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“L’idea di questo libro non è di oggi. Trova oggi la sua realizzazione per un insieme di ragioni”, racconta Benvenuti. Il volume, infatti, era già stato autoprodotto dall’autore e stampato in circa 1500 copie in edizione fuori commercio nel 1983, poi distribuito gratuitamente a biblioteche e personalità politiche, tra cui l’allora Presidente della Camera Nilde Iotti, che ne elogiò lo straordinario valore e lavoro. La scelta di pubblicarlo ora nasce dalla necessità di denuncia di Benvenuti che, a quasi 92 anni, non vuole rassegnarsi a un mondo di guerre, sopraffazioni, persecuzioni, genocidi, un mondo dove “non c’è pietà per i vecchi, per le donne, per i bambini, un mondo dove non c’è più pietà per nessuno”. Perché anche oggi in qualche modo, con nuove forme e nuove circostanze, esistono ancora i campi di concentramento dove si continua a sopprimere l’uomo. Questo volume, pertanto, vuole essere soprattutto “un contributo alla giusta ‘rivolta’ da parte di chi sente di non potersi rassegnare, nonostante tutto, a una realtà mostruosa, terrificante. Di chi crede che si debba ancora e sempre ‘resistere’”, afferma l’autore.

L’acronimo K. Z. rimanda a Ka-tzetnik, ovvero “prigioniero del campo di concentramento”, con riferimento al detenuto piuttosto che al luogo o alla forma di detenzione. Ka-tzetnik associato al numero era il modo abituale con cui venivano chiamati i prigionieri nei campi, simbolo per eccellenza di spersonalizzazione. Originario di Oderzo, in Veneto, Arturo Benvenuti, fin da ragazzo era appassionato di disegno e letteratura, ma è stato per decenni un inappuntabile contabile e bancario, finché nei tardi anni Sessanta decise di rendere pubblica la sua arte dedicandosi alla pittura e alla poesia. Durante gli anni drammatici delle leggi razziali e del secondo conflitto mondiale era troppo giovane per capire e per agire ma anche abbastanza cresciuto per restare indifferente e sentirsi estraneo. Spinto da ragioni solo ideali, dunque, ha provato a fare qualcosa per “recuperare” ripercorrendo, prima mentalmente e poi fisicamente, i sentieri più dolorosi del Novecento. È così che nel settembre del 1979, cinquantaseienne, alla guida del suo camper, insieme alla moglie Marucci, ha iniziato una sorta di viaggio “riparatore” che lo ha spinto fino ad Auschwitz, Terezín, Mauthausen, Buchenwald per constatare e verificare di persona.

Ha incontrato reduci, conosciuto sopravvissuti, visitato musei, archivi, biblioteche alla ricerca di testimonianze figurate dei lager per alimentare nuovamente la coscienza civile. Un libro-testimonianza che, nonostante l’inattualità estetica, non indebolisce un contenuto che rimane comunque di straordinaria intensità e verità, un lavoro impegnativo durato molti anni che racconta di corpi martoriati, di occhi spalancati dal terrore, di bambini derubati della loro spensieratezza, “senza vuote parole. Senza retorica. Così come senza parole e senza retorica hanno saputo resistere gli autori di queste immagini, tremende ‘testimonianze’ di una immane tragedia. Atti di accusa, ma anche inequivocabili messaggi di ieri per l’oggi”, conclude Primo Levi.