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CALCIOPOLI, EX-CIRIELLI ED ASSOCIAZIONI A DELINQUERE: DA DEI DELITTI E DELLE PENE ( Beccaria, 1764) A DEI DELITTI E DELLE PACCHE (SULLE SPALLE)

La scorsa notte la Suprema Corte di Cassazione ha posto fine al filone penale di Calciopoli con una sentenza che, a prima vista, potrebbe sembrare una semplice bolla di sapone. I principali imputati hanno potuto lucrare una fin troppo prevedibile prescrizione grazie alle lungaggini e alla inefficienza cronica della giustizia italiana e alla c.d. “ex-Cirielli”, uno dei provvedimenti ad castam introdotti da Berlusconi, che, proprio in questi giorni,il governo mira a superare.

Ma torniamo a Calciopoli: nelle ore immediatamente successive alla pubblicazione del dispositivo se ne sono sentite in giro di tutti i colori. Chi punta l’accento sull’assenza della condanna penale, equiparandola a una assoluzione e chi invece, fa notare l’ontologica differenza tra i due provvedimenti. Particolarmente censurabile e inopportuno, oltre che fazioso, mi è parso quello del principale accusato, Moggi, che ha dichiarato che per nove anni si è solo scherzato essendosi il tutto concluso con un nulla di fatto. Ma siamo sicuri che è proprio così?

In attesa del deposito delle motivazioni della sentenza, in prima battuta possiamo recisamente escludere che i “prescritti” possano gioire della sentenza, almeno per quanto riguarda la loro onorabilità e reputazione e le conseguenze sul piano civilistico.

I giudici di legittimità hanno dovuto dichiarare la prescrizione (e non assolvere sia ben chiaro!) Moggi, Giraudo, Pairetto e Mazzini dopo aver ritenuto immune di censure la sentenza di appello che aveva ritenuto sussistenti i reati di associazione per delinquere e (solo per alcuni degli originari capi di imputazione) frode sportiva. Essi hanno, in definitiva, accertato e reso giudizialmente incontrovertibile la commissione da parte degli imputati dei reati, gravissimi a livello sportivo, loro ascritti.

Va ricordato che la Cassazione ha l’obbligo di scegliere sempre la formula più favorevole per l’imputato e quindi, nel nostro caso, l' assoluzione nel merito, ovviamente se rispondente agli esiti del giudizio. Non avendo proceduto in questo modo, quando si leggeranno le motivazioni, si può ragionevolmente ritenere che i giudici avranno ritenute legittime, nel merito, le condanne inflitte. E che qualcosa di illecito vi fosse è comprovato dalla conferma della condanna di De Santis, uno dei tre arbitri che ha rinunciato alla prescrizione, assieme a Bertini e Dattilo usciti con una sentenza pienamente assolutoria, o meglio con la cassazione senza rinvio della condanna inflitta nel precedente grado.

L’unica vera assoluzione nel merito per Moggi è rappresentata da alcuni episodi di frode sportiva.

Non si spiega, di conseguenza, come si possa ragionevolmente sostenere che questa sentenza possa essere il viatico per una revisione del processo sportivo. Innanzitutto ha, come visto, confermato l’esistenza degli illeciti. Non solo: se anche la sentenza fosse stata pienamente assolutoria ci si dimentica che l’ordinamento sportivo e quello penale sono indipendenti e autonomi tra loro. Forse non in termini di accertamento dei fatti, nel senso che potrebbe imporsi una revisione nel caso in cui la sentenza sportiva si fosse basata su fatti che una sentenza penale ha incontrovertibilmente verificato come mai avvenuti, anche se sul punto non conosco che vi siano precedenti. L’autonomia si manifesta, invece, nel senso che la previsione degli illeciti penali e di quelli sportivi corrisponde a esigenze diverse. Per compiere un illecito sportivo non occorre che venga integrata una o più fattispecie penale che, notoriamente, seleziona solo alcune delle condotte riprovevoli, vale a dire quelle ritenute meritevoli della più grave sanzione prevista dal nostro ordinamento. Non va neanche dimenticato che i criteri di imputazione sono diversi essendo prevista, nei regolamenti sportivi, la responsabilità oggettiva, ovvero prescindente dal dolo o dalla colpa, situazione che ogni diritto penale moderno e mediamente democratico aborra con ogni forza stante il requisito della personalità della responsabilità penale.
Personalmente non ritengo quindi che vi sia neanche una possibilità per la Juventus di vedere revisionata la sentenza sportiva che l’ha, invero piuttosto blandamente, punita.

 

Per concludere un confronto con la prescrizione dichiarata da Palazzi riguardo l’Inter la quale, secondo gli juventini, sarebbe comparabile con quella della loro squadra. Non occorre essere fini esegeti del diritto per capire che costoro stanno prendendo lucciole per lanterne: un conto è la prescrizione maturata prima del rinvio a giudizio e che inibisce un accertamento dei fatti, ben diversa è quella che viene dichiarata al termine del processo e dopo la conferma delle ipotesi accusatorie. Ben diverse sono le determinazioni dell’accusa e quelle del giudice, terzo e imparziale. Nel caso dell’Inter nessuna delle ipotesi della Procura è mai stata sottoposta al vaglio giudiziale e confermata come vera. Nessuno può permettersi di confrontare il cioccolato con la merda che ora anche la Cassazione ha annusato.

 
Krz-Attack (The Councelor)
 

.....DAL 27 GENNAIO 1945, L'ARMATA ROSSA INVESTE LA SLESIA ED OCCUPA AUSCHWITZ. I SOVIETICI PENSAVANO DI TROVARE SOLO DELLE FABBRICHE, INVECE....

250 opere grafiche originali fatte da internati durante il periodo di prigionia: “Alcune – si legge nella prefazione del grande scrittore – hanno la forza immediata dell’arte, ma tutte hanno la forza cruda dell’occhio che ha visto e che trasmette la sua indignazione”. “L’idea di questo libro non è di oggi. Trova oggi la sua realizzazione per un insieme di ragioni - racconta l'autore 92enne Arturo Benvenuti - “è un contributo alla giusta ‘rivolta’ da parte di chi sente di non potersi rassegnare"

“L’Uomo, tu uomo, sei stato capace di far questo; la civiltà di cui ti vanti è una patina, una veste: viene un falso profeta, te la strappa di dosso, e tu nudo sei un mostro, il più crudele degli animali”. Sono le parole con le quali Primo Levi, in una prefazione inedita del 1981, introduce K.Z. Disegni dai campi di concentramento nazifascisti, un libro di Arturo Benvenuti, a cura di Roberto Costella, in uscita per BeccoGiallo il 22 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria, e dedicato “alle vittime innocenti della barbarie di tutti i tempi”.

250 disegni originali fatti da internati durante il periodo di prigionia nei lager nazifascisti, il capitolo più tragico del Novecento, “opere nate là, per mano di chi ha visto e subìto, opere che sostituiscono la parola con vantaggio, dicono quello che la parola non sa dire”, spiega Primo Levi nella prefazione frutto di un intenso carteggio con Benvenuti. “Alcune – continua lo scrittore torinese – hanno la forza immediata dell’arte, ma tutte hanno la forza cruda dell’occhio che ha visto e che trasmette la sua indignazione”.

Benvenuti ha rinunciato a “sovrapporsi” ai disegni, ritenendo opportuno non aggiungere alcun tipo di testo per dare la massima visibilità e il massimo rispetto alle vittime. Ha inserito solo 5 poesie, scarne ed essenziali, espressione di solidarietà per i prigionieri e di riprovazione per i carnefici. Inoltre, ha voluto anteporre l’etica all’estetica scegliendo i disegni senza fare distinzioni di fede, ideologia, nazionalità, età, stato sociale e, soprattutto, la selezione non è stata fatta per temi, tecnica o qualità artistica, ma solo per la cruda testimonianza che ogni immagine rappresenta. Le opere, infatti, sono pubblicate per autore seguendo l’ordine alfabetico, e di ciascuno sono segnalati i dati essenziali: nome, cognome, data e luogo di nascita.

“L’idea di questo libro non è di oggi. Trova oggi la sua realizzazione per un insieme di ragioni”, racconta Benvenuti. Il volume, infatti, era già stato autoprodotto dall’autore e stampato in circa 1500 copie in edizione fuori commercio nel 1983, poi distribuito gratuitamente a biblioteche e personalità politiche, tra cui l’allora Presidente della Camera Nilde Iotti, che ne elogiò lo straordinario valore e lavoro. La scelta di pubblicarlo ora nasce dalla necessità di denuncia di Benvenuti che, a quasi 92 anni, non vuole rassegnarsi a un mondo di guerre, sopraffazioni, persecuzioni, genocidi, un mondo dove “non c’è pietà per i vecchi, per le donne, per i bambini, un mondo dove non c’è più pietà per nessuno”. Perché anche oggi in qualche modo, con nuove forme e nuove circostanze, esistono ancora i campi di concentramento dove si continua a sopprimere l’uomo. Questo volume, pertanto, vuole essere soprattutto “un contributo alla giusta ‘rivolta’ da parte di chi sente di non potersi rassegnare, nonostante tutto, a una realtà mostruosa, terrificante. Di chi crede che si debba ancora e sempre ‘resistere’”, afferma l’autore.

L’acronimo K. Z. rimanda a Ka-tzetnik, ovvero “prigioniero del campo di concentramento”, con riferimento al detenuto piuttosto che al luogo o alla forma di detenzione. Ka-tzetnik associato al numero era il modo abituale con cui venivano chiamati i prigionieri nei campi, simbolo per eccellenza di spersonalizzazione. Originario di Oderzo, in Veneto, Arturo Benvenuti, fin da ragazzo era appassionato di disegno e letteratura, ma è stato per decenni un inappuntabile contabile e bancario, finché nei tardi anni Sessanta decise di rendere pubblica la sua arte dedicandosi alla pittura e alla poesia. Durante gli anni drammatici delle leggi razziali e del secondo conflitto mondiale era troppo giovane per capire e per agire ma anche abbastanza cresciuto per restare indifferente e sentirsi estraneo. Spinto da ragioni solo ideali, dunque, ha provato a fare qualcosa per “recuperare” ripercorrendo, prima mentalmente e poi fisicamente, i sentieri più dolorosi del Novecento. È così che nel settembre del 1979, cinquantaseienne, alla guida del suo camper, insieme alla moglie Marucci, ha iniziato una sorta di viaggio “riparatore” che lo ha spinto fino ad Auschwitz, Terezín, Mauthausen, Buchenwald per constatare e verificare di persona.

Ha incontrato reduci, conosciuto sopravvissuti, visitato musei, archivi, biblioteche alla ricerca di testimonianze figurate dei lager per alimentare nuovamente la coscienza civile. Un libro-testimonianza che, nonostante l’inattualità estetica, non indebolisce un contenuto che rimane comunque di straordinaria intensità e verità, un lavoro impegnativo durato molti anni che racconta di corpi martoriati, di occhi spalancati dal terrore, di bambini derubati della loro spensieratezza, “senza vuote parole. Senza retorica. Così come senza parole e senza retorica hanno saputo resistere gli autori di queste immagini, tremende ‘testimonianze’ di una immane tragedia. Atti di accusa, ma anche inequivocabili messaggi di ieri per l’oggi”, conclude Primo Levi.