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Mega tangente
per il petrolio in Nigeria
Indagato a Milano l'ad di Eni
Descalzi
L'ipotesi dell'accusa è
corruzione internazionale per
l'acquisto della concessione del
campo di esplorazione
petrolifera Opl-245 della
società Malabu. Presunta
mazzetta da 200 milioni di
dollari. Con il nuovo
amministratore delegato sotto
inchiesta anche l'ex ad Paolo
Scaroni, il nuovo capo della
Divisione esplorazioni Roberto
Casula e Luigi Bisignani
Eni, Descalzi indagato per corruzione. Pm:
“Mega tangente in Nigeria”
Il nuovo amministratore delegato sotto inchiesta a Milano, insieme
all'ex ad Paolo Scaroni, al nuovo capo
della Divisione esplorazioni Roberto Casula e al faccendiere Luigi
Bisignani. Nel 2011, secondo i pm, il Cane a sei zampe pagò una
mazzetta da oltre 200 milioni di dollari per una concessione
petrolifera al largo della Nigeria
Il nuovo amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi è indagato
dalla Procura di Milano per corruzione internazionale. E insieme a
lui, scrive il Corriere della Sera, sono sotto inchiesta l’ex ad
Paolo Scaroni, il capo della Divisione esplorazioni Roberto Casula e
il faccendiere Luigi Bisignani. La vicenda è quella di cui Il Fatto
Quotidiano ha scritto lo scorso luglio: corruzione internazionale
per l’acquisizione, nel 2011, di un giacimento petrolifero al largo
della Nigeria. All’epoca dei fatti Scaroni era numero uno del gruppo
petrolifero, mentre Descalzi, scelto come suo successore
dall’azionista ministero dell’Economia in aprile, guidava la
divisione Oil & gas e Casula presiedeva la controllata locale
Nigerian Agip Exploration Ltd. Per la concessione del campo di
esplorazione petrolifera Opl 245 da parte della società Malabu il
Cane a sei zampe pagò, secondo gli inquirenti, una mega tangente da
oltre 200 milioni di dollari, un quinto degli 1,09 miliardi versati
al governo di Lagos. Le autorità londinesi, su richiesta dei pm
milanesi, hanno sequestrato in via preventiva 190 milioni
all’intermediario nigeriano Emeka Obi, residente in Inghilterra,
bloccando un conto inglese e uno svizzero da 110 e 80 milioni a lui
intestati. Il sequestro si basa sull’assunto che Eni abbia corrotto
pubblici ufficiali africani come l’ex ministro del petrolio Dan
Etete e il figlio dell’ex dittatore Sani Abacha con l’intercessione
di Obi, Di Nardo, Bisignani e altri intermediari.
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Il titolo del Cane a Sei Zampe, dopo la notizia, cede l’1,5% a
Piazza Affari. Come raccontato dal Fatto Quotidiano in luglio, anche
Eni risulta indagata: già l’11 giugno i finanzieri del Nucleo di
Polizia Tributaria di Milano hanno notificato un avviso di garanzia
per corruzione internazionale in base al decreto legislativo 231
sulla responsabilità amministrativa delle società. Indagato da
allora anche Gianluca Di Nardo, procacciatore d’affari amico di
Bisignani e di Obi. In luglio Il Fatto aveva scritto, riprendendo
l’agenzia Reuters, che anche Scaroni e Bisignani erano indagati. In
seguito la notizia era stata smentita dalla compagnia. La tegola
giudiziaria arriva proprio mentre il ministro Pier Carlo Padoan si
appresta ad accelerare sulla cessione del 5% del gruppo per fare
cassa nell’ambito del piano di privatizzazioni. Ma una settimana fa,
intervistato da IlSole24Ore, il premier Matteo Renzi ha frenato
dicendo che “non si deve partire da Eni ed Enel”.
Le intercettazioni e il ruolo di Bisignani – Il filone di indagine
milanese è partito dopo l’acquisizione da parte dei pm Fabio De
Pasquale e Sergio Spadaro delle intercettazioni dell’indagine del
2010 dei colleghi di Napoli Henry John Woodcock e Francesco Curcio
sulla cosiddetta P4, in cui era coinvolto anche Bisignani, che ha
patteggiato un anno e 7 mesi. Dalle intercettazioni dell’indagine
napoletana era emerso l’intervento di Bisignani sui vertici dell’Eni
di allora. Bisignani, intercettato, parlava al telefono con l’ex
numero uno Scaroni e anche con Descalzi. Dalle conversazioni
emergeva come nel 2010 l’ex ministro nigeriano Etete avesse
contattato Di Nardo per trattare, con l’intercessione di Bisignani,
la vendita a Eni della concessione Opl 245, un immenso campo con
riserve stimate in 500 milioni di barili equivalenti di petrolio.
“L’uomo che sussurrava ai potenti”, stando alle indagini, ha
presentato Di Nardo a Scaroni, che a sua volta lo ha messo in
contatto con Descalzi, allora a capo della divisione Oil. Etete
infatti nel 1999, ancora ministro, aveva assegnato l’immenso
giacimento alla società Malabu, che attraverso prestanome era
controllata da lui stesso e dal generale Abacha, allora capo del
governo.
Le trattative con l’ex ministro e la maxi percentuale per il
mediatore – La trattativa del 2010 tra Etete e il Cane a sei Zampe
non è andata a buon fine, ma pochi mesi dopo, nell’aprile 2011, Eni
ha chiuso l’affare direttamente con il governo nigeriano, che
accusava l’ex ministro (condannato per riciclaggio in Francia nel
2007) di essersi appropriato indebitamente della concessione. La
cifra, però, è rimasta la stessa concordata in precedenza tra Obi,
Bisignani e Di Nardo: 1,09 miliardi di dollari. Contestualmente il
governo nigeriano ha incassato 200 milioni di dollari da Shell. E ha
girato una somma identica alla Malabu. I particolari sull’affare
sono emersi quando, lo scorso anno, Obi e un altro mediatore, il
russo Ednan Agaev, hanno citato in giudizio Malabu davanti alla High
Court di Londra reclamando il pagamento del 19% della somma. Cioè la
maxi percentuale promessa per la mediazione. Obi è uscito vincitore
e si è visto riconoscere 110,5 milioni.
Le carte di Londra e il ruolo di Descalzi – Le carte londinesi,
finite poi nel fascicolo dei pm di Milano, contengono molto
materiale sul ruolo di Descalzi, che nel febbraio 2010, durante le
trattative con Malabu, ha per esempio partecipato a un incontro
all’hotel Principe di Savoia con Etete, Obi e Agaev. Dagli atti
della causa, come riportato dal Fatto in luglio, emerge che secondo
il giudice la cena “dimostrava precisamente a Etete cosa le
entrature in Eni di Obi erano in grado di ottenere per Malabu”. E
anche nel periodo agosto-ottobre 2010 “Obi si è incontrato
frequentemente con Eni e in particolare con Descalzi”.
In una nota Eni “ribadisce la sua estraneità da qualsiasi condotta
illecita” in relazione all’indagine della Procura di Milano,
assicura “massima collaborazione alla magistratura e confida che la
correttezza del proprio operato emergerà nel corso delle indagini”.
Il gruppo “prende atto che “risultano indagati presso la Procura di
Milano l’amministratore delegato e il direttore operazioni e
tecnologie” ma “sottolinea di aver stipulato gli accordi per
l’acquisizione del blocco unicamente con il governo nigeriano e la
società Shell. L’intero pagamento per il rilascio a Eni e Shell
della relativa licenza è stato eseguito unicamente al governo
nigeriano”.
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