COMUNITARISTI O NAZIONAL-BOLSCEVICHI. QUALI SONO LE
DIFFERENZE ??
COMUNITARISTI O NAZIONAL-COMUNISTI? QUALI
SONO LE DIFFERENZE ??
COMUNITARISMO
Comunitarismo è un termine nato nel mondo
anglosassone alla fine del XX secolo per descrivere un movimento di
opposizione al liberalismo
e al capitalismo. Da questo identifica oggi un insieme di filosofie
distinte ma unite dall'opposizione all'individualismo. Non
necessariamente ostile alla socialdemocrazia, ha piuttosto un'enfasi
differente sulle sue componenti, spostando l'attenzione dal singolo
individuo alla società ed alla comunità.
La questione delle priorità, fra individuo e comunità, ha un grande
impatto su molte questioni etiche, come la povertà, l'aborto, il
multiculturalismo e libertà di parola.
Attualmente, quelle comunitariste sono delle risposte variegate al
liberalismo in cui è difficile identificare una teoria condivisa, in
quanto ci si trova di fronte a una varietà di proposte o diagnosi
sulla base delle critiche alle teorie liberali della giustizia.
L'unico modo di riunificare le diverse teorie del liberalismo è
risalire alla sua base antropologica che consiste nella persona
essenzialmente autonoma e sovrana
Normalmente[1], si individuano tre principali precursori ideologici
al pensiero comunitarista: il socialismo utopico, il movimento
völkisch e il comunitarsmo d’ispirazione religiosa, rappresentato da
pensatori quali Martin Buber, Jacques Maritain, Emmanuel Mounier,
Adriano Olivetti e Tommaso Demaria.
Nel comunitarismo attuale sono ricorrenti quattro concetti: il primo
riguarda la natura del sé o il concetto di persona che è soggiacente
alle teorie liberali e implica la critica all'individualismo
metodologico o normativo cui esse ricorrono. Il secondo verte sul
prevalente impegno deontologico delle teorie liberali e sulla
connessa tesi a proposito della neutralità della giustizia. Il terzo
mette a fuoco il ricorso della filosofia politica liberale a una
qualche teoria dei diritti e ne critica l'inadeguatezza normativa. I
primi tre argomenti critici sul sé, sulla neutralità e sui diritti,
vogliono mostrare che la priorità della giustizia (la prima virtù
delle istituzioni sociali) è l'esito inevitabile di una serie di
assunzioni e di presupposti che il liberalismo politico
implicitamente o esplicitamente fa propri per generare criteri per
il giudizio politico riflessivo: la giustizia è la prima virtù delle
istituzioni sociali se e solo se siamo disposti ad accettare
l'immagine soggiacente di società e di individuo che il liberalismo
ospita.Il quarto concetto riguarda invece la consistenza oggettiva
della persona umana che ha "ontologicamente" bisogno di "altro da
se". Mentre la persona è in grado di garantire il proprio essere, la
stessa persona ha bisogno di una comunità per essere generata.
I MAGGIORI AUTORI COMUNITARISTI
Michael Sandel
In Il liberalismo e i limiti della giustizia Michael Sandel ha
formulato alcune tesi che hanno lo scopo di confutare la teoria
liberaldemocratica di John Rawls. Sandel critica il fatto che la
teoria contrattualistica si basi su una nozione di individuo o
persona “vuota”, il soggetto di Rawls sarebbe così “disincarnato”.
L'idea per cui è possibile identificare criteri di giustizia in modo
antecedente e indipendente rispetto a ciò che per noi è bene
(impegno deontologico, è l'idea liberale secondo cui ciascuno può
scegliere i propri fini o fare un passo indietro rispetto alle
proprie preferenze), l'idea per cui il giusto è neutrale e ha
priorità sul bene, sono idee che dipendono da una sistematica
elisione della dimensione dell'appartenenza a una comunità, in virtù
della quale soltanto noi siamo costituiti, guadagniamo un'identità
stabile nella durata e possiamo mutuamente riconoscerci come
individui che hanno scopi, bisogni e preferenze. Il ricorso a regole
e principi neutrali dipenderebbe dall'assenza di una concezione
forte di comunità che, sulla base della condivisione di un orizzonte
valoriale, struttura la convivenza pacifica tra i membri di un
gruppo fortemente coeso.
L'incapacità di Rawls e dei liberali di rendere conto della natura
costitutiva della comunità dipende dal fatto che il liberalismo
tratta gli individui di una società, astraendoli dal vincolo o dal
legame comunitario e concettualizzandoli come stranieri gli uni agli
altri. Per questo l'accento cade sulla neutralità dei principi di
giustizia e i diritti vengono intesi a tutelare scopi meramente
individuali. La giustizia, intesa come rispetto di procedure
condivise, è la prima virtù delle istituzioni di società in cui
individui fra loro stranieri, non condividendo alcuna concezione del
bene, devono almeno regolare il loro traffico sulla base della
condivisione di principi neutrali e impersonali. Il liberalismo non
renderebbe conto del valore del vincolo sociale, del riconoscersi
mutuamente in comunità politiche caratterizzate da forme di vita e
tradizioni in comune, del possedere un’identità collettiva
relativamente stabile nel tempo: il comunitarismo è invece centrato
sull'idea che la distinzione canonica fra vita giusta e vita buona e
la connessa idea di neutralità liberale dei principi di giustizia,
siano pretese vuote o un'ipocrita presentazione in vesti
universalistiche e astratte di una particolare forma di vita e
tradizione che sono quelle della comunità liberale stessa.
Il sé dei liberali sarebbe così un sé sradicato, disincarnato,
vuoto; per Sandel, invece, le persone non sono carrelli vuoti, ma
già nascono con determinate identità culturali derivate
dall'educazione, dal contesto storico, culturale, sociale, e questi
valori non sono accidenti, ma ci rendono ciò che siamo. Un individuo
libero si deve riconoscere in istituzioni che sono espressione dei
valori in cui crede, autorealizzarsi è seguire i propri valori; non
è una scelta quella di appartenere a una società, a una comunità, ma
una condizione costitutiva, ascrittiva. Il concetto di cittadinanza
attiva e di partecipazione politica è molto simile a quello della
pòlis greca. Le istituzioni stabili nel tempo sono proprio quelle
che incarnano valori condivisi, l'operazione fondamentale è l'autocomprensione
poiché ciò che noi siamo è ciò che noi vogliamo.
Alasdair MacIntyre
Un’impostazione aristotelica caratterizza in modo ancora più
esplicito l'opera di MacIntyre Dopo la virtù. Il fallimento della
teoria politica liberale è da attribuire, secondo MacIntyre, al
fatto che essa non è altro che l'ultimo esito del moderno progetto
dell'Illuminismo di costruire un'etica dei principi, universalistica
e astratta, del tutto indipendente dalla tradizione delle virtù. Il
nostro presente è un deserto di valori, in questo senso l'idea di
una neutralità della giustizia è coerente con una più ampia
concezione etica moderna. Se i nostri criteri del giudizio morale e
politico sono interni a forme di vita in comune, se la
giustificazione ha un senso solo entro una tradizione particolare e
le virtù sono tali per noi solo entro pratiche o culture
determinate, allora una società bene ordinata è possibile solo se
tutti i suoi membri si riconoscono stabilmente nel tempo come parti
di una storia più ampia, collettiva e comune. Dopo aver sottoposto a
dura critica l'Illuminismo e dopo aver ad esso contrapposto
Aristotele come eroe della virtù, MacIntyre chiude l'opera con un
appassionato appello (sia etico sia politico) a ritornare alle
antiche comunità. Una società bene ordinata è possibile solo se
tutti i suoi membri si riconoscono stabilmente nel tempo come parti
di una storia collettiva e comune.
Charles Taylor
Secondo Taylor una società non è riducibile alle transizioni fra
individui atomisticamente concettualizzate; in Radici dell'io
sostiene che il sé liberale è un'astrazione filosofica, è una
forzatura il fatto che prima ci sia l'individuo e poi la società: la
persona è già radicata in determinati contesti, è la società a
formare l'individuo.
Secondo Taylor è fondamentale il riconoscimento di diritti speciali
anche alle comunità minoritarie in una società affinché si possano
preservare nel tempo. Lo Stato deve intervenire perché le comunità
non si spengano.
Will Kymlicka
Kymlicka affronta il tema del multiculturalismo: le istituzioni
devono intervenire perché le comunità multiculturali durino nel
tempo. Possono esserci minoranze culturali o comunità di immigrati,
nel primo caso le minoranze devono avere diritti speciali, sono loro
stesse comunità, i secondi devono essere invece pronti ad accettare
e ad aderire ai valori della comunità in cui immigrano. Lo Stato non
può essere neutrale, deve riconoscere la presenza di gruppi
comunitari i quali devono essere riconosciuti come comunità con
specificità etiche. Kymlicka pone sul tappeto la questione della
stabilità nel tempo delle istituzioni politiche.
André Gorz
Un discorso a parte merita il comunitarismo di André Gorz,
comunitarismo di matrice decisamente più progressista rispetto al
filone anglo-americano. Si tratta di un comunitarismo di tipo
associativo e non ascrittivo, come ha scritto Marco Revelli,
«comunità è stata Mirafiori, nei tardi anni ’60 e nei primi anni
’70. Comunità è stato il maggio francese (la commune étudiante di
cui parla Vidal-Naquet […] Comunità furono anche, in qualche fase
felice (quando la burocrazia della forma-partito non ha prevalso del
tutto), le sezioni del Pci, le leghe sindacali, quel ‘mondo entro il
mondo’ dove si era formata la forza reale della sinistra»[2].
Tommaso Demaria
Una prospettiva del tutto nuova è quella del filosofo e teologo
Tommaso Demaria che avvia, almeno cronologicamente, il filone
italiano del comunitarismo. Demaria è metafisico, teologo e
sociologo torinese e vive ed opera a pochi chilometri da Adriano
Olivetti. La scoperta metafisica fondamentale di Demaria è l'ente
dinamico, scoperta che completa la metafisica aristotelico-tomista.
La nuova categoria ontologica consente di “fotografare”
quell'umanità di cui la persona non può fare a meno e con cui la
persona si trova in “simbiosi” essenziale fin dal suo principio.
L'umanità risulta costituita dall'agire umano come agire finalizzato
ad acquisire comportamenti vitali e far sopravvivere così l'umano
nello spazio e nel tempo. Acquisita la vita come razionalità che
finalizza questo agire, si arriva a percepire la
Realtà Storica come un agire unico vitale e
vitalmente operante dell'umano (non quindi come mero processo
economico come nel materialismo dialettico marxista),
con miliardi di sorgenti ossia le persone che lo scelgono generando
la comunità globale socio economica che le salva. La Realtà Storica
risulta essere un ente necessariamente in costruzione perché
perennemente scelta dalle persone che sono libere, generazione dopo
generazione, azione dopo azione. L'umanità appare in definitiva come
una “realtà complessa (di persone e strutture), animata da un
proprio principio vitale e quindi capace di vivere ad agire a titolo
proprio, che si costruisce in modo coerente ed univoco nello spazio
e nel tempo”. La conseguenza pratica di questa dimensione dinamica
di ente-che-trasmette-la-vita (ossia din-onto-organica) propria alla
comunità, è l'acquisizione "a fortiori" di leggi costruttive
universali e concrete che si sono dimostrate assolutamente valide
nel tempo ma generalmente non seguite. Tutti sappiamo che nella
pratica prevale il liberismo capitalista o il marxismo. Demaria
stesso definisce la dimensione metafisica della Realtà Storica col
termine dinontorganismo, ed il suo aspetto politico con il termine
di comunitarismo. Con la scoperta delle leggi del dinontorganismo è
possibile arrivare a definire con esattezza il tipo comunitarista di
società ed economia che diviene una efficiente logica costruttiva
alternativa a quelle del liberismo-capitalista e del marxismo. Si
tratta proprio di quello che oggi viene chiamato nuovo modello di
sviluppo, per sua natura in simbiosi con la persona. Proprio questa
"simbiosi" primordiale dell'agire umano che funzionalizza ogni agire
alla vita lo deve coordinare rendendolo così ideologia o con un
termine più preciso, ideoprassi. Demaria continua la sua opera di
studio del comunitarismo sino al 1990, anno in cui avviene il
passaggio di testimone ai suoi successori.