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  INTERNOTIZIE

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Isis, nuovo video di minaccia agli Usa: “Obama PEZZO DI MERDA, aspetteremo i tuoi soldati in Iraq”

l momento in cui il filmato è stato diffuso potrebbe indicare che si tratti di una risposta al generale Martin Dempsey, capo di Stato Maggiore congiunto, il quale, parlando in Commissione servizi armati del Senato, ha detto che se l’attuale strategia adottata in Iraq non dovesse funzionare, sarebbe raccomandabile l’uso di truppe di terra

 

Isis, nuovo video di minaccia agli Usa: “Obama, aspetteremo i tuoi soldati in Iraq”

l momento in cui il filmato è stato diffuso potrebbe indicare che si tratti di una risposta al generale Martin Dempsey, capo di Stato Maggiore congiunto, il quale, parlando in Commissione servizi armati del Senato, ha detto che se l’attuale strategia adottata in Iraq non dovesse funzionare, sarebbe raccomandabile l’uso di truppe di terra

Isis, nuovo video di minaccia agli Usa: “Obama, aspetteremo i tuoi soldati in Iraq”

 

Nel giorno in cui Barack Obama incontra i vertici dell’esercito in Florida per definire i dettagli dell’offensiva contro i jihadisti del Califfato, lo Stato Islamico risponde sul piano mediatico diffondendo un nuovo video. Un filmato di 52 secondi, dal titolo “Fiamme di guerra“, il gruppo minaccia gli Stati Uniti dicendo che, se il capo della Casa Bianca invierà truppe sul terreno, i combattenti le aspetteranno in Iraq. Nelle immagini si vedono militanti incendiare carri armati, soldati americani feriti e altri sul punto di essere uccisi. Quindi compare una clip in cui Obama dice che le truppe da combattimento non faranno ritorno in Iraq. 

 

Il video termina con una scritta in sovrimpressione in cui si legge “la lotta è appena iniziata”. Un prodotto che somiglia al trailer di un film: prima del nero finale, la scritta che compare sullo schermo è “Coming soon”. Il momento in cui il video è stato diffuso potrebbe indicare che si tratti di una risposta al generale Martin Dempsey, capo di Stato Maggiore congiunto, il quale, parlando in Commissione servizi armati del Senato, ha detto che se l’attuale strategia adottata in Iraq non dovesse funzionare, sarebbe raccomandabile l’uso di truppe di terra. 

 

“Isis in New York City, Groud Zero”. L’immagine è il segnale di sfida più devastante, sul piano mediatico, che potesse arrivare in queste ore. E’ una foto postata su twitter che mostra un cellulare, la scritta dell’Isis in campo nero, sullo sfondo il cimitero dell’11 Settembre, Ground Zero. “Porteremo la guerra a casa vostra” è il messaggio. Viene recapitato attraverso il circuito “social” degli jihadisti armati di tastiera che sono stati reclutati per alimentare la propaganda che corre coi bit. Stavolta però hanno voluto mostrare che la minaccia non è lontana e non è soltanto virtuale, che al telefono sono collegati un braccio e un corpo pronti a recepire messaggi e tramutarsi in arma di offesa, proprio nel cuore dell’Occidente colpito a morte 13 anni fa. L’incubo peggiore paventato da mesi dalle nostre intelligence.

La tattica non è nuova né originale. Il 10 agosto un sedicente supporter del Califfato aveva twittato da Washington inquadrando la Casa Bianca mentre l’hashtag #AmessagefromISIStoU raccoglie una serie di intimidazioni contro i cittadini americani. Ma stavolta il tempismo è da manuale. Mentre gli Usa danno il via ai primi bombardamenti a Baghdad (“colpiremo i loro santuari”) dal fronte opposto arrivano messaggi per rompere subito il fragile ottimismo della “coalizione anti Isis”. Di oggi la notizia di un appello a sorpresa di Al Qaeda ai gruppi terroristici del Maghreb islamico (Aqmi) e della Penisola Arabica (Aqap) a unirsi contro l’invasore. Ma la strategia va ben oltre. La chiamata alle armi non ha confini e quel tweet vuole dimostrarlo con evidenza istantanea. Noi ci siamo, siamo qui. Dove mai vorreste che fossimo.

Chi ha realizzato la foto non ha un volto: non è possibile verificare la sua identità, né quella del proprietario del profilo twitter, né capire se si tratti o meno di un fotomontaggio. Ma quello che conta sul piano mediatico è che viene esibita, postata, diffusa e commentata nei social network dove gli jihadisti riescono a fare proselitismo indisturbati. Se gli account vengono individuati e sospesi chi li usa ne attiva altri un secondo dopo. Non c’è prevenzione, non c’è rimedio. E’ evidente che chi l’ha scattata si rendeva perfettamente conto del rischio e non ha voluto correrlo. Lo si capisce perché la strada è deserta e un fascio di luce del mattino irrompe in camera. Se non bastasse il jihadista addetto alla propaganda di turno esplicita il messaggio in inglese, perché i destinatari non sono ancora le “cellule dormienti”, che si possono attivare, ma gli occidentali.

“Now, I can declare Is members are evrywhere” si legge nel ri-tweet di un account che ha la foto del Califfo al Baghdadi come profilo. Uno dei tanti che se ne sono appropriati per lanciare minacce all’Occindente. I suoi post lo collocano tra i più attivi addetti alla “contro-informazione” del’Is. Sotto l’immagine scorre un surreale dialogo a distanza, dove si addensano conversazioni con altri utenti e follower. In arabo e soprattutto in inglese, visto il vero destinatario del messaggio.

“E’ solo l’inizio. Porteremo la guerra a casa vostra”. E giù bordate da e tra patrioti americani versus militanti digitali. I primi non hanno preso bene, per usare un eufemismo, lo sfregio jihadista nel santuario delle Torri Gemelle. “La guerra è all’inizio”, gli risponde Dave W. “E non ci fermeremo”, incalza un altro. L’immagine corre veloce e penetra i circuiti della rete. La si trova perfino sui social cinesi, solitamente blindati, in pochi istanti. Porta un messaggio universale di sfida: venite pure, ma noi siamo già lì. 

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