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Nur al
Maliki non rinuncia al terzo mandato e denuncia il curdo Masum per
"violazione della
Costituzione". L'Alta Corte: ha maggioranza, sia nominato.
Militari nella zona verde della capitale
L’esercito scende in strada mentre il premier Nur al Maliki non si dimette e sfida il presidente Fuad Masum. Non è solo l’offensiva dell’esercito islamista in atto nel nord del Paese a preoccupare. Domenica sera un enorme dispiegamento delle forze di sicurezza irachene, tra polizia, esercito e unità antiterrorismo, è stato schierato intorno alla “zona verde” di Baghdad, l’area fortificata dove hanno sede molti uffici governativi e diverse ambasciate. Lo spiegamento è iniziato verso le 20.30, un’ora e mezza prima che al Maliki, a caccia del terzo mandato, annunciasse alla televisione di Stato l’intenzione di denunciare il presidente per aver violato la Costituzione, colpevole a suo giudizio di non favorire la formazione di un nuovo governo. Le misure di sicurezza adottate sono considerate “insolite” dagli stessi responsabili della polizia irachena perché “assomigliano a quelle che si impongono in situazioni di emergenza“. Forti i timori che la situazione possa degenerare in un colpo di Stato. Oggi la Corte federale irachena ha riconosciuto che il partito del premier, lo Stato del Diritto, è il vincitore delle ultime elezioni, e quindi al Maliki può ottenere nuovamente l’incarico. Lo scrive l’agenzia Nina. In seguito al pronunciamento della Corte, centinaia di sostenitori di al Maliki sono scesi in piazza a Baghdad per chiedere che gli venga concesso un terzo mandato.
Il dispiegamento di forze è stato stigmatizzato dall’inviato dell’Onu a Baghdad, Nicolay Mladenov: “Le forze di sicurezza devono astenersi da ‘interferenze’ nel processo ‘politico democratico’ dell’Iraq”. Mladenov ha invitato anche al Maliki a “rispettare le responsabilità costituzionali del presidente della Repubblica”. ”Il presidente iracheno esercita le proprie funzioni in base alla Costituzione e nel rispetto del processo politico democratico”, ha detto Miladinov, “fiducioso” che il curdo Masum “darà al principale blocco politico” in Parlamento la possibilità di “nominare un candidato per l’incarico di primo ministro, che formerà un governo inclusivo che goda di ampio consenso e sia accettabile per tutte le componenti della società”. Un invito alla calma arriva anche da John Kerry: ”Le fazioni politiche non dovrebbero usare la forza mentre si prepara la formazione di un nuovo governo”, ha detto il segretario di Stato americano che ha ribadito oggi il sostegno di Washington al presidente Masum, mettendo in guardia Al Maliki di non aggiungere una crisi politica alle emergenze militari e umanitarie.
Come si è determinato lo stallo politico-istituzionale? Il partito di al Maliki ha vinto le elezioni di aprile e il premier preme per ricevere l’investitura presidenziale necessaria per il terzo mandato. Ma la resistenza alla sua riconferma si va rafforzando sia in Iraq sia nella comunità internazionale, con gli Stati Uniti che premono affinché al Maliki si faccia da parte. La politica del suo governo è vista da più parti come una delle principali cause dei successi politici e militari dello Stato Islamico: a finire sotto accusa le politiche di discriminazione nei confronti dei sunniti che hanno indotto parte di essi a simpatizzare con i jihadisti. In base ad accordi non scritti, in Iraq la carica di premier spetta a uno sciita, quella di presidente del Parlamento a un sunnita e quella di presidente della Repubblica a un curdo. Nonostante le ultime due cariche siano già state assegnate, la guida del governo rimane vacante.
Sul fronte della lotta contro i ribelli islamici dell’Isis comincia a delinearsi la strategia degli Stati Uniti, che non si limiterà ai raid aerei annunciati da Barack Obama e già avviati dal Pentagono. Washington ha cominciato a fornire armi direttamente alle forze curde in Iraq, che hanno iniziato a ottenere vittorie contro l’Isis dopo avere perso terreno rispetto ai militanti. Lo riferiscono fonti ufficiali degli Stati Uniti. Finora la Casa Bianca aveva insistito sul fatto che stava vendendo armi solo al governo iracheno. Le fonti non hanno specificato quale agenzia Usa stia fornendo le armi, né che tipo di armi vengano inviate, ma uno dei funzionari afferma che non si tratta del Pentagono. Storicamente la Cia ha compiuto operazioni del genere. Inoltre le fonti aggiungono che l’amministrazione è vicina all’approvazione di piani perché il Pentagono armi i curdi. Recentemente l’esercito Usa ha aiutato ad agevolare le consegne di armi dagli iracheni ai curdi.
La situazione sui monti Sinjar resta estremamente critica. ”Circa 50 bambini muoiono ogni giorno” per mancanza di acqua e di cibo tra le migliaia di rifugiati Yazidi in fuga dallo Stato islamico e ancora bloccati sulle montagne intorno a Sinjar. Lo ha detto Vian Dakhil, deputata della comunità, aggiungendo che “molti altri moriranno” se non saranno raggiunti dagli aiuti umanitari.
Intanto il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, questa mattina ha corretto il tiro sul ventilato intervento militare italiano in Iraq: “L’Italia – ha detto a intervenendo alla trasmissione Radio Anch’io su Radio 1 – non pensa ad un intervento militare ma a forme di sostegno dell’azione anche militare del governo del Kurdistan iracheno”. Il ministro, che ha detto di aver appena sentito la collega della Difesa Roberta Pinotti, ha spiegato che “sono in corso verifiche a livello tecnico per sostenere il governo autonomo del Kurdistan nella sua reazione per fermare lo Stato Islamico”. Poi ha aggiunto: “La necessità immediata è fermare lo Stato Islamico e assicurare la protezione dei civili”. Mogherini ha anche detto di aver scritto alla rappresentante Ue per la politica Estera, Catherine Ashton, per chiedere formalmente la convocazione di un Consiglio Affari Esteri europeo sull’Iraq, Gaza e la Libia.