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  INTERNOTIZIE

Chiederei ospitalità per una precisazione sulla circostanza che la sede dell'Archivio Centrale dello Stato potrebbe essere trasferita a Pomezia. La chiedo perché su quest'ultimo punto si sta accendendo una interessante discussione, come dimostra peraltro il commento di Andrea Fama (sopra pubblicato). Anche come promotore della Iniziativa per l'Adozione del Freedom of Information Act in Italia, Andrea Fama esprime molte opinioni su come organizzare i servizi archivistici, ma da noi, nella Sala di studio dell'ACS, egli non è mai venuto e, forse per questo, fa molta confusione.

I suoi ragionamenti presuppongono, infatti, che le carte conservate in un deposito lontano qualche chilometro dalla Sala di studio di un istituto archivistico non siano consultabili. Egli immagina, così, che la consultazione degli archivi si svolga come in una piccola biblioteca di pubblica lettura: "a scaffale aperto", con i lettori che accedono direttamente alle collezioni librarie poste sugli scaffali, si scelgono il volume e se lo portano al tavolo, come si fa in un supermarket self service.

Non è così: negli archivi agli studiosi non si consente mai di accedere direttamente al materiale archivistico e di "servirsi" da soli, per tutti quei motivi che anche un sostenitore della libertà d'informazione riuscirebbe a comprendere. E dal momento che nessuno ha mai pensato di aprire una sede a Pomezia, ma di istituire una navetta giornaliera che porta da Pomezia nella Sala di studio dell'Eur i pezzi richiesti, che importa ad Andrea Fama se sul tavolo degli studiosi i faldoni ci arrivano con un servizio di navetta da un deposito esterno, o dopo essere stati presi e portati con carrelli spinti a mano, facendo un percorso che, se riguarda quell'edificio laterale di cui si parla, è certamente lungo, complicato e disagevole?

Andrea Fama si preoccupa poi di che fine faranno i nuovi versamenti, in particolare quelli che verranno fatti a seguito della Direttiva Renzi. Egli non sa (forse non può saperlo, ma le sue fonti "interne degli Archivi" avrebbero potuto spiegarglielo) che quando un istituto archivistico acquisisce nuovi fondi può effettuare, al proprio interno, gli spostamenti più opportuni della documentazione. Può insomma portare in un deposito secondario (se c'è) le carte che si consultano di meno e lasciare nella sede principale quelle "più frequentate": cose abbastanza banali ed elementari, ma ad alcuni anche le misure più semplici sembrano troppo complicate.

Qualche dato, infine, tanto per rimettere i nostri ragionamenti con i piedi per terra: il deposito ACS di Pomezia (deposito, dico, e non sede) dista 20 chilometri dall'Eur (più o meno la distanza che c'è tra l'Eur e molti quartieri romani), è capace di ricevere 38 chilometri di documentazione e costa 150.000 euro l'anno (inclusi tutti i costi aggiuntivi, compresi quelli di guardiania). Non è un nuovo fitto: sostituisce una sede al Serafico che poteva ospitare 15 chilometri di carte e costava, tra canone di locazione e costi di gestione, 450.000 euro l'anno. Un risparmio, come si vede, di 300.000 euro l'anno. Problemi? Dall'ottobre 2013 ad oggi, nei dieci mesi trascorsi da quando è stato completato il trasferimento della documentazione a Pomezia, abbiamo fatto fronte a ben DUE richieste di consultazione del materiale che vi è depositato.

Che dire? Che tenevamo in locali molto costosi ingenti quantità di carte che, non essendo descritte in modo adeguato, sono di fatto inaccessibili? Non si chiamerebbe danno all'erario dello Stato?
Che all'Eur c'è ancora molta documentazione che si potrebbe portare a Pomezia senza (quasi) colpo ferire? Che nel passato, quando davvero l'ACS non aveva spazi per poter ricevere i versamenti dovuti (per legge), abbiamo "perduto" parecchia documentazione? Che se non avessimo acquisito il deposito di Pomezia, e se non avessimo potuto disporre dei suoi spazi, allora sì che non avremmo potuto ricevere la documentazione connessa alla Direttiva Renzi? Che con i risparmi realizzati (e con quelli che sarà possibile realizzare nei prossimi anni) sarebbe possibile "convertire" le risorse ora impiegate nelle locazioni passive, "nel mattone", in attività lavorative di inventariazione e restauro e in efficienti servizi archivistici?

Sull'entità di questi possibili risparmi sarà ovviamente importante capire se il Mibact deciderà di portare in una parte del nostro edificio laterale (11.000 mq) il solo Museo Nazionale d'Arte Orientale o anche la Direzione Generale per gli Archivi. Non spetta a me entrare nel merito di questa questione, ma l'affermazione di Andrea Fama sull'ipotesi alternativa (che la DGA spenda nove milioni nell'acquisto e sistemazione della sua attuale sede di via Gaeta) per evitare "un trasloco decisamente più costoso e dai risvolti deleteri per l'attività archivistica", è decisamente incomprensibile. I costi per la riqualificazione del nostro edificio laterale a carico della DGA non supererebbero, ad occhio e croce, i due milioni: rispetto all'ipotesi dell'acquisto dell'edificio di via Gaeta si avrebbe quindi un risparmio di sette milioni, non poco in un periodo di ristrettezze come l'attuale. L'obiezione, che comunque si continuerebbe a pagare il canone per un immobile, quello dell'Eur, non demaniale, è debole: l'immobile appartiene ad Eur spa, società a partecipazione interamente pubblica; e le risorse che passano da un soggetto pubblico ad una società a partecipazione pubblica andrebbero valutate con ragionamenti leggermente più raffinati.

Un'ultima cosa, la principale: i motivi della proposta di cui si discute (lo spostamento a Pomezia di una parte della documentazione che ora è all'Eur) sono spiegati nella mia intervista: a muovermi non è stato il desiderio di abbattere i costi sostenuti dal Mibact (comunque un nobile obiettivo, soprattutto per quelli che pagano le tasse), ma il voler garantire la migliore conservazione della documentazione che ci è affidata e che ora è custodita, almeno per una parte non trascurabile, in condizioni e ambienti inidonei. Pomezia è un ripiego, meglio sarebbe stato, e sarebbe, pensare davvero ad una nuova sede dell'Archivio centrale dello Stato, una sede moderna, funzionale ed economicamente sostenibile, dove non pagheremmo per l'energia elettrica, tanto per fare un esempio, 200.000 euro l'anno. Ma sono sicuro che di queste cose potremo ragionare sul serio solo quando ci saremo liberati di tanti pesi ideologici che impediscono di poter guardare alla realtà, ai dati di fatto, e costituiscono una zavorra da cui non viene mai fuori alcuna soluzione ai problemi concreti e oggettivi che ci stanno davanti.

Nel ringraziare per l'ospitalità, rinvio chi volesse approfondire per bene tutte queste questioni ad un dettagliato comunicato pubblicato nel sito web dell'ACS (www. acs. beniculturali. it).

*Sovrintendente Archivio Centrale dello Stato

 

 
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