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  INTERNOTIZIE

1) Un leader che da anni – tra Leopolde, proclami di rottamazioni, programmi delle primarie e comparsate sullo scibile universale – si vanta di avere le idee chiare, ma che arrivato a Palazzo Chigi dimostra di non aver pronto uno straccio di provvedimento o un barlume di strategia, vola alto nella considerazione internazionale quanto un palloncino bucato.

2) Promesse di una riforma al mese, 900mila posti di lavoro per i giovani, spending review e calendari di riforme (fantasma), in Italia vengono dimenticate, ma nelle cancellerie europee la memoria non è un optional. Il 41% ottenuto nei ludi cartacei europei non produce di per se’ risultati tangibili. Essi rimangono ostaggio di un gruppo parlamentare nominato da Bersani.

3) La riforma del Senato e della Costituzione, che tra passaggi e referendum arriverà in porto l’anno venturo, non muove di un centesimo il Pil. Resta da vedere se snellirà i meccanismi decisionali o semplicemente gonfierà i prezzi politici o le rendite dalle bande interne del Pd e dei cespugli vendoliani, alfaniani e montiani.

4) La flessibilità sui conti pubblici ad un paese che ha mancato tutte le promesse solenni da oltre venti anni, non verrà mai concessa se non dopo verifiche sugli effetti di eventuali misure economiche affidate alla reincarnazione di San Tommaso Apostolo.

5) Un governo che implora maggiori risorse da scialare ma non riesce da decenni ad usare i fondi strutturali europei (chiedere ragione al subcomandante Barca), ha smarrito il senso della realtà.

6) Un governo che insiste sull’effetto taumaturgico delle opere pubbliche – quando da decenni non si riescono a completare arterie indispensabili come la Salerno – Reggio Calabria mentre su ogni grande (e piccolo) appalto si scoperchia un letamaio criminale – ha un incolmabile deficit di dignità.

7) Le misure di solidarietà a livello europeo sono già state prese: grazie alla Bce oggi l’Italia paga tassi a dieci anni sul debito pubblico quasi simili agli Usa (2,6% contro 2,4%), che si traducono in svariati miliardi di risparmi sulle uscite. Invece di benedire la manna il governo si lagna che i soldi non bastano.

8) L’effetto del modesto taglio all’Irpef (per un massimo di 80 euro al mese) e all’Irap, al pari del taglio del cuneo fiscale di prodiana memoria, si infrangerà sulle aspettative di nuove e corpose tasse dalla Tasi al riordino del catasto. Peraltro la mancata copertura della mancia elettorale ricorda i fasti dell’abolizione berlusconiana dell’Imu.

9) Uno stimolo di domanda di 80 euro (o di 8000) comunque serve a poco se il sistema produttivo italiano non è competitivo: i consumi andranno in larga misura a cellulari (cinesi), auto (tedesche o giapponesi) televisioni (coreane) e vestiario (rumeno o tunisino).

10) Litigare con Cottarelli per affidare la spending review ad aziendalisti da vaudeville consulenziale è una genialata tafazziana. Va affrontata l’eliminazione dei centri di spesa ridefinendo il perimetro dello stato e abbattendo i gangli del clientelismo. Su questo punto c’è un consenso vastissimo nel paese come testimonia la popolarità dell’abolizione delle province. L’abolizione delle regioni (non l’attuale fetecchia sul Titolo V) sarebbe ancora più popolare.

11) Nella spending review vanno prima fissati obiettivi quantitativi in linea con un taglio drastico delle imposte, ad esempio 100 miliardi in due anni. Poi il commissario (meglio se il ministro dell’Economia se ne assumesse la responsabilità politica in prima persona) individua una scala di priorità e infine il governo decide dove si abbatte effettivamente la scure. Usare la spending review come un bancomat per nuove spese è un trucchetto da marito della Di Girolamo.

12) Sono possibili dozzine di riforme a costo zero: accorpamento di comuni, imposizione dei costi standard nelle forniture pubbliche, ridefinizione di tutele nel mercato del lavoro (basta tradurre ad esempio le leggi tedesche), adozione della legge sugli appalti pubblici sul modello francese, agenzie di collocamento private e via elencando. Per ulteriori informazioni sfogliare uno delle tante classifiche internazionali, tipo Ease of doing business della Banca Mondiale

13) Per rilanciare la domanda è molto più efficace rottamare lo spesometro e rivedere gli studi di settore tremontiani tarati sui tempi di vacche grasse. Permettere all’Agenzia delle Entrate di tormentare e ricattare piccole aziende e negozietti affinché i gabellieri intaschino i bonus, provoca molta più disoccupazione e fallimenti di qualsiasi austerità.

14) I debiti non stimolano la crescita sostenibile, altrimenti l’Italia sarebbe la locomotiva d’Europa dagli anni 70 e vanterebbe tassi di crescita da far invidia alla Cina. Conferire uno stipendio a chi presidia una scrivania distrugge risorse.

15) Escluso Padoan e un paio d’altri, il team di governo manca di spessore. Un rimpasto con gente in grado di assicurare capacità di esecuzione rapida è cruciale proprio perché la nomea di ladri ed inetti (che prevale a torto o a ragione) non permette di circondarsi di ras di provincia o replicanti del duo Carfagna & Gelmini.

 

Economisti e opinionisti si sbizzarriscono nel mettere sul tavolo proposte più o meno risolutive per scalfire la montagna di un disavanzo salito a 2.168 miliardi, oltre il 135% del Pil. Si va dalla "parziale ristrutturazione" ipotizzata da Lucrezia Reichlin alla creazione, sostenuta dal sottosegretario Angelo Rughetti e dall'imprenditore vicino al premier Marco Carrai, di fondi garantiti dal patrimonio pubblico. Ma Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del board della Bce, gela gli entusiasmi: "Non esistono soluzioni miracolose"

Che la vera emergenza italiana sia la zavorra del debito pubblico non è certo una notizia. Ma in questa seconda metà di un agosto caldissimo sul fronte dell’economia è diventato evidente che, più del paletto del 3% per il rapporto deficit/Pil, la partita cruciale che il governo Renzi si prepara a giocare con Bruxelles è proprio quella sullo stock del debito, che ha appena toccato i 2.168 miliardi di euro. Così, mentre qualcuno (subito smentito da Palazzo Chigi) ipotizza negoziati più o meno segreti per ottenere dalla Commissione sconti sul “rientro” imposto a partire dal prossimo anno dal Fiscal compact, economisti e opinionisti si sbizzarriscono nel mettere sul tavolo proposte più o meno risolutive per scalfire la montagna di un disavanzo salito oltre il 135% del Prodotto interno lordo. Le trovate qui sotto. Si va dalla “parziale ristrutturazione” ipotizzata da Lucrezia Reichlin, ex direttore della ricerca della Bce e ora docente alla London Business School alla creazione, sostenuta dal sottosegretario Angelo Rughetti e dall’imprenditore vicino al premier Marco Carrai, di fondi garantiti dal patrimonio pubblico le cui quote andrebbero vendute a investitori istituzionali e famiglie. Il ricavato andrebbe, appunto, a tagliare il debito. Meccanismo simile per i “mattone bond” lanciati dal Sole 24 Ore e da affiancare a “un ritocco contabile” sui versamenti dell’Italia al Fondo europeo di stabilità finanziaria. Peccato che dalle pagine del Corriere della Sera Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea e oggi nel consiglio di amministrazione di Morgan Stanley international, geli chi “si illude” di poter “effettuare operazioni di riconversione o ristrutturazione del debito in modo ordinato”: “Non esistono soluzioni miracolose”, è l’ammonimento. E l’Italia, diversa,emte da Atene nel 2011, “di alternative, ancora (per un po’) ne ha”. Che probabilmente il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan sottoscriverebbe. Non è un mistero infatti che via XX Settembre punti sulle (seppur lente e difficoltose) privatizzazioni, da cui spera di ricavare ogni anno lo 0,7% del Pil, e sia invece contraria a qualsiasi intervento shock che possa spaventare gli investitori esteri. Non per niente il Tesoro nei primi sei mesi dell’anno, approfittando dei bassi tassi di interesse, ha anzi “messo fieno in cascina”, emettendo più titoli di Stato del necessario e accumulando liquidità per oltre 105 miliardi

La linea Rughetti: un fondo con immobili e società statali – Il sottosegretario alla Pubblica amministrazione Angelo Rughetti ha detto al Messaggero che “con il solo avanzo primario non usciremo mai” dalla spirale del debito. Per questo l’esecutivo dovrebbe dare “un segnale” collegando alla Legge di Stabilità “un’operazione che contenga un piano a 20 ani a per la riduzione del debito pubblico con la creazione di un fondo dove immettere il patrimonio pubblico, mobiliare e immobiliare, e poi cedere il 49% delle quote del fondo stesso”. La misura “potrebbe essere inserita in un disegno di legge ad hoc” e “dovrebbe riportarci sotto il 100% del rapporto tra debito e Pil”. Da notare che per riuscirci occorrerebbe ricavare oltre 500 miliardi di euro, cioè appunto la differenza tra l’ammontare del “rosso” italiano e il valore del prodotto interno. Facile a dirsi. Anche perché è ben noto che i “gioielli” italiani, soprattutto quelli immobiliari che il Demanio e i governi di ogni colore da anni tentano di piazzare, non presentano particolare appeal agli occhi degli investitori.

Il fondo Patrimonio Italia di Carrai – L’idea del renziano Carrai riprende quella avanzata nel 2005 (ma all’epoca il debito era al 106,6% del Pil) dal giurista Giuseppe Guarino: creare un maxi-fondo a cui conferire “gli asset morti dello Stato per estrarne valore”. “L’immenso patrimonio immobiliare pubblico”, ha scritto su Mf il presidente del Cambridge Management Consulting Labs, “si può considerare dal punto di vista reddituale patrimonio morto”, “per non parlare del patrimonio spesso in capo agli enti locali o al forze armate non utilizzato e non a reddito”. Gli attivi del fondo verranno venduti “una parte a investitori istituzionali e fondi sovrani ma anche al cosiddetto Bot People”. Con il risultato di “abbattere di circa 2-300 miliardi il debito pubblico dello Stato”.
 

La ristrutturazione invocata da Reichlin e ModyLucrezia Reichlin e l’economista indiano Ashoka Mody, ex funzionario del Fondo monetario internazionale e oggi ricercatore del think-tank Bruegel, propugnano una vera e propria ristrutturazione del debito. Mody è arrivato a dichiarare al Telegraph che le autorità italiane dovrebbero iniziare a consultare “brillanti avvocati esperti in debito sovrano” per capire come non ripagare interamente gli interessi ai possessori di titoli di Stato. Anche Reichlin, in una recente intervista a Repubblica, ha rispolverato quello che da sempre è il suo cavallo di battaglia: una “redenzione” di parte del debito. “Assumiamo che per l’Italia il 40% del debito sia dovuto alle crisi: questa parte viene cartolarizzata e acquistata a sconto da una bad bank europea che poi la rimette sul mercato”, ha spiegato al quotidiano di Largo Fochetti. “Con un debito così alleggerito l’Italia può finanziare le iniziative di rilancio”. 

Il taglio da 200 miliardi in tre mosse proposto dal Sole Il quotidiano di Confindustria, alla vigilia di Ferragosto, ha messo sul piatto una proposta articolata in tre mosse per ridurre il debito di 300 miliardi: una società-veicolo con in pancia immobili per 60 miliardi, un “ritocco contabile” sul contributo di Roma al fondo salva-Stati e la privatizzazione delle società municipalizzate già contenuta nel piano del commissario alla spending review Carlo Cottarelli. Il primo punto prevede la nascita di una società ad hoc a cui trasferire attivi per 60 miliardi. Quest’ultima venderebbe poi le proprie quote a investitori privati e utilizzerebbe l’incasso per acquistare gli immobili riducendo il debito pubblico per la stessa entità. Per pagare gli interessi potrebbe contare sul “pagamento dell’affitto che lo Stato andrebbe a pagare sugli immobili”. Secondo il Sole, la proposta risulterebbe appetibile per l’investitore privato “a caccia di rendimenti sicuri con una remunerazione più elevata rispetto ai Bot e ai Btp”. Il secondo comparto del pacchetto consiste nel trasferimento al nuovo Meccanismo europeo di stabilità (Esm) delle passività del Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf) nato nel 2010, perché i titoli emessi dal primo non vanno a pesare sui debiti pubblici nazionali. La decisione, tuttavia, spetta a Bruxelles. Infine la privatizzazione delle municipalizzate, processo “che attiverebbe anche risparmi da 800 milioni l’anno”.

Il piano di Mediobanca con il coinvolgimento di Cdp- Non si contano, d’altronde, le proposte taglia-debito avanzate negli anni da economisti e esponenti politici e rimaste nel libro dei sogni: dagli eurobond” di Alberto Quadrio Curzio e Romano Prodi, di recente rilanciati anche dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio ma avversati strenuamente da Angela Merkel, al piano di Paolo Savona e Angelo Maria Rinaldi basato su fondo partecipato da Cassa depositi e prestiti e Fintecna. La Cdp è stata chiamata in causa anche da Antonio Guglielmi, capo analista di Mediobanca Securities, che nel 2012 ha illustrato al Cnel un’operazione di dismissione di partecipazioni statali, immobili e riserve auree di Bankitalia per un valore di 200 miliardi. La Cassa, a cui sarebbero state trasferite, avrebbe poi dovuto finanziarsi emettendo obbligazioni “garantite” da quegli stessi “gioielli” e dunque meritevoli di un rating superiore anche a quello dei titoli sovrani italiani. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL PASTROLICUM, DA NOI RIBATTEZZATO, E' IL NUOVISSIMO ACCORDO ELETTORALE REALIZZATO NELLE SEGRETE STANZE DELLE SEDI ROMANI DEL PD TRA UN PREGIUDICATO ED UN CONDANNATO IN PRIMO GRADO, OVVERO TRA UN DELINQUENTE ACCLARATO ED UNO IN FORSE, IL TUTTO IN SPREGIO DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE CHE HA DECRETATO COME ILLEGITTIMO UN PREMIO ELETTORALE SPROPORZIONATO ALLA QUOTA DI VOTI RAGGIUNTA DALLE COALIZIONI. BENE, I DUE LOSCHI FIGURI, FOTTENDOSENE DEI DETTAMI DELLA LEGGE, HANNO VARATO, PER CAZZACCI LORO, UN ACCORDO ELETTORALE CHE PREVEDE NATURALMENTE UN ULTERIORE PREMIO DI MAGGIORANZA A FRONTE DEL RAGGIUNGIMENTO DI UNA DETERMINATA QUOTA PERCENTUALE, PENA, IL PASSAGGIO AD UN SECONDO TURNO ELETTORALE TRA I PRIMI DUE CON TOTALE ESCLUSIONE DI TUTTI GLI ALTRI. IN UN PAESE CHE VEDE ORMAI LA PERCENTUALE DI ASTENUTI ATTESTARSI AL 50%, CON UNA MORIA ELETTORALE SENZA PRECEDENTI NELLA STORIA REPUBBLICANA, IL RISCHIO CONCRETO E FATTUALE E DI VENIRE GOVERNATI DA UNA ESPRESSIONE ELETTORALE NON SOLO MINORITARIA MA NEANCHE LONTANAMENTE RAPPRESENTATIVA DELLA POPOLAZIONE. VISTO L'ACCORDO ECCO CHE I TOPI DI FOGNA TORNANO ALLA RIBALTA, IL PRIMO è PIERCASINANDO:

Casini, ecco l'ultimo voltafaccia per fare 
vincere Berlusconi con la legge di Renzi

Diceva che il Cavaliere vuole "alleati servili" e che pensa "solo ai suoi affari". Dopo il flop delle urne
l'ex Dc ci ripensa. Un passo in più verso il 37% che porterebbe Forza Italia alla vittoria al primo turno
Renzi: "Non ne ho bisogno, il centrodestra si batte con le idee". Sondaggio Ipsos: Fi più Udc al 37,9%Pier si alza sulle punte, compie qualche passetto verso destra e si prepara all’esercizio preferito: la piroetta. Il Pd ha voluto l’innalzamento della soglia per il premio di maggioranza al 37% e il Cavaliere sta facendo la collezione di alleati per battere sul filo Matteo Renzi. L'ultimo sondaggio Ipsos lo conferma: Forza Italia e Udc insieme porterebbero il centrodestra al 37,9 % dei consensi (leggi) con il risultato di vincere al primo turno.

 

LA CORSA AL 37% ED ALLE NUOVE ULTERIORI ELEZIONI

Dalla drammatica uscita di scena dell'alleato mamelucco e dall'uscita di scena a calci dalla Presidenza del Consiglio passano 2 anni e mezzo, una condanna al carcere definitiva,una elezione politica impaludata sfruttando una legge elettorale incostituzionale e la propensione alla delinquenza di una intera nazione che gli permettono nuovamente di galleggiare così come la merda galleggia sul pelo dell'acqua. Con un figlioccio alla segreteria dei suoi alleati ventennali, il PD, si ritrova a firmare una nuova legge elettorale sotto banco. Fatta quest'ennesima merdata, lo scopo dell'ultimo dittatorello di Libialia è quello di rastrellare quanta più fogna possibile per arrivare alla soglia del 37%, percentuale utile per riprendersi tutto il mazzo ed evitare il secondo turno. Ora ha fretta anche perchè sono sorte altre due pendenze: un processo per corruzione di testimoni ed uno per corruzione di senatore.

"Il diritto all'oblio va contro la storia". Vallanzasca tra Google e Wikipedia

La richiesta: il mio nome non sia legato alle pagine sul bandito E Mountain View la accontenta. L'enciclopedia: immorale

IL DIRITTO all'oblio contro il diritto all'informazione. A sollevare l'ultima polemica nella diatriba tra chi desidera vedere cancellato il proprio nome dai motori di ricerca e chi, invece, ricostruisce sul web la biografia di personaggi della storia e della cronaca, sono stati quelli di Wikipedia. Sul sito della Wikimedia Foundation, che gestisce l'enciclopedia online, sono state pubblicate le notifiche con cui Google ha fatto sapere di avere oscurato alcuni link a Wikipedia su determinate ricerche.

Senza svelare il nome dei richiedenti, il colosso di Mountain View ha spiegato come per rispetto alla sentenza della Corte di giustizia europea che garantisce il diritto all'oblio (a seguito della quale Google ha ricevuto oltre 90mila domande di rimozione), almeno cinquanta pagine dell'enciclopedia hanno già subito questo trattamento. Quarantasei appartengono alla Wikipedia olandese: tra queste compare più volte il nome del giocatore di scacchi Guido den Broeder, una riguarda la voce in inglese su Gerry Hutch, irlandese incarcerato negli anni 80, mentre una pagina rimanda a una fotografia del musicista Tom Carstairs che suona la chitarra. Due segnalazioni riguardano anche pagine italiane: quella del gangster milanese Renato Vallanzasca e quella della sua banda, la banda della Comasina.

Come spiegato nelle notifiche, la decisione di Google non ha comportato la scomparsa di queste pagine dal motore di ricerca: i cinquanta link sono "oscurati" solo quando l'utente inserisce il nome della persona che ha chiesto la rimozione. Le voci wikipediane, infatti, rimangono vive e vegete oltre ad essere ancora raggiungibili tramite il motore di ricerca, ad esempio utilizzando altre parole chiave che non contengano il nome di chi non vuole più essere associato alla storia, nella fattispecie, del bandito. Nel caso italiano, a inviare la richiesta non è stato Vallanzasca (così hanno spiegato i suoi avvocati, e in effetti digitando il nome del gangster il primo risultato è proprio quello di Wikipedia), ma più probabilmente qualcuno che non vuole essere associato alle vicende di quegli anni. Sul nome, però, da Google mantengono il più stretto riserbo, anche perché altrimenti sarebbe violato il diritti alla privacy dell'individuo secondo la decisione della Corte.

Dalla Wikimedia Foundation lanciano un allarme per la difesa della libertà della rete. "I risultati di ricerca accurati stanno scomparendo dall'Europa  -  ha dichiarato Lila Tretikov, informatica di origini russe e direttore esecutivo della fondazione  -  senza nessuna spiegazione pubblica, nessuna prova reale, nessun controllo giurisdizionale e nessun processo d'appello. Il risultato è un luogo in cui le informazioni scomode semplicemente scompaiono". Parole a cui ha fatto eco Jimmy Wales, fondatore di Wikipedia, durante la conferenza annuale Wikimania che si è svolta a Londra: "La storia è un diritto umano. Io sto sotto i riflettori da un bel po' di tempo, alcune persone dicono di me cose belle e altre cose brutte. Ma questa è storia e non userei
mai un procedimento legale come questo per cercare di nascondere la verità. Credo che ciò sia profondamente immorale".
Anche Google aveva mostrato tutta la sua contrarietà alla decisione della Corte europea per bocca di David Drummond, chief legal officer dell'azienda californiana: "Non siamo d'accordo con la sentenza, è un po' come dire che un libro può stare in una biblioteca, ma non può essere incluso nel suo catalogo. Ovviamente, però, rispettiamo l'autorità della Corte e facciamo del nostro meglio per attenerci alle sue decisioni".

 

 

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