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La nuova
recessione che mette nei guai il governo
Ogni giorno ha la sua stima, il suo dato, la sua
previsione di un futuro più fosco del già fosco presente: ieri è
arrivato l’Ocse, il think tank dei Paesi ricchi
basato a Parigi. L’istituto che a lungo ha avuto come capo
economista e poi vice segretario generale l’attuale ministro
dell’Economia Pier Carlo Padoan, ieri ha dato il giudizio più duro
sullo stato dell’economia italiana.
Altro che crescita, nel 2014 il Pil scenderà dello 0,4 per cento.
Finora nessuna istituzione era stata così
pessimista: i numeri del governo di aprile sono ormai da
dimenticare, Padoan aveva scritto +0,8, e presto li dovrà adeguare
anche la Commissione europea in vista del lungo negoziato con Roma
sulla legge di Stabilità che sta cominciando. Nel
suo “Interim economic assessment”, l’Ocse nota che i cicli
economici delle grandi economie sono “meno sincronizzati”. C’è chi
si riprende e chi resta indietro: l’area euro nel suo complesso
crescerà quest’anno dello 0,8, la Germania dell’1,5, gli Usa del
2,1. L’Italia -0,4. E nel 2015 la differenza tra
auspici e realtà sarà ancora più marcata: il governo prevedeva
+1,5, l’Ocse +0,1.
A cosa si deve questo disastro?
La ripresa internazionale che langue, il contesto
geopolitico che aggiunge incertezze, una evidente
propensione a gonfiare le stime sull’avvenire. Ma l’agenzia
di rating Standard & Poor’s ha ammesso ieri di aver sopravvalutato
l’impatto sull’economia del bonus fiscale da 80 euro:
prevedevano avesse un impatto di +0,3, invece non è andato oltre
0,1. E questo è un segnale preoccupante per l’avvenire, visto che
l’ottimismo governativo sul futuro era dovuto a un beneficio
crescente degli 80 euro, più efficaci quando resi stabili. L’Ocse
arriva a questa conclusione: “Il continuo fallimento dell’economia
globale a generare una crescita forte, bilanciata e inclusiva
sottolinea l’urgenza di sforzi ambiziosi di riforma”. È
l’inevitabile appello alle riforme strutturali che
arriva da ogni istituzione internazionale, nella speranza che se
l’economia non cresce sia sufficiente cambiare qualcosa per tornare
a correre. Nessuno vuole pensare all’ipotesi che, come teme l’ex
segretario al Tesoro Usa Larry Summers, la crescita possa non
tornare mai.
I numeri dell’Ocse sono osservati con
preoccupazione dal ministero dell’Economia. Le stime che circolano
in via XX Settembre e all’Istat non sono così negative. Ma è tutto
molto incerto: a ottobre il governo deve presentare il Def,
il Documento di economia e finanza, che avrà per la prima volta due
stime. Quella a legislazione vigente e quella con le riforme, verrà
cioè stimato l’impatto delle decisioni da adottare durante la
sessione di bilancio. Ma i calcoli di queste settimane sono fatti
con vecchio Pil, secondo i parametri del cosiddetto Sec95,
a ottbre scatterà la revisione voluta da Eurostat. E grazie al
maggior peso di criminalità ed economia illegale, il Pil salirà
parecchio, fino a 3 punti. E tutte le stime saranno da rifare.
Un discreto caos contabile di cui il premier
Matteo Renzi approfitta per simulare ogni giorno
una lotta a mani nude contro il commissario agli Affari economici
Jyrki Katainen e il rigore europeo. In realtà è
ormai chiaro che tutto il dibattito sulla “flessibilità in cambio di
riforme ” è stato archiviato senza risultati. Ormai la scelta di
Renzi è semplice e unilaterale: sfondare platealmente il tetto del 3
per cento al rapporto deficit-Pil o provare a mantenere un rispetto
formale e rimandare i problemi al 2015, magari dopo
le elezioni anticipate? Molto dipende da quale sarà il numero
definitivo del Pil in recessione. Ma Katainen e la Germania, con il
ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, hanno capito il clima. E
infatti propongono un monitoraggio più stringente delle riforme
dell’Italia. Senza contropartite, soltanto per evitare che
l’indisciplina degeneri. Come ai tempi di Silvio Berlusconi.
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