Ci sarà la
stabilizzazione dei 150mila prcari, ma nel 2015 l’istruzione dovrà
rinunciare a 250 milioni
E le sforbiciate ad atenei (-34 milioni) ed enti (-42 milioni) sono bocciate
dal Consiglio universitario
Economia & Lobby
Alcuni tagli (supplenze e collaboratori) coerenti con
la riforma. Altri decisamente più sanguinosi, come quelli al Fondo per le
università statali e per gli enti di ricerca. E’ il prezzo da pagare per
ottenere gli investimenti promessi da Renzi nel piano “La buona scuola”:
un miliardo nel 2015, poi tre negli anni a seguire. E la coperta, alla
fine, rischia di essere troppo corta di Lorenzo Vendemiale
La prima legge di Stabilità
di Renzi è una manovra pesante -36 miliardi- ed espansiva, a costo
di peggiorare il disavanzo. La scossa che ci voleva, ma con alcuni
rischi: la reazione dei mercati finanziari e la capacità di risposta
in termini di consumi e investimenti.
di
Massimo Bordignon (Fonte: lavoce.info)
È una manovrona. Smentendo le
anticipazioni della vigilia, le nostre incluse, la manovra è
lievitata rapidamente nelle ultime due settimane, prima 20 poi 30,
addirittura
36 miliardi l’ultimo giorno, con un incremento di 6 miliardi
dall’inizio alla fine di un Consiglio dei ministri.
Corrispondentemente, i tagli di spesa sono saliti
da 5 a 15 miliardi. Straordinario. Anche se è difficile non sfuggire
all’impressione di una qualche approssimazione negli interventi e
soprattutto nelle coperture: 6 miliardi non si
tirano fuori dal cappello in due ore.
Una scossa salutare
Sul piano macroeconomico, è però
una buona manovra. Coraggiosa, anche se rischiosa.
Dopo tre anni di recessione, era assurdo inseguire ancora il
pareggio dei conti con manovre restrittive. Siamo oramai al punto
che incrementi d’imposte o tagli di spesa rischiano di rendere ancor
meno sostenibili le finanze pubbliche per gli effetti negativi sul
reddito, non viceversa. È dunque giusto che si tenti una manovra
espansiva, a costo di peggiorare il disavanzo. E
non si tratta solo di spendere qualche soldo in più; qui c’è anche
lo sforzo di cambiare le aspettative degli operatori economici e
sostenerne la fiducia, con interventi strutturali
di modifica del mercato del lavoro e del sistema fiscale. È corretto
in particolare che la manovra accompagni a interventi strutturali
sul lato della domanda interna (bonus fiscale, intervento famiglie
numerose, anche Tfr volontario in busta paga), interventi
strutturali sul lato dell’offerta (taglio dell’Irap, decontribuzione,
nuovi contratti di lavoro). È il tipo di scossa di cui il paese
aveva bisogno, anche se si tratta di una scommessa rischiosa.
Il rischio non sta tanto
nell’Europa. La Commissione europea dovrà salvare la faccia e dunque
solleverà sicuramente qualche problema; ma perfino i falchi
finlandesi e lettoni sono in grado di capire le conseguenze di uno
scontro frontale con due principali paesi dell’area euro. E il
Governo è stato attento a rispettare almeno formalmente il
tetto del 3 per cento dell’indebitamento netto. Di fatto,
all’Italia la Commissione chiedeva una riduzione del disavanzo
strutturale dello 0,7 per cento alla luce delle
stime di giugno, molto più ottimistiche sulla situazione economica;
nel mondo parallelo e surreale rappresentato dalle stime
del prodotto potenziale, l’Italia ora offre una correzione dello
0,1 per cento. Si metteranno d’accordo; i 3 miliardi di riserva
nella legge di stabilità sembra stiano lì proprio per quello.
Il rischio della scommessa
Il rischio sta piuttosto nel
potenziale rimbalzo sui tassi d’interesse sul nostro debito, con
mercati nervosi e drogati. D’altra parte, il rischio c’era anche
rispettando gli impegni europei; mai visto un paese
con un tasso di crescita del reddito nominale
uguale a zero e con il 135 per cento di debito pubblico sul
Pil che trovi il favore entusiastico dei mercati. Inoltre,
i tedeschi, presi dai loro problemi politici interni, sembrano voler
far tutto per far saltare gli Omt e la Qe, rendendo difficile per la
Bce acquistare titoli del debito pubblico dei paesi membri. E
siccome la promessa di questi interventi rappresentava la ragione
principale per un’obbedienza stretta alle regole europee, tanto vale
tentare una nuova strada.
Il rischio sta anche sulla capacità di rispondere del sistema
economico, che a sua volta dipende anche dalla capacità di rendere
effettivi e credibili gli interventi previsti.
Se i tagli di spesa previsti non
verranno raggiunti, per esempio, c’è il rischio di aumenti delle
imposte in futuro, e questa aspettativa da sola può deprimere i
consumi e gli investimenti di oggi. Qui, francamente, non c’è molto
da star allegri. I 4 miliardi di tagli sui ministeri sanno di
déjà-vu; un anno di Commissario alla
spending review ha riprodotto pari-pari i soliti tagli
lineari, la cui esperienza nel passato è stata fallimentare. Gli
interventi su enti locali e regioni sembrano altamente casuali; per
esempio, si taglia a man bassa sulle province senza avere ancora
deciso a chi andranno le funzioni precedentemente svolte da queste.
Si impongono 4 miliardi di tagli alle Regioni, facendo finta di
credere che questi possano essere ottenuti senza intervenire sulla
sanità, quando ormai nel bilancio delle regioni c’è
rimasto poc’altro. E con gli inasprimenti fiscali decisi su fondi
pensioni e le altre rendite, si ammazza probabilmente in modo
definitivo la previdenza integrativa, senza porsi granché il
problema del futuro. Vedremo.