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  INTERNOTIZIE

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Gli attacchi del presidio di Porto agli Ostrogoti

Nel frattempo, Belisario inviò Valentino e Foca, con rinforzi, a Porto affinché fornissero soccorso al presidio bizantino rinserrato nel castello Portense, e facessero incursioni di disturbo negli accampamenti nemici.[2] Essi spedirono a Roma un messaggio a Bessa, chiedendogli di fornire loro assistenza mentre attaccavano gli Ostrogoti: mentre i soldati del presidio Portense avrebbero cercato di assaltare le trincee degli Ostrogoti, Bessa avrebbe dovuto uscire dalle mura delle città con i suoi guerrieri più valorosi, onde infliggere insieme pesanti perdite ai barbari.[2] Ma Bessa, malgrado avesse a disposizione tremila soldati, decise di non intervenire, così che quando Valentino e Foca, alla testa di cinquecento soldati, assaltarono di sorpresa il campo nemico, dopo aver massacrato diversi soldati nemici, notato che non arrivavano aiuti dai soldati a difesa di Roma, decisero di ritirarsi sani e salvi al porto, da dove inviarono un messaggio a Bessa, protestando per la sua inazione e inopportuno indugiare e invitandolo a intervenire in loro soccorso la volta successiva.[2] Ma Bessa, ancora una volta, si rifiutò di intervenire in appoggio dei soldati di Porto, e, quando un disertore bizantino, Innocenzo, passato dalla parte degli Ostrogoti, avvertì Totila che il presidio di Porto avrebbe attaccato gli accampamenti ostrogoti il giorno successivo, il sovrano ostrogoto prese misure adeguate al previsto attacco, cosicché quando il presidio di Porto attaccò fu colto in un'imboscata dagli Ostrogoti, che inflissero loro pesantissime perdite; i pochissimi superstiti riuscirono a riparare a Porto.[2]

Nel frattempo, Papa Vigilio inviò a Roma dalla Sicilia, dove si trovava in quel momento, diverse navi cariche di frumento nella speranza che esse riuscissero a raggiungere la città senza essere catturate dalla flotta nemica; tuttavia, non appena gli Ostrogoti si accorsero dell'arrivo delle navi bizantine cariche di provviste, giunsero furtivamente nel porto, e si misero in agguato dentro i fossati delle mura in modo da impossessarsi delle provviste non appena arrivate.[2] Sennonché il presidio bizantino di Porto, accortosi delle mosse degli Ostrogoti, salì precipitosamente sui merli, cercando di avvertire con diversi segni alle navi bizantine dell'agguato nemico, ma la flotta bizantina, non compresi i segni, e ritenendo che le truppe di Porto al contrario li avessero invitati a sbarcare, decisero di sbarcare effettivamente, subendo l'attacco degli Ostrogoti che senza trovare opposizione si impadronirono delle navi.[2] Il vescovo Valentino, che si trovava con la flotta, fu fatto prigioniero e condotto da re Totila, che lo accusò di menzogna e ordinò che gli fossero mozzate le mani.[2] Con questi avvenimenti si concluse l'inverno dell'undicesimo anno di guerra (dicembre 545/marzo 546).[2]

Lo sbarco di Belisario a Porto e le campagne di Giovanni

Nel frattempo, giunte a Epidanno le truppe di Giovanni e di Isacco ed unitesi a Belisario, Giovanni consigliò di valicare il seno ionico ed arrivare a Roma via terra, ma Belisario non fu d'accordo, ritenendo preferibile giungere nei pressi di Roma via mare, in quanto il viaggio terrestre sarebbe riuscito più lungo e forse non senza impacci.[5] Inoltre Belisario era consapevole delle sofferenze patite dagli assediati cittadini di Roma, per cui intendeva soccorrerli il più presto possibile: decise quindi di viaggiare a Roma via mare, essendo necessari cinque giorni di navigazione, mentre un viaggio via terra ne sarebbe durato almeno quaranta giorni, se non di più.[5] Belisario incaricò quindi Giovanni di sbarcare con parte dell'esercito in Italia meridionale e scacciare da Calabria, Puglia e Campania i pochi soldati ostrogoti che erano da quelle parti e, una volta sottomesse di nuovo queste regioni sotto la dominazione bizantina, raggiungere l'esercito di Belisario a Porto.[5] Belisario, dunque, salpò le ancore, e, spinto dal vento favorevole, pervenne con tutta la flotta a Taranto (Idrunte), che all'epoca era assediata dagli Ostrogoti.[5] Gli assediatori ostrogoti, all'arrivo di Belisario, levarono l'assedio a Taranto ritirandosi a Brindisi, a due giornate di distanza e priva di mura, e avvertirono Totila dell'imminente arrivo di Belisario; il re ostrogoto ordinò alle truppe nella Calabria di ostacolare il tragitto dei Bizantini, ma, non appena Belisario, approfittando del vento favorevole, salpò da Taranto, gli Ostrogoti trascurarono negligentemente la difesa della Calabria.[5] Totila, nel frattempo, per impedire a Roma di ricevere l'annona dalle truppe di Belisario, scelse un luogo a novanta stadi dalla città, dove l'alveo del fiume Tevere era molto stretto, e fece costruire uno sbarramento sul fiume affidandone la custodia ad alcuni dei suoi guerrieri con l'incarico di vietare in ogni modo alla flotta bizantina proveniente da Porto l'entrata a Roma con le tanto agognate provviste.[5]

Nel frattempo, Belisario, sbarcato a Porto, era in attesa dell'arrivo delle truppe di Giovanni, nel frattempo sbarcato in Calabria senza che gli Ostrogoti a presidio di Brindisi ne concepissero il minimo sospetto.[5] Catturati due esploratori del nemico, ne giustiziò uno, mentre risparmiò l'altro, in quanto quest'ultimo, supplicandolo, gli promise che gli avrebbe svelato informazioni fondamentali per sconfiggere il nemico.[5] Grazie al tradimento dell'esploratore ostrogoto, le truppe bizantine di Giovanni assaltarono all'improvviso gli accampamenti ostrogoti, sterminandone la maggior parte mentre i pochi superstiti trovarono riparo raggiungendo il re nelle vicinanze di Roma.[5] Giovanni, quindi, riuscì a attirarsi il favore dei Calabresi, con diverse promesse.[5] Dopo aver abbandonato l'appena riconquistata Brindisi, Giovanni occupò Canusio, città posta nel centro della Puglia e distante cinque giornate da Roma, per poi giungere a Canne, a venticinque stadi di distanza.[5]

Nel frattempo, Tulliano di Venanzio, originario di Roma, si presentò a Giovanni e cominciò a lamentarsi per le angherie commesse dall'esercito bizantino contro gli Italici, concludendo il discorso promettendo che, se gli abitanti dell'Italia meridionale fossero stati da quel momento in poi trattati bene dai Bizantini, essi avrebbero consegnato le due province di Calabria e Puglia all'Imperatore.[5] Giovanni accettò le richieste di Tulliano, e le due province di Calabria e Puglia tornarono a riconoscere la sovranità di Giustiniano.[5]

Totila, avvertito dai successi di Giovanni, ordinò a trecento guerrieri eletti del suo esercito di marciare a Capua con l'ordine di tenere d'occhio le truppe di Giovanni, nel caso queste cominciassero incautamente a marciare in direzione di Roma; per cui, Giovanni, temendo di scontrarsi con il nemico, abbandonò il piano di marciare verso Roma per ricongiungersi a Porto con Belisario, e decise di marciare in Bruzio (Calabria) e Lucania (Basilicata), dove ottenne un altro successo sul nemico.[5] Nel frattempo Belisario, attendendo impazientemente di giorno in giorno l'arrivo di Giovanni, si teneva inoperoso.[5]

Il tentativo fallito di Belisario

A un certo punto, Belisario, venutogli il timore che la mancanza di cibo costringesse i Romani ad aprire le porte al nemico, cercò di trovare il modo per rifornirli di annona, escogitando alla fine il seguente stratagemma: uniti e strettamente legati insieme due paliscalmi, vi soprappose una torre di legno assai più alta di quelle erette sul ponte dai nemici, di cui aveva ottenuto le misure da alcuni dei suoi falsi disertori infiltratesi tra gli Ostrogoti; trasportò quindi sul Tevere duecento dromoni, a foggia di muro, fortificandoli con tavole piene di fori per dardeggiare il nemico senza subire danni, caricandoli di frumento e di altro cibo e facendovi salire le proprie truppe.[6] Dispose inoltre in luoghi muniti alle bocche del fiume soldati sia fanti che cavalieri, coll'ordine che impedissero al nemico di marciare verso Porto.[6] Inoltre affidò ad Isacco il castello di Porto, oltre a sua moglie Antonina, ammonendolo di non allontanarsene, essendo Porto l'unica fortificazione dove i Bizantini, in caso di sconfitta, potessero riparare, per cui la sua perdita sarebbe stato un grave colpo inferto ai Bizantini.[6]

Il giorno prima Belisario aveva dato a Bessa l'ordine di assaltare gli accampamenti nemici, in modo da agevolare a Belisario lo superamento dello sbarramento costruito sul Tevere dagli Ostrogoti; ma Bessa, a dire di Procopio, era interessato solo ad arricchirsi vendendo cibo a caro prezzo ai senatori di Roma affamati, per cui, non sembrandogli conveniente la fine dell'assedio, restò inattivo, disobbedendo a Belisario.[6]Mentre i Bizantini stavano per prevalere, a Porto giunse la voce che Belisario aveva ottenuto una splendida vittoria sul nemico, generando in Isacco la brama di partecipare a cotanta gloria: disobbedendo agli ordini avuti di non allontanarsi per nessuna ragione da Porto, Isacco accorse con le truppe a disposizione sulla riva ostiense del fiume, combattendo una piccola battaglia contro un esercito ostrogoto condotto da tal Ruderico e infliggendo perdite molto gravi ai nemici.[6] Dopo aver volto in fuga i superstiti, Isacco e le sue truppe, entrati nel campo nemico, lo saccheggiarono, ma, durante il viaggio di ritorno, le truppe di Isacco furono assalite dagli Ostrogoti e da essi sconfitte: Isacco stesso fu fatto prigioniero e condotto da Totila, che, scontento dell'uccisione di Ruderico, ordinò l'esecuzione di Isacco due giorni dopo.[6] Nel frattempo, la notizia della sconfitta di Isacco giunse a Belisario, il quale, temendo che essa avesse provocato la perdita di Porto, della moglie e di tutto il frutto di quella impresa, nonché la perdita dell'unico luogo munito ove riparare sé stesso e le sue truppe, instupidì, ordinando all'esercito di tornare indietro per assalire quindi all'impensata i barbari e riprendere ad ogni costo Porto.[6] Quando Belisario scoprì che Porto in realtà non era caduta in mano nemica, e quindi, per un falso allarme, aveva fatto fallire un piano che stava avendo successo, si addolorò per il suo fallo a tal punto che si ammalò gravemente di febbre, da cui si riprese solo dopo diverso tempo.[6]

 

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