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LA SCOMPARSA
DEL POSTO DI LAVORO, NON SOLO DEL POSTO DI LAVORO FISSO
“Il posto fisso non c’è
più”. Tutta la polemica sulla
frase pronunciata dal premier Matteo Renzi si è
concentrata sull’aggettivo, “fisso”. Sarebbe opportuno preoccuparsi
di più del sostantivo: la scomparsa dei posti. Intere categorie
professionali hanno le stesse prospettive di un triceratopo nel
Cretaceo: l’estinzione.
Secondo uno studio molto citato (anche dal governatore di Bankitalia
Ignazio Visco) firmato da Carl Benedikt
Frey e Michael Osborne dell’università di
Oxford, il 47 per cento dei lavori che conosciamo svanirà nei
prossimi due decenni. Magari il numero è impreciso, ma possiamo
scommettere che nel 2034 non ci saranno più bigliettai al cinema o
sui treni (basterà uno smartphone), spariranno gli impiegati delle
Poste e i bancari allo sportello (a che servono con
l’e-banking?), i vigili agli angoli delle strade a
fare le multe (telecamere e microchip), gli operatori dei call
center non disturberanno più con le loro telefonate promozionali.
Ma vista la crescita
esponenziale della capacità di elaborazione dei software nell’era
dei big data, anche i traduttori cominciano a
temere la concorrenza di Google Translator, così come i professori
che si dedicano solo alla didattica stanno scoprendo le inquietanti
potenzialità dell’e-learning: non quello dei nostri
diplomifici di provincia, ma quello che permette a un indiano con
una connessione Internet di seguire i migliori docenti di Harvard
invece che un mediocre insegnante locale. Un solo professore bravo (guardate
su Youtube la superstar della filosofia Michael Sandel)
può rendere esuberi decine di docenti mediocri.
Da duecento anni sappiamo
che i timori di Ned Ludd sono infondati: i telai
per produrre calze si sono affermati nonostante le proteste dei “luddisti”,
ma la disoccupazione non è esplosa. La tecnologia produce aumenti di
produttività che generano profitti, quindi un aumento della domanda
che fa nascere la necessità di nuovi posti di lavoro in settori
diversi da quello stravolto dall’innovazione. La
“disoccupazione tecnologica” non esiste. Una certezza
durata per un paio di secoli che ora comincia a vacillare. Lo studio
di Oxford e
l’Economist concordano: spariranno i lavori intermedi,
quelli oggi svolti dai colletti bianchi, rimarranno quelli altamente
qualificati e creativi (ingegneri, programmatori, stilisti,
scrittori) e quelli che richiedono scarse competenze ma non possono
essere delocalizzati o affidati a una app o a un robot (dagli
spazzini ai barbieri alle badanti). In generale: resisteranno i
lavori che richiedono discrezionalità e interazione tra persone. Ma
con conseguenze sulle retribuzioni poco piacevoli, visto che
crescerà la competizione per entrambi gli estremi ma ne soffriranno
di più i lavoratori poco qualificati che vedranno ridursi ancora i
compensi.
Se non cerchiamo di
anticipare questi cambiamenti, presto dovremo porci il problema
della scomparsa dei posti tout court. Fissi o variabili.

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