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  INTERNOTIZIE

Team che controlla i conti costa 6 milioni di euro perchè costituito da tutti i professoroni dell'Università dell'Insubria.
Da maggio fatte assunzioni. E poco altro
. 6.000.000 di euro per questa merda contro i 650.000 euro per la gestione degli Archivi di Stato che naturalmente sono un costo insostenibile per la comunità....

Voluto dall'Ue per il fiscal compact, ma gestito "all'italiana". Ai consiglieri fino a 240mila euro a testa. "Prendiamo troppo? E' un mestiere difficile". Primo compito a ottobre in vista della legge di stabilità

Con il taglio dei finanziamenti entro l'anno potrebbe chiudere l'Archivio Centrale dello Stato, la struttura che conserva la storia del Paese attraverso milioni di documenti. "Con 650mila euro non riusciamo neanche a svolgere il lavoro ordinario", denuncia il sovrintendente Agostino Attanasio. E in autunno è atteso l'arrivo di altre centinaia di faldoni legati alle stragi desecretate dal governo Renzi. La sede potrebbe essere trasferita a Pomezia, 30 chilometri da Roma, ma a quel punto consultare le carte diventerebbe un'impresa

E' un grido d'allarme. Un urlo, quasi disperato, per evitare la scomparsa della nostra memoria collettiva. Quella costruita in decenni sulla base di documenti che raccontano l'Italia. Un colpo di grazia alla sopravvivenza dell'Archivio Centrale dello Stato. Per il sovrintendente Agostino Attanasio non c'è dubbio: con questo ennesimo taglio ai fondi della cultura è la nostra storia, la nostra cultura come uomini e come Paese, che rischia di scomparire. Una mole imponente di documenti spesso rari e preziosi, come gli originali dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci o le carte sul sequestro Moro, che testimoniano il percorso fatto dall'Italia dall'unità ad oggi.

"L'Archivio Centrale dello Stato", spiega il responsabile della struttura, "ha un fabbisogno minimo, quello che i ragionieri chiamano spese incomprimibili: 800mila euro all'anno. Con quella cifra possiamo sopravvivere, fare le operazioni correnti. Nient'altro che il semplice ordinario. Nel 2013, invece, abbiamo ricevuto 650.000 euro, esattamente la metà dei fondi che avevamo avuto nel 2012". I conti sono semplici e il risultato è drastico."Finora", insiste il sovrintendente Attanasio, "siamo sopravvissuti a questi tagli perché siamo stati pessimisti verso il futuro: abbiamo gestito all'insegna del risparmio, lasciando dei fondi a disposizione perché temevamo di andare incontro a periodi poco felici. Ma a partire dal prossimo anno, se la situazione non cambierà in modo radicale, l'Archivio Centrale dello Stato chiuderà. Già quest'anno non sarà semplice fare il bilancio".Con i suoi 120 chilometri di scaffali e una media di 36mila pezzi movimentati all'anno, l'Archivio Centrale dello Stato rappresenta da oltre mezzo secolo la memoria storica e documentaria del nostro paese, il punto di riferimento obbligato per ogni tipo di ricerca sull'Italia unitaria. Fu istituito nel 1953 ma l'esigenza della nascita di un grande istituto archivistico di livello nazionale si era posta già nel 1943, all'indomani del 25 luglio, quando si comprese di dover garantire la sopravvivenza degli archivi fascisti per il loro valore di fonti storiche.

Sin dall'inizio, prima ancora della sua apertura, si pose però uno dei grossi problemi strutturali dell'Archivio Centrale: i depositi. La sede fu progettata nell'ambito dei lavori per l'E42, quello che oggi conosciamo come Eur, ma la guerra non permise di terminare tutti gli edifici. Il primo sovrintendente, Armando Lodolini, propose al ministero dell'Interno di svolgere i lavori di adeguamento dell'edificio non ancora terminato in modo da renderlo idoneo a ospitare un istituto che avrebbe dovuto poi conservare masse notevoli di documentazione. Il ministero, tuttavia, non accettò questa proposta: "Il risultato", lamenta Attanasio, "è una sede molto prestigiosa, adeguatissima per quello che riguarda gli spazi pubblici, la sala studio, la sala convegni e gli uffici, ma del tutto inidonea per la conservazione dei depositi archivistici. Su 120 chilometri di scaffalature che conserviamo", osserva ancora il sovrintendente, "direi che al massimo 40 chilometri sono in una condizione idonea. Nel nostro edificio laterale, per esempio, ci sono delle vetrate enormi per cui d'estate fa molto caldo e d'inverno molto freddo: una realtà opposta a quelle che dovrebbero essere le condizioni per una corretta conservazione degli archivi. Potremmo creare un condizionamento ambientale, ma già oggi spendiamo 200.000 euro di energia elettrica. La prospettiva fattibile, quella da perseguire, è immaginare dei depositi funzionali, moderni ed economici".
Per questo motivo il sovrintendente Attanasio sponsorizza l'idea del ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo di trasferire una parte abbastanza consistente di documentazione in un deposito a Pomezia e trasformare quest'ala in un Polo Museale.  "Ci saranno ovviamente delle spese a carico del ministero per i lavori di ristrutturazione - dice Attanasio - ma l'ACS risparmierebbe almeno un milione di euro". Sorgerebbe però il problema dell'accessibilità della documentazione trasferita a Pomezia, che per essere consultata dovrebbe essere  riportata ogni volta nella sede dell'Eur con un servizio di navetta. "Purtroppo", commenta con una punta di amarezza il sovrintendente, "dobbiamo fare i conti con la realtà in cui viviamo. In un Paese dove fosse davvero possibile fare le cose in modo organico, serio e con prospettive ampie e ambiziose, lo Stato ragionerebbe in modo diverso. Avremmo potuto fare come a Barcellona o a Londra: costruire in una periferia romana una sede davvero avanzata e funzionale. Avremmo potuto e dovuto fare questo, ma queste cose si decidono a livello politico e richiedono una visione d'insieme più ampia di quella che c'è stata in Italia in questi anni. Considerando tutto ciò la soluzione di Pomezia è la migliore possibile. L'accessibilità alla documentazione sarà garantita da un servizio navetta serio ed efficiente che pagheremo con le economie che facciamo sull'affitto. In questo modo noi possiamo garantire un servizio nettamente migliore di quello che c'è adesso sia sul piano della conservazione dei documenti sia sul piano dell'offerta che garantiamo agli studiosi".

Il problema dello spazio diventerà ancora più pressante quando verrà attuata la direttiva Renzi che dispone la declassificazione degli atti relativi alle stragi di Ustica, Peteano, Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, stazione di Bologna e rapido 904 finora coperti dal segreto di Stato. Già in autunno l'Archivio centrale dello Stato riceverà le prime carte e si porrà un problema di collocazione per la loro conservazione e la loro sicurezza perché alcuni documenti contengono dati sensibili che non possono essere messi in consultazione. "Stiamo ancora definendo le procedure, ma credo che il metodo sarà lo stesso che abbiamo usato con il versamento Moro: alcuni nomi e dati che appartengono alla realtà attuale verranno obliterati perché non possono essere consultati", dice Attanasio.  I segreti di Stato saranno solo gli ultimi acquisti.

Nei faldoni conservati all'Archivio Centrale dello Stato si trova di tutto, anche soldi: nel fascicolo 89/A della Polizia Politica relativo a Michele Schirru, un anarchico fucilato dal regime fascista per l'intenzione di uccidere Benito Mussolini, c'è ad esempio - in perfetto stato di conservazione - un assegno di duemila lire del Crédit Lyonnais datato 3 febbraio 1931 che fu sequestrato a Schirru.

L'assegno e milioni di altre carte sono custodite in grossi faldoni, chiamati buste: fino a qualche anno fa ogni studioso poteva consultare un totale di 16 buste al giorno distribuite in 4 turni. Negli ultimi anni il personale è diminuito costantemente. Ma non è stato sostituito con nuovi ingressi. E' venuto così a mancare anche qui quel ricambio generazionale che ha più dimestichezza con le nuove tecnologiee potrebbe avere un impatto più produttivo con le realtà esterne: studiosi, storici, giornalisti, semplici cittadini animati dal desiderio di consultare concretamente la documentazione raccolta attorno a singoli episodi e su questi costruirsi un giudizio oggettivo. Appunto, storico. La carenza di personale ha avuto riflessi sull'organizzazione del lavoro. I turni giornalieri sono diventati 2 e le buste consultabili solo 6. "Da parte nostra", si difende il sovrintendente, "abbiamo fatto ciò che era possibile fare. Sul piano della digitalizzazione ci sono stati notevoli progressi. Puntiamo a rendere tutti i 1500 inventari presenti in sala studio consultabili online. Finora ne abbiamo 120 e altri 350 circa sono in attesa di convalida. Per settembre avremo a disposizione sulla rete tutto il fondo della segreteria particolare del duce".

Negli ultimi vent'anni i filoni di ricerca che hanno interessato l'archivio sono diventati molto più eterogenei: se prima si andava a fare una semplice ricerca storica ora si compiono anche studi amministrativi e ricerche per il restauro. È una documentazione importante. Essenziale per capire la nostra storia e il nostro paese. Non solo per gli specialisti, ma per tutti noi.L'Archivio Centrale dello Stato (ACS) ha sede in un edificio monumentale di proprietà dell'Ente Eur, a Roma, per il cui affitto sborsa annualmente la cifra considerevole di 5 milioni di euro. In tempi di spietata spending review, il ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MIBACT, cui l'ACS fa capo, sebbene dotato di una speciale autonomia) sta decidendo di sgomberare un'ala dell'Archivio per installarvi la Direzione Generale degli Archivi e il museo di Arte orientale. I lavori di ristrutturazione necessari al trasferimento - a carico del ministero - hanno un costo stimato di 5-10 milioni di Euro. Secondo fonti interne, il MIBACT, in considerazione delle ingenti spese di ristrutturazione, starebbe negoziando con l'Ente EUR una cessione in comodato gratuito per alcuni anni. Ma poi tornerà inesorabilmente a pagare l'esoso affitto.

A questo si deve aggiungere che la Direzione Generale degli Archivi, che da 3 mesi è senza Direttore Generale, paga un affitto annuale di 500mila euro per la sua attuale sede di via Gaeta. Il contratto di locazione è in scadenza a ottobre e la proprietà vorrebbe vendere l'immobile. Il prezzo di vendita sarebbe intorno agli 8 milioni di euro, cui si aggiungerebbe circa 1 milione per i lavori di messa a norma dell'edificio (attualmente non è a norma). Totale: 9 milioni di euro. Una cifra non da poco, certo, ma a fronte della quale il Ministero diventerebbe proprietario dell'attuale sede della DG Archivi e, allo stesso tempo, eviterebbe un trasloco decisamente più costoso e dai risvolti deleteri per l'attività archivistica.

Il fatto che il ministero dei Beni Culturali, le cui casse notoriamente languono, spenderebbe (almeno in partenza) diversi milioni di euro per ristrutturare un edificio non suo - mentre un patrimonio come Pompei cade letteralmente a pezzi - è già motivo di profonda indignazione. Ma il notevole esborso economico, purtroppo, non è l'unica conseguenza di questo improvvido trasloco: l'altra riguarda la reale accessibilità della documentazione che sarà trasferita. In questo modo sarà vanificato, secondo quanto ci conferma anche Foia. it, lo sforzo affidato alla prima realtà italiana che promuove il diritto di accesso alle informazioni pubbliche dove sono concentrati i massimi esperti archivisti del Paese.

Sgomberando e riconvertendo l'ala in questione, il ministero sottrarrà in via permanente buona parte dei depositi dell'Archivio Centrale dello Stato, già esigui. Tanto esigui che da tempo ormai l'ACS, non essendo in grado di ricevere nuovi versamenti di documenti, ha trasferito a Pomezia (in locali presi immancabilmente in affitto) la documentazione che prima conservava in un deposito decentrato all'EUR (più vicino alla sede centrale e dotato di una sala di lettura, ma molto più costoso).

Ora, al dichiarato fine di risparmiare, anche la documentazione oggetto dello sgombero sarà trasferita a Pomezia, dove però non c'è sala lettura, e se i ricercatori vorranno consultarla dovrà quindi essere a sua volta riportata presso l'ACS all'EUR, con un 'pratico ed economicò servizio navetta. Come se non bastasse, poi, in una situazione così paradossale anche una buona novella finisce per nuocere.

A maggio il ministro Franceschini, su decisione dell'intero governo, ha abbassato da 40 a 30 anni i termini per il trasferimento dei documenti pubblici di tutte le amministrazioni interessate agli Archivi di Stato. Si tratta di una misura molto attesa, che punta ad accrescere il grado di trasparenza dell'operato pubblico, ma che - date le circostanze - rischia di avere un effetto boomerang: in moltissimi Archivi di Stato, infatti, non c'è più posto per accogliere nuova documentazione e, nel caso dell'Archivio Centrale, i nuovi versamenti saranno conservati direttamente a Pomezia. E lì resteranno, di fatto inaccessibili ai ricercatori, anche perché non ci sono archivisti per inventariarli.

Stessa sorte potrebbe toccare ai documenti oggetto della recente direttiva-Renzi sulla "declassificazione degli atti relativi ai fatti di Ustica, Peteano, Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, stazione di Bologna, rapido 904" . Infatti, se la mole degli atti sarà ingente come promesso, gli stessi finiranno appunto a Pomezia, inaccessibili. In caso contrario, come ipotizzano fonti interne degli Archivi, il problema dello spazio per l'archiviazione non si porrebbe, ma bisognerebbe prendere atto che l'operazione sulla declassificazione è stata l'ennesimo fuoco di paglia.

La trasparenza - a dispetto delle suggestioni che può evocare - non si fa con la volatilità delle parole, ma si costruisce con atti concreti, rendendo materialmente più accessibile la documentazione dello Stato. Il primo passo in tal senso è sicuramente l'adozione del Freedom of Information Act (FOIA), come più volte promesso dallo stesso Premier Renzi. Questa operazione, invece, non va nella direzione auspicata né del risparmio né della trasparenza ma, anzi, ricorda piuttosto il passo del gambero: uno avanti e due indietro.

 

 

 

 

 

IL PASTROLICUM, DA NOI RIBATTEZZATO, E' IL NUOVISSIMO ACCORDO ELETTORALE REALIZZATO NELLE SEGRETE STANZE DELLE SEDI ROMANI DEL PD TRA UN PREGIUDICATO ED UN CONDANNATO IN PRIMO GRADO, OVVERO TRA UN DELINQUENTE ACCLARATO ED UNO IN FORSE, IL TUTTO IN SPREGIO DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE CHE HA DECRETATO COME ILLEGITTIMO UN PREMIO ELETTORALE SPROPORZIONATO ALLA QUOTA DI VOTI RAGGIUNTA DALLE COALIZIONI. BENE, I DUE LOSCHI FIGURI, FOTTENDOSENE DEI DETTAMI DELLA LEGGE, HANNO VARATO, PER CAZZACCI LORO, UN ACCORDO ELETTORALE CHE PREVEDE NATURALMENTE UN ULTERIORE PREMIO DI MAGGIORANZA A FRONTE DEL RAGGIUNGIMENTO DI UNA DETERMINATA QUOTA PERCENTUALE, PENA, IL PASSAGGIO AD UN SECONDO TURNO ELETTORALE TRA I PRIMI DUE CON TOTALE ESCLUSIONE DI TUTTI GLI ALTRI. IN UN PAESE CHE VEDE ORMAI LA PERCENTUALE DI ASTENUTI ATTESTARSI AL 50%, CON UNA MORIA ELETTORALE SENZA PRECEDENTI NELLA STORIA REPUBBLICANA, IL RISCHIO CONCRETO E FATTUALE E DI VENIRE GOVERNATI DA UNA ESPRESSIONE ELETTORALE NON SOLO MINORITARIA MA NEANCHE LONTANAMENTE RAPPRESENTATIVA DELLA POPOLAZIONE. VISTO L'ACCORDO ECCO CHE I TOPI DI FOGNA TORNANO ALLA RIBALTA, IL PRIMO è PIERCASINANDO:

Casini, ecco l'ultimo voltafaccia per fare 
vincere Berlusconi con la legge di Renzi

Diceva che il Cavaliere vuole "alleati servili" e che pensa "solo ai suoi affari". Dopo il flop delle urne
l'ex Dc ci ripensa. Un passo in più verso il 37% che porterebbe Forza Italia alla vittoria al primo turno
Renzi: "Non ne ho bisogno, il centrodestra si batte con le idee". Sondaggio Ipsos: Fi più Udc al 37,9%Pier si alza sulle punte, compie qualche passetto verso destra e si prepara all’esercizio preferito: la piroetta. Il Pd ha voluto l’innalzamento della soglia per il premio di maggioranza al 37% e il Cavaliere sta facendo la collezione di alleati per battere sul filo Matteo Renzi. L'ultimo sondaggio Ipsos lo conferma: Forza Italia e Udc insieme porterebbero il centrodestra al 37,9 % dei consensi (leggi) con il risultato di vincere al primo turno.

 

LA CORSA AL 37% ED ALLE NUOVE ULTERIORI ELEZIONI

Dalla drammatica uscita di scena dell'alleato mamelucco e dall'uscita di scena a calci dalla Presidenza del Consiglio passano 2 anni e mezzo, una condanna al carcere definitiva,una elezione politica impaludata sfruttando una legge elettorale incostituzionale e la propensione alla delinquenza di una intera nazione che gli permettono nuovamente di galleggiare così come la merda galleggia sul pelo dell'acqua. Con un figlioccio alla segreteria dei suoi alleati ventennali, il PD, si ritrova a firmare una nuova legge elettorale sotto banco. Fatta quest'ennesima merdata, lo scopo dell'ultimo dittatorello di Libialia è quello di rastrellare quanta più fogna possibile per arrivare alla soglia del 37%, percentuale utile per riprendersi tutto il mazzo ed evitare il secondo turno. Ora ha fretta anche perchè sono sorte altre due pendenze: un processo per corruzione di testimoni ed uno per corruzione di senatore.

"Il diritto all'oblio va contro la storia". Vallanzasca tra Google e Wikipedia

La richiesta: il mio nome non sia legato alle pagine sul bandito E Mountain View la accontenta. L'enciclopedia: immorale

IL DIRITTO all'oblio contro il diritto all'informazione. A sollevare l'ultima polemica nella diatriba tra chi desidera vedere cancellato il proprio nome dai motori di ricerca e chi, invece, ricostruisce sul web la biografia di personaggi della storia e della cronaca, sono stati quelli di Wikipedia. Sul sito della Wikimedia Foundation, che gestisce l'enciclopedia online, sono state pubblicate le notifiche con cui Google ha fatto sapere di avere oscurato alcuni link a Wikipedia su determinate ricerche.

Senza svelare il nome dei richiedenti, il colosso di Mountain View ha spiegato come per rispetto alla sentenza della Corte di giustizia europea che garantisce il diritto all'oblio (a seguito della quale Google ha ricevuto oltre 90mila domande di rimozione), almeno cinquanta pagine dell'enciclopedia hanno già subito questo trattamento. Quarantasei appartengono alla Wikipedia olandese: tra queste compare più volte il nome del giocatore di scacchi Guido den Broeder, una riguarda la voce in inglese su Gerry Hutch, irlandese incarcerato negli anni 80, mentre una pagina rimanda a una fotografia del musicista Tom Carstairs che suona la chitarra. Due segnalazioni riguardano anche pagine italiane: quella del gangster milanese Renato Vallanzasca e quella della sua banda, la banda della Comasina.

Come spiegato nelle notifiche, la decisione di Google non ha comportato la scomparsa di queste pagine dal motore di ricerca: i cinquanta link sono "oscurati" solo quando l'utente inserisce il nome della persona che ha chiesto la rimozione. Le voci wikipediane, infatti, rimangono vive e vegete oltre ad essere ancora raggiungibili tramite il motore di ricerca, ad esempio utilizzando altre parole chiave che non contengano il nome di chi non vuole più essere associato alla storia, nella fattispecie, del bandito. Nel caso italiano, a inviare la richiesta non è stato Vallanzasca (così hanno spiegato i suoi avvocati, e in effetti digitando il nome del gangster il primo risultato è proprio quello di Wikipedia), ma più probabilmente qualcuno che non vuole essere associato alle vicende di quegli anni. Sul nome, però, da Google mantengono il più stretto riserbo, anche perché altrimenti sarebbe violato il diritti alla privacy dell'individuo secondo la decisione della Corte.

Dalla Wikimedia Foundation lanciano un allarme per la difesa della libertà della rete. "I risultati di ricerca accurati stanno scomparendo dall'Europa  -  ha dichiarato Lila Tretikov, informatica di origini russe e direttore esecutivo della fondazione  -  senza nessuna spiegazione pubblica, nessuna prova reale, nessun controllo giurisdizionale e nessun processo d'appello. Il risultato è un luogo in cui le informazioni scomode semplicemente scompaiono". Parole a cui ha fatto eco Jimmy Wales, fondatore di Wikipedia, durante la conferenza annuale Wikimania che si è svolta a Londra: "La storia è un diritto umano. Io sto sotto i riflettori da un bel po' di tempo, alcune persone dicono di me cose belle e altre cose brutte. Ma questa è storia e non userei
mai un procedimento legale come questo per cercare di nascondere la verità. Credo che ciò sia profondamente immorale".
Anche Google aveva mostrato tutta la sua contrarietà alla decisione della Corte europea per bocca di David Drummond, chief legal officer dell'azienda californiana: "Non siamo d'accordo con la sentenza, è un po' come dire che un libro può stare in una biblioteca, ma non può essere incluso nel suo catalogo. Ovviamente, però, rispettiamo l'autorità della Corte e facciamo del nostro meglio per attenerci alle sue decisioni".

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