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LO SVILUPPO ARCHITETTONICO DAI ROMANI AL ROMANICO (III-XIII SECOLO)

Trasformazione della spiritualità e ritratti imperiali.
Nei primi anni del III secolo, si succedettero sovrani appartenenti alla dinastia africana dei Severi.
Dopo la morte dell’ultimo di questi, Severo Alessandro, si assiste a una successione frenetica di imperatori, tra i quali emersero alcuni personaggi di grande rilievo: Diocleziano, Costantino, Teodosio.
Per lungo tempo gli storici definirono questo periodo come “decadenza”. È stato notato come un esempio evidente di questa concezione sia costituito dal grande dipinto di Thomas Couture I Romani della decadenza.

Veniva considerata una decadenza morale, politica e sociale, ma anche artistica. Tutta la tradizione della storia dell’arte vedeva in questo periodo la “crisi” della concezione classica, la rottura con la forma organica, razionale, naturalistica dell’arte greca.
Una revisione critica della produzione artistica di questi secoli ebbe inizio nel 1901, quando Alois Riegl pubblicò Arte tardo-romana. Riegl riteneva che ogni periodo storico avesse una sua Kunstwolen (volontà d’arte) e poiché non esiste tempo o popolo senza idee o concezioni proprie, ogni arte è degna di essere analizzata.

Queste categorie vengono applicate allo studio dell’arte della cosiddetta “tardo antichità”. Successivamente con Riegl, dunque, incominciò una rivalutazione del periodo in questione, cioè la tarda antichità che viene oggi considerato estremamente interessante in quanto momento di congiunzione e di passaggio tra mondo antico e Medioevo.
All’esterno, l’Impero sosteneva continue lotte sui confini orientali e settentrionali, mentre all’interno, l’Impero mutò profondamente la sua fisionomia perchè Roma perse il suo carattere di città “centro del potere”.
 

Con la Constitutio antoniniana, promulgata da Caracalla nel 212 d.C., furono dichiarati cittadini romani tutti gli uomini liberi abitanti sul territorio dell’Impero.
Ma l’elemento più caratterizzante questa fase storica è costituito dal quadro religioso. La tendenza verso nuove forme di spiritualità è, infatti, evidente nella filosofia di Plotino; nel suo pensiero, definito neoplatonico, troviamo la concezione del mondo inteso come emanazione dell’Uno, del Dio: l’uomo può aspirare e deve tentare di tornare a Dio.
La tensione verso forme di religione monoteiste dominò tutto il periodo.
Tra i diversi culti ebbe il sopravvento quello cristiano, prima diffuso tra le classi più povere e poi sostenuto anche da gruppi socialmente elevati. Nel 313 Costantino dichiarò libero il culto cristiano. Alla metà del III secolo, testi orientali persiani, come la Cronaca di Seert, parlano dello stato romano come di uno stato cristiano. Le persecuzioni di alcuni imperatori e i tentativi, come quello famoso di Giuliano l’Apostata, di rovesciare la situazione, fallirono.

La testa colossale di Giordano III indica già il passaggio verso un ritratto diverso da quello della tradizione romana.
Il volto del giovane imperatore che, posto sul trono a 16 anni nel 238, venne ucciso tre anni dopo, è caratterizzato da uno sguardo intenso che attrae l’attenzione di chi guarda. I capelli a calotta sono resi con tagli nel marmo, così come i baffetti di adolescente; il volto leggermente pingue contrasta con l’intensità e la serietà dello sguardo. L’immagine che risulta è quella di un fanciullo pensoso, precocemente maturo. Gli occhi suggeriscono l’abitudine alla meditazione, alla ricerca spirituale.
Eliogabalo, fanciullo della dinastia dei Severi aveva inserito tra le cerimonie imperiali l’adoratio del princeps. Il mutamento esprimeva gli ultimi esiti di una lotta secolare combattuta tra principe e Senato: colui che era stato primus inter pares, posto a capo della res publica, si era ormai da tempo trasformato, vincendo la resistenza strenua del Senato, in signore, in dominus, in grado di esercitare un potere sconfinato.
L’esito finale di questo processo appare chiaramente in opere come la testa
di Costantino



o il supposto ritratto di Costanzo II. Il volto assume una forma plasticamente più semplice. Gli occhi, a volte smisuratamente grandi, sono l’elemento centrale del ritratto; lo sguardo intenso sembra fissare la realtà circostante da una dimensione extraterrena.


Gli stessi elementi sono ravvisabili anche nei ritratti monetali, come il profilo di Valente II sulla moneta del Museo Romano di Brescia.
I lineamenti appaiono fortemente idealizzati,anche nell’immagine di piccole dimensioni e la pettinatura risulta curatissima; l’occhio è ingigantito e lo sguardo appare lontano. La forte spiritualizzazione del soggetto ne rende talvolta difficile l’identificazione come nel caso della testa di marmo degli Uffizi a Firenze, considerata ritratto o di Valente o di Valentiniano I.
Ciò che importa infatti non è più la rappresentazione fisica e fisionomica di un particolare personaggio. L’imperatore esprime con il proprio volto idealizzato il concetto della santità del potere imperiale. Con il Cristianesimo l’imperatore non fu più dio, ma emanazione, riflesso della divinità stessa. E perciò, nell’etichetta di corte, la sua veste era definita sacra, come sacri erano i suoi fianchi. La fissità dei ritratti imperiali riflette con evidenza il cerimoniale di corte, che prevedeva l’assoluta immobilità del principe, divenuto tangibile raffigurazione del divino.







Monumenti imperiali e rilievi celebrativi
Nel III secolo, Roma si arricchiva delle costruzioni volute dagli imperatori Severi: una delle più importanti è l’arco posto sotto il Campidoglio.

Il monumento venne eretto tra il 202 e il 203 d.C. A tre fornici era probabilmente ornato da gruppi scultorei che ne costituivano il coronamento. Fu costruito per onorare le vittorie di Settimio Severo contro i Parti e i quattro grandi pannelli, due per fronte, posti sugli archi minori, narrano gli avvenimenti principali delle guerre partiche . Singolare è la disposizione degli episodi raffiguranti , che si succedono in ordine cronologico e vanno letti dal basso verso l’alto, su fasce sovrapposte. È probabile che questo schema di narrazione sia stato suggerito dalle opere della pittura trionfale, come i dipinti che illustravano le vittoriose campagne contro i Parti. È anche interessante notare un chiaro riferimento alla scultura della colonna aureliana.
Il quarto pannello presenta la raffigurazione dell’assedio e della presa della città da Ctesifonte . Il maestro che eseguì questo rilievo, fece largo uso del trapano, creando nel marmo zone ombreggiate che si alternano ad altre in luce, ottenendo quell’effetto “coloristico”. Nuova e originale è la rappresentazione della figura umana, che non appare più nell’individuazione della visione greca, ma in masse. L’immagine di Settimio Severo circondato dai suoi generali, impegnato nella adlocutio dopo la vittoria, sovrasta, quasi come un’apparizione divina, la massa dei soldati.
Un elemento rivelatore per comprendere lo sviluppo di Roma in questa fase è da individuare nella costruzione della nuova cinta muraria. Aureliano, imperatore dal 270 al 275, regnò in un momento storico difficile e travagliato. I confini del Danubio erano stati travolti e per la prima volta i barbari erano arrivati fino al lago di Garda e gli Appennini; in Oriente si svolgeva l’aspra lotta contro Zenobia, regna di Palmira. In questa situazione Aureliano decise di cingere Roma di mura, che vennero costruite tra il 271 e il 275. Roma perdeva il suo carattere di “città aperta”.
Nel 315 venne terminata la costruzione dell’arco eretto vicino al Colosseo per festeggiare il decennale dell’Impero di Costantino; il monumento a tre fornici con colonne sostenute da plinti su ogni facciata, è ornato da sculture che appartengono a periodi differenti, rilievi dell’età Adriano e Marco Aurelio, nei quali i ritratti degli imperatori sono stati sostituiti dalle immagini di Costantino.
Il riuso di pezzi antichi per monumenti moderni.
Al IV secolo appartiene il lungo fregio posto subito sotto il livello dei tondi adrianei che corre sulle fronti e sui fianchi dell’arco. Vi è narrata la conquista del potere da parte di Costantino, dalla partenza di Milano, all’arrivo e alla proclamazione a capo assoluto dell’Impero, dopo le vittorie di Verona e del ponte Milvio. Nel famoso rilievo con la adlocutio, la figura dell’imperatore, al centro della tribuna, è più alta rispetto alle altre e in posizione rigidamente frontale, come una divinità che si mostra ai fedeli. La figura umana assume diverse dimensioni a seconda dell’importanza, del rango e del grado di sacralità. Viene fatto uso della “prospettiva ribaltata”, che determina l’allineamento di figure ed elementi architettonici su un'unica superficie.
Tecnicamente il rilievo è eseguito con l’uso del trapano, che accentua la scansione delle figure, creando profondi solchi d’ombra. Questi rilievi per lungo tempo furono ritenuti l’esempio più chiaro della decadenza della scultura romana nella (tarda antichità) . Il fregio mostra profondissimi mutamenti rispetto alle convensioni di rappresentazioni “classiche” , tuttavia non si presenta come una novità assoluta. Il quarto secolo vide anche la costruzione dei primi edifici cristiani, realizzati per onorare i martiri e per rendere la città un importante sede episcopale. Basiliche, battisteri, mausolei e martyria vennero edificati all’interno e all’esterno delle mura cittadine. Un primo segno può forse riconoscerci nella costruzione delle porticus maximae, che percorrevano il tratto tra il Campo Marzio e il ponte Neroniano, in chiara direzione della basilica e della tomba di San Pietro. Sotto il pontificato di felice IV vennero erette le due chiese dei SS Cosma e Damiano e di S. Maria Antiqua nel Foro romano; la città non era più capitale imperiale ma non aveva comunque perso la propria centralità nella storia dell’Occidente: era divenuta capitale del mondo cristiano.

LA PRIMA ARTE CRISTIANA
I luoghi di sepoltura
Prima della liberazione del culto, sancita dall’Editto di Costantino nel 313, le dottrine cristiane trovano diffusione in forma clandestina, mentre le comunità vengono sottoposte a persecuzione da parte dell’autorità imperiale.
A Roma il messaggio cristiano si diffonde all’interno e per tramite della minoranza giuridica che mantiene rapporti commerciali e culturali con la Palestina. San Paolo, giunto a Roma, è accolto ad una comunità cristiana già organizzata. Il verbo evangelico trova inizialmente adepti tra gli appartenenti alle classi economicamente più depresse e progressivamente coinvolge anche i ricchi, i quali mettono le loro abitazioni a disposizione dei fedeli come luogo clandestino di riunione e di culto, le domus ecclesiae. Si formano così nella città i tituli, simili alle moderne parrocchie. Poi, nel corso del IV secolo, l’area sulla quale essi sorgono viene coperta dalla costruzione delle basiliche.
La fede nella resurrezione del corpo porta i cristiani all’abbandono della cremazione in favore dell’inumazione dei defunti in luoghi di sepoltura sotterranei.
Per i cristiani esistono due tipi di sepolcreti: alle catacombe, si affiancano i cimiteri in superficie.
Il termine “catacomba” deriva dal greco kata kymbas che significa “presso le grotte”, in riferimento a un luogo di sepoltura nel quale, in seguito, sorgerà la Basilica Apostolarum.
Le catacombe rimangono luoghi di pellegrinaggio dove venerare i corpi dei santi fino al IX secolo quando, vengono traslati nelle basiliche.
L’uso dell’inumazione sotterranea non è solo cristiano, come documentato dall’esistenza di ipogei pagani.
Nel III secolo la Chiesa divide la città di Roma in sette regioni; a ognuna di queste corrisponde, fuori delle mura, una zona catacombale.
Le gallerie, scavate in piani sovrapposti, oggi dette “ambulacri”, in antico sono chiamate criptae. Talora ai lati delle gallerie di aprono camere sepolcrali più vaste, i “cubicoli” dove sono inumati i cristiani più facoltosi. I sepolcri sovrapposti sono detti loculi.
La produzione artistica della prima cristianità a noi giunta consiste prevalentemente in immagini di carattere funerario.
Occorre ricordare, tra gli oggetti legati al culto dei morti, i vetri dipinti detti “fondi d’oro” perché ottenuti da fondi di bicchiere. La loro produzione si estende dal III al IV secolo.
Altri oggetti sono avori e gli oggetti in metallo prezioso: calici di legno e, soprattutto, lucerne di terracotta.

Le persistenze: arte cristiana e arte pagana/arte cristiana e arte giudaica.
L’arte cristiana mira alla trasmissione di contenuti del messaggio evangelico, adottando un linguaggio figurativo che ispira sia alla cultura pagana, sia a quella orientale giudaica. Le pitture cristiane delle catacombe, per la maggior parte ispirate al Vecchio Testamento, predominano su quelle evangeliche, a causa dell’origine ebraica delle prime preghiere cristiane e a testimonianza dello scambio in atto tra la cultura ebraica e quella cristiana.
L’arte non è più ancorata come in età classica a un’interpretazione, oggettiva della realtà, ma sceglie una lettura simbolica della stessa.
L’arte cristiana primitiva viene definita “arte romana cristianizzata”.
L’origine del Cristianesimo in area culturalmente ebraica giustifica la rarità delle testimonianze figurative fino al III secolo. Nel rispetto del divieto di rappresentare Dio diventa necessario trovare immagini che senza “riprodurre” la divinità “alludano” a essa, ne siano il “simbolo”.
La diffusione del cristianesimo nel III-IV secolo incoraggia la maggior tolleranza ebraica verso l’uso di immagini che illustrino i fatti biblici.
La pittura ebraica e quella cristiana rinunciano alla caratterizzazione naturalistica della figura umana in favore della stilizzazione formale, che allude al mondo dello spirito a prescindere dall’armonia e dalla verosimiglianza fisica delle forme.

Simbolismo e narrazione
Simbolismo e narrazione sono le due forme espressive proprie dell’arte cristiana primitiva: nei secoli che precedono l’ufficializzazione del culto prevale la forma simbolica. La forma narrativa, invece si sviluppa a partire dall’Editto di Costantino. Dal IV secolo forma simbolica e forma narrativa procedono parallelamente. La spiritualità cristiana apporta una nuova tensione verso l’infinito che l’arte cerca di esprimere attraverso il simbolo, atto a cogliere una realtà metafisica. L’agnello dell’iconografia cristiana non interessa nella sua identità animale, ma è metafora del sacrificio di Cristo. Successivamente ai simboli del Cristo come l’Agnello o il Buon Pastore si affiancano le raffigurazioni dirette della sua persona.
La ragione dell’acquisita libertà di rappresentazione dell’immagine di Dio è insita nella natura stessa del Cristo, divina e insieme umana.
L’immagine viene, perciò, ribaltata come strumento della narrazione dei fatti salienti della vita di Cristo, anche in conseguenza della politica che celebra l’Impero attraverso la glorificazione di Cristo. Sempre più stretto diverrà, infatti, il sodalizio tra Impero e Chiesa, quando dal V secolo in poi, la cristianità sarà eletta a baluardi del mondo “civilizzato” contro i barbari invasori. Si affianca dal IV secolo, nei mosaici che decorano le basiliche, il cristo con le insegne regali che riprende l’iconografia imperiale romana della traditio legis.
Tra III e IV secolo l’evoluzione delle arti figurative appare segnata dalla volontà di non limitarsi alla “rappresentazione” della realtà fisica, ma di “suggerire” una realtà che trascenda il mondo naturale.
I primi documenti dell’arte cristiana primitiva risalgono al III secolo. La quasi totale mancanza di testimonianze figurative nei primi secoli è imputabile al divieto giudaico di rappresentare la divinità.
Le testimonianze più consistenti della pittura parietale “a fresco” sono conservate nei luoghi di sepoltura, mentre sono molto rare quelle rinvenute in altri ambienti. Tra queste ricordiamo gli affreschi delle domus ecclesiae di Dura Europos. Solo a partire dal IV secolo la decorazione parietale a mosaico si diffonde nelle basiliche.
Nella loro fase iniziale, le pitture conservano vivo il ricordo del naturalismo e del decorativismo di origine greco-romana: quelle della Catacomba di Pretestato ne offrono un esempio negli uccelli dell’arcosolio della camera superiore; pur mantenendo la freschezza, mostrano un tratto pittorico più rapido e schemi compositivi più rigidi. Questa rapidità disegnativa è molto evidente nell’episodio della Samaritana in San Callisto.
La frequente ispirazione dell’arte cristiana a motivi della romanità è confermata nella Catacomba dei SS. Pietro e Marcellino del Banchetto eucaristico: l’agapè della tradizione pagana nell’iconografia cristiana diventa commemorazione dell’ultima cena di Cristo.
Anche nel caso dell’agapè, la resa sintetica e la fluidità di movimento delle figure intervengono in modo originale. Lo stesso avviene nel Sarcofago di Baebia Hertofila nel quale è rappresentata la moltiplicazione dei pani e dei pesci che richiama alla memoria l’iconografia dell’Ultima Cena.
Ci troviamo di fronte a una sorta di “abbreviazione” formale che interessa la pittura come la scultura.
Appare evidente la continuità di rappresentazione del sarcofago del Museo Laterano: nelle colonne, infatti, gli episodi della storia romana sono svolti ininterrottamente, seguendo la successione temporale e logica degli accadimenti narrativi. L’eliminazione del paesaggio e dell’architettura dallo sfondo favorisce l’essenzialità della rappresentazione.
Intorno al IV secolo il processo di sfaldamento formale della tecnica impressionistica giunge a maturazione. Nonostante la positura del Mosè che percuote la roccia della Catacomba dei SS Pietro e Marcellino mantenga una certa scioltezza, notiamo sul volto del profeta il colore steso a macchie chiare contrapposte a tocchi più scuri e l’abbreviazione del tratto che sposta l’accento dalla descrizione dei dati fisionomici all’espressione del personaggio, come nel caso analogo del sarcofago di Baebia Hetrofila e nella Guarigione dell’emorroissa.
Confrontiamo la figura dell’Orante del Cimitero Maggiore con quella della catacomba dei Giordani di età costantiniana: la seconda ha acquistato maggior ieraticità rispetto alla prima, grazia alla positura frontale e all’accentuazione dei grandi occhi.
La critica novecentesca ha introdotto nella definizione stilistica dell’arte cristiana antica il termine “espressionismo”, per indicare un modo di rappresentare che si allontana dalla forma naturalistica in senso stretto, rafforzando il valore evocativo della linea e del colore. In età antica, è la spiritualità ad essere espressa. L’ideale umano della società del III secolo muta orientamento: la raggiunta sobrietà figurativa sembra cedere nuovamente il passo a composizioni più complesse.
Dalla fine dell’età costantiniana fino al V secolo si delinea un prevalente ritorno al classicismo.
Nel corso dei secoli è possibile individuare diverse rinascenze e, molto spesso, questo è motivato dal bisogno di trovare stabilità nel passato. Un caso è quello dell’imperatore Giuliano L’Apostata, che restaura il culto pagano rinnegando il Cristianesimo, fautore di un’arte classicheggiante, tesa al recupero figurativo di un passato vagheggiato in ambito politico. Anche i rilievi scultorei si appropriano di modi “pittorici” che tendono a ridurre la tridimensionalità. Questo procedimento acquista grande evidenza nel particolare della Scena di vendemmia del sarcofago di San Lorenzo fuori Le Mura che raffigura putti alati con tralci e grappoli d’uva; il rilievo schiacciato e il tratto lineare appiattiscono la forma che risulta quasi disegnata. L’arte cristiana primitiva non si adegua passivamente ai mutamenti formali in atto nel mondo tardo antico, ma interviene sulla loro evoluzione in modo originale. Tale linguaggio sarà elaborato e portato a compimento dall’arte bizantina

LE NUOVE CAPITALI DELL’IMPERO
COSTANTINOPOLI
L’8 novembre del 324 ebbe luogo la cerimonia della consecration della nuova capitale che Costantino intendeva edificare sulle rive del Bosforo. Secondo le fonti l’imperatore stesso tracciò il perimetro delle mura urbane. Costantino si sentiva sempre più investito della missione divina di diffondere la fede in un impero pacificato e unito che richiedeva una capitale ed era pienamente consapevole dei gravi disagi e inconvenienti che comportava la pratica di spostare frequentemente la sede della corte imperiale, del comando militare e degli organi di governo.
La nuova Roma non poteva identificarsi con l’antica. La scelta cadde su di un promontorio del mar di Marmara sulla cui estremità orientale sorgeva una piccola e antica città greca: Bisanzio, un luogo facilmente difendibile che domina gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, dotato di eccellenti vie di comunicazione terrestri e marittime verso tutti i principali territori dell’impero. Il palazzo e le sedi del governo vennero situati nella parte romana dell’antica città, ma l’unico edificio di età costantiniana sopravvissuto è l’Ippodromo che ebbe priorità assoluta, insieme alle mura, nel programma di costruzione. L’Ippodromo era considerato luogo per eccellenza della “epifania imperiale”. A pianta circolare, racchiuso da colonnati a doppio ordine, aveva al centro una colonna, con alla sommità la statua bronzea di Costantino, rappresentato come Helios, che si ergeva su uno zoccolo racchiuso in un piccolo edificio santuario dove si celebrava la messa. Il culto dell’imperatore doveva raggiungere il culmine in una costruzione religiosa; una delle chiese da lui fatta erigere è la Sapienza Divina (Santa Sofia). Santa Sofia venne interamente ricostruita dopo il 532, all’epoca di Giustiniano, ma dalle fonti sappiamo che si trattava di un edificio splendido e grandioso.
L’unica chiesa iniziata e completata da Costantino nella sua nuova capitale fu quella dei Santi Apostoli, concepita come suo mausoleo nel punto più alto della città. Le fonti di epoca costantiniana la descrivono come una vasta e splendida costruzione a croce greca, che sorgeva entro un cortile con portici colonnati, esedre e fontane, con annessi edifici termali e una vera e propria residenza imperiale. All’interno era la tomba dell’imperatore, sopra la quale Costantino stesso aveva disposto che venisse celebrato quotidianamente il sacrificio eucaristico, circondata dalle sacre stelai dei dodici apostoli. Tutto appare concepito per trasformare il luogo della sua sepoltura in meta di pellegrinaggio.
La nuova capitale dell’impero cristiano appare così articolata intorno ai tre luoghi deputati al culto imperiale: il palazzo con annesso ippodromo, il foro con la colonna onoraria e l’immagine divinizzata, la chiesa-mausoleo. Alla morte di Costantino fu coniata una medaglia che celebrasse la sua consecratio, la sua assunzione tra gli dei. Costantino è presentato su una quadriga diretta verso il cielo da cui si tende verso di lui la mano di Dio.
Per lungo tempo la nuova capitale non fu in grado di competere con Roma, ma la sua crescita proseguì a opera di Teodosio I e dei suoi discendenti, con il progressivo, inarrestabile declino di Roma, e più tardi di Antiochia e della stessa Alessandria. Con gli imperatori Anastasio e Giustino, Bisanzio divenne la più grande città di tutto il mondo mediterraneo. Vanno ricordate, tra le principali imprese architettoniche dei secoli V e VI, le grandi cisterne di Gerabatan Serai e di Bin bir Direk, con foreste di colonne che sorreggono archi e volte e le mura di cui Teodosio II iniziò la costruzione in sostituzione della primitiva cinta dell’età di Costantino.
Secondo Procopio di Cesarea le grandi imprese architettoniche rivestivano per l’imperatore la medesima importanza e il medesimo peso politico della restaurazione dell’ortodossia religiosa, della codificazione del diritto o della riconquista dei territori occidentali dell’antico Impero romano. Lo splendore delle imprese architettoniche era concepito da Giustiniano come instrumentum imperii, manifestazione primaria della sacralità del potere imperiale all’interno come all’esterno dell’Impero.
In Santa Sofia la cupola sovrasta lo spazio rettangolare della navata centrale mentre nella chiesa dei Santi Sergio e Bacco si eleva su otto pilastri ricoprendo un vano più decisamente centralizzato.
Con gli edifici giustinianei la struttura a pianta centrale viene portata a scala monumentale e le grandiose dimensioni unitamente allo splendore dei materiali e della decorazione, conducono all’affermazione di un nuovo tipo di costruzione religiosa. Gli orientamenti stilistici prevalenti nell’arte tardo-antica trovano pieno riscontro anche nell’attività degli artisti di Costantinopoli tra il V e il VI secolo.
Nei rilievi della base dell’obelisco portato a Costantinopoli da Karnak l’imperatore Teodosio I è raffigurato mentre assiste ai giochi da un palco.

Alla rigida frontalità delle immagini “ufficiali”, in contrasto con la vivacità di movimento degli attori e delle danzatrici nell’arena, si accompagna il venir meno dei rapporti spaziali in favore di una rappresentazione che privilegia rapporti di carattere gerarchico.
Simili caratteri stilistici sono riconoscibili in opere come il Missorium raffigurante Teodosio con Valentiniano II e Adriano, in occasione della investitura di un alto dignitario
Se nelle rappresentazioni imperiali e di carattere ufficiale è in genere possibile seguire un processo graduale di schematizzazione e di irrigidimento verso immagini più sensibili; sono gli effetti della renovatio, nel senso di una sempre più consapevole ripresa di modelli classici.
Il significato più autentico della renovatio si coglie tuttavia nel modo più evidente in opere di carattere profano, come i mosaici pavimentali di un grande cortile porticato del palazzo imperiale con scene di derivazione bucolica.

MILANO
Milano sorgeva all’incrocio strategico di tutte le strade che portavano ai centri più importanti dell’Italia e dell’Europa.
Sembra che la città sia stata fondata dei Galli; l’aspetto urbano più antico conosciuto è quello romano. Milano aveva il suo foro nella zona dell’odierna piazza San Sepolcro. Una cinta di mura racchiudeva una estensione corrispondente grosso modo a quello che oggi è il centro storico. Con la Tetrarchia, voluta da Diocleziano, la città divenne capitale imperiale. Nel 313 con l’Editto di Milano, che proclamava la libertà di culto per i cristiani, la città incominciò a subire profonde trasformazioni. Venne costruita la basilica e Santa Tecla (IV secolo). Si trattava di una basilica a cinque navate .
La basilica di San Lorenzo, ricostruita successivamente ma sempre sulla piana della chiesa più antica, presenta un quadriportico di accesso realizzato con colonne di riuso. La pianta è centrale, quadrata, con gli angoli rinforzati da torri. Su ogni lato della costruzione si apre un’esedra, che dà accesso a un mausoleo; sembra che si trattasse di una basilica palatina collegata al palazzo dell’imperatore, è probabile che la basilica fosse vicina al palazzo.
La grande personalità che determinò l’aspetto della città cristiana fu Sant’Ambrogio. Nominavo vescovo a 34 anni resse tale carica fino alla morte. A lui si deve, probabilmente, la costruzione del primo battistero. Inoltre il vescovo cinse la città di chiese, costruite al di fuori delle mura.
La Basilica Martyrum si elevava dove ora sorge la costruzione romanica di Sant’Ambrogio e nel 386 aveva tre navate e in seguito vi fu sepolto lo stesso santo.
La Basilica Apostolorum poi divenuta San Nazaro presentava una pianta a croce, movimentata da absidiole sui bracci laterali. La planimetria si ricollega a quella della chiesa dedicata agli Apostoli in Costantinopoli.
Anche la terza chiesa, la Basilica Virginium aveva pianta cruciforme, ma con il braccio del coro molto ridotto.
RAVENNA
Alla morte di Teodosio l’Impero venne diviso in due parti: l’Oriente, con capitale Costantinopoli fu governato da Arcadio, mentre l’occidente toccò a Onorio. Sotto la minaccia di Alarico, re dei Visigoti, la capitale venne spostata da Milano a Ravenna che era cura dall’attacco dei barbari.
Ravenna era strettamente unita al porto di Classe fu un importante centro di diffusione del Cristianesimo e vi fu infatti stabilita la sede arcivescovile. Alla fine del IV secolo è databile il trasferimento della cattedra vescovile da Classe a Ravenna. La cattedrale era dedicata alla aghia anastasis (santa resurrezione); di essa oggi non resta quasi nulla, anche se possiamo riconoscerne quasi nulla anche se possiamo riconoscerne la pianta, a cinque navata priva di transetto. In questa stessa fase venne costruito anche il battistero annesso alla cattedrale. Di forma ottagonale, presenta l’esterno in semplice laterizio. Il soffitto venne sostituito da una cupola del V secolo ricca di mosaici.
Nella decorazione si affermano le tendenze che saranno tipiche delle prime fasi del mosaico ravennate. Le immagini presentano ancora una somiglianza con l’ambiente romano ma monumentalità delle figure trovano la loro radice nel mondo artistico e bizantino.
Ravenna visse una grande stagione artistica sotto la guida di Galla Placidia, reggente d’Occidente. Venne allora intrapresa la trasformazione della città con l’intento di rendere Ravenna una capitale splendida. C’è l’incertezza circa la collocazione del Palazzo imperiale. Secondo le più recenti ipotesi esso doveva trovarsi nella zona della città, vicino al cosiddetto Palazzo di Teodorico. Nelle vicinanze, Galla Placidia fece costruire la chiesa di San Giovanni Evangelista. La chiesa è a tre navate e aveva interessanti mosaici. Importante è notare la presenza di due ambienti rettangolari che chiudono le navatelle ai lati dell’abside.
Di questa fase è anche il cosiddetto Mausoleo di Galla Placidia. Il mausoleo, che la tradizione vuole riservato a Galla Placidia era forse un sacello dedicato a San Lorenzo.

La pianta è a croce latina; l’esterno, in semplice laterizio, contrasta fortemente con lo sfarzoso interno ornato da mosaici.

La decorazione si presenta sfavillante di colori, dominata dalla grande croce circondata da stelle della cupola. Spiccano le due lunette a sud e a nord, con le celebri raffigurazioni di San Lorenzo e del Buon Pastore.



Cristo è raffigurato imberbe seduto su una roccia mentre tutte le pecore si rivolgono verso di lui. La raffigurazione manifesta decisi rapporti con la tradizione naturalistica dell’arte antica. D’altra parte, elementi di valore simbolico, come i cervi, le colombe indicano invece il nuovo mondo artistico, nato dalla cultura cristiana. Colore dominante è l’azzurro.
Nel 476, Odoacre, re degli Eruli, depose l’imperatore Romolo Augustolo; questo evento fu assunto in seguito come data convenzionale per dividere l’età antica dal Medioevo.
La parentesi del regno di Odoacre fu interrotta dall’arrivo di Teodorico, re dei Goti. Teodorico trascorse la prima parte della sua vita come ostaggio alla corte di Bisanzio, dove completò la propria educazione che ricevette una impronta classica. Teodorico nel 493 assunse il potere sui territori italiani. Organizzò il suo regno in modo molto diverso da quello dei regni barbarici. Pur mantenendo sempre popoli. Ravenna venne creato un nuovo quartiere riservato ai Goti con al centro il palazzo, Teodorico fece realizzare la basilica oggi chiamata Sant’Apollinare Nuovo che allora era dedicata al Salvatore. La costruzione, a tre navate, presenta abside poligonale all’esterno.
L’illuminazione è diffusa da finestre che non sono disposta centrale, ma anche nelle pareti delle navatelle. Le colonne con capitelli corinzi provenienti Bisanzio, presentano, tra capitello e attacco dell’arco, il pulvino, elemento architettonico di derivazione bizantina, costruito da un tronco di piramide rovesciata.
Ricchissima è l’ornamentazione a mosaico della chiesa, divisa in tre fasce. In quella più alta sono raffigurati episodi della vita di Cristo, motivo allegorico costituito da un padiglione con due colombe. Nei mosaici di Sant’Apollinare Nuovo si incominciano a notare profondi mutamenti rispetto a quelli del tempo di Gallia Placidia. L’immagine risulta fortemente ieratica. Altro elemento caratteristico del racconto è costituito dalle proporzioni gerarchiche, proprie della tradizione romana dell’arte plebea. Su tutto domina lo sfarzoso fondo oro che crea un’ambientazione non naturale, una dimensione ultraterrena.
Nella fascia intermedia compaiono figure di profeti o santi. L’ultima fascia presenta una ricca decorazione. Alla fase teodoricana vanno assegnate le rappresentazioni del Porto di Classe e del Palazzo di Teodorico a Ravenna che mostrano entrambe una prospettiva non naturalistica: il porto di Classe appare visto “a volo d’uccello”. Tra gli intercolumni dell’atrio, comparivano figure che in seguito vennero sostituire da tende; queste immagini probabilmente rappresentavano Teodorico e personaggi della sua corte. Dopo la morte di Teodorico la chiesa venne riconciliata al culto cattolico. In seguito venne dedicata a Sant’Apollinare, protovescovo di Ravenna.
A Ravenna Teodorico fece costruire anche il proprio mausoleo
Nella necropoli riservata ai Goti. Si tratta dell’unica costruzione ravennate realizzata in pietra d’Istria ben lavorata, la cui concezione va ricondotta alla tradizione architettonica dei mausolei romani a pianta centrale. L’esterno è decagonale, mentre all’interno l’ambiente è circolare. Il soffitto dell’edificio è costituito da un’ unica grande pietra monolitica. Particolarmente interessante è la fascia di decorazione che circonda la cupola: il motivo a tenaglia che vi compare trova riscontro nell’oreficeria gotica.
Con la morte di Teodorico si aprì un periodo politicamente molto travagliato per la città. I rapporti tra Goti e Bisanzio si erano andati deteriorando per l’intolleranza degli imperatori bizantini verso gli Ariani. Con la salita al potere di Giustiniano, la situazione sfociò nella cosiddetta guerra gotico-bizantina che si concluse con la vittoria di Giustiniano e quindi con l’ubicazione degli Imperi d’Oriente e Occidente. Nel 554, con la Prammatica sanzione, Giustiniano costituì la Prefettura d’Italia, della quale la capitale fu Ravenna.
Al vescovo Agnello vennero donati per decreto imperiale tutti i beni della chiesa ariana. Egli riconciliò al culto cattolico tutti gli edifici religiosi goti come accadde in Sant’Apollinare Nuovo. Vennero cancellati i personaggi che ornavano il Palatium di Teodorico e aggiunge le due famose teorie di Santi Martiri e di Sante Vergini che si dirigono verso Maria in trono con il bambino in braccio tra gli angeli.




Le immagini sempre più solenni e ieratiche si stagliano su un abbacinante fondo d’oro e mostrano una sempre più stretta adesione ai modi dell’arte bizantina. Ma la grande e completa espressione dell’arte di questa fase è senz’altro costituita dalla chiesa di San Vitale edificata vicino al complesso monumentale che comprendeva il mausoleo di Galla Placidia. Iniziata sotto il vescovo Ecclesio la costruzione fu proseguita dai vescovi Urscino e Vittore, e venne conclusa con Massimiano. La chiesa mostra profonde differenze rispetto alle precedenti costruzione ravennati mostrando in particolare elementi comuni con la chiesa dei Santi Sergio e Bacco e Bisanzio. A pianta centrale, ottagonale è preceduta da un nartece o ardica, con due torri laterali, oltre il quale era originariamente un portico che proseguiva su tre lati. L’interno presenta un nucleo centrale, separato dal deambulatorio da pilastri e colonne su due ordini. La cupola si eleva con un’altezza decisamente maggiore rispetto agli esempi coevi orientali. Grande risalto è dato al presbiterio che si sviluppa su due ordini e conduce all’abside.




L’interno è arricchito da marmi preziosi prodotti da officine orientali e decorati con una ricca ornamentazione a traforo. I mosaici palesano una stretta connessione con il mondo orientale: i due famosi riquadri raffiguranti Giustiniano e Teodora con i loro seguiti presentano le figure frontali secondo uno schema che riflette il rigido rituale di corte. Le immagini assolutamente ieratiche risultano come bidimensionali; la coppia imperiale riflette il ruolo semidivino di chi è stato scelto da Dio per governare il mondo.
Legata al nome del vescovo Massimiano è la preziosa cattedra eburnea conservata nel Museo Arcivescovile di Ravenna.
Ricche e raffinate decorazioni ricoprivano integralmente la struttura di questo sontuoso seggio, raro esempio rimasto di trono episcopale simbolo della sapienza e dell’insegnamento cristiano che il vescovo da essa impartiva sono raffigurate nei preziosi rilievi storie di Cristo oltre a episodi della vita di Giuseppe.
Sul lato anteriore del trono appare un monogramma che secondo alcuni dovrebbe essere riferibile al vescovo Massimiano e che permetterebbe di datare la cattedra alla metà del VI secolo. Da parte di altri studiosi, si è proposto di identificarla invece con la cattedra eburne donata dal doge Pietro Orseolo III a Ottone III.

IL TEMPO DEI BARBARI
Il concetto di “medio evo”, elaborato dagli umanisti nel XV secolo, implicava un giudizio negativo di tale età, considerata oscura e inquietante. Un’epoca di profonda desolazione, di rovine e distruzioni, di gravissima decadenza della cultura come di ogni forma di vita civile: il tempo dei “barbari”.
“Barbaro” significava per gli Elleni “balbuziente”.
“Barbari” erano le popolazioni germaniche che vivevano ai confini settentrionali e orientali dell’Impero, ma che, fin dalla seconda metà del III secolo, incominciarono a varcare tali confini e a stabilirsi su territori romanizzati. Le migrazioni assunsero via via carattere violento con saccheggi e distruzioni. A partire dalla seconda metà del V secolo si verifica la loro conversione al Cristianesimo. Con rare eccezioni, come nel caso del regno di Teodorico, gli sconvolgimenti politici e sociali conseguenti alla formazione dei nuovi regni comportano il quasi totale declino di alcune tecniche artistiche. Forte sviluppo assumono invece altre tecniche come la lavorazione del legno, dei metalli, delle pelli. L’oreficeria, in particolare, si afferma come tecnica-guida della produzione artistica. Nelle Gallie diversi manoscritti, tra cui le Gesta Dagoberti, fanno menzione di stoffe preziose che rivestivano le pareti e i pilastri delle chiese o avvolgono le reliquie.
Fin dal tempo dell’invasione degli Unni, si afferma nell’oreficeria germanica lo “stile policromo”, già diffuso nei territori intorno al Mar Nero. Nelle Gallie l’arte dell’incastonatura raggiunge effetti di grande splendore all’epoca di Childerico (seconda metà del V secolo).
Ai bronzi con incisioni a tacche e ornati zoomorfi stilizzati si ricollega lo “stile animalistico” dell’oreficeria barbarica.
Per influsso dell’ornato orientale, l’ornato germanico riacquista maggiore regolarità e fluidità, accentuando però la stilizzazione degli elementi zoomorfi. Tale stile ornamentale trova ulteriore sviluppo nella scultura in pietra .
In Italia la consistente presenza bizantina nella penisola e il costante prestigio e crescente potere del papato contribuiscono un elemento di costante confronto e di forte tensione dialettica tra continuità con la tradizione tardo-antica e paleocristiana e sviluppi del nuovo linguaggio figurativo “barbarico”.



I LONGOBARDI IN ITALIA
Guidati da re Alboino, i Longobardi penetrano in Italia nel 568 scendendo dal Friuli e conquistano rapidamente ampie zone della penisola.
Il regno longobardo è diviso in una parte più compatta a nord e in una più frammentaria a sud. Nel 774, sconfiggendo le truppe del re Desiderio nella battaglia delle Chiese di Susa, Carlo Magno porrà fine alla dominazione longobarda sull’Italia settentrionale, mentre i ducati di Spoleto e Benevento cadranno solo nell’XI secolo sotto i Normanni. La Historia Longobardorum, composta presso la corte carolingia da Paolo Diacono alla fine dell’VIII secolo è la fonte su cui si basa gran parte della nostra conoscenza sui due secoli di dominio longobardo in Italia.
I Longobardi sono ricordati per la prima volta come gens nomade attestata presso le foci dell’Elba. Nel V secolo si accostano all’Impero bizantino e si trasferiscono nel Norico e in Pannonia, l’attuale Romania.
Le espressioni artistiche longobarde prima della calata in Italia sono concentrate sull’oreficeria. L’incontro tra la tradizione germanica e i modelli tardo-romani si manifesta nella produzione in lamina d’oro.
I primi Longobardi giungono in Italia nel 526 con le truppe comandate da Belisario.
Nel 568 Albonio guida una vera e propria invasione. I Longobardi si abbandonano a un sistematico saccheggio fino al 591 quando sale sul trono Agilulfo.
Il dominio longobardo viene sancito dall’Editto di Rotari, con il quale la legge longobarda si sostituisce al diritto romano. Il popolo invasore stenta a integrarsi con gli abitanti delle città e delle campagne assoggettate, e si raccoglie in clan familiari, le farae.
L’oreficeria continua a essere anche nel VII secolo “arte-guida”. Frequenti sono le crocette che sembrano ritagliate in sottili lamine d’oro.
Accanto alle crocette più semplici vengono prodotti gioielli di maggiore impegno, le “croci gemmate”. Queste croci riprendono il motivo del Crocifisso come semplice Imago Christi: in tal senso è significativa la Croce di Adaloaldo, dell’inizio del VII secolo, cui il Crocifisso compare a figura intera.

Le pietre dure che le decorano rispondono a un vivace gusto del colore e sono inserite a freddo in trafori appositamente preparati.
Un ottimo esempio di tale tecnica è la copertura di evangelario donata da papa Gregorio Magno a Teodolinda nel 603. Più raffinata è la tecnica che prevede una fitta rete di alveoli in cui le pietre vengono inserite a caldo, come nella fibula a disco di Parma.

In una posizione mediana tra l’oreficeria e la cultura materiale si colloca la produzione longobarda di armi. Le impugnature delle spade presentano spesso una “decorazione” ottenuta con la tecnica dell’ “ageminatura”. Le lame sono invece sottoposte al trattamento della “damaschinatura” per risultare più flessibili e resistenti alla torsione. Il prodotto più spettacolare dell’arte degli armaioli longobardi sono gli scudi da parata. Un esempio sono i frammenti dello scudo di Stabio.


Riferibile a un sontuoso elmo da parata è la lamina sbalzata in cui si celebra il trionfo di Agilulfo. La lamina appare a prima vista un tipico prodotto di oreficeria “barbarica”, mentre lo schema compositivo e la presenza delle due classiche Vittorie alate di fianco al trono del re dimostrano lo sforzo di operare una difficile contaminatio tra la carica sintetica dell’arte longobarda e modelli classici.
Il tentativo di realizzare un accordo tra la nuova concezione di motivi tardo-antichi è confermata dalla cosiddetta Testina di Teodolinda.

Il modello è una scultura bizantina, la Testa di Teodora
ma nella testina longobarda viene meno la preziosa modellazione, in favore di stilizzazione essenziale e geometrizzante.
Il parallelo più stringente è stato indicato con lo scettro di Sutton Hoo. Il confronto tra la scultura longobarda e le teste che decorano lo scettro dimostra la sostanziale affinità culturale tra la produzione italiana e quella dei Sassoni.
Da 625 al 774 Pavia è stata capitale del regno longobardo e centro principale di committenze artistiche. La maggior parte degli edifici è stata distrutta.
Della chiesa suburbana di Santa Maria in Pertica rimane un preciso disegno settecentesco. Fondata nel 677, presentava una pianta ottagonale con un deambulatorio anulare e un giro intero di sei colonne.
Mentre la chiesa di Sant’Eusebio divenne fulcro della conversione dei Longobardi al cattolicesimo. Dell’antica costruzione rimangono alcuni capitelli nella cripta, rimaneggiata in epoca romanica. Questi elementi architettonici mostrano un deciso scarto rispetto alla tradizione antica.
Tra la fine del VII e l’inizio dell’VIII secolo si assiste a un’interessante evoluzione dell’arte longobarda.
La presenza di riferimenti a diverse espressioni artistiche dell’area mediterranea sembra attestare una svolta negli orientamenti commerciali e culturali dei Longobardi. Il punto culminante di questa apertura culturale viene toccato durante il regno di Liutprando.
A Pavia, gli esempi meglio conservati della pluralità di stili nell’arte longobarda della prima metà dell’VIII secolo sono i due plutei provenienti dall’Oratorio di San Michele alla Pusterla.






I motivi naturalistici (due pavoni che si abbeverano, l’albero della vita tra draghi marini) sono trattati con un senso puramente bidimensionale e grafico del rilievo.
Nonostante il miglioramento dei rapporti con le popolazioni romane e lo sforzo culturale della “rinascenza” del tempo di Liutprando, i Longobardi continuano a essere considerati un popolo invasore. L’espansione della loro dominazione tocca il punto estremo con l’effimera conquista della decaduta Ravenna.
La disfatta di Desiderio a opera dei Carolingi, nel 774, è stata a lungo salutata come una “liberazione dei barbari”. Presso la corte di Carlo Magno operavano maestri visigoti, sassoni e anche longobardi, grazie ai quali l’arte carolingia ha potuto valersi di un ampio raggio di contributi culturali. Un segno di questa continuità è la chiesa del monastero di San Salvatore a Brescia.
Rispetto alle vicende della Longobardia Maior i ducati longobardi del Sud hanno vita più lunga.
Nel VI secolo viene fondato sul Gargano il santuario di Monte Sant’Angelo, uno dei principali luoghi di devozione della Longobardia Minor. Il santuario è dedicato all’arcangelo Michele, particolarmente venerato dai Longobardi. I rimaneggiamenti non consentono di riconoscere l’architettura antica, come accade a Montecassino, la potentissima abbazia benedettina fondata nel 529, alla quale dà un decisivo impulso l’abate longobardo Gisulfo.
Un altro centro monastico legato alla dominazione longobarda è San Vincenzo al Volturno, fondato alla fine dell’VIII secolo. Nella cripta della chiesa abbaziale si conserva un importante ciclo di affreschi del tempo dell’abate Epifanio .

Altri esempi di pittura beneventana si trovano a Olevano sul Tusciano. Il complesso più importante è però il ciclo di affreschi nelle absidi laterali di Santa Sofia a Benevento

Fondata da Arechi II nel 760, la chiesa di Santa Sofia è la più importante costruzione dei ducati longobardi meridionali. A pianta centrale, ha una complessa struttura stellare con tre absidi. Il modello per lo slanciato corpo centrale è la chiesa longobarda di Santa Maria in Pertica a Pavia, mentre per l’articolazione dei volumi sembra opportuno il riferimento a modelli bizantini longobardi a un dialettico rapporto con differenti modelli culturali.

 

PERSISTENZA DI MODELLI CLASSICI NELL’ARTE ROMANA

(VI-IX SECOLO)
Dal 493 al 526 Roma attraversa un periodo di pace. Il re Teodorico affida l’amministrazione del potere al cancelliere romano Cassiodoro e risiede preferibilmente a Ravenna. Si accentua il processo di degrado di Roma.
Davanti allo sfaldamento fisico della città nasce il “mito” nostalgico dell’antica Roma. Papa Felice IV fonda, all’interno del Foro romano, la chiesa dei Santi Cosma e Damiano. Le grandi basiliche paleocristiane erano fino ad allora sorte in quartieri periferici. Il senso di questa iniziativa è sottolineato dal grande mosaico che decora l’abside della chiesa. La scena rappresenta (Cristo tra i SS. Cosma e Damiano)
E ha un preciso precedente iconografico nel mosaico absidale di Santa Pudenziana. Ma mentre il mosaico di Santa Pudenziana offre un’immagine salda e concreta, il Cristo dei Santi Cosma e Damiano appare librato nell’azzurro cupo del cielo nuvoloso. I personaggi sono disposti secondo un rigido schema triangolare a intervalli scanditi.
La riduzione del numero delle figure intravede riflessi dell’arte bizantina. La conquista di Roma da parte delle truppe dell’Imperatore Giustiniano avviene dopo lunghe campagne militari. Dopo una prima vittoria del generale bizantino Belisario nel 536 la presa definitiva avviene nel 552 a opera dello stratega Narsete.
I Bizantini si preoccupano innanzi tutto di restaurare le opere pubbliche di più immediata necessità.
Prosegue il processo di cristianizzazione del foro e delle zone centrali di Roma.
L’edificio su cui si concentra l’attenzione dei Bizantini a Roma è Santa Maria Antiqua. Interrata da una frana nell’847, è stata riscoperta solo nel nostro secolo e presenta un ciclo di affreschi nel quale sono state ravvisate quattro fasi successive d’intervento.
L’abside della chiesa è una vera “parete palinsesto”. L’immagine più antica, una Madonna col Bambino tra due angeli, è stata dipinta subito dopo la conquista bizantina. Sono evidenti in questo affresco i caratteri di frontalità iconica di origine costantinopolitana, mentre il secondo strato mostra la mano di un artista più raffinato. Questo “secondo tempo” risale al 565-78. Il terzo momento della decorazione di Santa Maria Antiqua risale agli anni intorno al 650. Nella scena meglio conservata, con Salomone e i Maccabei, si notano scritte in greco e un abile uso delle ombre.
Gli anni del pontificato del greco Giovanni VII coincidono con il quarto strato della parete absidale.
La presenza di circoli culturali e di artisti orientali a Roma si fa manifesta. Accanto agli stimoli ellenizzanti riemergono motivi dell’arte classica e si affermano modelli iconografici palestinesi.
Il mosaico absidale della basilica di Santa Agnese fuori le mura propone figure quasi immateriali di sapiente sintesi simbolica. D’altra parte, l’importante ciclo di affreschi che decorano la cappella dell’alto funzionario Teodoto in Santa Maria Antiqua mostra significative influenze orientali: ad esempio nella scena della Crocifissione.

Un interessante scambio di esperienze figurative bizantine e romane è testimoniato dal gruppo di icone tuttora conservate in alcune chiese.
Le icone romane trovano un vasto seguito popolare in processioni, feste, devozioni specifiche registrate dalle antiche cronache. La più celebre tra le icone superstiti è la Madonna Theotokòs di Santa Maria in Trastevere che per la sua rigorosa frontalità e gli smaglianti colori è paragonabile al primo strato degli affreschi di Santa Maria Antiqua.
L’incoronazione di Carlo Magno da parte di papa Leone III, la notte di Natale dell’anno 800, sancisce simbolicamente il decadere dell’influsso di Bisanzio su Roma e il deciso ritorno alla tradizione paleocristiana e tardo-antica.
Il modello della chiesa ad aula rettangolare triabsidata vede il prepotente ritorno allo schema spaziale delle basiliche paleocristiane: ne è un esempio la chiesa di Santa Prassede, in cui ricompare il transetto.
La tecnica della decorazione musiva era stata abbandonata da circa un secolo.
Il rilancio del mosaico nell’età di Pasquale I propone, invece, il ritorno un gusto ricco e raffinato del colore. Il modello cui rifarsi è la scena absidale dei santi Cosma e Damiano, anche se le forme vengono ulteriormente ridotte all’essenziale e sfruttate soprattutto per ricavare ampie campiture cromatiche e raggiungere effetti di espressiva vitalità.

LA RENOVATIO DELL’IMPERO
LA RINASCENZA CAROLINGIA
Tra l’VIII e il IX secolo la dinastia carolingia unificò quasi tutto il mondo occidentale in un impero. La renovatio è lo stumento di Carlo Magno per dare forma unitaria a un insieme di aree geografiche e di gruppi etnici diversi tra loro, sul modello dell’impero romano e in particolare di quello di Costantino. Il sovrano carolingio afferma un potere unico e universale, fondato sulla legge cristiana e su quella romana.
La dinastia carolingia lega a sé l’ordine benedettino favorendo l’attività delle grandi abbazie. Non solo vengono istituite scuole, ma si rimodella la scrittura su esempi classici.
Ai modelli romani si accosta la tradizione irlandese e anglosassone, frutto della prima rinascita umanistica dell’Alto Medioevo, mentre altri elementi derivano dalla cultura longobarda e da quella bizantina.
L’attività architettonica
L’architettura è il campo privilegiato dei sovrani e gli edifici antichi presi a modello sono quelli della Roma costantiniana. Il palazzo imperiale di Aquisgrana doveva evocare la residenza papale di San Giovanni ed è caratterizzato dall’abbinamento tra il palazzo e la chiesa. Tuttora conservata è la cappella palatina a forma poligonale e coperta a cupola, con una struttura derivata dalla chiesa di San Lorenzo a Milano, da San Vitale a Ravenna e da quelle orientali. L’interno è arricchito da marmi colorati che, secondo le fonti, Carlo Magno aveva fatto portare da Roma e da Ravenna, mentre un grande mosaico raffigurante Cristo in trono decora la cupola e manifesta l’analogia tra il Salvatore e l’imperatore. La chiesa dell’abbazia benedettina di Fulda doveva contenere le reliquie di Bonifacio, apostolo della Germania e si ispira alla basilica vaticana di Costantino. All’Arco di Costantino si riferisce, invece, la Torhalle,(imp) la porta di Lorsch: nella parte inferiore si apre una loggia a tre fornici, mentre al piano superiore c’è un’aula che serviva all’imperatore come sala del trono. Le due facciate sono decorate da semicolonne accostate ai pilastri degli archi, con capitelli compositi e, al di sopra della fascia marcapiano, a araste ioniche scanalate che reggono una cornice piegata ad angolo. Un paramento di pietre rosse e bianche disposte a comporre motivi geometrici copre le murature. Nelle architetture di cui si è parlato il modello antico è un punto di partenza obbligato, mentre nella progettazione dei grandi complessi monastici i costruttori carolingi rispondevano con soluzioni originali, come nel caso del monastero di San Gallo. La chiesa ha una struttura a doppia abside e tutt’intorno gli edifici si dispongono secondo una griglia regolare che rispecchia quella delle città fondate da Carlo Magno.
L’invenzione che meglio rappresenta l’architettura carolingia è il Westwerk, un edificio a più piani aggiunto all’ingresso della chiesa, come quello presente nell’abbazia di Corvey e costruito l’873 e l’885. A pianta quadrata, comprende a piano terreno un basso atrio e una zona di passaggio che lo raccorda alla navata della chiesa, mentre i due piani superiori sono occupati da una grande sala decorata da affreschi, dove avevano luogo la liturgia del Salvatore e le cerimonie dell’imperatore. Questa parte della chiesa alludeva all’Anastasis di Gerusalemme, cioè all’edificio sorto sul Santo Sepolcro.

Pittura e miniatura
La pittura monumentale è andata perduta nella sua quasi totalità. Importanti sono gli affreschi della cripta di Saint Germain d’Auxerre, databili tra l’841 e l’857. Lo spazio della cripta è esaltato da un’intelaiatura di finti elementi architettonici, riccamente decorati, entro cui sono inquadrati gli episodi narrativi. In questi ultimi l’attenzione del pittore si concentra sulla dinamica della scena, mirando all’esatta definizione del movimento dei personaggi. Contrariamente alla pittura antica, si adotta, però, una visione sintetica dello spazio. Nella “lapidazione di Santo Stefano”, la città e i personaggi sono avvicinati nonostante appaiano incongruenti. La chiesa di San Giovanni a Mustair fu completamente decorata nel IX secolo con storie dell’Antico e del Nuovo Testamento. I riquadri narrativi sono incorniciati da fasce con ghirlande e nastri mentre il racconto ha un ritmo grandioso, con una distribuzione dei personaggi attenta ad ottenere una composizione equilibrata e simmetrica. A testimonianza della varietà culturale dell’area ci sono gli affreschi di Naturno che, per il linearismo esasperato e per l’estrema sintesi degli elementi figurativi, rimandano ai rilievi dell’altare del duca Ratchis a Cividale.L’attività dei miniatori raggiunge sotto i sovrani carolingi risultati di straordinaria qualità e rilevanza. Lo stile decorativo rappresenta una svolta rispetto a quello praticato durante l’VIII secolo negli scriptoria monastici continentali dei quali il Salterio 18 della Biblioteca di Amiens è il capolavoro, perché cerca una sintesi fortemente ornata di testo e figurazione. Nel grande scriptorium di Corbie Carlo Magno reclutò i decoratori del primo codice da lui ordinato, un evangelario. Se i modelli iconografici sono tutti bizantini, certi motivi decorativi a intreccio e a volute, nonché le grandi iniziali, tradiscono la presenza di maestri educati a Corbie. La nuova cultura figurativa giunge a esprimersi pienamente in un gruppo di evangelari tra i quali quello di Ada e quello di Lorsch, dove lo stile bizantineggiante delle figure si coniuga con un’impaginazione che ricorre a fondali architettonici ripresi dall’antico. Nelle parti decorative ricorrono motivi derivati da cammei, monete e stoffe antiche.
Si deve alla committenza di Ludovico il Pio, figlio di Carlo, un secondo gruppo di manoscritti che si ispirano a motivi antichi, cercando di penetrarne meglio i caratteri stilistici. Gli Evangeli dell’Incoronazione (imp) imitano i modi pittorici ellenistici, con rinnovata vitalità.
L’interpretazione che artisti autoctoni danno di questo stile aulico porta alla produzione dei vangeli di Ebbone e del Salterio di Utrecht, che sono tra le creazioni più straordinarie di tutta l’arte carolingia. Le tavole dei canoni nei codici di Ebbone si popolano di figure di letterati, cacciatori, scalpellini, nei più vari atteggiamenti, desunti dalle miniature orientali. Nel Salterio di Utrecht la narrazione figurata, un’illustrazione ai salmi complementare al testo, si distingue in composizioni complesse, che possiedono un respiro da pittura monumentale.
Una grande impresa, l’edizione illustrata della Bibbia, fu affrontata nell’officina di San Martino a Tours. Il corredo figurativo di questi manoscritti è concepito non come una pura traduzione del testo in immagini, ma come una sorta di compendio storico e dottrinale.
Nel sontuoso esemplare detto la Bibbia di Carlo il Calvo, le scene storiche che corredano il codice si organizzano in una fascia continua da leggersi cambiando direzione a ogni riga, in cui la narrazione si caratterizza per una grande precisione nei dettagli.
Diverso è il Sacramentario di Drogone, nel quale le scene sono incluse in iniziali classicamente proporzionate, ma invase da un rigoglio di viticci e foglie di acanto, tra cui si fanno largo i personaggi e le architetture.
Scultura e oreficeria
Segno inconfondibile dello splendore artistico raggiunto dalla corte di Aquisgrana sono le opere bronzee, transenne e porte, della Cappella Palatina. A questa stessa rinascita del bronzo si deve anche la piccola statua equestre di Carlo Magno.
Invece, del monumentale crocifisso argenteo donato da Carlo Magno a Papa Leone III rimane solo il calco: il corpo del Cristo è concepito come una compatta architettura di volumi.
Sono, però, gli avori e le oreficerie, gli oggetti più importanti. Le grandi placche di avorio intagliato formavano polittici preziosi o venivano incastrate nelle legature dei libri liturgici.
Lo stile della scuola di Reims impronta di sé una serie di importanti avori, tra i quali la coperta di un salterio, del tempo di Carlo il Calvo, dove la scena è modellata nell’avorio come se fosse cera molle e secondo lo stile del Salterio di Utrecht.
Un gusto più classicheggiante pervade la decorazione del Flabello di Tournus, grande ventaglio liturgico eseguito a Tours verso la metà del IX secolo.
Il capolavoro dell’oreficeria carolingia è l’altare di Sant’Ambrogio a Milano, eseguito da Vuolvino.
L’Italia tra età longobarda ed età carolingia
Nel Tempietto regio di Cividale gli stucchi colorati e dorati, gli affreschi e i mosaici creavano uno spazio simile a quello dei sacelli tardo antichi di Ravenna e di Milano. Al loro arrivo in Italia i sovrani franchi trovarono corti non solo fortemente latinizzate e grecizzate, ma anche un diffuso interesse per i modelli artistici dell’antichità. La politica culturale degli imperatori carolingi sperimentò, però, una sistematicità nel progettare la rinascita dell’antico.
Il potere carolingio si fonda anche in Italia sull’appoggio di vescovi e abati. L’esempio meglio conservato di sacello nell’Italia del Nord è quello milanese di San Satiro, dell’876.
Mentre il Nord Italia, oltre alla presenza carolingia subisce l’influsso veneziano, nel Centro Sud l’influsso carolingio è più frammentario, a causa delle ultime resistenze longobarde.
L’interesse per l’epoca costantiniana, evidente nella ripresa dell’antico schema basilicale, vivo a Roma, è analogo a quello imperiale ma di segno opposto. Serve, infatti, per riaffermare la supremazia spirituale della Chiesa di Roma, nonché il suo diritto a conferire l’autorità imperiale.
Nel restauro di San Salvatore a Spoleto viene, tuttavia, raggiunto un risultato di grande coerenza classicista, sia dal punto della struttura architettonica, sia come imitazione dei motivi decorativi romani.
Legata per alcuni aspetti alla cultura figurativa lombarda è la decorazione della cripta dell’abbazia di San Vincenzo al Volturno.

 

RINASCENZA OTTONIANA

Il lasso di tempo che intercorre tra il declino della dinastia carolingia e la svolta dell’anno Mille, è classificato dagli storici come periodo di crisi, travagliato da nuove invasioni barbariche. Le grandi famiglie di stirpe imperiale si combattono per raccogliere i resti del dominio carolingio quelle dell’aristocrazia romana per il controllo del seggio papale.
Nonostante le difficoltà che attraversa l’Occidente, nel X secolo si ha una generale ripresa. Inizia a consolidarsi il sistema feudale.
Le fondazioni monastiche consolidano la propria funzione sia economica sia culturale. Un esempio è l’abazia borgognona di Cluny dove viene ricostruita più ampia.
Non minore è l’importanza del fitto tessuto di pievi e cappelle che segnano la presenza nella pianura padana e nell’Italia centrale, di una comunità rurale e di un’organizzazione agricola ed economica particolarmente evoluta.
Questo fervore edilizio va visto come segno e risultato della prima lenta ripresa economico-demografica d’Europa. Quando, nel 962 Ottone I si fa incoronare imperatore a Roma, afferma la volontà di rifondare il potere che Carlo Magno aveva esercitato sull’intera Europa. Questo progetto non era destinato ad avere successo.
Le grandi formazioni imperiali e feudali
L’attività edilizia è interesse primario degli imperatori.
Il capolavoro dell’architettura ottoniana in Sassonia è la chiesa abbaziale di San Michele a Hildesheim. La pianta di San Michele è tracciata entro uno schema geometrico di tre quadrati uguali. Esso fu probabilmente suggerito dall’arcivescovo Bernoardo. Il corpo centrale a tre navate termina a oriente in un transetto a tre absidi.
Le navate sono scandite da pilastri. I capitelli sono ottenuti dall’unione di forme geometriche perfette e dovevano poi essere dorati e dipinti. L’esterno si presenta come un cristallino incastro di solidi geometrici definiti da murature lisce e compatte.
La pagina di dedica dei Vangeli presenta il committente all’interno della chiesa e testimonia la sontuosità della decorazione, delle pitture ornamentali, delle stoffe preziose. Per San Michele furono fuse due enormi battenti bronzei con riquadri narrativi raffiguranti episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento.

La porta raffronta sui due battenti la storia della caduta con quella della salvazione. Sulla superficie astratta del bronzo affiorano elementi architettonici e paesistici. Le figure emergono dal piano fino ad avere il busto e la testa a tutto tondo. Il vigore plastico di questi personaggi e la nettezza dei loro movimenti non ha più nulla in comune con l’atmosferica vibrazione degli sbalzi carolingi. La stessa monumentalità si ritrova nell’anima lignea. Con quale disinvoltura si elaborassero modelli antichi mostra la colonna bronzea. Lo schema della colonna coclide romana vuole celebrate il trionfo di Cristo.
La capitale del basso Reno si presenta come un centro artistico di prima grandezza. Santa Maria in Campidoglio viene iniziata dalla badessa Hilda e consacrata nel 1065. Un corpo longitudinale a tre navate, precedute da un atrio. L’eccezionale risultato di Santa Maria in Campidoglio influenzerà le scelte architettoniche della città renana per tutto il periodo romanico.
La cattedrale di Spira, nel Palatinato, è un edificio immenso sulla cui edificazione si concentrano gli interessi di Corrado II. Si compone di un lungo copro longitudinale a tre navate, di un grande transetto con profonda abside. Nella cripta le semicolonne accostate ai pilastri conferiscono grande chiarezza strutturale alle volte. Le semicolonne infatti si allungano, oltre le arcate e le finestre del cleristorio fino a reggere, subito sotto l’imposta del soffitto, una sequenza di archi. Nella tradizione delle chiese paleocristiane il muro era concepito come una superficie adatta ad accogliere grandi cicli narrativi ad affresco o a mosaico, a Spira invece la parete diviene un elemento plastico che tutti gli elementi strutturali dell’edificio concorrono a formare.

Cicli di affreschi e codici miniati
Gli ultimi avanzi degli affreschi che un pittore italiano eseguì per Ottone III ad Acquisgrana sono stati ricoperti di intonaco nell’Ottocento. È però molto significativo che il sovrano chiamasse un artista italiano a decorare uno dei luoghi più rilevanti per la mitologia imperiale. Ancora una volta si considerava la penisola come depositaria di una tradizione figurativa. Forti legami con l’area lombarda mostra anche il maggior ciclo quello della chiesa di San Giorgio a Reichenau. La decorazione riprende uno schema tardoantico e ravennate. Le grandi scene narrative si dispiegano in un solo registro mentre tra le finestre del cleristorio grandeggiano figure di santi.
Gli episodi cristologici sono stati scelti per mettere in rilievo la dimensione eroica e gli aspetti regalistici della vita del Salvatore. I miracoli sono rappresentati in ampie e variate composizioni. L’ideatore del ciclo della Reichenau è un abilissimo disegnatore. I panneggi delle vesti si piegano in avvolgimenti delicati, mentre gli atteggiamenti dei personaggi e i loro movimenti sono sintetizzati in un contorno teso ed espressivo.
Tramite il ricchissimo patrimonio dei codici miniati possiamo studiare la cultura figurativa del X e della prima metà dell’XI secolo fuori d’Italia. L’arcivescovo di Treviri Egberto commissiona ad un maestro italiano due miniature a piena pagina per un codice contenente una raccolta di epistole di Gregorio Magno (un Registrum Gregorii). L’anonimo artista era colto e conosceva il greco, praticava diverse forme di scrittura e possedeva un vastissimo patrimonio figrativo. Le due miniature raffigurano Ottone II in trono circondato dalle Province dell’Impero e san Gregorio ispirato dalla colomba mentre detta allo scriba . L’assoluta centralità dell’imperatore e il tono cerimoniale della composizione sono ottenuti mediante la salda intelaiatura geometrica.
Nella seconda miniatura più coerente è l’intelaiatura spaziale. L’architettura incornicia con assoluta naturalezza i personaggi. In entrambe le scene la gamma cromatica studiatissima e l’uso di delicate lumeggia ture conferiscono un forte risalto plastico ai personaggi. Le stesse qualità possiede una Vergine col Bambino, un avorio che ci tramanda il ricordo di un tipo monumentale ripreso nell’XI e XII secolo.
Nell’immagine conserva alcuni elementi classicheggianti come il bordo di foglie di acanto, la tridimensionalità dello spazio è suggerita solo dallo slancio dinamico della figura mentre gli effetti plastici sono ridotti al contrasto violento delle ombre e delle lumeggia ture. Lo stile trova perfetta espressione nei Vangeli decorati alla fine degli anni novanta per Ottone III. La rappresentazione dell’imperatore deriva dal modello del Registrum Gregorii, ma il linguaggio figurativo è diverso. L’unità della scena si divide in due momenti narrativi.
All’aulica compostezza della scena subentra l’incedere reverente delle Province.
Nell’inizio del vangelo secondo Luca viene raffigurato l’evangelista entro una mandorla di luce, si staglia contro l’oro abbagliante del fondo. Intorno a lui, cerbiatti si abbeverano al suo verbo, mentre egli regge una rappresentazione dell’epifania divina che contempla con sguardo estatico. In questa miniatura è già presente la tendenza a tradurre l’immaginario religioso in forme simboliche, fondendo un elemento “storico” con una rappresentazione astratta e allegorica.
Il confronto tra il San Gregorio del Maestro del Registrum Gregorii e uno degli evangelisti dei vangeli eseguiti a Colonia è assolutamente eloquente.
Il prestigio dell’arte costantinopolitana rimarrà assai forte in area tedesca come modello insuperato di ars sacra.
Durante le invasioni danesi del IX secolo, buona parte delle abbazie benedettine inglesi con il loro ricco patrimonio librario era andata distrutta. Nella seconda metà del X secolo, in un momento di generale ripresa del paese, Dunstano, arcivescovo di Canterbury ed Etelvoldo, vescovo di Winchester, promossero la rifondazione e la riforma dell’ordine benedettino nell’isola. Molto forte risulta l’influsso della tarda arte carolingia nei monasteri inglesi.
Il salterio eseguito a Winchester per Osvaldo prima del 992 contiene una Crocifissione disegnata da un artista inglese che soggiornò e operò anche in Francia. Le figure si stagliano su di un fondo pergamenaceo. La stessa relazione tra la monumentalità della croce e la fragilità della Vergine e di san Giovanni è di tipo gerarchico e dottrinale. Il miniatore inglese si concentra sulla dinamica emotiva. Di nuovo modelli carolingi forniscono elementi iconografici stilistici e decorativi: i fantastici intrecci vegetali sono animati da una nuova e travolgente vitalità

Oreficerie e avori
Vastissima è la produzione di oreficerie e di oggetti liturgici e di culto durante i secoli X e XI. Il meccanismo degli Ottoni è talora eguagliato da quello dei grandi arcivescovi-feudatari. Entro le arcate di una loggia di limpida architettura, sono rappresentate tutte le figure di Cristo come recita la scritta sulla ghiera dell’arco, adorato dai sovrani in atteggiamento di proschynesis, di tre arcangeli e di san Benedetto.

I corpi emergono con forte risalto dalla superficie del fondo. La compostezza aulica dell’insieme nonché vari elementi decorativi derivano da oreficerie di Bisanzio cui si ispira l’arte imperiale. A questa corrente plastica si affiancano altri linguaggi figurativi come quello del Maestro di Echternacht.
L’impostazione spaziale dell’incredulità di San Tommaso è, nella sua novità, radicalmente classica. Il gesto del Cristo che alza il braccio lasciando scoperta la ferita del costato o lo slancio dell’apostolo che rovescia la testa per arrivare sia materialmente che spiritualmente all’altezza del Salvatore, sono di un “realismo” del tutto inedito.
Nel Crocifisso inciso sul retro della croce di Lotario l’uso sapiente della linea crea una figura di grane intensità patetica.

I centri artistici della penisola
Nella miniatura del evangelario di Ottone I Roma è la prima e reca, le mani coperte da un drappo in segno di rispetto.
Il dominio su Roma era d’altra parte per i sovrani un elemento di enorme importanza simbolica. Nell’urbe avveniva la cerimonia ufficiale dell’incoronazione. Sul piano culturale gli scambi tra l’Impero e la penisola coinvolgono soprattutto Milano.
Gotofredo, è il committente di una situla di avorio .

Il secchiello liturgico è dedicato a Ottone e veniva utilizzato nelle cerimonie imperiali. Entro una serie di arcate, siedono la vergine col bambino tra due angeli e i quattro evangelisti. Alla fine del X secolo, la stessa cultura artistica si esprime su scala monumentale nei nuovi stucchi che decorano sant’Ambrogio. Nel grande vano l’abside della basilica ambrosiana,furono ricoperte di stucco le colonne e decorate con foglie di acanto le ghiere degli archi. L’intero spazio destinato al clero ricevette così un addobbo trionfale. Il lato verso la navata accolse la Traditio Legis ( Cristo che consegna le chiavi a san Pietro ed il libro a san Paolo). È evidente che il programma iconografico sottolinea l’origine divina dell’autorità episcopale e in particolare di quella di Ambrogio chiamato da Dio stesso alla sua missione. Le grandi figure rammentano la produzione miniatoria e plastica del Maestro del Registrum Gregorii. Nei manoscritti di Nivardova (altro artista lombardo) è la raffigurazione della Consacrazione del crisma.
In Lombardia si conserva anche un prezioso gruppo di crocifissi monumentali in lamina metallica, argentea o bronzea. Tra i più importanti ricordiamo quello del vescovo Ariberto a Milano. Nella Croce di Ariberto come in quella di Gerone a Colonia, l’iconografia trionfale e l’aulica compostezza della figura cede il posto alla rappresentazione del Cristo morto, sbalzato nel metallo.
Il modello dell’abside ambrosiana viene imitato in San Vincenzo in Prato.
La progressiva riorganizzazione delle campagne, favorita dalla costante crescita demografica, ha nel sistema delle pievi una rete di punti di forza. La popolazione vi si raccoglie per soddisfare necessità non solo spirituali ma anche culturali e sociali e mantiene il pievano con i propri contributi (le decime).
La chiesa di solito è affiancata da un battistero, staccato e indipendente. La pieve e il battistero di Galliano furono edificati per volere del potente Ariberto d’Intimiano. Il battistero a pianta quadriloba con pilastri liberi trasformandolo in uno spazio monumentale.



Temi nuovi compaiono in Santa Maria Maggiore a Lomello, un edificio a tre navate con un transetto più basso del corpo longitudinale. Il tema funzionale diviene elemento formale nei pilastri che assumono struttura cruciforme. L’intera chiesa era decorata da affreschi e stucchi di cui restano solo pochi frammenti.

Per quanto riguarda l’area adriatica questo momento di passaggio è ben rappresentato dall’abbazia di Pomposa. La chiesa fu consacrata nel 1026 dall’abate Guido.
Alla basilica viene aggiunto un atrio. La grandiosità di questo ingresso si ritrova nella possente torre campanaria. A Pomposa si ribadisce lo sviluppo verticale della torre attraverso la definizione di piani sovrapposti. Dell’architettura civile adriatica può dare un’idea il palazzo della Ragione: l’edificio capitolare annesso al convento, dove l’abate svolgeva le sue funzioni istituzionali e amministrative.

Ben inserita nella tradizione locale ma aperta anche a contatti con il settentrione ottoniano appare la pittura monumentale in Lombardia. L’abside della chiesa di San Vincenzo a Galliano fu affrescata per volontà di Ariberto di Intimiano. Nel catino è raffigurato Cristo in mandorla, l’arcangelo Michele e Geremia a sinistra e l’arcangelo Gabriele ed Ezechiele a destra.
Tanto la grande visione ultraterrena quanto gli episodi storici sono impaginati con il sicuro senso spaziale. Se alcuni elementi iconografici sono di origine bizantina, del tutto occidentale è il vigoroso senso plastico.
Una cultura figurativa simile ma più robustamente plastica si ritrova negli affreschi di Sant’Ordo ad Aosta, anch’essi databili all’inizio dell’XI secolo.
Verso la fine dell’XI secolo la nuova ondata di cultura bizantina inizia anche in Lombardia ad acquistare un peso determinante come nel ciclo di San Pietro al Monte. La grande e bellissima scena apocalittica in San Pietro è impaginata secondo un rigido sistema di corrispondenze simmetriche.
Il linguaggio figurativo lombardo si diffonde anche verso Roma. Il generale movimento di riforma della Chiesa e la progressiva ricerca di autonomia del potere religioso da quello laico coincide con l’affermarsi di un linguaggio tipicamente romano. La base di questo stile non poteva che essere un nuovo ritorno alla tradizione e alla cultura della Roma tardo-antica e costantiniana. Gli affreschi della chiesa di San Clemente (fine dell’XI secolo) narrano la vita di sant’Alessio. La città è evocata dai complessi fondali architettonici. Vi è il riuso di elementi decorativi come finte lastre e incrostazioni marmoree. Il maestro tende a privilegiare l’elemento lineare che gli serve per concatenare gesti e atteggiamenti in complesse composizioni. La volontà di comunicare con immediatezza il senso della narrazione allo spettatore è evidente nella scelta di apporre alle immagini didascalie in volgare.
Il meridione d’Italia è fortemente impregnato di cultura orientale. Nella seconda metà del X secolo si trova in Campania e in Puglia un tipo particolare del testo liturgico, il rotulo, come molte illustrazioni orientate in senso contrario a quello della scrittura. Questi rotuli venivano usati in cerimonie particolarmente complesse.
Un importante scrittorio di cui provengono alcuni rotuli è quello della Benedictio fontis.
Gli Exultet pugliesi eseguiti sotto la diretta influenza della più aggiornata cultura figurativa cosmopolitana.


 

LA MINIATURA MEDIEVALE

Il libro miniato è un’invenzione che nasce col disfacimento della tradizione classica per estinguersi con l’invenzione della stampa nel XV secolo. Anche nel mondo antico si usava illustrare alcuni testi: si trattava soprattutto di trattati tecnico-scientifici e di opere letterarie come poemi epici di Omero e Virigilio. Il libro antico aveva forma di rotolo e si leggeva svolgendolo a poco a poco: le immagini sono soprattutto le colonne del testo ma modificare o condizionare l’impaginazione o la struttura grafica della parte scritta. Le figurazioni antiche sono condotte in uno stile compendiario e naturalistico, tipico della pittura tardo-ellenistica e romana.
Un cambiamento radicale si ebbe tra il I e il III secolo d.C. con il progressivo abbandono del rotolo e l’affermazione del volumen, il libro formato da più fogli ripiegati. La nuova forma di libro era la preferita dai circoli cristiani perché più economica e diversa dal rotolo. Vennero dunque copiati in quella forma i testi sacri. Contemporaneamente al papiro si sostituì la pergamena. Benché costosa e di complicata fabbricazione la pergamena è molto più resistente e duratura di qualunque materiale cartaceo. La sopravvivenza della cultura antica si deve in gran parte alla copiatura dei rotoli su questo nuovo supporto. In questa operazione di trasferimento prevalgono forme decorative che uniscono testo e immagini come le iniziali figurate e quelle istoriate. Una raffinatissima decorazione a intrecci di figure stilizzate e di racemi investe nei codici irlandesi tra il VII e il IX secolo. Come esempio per tutti può valere il celebre Libro di Lindisfarne.
Bisogna pensare che nel Medioevo la fruizione del testo non era l’unica funzione del libro. In un mondo quasi del tutto analfabeta il libro sacro acquistava un valore simbolico e quasi magico. La mentalità medievale percepiva una forte continuità tra la sfera terrena e quella sovraterrena e vedeva perciò nel libro l’incarnazione della parola divina.
Solo chi aveva un determinato livello culturale poteva capire le implicazioni simboliche delle immagini e interprete il loro stretto rapporto con il testo i libri venivano prodotti quasi esclusivamente nei monasteri dagli amanuensi.
Nel mondo antico la scrittura come lavoro materiale era considerata indegna di un letterato o di un filosofo che dettava le sue opere a uno schiavo e a uno scriba di professione. Che il lavoro dell’amanuense medievale fosse invece molto valutato è evidente.

 

L’EUROPA ROMANICA

Il periodo che copre gran parte del secolo XI è considerato dagli storici come un’epoca di radicale trasformazione per l’Europa, in particolare per quanto riguarda l’agricoltura, lo sviluppo dei centri urbani e le tecniche militari, con profonde ripercussioni sull’incremento demografico e sull’assetto politico- sociale dell’intero continente come nel campo delle attività culturali e artistiche.
Uno dei segni più chiari del mutamento è fornito dall’aggressivo espansionismo militare nei confronti dell’Islam, che si manifesta nel vigoroso avvio della reconquista di parte della penisola iberica, a opera dei piccoli regni cristiani della Spagna settentrionale e quindi nella spedizione per la liberazione della Terra Santa che prese il nome di prima Crociata.
I Normanni, invece, conquistarono l’Inghilterra e l’Italia meridionale.
Il progresso delle tecniche agricole, fondato sulla frequente applicazione di parti metalliche agli attrezzi e sul perfezionamento e sulla diffusione dell’aratro fu evidente.
Con la crescita della produzione agricola e il rapido incremento della popolazione, mutano anche i rapporti tra campagna e centri urbani.
I mutamenti economici coinvolgono tutte le categorie sociali. L’assetto rigorosamente gerarchico dei rapporti sociali e gli estesissimi poteri della nobiltà favoriscono il lento sviluppo delle grandi imprese militari e la ripresa dei commerci. Prima ancora dell’impulso espansionistico che diede avvio alla riscossa militare dell’Occidente, gli investimenti artistici e la frenetica attività di costruzione di edifici monumentali, secondo Raoul Glabro rivestì l’Europa cristiana di un “bianco mantello di chiese”.
Caratteristica fondamentale dell’architettura della produzione artistica che si sviluppa in Europa a partire dalla seconda metà dell’XI secolo appare la polarità tra aspetti che ne manifestano la profonda omogeneità e la ricchezza e varietà dei risultati.
Tale polarità trova ampie analogie con la situazione politica e con la dinamica evoluzione delle strutture sociali. Si acquista sempre più salda consapevolezza della propria identità spirituale e unità materiale. Il fattore che maggiormente incise sul declino dell’unità del potere monarchico è costituito dagli sviluppi del feudalesimo e delle autonomie cittadine, come in Francia, nella penisola italiana e più tardi in Germania.
Uno dei protagonisti del tempo, l’abate Guglielmo da Volpiano scriveva: “il potere dell’imperatore romano è oggi esercitato nelle diverse province da molti scettri, ma il potere di legare e sciogliere, in cielo come in terra, appartiene per diritto incrollabile al magistero di Pietro”. Le parole di Gugliemo da Volpiano suonano profetiche fino al concordato di Worms (1122), con la contrapposizione del papato all’imperatore nella lotta per le investiture, conclusasi con la sostanziale vittoria del papato e l’affermazione dell’autonomia della gerarchia ecclesiastica da ogni ingerenza dell’imperatore, come di qualsiasi altro potere laico.
I tentativi di disporre liberamente della nomina di vescovo e abati da parte dei più potenti feudatari non potevano essere tollerati dalla Chiesa e suscitarono una violentissima reazione che sfociò nei movimenti di riforma tesi a ripristinare il rispetto e la severità della regola nei monasteri.
Importantissimi focolai di riforma furono in particolare i monasteri cluniacensi.
Il declino dei poteri centrali imperiali e monarchici ebbe conseguenze anche sulla ripresa e lo sviluppo della produzione artistica.
Infatti, prima, con l’atto sacramentale della consacrazione il sovrano carolingio riceveva direttamente il proprio carisma dal Dio dell’Antico Testamento. L’arte era divenuta una questione essenzialmente regale verso una decisa ripresa di modelli aulici dell’antichità imperiale.
Nel corso dell’XI secolo il patrocinio delle costruzioni ecclesiastiche e il compito di provvedere alla loro costruzione e decorazione passano in altre mani. Così non più il re di Franca ma il duca di Normandia diviene il grande costruttore di chiese e abbazie.
I signori locali vengono quindi divisi in “signori della guerra e signori delle preghiere”.
Mentre i sovrani vengono spogliati di gran parte delle risorse indirizzate ad alimentarne le magnificenza nei confronti della Chiesa, gli investimenti artistici aumentano.
I “signori della guerra” continuano a spogliarsi di una parte assai consistente delle loro ricchezze che vanno ad aumentare i patrimoni di cattedrali e abbazie.
La grande arte assume sempre più come funzione primaria quella “espiatoria”.
I monasteri devono manifestare anche nella grandiosità degli edifici e attraverso la bellezza e lo splendore della creazione artistica, la gloria dell’Onnipotente e l’immagine radiosa della città celeste.
L’abbandono del lavoro manuale e le comodità concesse ai monaci di Cluny rispetto alla regola di san Benedetto sono conseguenza dell’importanza attribuita alla celebrazione dell’ufficio liturgico con grande sviluppo del canto corale.
Nel fasto e nella solennità delle celebrazioni liturgiche, come nella costruzione e decorazione della terza immensa chiesa abbaziale a Cluny, trova piena espressione la tendenza a concepire la magnificenza, la grandiosità e la ricchezza come elementi primari delle offerte rivolte a Dio.
Nelle nuove forme artistiche è, però, possibile riconoscere anche un’aspirazione profonda a trascendere i limiti dei sensi e dell’intendimento umani con un linguaggio accessibile solo a pochi iniziati.

LA “QUESTIONE” DEL ROMANICO

Il rinnovamento delle forme artistiche che ha luogo tra la seconda metà dell’XI secolo e i primi decenni del XII investe principalmente l’architettura e la scultura monumentale. Per definire la nuova civiltà figurativa è entrato in uso il termine romanico. Una delle caratteristiche fondamentali della nuova civiltà figurativa è il riferimento a modelli e tecniche costruttive dell’antichità romana. La storiografia artistica ha ricostruito lo sviluppo dell’architettura e della scultura romaniche come una catena di innovazioni legate tra di loro.
Va attribuita una certa importanza alla mobilità di persone e merci preziose che è conseguenza della ripresa dei commerci e anche dei pellegrinaggi. Sono importanti le opere di alcuni protagonisti del movimento di riforma della vita monastica, tra le quali Guglielmo da Volpiano che fece costruire la vasta rotonda a tre ordini dell’abbazia di Saint- Benigne a Digione.
È possibile definire i caratteri dell’architettura romanica, partendo da quegli edifici religiosi che avevano valore monumentale, e svolgevano anche funzioni di carattere temporale. Tra gli elementi tipici della costruzione romanica ci sono la riscoperta di una logica strutturale, basata nella copertura a volte, in particolare a volte a crociera. La volta a crociera permette alla parete di slanciarsi in altezza. In realtà alcuni degli edifici considerati tra le più importanti creazioni dell’architettura romanica- come il duomo di Modena e San Miniato a Firenze - ricevettero in origine una copertura a soffitto ligneo.
Un altro elemento caratteristico dell’arte romanica è la scansione delle murature esterne mediante lesene e arcate cieche.
La medesima tendenza a una potente articolazione si manifesta negli elementi di sostegno come nelle massicce pareti degli edifici romanici che sembrano concepite a più strati e svuotate da corridoi e gallerie. Tale concezione della parete rimanda all’architettura tardo romana delle province. Particolari esigenze di carattere liturgico e funzionale pongono le premesse per lo sviluppo della zona presbiteriale, mentre si ampliano le cripte dove vengono custodite le reliquie.
All’interno come all’esterno, il gioco delle sequenze spaziali appare ritmato dalle cornici e dalle lesene.
La scultura monumentale che si sviluppa a partire dagli ultimi decenni del secolo XI presenta caratteri nuovi perché si aggiunge un ampio ventaglio di modelli che vengono liberamente interpretati e si modifica la funzione delle immagini, destinate a un pubblico più vasto.

LE REGIONI DEL ROMANICO EUROPEO
Lo sviluppo dell’arte romanica costituì un fenomeno europeo, basato sull’omogeneità culturale della classe dominante e sulla nuova mobilità che caratterizzò l’Occidente a partire dal secolo XI.
Nelle terre germaniche, dove l’autorità imperiale conserva il suo potere, risulta molto forte la continuità con la tradizione artistica carolingia e ottoniana, mentre nella Pianura Padana e in Toscana, l’affermarsi dei comuni pone le premesse per uno sviluppo più differenziato.

Germania e Paesi Bassi
Il rapporto di continuità tra l’architettura nella prima metà del secolo XI e quella dei decenni seguenti si coglie facilmente nelle terre imperiali di Germania, come nelle chiese abbaziali di San Michele a Hildesheim o in Santa Maria a Colonia, ma l’intreccio tra continuità e sviluppo si manifesta soprattutto nella cattedrale di Spira. Fondata dall’imperatore Corrado II e consacrata nel 1061, la cattedrale presenta dimensioni monumentali. Una galleria continua di arcatelle all’esterno e l’articolazione potente delle pareti all’interno creano la fusione perfetta tra le parti più antiche e quelle più recenti dell’edificio.
Un altro esempio di sviluppo nella continuità è fornito dalla chiesa abaziale di Santa Maria Laach in Renania che si presenta come un complesso unitario nella perfetta scansione dei volumi.
Trovò, invece, uno sviluppo limitato in Germania la scultura monumentale e architettonica.

Normandia e Inghilterra
Nella chiesa abaziale di Jumièges ci sono alcuni dei caratteri fondamentali della nuova architettura, come l’altissima facciata inquadrata da due torri e il soffitto ligneo nella navata centrale.
Alla vigilia della spedizione che portò i Normanni alla conquista dell’Inghilterra Guglielmo il Conquistatore fondò due grandi abazie a Caen. In particolare in quella di Saint Etienne molti degli elementi già presenti a Jumièges vengono riprese e perfezionati. In facciata le torri sono allineate alla parte centrale e danno un effetto di grande slancio verticale, mentre il soffitto ligneo è sostituito da volte costolone.
La conquista normanna diede avvio in Inghilterra alla costruzione di molte abbazie e cattedrali, accomunate da slancio verticale, come le cattedrali di Winchester e Ely.

Borgogna
Come in Germania anche in Borgogna lo sviluppo dell’architettura romanica è preceduto da un’attività costruttiva di grande importanza di cui rimangono scarse tracce. Gli scarsi resti che ci sono giunti dalla ricostruzione dell’abbazia di Cluny del 948 e di quella del 1088 mostrano la presenza di una grande zona presbiteriale e consentono di farsi un’idea delle grandi dimensioni dell’edificio.
Accanto alla diffusione del modello cluniacense, si afferma in Borgogna anche un altro tipo di costruzione con limitato sviluppo verticale, come l’abbazia di Vezelay.
Anche la scultura monumentale conosce un grande sviluppo in Borgogna. Un forte arcaismo caratterizza i capitelli della rotonda di Saint Benigne a Digione.
Precedente più diretto della cultura romanica appaiono invece i capitelli dell’abbazia benedettina di Saint Benoit: decorati con foglie di acanto o con scene apocalittiche e figure di santi.
A Cluny su due capitelli sono raffigurati il peccato dei progenitori e il sacrificio di Isacco, mentre un terzo riprende la decorazione del capitello corinzio ed altri recano figure di atleti, delle virtù teologali e cardinali, dei fiumi del paradiso. I capitelli di Cluny, con le loro figure delicate e la loro eleganza, pur appartenendo alla nuova arte romanica, risultano ancora collegati alla tradizione ottoniana dell’oreficeria.
Analoga tecnica di intaglio si riconosce nel timpano della chiesa di Charlieu, raffigurante Cristo in maestà tra due angeli. A partire da questo timpano è possibile seguire un evoluzione verso figure più sciolte e in rapporto sempre più dinamico con il campo architettonico.
Tra il terzo e il quarto decennio del XII secolo la scultura romanica giunge a maturità in Borgogna, con i cantieri di Autun e di Vezelay. Ad Autun il maestro Gislebertus firma il timpano del portale occidentale che raffigura il giudizio finale, e lavora al portale settentrionale da cui proviene l’immagine naturalistica di Eva.
A Vezelay nel grande timpano del portale è raffigurata la missione di Cristo agli Apostoli.

Linguadoca e Dordogne
Un precoce sviluppo dell’arte romanica contraddistingue anche la Linguadoca.
A Tolosa la ricostruzione della chiesa di pellegrinaggio di Saint Sernin ebbe inizio prima del 1080. L’edificio presenta motivi di interesse per la grandiosità dell’impianto planimetrico e per l’imponenza della navata centrale e della zona presbiteriale. I capitelli del deambulatorio presentano un’elegante decorazione a fogliami, mentre quelli del transetto formano un organico ciclo iconografico con le figure di Lazzaro e del ricco Epulone e scene di supplizio: sono scene di grande semplicità.
La tavola dell’altare reca una decorazione scolpita sui lati con figure di Cristo tra la Vergine e San Giovanni evangelista gli apostoli, l’episodio leggendario dell’ascensione di Alessandro Magno e immagini di uccelli affrontati.
In una lunga iscrizione latina compare il nome dell’autore Berbardus Gelduinus. L’impronta dello stile di Bernardus Geldunius appare evidente, anche in numerosi capitelli delle tribune del transetto e soprattutto nelle sculture della porta di Miegeville.
Contemporaneamente a quella del cantiere di Saint Senin a Tolosa si svolge l’attività di un altro grande centro della scultura romanica europea, l’ abbazia cluniacense di Moissac, dove viene costruito il chiostro con capitelli scolpiti e figure di apostoli a grandezza naturale. I particolari sono sistematicamente subordinati a un complesso schema ritmico - decorativo che intensifica la connessione e insieme la tensione tra figura e piano di fondo.
I capitelli sono modellati come sculture e il sistema delle volute e delle mensole rende ancor più impercettibile la metamorfosi.
Al secondo decennio del XII secolo vengono fatti risalire i lavori per il portico della chiesa abbaziale con l’immenso timpano raffigurante la Visione apocalittica di san Giovanni. Sugli stipiti sono scolpite le figure di san Pietro e di un altro profeta oltre ad animali mostruosi affrontati.
All’assoluta immobilità e frontalità della figura di Cristo si contrappone la violenta animazione delle immagini circostante e la resa reale dei particolari.
Ai cantieri di Moissac si collega anche lo sviluppo della scultura monumentale nella Dordogne, a partire dalla cattedrale di Cahors, che presenta una particolare struttura architettonica con navata unica coperta da cupole. Nel portale di Cahors lavorano scultori provenienti dal cantiere di Moissac.
L’influsso della scultura di Moissac si manifesta nel portale meridionale della chiesa di Beaulieu, con il giudizio finale nel timpano. A Beaulieu è evidente la ripresa del risalto plastico delle immagini di Moissac.

Conques, l’Aquitania, l’Avernia e la Provenza
Uno dei santuari che richiamarono maggiori folle di pellegrini fu l’abbazia di Conques, la cui chiesa presenta l’impianto caratteristico degli edifici di pellegrinaggio ed elevata altezza della navata centrale, con due ordini di arcate e copertura a volte. All’interno la decorazione scultorea non è ricca, ma nel timpano del portale c’è una rappresentazione del Giudizio finale molto interessante dal punto di vista iconografico.
In Alvernia lo sviluppo dell’arte romanica è in rapporto con quello dei pellegrinaggi e molte chiese manifestano caratteri di severa austerità. Tra gli edifici che risalgono alla prima metà de 1100 ricordiamo la chiesa abbaziale di Saint Nectaire.
La particolare ricchezza di monumenti che caratterizza la Provenza è decisiva per lo sviluppo del romanico nella regione. A Saint Gilles du Gard, centro di partenza per Santiago di Compostela, la chiesa del priorato è preceduta da un grandioso portale che riprende lo schema di un arco trionfale.
In Aquitania si ricorda l’abbazia di Poitiers, decorata in tutta la sua superficie.



Spagna settentrionale
Stretti rapporti politici ed economici collegano i regni cristiani della Spagna settentrionale con il sud della Francia. Tra i cantieri dove si verificò più precocemente il passaggio all’arte romanica c’è quello di San Isidoro a Leon. Contiguo a san Isidoro sorge il Pantheon de los reies, la cui volta venne decorata entro la fine del XII secolo con un ciclo di affreschi raffiguranti la Majestas Domini.
Edificio principe della regione è il santuario di Santiago di Compostela, ricostruito a partire dal 1075 sullo schema planimetrico delle grandi chiese di pellegrinaggio francesi, con lunghe e alte navate, matronei e ampio transetto. I più antichi capitelli del deambulatorio presentano forti punti di contatto con quelli di Saint Sernin a Tolosa. Al medesimo ambito culturale appartengono gli eleganti capitelli della cattedrale di Jaca.
Più complessa appare la cultura figurativa dei maestri che scolpirono i capitelli del chiostro del monastero di Danto Domingo de Silos vicino a Burgos. Questi capitelli sono decorati con motivi vegetali e figure di animali con una esecuzione raffinatissima.

Catalogna
Caratteri del tutto particolari manifesta lo sviluppo dell’arte romanica in Catalogna, dove una fioritura precoce di edifici di ridotte dimensioni si prolunga per tutto il XII secolo. Assume invece importanza la decorazione pittorica, con affreschi e pittura su tavola, che reinterpretano lontani modelli bizantini.

La penisola italiana
La penisola italiana, all’interno del romanico europeo, presenta una varietà di aspetti che non trova equivalenti.
La precoce crescita delle città in Sicilia al tempo della dominazione araba, l’affermarsi delle repubbliche marinare, il consolidarsi dei comuni in pianura Padana: sono tutti fenomeni che testimoniano una rapida crescita.
In un contesto variegato, con l’influenza bizantina nel meridione e quella d’oltralpe nel Nord, assume rilevanza il fenomeno di resistenza all’assimilazione di alcuni elementi del romanico, in favore di una ripresa di modelli paleocristiani, soprattutto a Roma, in Campania e Toscana.
Il vescovo di Arezzo, avendo deciso di ricostruire il duomo della città, invia l’architetto Maginardo a Ravenna per studiare la chiesa di San Vitale. A Firenze il vescovo ricostruisce il battistero, che consacra nel 1059. A Pisa la riedificazione della cattedrale prende avvio da un impianto basilicale a cinque navate di impronta paleocristiana.
A Roma continua il legame con la tradizione dell’architettura cristiana tardo antica, mentre in Campania, l’abbazia di Montecassino si ispira alla prima architettura cristiana e all’arte di Bisanzio.
La ricostruzione dell’antica basilica Martyrum, fondata da Sant’Ambrogio, coincide con la piena affermazione dell’autonomia comunale di Milano. Nel nuovo edificio, che conserva l’impianto a tre navate privo di transetto, il sistema di coperture con volte a crociera costolonate trova una delle soluzione più organiche di tutto il romanico europeo. Ai grandi pilastri a fascio che sorreggono le volte delle campate centrali si alternano pilastri minori, che ricevono le spinte di quelle laterali.
Del tutto in accordo con la tonalità dell’articolazione spaziale appare la facciata scandita da due ordini di arcate: quelle inferiori collegate agli altri tre lati del quadriportico, mentre quelle superiori, in rapporto con il profilo a capanna della copertura, appartengono a un loggiato che domina l’atrio monumentale, concepito come luogo di riunione per assemblee religiose o civili.
Altro grande centro di diffusione dell’arte romanica nella pianura Padana è il duomo di Modena fondato nel 1099 e voluto da tutto il popolo della città, con l’appoggio della contessa Matilde di Canossa. Architetto e costruttore dell’opera fu Lanfranco, il cui nome compare in una lapide. I lavori ebbero inizio quasi contemporaneamente dall’abside e dalla facciata, dove una seconda lapide ricorda il nome dello scultore Wiligelmo.
Privo di transetto e a tre navate concluse da absidi nel presbiterio sopraelevato, l’edificio presenta la scansione della navata centrale in quattro campate, sormontate da un loggiato con trifore. Più in alto si aprono nelle pareti alte e strette finestre, mentre la copertura era in origine a capriate lignee. L’articolazione spaziale si riflette all’esterno nelle scansioni delle pareti e della facciata, che presentano arcate cieche in continuità. Le sculture partecipano all’articolazione della facciata. In origine i quattro rilievi scolpiti da Wiligelmo con storie della Genesi erano probabilmente allineati ai lati del portale centrale, con protiro a due piani, dove compaiono per la prima volta i leoni stilofori.
Il portale presenta una leggerissima strombatura e manca di timpano scolpito. Sono invece decorate le fasce degli stipiti e dell’architrave con motivi a tralci di acanto e di vite, animati da figurine di vendemmiatori, da animali favolosi e da esseri mostruosi. Il motivo dell’intreccio vegetale evoca l’intrico della selva, mentre quello della vendemmia allude al paradiso. Dodici profeti entro edicole sono raffigurati all’interno degli stipiti; sui capitelli sono scolpite invece figure incurvate sotto il peso di massicce modanature. Altri rilievi, di cui non è certa l’originale collocazione, sono murati nella facciata e nel protiro: due figure di genietti alati appoggiati a fiaccole rovesciate, Sansone che vince il leone e altre immagini di animali.
Lo stile dei rilievi, come dei capitelli delle semicolonne e della galleria di facciata, manifesta caratteri fortemente unitari, che si differenziano da quelli dei capitelli della cripta, opere di maestranze lombarde.
Protagonista del rinnovamento del cantiere di scultura fu Wiligelmo, autore dei rilievi del portale e delle storie della Genesi, la cui raffigurazione assume toni di grande intensità grazie alla straordinaria varietà ed espressività dei gesti e delle figure. La ripresa di modelli antichi non si risolve mai per Wiligelmo dell’adozione di stereotipi, ma appare arricchita da un’attenta resa dei particolari. Nel nuovo repertorio gestuale e nella più sensibile modellazione dei volti, le immagini trovano un’immediatezza e una forza espressiva che corrisponde alle esigenze di comunicazione a tutto il popolo di fedeli, senza distinzione di cultura.

 

IL CANTIERE DELLA CHIESA ROMANICA


A partire dal VI secolo, al sensibile ridursi del numero di nuovi edifici di dimensioni grandiose si accompagna il graduale abbandono della tecnica costruttiva delle volte in opus coementicum, con il sempre più frequente impiego di coperture lignee. Mutano sia le dimensioni sia l’organizzazione del cantiere: non più masse di manovali ma piccoli gruppi di magistri che lavorano a erigere un settore della costruzione per volta.
La prima architettura non muta tale tipo di organizzazione. Tuttavia la necessità di accelerare i tempi di costruzione e soprattutto la crescente complessità strutturale riconducono a tipi di cantiere più simili a quelli della tarda antichità.
L’architetto Lanfranco è circondato da assistenti in atto di dirigere in un caso la posa delle fondamenta dell’edificio, in un altro l’apparecchiatura dei muri, dando origini alle maestranze, distinte in due categorie fondamentali: operarii e artificces. I primi appaiono impegnati nelle mansioni più semplici, mentre i secondi sono addetti alla rifinitura del taglio delle pietre.
Accanto al vero e proprio cantiere architettonico doveva esistere poi quello degli scultori. Inizialmente gli scultori non erano altro che un gruppo particolare di artifices ma nel corso dell’affermarsi della scultura monumentale si è determinata una situazione di crescente autonomia degli scultori che lavoravano il marmo.
Un capitello del portale meridionale di Santa Maria Maggiore a Bergamo pare confermare tale tipo di organizzazione.

 

ARTE ROMANICA E VIE DI PELLEGRINAGGIO

Nel corso del secolo XI la pratica dei pellegrinaggi verso santuari che custodivano preziose reliquie rifiorisce e si trasforma in un fenomeno sociale di vastissima portata.
Il pellegrinaggio costituisce per l’uomo medievale, oltre che un atto penitenziale ed espiatorio, lo strumento più efficace per assicurarsi la benevolenza e la protezione della divinità e dei santi.
Le principali vie di pellegrinaggio conducevano al sepolcro di Cristo a Gerusalemme, alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo a Roma e a quella dell’apostolo Giacomo a Compostella, in Galizia.
Venezia e le città costiere della Puglia, porti di imbarco per la Terrasanta, dopo la conquista di Gerusalemme da parte dei crociati, erano interessate dal primo di tali pellegrinaggi.
Le strade che dai passi alpini conducono a Roma sono costellate di importanti centri urbani che andavano acquistando grande floridezza e relativa autonomia politica.
Tra i pellegrinaggi europei, tuttavia, quello che costituì il fenomeno di più vasta portata nel secolo XI è il pellegrinaggio a Santiago di Compostella dove il vescovo Teodemiro, aveva miracolosamente ritrovato in una deserta e misteriosa zona cimiteriale la sepoltura dell’apostolo Giacomo. Giacomo che fu anche il primo degli apostoli a subire il martirio, secondo una tradizione bizantina si sarebbe spinto “peregrinando” verso le estreme regioni d’Occidente, per evangelizzare la penisola iberica, giungendo fino alle coste dell’Atlantico in Galizia.
Il pellegrinaggio a Compostela assume dimensioni impressionanti proprio a partire dal secolo XI dando vita a una vera e propria rete di strade con luoghi di raccolta e ospizi per i pellegrini.
Documento importantissimo è la Guida del pellegrino scritta dal chierico Aymery Picaud dove troviamo una puntuale descrizione delle diverse strade e delle tappe che conducono a Santiago. A Puente la Reina, in Navarra, confluivano i quattro “cammini” francesi.
Per ciascuna delle quattro vie la Guida elenca con precisione tutti i santuari e le reliquie cui il pellegrinaggio doveva rendere visita e omaggio.
Lo sviluppo della pratica del pellegrinaggio non mancò di dare grande slancio all’attività artistica. Il fenomeno più interessante di circolazione di idee e modelli è costituito dall’imporsi di un particolare tipo di pianta nelle grandi chiese di pellegrinaggio con eccezionale ampiezza del deambulatorio e del transetto, dotandolo di navate laterali e di accessi indipendenti dall’esterno, con portali monumentali.

 

IMMAGINI TEOFANICHE NEI TIMPANI

La decorazione dei timpani di portali con rilievi di carattere monumentale trova vasto sviluppo nelle chiese abbaziali e nelle cattedrali di alcune regioni francesi (Borgogna, Linguadoca, Dordogne) e della Spagna settentrionale.
L’immagine ha carattere teofanico e tende a farsi veicolo della soverchiante rivelazione della divina onnipotenza.
Uno dei più antichi timpani borgognoni è quello di Montceaux –l’Etoile.
Lo stesso motivo riappare in Linguadoca nel portale della chiesa abbaziale di Moissac dove trionfa la gigantesca rappresentazione della visione apocalittica di san Giovanni.
L’intonazione trionfale del timpano di Moissac trova eco in quello della chiesa abbaziale di Beaulieu, dove il Giudizio finale si caratterizza per una interpretazione accentuatamente “positiva” del tema: Cristo- giudice è immagine egloriosa e la grande croce disposta asimmetricamente alle sue spalle diviene simbolo di vittoria e di trionfo sulla morte e sulle forze del male. È assente qualsiasi accenno diretto all’inferno.
Il Giudizio trova a Beaulieu la sua più limpida rappresentazione.
Nel Giudizio di Autun l’iscrizione che tramanda il nome dello scultore Gislebertus ricorda l’onnipotenza del giudice divino e ammonisce gravemente gli spettatori. Il Paradiso come “castello” del signore giusto, è contrapposto all’Inferno- spelonca del malvagio. La figura frontale di Cristo- giudice domina potentemente tutta la rappresentazione.
A Vezelay il portale reca nel timpano la rappresentazione di Cristo in atto di affidare agli apostoli la missione di evangelizzare la terra. Lo stile “tragico e visionario” della scultura romanica borgognona trova qui il suo culmine.
Nell’archivolto sono scolpiti i segni zodiacali e figurazioni dei lavori dei mesi.
Riprendendo una simbologia tardo antica, sulla soglia del santuario Cristo è presentato come “consacratore” de i cicli naturali e delle opere dell’uomo, ma anche dei tempi e dei momenti dell’anno liturgico e segnando il varco verso il tempo “sacro” dell’eternità.
Per la sua posizione al culmine del semicerchio della lunetta, il simbolo allude anche all’ora meridiana come istante immobile della massima intensità luminosa, quella che consente appunto la visione di Dio “faccia a faccia” nel giorno dell’eternità.

 

ORIGINE DEL GOTICO IN FRANCIA E PRIMI RIFLESSI IN ITALIA


Il termine “gotico” passa nel XVI secolo ai trattati d’arte per definire, con accentuato disprezzo, edifici di tipo nordico, lontani dai “modelli classici”, nei quali la struttura portante di decorazioni apparentemente capricciose, prive della chiarezza di rapporti proporzionali e della razionalità predilette dagli architetti del Rinascimento. L’abolizione dell’aura negativa del termine è merito della rivalutazione operata dalla cultura europea in concomitanza con la diffusione di un vero e proprio revival di quello stile, il Neogotico. Il pregiudizio negativo lascia allora posto a un’acritica esaltazione. La cultura romantica riconosce, nel passato gotico, il primo formarsi di caratteristiche tipiche dei popoli e delle nazioni moderne; non mancano inoltre motivazioni religiose. Lo stile gotico infine, in quanto espressione delle nascenti monarchie nazionali, viene rivalutato dalle corti europee dell’età della Restaurazione.
Il Gotico, come il Romanico, è un fenomeno di portata europea e riguarda tutti i settori della produzione artistica. L’origine del nuovo stile viene in genere riconosciuta nel coro della chiesa abbaziale di Saint-Denis in Francia. Apparentemente l’arte gotica esprime lo slancio mistico di un’epoca ancora pervasa da una fortissima religiosità e che si avventura nei più complessi tentativi di interpretazione dell’universo. “Gotici” sono tanto il più artificioso distacco dalle forme naturali.
L’architettura gotica può apparire il frutto di perfezionamenti tecnici già presenti nell’arte romanica. Si apre però presto una frattura clamorosa tra i due “stili” per il mutare delle funzioni dell’arte e del ruolo e del prestigio sociale degli artefici.
Attorno al 1380 si riconosce una fase stilistica unitaria a livello europeo denominata “Gotico Internazionale”, o “Cortese”. A nord delle Alpi il Gotico si prolunga col “Tardo Gotico”, sino all’inizio del XVI secolo. In Italia la diffusione del nuovo stile coincide con un momento storico di straordinaria fioritura economica, culturale, civile. Dai primi anni del Duecento abbazie, basiliche, palazzi e castelli cominciano a mostrare i segni inequivocabili del nuovo modo di costruire nato in Francia nel secolo precedente.
In Italia risiedono l’imperatore e il papa, fioriscono i Comuni, si affermano le prime Signorie. Nasce e si sviluppa la letteratura in vogare che si afferma pienamente in Toscana, con gli Stilnovisti.
IL GOTICO NELL’ILE-DE-FRANCE
L’architettura gotica ha origine in Francia, nella regione circostante Parigi, poco prima metà del XII secolo.
La cattedrale o la chiesa abbaziale gotica francese è un edificio spesso di dimensioni colossali, slanciato e luminoso: è un complesso organismo in cui ogni membratura ha una precisa funzione statica. La cattedrale gotica richiama alla mente la costruzione teologica delle Summae della filosofia scolastica. La summa è uno schema del pensiero che affida alla logica il compito di organizzare i fenomeni in un sistema concettuale complesso. La prima affermazione dell’architettura gotica coincide con le prime formulazioni della Scolastica, entro la metà del XII secolo, con Gilbert de la Porrè e Abelardo. La massima fioritura del gotico nel XIII secolo è coeva all’attività dei più celebri Guglielmo di Auvergne, San Bonaventura, San Tommaso d’Acquino. La cattedrale gotica è una metafora del mondo: tende con una progressiva semplificazione a slanciarsi verso il cielo, come esprimendo l’anelito dell’anima a ricongiungersi con Dio. Le navate si innalzano ad altezze vertiginose sorrette da agili pilastri a fascio in cui si concentravano le nervature delle volte sospese a decine di metri dal suolo.
L’arco a sesto acuto è la forma caratteristica dell’architettura gotica, ha un ruolo essenziale nel ritmo verticale delle nuove costruzione e un’importantissima funzione statica.
A equilibrare le straordinarie spinte centrifughe delle volte provvedono, gli archi rampanti. Gli archi rampanti si allineano lungo le fiancate delle cattedrali. Allo slancio verticale conferito dalle proporzioni e dalle strutture dell’interno, corrisponde la forma esterna, coi tetti a ripidi spioventi, le torri, le guglie.
Nella cattedrale gotica francese, le pareti sono sostituite da vetrate istroriate, che hanno la funzione, assieme al rosone della facciata, di illuminare l’interno. La forte luminosità rientra nella simbologia religiosa, come testimoniano gli scritti di Suger , abate di Saint-Denis che ristruttura la sua chiesa abbaziale, proponendo col deambulatorio del coro la prima costruzione gotica francese. Suger ritiene che un edificio ecclesiastico assolva meglio il compito di onorare la divinità se è sontuoso e dotato di splendidi arredi. Il pensiero dell’abate si ricollega alle teorie dello pseudo dionigi, che aveva descritto l’universo come propagazione di luce emanata da Dio verso il mondo e la materia.
Il deambulatorio di Saint-Denis da accesso a cappelle. Del 1151, sono il coro, dominato dallo slancio degli archi a sesto acuto e la più tarda navata centrale.
L’esempio di Saint Denis è presto seguito nel resto dell’Ile de France. Alla prima fase del gotico, entro il 1200 appartiene Notre Dame a Parigi, a cinque navate con transetto e doppio deambulatorio, dove sono sperimentate nuove soluzioni tecniche , come la copertura del deambulatorio con volte a sezioni triangolari, all’esterno, l’introduzione degli archi rampanti a contenere le spinte delle poderose volte. La prima metà del XIII secolo è ritenuta la fase “classica” dell’architettura gotica francese, cui appartiene anche la cattedrale di Chartres, consacrata alla vergine, tra il 1194 e il 1230; la pianta è a tre navate, con transetto, doppio deambulatorio e cappelle radiali. La facciata è dominata dalle altissime torri e dai portali ornati da splendide sculture. Le pareti della navata centrale, presentano archi e vetrate di identica forma e misura. La massa muraria è eliminata a favore delle vetrate. Da Notre-Dame di Chartres discendono le cattedrali di Reims e di Amiens. Un modello coevo ma alternativo è proposto dalla cattedrale di Bourges, la cui pianta a cinque navate senza transetto e con doppio deambulatorio si ispira a Notre Dame di Parigi . All’interno, i pilastri della navata centrale si innalzano assai più che a Chartres lasciando spaziare lo sguardo verso le navate laterali. Ne risulta l’impressione di uno spazio molto vasto.
Una tendenza a uno svuotamento ancora più radicale delle pareti si manifesta in Francia verso la metà del Xlll sec., con la fase detta del “ Gotico Radiante”. Tale orientamento si afferma, oltre che nelle testate dei transetti di Notre-Dame a Parigi con gli immani rosoni e le gallerie comunicanti tramite vetrate con l’esterno, nella Sainte-Chapelle di Parigi fatta erigere da S. Luigi re di Francia come santuario palatino e come contenitore do preziose reliquie giunte da Bisanzio. Le pareti sono qui completamente abolite e sostituite da vetrate istoriate separate da sottili pilastri compositi: la leggerezza e la luminosità dell’interno non lascia trasparire la so lida ingabbiatura esterna dei possenti contrafforti.
Lo sviluppo della scultura gotica francese presenta almeno due fondamentali caratteristiche.
Anzitutto, al gusto enciclopedico delle summae, si collega la tendenza ad allestire degli schemi dottrinari di incredibili complessità, nei quali le figure e le scene sacre si connettono a personificazioni e allegorie riguardanti i più vari aspetti del pensiero della vita. Se la cattedrale è una imago mundi do pietra, anche lo scultore deve esporre il messaggio religioso, come il teologo. La decorazione del portale centrale della facciata occidentale di Notre-Dame a Parigi, che si dispiega maestosamente attorno alla lunetta del Giudizio Universale rende bene l’idea di questa tendenza enciclopedica spinta fino all’ossessione catalogatoria.
Parallelamente si assiste al trapasso dalla concezione romanica del rilievo come parte integrante delle membrature architettoniche a una nuova concezione basata su una maggiore autonomia delle figure plastiche rispetto all’architettura. La statua non fa più corpo con l’architettura, ma è “sovrapposta” a essa: acquista una potenzialità inedita d’individuazione e di movimento.
Nella facciata della cattedrale di Chartres i Re e le Regine d’Israele di allungata forma cilindrica sono colonne sagomate di aspetto antropomorfo da cui sporgono appena le braccia e i piedi. I panneggi increspano appena le superfici.
Un’ottantina d’anni più tardi le statue disposte nello strombo del portale centrale della cattedrale di Reims sono figure indipendenti, addossate alle colonne retrostanti ma di fatto distaccate da esse, atteggiate con naturalezza bilanciate da armoniosi contraposti. I panneggi non mascherano, ma rivelano le membra sottostanti. Si ha l’impressione di ammirare statue classiche.
La scultura francese si approssima lentamente a quella antica. Non si deve tuttavia definire “classico”lo stile di queste statue. Sembra pertanto più corretto parlare di “classicismo”, riconoscibile verso il 1220-50.

 

I CANTIERI ITALIANI NELLA PRIMA META’ DEL XIII SECOLO

In Italia l’architettura gotica stenta ad affermarsi.
La tradizione romanica è troppo forte e ben radicata per non opporre una forte resistenza alla penetrazione di nuovi modelli. In penisola l’affermazione di coerenti principi architettonici gotici non sarà disgiunta dal manifestarsi di ideologie aristocratiche. La penetrazione del Gotico dunque non soltanto è lenta, ma dà luogo a formulazioni moderate o romantico-gotiche che rifiutano l’esasperato slancio verticale.
Le prime chiese gotiche italiane nascono in contesti particolari come nel caso particolare delle costruzioni cistercensi.
Con l’ordine erige le prime abbazie gotiche italiane, tra la fine del XII e il XIII secolo, nel Nord e nell’Italia centrale.
Esemplare è il complesso di Fossanova nel Lazio, iniziato nel 1187 e consacrato nel 1206. La chiesa è a croce latina, con corpo basilicale a tre navate, transetto e coro per i monaci a testata rettilinea. All’esterno risaltano la compatta robustezza della costruzione intercalata dai contrafforti e l’altro tiburio ottagonale ornato da due piani di bifore e rialzato nella torre campanaria. I muri mantengono solidità e spessore; la navata centrale assume forte risalto: coperta da volte a crociera. Una sottile cornice divide le arcate laterali dalle finestre soprastanti, smorzando l’effetto di verticalità. L’edificio non ha né il dinamismo, né la luminosità delle grani cattedrali francesi. Una concezione non dissimile si afferma. È la costruzione dell’abbazia do San Galgano presso Siena, finanziata dall’imperatore Federico II, attualmente ridotta a un romantico rudere per il crollo delle volte; ma che attesta un’evoluzione dei primi modelli cistercensi in una formulazione più leggera per l’assottigliarsi dei pilastri e il moltiplicarsi delle fonti di luce.
Un caso precoce di committenza non cistercense è offerto dal Sant’Andrea di Vercelli, voluto e finanziato dal cardinale Guala Bicchieri. Francesi sono i monaci Sanvittorini e tra essi è Tommaso Gallo: rinomato maestro di teologia e filosofia, è celebrato anche come “ingegnere”. Forse è proprio Tomaso il progettista dell’edificio. Fondata nel 1219, l’abbazia è consacrata nel 1224 e conclusa nel 1227. Nella chiesa si armonizzano elementi gotici d’importazione e romanici italiani. Romanica: è la facciata a capanna coi tre portali inquadrati ad archi a tutto sesto e fortemente strombati e con la doppia galleria. Gotico è l’interno, a tre navate fiancheggiate da archi a sesto acuto retti da pilastri circolari cui sono addossate esili colonne. Le campate della navata centrale sono a pianta rettangolare; le volte a crociera scaricano il loro peso a terra tramite le lunghe colonnette addossate alle pareti. Al fianco nord è adiacente un ampio chiostro. La decorazione è completata dalle lunette a rilievo sopra i portali con la Crocifissione di sant’Andrea
Il precoce “goticismo”del battistero di Parma va visto in rapporto con le vicende personali e l’originale cultura del suo artefice, Benedetto Antelami. Benedetto conosce bene la tradizione romana padana. È già uno scultore di genio gli viene affidata l’erezione del battistero, dal 1196, concepisce un’opera di straordinaria originalità. Il battistero è un edificio ottagonale ma è sviluppato in altezza, come una torre tronca. Al piano terreno tre facce appaiono svuotare dai profondi strombi dei portali a tutto sesto ornati da rilievi. Verticalità ritmo complesso, proporzioni elaborate: sono tutte caratteristiche gotiche, ottenute tramite un repertorio di forme romaniche e classicheggianti. L’ottagono esterno si trasforma all’interno in una struttura a sedici facce, con nicchie al piano terreno e un’ampia cupola suddivisa a ombrello da nervature tubolari che si prolungano sino a terra trasformandosi in colonne sovrapposte: è questo il solo esplicito richiamo al gioco sottile delle membrature delle cattedrali transalpine.
La basilica di Sant’Antonio a Padova a tre navate, iniziata nel 1232 come monumentale custodia della tomba del santo, combina motivi romanici e gotici con un’impronta bizantina derivata dalla basilica di San Marco a Venezia. La facciata a capanna con galleria. All’esterno risaltano gli sporgenti contrafforti sviluppati come archi rampanti lungo le fiancate.
A Bologna i Francescani affidano a Marco da Brescia l’erezione di un’importante chiesa dedicata a san Francesco concepita a tre navate illuminata da strette finestre che ricordano quelle degli edifici cistercensi.
Nel quadro della diffusione del Gotico in Italia, particolare rilievo assume la basilica di San Francesco ad Assisi , centro irradiatore del francescanesimo, sia per le caratteristiche strutturali sia per le decorazioni. La chiesa è in primo luogo sepoltura del fondatore dell’Ordine, san Francesco, che si vuole diventi una meta di pellegrinaggio e un luogo di culto popolare. Per tradizione il sepolcro di un santo era posto in una cripta, ma qui si vuole che essa sia ampia quanto una chiesa: sono perciò costruite due chiese sovrapposte, la chiesa-cripta inferiore e la superiore finalizzata alla predicazione. Fondata da Gregorio IX nel 1228 e consacrata da Innocenzo IV nel 1253. Terminata la fase di distacco della curia romana nei confronti di un Ordine sospetto di eresia, il papato vede ormai nei francescani dei formidabili alleati religiosi e politici coi quali rinsaldare i legami allentati con i ceti popolari urbani. La basilica è anche una cappella papale e come tale riferibile ai modelli romantici.
Le due chiese di Assisi sono a una navata, all’esterno da lunghi contrafforti cilindrici e da archi rampanti. Nella chiesa inferiore la limpida struttura è complicata dall’aggiunta di un secondo transetto con funzioni di atrio e da cappelle. Nella chiesa superiore la navata è divisa in campate quadrate coperte da volte ogivali rette da altri pilastri a fascio addossati alle pareti. Gli archi a sesto acuto disposti attraverso la navata sono ortogonali agli arconi che scavano la fascia superiore, mentre la fascia inferiore delle pareti presenta una cortina muraria continua, interrotta soltanto dallo sporgere dei pilastri, pensato appositamente per essere ricoperta da decorazioni ad affresco. La basilica superiore è un capolavoro del Gotico italiano, ma non è priva di legami con l’architettura della Francia nord-occidentale, in particolare con la cattedrale di Angers.

 

BENEDETTO ANTELAMI E LA CULTURA FIGURATIVA IN ITALI SETTENTRIONALE

L’architetto del battistero di Parma Benedetto Antelami è il più importante scultore italiano attivo a cavallo tra il XII e il XIII secolo. Ispirandosi alla viva tradizione del Romanico padano fondata da Wiligelmo, ne riprende le fila e la rinnova.
La Deposizione di Antelami nella cattedrale di Parma datata 1178 attesta uno stacco decisivo per stile, tecnica e sensibilità. La superficie appare geometricamente definita da un bordo floreale realizzato niello rinforzato nel lato superiore dall’iscrizione con la data e la firma. La croce di Cristo divide il rilievo in due metà esatte ma tale divisione ha ance un valore simbolico, poiché il legno segna uno spartiacque tra i credenti e i non credenti.
Le figure non sono caratterizzate individualmente e i gesti sono convenzionali e ripetuti, ma i piedi poggiano saldamente sulla stretta lastra di base. Le proporzioni delle figure sono assottigliate: le capigliature, le barbe e i panneggi che accennano alla volumetria dei corpi sono definiti con fitti solchi. Memorabile è il gruppo di destra, dei soldati intenti a dividere la veste di Cristo.
Una ventina d’anni più tardi Antelami decora il battistero di Parma con il più spettacolare 1200. Le sculture rivestono gli stipiti e le lunghe degli ingressi, le pareti cieche esterne e nell’interno. L’ampiezza del programma iconografico dichiara il debito contratto con le complesse summae in immagini scolpite dei portali sono figurazioni della Leggenda di Baarlam. La figura issata su un albero e insidiata da un drago (il peccato) è metafora della precaria condizione dell’uomo nel mondo sottoposto ai ritmi del tempo, sull’albero è però un favo di miele, da cui il protagonista sugge un nettare dolcissimo: la salvezza spirituale del battesimo secondo un’interpretazione.
Il ciclo dei Mesi e delle Stagioni all’interno descrive la vita dell’uomo nei diversi periodi dell’anno. L’insistenza sulla raffigurazione del lavoro significa che esso non cade più sotto il segno della maledizione divina. Il tema dei Mesi offrì all’Antelami e ai suoi seguaci l’occasione di descrivere figure in atti quotidiani per illustrare la vita dell’uomo e il suo ambiente. Le figure di Antelami si stagliano quasi a tutto tondo sul fondo liscio, realisticamente fissate nelle pose e nei gesti: si veda con quanto vigore scultore descrive analiticamente. La sua scultura flette una rivoluzione del mondo anche dal pensiero religioso.
Un’importante personalità autonoma è il cosiddetto Maestro dei Mesi, che scolpisce attorno al 1220 una lunetta con adorazione dei Magi in San Mercuriale a Forlì e poco dopo, il ciclo dei mesi del museo della cattedrale di Ferrara. Si veda con quanta “verità” nel settembre sono illustrati i sottili fusti, i tralci e le foglie dell’uva, le fitte striature del cesto di vimini in cui il vendemmiatore raccoglie grappoli e con quanta solenne concentrazione questi esegue il suo lavoro. Nel Gennaio è addirittura recuperata la personificazione eponima classica del mese, il dio Giano bicefalo, raffigurato sulla scorta delle fonti antiche con un volto giovanile e l’altro senile e caratterizzato dalla lunga barba. Un altro anonimo seguace maestro, risulta attivo a Venezia, dove orchestra per il portale centrale della basilica di San Marco un complesso programma iconografico con i vivacissimi rilievi dei mesi.
Le attività di queste maestranze antelamiche si inserisce in un non più generale rinnovamento della basilica marciana. È questo il caso del mosaico Cristo sul monte degli ulivi, in cui la figura di Cristo, è atteggiata con naturalezza e maestosità, mentre gli apostoli sono definiti con tipologie diversificate e con espressive pose angolose riprese da prototipi gotici. Il paesaggio collinare, costituisce una quinta scenica credibile e susciterebbe un impressione di profondità spaziale se non fosse contraddetta dalla mancata diminuzione prospettica delle figure.

http://www.skuola.net/storia-arte/medioevo/storia-arte-medievale.html