S
<

 

COME NEL FILM DI ALBERTO SORDI(1984): TUTTI DENTRO !!!

Scajola: "Cellulare strumento del  cazzo". E chiamava anche con Viber e Skype

Le carte che hanno portato all'arresto dell'ex ministro di di altre sette persone accusate di aver favorito la latitenza dell'ex deputato di FI verso la Dda. C'è anche lettera "decisiva" che sarebbe di Gemayel. I pm: "L'ex ministro, gli arrestati e Vincenzo Speziali interferivano su funzioni sovrane"

REGGIO CALABRIA - Le carte sono in viaggio e arriveranno non prima di martedì o mercoledì alla Dda. Sono atti, documenti, pc e materiale informatico sequestrato dalla Dia nel corso delle perquisizioni fatte nell'ambito dell'inchiesta che ha portatoall'arresto dell'ex ministro Claudio Scajola e di altre sette persone accusate di avere favorito la latitanza dell'ex deputato di Fi Amedeo Matacena. In questo materiale c'è anche una lettera che, secondo gli investigatori, potrebbe costituire un elemento "decisivo" per confermare le accuse a Scajola. Si tratta di una lettera scritta al computer in francese con una sigla che secondo gli investigatori potrebbe essere quella dell'ex presidente libanese Amin Gemayel indirizzata al "mio caro Claudio". Nella lettera si legge che "la persona potrà beneficiare in maniera riservata della stessa posizione di cui gode attualmente a Dubai" e "avrà un documento di identita'". Nella lettera si dice anche che "troveremo un modo per per fare uscire la persona dagli Emirati Arabi e farlo arrivare in Libano". Un riferimento chiaro, per l'accusa, ad Amedeo Matacena, che si trova attualmente - latitante - a Dubai. 

Scajola, gli arrestati e Vincenzo Speziali, quali componenti di "un'associazione per delinquere segreta collegata alla 'ndrangheta", hanno posto in essere o comunque agevolato "condotte dirette ad interferire su funzioni sovrane quali la potesta' di concedere l'estradizione", da Stati esteri, scrivono i pm della Dda di Reggio Calabria. 

Intanto emergono altri dettagli. "Appare utile ribadire - scrive il giudice per le indagini preliminari di Reggio Calabria, Olga Tarzia, che  ha emesso l'ordinanza nei confronti di Scajola ed altre sette persone per il favoreggiamento della latitanza di Amedeo Matacena  - che Claudio Scajola e Chiara Rizzo nei loro colloqui utilizzano un linguaggio volutamente criptico. Così nelle teelfonate spesso si indicava il figlio di Matacena, ma in realta' ci si riferiva all'imprenditore latitante.  "E' possibile rilevare - scrive il giudice - che le conversazioni tra Claudio Scajola e Chiara Rizzo spesso sono schermate, allusive ed indirette, nel tentativo di non fare comprendere, nell'ipotesi di 'intrusione', il soggetto cui si riferiscono nei loro dialoghi, alludendo ad esempio in un caso al figlio della Rizzo, ma in realta' riferendosi ad Amedeo Matacena". Il telefono cellulare - che Scajola nelle sue conversazioni definisce "strumento del cazzo" e causa di "esaurimento nervoso", faceva paura. Al punto che per comunicare venivano usati anche  i nuovi strumenti di comunicazione come Viber e Skype per evitare di essere intercettati. Inoltre Scajola attendeva la candidatura al Parlamento europeo e la probabile elezione per poter dare, col proprio stipendio, 15.500 euro a Chiara Rizzo, per l'anticipo di una nuova casa in affitto a Montecarlo.

E ancora: esisteva un gruppo di 'amici', tra i quali anche l'ex ministro Scajola, che lavorava per fare in modo che Amedeo Matacena non fosse sottoposto all'esecuzione della condanna comminatagli, rileva  il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Reggio Calabria. Le conversazioni registrate tra la moglie di Matacena, Chiara Rizzo, e l'ex parlamentare, Claudio Scajola, consentivano di "apprezzare - afferma il giudice - l'esistenza tra i due di ottimi e consolidati rapporti personali e di sicure cointeressenze economiche". "Ancor prima - prosegue - della decisione della Corte di Cassazione del 5 giugno 2013 che rigettava il ricorso del Matacena contro la sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Reggio Calabria del 18 luglio 2012 che condannava l'imputato alla pena di anni 5 di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, rendendo definitiva la sentenza a carico dell'armatore, erano intervenute svariate conversazioni tra Chiara Rizzo, il citato Scajola, una collaboratrice dello stesso ed altri personaggi comunque legati a Matacena e desiderosi di aiutarlo". "Secondo le cadenze - conclude il giudice - delle conversazioni intercettate, intervallate da servizi di controllo e videoriprese che corroborano la prospettiva investigativa di un intenso lavoro svolto dagli "amici" per garantire che Matacena non fosse sottoposto all'esecuzione della grave pena che gli era stata comminata". 

Scajola arrestato dalla Dia: ha favorito la latitanza di un condannato per mafia

L'ex ministro accusato di essersi adoperato per l'ex deputato Pdl Matacena, attualmente a Dubai in attesa di estradizione. Su di lui anche l'ombra di un sodalizio con la 'ndrangheta. Provvedimenti restrittivi per altre sette persone. Berlusconi: "Addolorato". Il procuratore De Raho: "Arresto importante: la legge è uguale per tutti. REGGIO CALABRIA - La Dia di Reggio Calabria ha arrestato a Roma l'ex ministro Claudio Scajola, accusandolo di aver favorito la latitanza dell'ex parlamentare Pdl Amedeo Matacena, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa e figlio dell'armatore noto per avere dato inizio al servizio traghetti nello Stretto di Messina, morto nell'agosto 2003. Ma, secondo i magistrati, Scajola e gli altri destinatari dei provvedimenti restrittivi sarebbero anche parte di un sodalizio criminale politico-imprenditoriale collegato alla 'ndrangheta. La Dia ha disposto perquisizioni in Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Lazio, Calabria e Sicilia, oltre a sequestri di società commerciali italiane, collegate a società estere, per un valore di circa 50 milioni di euro. 
I provvedimenti di custodia firmati dalla procura di Reggio Calabria riguardano, oltre all'ex ministro, lo stesso Matacena, la madre Raffaella De Carolis (ai domiciliari) e la compagna Chiara Rizzo. Gli arresti domiciliari sono stati disposti anche per la segretaria dello stesso Scajola, Roberta Sacco, e la ex segretaria del latitante Matacena, Maria Grazia Fiordalisi, arrestate rispettivamente a Imperia e a Sanremo. 
Degli otto provvedimenti restrittivi, non sono stati eseguiti quelli destinati a Matacena, tecnicamente latitante sebbene in agosto sia stato fermato a Dubai (le autorità dell'emirato gli hanno ritirato il passaporto) ed è in attesa di estradizione, e Chiara Rizzo, che risulta ricercata. Gli ultimi due arrestati sono Martino Politi (custodia cautelare in carcere) e Antonio Chillemi (domiciliari), accusati a vario titolo di essere prestanome di Matacena. 
Anche Vincenzo Speziali, nipote e omonimo dell'ex senatore del Pdl, il cui nome figura in un decreto di perquisizione. Il procuratore capo di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho, parlando con i giornalisti, lo ha messo in relazione con le indagini relative al soggiorno libanese di Marcello Dell'Utri. Speziali avrebbe goduto di notevoli entrature in Libano, dove avrebbe dovuto rifugiarsi anche Matacena. Dal decreto di perquisizione emerge che a Speziali si sarebbe rivolto in più occasioni Scajola.
La Dia ha perquisito la villa dell'ex ministro a Imperia e il suo ufficio, sequestrando computer fissi e portatili, tablet, alcuni smartphone e documentazione cartacea relativa a società riconducibili all'inchiesta su Matacena. Ad assistere alla perquisizione della villa c'erano la moglie dell'ex ministro, Maria Tersa Verda, in lacrime, e l'avvocato di Scajola, Mangia. 
Sottoposti a perquisizione anche Giorgio e Cecilia Fanfani, figli di Amintore Fanfani, Maria Teresa Scajola, Elisabetta Offmann, Pierluigi Bartolini, Giuseppe Speziali (padre di Vincenzo), Giovanni Morsenti, Daniele Santucci ed Emo Danesi.
Silvio Berlusconi, antico sodale del politico arrestato, ha espresso "dolore per Claudio", escludendo qualsiasi nesso fra la mancata candidatura alle europee di Scajola e vicende di natura giudiziaria.L'indagine. L'arresto di Scajola è scaturito dalle indagini sui fondi neri della Lega Nord, di cui è figura chiave il faccendiere Bruno Mafrici. Grazie a un'intercettazione gli inquirenti sono venuti a conoscenza di rapporti fra l'ex ministro e la moglie di Matacena, Chiara Rizzo. In particolare, la donna chiedeva a Scajola aiuto ai fini del trasferimento del marito in Libano. E l'ex ministro si attivava allo scopo di individuare uno stato estero (appunto il Libano) che evitasse, per quanto possibile, l'estradizione di Matacena o la rendesse quantomeno molto difficoltosa.

"Amedeo Matacena godeva e gode tuttora di una rete di complicità ad alti livelli grazie alla quale è riuscito a sottrarsi all'arresto", ha detto il procuratore della Repubblica Federico Cafiero De Raho. "Dalle indagini - ha spiegato il magistrato - si evidenzia ripetutamente come Scajola sia in rapporti strettissimi con Matacena e la moglie ai fini di favorire la sua latitanza", nelle intercettazioni "parlano di dove si può rifugiare".

Dalle attività di intercettazioni, si legge in una nota della Dia, sono emersi subito"svariati dialoghi" tra Chiara Rizzo e Claudio Scajola, che "consentivano di accertare come il politico, ex ministro ed ex parlamentare, appariva in possesso di informazioni relative allo stato di latitanza di Matacena, delle cui condizioni e spostamenti in alcuni stati esteri, funzionali per sottrarsi alla cattura, veniva costantemente aggiornato".

Occultamento di capitali. Ma "lo stesso Scajola - prosegue la Dia - con l'apporto determinante della sua segretaria Roberta Sacco, si attivava alacremente" anche nel favorire le operazioni di occultamento del patrimonio di Matacena". Assecondando le richieste della Rizzo anche per lo spostamento di denaro, in quella che l'inchiesta inquadra come una operazione effettuata attraverso prestanome, creazione di schermi societari di aziende controllate estere e conti offshore in paradisi fiscali. 

Il Gip di Reggio Calabria nell'ordinanza di custodia cautelare descrive Scajola come  completamente "asservito" alle necessità della moglie di Matacena. In particolare in una telefonata datata 12 dicembre del 2013: l'ex ministro chiamava la signora, "conversazione - sostiene il Gip - che riguarda lo spostamento di denaro da un conto corrente all'altro. Si denota l'asservimento totale dello Scajola alle necessità della Rizzo".

Dalle intercettazioni sono emersi incontri anche tra Manfrici e Matacena nella casa di quest'ultimo nel principato di Monaco. Dagli accertamenti è così risultato il coinvolgimento della moglie di Matacena, della segretaria, della madre e del factotum Martino Politi, che facevano da prestanome nelle società Solemar srl, Amadeus spa, Amju international tanker Ltd e Athoschia international tanker Ltd, queste ultime costituite in Liberia. Società il cui capitale è stato messo sotto sequestro oltre a quello della Ulisse shipping srl, Lidico srl, Seafuture sa e Xilo sa (con sede in Lussemburgo), New life srl unipersonale.

L'indagine ha evitato "la completa schermatura" delle società facenti capo a Matacena. "Non capita tutti i giorni di imbattersi in fusioni inverse di società" ha spiegato Gianfranco Ardizzone, capocentro della Dia di Reggio Calabria, facendo riferimento al tentativo degli indagati di far confluire una società più grande in una più piccola per evitare che a Matacena, condannato per mafia, potesse essere sequestrata. "Adesso la magistratura si attiverà per avere conto dai Paesi esteri delle società che in quei territori operavano".

L'ombra della 'ndrangheta. Ma dietro questa rete di società si nasconderebbe ben altro. Secondo i magistrati reggini, Scajola e gli altri indagati appartengono a un'associazione per delinquere segreta, collegata alla 'ndrangheta. Gli indagati erano in grado di canalizzare e mettere a disposizione della 'ndrangheta un patrimonio di informazioni riservate e contatti ad alti livelli. E, attraverso operazioni politiche, istituzionali ed economiche, essere "il terminale di un complesso sistema criminale, in gran parte di natura occulta ed operante anche in territorio estero". 

"Un'articolata struttura politico- imprenditoriale - precisano gli inquirenti -, riferibile alla predetta organizzazione mafiosa, interessata a mantenere inalterata la piena operatività di Matacena e della galassia imprenditoriale a lui riferibile utilizzata per schermare la vera natura delle relazioni politiche, istituzionali ed imprenditoriali dello stesso garantite a livello regionale, nazionale ed internazionale".

Uomo di Stato al servizio di un condannato per mafia. "Questi fatti, che rappresentano uno dei più sofisticati modi di elusione delle norme in materia di prevenzione patrimoniale - conclude la Dia - dimostrano la pericolosità e il ruolo anche di soggetti che, pur non essendo mafiosi, prestano le proprie capacità professionali o la propria rete di influenti amicizie all'affermazione e alla realizzazione di interessi criminali".

"Aspettiamo sempre l'esito processuale per gioire del nostro risultato" ha premesso il procuratore, ma "ci muoviamo in un quadro indiziario grave" emerso a carico dell'ex ministro Claudio Scajola. "L'aspetto che colpisce tutti noi - ha proseguito De Raho - è come una persona che abbia ricoperto all'interno dello Stato posizioni di vertice e di responsabilità così significative, possa curarsi di un'altra persona condannata per associazione mafiosa a 5 anni di carcere e che si è resa latitante per sottrarsi alla pena". 

"Di fronte a legami e frequentazioni intense di Scajola con un condannato in via definitiva per associazione mafiosa, credo ci sia bisogno di un approfondimento per capire se l'ex ministro abbia agito con superficialità - ha osservato De Raho -, sottovalutando l'importanza che potesse avere per lui, uomo dello Stato, un rapporto così stretto con Matacena oppure ci siano altre situazioni evidentemente da verificare".

Arresti che fanno chiarezza. "Il fatto desta grande impressione proprio per le persone che sono coinvolte - ha aggiunto il magistrato -. Il loro modo di agire mostra che quel tipo di condanna (associazione a delinquere di stampo mafioso, ndr) quasi non significhi nulla per coloro che gli sono a fianco e che lo sostengono. Soprattutto in questo territorio, quello calabrese, parliamo di una confusione che esiste tra bene e male, bianco e nero, e questo è uno degli aspetti che più rendono difficile la collaborazione tra i cittadini e lo Stato. I cittadini non sono convinti di quale sia il loro interlocutore e non hanno fiducia nelle istituzioni".

Per questo, ha concluso il procuratore capo di Reggio Calabria - si tratta di una ordinanza di custodia importante, per i soggetti coinvolti e i fatti contestati, ma che deve costituire ulteriore momento di chiarezza e di riflessione almeno in questo territorio: la legge è uguale per tutti e noi abbiamo il precetto dell'obbligatorietà dell'azione penale. Non esistono categorie di intoccabili. Tutti sono uguali davanti alla legge".

Expo 2015, la cupola bipartisan degli appalti: arrestati Greganti e Frigerio

In carcere il direttore dell'ufficio contratti dell'Esposizione di Milano Paris, oltre al "Compagno G", all'ex deputato di Forza Italia e all'ex senatore Grillo. Per i pm era un'associazione a delinquere per pilotare bandi. "Ho raccomandato il manager a Berlusconi e Maroni per sostituire quello arrestato"

Una cupola un po’ di destra e un po’ di sinistra sugli appalti dell’Expo 2015, ma anche sulla sanità lombarda (ancora una volta). Un patto tra chi è stato comunista e chi è stato democristiano con chi, più giovane, gestisce ora gli affari dell’esposizione internazionale di Milano del prossimo anno. Erano garantite “le imprese riconducibili a tutti i partiti” dicono i magistrati dell’inchiesta che oggi, 8 maggio, ha portato a 7 arresti (6 in carcere e uno ai domiciliari). Se sia una nuova Tangentopoli, nata all’ombra di Expo 2015, è presto per dirlo. Di certo c’è che i protagonisti della storia arrivano da quello che sembrava il passato remoto. La fotografia di gruppo dell’inchiesta assomiglia a una Polaroid ingallita che improvvisamente riprende colore. A finire in cella, infatti, non è solo il direttore della pianificazione acquisti di Expo, Angelo Paris, ma anche personaggi che hanno punteggiato la bufera di Mani Pulite: l’ex segretario regionale della Dc lombarda e parlamentare di Forza Italia (pluricondannato) Gianstefano Frigerio, lo storico esponente del Pci Primo Greganti (il “compagno G”) e l’imprenditore Enrico Maltauro. Gli altri a essere stati raggiunti da un ordine di custodia cautelare in carcere sono stati l’intermediario genovese Sergio Catozzo (ex Cisl, ex Udc infine berlusconiano) e l’ex senatore del Pdl Luigi Grillo, già coinvolto in numerose inchieste (la più nota quella sulla Banca Popolare di Lodi, alla fine della quale è stato assolto in appello). Ai domiciliari, infine, Antonio Rognoni, direttore generale di Infrastrutture Lombarde, già arrestato due mesi fa per presunte irregolarità negli appalti delle opere pubbliche. 

La cupola aveva contatti molto in alto – agli atti ci sono le telefonate degli arrestati con Silvio Berlusconi, Cesare Previti e Gianni Letta -, prometteva avanzamenti di carriera e protezioni politiche ai manager, incontrava direttori di aziende ospedaliere, copriva e proteggeva le imprese “riconducibili” a tutti i partiti, comprese “le cooperative”. E appena si verificava un vuoto di potere il gruppo sembrava pronto a riempirlo con qualcuno di “fidato” per poter compiere altri reati, tanto da mandare raccomandazioni al leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, al presidente della RegioneRoberto Maroni e al suo vice Mario Mantovani. “Ho mandato un biglietto a Berlusconi, non chiamo nessuno per telefono – dice Frigerio al telefono – Un biglietto per Berlusconi e uno a Mantovani dicendo ‘ma la soluzione migliore si chiama Paris per la direzione’. Una “strategia” per sostituire proprio l’ex dg di Infrastrutture Lombarde Rognoni. E il 3 febbraio, scrive il gip, proprio Paris partecipa a una cena ad Arcore.

La cupola che proteggeva “le imprese riconducibili a tutti i partiti”
In Lombardia sarebbe esistita una vera e propria “cupola per condizionare gli appalti”, alcuni dei quali relativi anche ad Expo, come hanno spiegato i magistrati. La “cupola” prometteva “avanzamenti di carriera” grazie a “protezioni politiche” a manager e pubblici ufficiali. Racconta il pm Claudio Gittardi che Paris in un’intercettazione telefonica agli atti dice in sostanza: “Io vi do tutti gli appalti che volete se favorite la mia carriera”. E il “compagno G”? Secondo gli inquirenti “copriva e proteggeva le cooperative”: la “saldatura” tra Greganti e Frigerio “proteggeva le imprese riconducibili a tutti gli schieramenti politici”. Nelle carte dell’inchiesta compaiono, a quanto si è appreso, i nomi di Silvio BerlusconiCesare Previti e Gianni Letta, che però non risultano indagati. L’inchiesta che ha portato anche ad una serie di perquisizioni da parte della Guardia di Finanza  e della Dia milanese, vede al centro i reati di associazione per delinquere, corruzione,turbativa d’asta, rivelazione e utilizzazione del segreto d’ufficio.

“Viavai continuo di imprenditori, dg di Asl, politici”
La “sede sociale” dell’associazione per delinquere che avrebbe “inquinato” gli appalti era un’associazione culturale intitolata a Tommaso Moro, lo scrittore umanista autore di “Utopia”. “Neanche la sua fantasia sarebbe arrivata a tanto”, ha affermato il procuratore della Repubblica di Milano Edmondo Bruti Liberati
Frigerio era il presidente del Centro Culturale Tommaso Moro e alcuni imprenditori, secondo i pm, avrebbero anche dato “soldi per una pubblicazione riferibile al figlio di Frigerio”. Nel centro, secondo il pm Gittardi, “c’era una viavai continuo di imprenditori, dg di aziende ospedaliere, personaggi di rilievo politico” e poi una serie di incontri si svolgevano anche “in alberghi, ristoranti, nel corso di cene a Milano e Roma”. Gli incontri si svolgevano, come ha spiegato il pm D’Alessio, “anche a Roma ogni mercoledì”. La “struttura” associativa, come ha sottolineato Bruti Liberati, “ruotava attorno a Frigerio, Greganti, Grillo come organizzatori dell’associazione” e aveva per “partecipi Cattozzo, Paris e Maltauro”. Frigerio, invece, aveva a disposizione, in particolare, una “squadra” di dg di aziende ospedaliere lombarde. Questa, hanno sottolineato i pm, “non è un’indagine sull’Expo, ma è anche un’indagine sull’Expo”. 

Una ventina di indagati: “Squadra di direttori generali degli ospedali a disposizione della cupola”
Sono 12 le misure cautelari rigettate per un totale di circa 20 indagati. Il pm Antonio D’Alessio parla di ”ramificazioni in diversi settori dell’amministrazione e agganci politici” di qualsiasi schieramento. Era una struttura, continuava il magistrato, capace di “avvicinare il pubblico ufficiale per ottenere anticipi di bandi e di procedure di gara” ad esempio relativi al progetto delle Vie d’acqua o all’area parcheggi per Expo. In questo senso è “sorprendente la disponibilità” di Paris “di mettere a disposizione informazioni riservate”. Un’organizzazione che si “rivolge a pubblici ufficiali promettendo avanzamenti di carriera in cambio di protezione politica” e che ha dalla sua parte – aggiunge il pm Gittardi – una “capacità impressionante di interventi in appalti sanitari, con unasquadra di direttore generali e amministratori a sua disposizione“. C’è un richiamo “fortissimo a far parte di una squadra, la capacità di coprire tutte le aziende operative con collegamenti e protezioni” riferibili “a qualsiasi schieramento politico”, conclude. Gli inquirenti milanesi stanno indagando anche su ipotesi corruttive relative a forniture sanitarie a favore, tra le altre, delle aziende ospedaliere di Melegnano e Pavia, per le quali risultano indagati Patrizia Pedrotti e Paolo Moroni, rispettivamente direttore amministrativo e generale del presidio diMelegnano, e Daniela Troiano direttore generale dell’azienda ospedaliera di Pavia.

“Condizionati appalti sui servizi e sull’area parcheggi”
I pm titolari dell’inchiesta – il procuratore aggiunto Ilda Boccassini, i sostituti Claudio Gittardi eAntonio D’Alessio, assieme a Bruti Liberati – hanno chiarito che l’associazione per delinquere “operativa da un anno e mezzo o due” avrebbe condizionato o tentato di condizionare almeno da metà del 2013 alcuni appalti dell’Expo, tra cui la gara per “l’affidamento per le architetture di servizi”, che sarebbe stata pilotata a favore dell’imprenditore vicentino Enrico Maltauro, anche lui finito in carcere. Maltauro, sempre secondo i pm, avrebbe versato “30-40mila euro al mese” in contanti o come fatturazione di consulenze alla “cupola degli appalti”. Paris, importante manager dell’Expo e, in particolare, responsabile dell’Ufficio contratti, avrebbe dimostrato “a partire dal settembre-ottobre 2013 piena disponibilità nei confronti del sodalizio” e sarebbe stato “totalmente a disposizione”, tanto che, sempre secondo i pm, “avrebbe fornito notizie riservate sulle gare d’appalto e pilotato le assegnazioni”. Al centro dell’inchiesta ci sono poi alcuni altri appalti “minori” di Expo come quello “dell’area parcheggi”. Le indagini poi avrebbero accertato anche la presunta aggiudicazione illecita di appalti per alcune “aziende ospedaliere lombarde” e del progetto “Città della Salute”, nuovo polo che dovrebbe sorgere a Sesto San Giovanni e che dovrebbe riunire il “Besta” e l’istituto tumori. Ma non solo: la “cupola” secondo i pm è riuscita anche a condizionare un appalto con al centro Sogin per lo smaltimento di scorie nucleari. 

L’indagine è nata da un’altra inchiesta che nei mesi scorsi aveva portato all’arresto dell’ex consigliere lombardo, Massimo Gianluca Guarischi (ora sotto processo), per presunte tangenti nella sanità lombarda, un filone questo che vede indagato in una tranche (distinta dall’inchiesta scaturita nel blitz di stamani) anche l’ex presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni

Frigerio, il parlamentare di B. graziato dal Parlamento
Gianstefano Frigerio
, attuale collaboratore dell’ufficio politico del Ppe a Bruxelles, è stato condannato definitivamente a tre anni e nove mesi per le mazzette sulle discariche lombarde (corruzione) e a due anni e undici mesi in altri due processi della Tangentopoli milanese (concussione, corruzione, ricettazione, finanziamento illecito), salvo per prescrizione nel processo Enel (corruzione), diventa deputato di Forza Italia nel 2001 (ha
 un posto sicuro in Puglia, col nome cambiato in “Carlo” per camuffarlo meglio), ma non riesce a entrare alla Camera perché lo arrestano subito. Mentre il presidente Pierferdinando Casini inaugura i lavori della 14esima legislatura invocando la Madonna di San Luca, i giudici di Milano provvedono all’arresto dell’onorevole pregiudicato. Poi ottiene un ricalcolo della pena, con un congruo sconto, e accede ai servizi sociali. Che riesce a scontare in Parlamento. Nel 2006, privo del diritto di voto a causa dell’interdizione dai pubblici uffici, non viene ricandidato. Ma rimane responsabile dell’Ufficio dei dipartimenti di Forza Italia e collaboratore del Giornale di Paolo Berlusconi, che negli anni Novanta gli pagava le tangenti. Il suo caso in Parlamento dette qualche speranza proprio a Berlusconi quando – a pochi mesi dalla condanna definitiva per la frode fiscale di Mediaset – l’ex Cavaliere tentava in tutti i modi di rimanere senatore, evitando non solo la decadenza – poi avvenuta con il voto di Palazzo Madama – ma anche l’interdizione dai pubblici uffici.

Il compagno G, 21 anni dopo
L’ex Compagno G, ex cassiere di Pci e Pds, classe 1944, fu tra i pochi a rifiutare ogni collaborazione con i magistrati ai tempi di Tangentopoli. Era il primo marzo 1993 quando Greganti venne arrestato in esecuzione di un ordine di custodia firmato dallo “storico” gip di Mani Pulite Italo Ghitti su richiesta del pm Antonio Di Pietro, con l’accusa di corruzione, per aver ricevuto in Svizzera, tra il 1990 e il 1992, 621 milioni dal gruppo Ferruzzi per appalti Enel. Denaro che, secondo la magistratura, rappresentava la prima delle due quote riservate al Pci-Pds delle tangenti concordate con il sistema dei partiti (l’1,6 per cento sul valore delle commesse). A fotografare quella ripartizione di mazzette ai magistrati milanesi era stato Lorenzo Panzavolta, amministratore della Calcestruzzi di Ravenna, l’uomo che fece materialmente i versamenti estero su estero. In seguito i versamenti accertati “lievitarono” a tre: 621 milioni depositati il 21 novembre 1990 sul conto “Gabbietta” intestato a Greganti alla Banca di Lugano; 525 milioni nel settembre 1992 sul conto 294469 allaBanca del Gottardo di Zurigo, sempre nella disponibilità di Greganti; 100 milioni consegnati personalmente nello stesso 1992 al compagno G. Il quale negò sempre ogni addebito e continuò a ripetere che si trattavano di consulenze personali. Alla fine di un’inchiesta “contrastata” che vide gli inquirenti milanesi dividersi e scontrarsi sul capitolo Pci-Pds, Greganti venne condannato a 3 anni e 7 mesi per finanziamento illecito al suo partito, pena successivamente patteggiata e ridotta a 3 anni e confermata dalla Corte di Cassazione nel marzo 2002, ulteriormente ridotta di sei mesi dopo che Greganti aveva già scontato in regime di carcerazione cautelare a San Vittore durante le indagini. Del “compagno G” in seguito si è saputo poco o nulla. Solo che aveva “abbandonato” la politica e si dedicava ad affari privati. In passato ha anche difeso la “rivoluzione” giudiziaria milanese sostenendo che “seppur con errori ed eccessi, senza quell’inchiesta saremmo finiti come l’Argentina”.

Greganti e il Pd
Ma Greganti ha davvero abbandonato gli ambienti del Pd? Il Pd si è davvero liberato di Greganti? Nel 2010 Europa raccontava che il compagno G raccoglieva soldi per il partito. O meglio: alla festa nazionale del partito, a Torino, era addetto al “coccardaggio“, cioè l’applicazione dell’adesivo sul petto dell’ospite in arrivo. Scrisse anche un libro (Scusate il ritardo) in cui difendeva il suo operato e quello del Pci. Sembrava scomparso, ma un mese e mezzo fa il suo nome è ricomparso al principale evento del Pd regionale: la candidatura di Sergio Chiamparino alla Regione Piemonte, dopo gli scandali che hanno contraddistinto l’ultima parte del mandato del presidente uscente Roberto Cota.

L’ex pm Colombo: “Dopo 22 anni nulla è cambiato”
“Dopo più di vent’anni questi arresti mi lasciano allibito” afferma all’Adnkronos l’ex pm di Mani Pulite, oggi consigliere Rai, Gherardo Colombo. Della “vecchia” inchiesta sul Pci-Pds, Colombo non si occupò direttamente e non interrogò mai Primo Greganti. Più volte però l’ex magistrato ha avuto modo di sentire Frigerio, anche lui coinvolto oggi nell’indagine milanese, come Greganti protagonista di Tangentopoli. “Sembra proprio – dice ancora Colombo – che la corruzione in questo Paese non finisca mai. Certo, la magistratura dovrà accertare quelli che al momento sono solo ipotesi di reato”. Ipotesi che però, se confermate, “danno un brutto polso dello stato di salute di questo Paese. Un Paese dove, dopo 22 anni, nulla è cambiato”. “Gli arresti di oggi – conferma in un tweet un altro ex pm di Mani Pulite – confermano la necessità di una nuova Mani Pulite. Il Parlamento si dissoci da coloro che hanno problemi di giustizia”. 

Mps, il sodalizio criminale del presidente del Mens Sana passato alla Lega Basket

L'arresto del patron della squadra tanto cara a Giuseppe Mussari conferma quanto scritto dal Fatto nel gennaio 2013. Che non aveva però scalfito l'apprezzamento dei 16 presidenti dei team di Serie A che lo hanno appena incoronato presidente

Destini sempre più incrociati tra Giuseppe Mussari e Ferdinando Minucci, arrestato giovedì per il suo “ruolo di ideatore e regista” del “sodalizio criminale” che  secondo la Procura di Siena si muoveva dietro le quinte del Mens Sana Basket. E l’incrocio non riguarda solo il Monte dei Paschi di Siena, al centro dei rapporti tra il deus ex machina della squadra e il suo tifoso e sponsor all’epoca alla guida della banca senese. Entrambi infatti hanno goduto fino all’ultimo della stima più totale delle rispettive associazioni di categoria tanto da arrivarne alla presidenza (è il caso di Minucci alla Lega Basket) o da spingersi a un passo dal secondo mandato (come accaduto a Mussari per l’Abi che l’ha scaricato solo quando proprio non c’era più niente da fare) anche quando il sospetto sul loro operato era ben più di un’ombra.

L’inchiesta che insieme ai quattro arresti domiciliari e ai sequestri patrimoniali per oltre 14 milioni di euro, sta portando a galla quello che i magistrati e la Guardia di Finanza definiscono appunto un “sodalizio criminale” con diverse finalità, non fa che confermare e arricchire di dettagli quanto Il Fatto Quotidiano aveva scritto il 29 gennaio del 2013 in un articolo che anticipava le acrobazie finanziarie dei vertici della squadra avallate da Mps e necessarie a far quadrare i conti in modo da garantire l’iscrizione ai campionati, accostandole proprio all’inchiesta dei pm sui presunti pagamenti in nero dei cestisti che a fine 2012 aveva registrato una serie di perquisizioni a tappeto tra Siena e Rimini. Eppure l’8 febbraio scorso, mentre gli inquirenti proseguivano il loro lavoro, i presidenti delle 16 squadre di Serie A non hanno avuto alcun imbarazzo a eleggere Minucci alla presidenza della Lega Basket (l’inizio del mandato è fissato per il primo luglio) con 14 voti a favore e 2 contrari

Un plebiscito che ricorda da molto vicino gli attestati di stima che Mussari riceveva copiosamente in ambito bancario e politiico fino a poco prima di essere abbandonato al suo destino e che era stato trainato dai sì di Milano, Cantù e Sassari con l’opposizione delle sole Virtus Bologna e Roma. Al momento dell’elezione Renato Villalta, numero uno della società emiliana, aveva spiegato in poche parole il suo no: “I principi della Virtus e i miei non collimano con i suoi”. A cose fatte, soltanto nelle scorse settimane, poi, è arrivata una presa di posizione del presidente della Federbasket Gianni Petrucci ad incrinare gli ampi consensi attorno all’ex dirigente di Siena. Ed erano rimbalzate voci di sondaggi informali per tastare la disponibilità dell’ex manager Ferrari Stefano Domenicali e del presidente della Legacalcio Serie B Andrea Abodi, il primo fuori budget e il secondo vincolato a un altro anno di contratto. Sottotraccia un nome che continua a circolare è quello di Maurizio Gherardini, senior advisor degli Oklahoma City Thunder e nome accostato negli scorsi giorni alla Reyer Venezia.

Difficile che le cose possano restare immutate dopo gli eventi delle ultime ore. Il comunicato della Guardia di Finanza, infatti, parla molto chiaro a proposito degli arresti a carico di Minucci, della sua principale collaboratrice Olga Finetti, di Stefano Sammarini e Nicola Lombardini soci dellaEssedue Promotion e della Brand Management per “i reati di associazione a delinquere con lo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti tributari“, nonché dei sequestri preventivi per equivalente per un totale di 14 milioni di euro ripartiti in 9,835 milioni per Minucci e Finetti e in 4,045 milioni a carico degli altri due.

“Le investigazioni di natura economico-finanziaria unitamente ad attività tipica di Polizia Giudiziaria condotte dalla Compagnia della G.di F. di Siena hanno delineato, per gli anni almeno dal 2006 ad oggi i ruoli ed i compiti dell’intero sodalizio criminale che aveva nel presidente Minucci il suo ideatore e regista”, si legge nella nota. Che parla di “disinvolta gestione economica della società sportiva” che ha consentito “alla dirigenza di raggiungere finalità diverse: elevare lo spessore della squadra ingaggiando atleti di fama internazionale pagati anche in nero su conti esteri e quindi maggior competitività sportiva; alterare i risultati dei bilanci in modo da iscriversi regolarmente ai vari campionati; produrre provviste di denaro contante per spese fuori bilancio e anche per l’arricchimento personale esentasse”. 

Il meccanismo della frode prevedeva l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti emesse da società create ad hoc, contesto in cui si inquadrano i rapporti tra di prestazione di servizi tra Mens Sana e la Essedue per sponsorizzazioni, eventi, promozione etc. A sua volta la Essedue aveva contratti speculari “con terze società compiacenti riconducibili a Galluzzi Alberto“. Quest’ultimo  ”contestualmente agli accrediti era uso prelevare in contanti l’equivalente dell’82%, costituendo in tal modo una provvista finanziaria occulta a disposizione del sodalizio criminoso”. Il denaro ritornava quindi alla Essedue e di qui alla dirigenza della Mens Sana. Il 18% restava invece a Galluzzi come “commissione” il 7% veniva trattenuto dalla Essedue, il 5% a Minucci che si stima prudenzialmente abbia percepito in nero almeno 2 milioni di euro ”oltre allo stipendio corrisposto dalla società, gli emolumenti gonfiati e i benefit che arrivavano alla società di famiglia per la gestione pubblicitaria del palazzetto dello sport”. Mentre “la restante parte veniva utilizzata per finalità extra bilancio ed era completamente occultata al fisco”. 

Per quanto riguarda i campioni, “è stato appurato che ai cestisti siano stati accreditati, oltre al compenso dichiarato nei contratti depositati in Lega, una serie di altri emolumenti ottenuti sotto forma di diritti d’immagine e/o altre prestazioni certificate da società estere. Queste erano appositamente costituite dallo stesso cestista o dal suo procuratore. In alternativa si avvaleva di un’azienda nazionale compiacente a cui il cestista fittiziamente cedeva tali diritti”.  L’evasione di 25 Top Player della Mens Sana “è stata quantificata in circa 16 milioni” e 17 atleti sono stati denunciati per omessa/infedele dichiarazione fiscale.

Poi i rapporti con il Monte dei Paschi e la vendita gonfiata del ramo d’azienda merchandising che ha fatto scattare la terza fase dell’inchiesta. “Approfittando delle professionalità interne alla società e dei rapporti preziosi con la Banca Monte dei Paschi – si legge ancora nella nota – nel 2012 fu individuata la soluzione perfetta per fare un nuovo maquillage al bilancio e avere i requisiti per potersi iscrivere ai campionati”. Lo stratagemma è appunto la creazione da parte di Sammarini di una società ad hoc per farle comprare il marchio Mens Sana. Con una supervalutazione di 8 milioni di euro che ha comportato la scrittura in bilancio di una maxi plusvalenza invece del debito contratto (da Sammarini con Mps) per l’acquisizione. “Questo dato, unitamente ai dati falsi già iscritti in precedenza quale conseguenza delle fatture per operazioni inesistenti ha di fatto alterato e sistematicamente falsificato le poste iscritte al bilancio descrivendo una realtà economico-finanziaria ben diversa dalla realtà”. I conti sono poi stati presentati ai soci in versioni diverse. E da qui è scaturita una denuncia al cda da parte di alcuni azionisti, il cui esito ultimo è stato il fallimento della società e l’accusa di false comunicazioni sociali e bancarotta fraudolenta in capo a Minucci e al suo staff.

“In conclusione le indagini hanno dimostrato come l’associazione a delinquere interessata dall’Operazione Time Out abbia messo in atto un disegno criminale ben preciso cercando di utilizzare le ingenti sponsorizzazioni ottenute dal gruppo Monte dei Paschi, si parla di 100 milioni di euro in 7 anni (2006-2013), per una gestione del tutto personale della società Mens Sana”, conclude la nota. Le sole contestazioni fiscali riguardano 27 milioni di imponibile sottratto al fisco, 15 milioni di Iva, quasi 3 milioni di ritenute previdenziali non versate e 18 milioni di redditi non dichiarati.

Questi i fatti con cui dovranno fare i conti in Lega Basket dove per ora si “prende atto” degli eventi che “saranno oggetto di “apposita analisi in una prossima assemblea”. Di certo c’è che le decisioni dovranno essere rapide. L’arresto è arrivato in un momento cruciale per la programmazione della nuova stagione, alla quale il futuro presidente stava già lavorando. Molto dipenderà da un’eventuale mossa di Minucci che non ha ancora firmato un contratto con la Lega, impegnata però da una delibera vincolante. Quello delle dimissioni è lo scenario più invocato in via informale in queste ore dai presidenti di Serie A. Altrimenti verrà convocata un’assemblea straordinaria che porterà a una clamorosa retromarcia dopo il sì convinto e gli applausi scroscianti d’inizio febbraio, quando i fatti che hanno portato ai domiciliari l’ex dirigente senese erano già in larga parte noti. A Siena, invece, resta il rimpianto dei 100 milioni perduti oltre alle incognite sulla restituzione dei denari prestati a Sammarini per il marchio. La sponsorizzazione invece scade quest’anno dopo che nel 2012 il neo ad Fabrizio Viola aveva confermato l’impegno di circa 10 milioni dedicandosi personalmente alla ricerca di un paio di sponsor scaduti, come dimostra lo scambio di mail con suo figlio Gianluca e, prima, con Minucci, finito nelle carte dell’inchiesta sul dissesto della banca. 

“Una indagine particolarmente complessa e complicata dalla condizione ambientale che ha creato non poche difficoltà”, ha commentato intanto il pm Antonino Nastasi, titolare dell’inchiesta che “continua, stiamo raccogliendo prove”. “Alla base delle misure cautelari – ha spiegato Nastasi – l’inquinamento probatorio. Nel corso delle indagini sono stati distrutti alcuni documenti”. Il pm ha anche specificato che “sono state accertate fughe di notizie che hanno permesso l’eliminazione di alcuni documenti che, se trovati, avrebbero permesso di ricostruire uno spaccato più ampio”. Secondo Nastasi i documenti sarebbero stati eliminati “da soggetti che hanno aiutato le persone raggiunte dalla misura di custodia cautelare”.

Daniele De Santis non era solo: commando di almeno 4 persone

Confermato l'arresto per il capo ultras romanista: sarebbe stato solo lui a sparare, ma non avrebbe agito da solo. Il prefetto di Roma ha anticipato alle 17.45 il big match previsto per domenica sera

Inchiesta giudiziaria e polemica politica. Sono ancora al centro della cronaca gli scontri di sabato sera. Secondo il pm, Daniele De Santis avrebbe attaccato i supporter napoletani con un commando organizzato di almeno quattro persone non ancora identificate. Intanto proseguono le indagini per ricostruire il momento della sparatoria e quello del colloquio tra Hamsik e Genny ‘a carogna. Sul fronte politico-istituzionale sono intervenuti sia il presidente Napolitano che il capo della polizia Pansa; entrambi hanno duramente condannato il tifo violento e difeso l’operato della polizia. 

Pm: “De Santis ha agito con un commando organizzato” - Daniele De Santis non era solo al momento degli scontri con i supporter del Napoli”. Secondo gli inquirenti il capo curva romanista avrebbe agito all’interno di un commando organizzato di cui facevano parte almeno altre 4 persone e tutti avrebbero partecipato al lancio di pietre contro il pullman dei tifosi napoletani. A partire da questa convinzione, gli investigatori stanno provando a identificare queste persone che, dopo aver assistito alla reazione dei supporter napoletani, sarebbero fuggite, lasciando solo De Santis.  Intanto il gip ha confermato l’arresto per l’uomo che continua a sostenere la sua innocenza: “Ho ricordi confusi, ma non sono stato io a sparare“, ha ribadito. Le sue dichiarazioni non hanno fatto cambiare idea al gip che nell’ordinanza di arresto ha descritto De Santis come un soggetto dalla “natura incontenibile e specialmente violenta“ e “un generale atteggiamento di sfida nei confronti dell’ordinamento e delle sue regole”. Il gip di Roma, Giacomo Ebner, ha confermato la versione secondo cui a sparare sarebbe stato solo ‘Gastone’, ma pare ormai certo che al momento dell’esplosione dei colpi non fosse l’unica persona presente sulla scena. Intanto gli inquirenti continuano i sopralluoghi nella zona in cui si sono svolti gli scontri. L’ispezione si è resa necessaria per ricostruire le varie fasi degli incidenti, culminate con il ferimento di Ciro Esposito.

Roma-Juventus anticipata alle 17.45 - Il Prefetto di Roma ha stabilito che Roma-Juventus, che si sarebbe dovuta giocare domenica 11 maggio alle 20,45, sarà anticipata al pomeriggio. La decisione arriva in seguito alle polemiche degli ultimi giorni, che avevano messo al centro delle preoccupazioni la sicurezza della capitale, già messa a dura prova dagli scontri di sabato scorso. Il timore degli inquirenti è che potrebbero ripetersi gli incidenti, con gli ultras napoletani forse intenzionati a ritornare nella capitale per ‘vendicarsi’ dell’aggressione giallorossa prima della finale di Coppa Italia.

Gip non convalida arresto per Ciro Esposito - Ciro Esposito, il tifoso napoletano rimasto gravemente ferito negli scontri a Roma prima della finale di Coppa Italia, invece, è libero. Per lui non è stato disposto alcun provvedimento: “Il gip ha rigettato qualunque misura cautelare avanzata dal pm per Ciro e ha accolto le richieste della difesa. Vince la giustizia, e vincerà anche Ciro la partita per la vita. Tecnicamente è libero e teniamo a dedicare questa vittoria alla madre del ragazzo”, questo il commento di Angelo Pisani, legale di Esposito. Grande sollievo da parte dei parenti, ancora allarmati per le condizioni cliniche del giovane, che al momento restano stazionarie. Per gli altri due ultras napoletani, Alfonso Esposito e Gennaro Fioretti, il gip ha previsto invece l’obbligo di firma

Genny ‘a carogna indagato per violazione delle norme - Intanto sono scattate le indagini anche per Genny ‘a Carogna e Massimiliano Mantice, a cui sono già  stati assegnati 5 anni di Daspo, massima sanzione prevista al momento, per il comportamento tenuto allo stadio Olimpico prima del match di Coppa Italia. Entrambi sono sottoposti a inchiesta per violazione della legge sulla sicurezza negli impianti a causa dello “scavalcamento e invasione di campo in occasione di manifestazioni sportive”. Per Genny ‘a carogna si indaga anche sulla violazione delle norme su “striscioni o cartelli incitanti la violenza o recanti ingiurie o minacce” per la maglietta “Speziale libero”. 

Alfano: “Non c’è stata la trattativa”. Ma la Procura indaga - Per quanto riguarda la presunta trattativa con gli ultras, dopo aver riferito ieri davanti alla Camera sugli scontri di sabato, il ministro dell’Interno Angelino Alfano è tornato a difendere pubblicamente il lavoro delle forze dell’ordine: “Le donne e gli uomini in divisa sono lì per garantire la libertà”, ha sottolineato. Ieri Alfano ha escluso qualsiasi trattativa con gli ultras nel pre partita di Napoli-Fiorentina, ma la Procura di Roma ha deciso comunque di aprire un’inchiesta per chiarire quanto successo sotto la curva del Napoli al momento del discusso colloquio tra Hamsik e Genny ‘a carogna. Gli inquirenti hanno deciso di acquisire le riprese televisive per chiarire le dinamiche dell’accordo. 

Napolitano: “Intransigenza assoluta verso il tifo violento” – Dopo l’intervento di lunedì scorso, in cui aveva invitato le società sportive “a rompere con i facinorosi”, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è tornato a occuparsi del problema della violenza degli ultras. Condanna durissima per “chi si presenta con spranghe, bombe-carta, chi attacca senza scrupolo sapendo di poter colpire gravemente, chi incendia e devasta”. Napolitano chiede “intransigenza assoluta” nei confronti di questi soggetti, motivo per cui “alimentare diffidenza nei confronti della polizia è un danno grave per la vita democratica del paese”. 

Pansa: “Queste situazioni non si dovranno più ripetere” - Sugli scontri di sabato parole dure anche da parte del capo della polizia Alessandro Pansa: “Situazioni come quella di sabato non si dovranno più ripetere”. Poi ha ribadito l’impegno delle forze dell’ordine per combattere il tifo violento: “Negli ultimi 12 mesi abbiamo arrestato 128 supporter rispetto i 41 dell’anno precedente”, inoltre “individueremo più incisive forme di contrasto”. 

“Meta”, condannato gotha ‘ndrangheta: 27 anni a De Stefano, 20 a Condello

Chiuso a Reggio il maxiprocesso istruito dal pm Lombardo contro le cosche più potenti del capoluogo. Condannati Giuseppe De Stefano, figlio del mammasantissima Paolo, e Pasquale Condello, detto "il supremo". Vent'anni anche a Pasquale Libri e Giovanni Tegano. Il ruolo degli "invisibili" tra mafia, politica e massoneria

Chi dalla cella, chi collegato in videoconferenza, il gotha della ‘ndrangheta ha assistito in silenzio alla lettura della sentenza del maxiprocesso “Meta”, nato da un’inchiesta del sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo che, nel 2010, ha stroncato le principali famiglie mafiose di Reggio Calabria.

Dopo quattro giorni di camera di consiglio, il presidente del Tribunale Silvana Grasso ha inflitto condanne pesantissime ai boss e ai luogotenenti delle cosche reggine. Sono state accolte, in sostanza, le richieste del pm che aveva auspicato 400 anni di carcere per gli imputati che hanno scelto il rito ordinario.

A partire da Giuseppe De Stefano, capocrimine e figlio del mammasantissima don Paolo, che è stato condannato a 27 anni di carcere. I giudici hanno inflitto 20 anni agli altri componenti del “direttorio” ‘ndranghetista: Pasquale Condello, detto il “Supremo”, Pasquale Libri e Giovanni Tegano. Ventitré anni, infine, anche a Domenico Condello, detto “Gingomma”, nipote del boss diArchi, considerato dalla Direzione distrettuale antimafia l’elemento di raccordo tra i boss e il resto dell’organizzazione.

Tutti gli altri imputati sono stati condannati a pene fino a 21 anni di carcere. Tra questi anche il capocosca di Sinopoli, Cosimo Alvaro (17 anni e 9 mesi di reclusione), che, nell’ottobre 2006, partecipò a una festa per l’anniversario dei genitori di Domenico e Carmelo Barbieri, il primo condannato con il rito abbreviato mentre al secondo oggi sono stati inflitti 3 anni di carcere. A quella festa parteciparono anche molti politici tra cui, come emerge in un’informativa del Ros, anche l’ex sindaco di Reggio e governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, oggi candidato alle europee nella lista del Nuovo Centrodestra.

Dopo il processo “Olimpia” degli anni Novanta, questa è la più importante inchiesta che, quattro anni fa, ha portato all’arresto di 42 persone. Nel corso del processo, il pm Lombardo ha più volte ribadito che le indagini continuano e che, in realtà, l’inchiesta che ha portato alla sentenza emessa oggi è solo “Metà” delle indagini che stanno conducendo i carabinieri del Ros.

Sempre il sostituto Lombardo, infatti, nei mesi scorsi ha modificato il capo di imputazione dell’associazione mafiosa inserendo il concetto di “invisibili”, quei soggetti mafiosi dalle “menti raffinate” che tirano le fila dei rapporti tra ‘ndrangheta, politica e massoneria. Una sorta di “livello superiore” (con cui possono avere a che fare solo i quattro boss componenti del “direttorio”) sul quale presto la Procura di Reggio, guidata da Federico Cafiero De Raho, potrebbe fare luce.

Ritornando alla sentenza di oggi, il Tribunale ha disposto un risarcimento danni di 2 milioni di euro per lo Stato italiano e per tutte le altre istituzioni che si sono costituite parte civile. I boss, infine, dovranno pagare altre 500mila euro all’associazione “Libera”.

 

 

 

 

.

>