ISIS. la
bandiera nera sventola a DERNA, Libia. Gli jihadisti ora sono sulla
sponda meridionale del Mediterraneo...

Libia, la bandiera nera dell'Is
sventola a Derna,07-10-2014. Dopo la conquista di Tikrit e Mosul del
giugno 2014,dopo la scomparsa dello stato iracheno sancita il 4
luglio 2014, dopo l'espansione in Siria a ridosso della
Turchia,l'Isis espande un suo tentacolo nel sud-est mediterraneo.
Il video, trasmesso
da al Arabia, mostra la lunga sfilata di pick up e mezzi dei
miliziani di Ansar Al Sharia a Derna, la capitale degli integralisti
in Libia, mentre alzano le bandiere dell'Isis e annunciano di aver
creato il califfato. Gli uomini di Ansar Al Sharia sono i
responsabili dell'attacco al consolato americano del 2012 in cui fu
ucciso l'ambasciatore Christopher Stephens. Il passaggio di Ansar Al
Sharia sotto il "brano" dell'Isis significa sostanzialmente che il
network del Califfo Al Baghdadi si arrIcchisce delle strutture e
degli uomini del gruppo terroristico libico che è già molto potente
e organizzato: Ansar in questi giorni sta combattendo e ha quasi
sconfitto i militari del generale Hafter a Bengasi, un gruppo che ha
a disposizione elicotteri e cacciabombardieri. Un monito per
l'Italia che scopre all'improvviso di essere molto vicino a
miliziani dell'Isis molto organizzati.
Libia, “miliziani ex Isis tornano da Siria
e Iraq per combattere nella guerra civile”
Nel Paese
dilaniato dalla guerra civile (contesto in cui il Califfato trova
terreno fertile), a poca distanza dalle coste italiane, compaiono le
prime bandiere nere dello Stato Islamico. "Il peso del jihad è
forte, soprattutto in Cirenaica - spiega a IlFattoQuotidiano.it
Arturo Varvelli, analista dell'Ispi - hanno accumulato un'expertise
militare diretta e ora sono pronti a creare nuovi nuclei
combattenti".
“La Libia per
l’Italia è la prima priorità”. Lo sosteneva solo pochi giorni fa a
Catania Federica Mogherini, alto rappresentante Ue
agli Affari esteri, durante il seminario dell’Assemblea Parlamentare
della Nato. E a conferma delle preoccupazioni crescenti di questi
ultimi mesi dovute alla guerra civile degenerata nel caos, si
aggiunge la notizia diffusa ieri dalla tv araba Al Arabiya, che
pubblica un video girato nella città di Derna in cui i miliziani di
Ansar al Sharia sventolano le bandiere nere di Isis
in territorio libico. “C’è un forte flusso di combattenti libici che
rientrano in patria da Siria e Iraq”, spiega a IlFattoQuotidiano.it Arturo
Varvelli, esperto di Libia dell’Istituto per gli studi di
politica internazionale.
Jihadisti forti in Cirenaica: “Sostituiscono lo
Stato”
“Il peso del jihad è forte, soprattutto in Cirenaica – continua
l’analista dell’Ispi - Ansar al-Sharia è composta
da molti reduci dall’Iraq o dall’Afghanistan. Questa formazione fa
occupazione territoriale: in una zona dove lo stato non arriva,
Ansar al-Sharia costruisce ospedali, fa beneficenza, svolge attività
assistenziali, si pone l’obiettivo di essere un po’ come
Hamas o Hezbollah. Questo gli dà il
supporto della popolazione, ma solo in parte: la loro presenza a
Bengasi è controversa e ci sono state anche manifestazioni molto
partecipate, per protestare contro il loro modo di agire, di imporre
posti di blocco, controlli di polizia ecc. Il generale rinnegato
Khalifa Haftar è rientrato dagli Usa proprio per
opporsi ad Ansar, con il supporto di Egitto ed
Emirati. Del resto, l’Egitto di al-Sisi
non può tollerare che alle sue porte ci sia una formazione jihadista
che applica la Sha’ria”.
Isis ha un forte potere di
attrazione mediatica, anche verso le formazioni terroristiche
nordafricane. Secondo Varvelli, Ansar finora non ha particolarmente
dimostrato di essersi affiliato a Isis. “Ha invece un forte flusso
di combattenti libici che rientrano in patria da Siria e Iraq. Il
battaglione al-Battar, ad esempio, è composto
esclusivamente da libici che hanno combattuto in Siria. E questo è
un elemento preoccupante a prescindere: dal fronte della guerra
civile libica del 2011, fino alla Siria e all’Iraq, questi uomini
hanno accumulato un’expertise militare diretta e ora, tornando, sono
pronti a creare nuovi nuclei combattenti”.
Riguardo alla notizia di oggi
della bandiera di Isis a Derna, il ricercatore
spiega che non è la prima volta che i drappi neri compaiono in
Libia. “Il punto è capire se dall’altra parte c’è un riconoscimento
ufficiale da parte del sedicente Stato Islamico. Finora non è dato
saperlo. Ma in fondo cambia poco: condividono la stessa
strategia e l’esistenza o meno di un’affiliazione ufficiale
non muta la sostanza. Sono e restano pericolosissimi criminali”.
L’origine del caos
Esiste oggi una forte polarizzazione politica fra islamisti e
anti-islamisti. Ma è importante mantenere una distinzione. Spiega
Varvelli: “Una cosa è Ansar al-Sharia in Cirenaica, la formazione
terroristica che l’11 settembre 2012 ha ammazzato l’ambasciatore
americano Chris Stevens, un’altra è la componente
conservatrice rappresentata dalla Fratellanza Musulmana,
integralista ma non terrorista. Nell’ultimo anno, questa
contrapposizione si è riproposta anche sul piano militare: ogni
forza politica si è alleata con le milizie che controllano il
territorio. Con la caduta di Morsi in Egitto, la situazione si è
incancrenita: i Fratelli Musulmani hanno perso il
ruolo di interlocutore politico legittimo e ciò è stato da loro
percepito come una minaccia alla propria esistenza, spingendoli a
cercare un’alleanza militare con le milizie di Misurata, in
contrapposizione al partito laico di Mahmoud Jibril”.
Il resto è storia recente: alle
ultime elezioni la Fratellanza Musulmana,
sconfitta, non ha riconosciuto il nuovo parlamento. “I neoeletti,
sentendosi minacciati nella propria esistenza, hanno commesso
l’errore fatale di lasciare la capitale per spostarsi a
Tobruk, di fatto ponendosi sotto la protezione dell’Egitto
di al-Sisi, e ciò ha aumentato i problemi. A Tripoli i misuratini e
la Fratellanza hanno richiamato in vita il vecchio parlamento,
spaccando in due il paese. A questo punto, finalmente è intervenuta
l’Onu, che in queste settimane sta riconvocando le parti. Almeno si
stanno parlando”.
La contrapposizione attuale è
stata favorita da numerosi attori esterni: il Qatar
e la Turchia hanno sponsorizzato i fratelli
musulmani e le milizie di Misurata, mentre l’Egitto e gli Emirati
hanno bombardato le postazioni della Fratellanza ad agosto e
settembre; John Kerry due settimane fa ha convocato
gli attori regionali ed europei per riconoscere il parlamento di
Tobruk, che però non controlla la capitale, i ministeri, le banche,
e si ritrova di fatto senza poteri.
L’unica exit strategy: riconciliare le tribù
Secondo il ricercatore dell’Ispi, la soluzione è una sola: “Avviare
una riconciliazione nazionale il più inclusiva
possibile, escludendo la forze jihadiste, ma includendo i fratelli
musulmani, tutte le forze politiche e anche il sistema delle tribù e
delle minoranze, una realtà spesso a sé stante”. Riguardo un
possibile intervento militare, Varvelli è chiaro: “Ci sono fronti
troppo numerosi perché sia efficace. E poi, ricordiamolo, ogni
intervento militare deve avere una visione a lungo termine, sennò
siamo destinati a ripetere gli errori, come quelli commessi in Libia
nel 2011. Ora si sta facendo lo stesso con Isis: non c’è
progettualità politica, si armano i curdi, ma si dimentica che
nessuna decisione internazionale può essere presa senza che abbia
delle conseguenze. Siamo miopi. Ogni intervento è come il tocco a
una palla da biliardo e innesca una reazione, che poi non è più
controllabile”.