaccia dimostra una guerra di
tensione fra Londra e Edimburgo che, molto probabilmente, come scrive
anche ilFinancial
Times, sarà la vera prova di questa lotta per l’indipendenza.
Lo stesso giornale sottolinea l’ambiguità
di Salmond. Se a fine anni Novanta voleva una Scozia nell’euro,
ora ecco arrivare la richiesta di mantenere la sterlina. Richiesta
negata e che, dicono gli analisti, potrebbe anche portare l’area più a
nord del Regno Unito a pratiche non proprio “eleganti”, come inventare
una valuta dal nulla, oppure, ancora peggio, continuare a usare la
sterlina informalmente, imitando – scrive il Financial Times –Panamae
il suo uso appunto “informale” del dollaro statunitense.
Una unione monetaria con il resto del Regno Unito vorrebbe dire, del
resto, una unica banca centrale. Cosa che non va a genio a Londra e
dintorni, dove si è sempre stati critici sull’esperienza europea e sui
travagli dell’euro. Intanto, aEdimburgoe
aGlasgow,
si teme che la finanza – anche in Scozia esiste, ed è anche forte –
possa emigrare più a sud, a Londra, per la paura dell’eventuale collasso
di una Scozia messa in grado di correre sulle proprie gambe. Le campagne
per il “sì” e per il “no” proseguono spedite, con il primo ministro
britannicoDavid
Cameronche è quasi
arrivato a implorare gli scozzesi, dicendo loro di riflettere bene prima
di votare.
Ma c’è un limite ben conosciuto nei palazzi del potere londinesi: una
eventuale ingerenza troppo forte da parte della capitale potrebbe
portare molti più abitanti del nord a scegliere per una Scozia
indipendente. E il regno, che è appunto “unito”, inizierebbe a sfaldarsi
lentamente, con ilGallesche
potrebbe cominciare a rivendicare la propriaautonomiae
con la ritrovata forza di molti altrimovimenti
indipendentisti. Ne esiste uno persino in Cornovaglia, placida
terra di villaggi di pescatori e di giardini fioriti. Inghilterra che
più Inghilterra non si può, ma non per questo priva di proprie
rivendicazioni.
Ucraina, fedelissimo di Timoshenko presidente. Ordinato arresto Yanukovich
E' Oleksandr Turchynov, braccio destro della pasionaria,
eletto dal Parlamento con un voto di dubbia legittimità. Nelle strade
verso l'aeroporto di Kiev, i manifestanti controllano le auto muniti di
mazze e foto degli ex ministri, affinché non scappino dal Paese.
Timoshenko: "Non mi candido a primo ministro". Il ministro dell'interno ha
annunciato il mandato contro l'ex con l'accusa di omicidio di massa
Piazza Maidan(che
significa “indipendenza” in ucraino, ndr),
cuore della protesta aKiev,
è tranquilla ma ancora presidiata dagli oppositori,raggiunti
venerdì sera daYulia
Timoshenko.Viktor
Yanukovich,
che ha tentato la fuga inRussia,
è sparito. I manifestanti, però, non
intendono lasciar scappare i ministri del governo decaduto e, lungo le
arterie che portano all’aeroporto di Kiev, hanno creato improvvisati checkpoint.
Lì, armati di mazze e bastoni,
controllano le auto per impedire che i ‘ricercati’ lascino il Paese e con
loro hanno deglielenchi
con le fotodei
responsabili dell’ex esecutivo. Lunedì mattina è stato emesso un mandato
di arresto per l’ex presidente ucraino Viktor Yanukovych con l’accusa di
omicidio di massa. Lo ha annunciato il ministro dell’InternoArsen
Avakovsu
Facebook. L’ex presidente sarebbe stato visto, secondo alcune
indiscrezioni non confermate, a Sebastopoli, il porto della Crimea base
della Flotta del Mar Nero della Marina russa.
Yanukovich rimane isolato anche dai compagni del partito
delleRegioni,
sua formazione politica, che lo scarica indicando lui e i suoi più stretti
collaboratori come “responsabili” delle violenze diKievin
cui, tra agenti e insorti, sono morte almeno 82 persone. Il suo successore
è già stato eletto dalParlamento,
anche se con un voto di dubbia legittimità. E’ Oleksandr
Turchynov, braccio destro della
pasionaria, che in 24 ore è diventato capo delParlamento,
premier e presidente. Entro martedì sarà completata la formazione di un
nuovo governo d’unità nazionale. La decisione di far diventare Turcinov
presidente ad interim è stata comunque supportata da 285 deputati su 450,
ma molti parlamentari della maggioranza non sono presenti in aula. Gli
attivisti diEuromaidanscrivono
sul loro profiloTwitterche
Timoshenko è tra i possibili candidati al ruolo di primo ministro insieme
a YatsenukePoroshenko.
Lei, però, in un comunicato precisa: ”Vi chiedo di non considerare la mia
candidatura”.
Arsen Avakov, nominato
dal Parlamento come nuovo ministro degli Interni ad interim, ha ordinato
di liberare 64 manifestanti arrestati durante i disordini a Kiev di questa
settimana. Il neo ministro inoltre ha annunciato un’indagine sulle
violenze perpetrate dalla polizia contro i manifestanti e per ora sono una
trentina i poliziotti accusati. Dall’inizio delle proteste, gli scontri
traoppositoriepolizia,
secondo il ministero dellaSalute,
hanno provocato 82 morti e 645 feriti. Le persone ricoverate in ospedale
sono 423. L’assemblea
legislativaha
inoltre abolito la legge voluta due anni fa dal deposto presidente che
concedeva questo status anche allalingua
russa. Fra gli altri provvedimenti
approvati vi sono stati la destituzione del ministro degli EsteriLeonid
Kozharae
della pubblica IstruzioneDmytro
Tabachny.
Europa e Stati Uniti- Il
cancelliere tedescoAngela
Merkelha
chiamatoVladimir
Putin e i due leader hanno convenuto
sulla necessità che l’Ucraina “abbia rapidamente ungovernocon
capacità operative e di preservare l’integrità territoriale del Paese”, ha
riferito il portavoce della Cancelliera Steffen
Seibert. Entrambi hanno sottolineato
l’interesse comune alla stabilità politica ed economica dell’Ucraina e
concordato di mantenersi in stretto contatto. Il capo della diplomazia Ue Catherine
Ashton conferma che lunedì sarà a Kiev
mentre il coordinatore dell’Onu per la pace in Medio OrienteRobert
Serryè
atteso in serata nella capitale. DagliStati
Uniti, il consigliere alla sicurezza UsaSusan
Rice ha spiegato che l’intervento
militare diMoscain
Ucraina “sarebbe un grave errore” per il presidente Putin.
I dimostranti nella capitale–
In piazza Indipendenza sono state allestite nuove tende. “Dobbiamo trovare
e punire coloro che hanno il sangue sulle loro mani”, ha detto il
manifestanteArtyom
Zhilyansky, ingegnere di 45 anni,
riferendosi alle vittime degli scontri con la polizia la scorsa settimana.
Come altri dimostranti anche Zhilyansky chiede che i capi della polizia
rispondano delle loro azioni e che ancheYanukovychvenga
processato. Ieri la ex premier ucrainaYulia
Tymoshenkoè
stata scarcerata dopo due anni di detenzione e, dopo avere lasciato la
città orientale diCharkiv,
si è subito recata a piazza Indipendenza, dove ha ricevuto un’accoglienza
trionfale dai circa 50mila manifestanti che erano radunati.
Nazionalizzata la faraonica villa di Yanukovich–
Nella residenza dell’ex presidente, a 20 chilometri da Kiev, sabato hanno
fatto irruzione i manifestanti che hanno trovatocampi
da golf,
zoo,galeoniefattoriespalmati
su 140 ettari(guarda
la gallery). L’ingresso della
folla nella magione è stato uno dei simboli della fine di un’era. La villa
diMezhighiria,
lungo le rive delDnipro,
è da tempo un simbolo della corruzione del governo appena caduto. Stando
ai detrattori, l’ormai ex presidente avrebbe privatizzato una casa
all’interno del parco e poi, attraverso una serie di atti governativi,
avrebbe affittato l’intera area a dueaziende,
che hanno demolito gli edifici sovietici per costruirne di nuovi. Dietro
queste due aziende ci sarebbe stato però lo stesso Ianukovich. Di lui,
però, nessuna traccia: il suo portavoce ha detto di non sapere dove si
trovi. Sabato l’aereo che lo trasportava non ha avuto il permesso di
decollare dalla città diDonetsk,
nell’est dell’Ucraina.
I colleghi di partito però, lo scaricano: “Condanniamo lavile
fugadi
Yanucovich, condanniamo iltradimento,
condanniamo gliordini
criminali“, si legge in un messaggio ai
“cari compatrioti” apparso oggi sul sito delPartito
delle Regioni, nel quale si parla di “Ucrainadelusa
e derubata” e del dolore di chi ha perso le persone care “dalle due parti”
dello scontro. “La responsabilità di tutto questo – prosegue il messaggio
– ricade su Yanucovich e la sua cerchia”. Il partito si dice pronto a
lavorare per unaUcraina“unita,
forte e indipendente”, sottolineando che “la differenza di opinioni e di
ideologie non può essere un ostacolo per lavorare assieme a beneficio del
Paese”.
Aiuti finanziari urgenti–
Il commissario europeo per gli affari economici e monetari,Olli
Rehn, ai margini delG20finanziario
diSidneyha
spiegato che l’Unione
europeaè
pronta ad offrire un pacchetto di aiuti finanziari all’Ucraina per
svariati miliardi di dollari “una volta raggiunta una soluzione politica,
sulla base di principi democratici, con l’impegno a avviare le riforme e
un governo legittimo”. Per evitare il default imminente, il ministro delle
Finanze russoAnton
Siluanovha
detto che Kiev dovrebbe chiedere un prestito alFondo
monetario internazionale, ma dovrebbe
soddisfare le richieste di difficili riforme strutturali.
LaRussiaa
dicembre ha offerto all’Ucraina un salvataggio da 15 miliardi di dollari,
ma finora ha fornito solo 3 miliardi, congelando ulteriori pagamenti in
attesa del risultato della crisi politica in corso. “Pensiamo che una
simile situazione incontrerebbe gli interessi dell’Ucraina, metterebbe il
Paese sul cammino verso riforme strutturali maggiori”, ha detto Siluanov,
secondo le agenzie di stampa russe. “Auguriamo loro successo per questa
impresa, e per una rapida stabilizzazione della situazione politica e
sociale”.
A differenza di Obama, Hollande e Merkel, il premier non boicotta
l'inaugurazione sul Mar Nero per avere più chanche di ospitare i
giochi del 2024 a Roma
I dipinti erano nascosti in un appartamento di Monaco di Baviera, dietro
scaffali pieni di cibo avariato. A tenerli nascosti, il figlio di un
collezionista, che li vendeva per vivere. Secondo gli esperti, i
capolavori valgono più di un miliardo di euro
Brasile, duri scontri a San Paolo
Protesta contro i Mondiali di calcio
(afp)RIO
DE JANEIRO-
Tornano le proteste e le manifestazioni
anti-Mondiali in Brasile, già viste nel giugno
scorso durante la Confederations Cup. Sono in corso
scontri tra polizia e manifestanti, in particolare
black-bloc, nel centro di San Paolo, dove si stava
tenendo una manifestazione di protesta contro lo
svolgimento del torneo iridato di calcio nel paese
sudamericano.
Filiali di banche e negozi sono stati presi di
assalto dai vandali, che hanno anche incendiato
alcune auto e cassonetti della spazzatura. E' stato
anche attaccato il McDonald's che si trova in rua
Barao de Itapetiniga. Saccheggiati dei negozi e una
concessionaria della Fiat che si trova in rua
Augusta. Le forze dell'ordine hanno reagito con il
lancio di gas lacrimogeni.
Circa 40 persone sono nel frattempo state fermate
dagli agenti.
Tutto era cominciatocon
una 'passeggiata', inizialmente pacifica, con
manifestanti che avevano letto il manifesto "Qui non
ci sarà il Mondiale" e che reggevano striscioni con
analoga scritta o che protestavano con le spese
"milionarie per gli stadi della Coppa". "Non venite
in Brasile", hanno urlato altre persone che
prendevano parte al corteo.
Manifestazioni di protesta, ma con minore
partecipazione popolare, ci sono state anche a Rio
de Janeiro, Curitiba e Natal.
Gli agenti hanno sequestrato finora 152 armi da fuoco e 4,7
chili di sostanze stupefacenti. Nel Daghestan un nuovo
attentato in cui ha perso la vita un assistente procuratore
regionale
Dopo i due attentati in meno di 24 ore a Volgograd la
polizia ha fermato 87 persone. I due attacchi terroristici
hanno provocato, ieri e domenica, la morte di 34 persone e
decine di feriti tra cui anche bambini. Gli
agenti hanno sequestrato finora 152 armi da fuoco e 4,7 chili
di sostanze stupefacenti.
Già dopo il primo attentato il presidenteVladimir
Putinaveva
ordinato un rafforzamento delle misure di sicurezza e
assicurato che iGiochi
Olimipici invernali di Sochi, al via tra poche
settimane, sarebbero stati sicuri. La Russia “continuerà a
lottare ardentemente e fermamente contro i terroristi fino al
loro completo annientamento” ha il leader del Cremlino in un
discorso di fine anno ripreso dall’agenzia Interfax.
Allo stato non c’è nessuna indicazione su eventuali
connessioni tra i fermati e gli attentati. Secondo le forze
dell’ordine, le persone fermate hanno opposto resistenza agli
agenti o non avevanodocumenti
d’identitào
di registrazione validi. All’operazione,
denominata “Vortice”, stanno partecipando 5.200 poliziotti.
Secondo il portavoce della polizia Andrei Pilipchuk, gli
agenti hanno già controllato 152 alberghi, 104 dormitori, 32
stazioni degli autobus, 23 stazioni ferroviarie, l’aeroporto e
tre porti fluviali, nonché 592 soffitte e 673 scantinati.
Secondo l’agenzia Itar-Tass, gli agenti stanno concentrando i
controlli suilavoratori
provenienti dal Caucaso, persone che secondo le
associazioni per la difesa dei diritti umani sono spesso
vittime di violenze da parte della polizia russa.
Per l’attentato di domenica alla stazione ferroviaria di
Volgograd, dove sono morte 18 persone, gli investigatori hanno
dapprima pensato a una vedova nera, la 26enne daghestana
Oksana Aslanova, poi però hanno detto che il kamikaze potrebbe
anche essere stato un uomo: Pavel Pecenkin, che nel 2012 si è
unito ai militanti del Daghestan dopo essersi convertito
all’Islam.
Intanto l’ondata di terrore non si ferma. Rasul Gasanov, un
assistente procuratore regionale è stato ucciso oggi da una
bomba piazzata sotto la sua Toyota a Buinaksk, nella
repubblica russa delDaghestan,
nel Caucaso settentrionale.
Irlanda del Nord, fallisce la trattativa: nessun patto per
processi e nuovi scontri
Il processo di pace sui fatti più recenti si trova ad un
bivio. Le cinque principali formazioni politiche non sono
riuscite a trovare un accordo. In 35 anni, oltre 3500 persone
hanno perso la vita nei "Troubles", gli scontri che hanno
caratterizzato il Paese, e oltre 3mila casi sono ancora
irrisolti
Un fallimento, conil
processo di pace ancora fermoa
un bivio. Non è bastata una maratona di incontri nella notte
fra lunedì 30 e martedì 31 dicembre, così un accordo fra le
cinque principali formazioni politiche dell’Irlanda del Nord
non è stato possibile. Il motivo principale del mancato patto
è stato il piano del mediatore, il diplomatico americanoRichard
Haass, di avviare una nuova stagione giudiziaria per
il riesame dei casi più controversi. In 35 anni,oltre
3.500 personehanno
perso la vita nel conflitto, più di3mila
casi sono ancora irrisolti. Decine di migliaia di
persone inoltre sono rimaste ferite oppure traumatizzate
psicologicamente, nei tribunali sono ancora in corso migliaia
di processi. La diplomazia internazionale e quella
dell’Irlanda del Nord cercavano, appunto, una soluzione. Ma la
firma congiunta non è arrivata, con un drammatico stop alle
negoziazioni all’alba di martedì, così ora si dovrà aspettare
ancora qualche mese per riprendere il dialogo.
I nodi del contendere erano tanti:gli
omicidi irrisolti dei Troubles, appunto, le bombe
dell’Ira, le marce spesso provocatorie dei lealisti e
l’esposizione di bandiere irlandesi da parte dei repubblicani,
tutti fattori che negli ultimi anni e anche negli ultimi mesi
hanno causato continue tensioni. Non passa giorno, nel Regno
Unito, senza cherisse,
sassaiole, pistolettateo
piccole bombe non compaiano sui quotidiani, vicende che magari
non fanno notizia a livello internazionale ma che tengono
sempre alta la tensione a Belfast e dintorni. Il tutto
nonostante gli accordi del Good Friday, che consentirono una
devoluzione dei poteri al parlamento di Belfast, ma che non
sono riusciti a porre un freno alle incomprensioni fra le due
comunità. Il diplomatico Haass aveva proposto anche
l’istituzione di un gruppo di studio e di lavoro per la
riconciliazione, ma anche questa proposta è stata bocciata e
rifiutata. IlDemocratic
unionist partye
il partito degliUlster
unionists, che hanno fortissimi legami con la chiesa
protestante, in particolare, sono stati molto critici nei
confronti del testo finale, ma ognuno dei cinque partiti ha
comunque trovato molti elementi “inaccettabili” nel documento.
Gerry Adams, presidente del partito repubblicanoSinn
Féin, poche ore prima delle negoziazioni aveva
dichiarato: “Finora è stato fatto tanto buon lavoro eil
mio partito farà il suo meglioper
trovare un accordo con le altre formazioni. Ogni partito
dell’Irlanda del Nord ha un dovere verso le future generazioni
e dobbiamoevitare
che fuggano in Scoziaon
in Inghilterra o in altri Paesi, come già sta avvenendo.
Dobbiamo portare la pace e l’uguaglianza a tutte le nostre
comunità”. Ma Adams ha anche poi rivelato di avereun
piano “B”per
l’imposizione di una roadmap, mostrando una fermezza spesso
ritenuta insufficiente da parte di molti repubblicani
nordirlandesi. Ora, nonostante la mancata firma, il testo
finale verrà comunque inviato al governo di Belfast, in modo
che possa discuterlo e trovare una quadra al problema.
“Speriamo anche in un supporto da parte dell’opinione
pubblica”, ha detto Haass. Lasciando intendere che, a volte,
la cittadinanza è ben più avanti della politica.
A Makhatchkala, un uomo ha sparato con un
lanciagranate.Poco dopo è esplosa un’autobomba. Dieci feriti. Le
esplosioni sono avvenute contemporaneamente al discorso di Putin alle tv
straniere, per assicurare che la Russia farà "di tutto" per garantire la
sicurezza dei Giochi
Un altro attentato colpisce laRussiaa
venti giorni dal via dei giochi diSochi.
A Makhachkala,
capitale del Daghestan,
il ristorante ”Impero
d’oro” è stato bersaglio dai colpi di lanciagranate e dall’esplosione di
un’autobomba. Per ora si contano solo una decina di feriti, ma il
livello di allerta è di nuovo al massimo. L’attentato arriva nel giorno
in cui il leader ceceno Ramzan
Kadyrov ha annunciato nuovamente la
scomparsa di Doku
Umarov, il Bin
Laden del Caucaso
del nord che dal 2007 tiene sotto scacco
il Cremlino e
che ora minaccia sangue anche sui giochi di Sochi.
Le esplosioni sono avvenute contemporaneamente al
discorso del presidente russo Vladimir
Putin alle televisioni straniere, per
assicurare che la Russia farà “di tutto” per garantire la sicurezza dei
Giochi che inizieranno il 7 febbraio. Nel suo intervento,Putinha
fatto riferimento anche agliomosessuali,
che possono sentirsi i benvenuti alle Olimpiadi, ma “devono lasciare in
pace i minorenni”.
Finora l’hanno dato per morto almeno sei volte, maKadyrovstavolta
ha affermato di avere nuove prove: l’intercettazione di una
conversazione tra cosiddetti “emiri” delDaghestane
dellaKabardino-Balkariache
discutono l’elezione del successore del sedicente Emiro del CaucasoDoku
Umarovin
seguito alla sua morte. Nel colloquio ciascuno sostiene il proprio
candidato, anche se stranamente l’emiro dellaKabardino-Balkariapropone
un capo daghestano mentre i daghestani insistono per un certoVadalov,
nato inCecenia.
“Eravamo sicuri al 99% cheUmarovfosse
stato ucciso in una operazione. Ora abbiamo la prova che è morto, anche
se il suo corpo non è ancora stato trovato. Lo stiamo cercando”, ha
scritto sul suo account InstagramKadyrov,
che già il 18 dicembre aveva annunciato l’eliminazione del capo della
guerriglia caucasica. I servizi segreti russi, tuttavia, non confermano:
“Non abbiamo un’informazione simile”, ha precisato una loro fonte.
La prima volta cheUmarovè
stato dato per morto risale addirittura al 2000, poi in altre occasioni,
prima e dopo il 2007, quando ha raccolto il testimone diShamil
Basaev, il ‘leggendario’ padre del
terrorismo ceceno ucciso l’anno prima in circostanze mai ben chiarite.
Fu lui a firmare, tra l’altro, la presa degli ostaggi al teatroDubrovka(2002)
e quella della scuola diBeslan(2004).
ConUmarovperò
la guerriglia cecena si è trasformata da una battaglia secessionista a
una guerra di religione per creare unEmirato
islamiconel
cuore del Caucaso. Sempre a colpi di attentati: dal trenoMosca-San
Pietroburgonel
2009 (28 morti) alle ‘vedove nere’ che si sono lasciate esplodere nella
metro diMoscanel
2010 (38 morti), al kamikaze all’aeroportoDomodedovodi
Mosca (37 morti).
Grandi stragi in mezzo ad una scia quasi quotidiana di
attacchi minori nelle varie regioni caucasiche, in particolare in
Daghestan, come quello di stasera al ristorante ‘Impero d’orò, dove un
uomo ha sparato con un lanciagranate e un’autobomba è esplosa all’arrivo
dei poliziotti. Nessuna rivendicazione al momento è arrivata però per i
tre recenti attentati kamikaze aVolgograd:
due su un bus (21 ottobre, 7 morti; 30 dicembre, 16 morti) e uno allastazione
ferroviaria(29
dicembre, 18 morti). Potrebbe essere forse un segno cheUmarovè
morto davvero e che la guerriglia è ancora viva, in attesa di un nuovo
capo. Ma quella diKadyrovpotrebbe
essere anche una trappola, un modo per costringere ilBin
Ladenrusso
a battere un colpo, consentendo alle forze di sicurezza, ora dispiegate
alla massima potenza in vista diSochi,
di individuarlo. Per ora comunque resta il ricercato numero uno inRussiae
su di lui pende anche una taglia di 5 milioni di dollari offerta anche
dagliUsa.
La Casa Bianca è pronta a fornire nuovi armamenti al governo
iracheno per stanare le cellule di al-Qaeda attive nel Paese,
che questa settimana hanno conquistato importanti città come
Falluja (RASA AL SUOLO DAGLI STATUNITENSI NEL 2004) e Ramadi
BAGDAD - Le recenti vittorie di al-Qaeda in Iraq preoccupano
la Casa Bianca, che ha fatto sapere che nelle prossime
settimane invierà al governo di Bagdad 58 droni (gli aerei
guidati a distanza) per scovare i nascondigli dei miliziani di
al-Qaeda che operano sul territorio. I 10Scan
Eaglee
i 48Ravenpromessi
dovrebbero essere inviati disarmati entro la fine dell'anno,
mentre per la primavera è prevista la fornitura di missili
anticarroHellfireda
montare su elicotteri da guerra. Al momento, però, la Casa
Bianca non sembra aver intenzione di mandare soldati di terra
in aiuto del premier, Nouri al Maliki.
La situazione era andata fuori controllo meno di una settimana
fa, quando al-Qaeda aveva conquistato Falluja issando le
bandiere nere dell'organizzazione terroristica sulla città,
che dista circa 50 chilometri dalla capitale Bagdad. Secondo
uno sceicco locale, Ali al-Hammad, i combattenti islamici
hanno lasciato la città dopo la controffensiva dell'esercito
regolare avvenuta nei giorni scorsi, sebbene alcuni testimoni
riferiscono che ci siano ancora miliziani attivi in zona.
Maliki ha comunque esortato i cittadini delle città assediate
dai miliziani a combattere per impedire che al-Qaeda prenda il
controllo del Paese.
A seguito della conquista di Falluja,la
scorsa domenicaal-Qaeda
ha provocato una strage di civili a Bagdad che ha fatto 19
morti. In questa situazione instabile per il Paese, Iyad
Allawi, leader del principale blocco laico sciita di
opposizione al governo, ha detto che se il premier Maliki non
imprimerà una svolta "trascinerà il Paese al disastro". Allawi
ha poi puntato il dito anche contro la comunità
internazionale, "colpevole della situazione di instabilità
politica".Nel frattempo anche l'Iran, il nemico storico dell'
Iraq guidato dall'Ex dittatore, Saddam Ussein, tendeuna
mano a Maliki: secondo un comandante dell'esercito iraniano,
il generale Mohammad Hejazi, la repubblica islamica è pronta a
combattere i terroristi di al-Qaeda nella provincia ovest di
Anbar, a maggioranza sunnita, e ha fornire armamenti nel caso
le venissero chiesti. "L'Iraq è nostro amico - ha detto il
generale - e Theran è amica del governo sciita di Maliki.
Era glaciale in arrivo? Esperti Usa e Messico confermano
ipotesi
Scienziati statunitensi e
messicani confermano la teoria del russo Abdussamatov: una
nuova era glaciale sta arrivando, inizierà nel 2014
Il clima terrestre si sta raffreddando: è ciò
che sostiene, ormai da anni, lo scienziato russo Habibullo
Abdussamatov.
Secondo tale ipotesi, dal 2014 assisteremo ad una graduale
diminuzione delle temperature che porteranno il nostro pianeta
a vivere una piccola “Era Glaciale”.
Dinamica del cambiamento.
Il clima del Nord Europa,
compreso quello del Regno Unito, diverrà presto gelido, con
inverni simili a quelli siberiani,
ma ripercussioni anche per le altre stagioni. L’Europa
meridionale subirà un cambiamento meno drammatico, ma
certamente rilevante. Le simulazioni indicano che il raffreddamentopotrebbe
raggiungere il picco nel 2050,
per poi durare per tutto il resto del secolo.
La colpa? Tutta dell’attività solare, che indebolendosi,
influenzerebbe significativamente la temperature terrestre.
Secondo Abdussamatov, il riscaldamento globale
nel corso degli ultimi decenni del ventesimo secolo non è
legato alla CO2,
ma alla de-gassificazione di grandi quantità di biossido di
carbonio rilasciato in atmosfera dagli oceani a causa della
radiazione solare.
A supporto della propria teoria ci sarebbero una serie di
fattori:
-I cinque periodi di freddo dell’ultimo millennio (nel 1030,
1315, 1500, 1680 e 1805) si sono verificati tutti durante
minimi dell’attività solare, i cosiddetti Minimi di Maunder.
-Il “global warming” s’è verificato nel secolo scorso anche su
Marte e sugli altri pianeti del sistema solare, senza il
concorso di gas serra.
-Negli ultimi 15-17 anni la temperatura media del pianeta, non
è più salita.
Gli ultimi dati di temperatura media a livello globale
evidenziano effettivamente una “frenata” del surriscaldamento
terrestre. Il grafico sottostante mostra le anomalie termiche
media mensili a partire dal 1958 misurate con l’ausilio dei
satelliti. Si evidenzia la salita della temperatura a partire
dalla metà degli anni ’70 fino ai primi anni 2000 e una
successiva stazionarietà o addirittura leggero calo. E’
inoltre plottata la curva che rappresenta le concentrazioni di
CO2 rilevate dall’Osservatorio di Mauna Loa (Hawaii); il
differente andamento proprio a partire dagli anni duemila
suggerisce che l’aumento di CO2 non porta necessariamente ad
un aumento della temperatura, o meglio, è solo uno dei fattori
che però in questo caso non risulta predominante. I dati di
anomalia sono calcolati in base al periodo 1998-2006, una
scelta dell’autore (Ole Humlum, Climate4you), dettata dalla
vicinanza del suddetto periodo ai giorni nostri.
Vista la “pazza” Primavera che abbiamo vissuto, notizie del
genere trovano la strada in discesa, ma è d’obbligo scendere
col freno tirato. La condizione climatica che abbiamo vissuto
(e che stiamo tutt’ora vivendo) è il frutto di un’anomaliae
non può essere definito uno scenario climatico (che
riguarda condizioni climatiche permanenti per tempi molto più
lunghi).Resta comunque da vedere quale sarà il comportamento
del clima nei prossimi mesi ma soprattutto nei prossimi anni,
e soprattutto sarà necessario valutare meglio l’influenza del
Sole, il primo imputato nell’eterno contrasto tra sostenitori
del Global Warming e decisi oppositori dello stesso.
La Casa Bianca è pronta a fornire nuovi armamenti al governo
iracheno per stanare le cellule di al-Qaeda attive nel Paese,
che questa settimana hanno conquistato importanti città come
Falluja (RASA AL SUOLO DAGLI STATUNITENSI NEL 2004) e Ramadi
BAGDAD - Le recenti vittorie di al-Qaeda in Iraq preoccupano
la Casa Bianca, che ha fatto sapere che nelle prossime
settimane invierà al governo di Bagdad 58 droni (gli aerei
guidati a distanza) per scovare i nascondigli dei miliziani di
al-Qaeda che operano sul territorio. I 10Scan
Eaglee
i 48Ravenpromessi
dovrebbero essere inviati disarmati entro la fine dell'anno,
mentre per la primavera è prevista la fornitura di missili
anticarroHellfireda
montare su elicotteri da guerra. Al momento, però, la Casa
Bianca non sembra aver intenzione di mandare soldati di terra
in aiuto del premier, Nouri al Maliki.
La situazione era andata fuori controllo meno di una settimana
fa, quando al-Qaeda aveva conquistato Falluja issando le
bandiere nere dell'organizzazione terroristica sulla città,
che dista circa 50 chilometri dalla capitale Bagdad. Secondo
uno sceicco locale, Ali al-Hammad, i combattenti islamici
hanno lasciato la città dopo la controffensiva dell'esercito
regolare avvenuta nei giorni scorsi, sebbene alcuni testimoni
riferiscono che ci siano ancora miliziani attivi in zona.
Maliki ha comunque esortato i cittadini delle città assediate
dai miliziani a combattere per impedire che al-Qaeda prenda il
controllo del Paese.
A seguito della conquista di Falluja,la
scorsa domenicaal-Qaeda
ha provocato una strage di civili a Bagdad che ha fatto 19
morti. In questa situazione instabile per il Paese, Iyad
Allawi, leader del principale blocco laico sciita di
opposizione al governo, ha detto che se il premier Maliki non
imprimerà una svolta "trascinerà il Paese al disastro". Allawi
ha poi puntato il dito anche contro la comunità
internazionale, "colpevole della situazione di instabilità
politica".Nel frattempo anche l'Iran, il nemico storico dell'
Iraq guidato dall'Ex dittatore, Saddam Ussein, tendeuna
mano a Maliki: secondo un comandante dell'esercito iraniano,
il generale Mohammad Hejazi, la repubblica islamica è pronta a
combattere i terroristi di al-Qaeda nella provincia ovest di
Anbar, a maggioranza sunnita, e ha fornire armamenti nel caso
le venissero chiesti. "L'Iraq è nostro amico - ha detto il
generale - e Theran è amica del governo sciita di Maliki.
Datagate, Obama presenta riforma Nsa. Ma non modifica il sistema
di spionaggio. Snowden e Wikiliks non hanno insegnato un cazzo....
Il presidente americano annuncia che il programma di
intercettazioni, "nella sua forma attuale, è finito". Non accenna
però al controllo delle e-mail, uno dei principali campi di
violazione della privacy in questi anni
“Il programma di intercettazioni telefoniche
dellaNational
security agency, nella sua forma
attuale, è finito”. Lo ha annunciatoBarack
Obamain
un discorso – a lungo atteso e pubblicizzato dalla Casa Bianca –
dal podio del dipartimento di Giustizia americano. Obama ha
parlato per poco meno di un’ora, passando da dettagli tecnici a
complesse ricostruzioni storiche. Il suo obiettivo era quello di
placare le polemiche internazionali e il disagio della sua
opinione pubblica di fronte alle complesse e intrusive politiche
di controllo della Nsa, l’agenzia governativa di
intelligence coinvolta nello scandalo Datagate.
Alla fine il presidente ha proposto alcune
riforme – maggiori controlli giudiziari sull’attività delleagenzie
di intelligence, limiti allo
spionaggio dei leader dei Paesi amici – senza però davvero mettere
in discussione il sistema di controlli e violazioni dellaprivacyinstaurato
dopo l’11 settembre.
La riforma più significativa presentata da Obama
riguarda chi dovrà conservare i database con le informazioni sulle
telefonate di milioni di cittadini, americani e non. Obama ha
detto che non sarà più il governo Usa a mantenere il controllo dei
dati, che invece potrebbero essere conservati dalle società di
comunicazione. Ma Obama ha anche precisato che sarà necessario
“fare un lavoro più approfondito” e ha chiesto all’attorney
generalEric
Holderdi
formulare una proposta più dettagliata entro il 28 marzo. Intanto,
ha aggiunto, le autorità investigative Usa perseguiranno soltanto
quegli individui che presentano “due gradi, e non più tre”, di
separazione da un presuntocomplotto
terroristico.
Questo significa che le indagini dovrebbero
essere più limitate e in qualche modo garantiste. Un’altra
modifica, presentata dal presidente Usa, riguarda la possibilità
per la Nsa e le altre agenzie di intelligence di indagare e
intercettare leconversazioni
telefoniche. La richiesta dovrà
passare d’ora in poi attraverso un tribunale, che sorveglierà
sulle attività della Nsa. Obama, hanno fatto notare subito alcuni
critici, ha però soltanto fatto riferimento alle “conversazioni
telefoniche”, non accennando allo spionaggio dellee-mail,
uno dei principali campi di violazione della privacy in questi
anni. Come ha fatto notareGlenn
Greenwald, il giornalista che
conEdward
Snowdenha
dato il via al Datagate, Obama non ha messo minimamente in
discussione l’architettura teorica che ha condotto alle
violazioni.
“Saranno le società di comunicazione private a
conservare i database? – ha twittato Greenwald -. Ma è proprio
necessario immagazzinare queste informazioni?” Un’altra riforma
annunciata da Obama ha riguardato le intercettazioni deileader
stranieri. “Non spieremo più i
leader dei Paesi amici”, ha spiegato, aggiungendo però subito dopo
un passaggio più ambiguo. “Questo non significa che verremo meno
alla nostra capacità di raccogliere informazioni ovunque”. Obama è
arrivato al discorso sulla riforma della Nsa dopo settimane di
incontri e colloqui alla Casa Bianca con deputati, senatori,
membri della comunità di intelligence, esperti disistemi
di sorveglianza, militanti dei
diritti civili. Da mesi la Nsa, ma anche l’Fbi e la Cia,
insistevano perché il presidente non facesse troppe concessioni.
Alla fine il discorso di Obama, e le sue
proposte, appaiono un compromesso tra chi chiede limiti a
un’attività di spionaggio che appare troppo invasiva e chi invece
ritiene che le necessità della sicurezza siano prioritarie. A
molti osservatori non è comunque sfuggito che nella proposta di
riforma di Obama mancano molte delle 46 recommendation elaborate
dalla Commissione istituita dal presidente per riformare la Nsa.
Manca per esempio il punto relativo allenational
security letters, le richieste
del governo americano alle società di comunicazione per l’apertura
dei propri archivi. Lesocietà
hi-techavrebbero
voluto che le richieste fossero approvate da una corte. L’Fbi si è
opposta, citando presunti rallentamenti nelle indagini e alla fine
il presidente ha ceduto.
E’ assente dalla proposta di riforma di Obama
anche un altro punto fortemente richiesto dalle società dellaSilicon
Valley, che negli ultimi mesi
hanno lamentato crolli di vendite per i loro software in Europa
per i timori sulla possibilità del governo americano di condurrecyber-attacchie
violare i sistemi di criptazione dei dati. Obama non ha fatto
alcun riferimento alla questione, deludendo i top executives delle
società che, di fronte a minacce di boicottaggio che vanno dallaGermaniaallaCina,
stanno cercando di sviluppare prodotti “resistenti alla Nsa”.
Per il resto il discorso è stato tutto rivolto a
riaffermare che gli Stati Uniti non violano i trattati
internazionali sulla privacy, che nessun membro della comunità
dell’intelligence americana intende entrare nella vita e nel
privato dei semplici cittadini e che i sistemi di controllo hanno
l’unico scopo di tutelare la sicurezza. Obama ha riconosciuto che
“il dibattito attuale è importante”, ma non ha ricordato che
l’attuale dibattito è stato innescato da un cittadino americano,
Edward Snowden, che in questo momento è ricercato dalle autorità
federali del suo Paese pertradimento.
Abu Omar, chiesta condanna a 6 anni e 8 mesi per
l'ex imam.La
sentenza il 6 dicembre
L'accusa è terrorismo internazionale. La richiesta
di pena arriva dieci anni dopo il suo rapimento a
opera della Cia avvenuto il 17 febbraio del 2003. Il
sequestro portò all'inchiesta su alcuni agenti del
Sismi guidato da Nicolò Pollari
MILANO -Sei
anni e 8 mesi con l'accusa di terrorismo
internazionale. E' quanto ha chiesto il procuratore
aggiunto Maurizio Romanelli per Abu Omar, l'ex imam
della moschea di viale Jenner a Milano, a oltre 10
anni di distanza dal suo rapimento a opera della Cia,
avvenuto il 17 febbraio del 2003. Sequestro che
portò all'inchiesta su alcuni agenti del Sismi
guidato da Nicolò Pollari. Abu Omar è processato in
contumacia perché si trova in Egitto.
La richiesta di condanna è stata formulata dal pm al
giudice per l'udienza preliminare Stefania Donadeo,
davanti al quale è in corso il procedimento con rito
abbreviato. La sentenza è prevista per il 6
dicembre.
Abu Omar, prima di essere sequestrato nel 2003 a
Milano dalla Cia in un'operazione di 'extraordinary
rendition' e portato in Egitto dove fu anche
torturato, era sotto indagine con l'accusa di
associazione per delinquere con finalità di
terrorismo internazionale nell'ambito dell'inchiesta
coordinata dai pm del pool 'antiterrorismo' Armando
Spataro e Ferdinando Pomarici. Tanto che gli stessi
pm, che poi iniziarono ad indagare sul sequestro
messo in atto dalla Cia, nel 2005 ottennero un
mandato di cattura per l'ex imam. Ma non ebbero mai
risposte dall'Egitto, anche quando chiesero di
poterlo interrogare.
IL RACCONTO di Abu Omar: "La mia vita spezzata"
Oggi è iniziato il processo con rito abbreviato in
contumacia, con l'ex imam che è difeso dall'avvocato
Carmelo Scambia. Abu Omar deve rispondere di aver
fatto parte tra il 2000 e il 2003, assieme ad altri
13 stranieri (molti dei quali già condannati in via
definitiva) di una associazione che aveva lo "scopo
di compiere atti di violenza con finalità di
terrorismo in Italia e all'estero all'interno di
un'organizzazione sovranazionale localmente
denominata con varie sigle (tra cui 'Ansar Al Islam')".
Associazione che avrebbe operato "sulla base di un
complessivo programma criminoso condiviso con
similari organizzazioni attive in Europa, Nord
Africa, Asia e Medio Oriente".
Secondo l'accusa, tra gli appartenenti a tale
organizzazione figurano el-Ayashi Radi Abd el-Samie
Abou el-Yazid (alias Merai), Muhamad Majid (alias
Mullah Fouad), Abderrazak Mahjoub, Bouyahia Maher
Ben Abdelaziz, Housni Jamal (alias Jamal al-Maghrebi),
Mohamed Amin Mostafa, Mohammed Tahir Hammid, Ciise
Maxamed Cabdullaah, Daki Mohammed, Toumi Ali Ben
Sassi, Trabelsi Mourad, Drissi Noureddine e Hamraoui
Kamel Ben Mouldi.
Il procedimento si tiene a diversi anni di distanza
dai fatti contestati proprio a causa del sequestro
dell'imputato, che ha intralciato l'indagine svolta
dalla Digos sotto il coordinamento del procuratore
aggiunto Armando Spataro. Risalgono al 2005 i due
provvedimenti di cattura emessi poi nei suoi
confronti e negli anni successivi il magistrato ha
più volte chiesto invano all'Egitto lapossibilità
di interrogarlo prima della chiusura dell'indagine,
che poi è stata ereditata da Romanelli.
Per il sequestro di Abu Omar, intanto, nel settembre
2012 sono stati condannati in via definitiva 23
agenti della Cia, mentre per il 16 dicembre è
fissata in Cassazione l'udienza per l'ex vertice del
Sismi Nicolò Pollari e il funzionario Marco Mancini,
condannati rispettivamente a dieci e a nove anni di
reclusione.
I dipinti erano nascosti in un appartamento di Monaco di Baviera, dietro
scaffali pieni di cibo avariato. A tenerli nascosti, il figlio di un
collezionista, che li vendeva per vivere. Secondo gli esperti, i
capolavori valgono più di un miliardo di euro
I dipinti erano nascosti in un appartamento di Monaco di Baviera, dietro
scaffali pieni di cibo avariato. A tenerli nascosti, il figlio di un
collezionista, che li vendeva per vivere. Secondo gli esperti, i
capolavori valgono più di un miliardo di euro
Due anni e mezzo fa l'annuncio al parlamento tedesco di un piano di
cinque punti per l'Energiewende, per far uscire la Germania dal
nucleare entro il 2022. Ma la strada va in un altro senso
Egitto, il referendum sulla Costituzione è un plebiscito. Ma
l’affluenza è solo al 38%
I dati sono ancora ufficiosi. Raggiungono il 96,2% i "sì" alla
Carta voluta dal governo militare del generale El Sisi. L'esercito
parla di "vittoria per la democrazia", ma il risultato è macchiato
dall'alto livello di astensionismo. La consultazione arriva a
seguito di una vasta repressione delle opposizioni, soprattutto
nei confronti dei Fratelli Musulmani
Un plebiscito, il 96,2% di“sì”
per la Costituzione, consacra ilgoverno
militareche
lo scorso luglio ha destituito il presidenteMohammed
Morsi. I dati sono ancora
ufficiosi – la commissione elettorale li annuncerà oggi – ma sono
già sufficienti all’esercito per parlare di“vittoria
della democrazia”. L’unico punto
debole, e che tradisce le aspettative, è l’affluenzadel
38,5%, solo cinque punti percentuali in più del referendum sulla
Costituzione islamista del 2012.
Nei dati divisi per governatorato il“no”non
supera mai la soglia del 7 per cento, un chiaro segnale che la
parte di opinione pubblica egiziana in disaccordo con la carta ha
preferito l’astensionismoe
ha accolto l’invito deiFratelli
Musulmanie
di diversi gruppi rivoluzionari. Intanto, cresce sempre di più
l’attesa sulle prossime mosse del capo delle forze armateEl
Sisie
sulla sua probabile candidatura. I media egiziani dipingono il
generale come un predestinato alla guida del paese mentre per le
strade del paese non c’è prodotto, dalle t-shirt alle cupcakes,
che non abbia la sua immagine.
Questa adorazione popolare si respirava anche alle
urne dove il “sì” alla costituzione era spesso associato alla
candidatura del generale. “Io credo che molta gente potrebbe
restare delusa se non partecipasse alle elezioni”, spiegava Magda
mercoledì scorso mentre era in fila per votare nel seggio di
Zamalek. Al momento sembra che le elezioni presidenziali
potrebbero svolgersi prima delle parlamentari. In merito al
disaccordo nella costituente, spetta alla presidenza emettere un
provvedimento ad hoc.
La vittoria di El Sisi, nel caso di una sua
candidatura, sarebbe resa più semplice anche da un’ opposizione
resa sempre più debole dalla repressione dei militari. La grande
macchina elettorale dei Fratelli Musulmani, è stata completamente
decapitata. Quasi tutti i suoi vertici sono incarcerementre
il movimento circa un mese fa è stato dichiarato un’organizzazione
terroristicadal
nuovo governo egiziano. Inoltre, la sua costola politica, il
partitoGiustizia
e Libertà, è ormai fuori legge
perché la nuova costituzione, tramite l’articolo 74, bandisce gli
schieramenti fondati su base religiosa.
Per quanto riguarda i partiti laici, la
maggioranza ha deciso di appoggiare il governo sin dal giorno
della deposizione di Morsi causando un’implosione delFronte
di Salvezza Nazionaleche
ha annunciato il suo scioglimento. Restano i rivoluzionari, anche
loro con diversi leader in carcere dal noto bloggerAlaa
Abdel FattahadAhmed
Maher, fondatore del movimento 6
aprile.
Sono loro a pagare il prezzo più alto di questa
polarizzazione politica mentre, annaspando nella repressione,
continuano a fronteggiare diversi problemi di organizzazione e la
difficoltà di trovare unità su un eventuale leader in vista delle
elezioni. L’ultima speranza, con alti e bassi, era stataMohammed
El Baradei. La storia è nota: il
suo Fronte di Salvezza Nazionale ha appoggiato l’autoritarismo
dell’esercito voltandogli le spalle. Le sue dimissioni dal governo
transitorio, e il conseguente abbandono della vita politica,
restano uno dei fallimenti politici più grandi per chi pensava di
trovare in lui un degno rappresentate delle richieste di piazza
Tahrir.
Nonostante ciò molti analisti avvertono che la
candidatura del capo delle forze armate potrebbe essere un errore.
La crisi economica egiziana resta una delle più dure della storia
e il governo per ora fa cassa solo grazie ai prestiti stranieri.
Lo scenario, dunque, è sempre lo stesso che porto gli egiziani a
ribellarsi controMubaraknel
2011 e poi, dopo appena un anno di governo, contro Morsi lo scorso
30 luglio. “Ora tutti amano El Sisi ma la gente continua a morire
di fame”, afferma l’attivistaOmar
Robert Hamilton. “La situazione
è drammatica e la rabbia sociale, repressione o meno, potrebbe
tornare nelle strade anche con El Sisi”.
JpMorgan patteggia con governo Usa: 13 miliardi dollari per i mutui
subprime
Senza precedenti l'importo dell'accordo per risolvere le dispute sui
titoli simbolo della crisi. Sei miliardi andranno agli investitori,
4 ai proprietari di case, tre all'erario come sanzione. Il
procuratore Schneidermann: "Necessaria assunzione di responsabilità
per negligenze che hanno portato al collasso dell'economia"
JpMorganpatteggia
con gliStati
Unitiil
pagamento di13
miliardi di dollariper
risolvere le dispute suimutui
subprime. Si tratta di unaccordo
storico, il maggiore mai raggiunto con una singola banca.
Lo annuncia il procuratore generale di New York,Eric
Schneiderman.
Il patteggiamento invia un segnale chiaro: le indagini del
Dipartimento di Giustizia sulle frodi finanziarie sono lontane
dall’essere terminate. Lo afferma il ministro della Giustizia
americano,Eric
Holder. L’accordo riguarda la vendita di Rmbs (residential
mortgage-backed security), i titoli legati ai mutui, di JPMorgan,Bear
StearnseWashington
Mutual prima del primo gennaio 2009.
In giornata erano filtrate indiscrezioni su quello che è l’accordo
più imporante in termini economici mai raggiunto tra un governo e
una società. Il patteggiamento prevede che la banca paghipiù
di 6 miliardi per compensare gli investitori,4
miliardi per aiutare i proprietarie
il resto come multa. L’accordo supera di molto quello record da 4
miliardi di dollari raggiunto a novembre daBpcon
le autorità americane a proposito delle accuse penali per il
disastro della marea nera.
Le ultime ore sono state decisive per l’intesa, rimuovendo gli
ultimi ostacoli, ovvero l’intesa su un pacchetto di 4 miliardi di
dollari di aiuti ai proprietari di casa in difficoltà e l’assunzione
di responsabilità per gli errori di Washington Mutual prima
dell’acquisizione da parte di JPMorgan, cheammette
di aver venduto deliberatamente prodotti inadatti ai clienti.
Inclusi nel conto i 4 miliardi di dollari che JPMorgan si è già
impegnata a pagare in precedenza alla Federal Housing Finance Agency
(Fhfa).
Soddisfatto dell’accordo il procuratore generale di New York
Schneiderman: “Fin dal mio primo giorno in carica, ho insistito sul
fatto che ci debba essere l’assunzione di responsabilità a fronte di
negligenze che si sono tradotte nel crollo del mercato immobiliare e
nel collasso dell’economia americana” afferma. In base all’intesa,New
York riceverà 1,3 miliardi di dollari, di cui 400 milioni
di dollari di aiuti ai proprietari di casa e 613 milioni di dollari
in contanti.
L’intesa rappresenta un significativo progresso per JPMorgan nel
lasciarsi dietro le spalle parte delle battaglie legali. La banca
guidata da Jamie Dimon ha pagato nelle ultime settimane oltre un 1
miliardo di dollari per chiudere le indagini sulla ‘Balena di
Londra’, il trader Bruno Iksil che ha assunto posizioni talmente
importanti sul mercato dei derivati da influenzarne l’andamento. Le
scommesse di Iksil sono costate a JPMorganperdite
per più di 6 miliardi di dollarie
hanno messo in dubbio la governance della banca. Dimon, il
“maghetto” di Wall Street era in corsa, prima del fiasco, per il
posto di segretario al Tesoro.
Globalizzazione, il cardinale Maradiaga: “E’ come il comunismo e il
nazismo”
La denuncia del coordinatore degli "otto saggi" scelti da Papa
Francesco per elaborare una riforma della Curia romana nel suo libro
"Senza etica niente sviluppo"
“La globalizzazione come comunismo e nazismo”. Parola del cardinaleÓscar
Rodríguez Maradiaga, coordinatore degli “otto saggi” scelti
da Papa Francescoper
elaborare una riforma della Curia romana e consigliarlo nel governo
della Chiesa. “Come il comunismo e il nazionalsocialismo – scrive
il porporato salesiano nel suo ultimo libro “Senza etica niente
sviluppo”, pubblicato dalla Emi, che ilfattoquotidiano.it ha
letto in anteprima – ogni sistema di organizzazione del mondo che
sacrifichi la realtà dell’esistenza umana a un’ideologia cieca è da
condannare. Laglobalizzazioneha
creato la percezione che le possibilità di consumo e di godimento
siano illimitate. E quando i mezzi necessari per raggiungere questi
bisogni vengono meno, allora affiorano sentimenti di risentimento e
difrustrazione“.
In un altro passaggio l’arcivescovo di Tegucigalpa in Honduras e
presidente di Caritas internationalis sottolinea che “lemorti
per famesuperano
quelle causate dalle mitragliatrici e dai campi di concentramento
vecchia maniera (nazisti o sovietici) o moderni (come i campi di
‘accoglienza’ per i migranti), o dai ghetti per le minoranze”.
Parole importantissime anche perché sono pronunciate da uno dei
porporati più vicini a Papa Francesco che, dopo aver svolto il ruolo
di grande elettore nel conclave che ha eletto Bergoglio, è stato
subito scelto dal Pontefice argentino per lavorare alla riforma
della Curia romana nello spirito della collegialità richiesta dai
cardinali durante le congregazioni generali che hanno preceduto le
votazioni nellaCappella
Sistina.
Nel suo libro “Senza etica niente sviluppo” Maradiaga, considerato
tra i papabili già nel conclave del 2005 successivo alla morte di
Giovanni Paolo II, sottolinea che oggi nel mondo c’è il maggior
numero di miliardari mai registrato finora (1226) ma, ci sono 925
milioni di persone che soffrono la fame. “Solo negli Stati Uniti –
denuncia Maradiaga – si sono spesi 50 miliardi di dollari in cibo
per animali domestici l’anno scorso, la stessa cifra promessa dal G8
nel 2005 ai Paesi più poveri, promessa che ancora non è stata
mantenuta. In Cina laGeneral
Motorsvende
un’auto ogni 12 secondi, mentre ogni 12 secondi un bambino muore di
fame nel mondo. La globalizzazione – precisa il porporato – ha molte
contraddizioni, è complessa e ambigua. Il modo in cui la gestiamo è
la chiave del nostro lavoro e della nostra responsabilità per il
futuro”.
Il cardinale salesiano sottolinea, inoltre, che se da un lato il
numero di persone che vivono in povertà estrema è dimezzato negli
ultimi tre decenni, dall’altro l’ineguaglianzaè
arrivata a livelli mai raggiunti prima. “Lo sviluppo tecnologico e
il sistema economico neoliberista come unico progetto globale –
sostiene Maradiaga – hanno portato con sé la dura realtà del mercato
-casinò e del capitalismo senza regole, dove è normale scommettere
sui titoli e sull’andamento dei mercati al solo scopo di ottenere un
profitto slegato dall’economia
reale“. La denuncia del porporato è chiara: “Si sta creando
un mondo in cui l’avidità di pochi lascia le maggioranze ai margini
della storia. La globalizzazione appare più come un mito che una
realtà. Soltanto la logica dei mercati finanziari è stata
globalizzata e l’assolutismo di questo capitale sta creando veri e
propri scempi. Potremmo dire che solo i ricchi sono globalizzati”.
Sulla crisi economica esplosa nel 2008 Maradiaga afferma che essa
“ha indotto a mettere in dubbio uno dei pilastri centrali della
globalizzazione: il fatto che il mercato sappia governare sé stesso
e che il modello delcapitalismo
neoliberalesia
la sola risposta. Il 2008 è stata una lezione costosa e lo è ancor
di più perché è una lezione dalla quale non abbiamo imparato.
L’economia globale è ancora sull’orlo di un tracollo. I timori di
una crisi del debito sovrano si stanno spandendo nellazona
euro. I mercati finanziari globali sono in turbolenza. Il
vero timore è che si sia imparata la lezione sbagliata. La crisi
economica è stata usata da diversi governi come una motivazione
razionale per tagliare gli aiuti. L’aiuto dei principali paesi
donatori è diminuito del 3 per cento nel 2011″.
E qui Maradiaga fa sua la lezione dell’ex capo di gabinetto della
Casa Bianca,Rahm
Israel Emanuel: “Mai lasciare che una buona crisi vada
sprecata”. “La finanza e il business – conclude il porporato –
possono lavorare per il beneficio di tutti, non solo per gli
azionisti. Il ritorno a un modello equo basato sul dovere nei
confronti della collettività è la chiave per ridurre ildivario
fra ricchi e poveri. Dobbiamo fare in modo – conclude
Maradiaga – che la globalizzazione e il capitale vadano a beneficio
dell’universale bene comune”.
Perquisizioni in tutta Italia contro la rete che diffonde idee e video
contro gli ebrei e prende di mira alcuni personaggi pubblici come lo
scrittore e il sindaco di Lampedusa
Ufficializzato il rinvio di tredici giorni del termine per la
ricapitalizzazione da 300 milioni. Ma la trattativa coi soci francesi è
tutta in salita e all'appello mancano ancora una tentina di milioni
Russia, bomba sull’autobus a Volgograd: almeno 10 morti (video)
VOLGOGARD - Unabombaè
esplosa a bordo di un autobus di linea aVolgograd,
nella Russia europea. Almeno dieci i morti e numerosi feriti. La notizia
diffusa dai media locali è stata confermata dal comitato nazionale anti
terrorismo.
Erano circa una quarantina le persone a bordo dell’autobus al momento
dell’esplosione, le 14 ora locale (mezzogiorno in Italia).
Almeno17
sono rimaste feritee
sette sono in gravi condizioni, secondo l’agenzia Interfax. Fonti di
polizia, citate dall’Itar-Tass, confermano di aver rinvenuto frammenti di
ordigno.
La
candidata del Fronte Nazionale ha sconfitto l'esponente della destra
gollista dell'Ump, su cui si era riversato anche il voto delle sinistre
sconfitte al 1° turno. Un voto solo locale ma che è un importante
termometro per la politica francese
Il sequestro rivendicato da un gruppo di ex ribelli libici che ha
fatto sapere il primo ministro sconta il ruolo del suo governo nella
cattura da parte degli Usa di Abu Anas al-Libi, uno dei leader di al
Qaeda e mente delle stragi di Nairobi e Dar es Salam del 1998
Obama ha nominato una donna, Janet Yellen, presidente della Federal
Reserve al posto di Ben Bernanke. Sarà in grado di far uscire gli Usa
dalla crisi? Poi vi raccontiamo le verità e le menzogne sul
sovraffollamento delle carceri e un approfondimento sul mercato del
libro tra crisi di lettori e boom di recensioni
Il presidente degli Stati Uniti chiede ancora una
volta ai repubblicani di abbandonare la loro richiesta: il
rifinanziamento delle agenzie del governo federale in cambio di
modifiche dell'Affordable Care Act. Ma tra le forze politiche continua
lo stallo e soprattutto il rimpallo delle responsabilità
I soldati stanno cercando di prendere il controllo del centro
commerciale sotto attaccodel
gruppo somalo al Shabaab (leggi).
I morti sono 68, 175 i feriti e molti i dispersi
Diretta
multimediale. Scontri a fuoco all'interno del centro
commerciale kenyano dopo tre giorni di assedio dei terroristi islamici: i
morti sono 62, 170 feriti. Molti degli ostaggi sarebbero stati liberati,
ma si cercano superstiti e assalitori nascosti. Secondo fonti della
sicurezza alcuni si sarebbero vestiti da donna. Fonti SkyNews: "Si sono
fatti esplodere"
I feriti sono oltre 145. Mentre i fedeli stavano uscendo dopo una
funziona religiosa, sono scoppiati due ordigni. Il duplice attacco
suicida è stato rivendicato dal gruppo fondamentalista islamico
Jandullah, vicino ad al-Qaida. Il Papa: "Una scelta sbagliata di odio e
di guerra"
Secondo un testimone, gli autori sono "uomini con i capelli rasta a
bordo di un’auto grigia che vanno in giro a cercare qualcuno a cui
sparare ogni notte". L'ultimo episodio, lo scorso 16 settembre quando il
texano Aaron Alexis ha ucciso 13 persone al Navy Yard di Washington
I dati dell'agenzia dell'Onu: ogni giorno 5.000 persone cercano scampo nei
Paesi confinanti. In un'intervista aLe
Figaro il presidente siriano minaccia un'estensione del conflitto e
attacca il governo francese: "Contro di noi non ci sono prove". Bonino:
"Potrei digiunare con il Papa". Russia e Cina spingono per via
diplomatica (video).
Il Papa: "Guerra porta guerra". Kerry: "Assad come Saddam e Hitler"
Una
serie di bombe e
ordigni sono esplosi
in diversi quartieri
della capitale, in
particolare quelli a
maggioranza sciita,
nell'ora in cui
molte persone si
recavano al lavoro
Verso
il settimo default:
l'Argentina sempre
più vicina
all'appuntamento col
destino
Read L'Argentinasembra
essere nuovamente
prossima al
fallimento: il meno
credibile degli
emittenti pubblici
potrebbe decidere, a
fronte di una
economia sempre più
fuori controllo e a
riserve di valuta
estera ormai ridotte
al lumicino, di
imporre nuove
perdite ai (pochi)
investitori che
hanno deciso di
credere in Buenos
Aires dodici anni
dopo il sesto
default della storia
del paese
sudamericano
(passata per un buon
terzo nel caos
economico).
Rivelazioni di
Guardian e Nyt:
spiate tecnologie
usate da miliardi di
utenti internet per
proteggere i loro
messaggi di posta e
dati riservati.
Intanto il
presidente Usa cerca
di mediare sul caso
Rousseff
Dopo
aver rilasciatol'intervista
al Guardian,
il protagonista
della più grave fuga
di notizie per la
Nsa ha lasciato il
suo albergo-rifugio
di Hong Kong. Sulle
sue tracce una
squadra speciale
Usa. In sua difesa
il partito pirata
islandese e Julian
Assangedi
A. LONGO
Lanciagranate e kamikaze contro il carcere vicino a Baghdad divenuto
famoso per le torture inflitte dai soldati Usa. Attaccato in simultanea
il peniteniario di Taji, il bilancio complessivo sarebbe di 41 morti.
Militanti islamici rivendicano on line
Catturato in Messico
Trevino Morales,detto
Los Zetas "Z-40"
il capo del più feroce
cartello della droga
Miguel Angel Trevino
Morales, conosciuto
con "Z-40" e capo del
cartello della droga
messicano "Zetas", è
stato arrestato nel
nord del Messico, nei
pressi di Nuevo Laredo,
al confine con gli
Stati Uniti. Con lui
arrestate anche altre
due persone. Aveva
raggiunto i vertici
dell'organizzazione
criminale,
responsabile dei più
feroci omicidi
avvenuti in Messico
negli ultimi anni,
dopo la morte del
fondatore del gruppo,
Heriberto Lazcano,
nell'ottobre del 2012,
ucciso durante
un'azione della Marina
militare. Lazcano era
conosciuto come "El
Lazca". Il suo corpo
fu poi prelevato da un
gruppo armato e non è
stato mai ritrovato.
Questoarresto
è considerato tra i
più importanti dopo la
vittoria alle elezioni
del presidente Enrique
Pena Nieto. Durante il
precedente mandato
presidenziale, tenuto
da Felip Calderon, in
sei anni ci sono stati
ben 70 mila morti
nella feroce guerra
tra le gang del
traffico della droga e
del crimine
organizzato.
Il dipartimento di
stato americano aveva
offerto una taglia di
cinque milioni di
dollari per la cattura
del feroce Miguel
Angel Trevino Morales (reuters)
Kuwait, Arabia
Saudita ed Emirati
pioggia di dollari
in Egitto dopo il
golpe
Le monarchie del
Golfo, che temevano
l'egemonia degli
islamisti
Conservatori anti
secolari, lanciano
una campagna di
prestiti e
finanziamenti. Il re
saudita Abdullah ha
subito telefonato
per complimentarsi
di ALBERTO STABILE
BEIRUT - Il colpo di
Stato con cui i
generali hanno
estromesso il
presidente Morsi si
sta rivelando,
all'apparenza, un
ottimo affare per la
disastrata economia
egiziana. Così
sembrerebbe, almeno,
a giudicare dalla
valanga di
finanziamenti,
prestiti e aiuti che
alcune monarchie del
Golfo stanno
riversando sui nuovi
governanti del
Cairo. Soltanto per
citare l'ultimo dei
benefattori, il
Kuwait ha promesso
di donare all'Egitto
4 miliardi di
dollari, che si
aggiungono agli otto
miliardi messi
insieme da Arabia
Saudita ed Emirati
Arabi. Un'epifania
come non s'era mai
vista, dietro la
quale, però, si
celano lotte e
manovre per
l'egemonia, o per
trarre i maggiori
benefici dal
terremoto politico
che da due anni e
mezzo scuote il
mondo arabo.
Con la vittoria
elettorale di Morsi
e della Fratellanza
musulmana, la
Primavera egiziana
sembrava essersi
incanalata verso la
realizzazione di
quegli obiettivi che
i fautori dell'Islam
politico avevano
proposto come la
cura di ogni male
ereditato dai vecchi
regimi e le
condizioni per la
rinascita. A fornire
i mezzi per attuare
questo progetto
erano stati Paesi
come il Qatar e la
Turchia. Il primo,
munito di ricchezze
pressoché illimitate
e di una politica
estera assai
spregiudicata, era
intervenuto in
soccorso di Morsi
con un pacchetto da
8 miliardi di
dollari. La seconda,
offrendo la più
modesta cifra di due
miliardi di dollari,
ma soprattutto
proponendo un
modello di sviluppo,
quello incarnato dal
boom economico
turco. Entrambi,
Qatar e Turchia,
vantano eccellenti
rapporti con i
Fratelli musulmani.
L'Arabia Saudita e
gli emirati
satelliti hanno
assistito a questo
rimescolamento di
carte sul teatro
egiziano senza,
apparentemente,
battere ciglio. Ma è
nota l'avversione di
Riad verso la
Fratellanza, che
considera una
minaccia alla
legittimità della
monarchia, mentre
negli Emirati
decine, se non
centinaia, di
confratelli
musulmani sono stati
mandati alla sbarra
con l'accusa di aver
tramato i regimi del
Golfo.
Così, quando il
generale Abdel
Fattah al Sissi ha
annunciato che
Mohammed Morsi era
stato deposto, il re
saudita, Abdullah,
non ha aspettato
neanche che venisse
nominato il nuovo
presidente ad
interim per
telefonare al Cairo
e congratularsi con
il comandante in
capo dell'esercito
egiziano. Bruciando
sul tempo il giovane
emiro del Qatar
mentre la Turchia
s'è scagliata contro
i golpisti. Che il
Qatar e l'Arabia
Saudita sin
dall'inizio della
Primavera araba
viaggiassero su
binari diplomatici
paralleli e
inconciliabili non è
una novità. La crisi
egiziana ha sancito
questa spaccatura.
Ora, non deve
stupire che nel
gioire per il golpe,
re Abdullah si sia
ritrovato accanto ad
un imbarazzante e
sicuramente non
richiesto compagno
di viaggio, il rais
siriano Bashar al
Assad, contro cui
(al pari del Qatar,
ma con diversi
referenti sul
terreno)ha
dichiarato una
guerra senza
quartiere. Entrambi
avevano le loro
buone, seppure
opposte, ragioni per
compiacersi del
colpo subito
dall'Islam politico
in Egitto: Assad,
nella speranza che i
Fratelli musulmani
egiziani trascinino
nella loro caduta
anche i Fratelli
musulmani siriani,
sempre dominanti
nello schieramento
delle forze ribelli;
re Abdullah, nel
tentativo di
mantenere al sicuro
da elementi eversivi
la sua monarchia
teocratica. Ma
talvolta, come si
sa, gli opposti
coincidono. La
sfida per l’egemonia
regionale tra l’Iran
sciita alauita e
l’Arabia Saudita
wahhabita (sunnita)
secolarizzata si sta
progressivamente
estendendo dal
territorio iracheno
a quello siriano
dove, seppur ancora
in maniera velata,
Riyadh vuole giocare
un ruolo da
protagonista.
L’Arabia Saudita,
alle prese con un
periodo di precari
equilibri interni,
vuole cercare di
sfruttare a proprio
vantaggio i
disordini siriani;
per questo motivo ha
da tempo iniziato a
sostenere i ribelli
organizzati intorno
all’Esercito Libero
Siriano (FSA), ma,
al tempo stesso, ha
fornito armamenti e
appoggio finanziario
ai gruppi di
combattenti salafiti
provenienti dal
confine iracheno e
dal vicino Libano.
Nelle ultime
settimane proprio
queste cellule si
sono rese
protagoniste di
diversi attacchi
compiuti sul suolo
siriano, creando
imbarazzi a Riyadh
ma anche a
Washington dove ora
iniziano a temere un
effetto boomerang.
L’Arabia Saudita sta
attraversando un
periodo molto
delicato in cui
oltre a dover
affrontare le sempre
maggiori richieste
di riforma interna,
placate attraverso
un cospicuo aumento
dei sussidi (tra
dicembre 2011 e
gennaio 2012 circa
100 miliardi di
dollari) destinati
ai sudditi, si trova
alle prese con una
difficile situazione
che coinvolge
direttamente la
dinastia, dove
equilibri già
precari si sono
aggravati conla
morte, il 16 giugno,
del principe Naif
bin Abdulaziz,
storico Ministro
dell’Interno (dal
1975 al 2011) ed
erede designato al
trono dall’attuale
sovrano re Abdullah
Ibn Abdel-Aziz.
Conosciuto come il
membro della
famiglia reale più
vicino agli ambienti
wahhabiti, Naif bin
Abdulaziz deteneva
il controllo delle
forze di sicurezza
saudite, compresa la
potente polizia
segreta, ed era
stato il reale
artefice delle
politiche saudite in
Yemen e in Bahrein.
Ai sensi
dell’articolo 5
dello statuto del
Regno spetta ora a
re Abdullah il
compito di nominare
l’erede al trono;
una scelta che
troverà poi una
conferma,
prettamente formale,
del Consiglio di
Fedeltà; il
Consiglio di Fedeltà
è un organismo
istituito nel 2006 e
composto da 35
membri della
famiglia reale volto
a creare un consenso
intorno alle scelte
del monarca1.
Il timore maggiore è
quello che si
ripropongano vecchie
faide e lotte
interne alla
famiglia minando
così gli equilibri
di potere di un
regno che si trova
ad affrontare una
delicata fase di
transizione.
Sullo sfondo vi è
però un ulteriore
pericolo che lega
l’Arabia Saudita ad
altre monarchie del
Golfo, come il
Bahrein, ossia le
crescenti mire
iraniane sul governo
iracheno; l’Iraq
rappresenta un Paese
cruciale perché
rappresenta la porta
verso il Golfo e la
sua posizione
geografica ha per
anni rappresentato
un solido cuscinetto
alle mire degliAyatollah.
L’Iran prova a
proporsi come
modello per il
giovane governo
iracheno guidato
dallo sciita Nuri
al-Mālikī, che in
passato scappò dal
regime di Saddam
Hussein trovando
rifugio proprio in
Iran. Ciò
rappresenta una
grave sconfitta per
la dinastia saudita
nella lotta per
l’egemonia
regionale. La
situazione irachena,
con il sopravvento
della comunità
sciita sulla
componente sunnita
vicina a Riyadh, ha
aperto una profonda
crisi all’interno
dell’universo
sunnita, di cui
l’Arabia Saudita si
sente storicamente
protettrice e
baluardo,
convincendo le
autorità saudite a
passare al
contrattacco
aumentando il
proprio sostegno
all’opposizione
siriana.
L’intento saudita è
quello di riuscire a
rovesciare il regime
degli Asad sferrando
così un duro colpo
all’Iran che ha
nella Siria il suo
alleato
geo-politicamente
più prezioso; per
questo Riyadh, con
l’assenso di Ankara
e Washington,
avrebbe da tempo
cominciato a
sostenere
apertamente i
ribelli armati che
combattono contro il
regime siriano2.
Fin dai primi giorni
successivi allo
scoppio delle
rivolte, la
principale forza di
opposizione siriana
è organizzata
nell’Esercito Libero
Siriano (FSA), forza
irregolare sunnita,
le cui roccaforti
sono le città
siriane di Homs e
Hama, e nelle cui
fila si sarebbero
arruolati da tempo
anche diversi
sunniti libanesi
reclutati, ovvero
finanziati, proprio
dall’Arabia Saudita3.
Molti degli aiuti
forniti dall’Arabia
Saudita andrebbero
all’organizzazione
libanese Movimento
del Futuro (al-Mustaqbal)
guidato dall’ex
Primo Ministro Saad
al-Hariri (figlio
del più famoso Rafiq
al-Hariri) e
collegato alAl-Jama’a
Al-Islamiyya,
movimento libanese
vicino ai Fratelli
Musulmani4.
Attraverso
l’utilizzo delle
vecchie rotte usate
per il contrabbando
nella valle di Bekaa,
il FSA ha goduto
fino a questo
momento di ingenti
forniture non solo
di armi, ma anche di
cibo, medicinali,
acqua e strumenti
determinanti a
garantire la
comunicazione tra i
diversi gruppi
d’opposizione al
regime siriano.
Oltre a fornire
assistenza
finanziaria, i
sauditi possono dare
ai militanti
legittimità e
motivazioni dal
punto di vista
ideologico
sfruttando proprio
il crescente e
diffuso timore delle
diverse comunità
sunnite in tutto il
Medio Oriente,
sconcertate dalle
denunce di continui
massacri che gli
uomini di Asad
compirebbero nei
confronti della
popolazione civile
siriana.
Tra i molti
combattenti ribelli
che in questi mesi
hanno intrapreso
diverse azioni di
ritorsione contro il
regime siriano e più
in generale contro
la comunità alawita,
ramo dello sciismo a
cui appartengono i
membri della
famiglia Asad e
dell’establishment
di potere, vi sono
diversi jihadisti
salafiti. LaSalafiyyahè
un movimento
modernistico
islamico nato a metà
Ottocento il cui
termine richiama
l’era imperfettibile
degli antenati pii
(appunto isalaf);
il movimento, che ha
avuto in Muḥammad ‛Abduh,
Giamāl ad-Dīn
al-Afghānī e Rashīd
Riḍā i suoi
principali teorici,
mirava ad
islamizzare la
modernità attraverso
il recupero
dell’antica purezza
delle origini5.
Il salafismo è
progressivamente
evoluto passando da
movimento riformista
a movimento radicale
nel corso del XX
secolo attraverso la
crescente influenza
della corrente
wahhabita; non tutti
i salafiti sono
jihadisti, ma tutti
i jihadisti
richiamano
l’interpretazione
rigorosa dei testi
promossa dal
salafismo.
Al momento diversi
jihadisti si trovano
in territorio
siriano o nel vicino
Libano; l’elemento
di raccordo sarebbe
costituito dal
gruppo libanese
guidato da Saad
al-Hariri che da
tempo ha sviluppato
relazioni sempre più
strette con diversi
movimenti salafiti
che, nell’ottica di
Riyadh, dovrebbero
diventare una forza
di contrasto alle
milizie sciite
libanesi diHezbollah6.
All’interno dei
gruppi salafiti vi
sono molti jihadisti,
veri e propri
mercenari, che
durante gli ultimi
anni hanno operato
azioni di guerriglia
e attacchi
terroristici in
Iraq, anche contro
militari
nordamericani, ma
soprattutto molti di
loro hanno in
passato combattuto
proprio contro il
regime saudita.
Alcuni sono
discendenti della
profonda frattura
che colpì l’Arabia
Saudita nel 1991,
quando decise di
concedere ai
militari
nordamericani di
calpestare il suolo
sacro (in territorio
saudita si trovano
Mecca e Medina, i
due luoghi sacri
dell’Islam);
in quel contesto
mosse i suoi primi
passi anche Osama
bin Laden. Tuttavia,
a seguito del 11
settembre 2001,
l’Arabia Saudita ha
promosso, di comune
accordo con le
autorità religiose,
un processo di
correzione e
riabilitazione della
componente salafita
cercando di
allontanarla dal
concetto di
“jihadismo” per
riavvicinarla a
quello di “jihad”.
Il “jihadismo” è
un’ideologia
adottata dai
movimenti radicali
islamici nel corso
del XX secolo che
fonda le proprie
radici nella
concezione
aggressiva dijihadproposta
da Ibn Taymiyya7;
il jihadismo, che ha
in Sayyid Qutb e
Al-Mawdudi i suoi
principali teorici
moderni, considera
solamente l’uso
della lotta armata
come mezzo per
rovesciare i governi
laici e sostituirli
con forme di Stato
islamico autentiche
in cui vi sia la
cieca osservanza del
dettato coranico,
compresa
l’applicazione
integrale dellaShari’ah.
Il concetto di jihad
(sforzo)
invece, come
esplicitato in
molteplici sure
coraniche, rimanda
essenzialmente ad un
uso della forza
della ragione, che
porti il singolo
individuo
all’osservanza dei
precetti islamici;
iljihadpiù
importante e
difficile non è
quello rivolto
contro qualcuno, sia
esso infedele o
cattivo musulmano,
ma quello interiore
che ogni buon
musulmano persegue
quotidianamente8.
Nessuno Stato
musulmano si
opporrebbe
all’applicazione deljihad.
L’Arabia Saudita nel
difficile percorso
volto a riabilitare
molti ex combattenti
jihadisti ha
promosso, con
l’avallo delle
autorità clericali
wahhabite, la tesi
per cui attori non
statali non possano
intraprendere alcunajihaddi
loro iniziativa, in
quanto una tale
chiamata spetta solo
ed esclusivamente ad
autorità statali o
religiose
riconosciute dallo
Stato9.
Se tradizionalmente
le forze jihadiste
erano solite vedere
come principale
minaccia l’Occidente
e i governi
considerati
asserviti ad esso,
per Riyadh, a
maggior ragione in
questo delicato
momento, il pericolo
principale proviene
dallo sciismo.
È tuttavia vero che
al momento il regno
saudita, come già
avvenuto in passato,
non ha ufficialmente
preso alcuna
posizione nei
riguardi di un
eventualejihado
guerra diretta
contro la Siria; una
scelta dettata
dall’ulteriore
imbarazzo che una
tale posizione
creerebbe nelle
relazioni con gli
Stati Uniti. Nelle
ultime settimane vi
sono stati
molteplici
interventi sui media
nazionali (radio,
giornali, Tv) di
eminentiulamae
sceicchi, compresa
una recentefatwaemessa
da un membro del
Consiglio Supremo
Religioso del regno,
volti a interdire
qualsiasi forma dijihadin
Siria o in altri
Paesi senza che vi
sia stato prima un
qualche consenso
statale10.
Dichiarazioni resesi
necessarie dopo i
molti video comparsi
sulweba
partire dai primi di
febbraio, in cui illeaderdial-Qaida,
Ayman al-Zawahiri,
ha esortato i
musulmani sauditi a
ribellarsi contro il
governo di Riyadh,
seguendo l’esempio
di quanto fatto dai
loro “fratelli”
siriani, tunisini,
egiziani e yemeniti.
Già in passato
l’Arabia Saudita ha
dovuto affrontare il
problema del
controllo di queste
forze, incarico
affidato al servizio
diintelligencesaudita
(General
Intelligence
Presidency) il
quale si è
dimostrato in grado
di operare nella
distribuzione di
finanziamenti e
armamenti ma
incapace di
controllarne il loro
successivo utilizzo.
Manca un organismo
maturo ed efficiente
come il MOIS
iraniano, Ministero
diIntelligencee
Sicurezza, in grado
di gestire a
distanze le
operazioni dei
propri corpi d’éliteo
di gruppi armati
affiliati e il più
delle volte da esso
addestrati. L’Arabia
Saudita già in
passato ha operato
soprattutto grazie
al sostegno di altri
apparati di
intelligence, come
per esempio l’ISI (Inter-Services
Intelligence),
branca dell’intelligencepakistana,
sfruttata da Riyadh
nel contesto afghano11.
Timori di innescare
un processo del
tutto fuori
controllo sono stati
espressi, seppur
timidamente, anche
da Washington, dove
sono ben consapevoli
che l’assenza
nell’apparato
governativo saudita
di un solido
organismo di
controllo sui
combattenti
jihadisti, potrebbe
rivelarsi un
pericolosissimo “boomerang”.
Nonostante tra i
corridoi del
Pentagono siano
restii nel dare il
proprio assenso ad
operazioni di
combattenti
jihadisti in
territorio siriano,
i molti attacchi
delle ultime
settimane hanno
dimostrato che
qualcosa
sottotraccia a
Riyadh hanno già
deciso.
Per l’Arabia Saudita
il contesto siriano
e la caduta del
regime degli Asad è
vista sempre più
come battaglia per
la propria sicurezza
nazionale in virtù
anche del fatto che
la fiducia
nell’alleato
storico, gli Stati
Uniti, è
gradualmente venuta
meno a seguito della
caduta di Mubarak in
Egitto e del ritiro
delle truppe
dall’Iraq, ritiro
che ha consegnato il
Paese nelle mani
sciite.
Combattenti animati
ideologicamente e da
principi di stampo
religioso
rappresentano
nell’ottica saudita
un elemento
fondamentale per la
propria
sopravvivenza.
Tuttavia, ciò che
più spaventa gli
Stati Uniti è la
consapevolezza che
storicamente l’uso
di combattenti
jihadisti ha creato
ulteriori problemi
sia interni che
esterni al regno
saudita e una tale
eventualità oggi, in
un periodo di
instabilità e
debolezza, potrebbe
portare
all’indebolimento
del potere della
dinastia dei Saud,
aprendo
definitivamente le
porte ad una
pericolosa egemonia
regionale dell’Iran.
LA FINANZA DEI ROBOT E
DEI CAVI SOTTOMARINI
TRANSOCEANICI
Lecoste
della Cornovagliasono
oggi oggetto di grande
interesse da parte disocietà
finanziariee
ditelecomunicazione.
Ed infatti, nel 2012,
laCrown
Estate,
impresa che gestisce
il fondale marino nel
Regno Unito e che
vende licenze per
tutto ciò che lo
attraversa, ha
registrato un aumento
delle entrate del 104
per cento. Circa il 95
per cento delle
notizie finanziarie
viaggiano via cavo e
non via satellite e
questo spiega perché
ogni anno si investono
intorno ai 2 miliardi
di dollari per
produrre 50 mila
chilometri di
autostrade difibre
ottiche,
lungo le quali
viaggiano lenotizie
finanziarieal
altissima velocità.
L’arteria più
importante è quella
che attraversa
l’Atlantico. I cavi
partono dalla costa
est e riemergono in
Portogallo ed in
Cornovaglia. Anche se
il primo è il paese
più vicino agli Stati
Uniti, è sempre stato
un mercato finanziario
marginale, mentre in
Gran Bretagna si trova
la piazza affari più
importante d’Europa.
Nel Vecchio continente
il nodo principale
dell’informazione
finanziaria è dunque
la Cornovaglia, ed è
dal profondo dei suoi
fondali che emergono
dati e notizie cheWall
Streetha
prodotto appena 65
millesimi di secondo
prima. Questi
alimentano computer
sofisticatissimi e
velocissimi, abilitati
alla contrattazione
finanziaria, ubicati
nellaCitydi
Londra.
Il trading ad alta
frequenza utilizza
formule matematiche edalgoritmiper
scambiare prodotti
finanziari nel modo
più veloce possibile e
con la frequenza più
elevata. L’obiettivo è
battere sul tempo laconcorrenzanelle
contrattazioni
finanziarie. A
differenza degli
investimenti
tradizionali, una
posizione può essere
mantenuta soltanto per
pochi istanti o anche
per molto meno ed il
computer può vendere e
comprare da solo
migliaia di volte al
giorno lo stesso
prodotto, sfruttando
variazioni di prezzo
infinitesimali.
La tecnologia non è
però l’unica variabile
da tener presente,
anche lageografiagioca
un suo ruolo. Persino
i computer più veloci
sono svantaggiati se
geograficamente
lontani dal centro di
smistamento dei dati.
Chi si trova a Londra
ha un vantaggio di 5
millesimi di secondo
rispetto a chi è a
Francoforte o a
Parigi. A parità di
tecnologia, tra Londra
e Francoforte ci sarà
sempre uno scarto di 5
millesimi di secondo,
un vantaggio non
indifferente in questo
settore. Per capire
perché basta dire che
alcune società private
comeHibernia
NetworkseReliance
Globalcomstanno
investendo circa 300
milioni di dollari per
migliorare le fibre
ottiche ed i cavi che
corrono sul letto
dell’Atlantico per
poter risparmiare 6
millesimi di secondo.
Siamo nella
fantascienza? No, il
trading ad alta
frequenza è più
diffuso di quanto si
creda, negli Stati
Uniti il 50 per cento
delle contrattazioni
sul mercato azionario
è gestito da macchine.
I rischi sono tanti ed
infatti l’Unione
Europea sta indagando
sulla possibilità di
proibirlo. Al trading
ad alta frequenza, ad
esempio, è attribuito
il crollo delDow
Jonesdel
6 maggio del 2010 – il
più grosso nell’arco
di una giornata nella
storia di questo
indice – che perse tra
le 14:42 e le 15:05
1000 punti (circa il 9
per cento) per poi
recuperarli subito
dopo. In un mercato
molto frammentato,
quale quello del 6
maggio del 2010 a
causa dellacrisi
greca, una
singola operazione
riprodotta da migliaia
di computer ad alta
frequenza ha creato
una spirale negativa,
o una situazione di
panico, che ha spinto
macchine ed operatori
finanziari a vendere
in blocco.
Inostri
risparmipotrebbero
finire in una di
queste macchine ed
essere investiti da un
complesso di microchip
e dipendere dalla
velocità con la quale
i dati corrono lungo
cavi seppelliti negli
abissi o riemergono
dalle sabbie bianche
della Cornovaglia. Un
pensiero che si,
sarebbe meglio se
appartenesse alla
fantascienza che alla
realtà finanziaria.
Il delfino di Chavez
prende il 50.66 per
cento dei voti,
contro il 49,07
dell'oppositore
Henrique Capriles.
Un sorpasso risicato
per il "chavista"
che apre uno
scenario politico
difficilissimo da
gestire
Tre volontari del Comitato internazionale della Croce Rossa rapiti nell’isola di Jolo da ribelli di Abu Sayyaf, gruppo terrorista vicino a Al Qaeda. Fra loro anche Eugenio Vagni.
Stamina, il Nobel Schekman: ”Non sostengo quel metodo, è
operazione criminale”
“Perché riportate le
critiche diYamanaka,
il premio Nobel per la medicina 2012 e le critiche di
Nature, ma ignorate Schekman?”,gridavano
le famiglie durante la conferenza stampa a favore di
Stamina Fondation che si è tenuta il28
dicembrea
Roma. “Le mie critiche a Nature sono statestravolteda
questo gruppo di supporter di Stamina – spiega il premio
Nobel. “Il mio editoriale non si riferiva agli articoli
critici verso questo trattamento, queste riviste infatti
pubblicano una serie di ricerche molto importanti – ci
tiene a specificare Schekman – sono le loro scelte
editoriali che io metto in discussione e non certamente
una ricerca specifica, penso che lemie
ideesiano
statemal
interpretate”.
Il professore
all’università diBerkeleyin
California, fondatore nell’ateneo e direttore del primo
laboratorio sulle cellule staminali, èallarmatoper
questo. “Noi chiamiamociarlatanio
venditori di olio di serpenti coloro che vendono
medicinali la cui efficacia non è stata attestata in
laboratorio – afferma Schekman ailfattoquotidiano.it–
e questo trattamento, per quanto ne so, non ha nessun
supporto scientifico, non è stato sottoposto ad uno studio
controllato, a test clinici come ildouble
blind” (Controlli incrociati, nei quali i
pazienti e medici non si conoscono fra loro per evitare
pregiudizi e inficiare i dati,ndr).
E poi aggiunge: “Ritengo che chi promuovacure
miracolose senza testarle,metta
in attoun’operazione
criminaleche
si fonda sulla sfruttamento difamiglie
vulnerabiliche
sono alla disperata ricerca di una cura per i loro
familiari ammalati”. E questa secondo il premio Nobel è la
peggior forma di manipolazione. Insomma le sue critiche
sono state piegate a sostegno di un probabile “quack“,
un cialtrone, come si dice in America, un affarista che
specula sulla pelle delle vittime dimalattie
rare. E’ a fianco diShinya
Yamanaka, premio Nobel per la medicina nel2012,
del quale non smentirebbe nemmeno una parola: “E’ il
maggior esperto nel campo delle cellule staminali, è la
voce della ragione, certifico e rispetto ogni suo
giudizio”.
Oggi è il direttore diElife,
una rivista scientifica online che a differenza delle
riviste cartacee non ha limiti di spazio e può diffondere
tutti i lavori che vale la pena pubblicare. Ha imbracciato
una dura lotta contro l’impact
factor, un indice che misura la rilevanza di una
ricerca in base alle citazioni della stessa in una
rivista. “Se un lavoro è il più citato non significa di
per sé che sia il più attendibile, si potrebbe citare
anche perché il più erroneo”.
Da un uomo di scienza il
messaggio alle famiglie pro Stamina è questo: “Siate
scetticisulle staminali, fidatevi delle ricerche
su cui si lavora da anni, sottoposte a protocolli
accertati prima che le cure siano somministrate ai
pazienti”. Parole messe nero su bianco nella lettera dirisposta
al padre della bambinache
lo ha contattato e inviate alcune ore dopo questa
intervista. Una lettera che non è stata pubblicata sul
sito di Stamina Foundation di
Irene Buscemi e Veronica Potenza