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  INTERNOTIZIE

EURASIA, NUOVA RUSSIA (EST DI KIEV) E RIPRISTINO DELL'UNIONE SOVIETICA ( SENZA PASSARE PER LE REPUBBLICHE SOCIALISTE....):LA RIVINCITA DEI NAZBOLS

Il Nazional-Bolscevismo è l'ideologia che permea i passi di Vladimir Putin all'interno della ricostituzione dell'Unione Sovietica. Il NazionalBolscevismo (o Bolscevismo Nazionale) è una ideologia politica sincretica fra il Bolscevismo ed il Nazionalismo, con forti accentuazioni geopolitiche ed etniche (come il pangermanismo o il panslavismo).
Il movimento, nato negli anni venti in Germania ad opera di comunisti "eretici", a cavallo tra la fine del XX secolo e l'inizio del XXI secolo è stato attivo principalmente in Russia, con il Partito Nazional Bolscevico di Aleksandr Gel'evič Dugin e Eduard Limonov. Peculiare la bandiera del partito, simile a quella della Germania nazista ma con una falce e martello al posto della svastica. Si può dire anche che i NazBols rappresentano L'ESTREMA DESTRA DEL PARTITO COMUNISTA RUSSO.



In Belgio le istanze nazionalbolsceviche sono sostenute dal "Parti Communautaire National-Européen", discendente del Parti Communautaire Européen di Jean-François Thiriart. In Italia dal progetto "Fronte Patriottico" e dalla rivista "Patria - bollettino socialista",la matrice Millenium Millenarista che ha impastato assieme "il Socialismo in un Solo Stato" stalinista con il manifesto della RSI di Salò.
È accompagnato da una visione complessiva, che ne accentua il realismo e quindi concepisce la politica all'interno del "continente" Eurasia comprendente l'intera Europa, la Russia, e parte dell'Asia. Il nazional bolscevismo è programmaticamente nazionalrivoluzionario, tradizionalista, antiamericano, anticapitalista nell'ambito della Terza via; concilia le concezioni rivoluzionarie materialiste e spirituali.
Le figure di riferimento sono prese dai rivoluzionari politici del Novecento, dai teorici comunisti e socialisti, a molti teorici nazional rivoluzionari come Niekisch e Sorel. I riferimenti idealisti trovano ispirazione in Hegel, Julius Evola e altri filosofi, mentre economicamente i nazional-bolscevichi appoggiano una commistione tra le riforme economiche del comunismo e varie teorie sindacaliste di natura socializzatrice e antifiscale, ma sempre mettendo l'accento sulla spiritualità dell'azione.

Da parte dei suoi fautori il nazionalbolscevismo sembra non essere altro che una chiave per rinnovare completamente le logiche politiche che considerano ormai obsolete, superando quelli che chiamano "opposti estremismi" utili, a loro avviso, solo a dividere le tematiche popolari e rivoluzionarie.

Mentre in Russia il NazBols cresciuto e soppresso dall'azione politica sovietica si poneva a destra del Partito Comunista Russo col suo Panslavismo non del tutto abiurato dallo stesso Stalin, nell'area mediterranea (Francia,Italia) il Nazional-Comunismo era la sinistra dell'estrema destra ibridizzandosi ideologicamente di COMUNITARISMO,ossia quella tendenza d'area anglosassone tesa a mitigare gli effetti del liberalismo e che in Italia ha avuto come fautori Tommaso Demaria:1957, anno in cui Tommaso Demaria pubblica la sua opera fondamentale "Sintesi sociale cristiana". Si diffonde ad opera di vari movimenti che fanno capo al MID (Movimento Ideoprassico Dinontorganico) e FAC (Fraterno Aiuto Cristiano); in particolare il MID custodisce e promuove l'alternativa ideoprassica a comunismo e liberalismo. Promosso da un gruppo di industriali capitanati da Giacomo Costa , il comunitarismo dinontorganico di Tommaso Demaria aprì negli anni '50 interessanti prospettive al mondo dell'industria perché si poneva come trampolino per la costruzione di un nuovo tipo di società. I numerosi convegni di Rapallo tenuti agli industriali tra il 1958 e il 1971, l'azione di Giacomo Costa e Adriano Olivetti, furono il segno tangibile e concreto dell'interesse di una certa parte della classe dirigente che ambiva in quegli anni a lanciare in Italia un modello cristiano alternativo sia al capitalismo che al marxismo. Di quello sforzo resta traccia nelle opere di T. Demaria e nei progetti solo in parte realizzati e ancora rintracciabili negli atti dei convegni.Verso la fine degli anni settanta, in risposta all'opzione marxista delle ACLI venne fondato il sindacato comunitarista delle LACLI o Libere Acli di cui Demaria compose lo statuto. L'eredità di questa ambiziosa impresa trova patria e rinnovato vigore ancora oggi presso alcuni ambienti dell'imprenditoria e dell'attivismo cattolico italiano ( www.dinontorganico.it )

In Italia il comunitarismo ha cominciato a diffondersi in alcuni settori della DC, di piccoli partiti locali e della destra extraparlamentare a partire dagli anni settanta ed ha trovato spazio negli ambienti della Nouvelle Droite, senza tuttavia riuscire a dare vita ad iniziative di rilievo politico 
ad esclusione del Movimento Zero, fondato nel 2005 dal giornalista Massimo Fini, tendente a rivalutare il medievalismo e la societa' feudale plasmatasi sulla contingenza delle feroci contrazioni socio economiche successive alla caduta dell'Impero Romano, contro lo sviluppo industriale inglese.

Attualmente, un certo richiamo al comunitarismo è stato adottato anche da settori della sinistra, dal movimento per la decrescita e da altri soggetti che ripensano globalmente la propria identità politica accogliendo anche istanze storicamente proprie dell'altra parte politica e le sviluppano, come spesso affermato, oltre i concetti di destra e sinistra.

Tuttavia, al di là della dichiarata volontà di superare le categorie di destra e sinistra permangono a tutt'oggi profonde divisioni tra le varie anime del comunitarismo.

Il comunitarismo di impostazione marxista è più strutturato a livello teoretico rispetto a quello di destra (si pensi alla rivista Comunitarismo animata dal filosofo Costanzo Preve) e ha dato vita all'organizzazione internazionale denominata Campo Antimperialista. Questa organizzazione è stata duramente attaccata[3] da alcuni militanti di sinistra che non hanno gradito l'adesione ad una manifestazione di sostegno alla resistenza irachena da parte di persone provenienti da ambienti di destra[4].

Ucraina, Europa ko. Ha vinto Putin: si è preso il Donbass. E Obama non può nulla

A poco servono le 5 piccole basi che la Nato installerà sui confini. Con l'inverno le case degli europei dovranno essere riscaldate in buona percentuale con il gas erogato da Gazprom e nessuno, a di qua dell'ex cortina di ferro, vuole rischiare la catastrofe per l’Ucraina: lo "zar" lo sa ed è lui a dettare le regole del gioco. Per lui, alle prese con i danni economici provocati dalle sanzioni, dalla svalutazione del rublo, dalla negatività della Borsa di Mosca, la questione è vitale: non può permettersi di uscire sconfitto

Cara stolida, impotente, divisa Europa, inutile fingere di non capire, di credere nelle tregue sollecitate dai cannoni invasori, di immaginare che creando un “cordone” Nato di sicurezza con cinque (piccole) basi a Est si possa indurre a più miti consigli il Cremlino. E’ solo fumo negli occhi, illusioni politiche, parole che pesano nemmeno il tempo d’essere pronunciate. Sul fronte occidentale, infatti, nulla di nuovo. Tra poco ricomincia il freddo, le case dei tedeschi, degli italiani, di gran parte degli europei dovranno essere riscaldate in buona percentuale con il gas erogato da Gazprom, mica c’è Washington a rifornirci di prezioso combustibile e per di più ai prezzi concorrenziali dei russi, tantomeno con il chimerico gas di scisto…quindi, finiamola di fare la voce grossa, di esercitarci nel teatrino dei muscoli e degli schieramenti contrapposti, così tanto strombazzati dai mass media che alzano toni e ingrossano titoli, nessuno vuole rischiare la catastrofe per l’Ucraina e questo, prima di tutti, lo sa benissimo il cinico ed abile Vladimir Vladimirovic Putin. I suoi “cessate-il-fuoco” sono prese in giro, documentate regolarmente dai satelliti spia Usa. Le sue pretese, al contrario, sono chiare e ben definite, e questo fin dall’inizio degli scontri in Crimea e poi nella regione di Donetsk.

L’equazione è semplice: non solo la Russia minaccia la pace nel Vecchio Continente, ma è Putin a dettare le regole del Grande Gioco, e non vi è Obama che possa alzare la voce con annunci bellicosi di riarmo alle frontiere orientali della Nato per impedirglielo. I fatti sono piuttosto semplici, conseguenti all’atteggiamento putiniano: un giorno il capo del Cremlino assume la parte di colui che auspica la pace e propone la tregua, il giorno dopo indossa i panni del Conquistatore, di colui cioè che ridarà alla Russia il suo impero perduto a causa del Grande Errore – ossia la inopinata dissoluzione dell’Unione Sovietica. La doppiezza di Putin è l’essenza del suo profilo diciamo così “professionale”, di spia allevata dal Kgb (“lo si resta per sempre”, ha lui stesso detto più volte nei raduni coi vecchi ex compagni dei servizi segreti sovietici); del dominus di un regime che si puntella sul concetto di “democratura” (sorta di dittatura pseudodemocratica) e sulla dottrina militare che considera “minacce supplementari” e intollerabili la progressione continua della Nato verso le sue frontiere, il dispiegamento di nuovi armamenti occidentali nei Paesi baltici, soprattutto la situazione in Ucraina: considerazioni, queste, espresse sulla Rossiskaja Gazeta di qualche giorno fa (più esattamente, il 4 settembre).

Anzi, cara Europa bruxelliana e renziana, Putin si può permettere di giocare la sua Telesina a carte scoperte. Nella sua recentissima visita in Mongolia, quando ha presentato il suo piano di pace immediatamente seguite dalle dichiarazioni dei rappresentanti delle repubbliche autoproclamate confermano che la Russia si orienta verso la stabilizzazione di uno Stato non riconosciuto che si chiama “Nuova Russia“, sul territorio dell’Ucraina. Cito l’editoriale di Gazeta.ru del 6 settembre: “Le frontiere georgrafiche di questo territorio qualificato zona di sicurezza nel piano di Putin sono ancora fluide, ma il loro significato geopolitico è evidente sia per la Russia che per l’Ucraina”. Tant’è che la dirigenza della Repubblica popolare del Donetsk (l’autoproclamata RPD) sta per avviare a Mosca dei colloqui per gestire l’erogazione di gas russo nel Donbass, secondo quanto ha dichiarato il ministro della Sicurezza della RPD, tale Leonid Baranov. Il gasdotto in questione passa nella regione di Lugansk per confluire in quella del Donetsk, e pure questo è un segnale ben preciso, e propagandistico: l’indipendenza energetica da Kiev. Come la volontà di entrare nell’area monetaria di Mosca, adottando il rublo.

E’ una partita che Putin non si può permettere di perdere: difendendo “i diritti delle popolazioni russofone” (concetto basilare ufficiale russo amplificato dai media asserviti al regime, ossia quasi tutti), vuole mettere in discussione la governabilità dell’Ucraina, vuole cioè un cambiamento di potere a Kiev, un ritorno cioè all’ovile. La guerra in Ucraina, dunque, è diventata una questione “esistenziale” per il regime russo, una battaglia in cui Putin mette in gioco tutta la sua credibilità. Forte di un consenso schiacciante, sinora, quasi del 90 per cento. Ma è un consenso solido in apparenza: tutto dipende dal successo finale. Per questo sono stati mobilitati i migliori e più efficienti reparti dell’esercito, dell’aviazione della marina. I costi della mobilitazione sono ingenti, si accumulano ai danni economici provocati dalle sanzioni, alla svalutazione del rublo, alla negatività della Borsa di Mosca, alle perplessità degli oligarchi amici del Cremlino. Per questo, nell’ottica putiniana, è necessario il ritorno della riottosa e ribelle Kiev nell’ovile russo. Rea, l’Ucraina, di avere scelto un modello di sviluppo “occidentale” (ed estraneo a quello proposto da Mosca); di avere chiesto l’aiuto della Nato e di volere entrare nell’alveo dell’Unione Europea. Il vero disegno di Putin è rendere ingovernabile l’Ucraina, alimentando il caos e sollecitando la frantumazione territoriale ad Est. Nell’impegnativo e sfacciato sostegno ai ribelli c’è sia la vendetta del Cremlino, sia l’esigenza di dimostrare – più all’interno della Russia che all’esterno – che la sovranità russa è quella imperiale e non quella mutilata dal crollo dell’Urss. Del resto, lo stesso Mikhail Gorbachev, l’ultimo presidente dell’Unione Sovietica, ha ricordato anche sulle pagine del Fatto quotidiano di sabato che aveva proposto a suo tempo le trattative su “unione economica, unica difesa e unica politica estera”, nonché la delicata questione relativa allo status di Sebastopoli – storica base navale della Flotta Russa Meridionale del Mar Nero. Questione risolta brutalmente con le armi da Putin.

Il quale non intende cedere di un millimetro. Ogni passo indietro, per lui, sarebbe ammissione di debolezza. La sua Unione Euroasiatica – velleitaria replica alla Ue – mostra già qualche crepa e parecchie riluttanze (segnatamente da parte del Kazakhistan e persino della Bielorussia). Quanto ai separatisti ucraini, costoro non hanno la benché minima intenzione di organizzare elezioni legislative per entrare alla Rada, il parlamento ucraino. I bombardamenti su Mariupol, che stanno incrinando questa precarissima tregua, hanno chiaramente lo scopo di conquistare uno sbocco sul mare per le regioni del Donetsk e del Lugansk. Per quel che se ne sa, o per quello che lasciano trapelare i media russi, il piano di pace perorato da Putin prevede il ritiro delle truppe di Kiev dai due territori e la soppressione di ogni posto di controllo su quel pezzo di frontiera che unisce le due regioni alla Russia. E questo riporta in primo piano la questione dello status dei territori separatisti. La mossa è astuta: Mosca non intende annetterli come ha fatto con la Crimea, perché questo alimenterebbe l’inevitabile guerra civile (ci sono stati già 2600 morti). Unica concessione eventuale, il riconoscimento formale da parte della Russia nel caso in cui l’Ucraina, spalleggiata dall’Occidente, tentasse la riconquista.

In ogni modo, il rischio è che le due autoproclamatisi repubbliche popolari (RPD e RPL, Repubblica Popolare di Lugansk) diventino delle cosiddette “bombe territoriali”, come è successo nel caso della Transnistria in Moldavia, dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia in Georgia. Zone d’influenza russa, cuscinetti contro la Nato. Riposizionamento di missili, revisioni delle strategie militari, ma quel che conta di più, l’apertura di un ciclo di negoziati con Kiev sotto l’egida di Mosca. E qui, di nuovo, siamo al gioco delle parti. Putin come l’uomo che vuole la pace, ma anche come quello che può scatenare l’inferno. Bisogna dargli atto che, appena il “concerto delle nazioni” occidentali strepita e grida “al lupo, al lupo!”, egli si mostra disponibile al colloquio, per sabotarli appena le cose non vanno come Mosca desidera. Negli ultimi sei mesi, è successo già tre volte. L’obiettivo di Putin è smorzare le rappresaglie. E’, soprattutto, seminare zizzania all’interno del fronte europeo. Ciò gli riesce benissimo. Perché il primo vero punto debole è l’intrinseca debolezza politica e militare dell’Ucraina. Che vanta un esercito di 800 mila uomini. Peccato che solo il dieci per cento di queste forze fossero in grado di battersi al momento dell’inizio delle ostilità, in un territorio vasto tre volte l’Italia e che solo un migliaio di essi fossero stati utilizzati “immediatamente”. Cosa che i servizi d’intelligence russa conoscevano perfettamente.

E’, in fondo, questo lo stesso scenario vigliacco che si sviluppò durante la crisi moldava e poi, sei anni fa, in Georgia. Qualcuno dice che Putin si comporta come un bullo in una scuola per bene. Senza dimenticare che una certa Europa è stata già conquistata – anzi, sarebbe meglio dire: acquistata – dalla Russia: l’Europa degli affari, delle mazzette legate al business dell’energia e delle materie prime, dei politici prezzolati dal Cremlino, e questa è una guerra assai più insidiosa da debellare.

 

 

 
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