INTERNOTIZIE |
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Nel giorno in cui
Barack Obama
incontra i vertici dell’esercito in
Florida per definire i dettagli
dell’offensiva contro i jihadisti
del Califfato,
lo Stato Islamico risponde sul piano
mediatico diffondendo un nuovo
video. Un filmato di 52 secondi, dal
titolo “Fiamme di guerra“,
il gruppo minaccia gli Stati Uniti
dicendo che, se il capo della Casa
Bianca invierà truppe sul terreno, i
combattenti le aspetteranno in
Iraq. Nelle
immagini si vedono militanti
incendiare carri armati, soldati
americani feriti e altri sul punto
di essere uccisi. Quindi compare una
clip in cui Obama dice che le truppe
da combattimento non faranno ritorno
in Iraq.
Il video termina
con una scritta in sovrimpressione
in cui si legge “la lotta è appena
iniziata”. Un prodotto che somiglia
al trailer di un film: prima del
nero finale, la scritta che compare
sullo schermo è “Coming soon”. Il
momento in cui il video è stato
diffuso potrebbe indicare che si
tratti di una risposta
al generale Martin
Dempsey, capo di Stato
Maggiore congiunto, il quale,
parlando in Commissione servizi
armati del Senato, ha detto che se
l’attuale strategia adottata in Iraq
non dovesse funzionare, sarebbe
raccomandabile l’uso di
truppe di terra.
La
tattica non è nuova né
originale.
Il 10 agosto un sedicente
supporter del Califfato aveva
twittato da Washington
inquadrando la Casa Bianca
mentre l’hashtag #AmessagefromISIStoU
raccoglie una serie di
intimidazioni contro i cittadini
americani. Ma
stavolta il tempismo
è da manuale. Mentre gli Usa
danno il via ai primi
bombardamenti a Baghdad
(“colpiremo i loro santuari”)
dal fronte opposto arrivano
messaggi per rompere subito il
fragile ottimismo della
“coalizione anti Isis”. Di oggi
la notizia di un appello a
sorpresa di Al Qaeda
ai gruppi terroristici del
Maghreb islamico (Aqmi) e della
Penisola Arabica (Aqap) a unirsi
contro l’invasore. Ma la
strategia va ben oltre. La
chiamata alle armi non ha
confini e quel tweet vuole
dimostrarlo con evidenza
istantanea. Noi ci siamo, siamo
qui. Dove mai vorreste che
fossimo.
Chi ha realizzato la foto
non ha un volto:
non è possibile verificare la
sua identità, né quella del
proprietario del profilo twitter,
né capire se si tratti o meno di
un fotomontaggio. Ma quello che
conta sul piano mediatico è che
viene esibita, postata, diffusa
e commentata nei
social network dove
gli jihadisti riescono a fare
proselitismo
indisturbati. Se gli account
vengono individuati e sospesi
chi li usa ne attiva altri un
secondo dopo. Non c’è
prevenzione, non c’è rimedio. E’
evidente che chi l’ha scattata
si rendeva perfettamente conto
del rischio e non ha voluto
correrlo. Lo si capisce perché
la strada è deserta e un fascio
di luce del mattino irrompe in
camera. Se non bastasse il
jihadista addetto alla
propaganda di turno esplicita il
messaggio in inglese, perché i
destinatari non sono ancora le
“cellule dormienti”, che si
possono attivare, ma gli
occidentali.
“Now, I can declare Is
members are evrywhere” si legge
nel ri-tweet di un account che
ha la foto del Califfo
al Baghdadi
come profilo. Uno dei tanti che
se ne sono appropriati per
lanciare minacce all’Occindente.
I suoi post lo collocano tra i
più attivi addetti alla
“contro-informazione” del’Is.
Sotto l’immagine scorre un
surreale dialogo a distanza,
dove si addensano conversazioni
con altri utenti e follower. In
arabo e soprattutto in inglese,
visto il vero destinatario del
messaggio.
“E’ solo l’inizio. Porteremo
la guerra a casa vostra”. E giù
bordate da e tra patrioti
americani versus militanti
digitali. I primi non hanno
preso bene, per usare un
eufemismo, lo sfregio jihadista
nel santuario delle Torri
Gemelle. “La guerra è
all’inizio”, gli risponde
Dave W. “E
non ci fermeremo”, incalza un
altro. L’immagine corre veloce e
penetra i circuiti della rete.
La si trova perfino sui social
cinesi, solitamente blindati, in
pochi istanti. Porta un
messaggio universale di sfida:
venite pure, ma noi siamo già
lì. |