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lo spettro recessione: crescita zero nelle stime Istat. Sul deficit
si riapre il fronte Ue
Domani
i numeri sul Pil 2014: si prevede tra -0,1 e +0,1%. Sempre più
lontano il pareggio strutturale chiesto da Bruxelles. A rischio il
rispetto del fiscal compact, cioè le rigide regole di riduzione del
debito inserite in Costituzione
L'Italia di nuovo in recessione?
Possibile. Lo sapremo domani alle 11. Quando l'Istat comunicherà la
variazione del Pil nel secondo trimestre dell'anno. Se dopo il -0,1%
dei primi tre mesi arriverà un altro -0,1%, sarà recessione tecnica.
Due segni negativi in due periodi consecutivi. Non si scappa. Il
governo lo teme. Al punto da aver ristretto la forchetta anticipata
dall'Istituto di statistica a fine giugno. L'Istat prevedeva allora
un Prodotto interno lordo oscillante tra -0,1% e +0,3%: quasi
inferno e promessa di paradiso. Intervallo ora compresso, nelle
valutazioni dello staff economico di Palazzo Chigi, tra -0,1 e
+0,1%. Parlare di decimali, di zero virgola, certo non fa una grande
differenza per il Paese reale fermo. Per chi cerca e non trova
lavoro. Per le famiglie che stentano a quadrare i conti, bonus o non
bonus. Ma per il governo Renzi sì.
E non solo per una questione di comunicazione: i titoli sulla
recessione da spiegare, gli italiani da tranquillizzare. Ma per una
strategia di politica economica tutta da reimpostare, con variazioni
importanti da apportare entro settembre al Def, il Documento di
economia e finanza, laddove il Pil per quest'anno è dato a +0,8%. E
forse con una manovra correttiva da mettere in pista, non più
esclusa nemmeno dallo stesso Renzi che, nell'intervista
di ieri a Repubblica, assicurava che "in ogni caso non
toccheremo
le tasse". D'altro canto un secondo segno meno per il Pil non è
certo un bel lasciapassare con l'Europa. Il premier è certo che
"resteremo sotto il 3%" nel rapporto tra deficit e Pil (quest'anno
il Def lo fotografa al 2,6%). Ma per Bruxelles potrebbe non bastare.
In prospettiva, camminare sul filo significa far saltare nei
prossimi due anni il rispetto del pareggio di bilancio strutturale
corretto per il ciclo economico (0,6% è il livello inserito nel
programma di convergenza spedito alla Ue). E soprattutto del fiscal
compact, le rigide regole di riduzione del debito pubblico, inserite
in Costituzione.
Con un semestre di Pil sotto zero e con pochissime possibilità di
ribaltare la situazione nella seconda metà dell'anno, le richieste
di deroghe e flessibilità extra che il governo si preparava a fare
all'Europa della Merkel, durante il semestre di presidenza italiano,
in virtù dei compiti fatti a casa, rischia di trasformarsi in una
domanda di sconti perché il Paese non ce la fa. E torna ad essere la
Cenerentola dell'Europa, visto che la Spagna ha innescato il turbo
della crescita (sopra l'1%) e persino dalla Grecia trapelano segnali
positivi. È vero, non siamo al tracollo del Pil come negli anni bui
della crisi post 2007. E neanche al livello del 2012 (-2,4%) e 2013
(-1,9%). Ma i decimali ora contano più che mai.
Per trattare in Europa, ma anche sul fronte interno. Se la crescita
viene ridotta dallo 0,8% allo 0,3%, modificando il Def, il deficit
sale da 2,6 a 2,8%. Un filo sotto il tetto e addio sconti sul
cofinanziamento dei fondi europei. Addio risorse in più per bonus e
investimenti facendo lievitare il deficit. Tanto questo si alzerà da
solo, perché il Pil scende. Ma anche il quadro politico ne
risentirà. Inevitabile. Conti non più in sicurezza, l'Italia di
nuovo vulnerabile. E qualcuno, anche nella maggioranza, potrebbe
cogliere l'occasione per trarne vantaggi. Attaccando la politica
degli annunci del governo. I pasticci dei decreti scritti e
riscritti. E il fronte europeo che torna caldo. Che sia recessione o
stagnazione il tema è già priorità, se non urgenza, sul tavolo del
governo. A prescindere da cosa dirà domani l'Istat.