Per sei mesi il fotografo napoletano ha seguito il gruppo ultras
Mastiffs e ha conosciuto il loro capo, quel Gennaro De Tommaso
protagonista della folle serata dell’Olimpico di Roma. In questo
reportage, le immagini che immortalano la vita della famigerata
curva A del San Paolo e l’incredibile viaggio al seguito dei tifosi
partenopei
di MARIO
SPADA
NAPOLI -
La prima volta che sono tornato allo stadio, dopo i mitici anni di
Diego Armando Maradona, era il 2001. La mia idea non era quella di
seguire il Napoli, che all’epoca militava in serie B, ma di
conoscere il mondo ultras dall’interno. L’occasione per entrare
nella curva era lì, a portata di mano. Ed era una possibilità unica
che non potevo lasciarmi sfuggire. Tra i miei amici, infatti,
c’erano due dei fondatori del gruppo Mastiffs, due ragazzi che dopo
aver passato una parte della loro vita sugli spalti a tifare Napoli
si erano accorti che il cambiamento in atto nella realtà degli
ultras non combaciava più con la loro idea di tifo e per questo
avevano deciso di abbandonare lo stadio.
Mi presentai con una Minox, una minuscola macchina a pellicola, e i
miei amici mi portarono nella famigerata curva A. I vecchi compagni
di trasferte ci salutarono con grande calore e mi fu dato il
consenso di scattare delle fotografie durante il match. Io che
frequentavo lo stadio ai tempi del Pibe de oro sentivo che c’era
qualcosa di diverso. I nuovi cori avevano un che di militaresco,
erano urlati come ordini, i movimenti delle braccia, all’unisono,
sembravano ammonimenti. Vero è che la squadra all’epoca giocava
veramente male e quasi tutte le partite finivano coi fischi del
pubblico e incitazioni tipo "andate a lavorare".
Del primo giorno in curva restano ancora tre foto nella selezione
finale. Il giovedì successivo, alla riunione del gruppo mi presentai
con la macchina fotografica e le prime foto stampate da far vedere
ai miei nuovi compagni. C’erano giovani di ogni classe sociale:
professionisti, commercianti, alcuni educatori impegnati in progetti
di recupero di ragazzi a rischio, piccoli criminali e un gruppo
legato a Forza Nuova. Mi guadagnai subito il nome di ’o fotò. Tra i
tanti che mi presentarono in quell’occasione ricordo ’o
quadrat, ’o
chiatt, ’o
president, ’o
lion, ’o
fringuell e ‘a
carogna.
Le riunioni si tenevano davanti all’ingresso dell’Accademia di belle
arti. Per me era strano vedere quel luogo, immortalato in una
meravigliosa scena del film “Le quattro giornate di Napoli” di Nanni
Loy, diventare di notte il quartier generale dei Mastiffs. Qui si
decidevano i nuovi cori inventati in base alla squadra avversaria o
in base alle ultime notizie sul mare di debiti in cui stava
affondando la società.
All’epoca in curva A c’erano vari gruppi. I Mastiffs, la Masseria
Cardone legata al clan Licciardi di Secondigliano, le Teste Matte
dei Quartieri spagnoli, il Nucleo e, in alto, lontano, c’erano i
Vecchi Lions. Questi ultimi un tempo erano gli unici a occupare la
curva A e avevano un capo davvero carismatico, l’attore teatrale
Tonino Faiella. Lo spostamento dei Lions dal primo all’ultimo anello
della curva rappresentava un indizio importante per capire quello
che stava succedendo: benché fossero un gruppo giovane, i Mastiffs
dimostravano di avere un potere enorme.
Durante quei sei mesi ho seguito il gruppo anche in un paio di
trasferte. Per la prima, destinazione Brescia, si viaggiava in
autobus. Alla partenza non c’era un posto libero e i cori sono
cominciati immediatamente così come le canne di erba non hanno mai
smesso di bruciare lungo tutto il tragitto. All’uscita
dell’autostrada ci aspettavano decine e decine di poliziotti in
tenuta antisommossa e cinque vecchi autobus che al posto dei vetri
avevano delle reti dalle quali si riusciva a malapena a far passare
un dito. Salimmo a bordo: non c’era quasi lo spazio per muoversi e
prima di riuscire a partire ci volle un’eternità. Gli autobus erano
incolonnati uno dietro l’altro, scortati da qualche camionetta della
polizia. I tifosi napoletani iniziarono a cantare quasi a bassa voce
"uccideteci" mentre attraversavamo il corso principale di Brescia.
Nel buio, improvvisamente, fummo assaliti dal lancio di centinaia
pietre e bottiglie tirate da tifosi bresciani. Dall’interno gli
ultras napoletani rispondevano con razzi e fumogeni sparati
attraverso le grate. Io cercavo di scattare fotografie e mi chiedevo
perché mi ero cacciato in quel casino. Alcune squadre della polizia
a piedi aprivano la strada ai nostri mezzi fino a condurli nei
parcheggi riservati alla tifoseria della squadra ospite. Io
continuavo a scattare e mi muovevo anche all’interno di altri gruppi
ultras.
A quel punto vengo avvicinato da un certo Luca del Nucleo che,
preoccupato della mia presenza, mi interroga su cosa sto facendo.
Finalmente riusciamo ad entrare nello stadio. Siamo nel settore
ospiti: due vetri antiproiettile alti 3 metri ci separano dalla
tifoseria bresciana che tarda ad arrivare perché impegnata
all’esterno con la Polizia. La partita ha inizio e anche i cori.
Quando comincia il secondo tempo l’aria si surriscalda, parte un
lancio di oggetti tra le due tifoserie: vola di tutto fino a quando
i due gruppi ultras corrono l’uno contro l’altro, infrangendosi
violentemente sui vetri. I poliziotti allarmati entrano nella nostra
curva.
Qui il capo è Genny
‘a carogna che
a suo modo si dimostra geniale. Intuisce che non potrà mai
scontrarsi direttamente con i bresciani e quindi fa in modo che
siano i poliziotti a picchiarli, fingendosi vittima del lancio di
oggetti e spiegando che i suoi non possono essere fermati se prima
la tifoseria avversaria non interrompe la sua offensiva. Nel giro di
due minuti le forze dell’ordine sono nel settore bresciano e
iniziano a manganellare fino a riportare la calma.
Ma il vero problema per me nasce quando Luca, l’ultras che mi aveva
avvicinato prima della partita, mi indica e urla “Digos!” facendomi
diventare in un attimo il nuovo nemico numero uno dei tanti ultras a
volto coperto che mi circondano. A intervenire in mio aiuto è
proprio Genny ‘a carogna, il capo dei Mastiffs. Gli si para davanti
col megafono e gli urla: “Chi sei tu? Levati questa maschera! Voi
siete tutti il mio cazzo! Voi tutti siete il cazzo dei Mastiffs!".
Le scuse sono immediate: “No Genny, non sapevamo che stava con te!".
L’uscita e il ritorno agli autobus purtroppo non sono una
passeggiata. Le auto dei bresciani ci accompagnano fino
all’autostrada così come pure i blindati della polizia. Un tentativo
di scontro dei napoletani che cercano di rompere il cordone della
polizia viene sedato. Mi aspettano solo dieci ore di viaggio per
tornare a casa.