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  INTERNOTIZIE

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BOTTE, MANGANELLI E VESTALI FANATICHE: IL PARTITO DELLA DIOSSINA NAZIONALE VERSO L'ANNIENTAMENTO DEL QUARTO STATO

Camusso: "Renzi abbassi manganelli"   diretta tv   Premier: su scontri verifiche e atti conseguenti 

Camusso: "Renzi abbassi manganelli" diretta tv
Premier: su scontri verifiche e atti conseguenti 

Vd Sindacati a Palazzo Chigi foto / Bersani: Pd si dia regolata
Feriti 4 operai foto - vd/ Sel, mozione sfiducia per Alfano vd

La Questura mostra un video: "Volevano occupare la stazione"
Sindacalista: "Colpi gratuiti, non andavamo a Termini" video

Il segretario Cgil interviene dopo gli scontri a Roma in cui tre operai sono rimasti feriti per le manganellate della polizia: “Quello che è avvenuto è gravissimo e chiediamo al governo di risponderne. Ho detto ad Alfano che occorre molta attenzione perché in una situazione così difficile non si sa dove si va a finire” (di S. Cannavò). Risponde il premier Renzi: “Accerteremo responsabilità, i nostri atti saranno conseguenti”. Oggi il ministro Alfano riferisce in Parlamento

 

Pina Picierno e gli hooligans di Matteo
Il disastro comunicativo dei nuovi renziani

La deputata campana che accusa Susanna Camusso di essere stata eletta con tessere false, il ministro Madia che risponde solo ai "giornalisti rinnovati", il finanziere Serra che non vuole il diritto di sciopero. Tra gaffe e arroganza del potere, gli uomini vicini al premier riescono sempre a scatenare polemiche

Pina Picierno e gli hooligans di Matteo 
Il disastro comunicativo dei nuovi renziani 
datece la Carfagna”. Il mormorio circolava ironico l’altro giorno in Transatlantico, proprio mentre si diffondeva la notizia che Pina Picierno aveva detto della Camusso che era stata eletta a capo della Cgil con tessere false. Aridatece la Carfagna. Un paradosso, una provocazione, a dire che, in fatto di personalità politiche con una qualche vicinanza al leader, Mara Carfagna, per taluni già vituperatissimo simbolo di una carriera politica costruita grazie ai cordiali rapporti con Silvio Berlusconi, ha a conti fatti mostrato nel tempo, tutto sommato, uno spessore politico maggiore di talaltri renziani oggi saliti all’onor delle cronache. Quanto meno lei, la Carfagna, gaffe e scivoloni li ha sempre risparmiati, sia a se stessa che agli altri.

E invece, i renziani: giornate dure. Nell’immediato post-Leopolda, risuonavano ancora i proclami antisindacali di Davide Serra al meeting di Firenze, e in particolare quel “lo sciopero non è un diritto” che aveva pur fatto arrabbiare in privato il premier. E, per l’altra parte, circolava sul web il video in cui Marianna Madia, ministro renziano della Pa, spiegava a un giornalista di FanPage che voleva una sua dichiarazione sulla riforma della pubblica amministrazione, che lei era determinata a non rispondere “perché secondo me questo non è un giornalismo di rinnovamento” , concetto del tutto sconosciuto persino ai corsi d’aggiornamento per i professionisti dei media. O ancora, scorreva ancora negli occhi il Ballarò della sera prima, con Sandro Gozi, altro renziano di nuovo conio (per quanto una volta iper prodiano), che si faceva prendere a pallonate da tutto lo studio.

"Sono rimasta molto turbata dalle parole di Camusso che dice oggi a qualche giornale che Renzi è al governo per i poteri forti. Potrei ricordare che la Camusso è eletta con tessere false o che la piazza è stata riempita con pullman pagati, ma non lo farò". Lo ha detto Pina Picierno, eurodeputata del Pd, questa mattina ad Agorà, su Rai Tre

   
   
   
   



Insomma, aridatece la Carfagna come a dire: comunicativamente un po’ fragilini, questi renziani. Su questa corolla di pensieri, s’è poggiata come una ciliegina Pina Picierno con le sue “tessere false” e i suoi “pullman pagati”. Eurodeputata, classe 1982, casertana di Teano, in politica dai sedici anni con i popolari, la Picierno in realtà non è affatto nuova a questo genere di polemiche, in bilico tra la provocazione e la gaffe, ma comunque sempre mediaticamente efficace. Lei, che pure si è laureata a Salerno con una tesi sull’”Analisi del contenuto del discorso politico di Ciriaco De Mita”, ha nel linguaggio uno dei suoi punti di forza, per quanto non certo l’unico: è chiaro, buca, resta in memoria. Tutti ricordano, ad esempio, quanto si sbracciò in primavera per sostenere la validità economica del bonus da ottanta euro, con tanto di scontrino del supermercato sventolato davanti alle telecamere a dire che a lei, “persona coi piedi per terra”, bastava per “fare la spesa per due settimane”: una posizione per certi versi talmente suicida, che all’epoca non s’ebbe cuore di sottolineare che un parlamentare a Roma passa tre, massimo quattro giorni a settimana, e mangia a casa giusto per cena, e che dunque ottanta euro servivano sì e no per otto pasti. “Latte a lunga conservazione” compreso.

La capolista del Pd alle Europee nella circoscrizione Sud Pina Picierno, intervistata da Giovanni Floris nel programma Ballarò, mostra lo scontrino fiscale della sua spesa. E il conduttore lo legge

 

 

 

 

 

 

 

 



S’è sempre distinta, Picierno, per la nettezza di certe sue affermazioni. “E’ che sono passionale, forte, se faccio una battaglia ci credo”, disse in un’intervista. Lo conferma la tenacia con la quale ad Agorà non si è fatta togliere la parola (nonostante i cortesi tentativi del conduttore) per pronunciare a tutti i costi le frasi sulla Camusso per le quali si è poi scusata. Lo conferma il “non fare la pescivendola” tirato contro il segretario del Pd campano Assunta Tartaglione, o il più antico battibecco a Porta a porta con Alessandra Mussolini, che le tolse gli appunti che stava diligentemente leggendo come ministro ombra dei giovani.

Davide Serra alla Leopolda
Davide Serra alla Leopolda


Picierno cambia, muta, si trasforma, ma non è una che le manda a dire. Quand’era rutelliana e leader dei giovani della margherita (i cosiddetti “Cicoria Boys”, copyright dell’allora rutelliano e oggi renziano Luciano Nobili), votò chiaro e tondo quattro sì al referendum sulla fecondazione assistita (compresa l’eterologa, e in quegli anni non era una posizione facile) e andò fiera in piazza a difendere i Dico, ossia il progetto di legge sulle unioni civili. Ancora, nel marzo 2007, chiamata a indicare chi volesse come leader del Pd prossimo venturo, indicava sicura: “Qualcuno come Franceschini, D’Alema, Finocchiaro”. Invece “Veltroni non sarebbe l’uomo giusto”, precisava in un’epoca in cui i suoi coetanei non sfidavano la prudenza nemmeno per pronunciarlo, il nome di un big. Con la stessa sicurezza, appena quattordici mesi dopo, appena eletta alla Camera con Veltroni segretario del Pd, Picierno dichiarava: “Il partito democratico senza Veltroni non riesco a immaginarlo: lui rimane l’unica guida possibile per le sue grande intuizioni”. E, da ventiseienne, spiegava che non bisognava andare troppo veloce col rinnovamento: “La carta d’identità non significa nulla se non si accompagna a una vera innovazione”.

Marianna Madia
Marianna Madia


Prudenze, circa il ricambio generazionale, rottamate con il progressivo sintonizzarsi con l’ex rottamatore. Al quale, c’è da dire, Picierno si è avvicinata per tempo, cominciando con il difenderne la bravura già nelle primarie 2012 (quelle che Renzi perse): “Trovo assurdo non capire che il sindaco di Firenze è un’opportunità incredibile per il Pd”.

All’epoca, Picierno era e si definiva bersaniana. “Sono bersaniana perché – come dice il segretario – lavoro per la ditta”. “Io sostengo Bersani, perché alcune idee delle idee economiche di Matteo non mi sono piaciute, mi sembrano conservatrici”, diceva nell’ottobre 2012.

Tutt’altra musica, nell’aprile 2014, in corsa per le europee: “Prima sostiene Bersani a spada tratta, poi entra nella segreteria di Renzi?”, le domandava il Corriere del Mezzogiorno. E lei: “Che cretinata. Sono stata per tutti questi anni vicina per amicizia e per sentire politico a Dario Franceschini. Con Bersani abbiamo perso le elezioni”. Insomma: “Serviva una svolta, e la svolta era Renzi”. La famosa “opportunità incredibile”, no?

Le botte agli operai di Terni e la gaffe Picierno: giornata nera per Renzi che ora teme la piazza

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RENZI

La grana non è scoppiata con la manifestazione di Fiom e Cgil sabato scorso a Roma, che in fondo ha lasciato Matteo Renzi tranquillo a curare lo splendore della sua Leopolda a Firenze. La deflagrazione è arrivata oggi con le botte della polizia agli operai della ThyssenKrupp di Terni arrivati nella capitale per raggiungere in corteo il ministero dello Sviluppo Economico e chiedere un incontro con la titolare Federica Guidi. Per il premier scoppia l’allarme piazza. In vista delle altre manifestazioni che ci saranno, dei licenziamenti all’orizzonte, dello sciopero generale che sarà proclamato dalla Cgil per la metà di novembre. L'invito, ripetuto ai suoi, è ad abbassare i toni, evitare che su un terreno come quello della crisi industriale si possano provocare lacerazioni e scontri. In più, ci si mette pure Pina Picierno a imbrattargli la battaglia contro i sindacati, con una gaffe televisiva contro Susanna Camusso (“Eletta con tessere false, la Cgil ha pagato i bus per la manifestazione di Roma…”) che i renziani cercano subito di riparare. Insomma, è una giornata nera a Palazzo Chigi. E se Renzi riesce in qualche modo a mettere mano al caos scatenato dall’eurodeputata (che si sarebbe giocata la candidatura a governatore della Campania), gli è più difficile recuperare sulle cariche agli operai della Fiom, segretario Maurizio Landini compreso visto che anche lui ha preso una manganellata. Il premier gli parla al telefono. “Quelle botte ci danneggiano…”, ammettono nella cerchia renziana del Pd.

Nel pomeriggio tra Palazzo Chigi e Viminale si tenta di capire la dinamica dei fatti accaduti in piazza Indipendenza, dove gli agenti in assetto antisommossa hanno bloccato a manganellate il corteo degli operai che voleva proseguire fino al ministero della Guidi. La spiegazione ufficiale è che avrebbero deviato dal percorso autorizzato. Ma al di là dei dettagli, è il fatto in sé a scatenare la preoccupazione del premier e dei suoi. Fanno particolarmente male le parole di Landini, segretario metalmeccanico ad altissimo tasso di popolarità ormai, agli antipodi rispetto a Renzi eppure stimato dal presidente del Consiglio. “Il problema non sono gli agenti che sono in piazza e che sono lavoratori come noi – strilla Landini, fumante di rabbia davanti alle telecamere - ma gli ordini che arrivano. Basta Leopolde: il premier chieda scusa”. Già, gli ordini. Renzi chiede spiegazioni ad Alfano in una lunga conversazione telefonica, chiede di avere una analisi dettagliata dell'accaduto per accertare le responsabilità e per evitare che nascano strumentalizzazioni su quanto è successo.

Il sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio annuncia “dispiaciuto” che “in poche ore Alfano ha garantito tutta la documentazione per ricostruire in modo puntuale l'accaduto”. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando esprime “grande preoccupazione” parlando al telefono con il titolare del Viminale e gli chiede di “chiarire”. Con lui anche i Giovani Turchi. Mentre i deputati Francesco Laforgia, Gianni Cuperlo, Andrea De Maria, Giuseppe Guerini, Marco Miccoli, Monica Gregori presentano un’interrogazione al premier e ad Alfano pure questa per “chiarire”. In aula alla Camera Sinistra e libertà espone cartelli per chiedere le dimissioni del ministro dell’Interno, ricordando che “è dal caso Shalabayeva in poi che ha dimostrato scarse capacità”.

In serata Alfano incontra Landini e gli altri leader sindacali al ministero. Probabilmente domani riferirà al Senato sui fatti di oggi. Ma tra i renziani non c’è aria di dimissioni del ministro dell’Interno. Anche perché l’agognato rimpasto che Renzi aveva in programma per l’autunno – approfittando della necessità di dover sostituire Federica Mogherini agli Esteri – non è realizzabile. “Non si può fino a quando non verranno trovati i numeri con cui allargare la maggioranza e rendersi autonomi da Ncd…”, dice un parlamentare renzianissimo. Chiaramente, l’obiettivo è attingere dal bacino M5s che, come ha detto lo stesso premier nell’ultima direzione Dem, “è in sgretolamento”. Ma fino ad allora, niente rimpasto. Alfano resta agli Interni, malgrado il premier abbia accarezzato l’idea di spostarlo alla Farnesina. Nel frattempo però la piazza ribolle. Magari non a livello numerico (gli operai delle acciaierie di Terni erano poche centinaia) ma a livello di umore: rabbia per i licenziamenti, per le tante vertenze in corso. E la situazione rischia di sfuggire di mano, come è successo oggi. “Proprio con gli operai di Terni, dopo che “il premier li ha incontrati alla Leopolda domenica scorsa, dopo che su quell’azienda il governo ha garantito massimo impegno…”, dicono i renziani. Già proprio Terni. Ma al ministero oggi c’è anche il tavolo per la Trw di Livorno, fabbrica di componenti di auto, e per la Jabil di Marcianise, ditta di componenti elettroniche. “Tutte multinazionali, che chiudono in Italia. Sono questi gli investimenti stranieri di cui parla il premier”, dice Michele De Palma, responsabile Fiom.

E’ questo bagno di paese reale che oggi manda in fibrillazione premier e governo. Nel pomeriggio Renzi incontra i vertici di Federacciaio e di Cassa Depositi e prestiti. Il tuffo odierno nell’ignoto delle contestazioni future paradossalmente riesce ad arginare anche il caos scatenato dalla Picierno in tv. A Renzi quella frase contro la Camusso non è piaciuta. Non perché adesso gli interessi difendere la Cgil: giammai. Soprattutto dopo l’intervista di oggi a Repubblica, in cui la leader sindacale imputa al premier di essere stato “messo al governo da Marchionne” e dai “poteri forti”. Piuttosto, il segretario del Pd ci tiene a non delegare a nessun altro le sue delicatissime battaglie contro il sindacato o anche quelle contro i magistrati. Sono entrambi due dossier nevralgici del renzismo che il segretario Dem vuole trattare in prima persona. Per non correre rischi. Esattamente come è accaduto oggi, quando la Picierno, ospite ad Agorà, “si è fatta prendere dalla tentazione emulativa del leader…e ha sbracato…”, riflettono nel Pd alla Camera.

Sono rischi del mestiere di leader, soprattutto se sei Renzi. Ad ogni modo, Picierno viene subito corretta dal vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini: "Siamo sicuri che Pina Picierno non voleva offendere nessuno, può capitare nel corso di dibattiti accesi, di dire parole eccessive”. L’eurodeputata si scusa. Ma in Transatlantico si vocifera che questo incidente abbia messo la pietra tombale sulla sua corsa a governatrice della Campania alle prossime regionali. Al suo posto, gira il nome di Raffaele Cantone, ma non sembra che il supercommissario anti-corruzione sia interessato a lasciare a metà il lavoro iniziato all’Expo.

Claudio Velardi dalla parte di Matteo Renzi: "I suoi oppositori sono quaquaraquà". Critiche anche a Massimo D'Alema

Ex consigliere politico di Massimo D’Alema a Palazzo Chigi nel 1998, oggi convinto renziano. Questo il profilo di Claudio Velardi, che in un'intervista a Italia Oggi, entra a gamba tesa nella battaglia interna al Partito Democratico. Di Matteo Renzi dice che “è l’unico che in Europa è riuscito a mettere in discussione i sacri parametri”, una cosa “clamorosa, capace di fare da battistrada a un’ampia riflessione”; inoltre “è vero, ha fatto molti annunci, ma ha realizzato già quello che molti altri governi non hanno fatto nelle decine di anni precedenti”. Degli avversari di Matteo Renzi, invece, dice che sono tutti “quaquaraquà”, dei “rottami della politica e della informazione”, caratterizzati da “boria e prosopopea, un po’ ridicola” nella loro opposizione.

Per quanto riguarda il presidente del Consiglio, Velardi afferma che “è un po’ Berlusconi e un po’ Andreotti”. Come il primo “fa tutti gli annunci di questo mondo. Sono fantastici, meravigliosi e non li critico affatto”. Come il secondo “è nu carro pa’ ‘a scesa, direbbero a Napoli, cioè è impegnato nel mantenere l’assetto dell’esecutivo e a che non si ribalti. Ecco quindi le frenatine, i piccoli accordi, le concessioni”.

Velardi critica duramente la minoranza dem e gli oppositori del premier. “È un meccanismo che scatta su tutto: Renzi dice di scassare qualcosa, di voler fare una rivoluzione in un settore? Prima lo irridono: “È impossibile” commentano, “chi sei tu per pensare di poterlo fare?”, gli chiedono, “non sei in condizione”, obiettano. Poi si mettono a fargli le bucce nel dettaglio, provvedimento per provvedimento”. Quanto alla minoranza del Pd, “ci vorrebbe un leader con le palle”, dice senza mezze misure, “ci vorrebbe qualcuno che fosse disposto ad attraversare il deserto, a mettere in forse le sinecure del partito, il posto in lista, il vitalizio e ricostruisse un posto della vecchia sinistra”.

Per Claudio Velardi è “incredibile” leggere l’intervista al Sole 24 Ore di Massimo D’Alema, “una pagina intera a mondare l’arancio, a infilarsi in cento cosettine, con puntiglio. Dopodichè, nella sostanza, anche lui può parlarne perché Renzi ha fatto quella rivoluzione chiamata Jobs Act”. L’effetto delle parole dell’ex premier è quello di rafforzare Renzi, “non c’è alcun dubbio. Ma questo è propriamente il paradosso di un certo anti-renzismo: ricorre continuamente cose che il premier ha fatto e sta facendo”. Secondo Velardi, Renzi accoglie tutto questo con una risata, “ride di questi conati da vecchia classe dirigente che non batte più chiodo e che ha reazioni psicanalitiche appena si sveglia la mattina. E soloneggia”. Ed ancora: “Se mi dessero due soldi, che lavoriamo per campare – prosegue Velardi – andrei io a fargliela l’opposizione a Renzi. Lo inchioderei sullo scarto fra annuncio e realizzazioni, ma non nel senso della differenza fra slide e provvedimenti, quanto fra distanza della rottamazione e la prassi”.

 

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