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  INTERNOTIZIE

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Borsa, affondano Mps e Carige: -21 e -17%
Milano chiude in rosso: -2,4 per cento

La Fondazione genovese valuta l'azione di responsabilità ,27-10-2014
 

 

Legge di Stabilità, l'Europa scrive all'Italia
'Chiarimenti su conti, coperture e riforme'

Stabilità, bonus bebé solo per redditi bassi
atteso il via libera della Ragioneria dello Stato

Il Tesoro impone taglio a tetto: da 90 mila a 30mila euro
Rinviato vertice governo-Regioni, scontro su responsabilità

 

Partirà in giornata la lettera dell'Ue: "Non violare regole". Renzi non si preoccupa: "Tutto naturale"
Manovra, il ministero dell'Economia ammette: "Il testo approvato dal governo non era definitivo"

 
Legge di Stabilità, l'Europa scrive all'Italia 'Chiarimenti su conti, coperture e riforme'
 
 
Bruxelles vuole chiarimenti sulle coperture e sulle riforme. Mentre ancora il testo della legge di Stabilità non è stato reso noto, nella lettera che nelle prossime ore invierà all’Italia la Commissione Ue chiederà al governo delucidazioni non solo sull’ampiezza dell’aggiustamento strutturale dei conti ma anche sulle coperture e le riforme previste. Con la missiva, che partirà in giornata, l’esecutivo europeo metterà in guardia Roma contro il rischio di violare le regole comunitarie

 

Tfr, in azienda o in busta paga? Ecco chi ci guadagna e chi ci perde

Bisognerà aspettare qualche mese per capire se il provvedimento varato dal governo farà ripartire l'economia italiana. Ma ai lavoratori conviene incassare subito la liquidazione o aspettare la pensione? Le simulazioni per capire cosa fare caso per caso

fare con la propria liquidazione? La legge di Stabilità, annunciata ai media mercoledì 15 ottobre dal governo Renzi, cambia le carte in tavola. La novità principale è che, a partire da marzo dell'anno prossimo e fino al 30 giugno del 2018, i dipendenti di aziende private potranno decidere se farsi accreditare in busta paga il trattamento di fine rapporto, meglio noto con la sigla di Tfr. Una novità assoluta. Ci sono solo alcune eccezioni: non potranno beneficiare della nuova norma le persone assunte da meno di 6 mesi, i lavoratori del settore agricolo e domestico (leggi colf e baby-sitter), quelli alle dipendenze di imprese sottoposte a procedure concorsuali o dichiarate in stato di crisi. Per tutti gli altri si apre la possibilità di incassare subito la propria liquidazione. Una misura che il premier, supportato in questo caso anche dal più battagliero dei sindacati, la Fiom-Cgil, ha giustificato spiegando che così i lavoratori avranno più soldi in tasca. Quattrini da spendere subito, spera Renzi, così che la stagnante economia italiana possa ripartire. Per capire se il provvedimento avrà l'effetto sperato dal governo bisognerà aspettare almeno qualche mese. Intanto, in attesa della discussione del disegno di legge in Parlamento, si può cercare di capire cosa conviene fare ai lavoratori con il proprio Tfr.
 
Le opzioni attualmente a disposizione del lavoratore sono due: lasciare la propria liquidazione in azienda, oppure trasferirla ad un fondo di previdenza complementare. Partiamo dal primo caso. Il disegno di legge Stabilità, che dopo il voto del Parlamento dovrà essere vagliato dall'Unione europea, prevede che il Tfr, se versato in busta paga, venga tassato con le aliquote ordinarie, quelle che vanno dal 23 al 43 per cento a seconda del reddito del lavoratore. Il particolare non è di poco conto, visto che il Tfr lasciato in azienda subisce un tassazione quasi sempre più bassa. Morale della favola? Secondo la simulazione elaborata dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro, ritirare il Tfr in busta paga sarebbe conveniente solo per chi percepisce un reddito lordo annuo inferiore ai 15 mila euro.Per tutti gli altri, passare subito all'incasso comporterebbe invece una perdita (nel senso delle maggiori tasse che si pagano prendendo ora la quota di stipendio, rispetto a quelle che si contabilizzano per il Tfr lasciato in azienda): da soli 50 euro all'anno per chi ha un reddito compreso tra i 20 e i 28 mila euro, fino a 569 euro per chi percepisce un compenso lordo di 100 mila euro o più. Tutto questo senza considerare che chi opterà per il Tfr in busta paga vedrà aumentare il suo reddito (Isee) e quindi diminuire le possibili detrazioni d'imposta (il discorso non vale per il calcolo del bonus da 80 euro). Secondo Marina Calderone, presidente dell'Ordine nazionale dei consulenti del lavoro, «se venisse confermata anche nel testo definitivo, la tassazione ordinaria su questa componente di reddito in busta paga e l’incidenza del Tfr anche ai fini del calcolo Isee determinerà inevitabilmente il flop di tutta l’operazione».

SIMULAZIONE 2
DAL FONDO PENSIONE ALLA BUSTA PAGA QUANTO CI PERDE IL LAVORATORE

Fonte: Fondazione studi consulenti del lavoro
( scarica il documento in pdf )

Un altro punto controverso è quello della rivalutazione. Il Tfr lasciato in azienda aumenta di valore (dell’1,5 per cento più lo 0,75% annuo dell’indice di inflazione), mentre quello ritirato in busta paga no, a meno che il lavoratore non lo investa in qualcos'altro. Anche su questo punto le cose dovrebbero però cambiare. Nella bozza della legge di Stabilità è previsto che la rivalutazione del Tfr lasciato in azienda, oggi tassata all'11 per cento, dall'anno prossimo venga sforbiciata del 17 per cento. Insomma, lo Stato si prenderà una fetta più grande delle liquidazioni lasciate in azienda. E lo stesso meccanismo verrà adottato nei confronti di chi ha scelto di destinare la propria liquidazione ad un fondo di previdenza complementare: la tassazione sui rendimenti dei fondi pensione passerà infatti dall'11,5 al 20 per cento. Cosa cambia in sostanza per i lavoratori? I rendimenti dei fondi pensione privati sono stati mediamente più alti di quelli ottenuti da chi ha deciso di lasciare il Tfr in azienda. Secondo l'Assofondipensioni, l'associazione che rappresenta i fondi pensione negoziali, dal 2008 al 2013 il rendimento medio lordo dei fondi è stato del 3,2 per cento, mentre la rivalutazione aziendale del Tfr si è attestata sul 2,6 per cento. Cosa succederà adesso che il governo vuole portare la tassazione sui rendimenti dei fondi pensione dall'11,5 al 20 per cento? Michele Tronconi, presidente di Assofondipensione, stima che «su un lasso di tempo di 30 anni, immaginando un rendimento medio annuo del fondo pari al 4 per cento, la cifra che il lavoratore potrà incassare alla fine sarà inferiore del 6 per cento rispetto a quella che incasserebbe oggi: quindi, considerando che anche i rendimenti del Tfr lasciato in azienda aumenteranno (dall'11 al 17 per cento), il fondo pensione risulterà ancora la soluzione mediamente più conveniente». Un'opinione condivisa anche da anche Enzo Di Fusco, direttore scientifico della Fondazione studi consulenti del lavoro: «Le modifiche di tassazione, seppur penalizzino maggiormente il Tfr versato ai fondi piuttosto che quello lasciato in azienda, non comportano cambiamenti rilevanti: per il Fisco sono cifre significative, ma per il singolo individuo la differenza rispetto a oggi è di pochi euro».

Le nuove misure sul Tfr in busta paga non dovrebbero dunque cambiare di molto le cose per i lavoratori, visto che le tasse verranno aumentate sia per chi lo lascia in azienda sia per chi lo mette in un fondo. Quelli che invece vorranno incassare mese per mese la liquidazione di un tempo, lo potranno fare, ma nella maggior parte dei casi ci perderanno qualcosa. L'unico a guadagnarci, grazie agli aumenti fiscali, sarà lo Stato. Quanto? Tra gli addetti al settore circola un numero: 700 milioni di euro. Contattato da “l'Espresso”, il ministero dell'Economia non ha confermato la cifra.

"Renzi, fai un Jobs Act per le partite Iva"

I lavoratori in partita Iva (circa 1,5 milioni di persone) sono il tassello mancante nella discussione sul lavoro. In gran parte appartenenti alla stessa generazione del premier, ora si rivolgono direttamente a lui: "siamo esclusi dalla discussione sugli ammortizzatori universali e gli ottanta euro sono andati solo ai dipendenti. E' ora di pensare anche ai freelance

" Matteo, noi non siamo sereni”. A parlare di Jobs Act questa volta non sono Camusso, Bonanni e Angeletti – che almeno una convocazione in Sala verde l'hanno avuta – né i metalmeccanici della Fiom, i dipendenti pubblici o i pensionati. Si tratta invece dei lavoratori in partita Iva, di solito completamente dimenticati nelle (sempre più rare) fasi di concertazione e al momento di scrivere le leggi che pure riguardano anche loro.

A prendere carta e penna proprio nei giorni in cui la discussione sulla delega lavoro è al culmine, sono stati i professionisti dell'Acta ( http://www.actainrete.it/ ), associazione che riunisce chi non ha busta paga e opera solo via fatturazione: ricercatori, creativi, esperti di marketing, consulenti. In gran parte della stessa generazione del premier, si rivolgono a lui per ottenere un Jobs Act a misura di freelance. Per auto-parafrasarsi, hanno creato l'hashtag #jobsActa. E chiedono di poter entrare in Sala verde, “privilegio” finora accordato solo a sindacati e imprese.

“Con il Jobs Act"  dicono rivolti a Renzi  "hai deciso di intervenire per riequilibrare il mercato del lavoro e ridurre le distanze tra insider e outsider. Noi che scriviamo siamo outsider: lavoratori indipendenti, freelance per usare un termine ormai entrato nel linguaggio di tutti. E non siamo contemplati nel tuo Jobs Act”.

I lavoratori in partita Iva, come spiega la lettera inviata a Palazzo Chigi, sarebbero per il momento esclusi da qualsiasi progetto del premier: dagli ammortizzatori universali fino agli 80 euro. “Non siamo contemplati – spiegano infatti, sempre rivolti a Renzi - quando parli di ammortizzatori sociali universali a tutela della disoccupazione, perché in realtà non sono davvero universali, dato che noi siamo esclusi. Non lo siamo quando intervieni per ridurre le tasse sul lavoro, perché gli 80 euro sono stati dati solo ai dipendenti, mentre per noi si prospetta un ulteriore aumento dei contributi pensionistici (dal 27 al 33%!!! Quando già oggi paghiamo più di tutti gli altri lavoratori)”.

“Non lo siamo" affermano ancora "quando parli di intervenire a sostegno del reddito, con l’introduzione di un salario minimo orario. Per noi è vietato definire delle tariffe minime, perché siamo equiparati a imprese e ogni accordo tariffario sarebbe lesivo della concorrenza: nel rapporto tra un freelance e un’impresa il contraente debole è considerato l’impresa!” “Non lo siamo" concludono "quando prometti l’ampliamento delle tutele, perché l’unica tutela promessa, quella della maternità (sacrosanta), è in realtà la sola che già abbiamo. Mentre non abbiamo una tutela della malattia degna di questo nome, una tutela che nelle situazioni serie (quelle che impediscono l’attività lavorativa per mesi), ci permetta di concentrarci sulla lotta alla malattia, liberandoci dall’assillo di portare a casa la pagnotta”.

Ecco dunque, dopo il cahier des doléances, le richieste di Acta al governo: 1) l’abolizione dell’aumento al 33% previsto dalla legge 92/2012 per gli iscritti alla gestione previdenziale separata; 2) nelle situazioni di malattia e con riferimento agli eventi più gravi e ostativi dell’attività lavorativa, l’ampliamento del periodo di tutela (oltre gli attuali 61 giorni) e la ridefinizione delle indennità su valori che siano effettivamente sostitutivi del reddito; 3) l’estensione degli ammortizzatori sociali anche a chi perde il lavoro dopo essere stato autonomo; 4) iniziare a ragionare sull’ipotesi di tariffe minime anche per le prestazioni di lavoro autonomo.

“Siamo invisibili in tutti i sensi" – spiega Anna Soru, presidente di Acta e ricercatrice economica – Eppure non siamo certamente pochi: in Italia lavorano in partita Iva tra 1,2 e 1,5 milioni di persone, in buona parte giovani, ma crescono le iscrizioni tra i giovanissimi e i più anziani, estromessi dal lavoro dipendente a causa della crisi. Per il momento il governo tace: si è fatto sentire solo qualche politico, come ad esempio il presidente della Commissione Lavoro Cesare Damiano, che ci ha promesso una convocazione alla Camera. Ma noi vorremmo discutere direttamente con Palazzo Chigi: è giusto che finalmente Renzi ci ascolti”

 

"Dire che la riforma del lavoro è lì da 44 anni e nessuno l'ha toccata non è la verità e tu devi ricordarti, Matteo, che parli anche alle persone che le cose le sanno, non solo a quegli altri". Così D'Alema ha chiuso il suo intervento durante la direzione Pd, in cui ha rispolverato il suo sarcarmo per irridere il premier e le sue affermazioni. Un tema anticipato da Gianni Cuperlo: "L'articolo 18 non è un capriccio della sinistra ferma alla Polaroid". E Bersani accusa Renzi di "metodo Boffo"

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