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  INTERNOTIZIE

 

la ripresa non è merito nostro

C’è un po’ di “esuberanza irrazionale” in giro che sarà rafforzata domani, quando la Commissione europea pubblicherà le sue previsioni di crescita. Che saranno discrete. Prometeia, una società di ricerca, stima per esempio che la crescita dell’Italia nel 2015 sarà +0,7 per cento. Un po’ più cauta la Banca d’Italia che parla di un Pil in marcia al passo dello 0,4 per cento ma dell’1,2 nel 2016. Ma il vicedirettore generale Fabio Panetta assicura che verranno presto riviste e risulteranno “significativamente superiori”. È un po’ bizzarro fare previsioni su come saranno le previsioni, ma ormai ci siamo abituati a tutto quando la statistica ha un peso politico. Tutti i centri studi celebrano l’impatto positivo del calo del prezzo del petrolio – e dunque, un po’, della benzina – e degli interessi sul mercato obbligazionario.

Cosa c’è dietro questo rumore statistico? Gli 80 euro dati da Renzi non hanno prodotto alcun impatto sui consumi ma semplicemente hanno permesso di ricostruire quel cuscinetto minimo di risparmio eroso dalla crisi, come certificato dall’Istat. Il Jobs Act e l’introduzione dei contratti a tutele crescenti con maggiore facilità di licenziamento non sono ancora testati: quando saranno disponibili i numeri delle assunzioni di gennaio, si capirà se le imprese hanno aspettato ad assumere dopo l’estate in attesa della riforma. Per il resto sono tutti miglioramenti attribuibili a variabili esogene. Cioè fuori dal nostro controllo.

Da luglio il prezzo del petrolio si è dimezzato (da circa 100 a 50 dollari al barile) e ora qualche beneficio si avverte anche in Italia e nei conti. Il cambio euro-dollaro si è indebolito: da 1,4 euro per dollaro a maggio agli attuali 1,1. Merito della Bce di Mario Draghi che prima ha evocato e poi deliberato il Quantitative easing, cioè l’acquisto massiccio di titoli di Stato dell’eurozona. Se il Tesoro due giorni fa ha presentato dati positivi, con un avanzo del settore statale di 3,4 miliardi (in cassa ci sono quindi quasi 4 miliardi in più che un anno fa), gran parte del merito è dovuto alla riduzione della spesa per interessi. Anche questa da attribuire all’impatto della Bce sui mercati.

Senza scadere nella categoria dei “gufi” a tutti i costi, è bene ricordarsi sempre che questa ripresina non è merito nostro. E che questi fattori positivi, fuori dal nostro controllo, possono svanire in un attimo. Basta qualche pasticcio del governo Tsipras, una mossa troppo bellicosa di Vladimir Putin o una decisione del cartello dei produttori petroliferi dell’Opec. Per quanto suoni strano, dopo sette anni di crisi e quattro di austerità, non è il momento di essere cicale ma formiche.

 

 

 

 

 

400 milioni in arrivo per Fininvest dopo la rottura del Nazareno

Il Nazareno è morto, il momento è propizio per vendere. Fininvest, la holding della famiglia Berlusconi, collocherà circa 92 milioni di azioni di Mediaset, pari al 7,79% del capitale, scendendo al 33,4% della controllata. Una mossa che non gli farà perdere il controllo, restando azionista di riferimento del Biscione. Ma l'obiettivo è capitalizzare, fare cassa. Con l'attuale valore in Borsa delle azioni Mediaset, che varia tra 4,06 euro e i 4,262 euro del prezzo di chiusura odierno, l'incasso per la famiglia di Arcore a questi valori si aggira tra i 373 e i 392 milioni di euro.

Il collocamento delle azioni avverrà attraverso una procedura di 'accelerated book building'. Un'operazione veloce, quindi, ma che comporterà uno sconto massimo del 4,7% sul prezzo di chiusura. Poco male, vista la crescita esponenziale del valore delle azioni Mediaset da due anni a questa parte. Cioè quando sono nate le larghe intese del governo guidato da Enrico Letta: a quei tempi, un'azione valeva sul mercato 1,9 euro, oggi quasi il triplo.

La risalita è stata graduale ed è culminata con la stipula del Patto del Nazareno: a febbraio 2014 le azioni valevano 4,2 euro. Come oggi, grossomodo. Se si tiene conto che la partecipazione nella tv di Cologno è in carico a 1,09 euro, la plusvalenza lorda per Fininvest potrebbe toccare, con questa operazione, la punta massima di 290 milioni. Ora che il Patto del Nazareno è morto (o comunque moribondo), l'occasione, quella giusta, per cedere quote consistenti della partecipazione in Mediaset potrebbe non presentarsi più. Non a questi prezzi di favore.

D'altro canto per il Cav, oltre alle valutazioni politiche, ci sono quelle economiche da fare. Come il fisiologico calo degli incassi derivanti da Publitalia: come ricordava il Fatto qualche giorno fa, solo nel 2007 Publitalia '80 incassava 3 miliardi di euro, ora arriva a stento a due. Un'emorragia continua nei conti di casa Berlusconi. E che non si può sottovalutare. Basti pensare che l'ultima volta che il Cav ha ceduto parte delle azioni del Biscione risale a 10 anni fa. Come ricorda Repubblica, "nell'aprile 2005, all'indomani di una sonora sconfitta alle elezioni regionali, Fininvest, che allora deteneva direttamente e indirettamente il 50,99% di Mediaset, aveva avviato il collocamento di 197 milioni di titoli ordinari Mediaset, pari a circa il 16,68% del capitale sociale".

La motivazione ufficiale della Holding è che la liquidità consentirà di "proseguire nel rafforzamento della struttura finanziaria e patrimoniale della società e di agevolare eventuali investimenti in un'ottica di diversificazione del portafoglio azionario". Ovvero, fare cassa per poi reinvestire in nuove attività imprenditoriali. Oppure per rimpinguare un po' le casse di Fininvest, certamente poco floride in questi ultimi anni.Si tratta infatti di una indispensabile boccata d’ossigeno per la finanziaria, i cui conti a fine 2013 evidenziavano un rosso di 428,4 milioni dopo quello di 285 milioni di fine 2012. A zavorrare il bilancio, oltre alla sentenza sul Lodo Mondadori, anche svalutazioni e oneri di ristrutturazione.

La decisione di cedere parte dell'azionariato arriva dopo l'indiscrezione di Dagospia, prontamente smentita dall'interessato, di possibili dimissioni di Fedele Confalonieri dalla presidenza di Mediaset. "Fantasie", le ha bollate. Eppure è noto come il Fedele compagno di Berlusconi abbia sempre criticato la scelta del leader di Forza Italia di andare allo scontro frontale con il premier Matteo Renzi, soprattutto in un periodo in cui il suo partito ha superato il Pd per divisioni interne e voci di scissioni. Uno scontro da cui Mediaset avrebbe ben poco da guadagnare.

ULTRAS E CALCIO MARCIO

 

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