LO
SVILUPPO ARCHITETTONICO DAI ROMANI AL ROMANICO (III-XIII SECOLO)
Trasformazione della spiritualità e ritratti
imperiali.
Nei primi anni del III secolo, si succedettero sovrani
appartenenti alla dinastia africana dei
Severi.
Dopo la morte dell’ultimo di questi, Severo Alessandro, si
assiste a una successione frenetica di imperatori, tra i quali
emersero alcuni personaggi di grande rilievo: Diocleziano,
Costantino, Teodosio.
Per lungo tempo gli storici definirono questo periodo come
“decadenza”. È stato notato come un esempio evidente di questa
concezione sia costituito dal grande dipinto di Thomas Couture I
Romani della decadenza.
Veniva considerata una decadenza morale,
politica e sociale, ma anche artistica. Tutta la tradizione
della
storia dell’arte vedeva in questo periodo la “crisi” della
concezione classica, la rottura con la forma organica,
razionale, naturalistica dell’arte
greca.
Una revisione critica della produzione artistica di questi
secoli ebbe inizio nel 1901, quando Alois Riegl pubblicò Arte
tardo-romana. Riegl riteneva che ogni periodo storico avesse una
sua Kunstwolen (volontà d’arte) e poiché non esiste tempo o
popolo senza idee o concezioni proprie, ogni arte è degna di
essere analizzata.
Queste categorie vengono applicate allo studio
dell’arte della cosiddetta “tardo antichità”. Successivamente
con Riegl, dunque, incominciò una rivalutazione del periodo in
questione, cioè la tarda antichità che viene oggi considerato
estremamente interessante in quanto momento di
congiunzione e di passaggio tra mondo antico e
Medioevo.
All’esterno, l’Impero sosteneva continue lotte sui confini
orientali e settentrionali, mentre all’interno, l’Impero mutò
profondamente la sua fisionomia perchè
Roma perse il suo carattere di città “centro del potere”.
Con la Constitutio antoniniana, promulgata da
Caracalla nel 212 d.C., furono dichiarati
cittadini
romani tutti gli uomini liberi abitanti sul
territorio dell’Impero.
Ma l’elemento più caratterizzante questa fase storica è
costituito dal quadro religioso. La tendenza verso nuove forme
di spiritualità è, infatti, evidente nella
filosofia di
Plotino; nel suo pensiero, definito neoplatonico, troviamo
la concezione del mondo inteso come emanazione dell’Uno, del
Dio: l’uomo può aspirare e deve tentare di tornare a Dio.
La tensione verso forme di religione monoteiste dominò tutto il
periodo.
Tra i diversi culti ebbe il sopravvento quello cristiano, prima
diffuso tra le classi più povere e poi sostenuto anche da gruppi
socialmente elevati. Nel 313
Costantino dichiarò libero il culto cristiano. Alla metà del
III secolo, testi orientali persiani, come la Cronaca di Seert,
parlano dello stato romano come di uno stato cristiano. Le
persecuzioni di alcuni imperatori e i tentativi, come quello
famoso di Giuliano l’Apostata, di rovesciare la situazione,
fallirono.
La testa colossale di Giordano III indica già il passaggio verso
un ritratto diverso da quello della tradizione romana.
Il volto del giovane imperatore che, posto sul trono a 16 anni
nel 238, venne ucciso tre anni dopo, è caratterizzato da uno
sguardo intenso che attrae l’attenzione di chi guarda. I capelli
a calotta sono resi con tagli nel marmo, così come i baffetti di
adolescente; il volto leggermente pingue contrasta con
l’intensità e la serietà dello sguardo. L’immagine che risulta è
quella di un fanciullo pensoso, precocemente maturo. Gli occhi
suggeriscono l’abitudine alla meditazione, alla ricerca
spirituale.
Eliogabalo, fanciullo della
dinastia dei Severi aveva inserito tra le cerimonie
imperiali l’adoratio del princeps. Il mutamento esprimeva gli
ultimi esiti di una lotta secolare combattuta tra
principe e Senato: colui che era stato primus inter pares,
posto a capo della res publica, si era ormai da tempo
trasformato, vincendo
la resistenza strenua del Senato, in signore, in dominus, in
grado di esercitare un potere sconfinato.
L’esito finale di questo processo appare chiaramente in opere
come la testa
di
Costantino
o il supposto ritratto di Costanzo II. Il volto assume una forma
plasticamente più semplice. Gli occhi, a volte smisuratamente
grandi, sono l’elemento centrale del ritratto; lo sguardo
intenso sembra fissare la realtà circostante da una dimensione
extraterrena.
Gli stessi elementi sono ravvisabili anche nei ritratti
monetali, come il profilo di Valente II sulla moneta del Museo
Romano di Brescia.
I lineamenti appaiono fortemente idealizzati,anche nell’immagine
di piccole dimensioni e la pettinatura risulta curatissima;
l’occhio è ingigantito e lo sguardo appare lontano. La forte
spiritualizzazione del soggetto ne rende talvolta difficile
l’identificazione come nel caso della testa di marmo degli
Uffizi a Firenze, considerata ritratto o di Valente o di
Valentiniano I.
Ciò che importa infatti non è più la rappresentazione
fisica e fisionomica di un particolare personaggio.
L’imperatore esprime con il proprio volto idealizzato il
concetto della santità del potere imperiale. Con il
Cristianesimo l’imperatore non fu più dio, ma emanazione,
riflesso della divinità stessa. E perciò, nell’etichetta di
corte, la sua veste era definita sacra, come sacri erano i suoi
fianchi. La fissità dei ritratti imperiali riflette con evidenza
il cerimoniale di corte, che prevedeva l’assoluta immobilità del
principe, divenuto tangibile raffigurazione del divino.
Monumenti imperiali e rilievi celebrativi
Nel III secolo,
Roma si arricchiva delle costruzioni volute dagli imperatori
Severi: una delle più importanti è l’arco posto sotto il
Campidoglio.
Il monumento venne eretto tra il 202 e il 203 d.C. A tre fornici
era probabilmente ornato da gruppi scultorei che ne costituivano
il coronamento. Fu costruito per onorare le vittorie di Settimio
Severo contro i Parti e i quattro grandi pannelli, due per
fronte, posti sugli archi minori, narrano gli avvenimenti
principali delle guerre partiche . Singolare è la disposizione
degli episodi raffiguranti , che si succedono in ordine
cronologico e vanno letti dal basso verso l’alto, su fasce
sovrapposte. È probabile che questo schema di narrazione sia
stato suggerito dalle opere della pittura trionfale, come i
dipinti che illustravano le vittoriose campagne contro i Parti.
È anche interessante notare un chiaro riferimento alla scultura
della colonna aureliana.
Il quarto pannello presenta la raffigurazione dell’assedio e
della presa della città da Ctesifonte . Il maestro che eseguì
questo rilievo, fece largo uso del trapano, creando nel marmo
zone ombreggiate che si alternano ad altre in
luce, ottenendo quell’effetto “coloristico”. Nuova e
originale è la rappresentazione della figura umana, che non
appare più nell’individuazione della visione greca, ma in masse.
L’immagine di Settimio Severo circondato dai suoi generali,
impegnato nella adlocutio dopo la vittoria, sovrasta, quasi come
un’apparizione divina, la massa dei
soldati.
Un elemento rivelatore per comprendere lo sviluppo di
Roma in questa fase è da individuare nella costruzione della
nuova cinta muraria. Aureliano, imperatore dal 270 al 275, regnò
in un momento storico difficile e travagliato. I confini del
Danubio erano stati travolti e per la prima volta i barbari
erano arrivati fino al lago di Garda e gli Appennini; in Oriente
si svolgeva l’aspra lotta contro Zenobia, regna di Palmira. In
questa situazione Aureliano decise di cingere
Roma di mura, che vennero costruite tra il 271 e il 275.
Roma perdeva il suo carattere di “città aperta”.
Nel 315 venne terminata la costruzione dell’arco eretto vicino
al Colosseo per festeggiare il decennale dell’Impero di
Costantino; il monumento a tre fornici con colonne sostenute
da plinti su ogni facciata, è ornato da sculture che
appartengono a periodi differenti, rilievi dell’età Adriano e
Marco Aurelio, nei quali i ritratti degli imperatori sono stati
sostituiti dalle immagini di
Costantino.
Il riuso di pezzi antichi per monumenti moderni.
Al IV secolo appartiene il lungo fregio posto subito sotto il
livello dei tondi adrianei che corre sulle fronti e sui fianchi
dell’arco. Vi è narrata la conquista del potere da parte di
Costantino, dalla partenza di Milano, all’arrivo e alla
proclamazione a capo assoluto dell’Impero, dopo le vittorie di
Verona e del ponte Milvio. Nel famoso rilievo con la adlocutio,
la figura dell’imperatore, al centro della tribuna, è più alta
rispetto alle altre e in posizione rigidamente frontale, come
una divinità che si mostra ai fedeli. La figura umana assume
diverse dimensioni a seconda dell’importanza, del rango e del
grado di sacralità. Viene fatto uso della “prospettiva
ribaltata”, che determina l’allineamento di figure ed
elementi architettonici su un'unica superficie.
Tecnicamente il rilievo è eseguito con l’uso del trapano, che
accentua la scansione delle figure, creando profondi solchi
d’ombra. Questi rilievi per lungo tempo furono ritenuti
l’esempio più chiaro della decadenza della scultura romana nella
(tarda antichità) . Il fregio mostra profondissimi mutamenti
rispetto alle convensioni di rappresentazioni “classiche” ,
tuttavia non si presenta come una novità assoluta. Il quarto
secolo vide anche la costruzione dei primi edifici cristiani,
realizzati per onorare i martiri e per rendere la città un
importante sede episcopale. Basiliche, battisteri, mausolei e
martyria vennero edificati all’interno e all’esterno delle mura
cittadine. Un primo segno può forse riconoscerci nella
costruzione delle porticus maximae, che percorrevano il tratto
tra il Campo Marzio e il ponte Neroniano, in chiara direzione
della basilica e della tomba di San Pietro. Sotto il pontificato
di felice IV vennero erette le due chiese dei SS Cosma e Damiano
e di S. Maria Antiqua nel Foro romano; la città non era più
capitale imperiale ma non aveva comunque perso la propria
centralità nella
storia dell’Occidente: era divenuta capitale del mondo
cristiano.
LA PRIMA ARTE CRISTIANA
I luoghi di sepoltura
Prima della liberazione del culto, sancita dall’Editto di
Costantino nel 313, le dottrine cristiane trovano diffusione
in forma clandestina, mentre le comunità vengono sottoposte a
persecuzione da parte dell’autorità imperiale.
A
Roma il
messaggio cristiano si diffonde all’interno e per tramite
della minoranza giuridica che mantiene rapporti commerciali e
culturali con la
Palestina.
San Paolo, giunto a
Roma, è accolto ad una comunità cristiana già organizzata.
Il verbo evangelico trova inizialmente adepti tra gli
appartenenti alle classi economicamente più depresse e
progressivamente coinvolge anche i ricchi, i quali mettono le
loro abitazioni a disposizione dei fedeli come luogo clandestino
di riunione e di culto, le
domus ecclesiae. Si formano così nella città i tituli,
simili alle moderne parrocchie. Poi, nel corso del IV secolo,
l’area sulla quale essi sorgono viene coperta dalla costruzione
delle basiliche.
La fede nella resurrezione del corpo porta i cristiani
all’abbandono della cremazione in favore dell’inumazione dei
defunti in luoghi di sepoltura sotterranei.
Per i cristiani esistono due tipi di sepolcreti: alle
catacombe, si affiancano i cimiteri in superficie.
Il termine “catacomba” deriva dal
greco kata kymbas che significa “presso le grotte”, in
riferimento a un luogo di sepoltura nel quale, in seguito,
sorgerà la Basilica Apostolarum.
Le
catacombe rimangono luoghi di pellegrinaggio dove venerare i
corpi dei santi fino al IX secolo quando, vengono traslati nelle
basiliche.
L’uso dell’inumazione sotterranea non è solo cristiano, come
documentato dall’esistenza
di ipogei pagani.
Nel III secolo la
Chiesa divide la città di
Roma in sette regioni; a ognuna di queste corrisponde, fuori
delle mura, una zona catacombale.
Le gallerie, scavate in piani sovrapposti, oggi dette
“ambulacri”, in antico sono chiamate criptae. Talora ai lati
delle gallerie di aprono camere sepolcrali più vaste, i
“cubicoli” dove sono inumati i cristiani più facoltosi. I
sepolcri sovrapposti sono detti loculi.
La produzione artistica della prima cristianità a noi giunta
consiste prevalentemente in immagini di carattere funerario.
Occorre ricordare, tra gli oggetti legati al culto dei morti, i
vetri dipinti detti “fondi d’oro” perché ottenuti da fondi di
bicchiere. La loro produzione si estende dal III al IV secolo.
Altri oggetti sono avori e gli oggetti in metallo prezioso:
calici di legno e, soprattutto, lucerne di terracotta.
Le persistenze: arte cristiana e arte pagana/arte cristiana e
arte giudaica.
L’arte cristiana mira alla trasmissione di contenuti del
messaggio evangelico, adottando un linguaggio figurativo che
ispira sia alla cultura pagana, sia a quella orientale giudaica.
Le pitture cristiane delle
catacombe, per la maggior parte ispirate al Vecchio
Testamento, predominano su quelle evangeliche, a causa
dell’origine ebraica delle prime preghiere cristiane e a
testimonianza dello scambio in atto tra la cultura ebraica e
quella cristiana.
L’arte non è più ancorata come in età classica a
un’interpretazione, oggettiva della realtà, ma sceglie una
lettura simbolica della stessa.
L’arte cristiana primitiva viene definita “arte
romana cristianizzata”.
L’origine del
Cristianesimo in area culturalmente ebraica giustifica la
rarità delle testimonianze figurative fino al III secolo. Nel
rispetto del divieto di rappresentare Dio diventa necessario
trovare immagini che senza “riprodurre” la divinità “alludano” a
essa, ne siano il “simbolo”.
La diffusione del
cristianesimo nel III-IV secolo incoraggia la maggior
tolleranza ebraica verso l’uso di immagini che illustrino i
fatti biblici.
La pittura ebraica e quella cristiana rinunciano alla
caratterizzazione naturalistica della figura umana in favore
della stilizzazione formale, che allude al mondo dello spirito a
prescindere dall’armonia e dalla verosimiglianza
fisica delle forme.
Simbolismo e narrazione
Simbolismo e narrazione sono le due forme espressive proprie
dell’arte cristiana primitiva: nei secoli che precedono
l’ufficializzazione del culto prevale la forma simbolica. La
forma narrativa, invece si sviluppa a partire dall’Editto di
Costantino. Dal IV secolo forma simbolica e forma narrativa
procedono parallelamente. La spiritualità cristiana apporta una
nuova tensione verso l’infinito
che l’arte cerca di esprimere attraverso il simbolo, atto a
cogliere una realtà metafisica. L’agnello dell’iconografia
cristiana non interessa nella sua identità animale, ma è
metafora del sacrificio di Cristo. Successivamente ai simboli
del Cristo come l’Agnello o il Buon Pastore si affiancano le
raffigurazioni dirette della sua persona.
La ragione dell’acquisita libertà di rappresentazione
dell’immagine di Dio è insita nella natura stessa del Cristo,
divina e insieme umana.
L’immagine viene, perciò, ribaltata come strumento della
narrazione dei fatti salienti della vita di Cristo, anche in
conseguenza della politica che celebra l’Impero attraverso la
glorificazione di Cristo. Sempre più stretto diverrà, infatti,
il sodalizio tra Impero e
Chiesa, quando dal V secolo in poi, la cristianità sarà
eletta a baluardi del mondo “civilizzato” contro i barbari
invasori. Si affianca dal IV secolo, nei mosaici che decorano le
basiliche, il cristo con le insegne regali che riprende
l’iconografia imperiale romana della traditio legis.
Tra III e IV secolo l’evoluzione
delle arti figurative appare segnata dalla volontà di non
limitarsi alla “rappresentazione” della realtà
fisica, ma di “suggerire” una realtà che trascenda il mondo
naturale.
I primi documenti dell’arte cristiana primitiva risalgono al III
secolo. La quasi totale mancanza di testimonianze figurative nei
primi secoli è imputabile al divieto giudaico di rappresentare
la divinità.
Le testimonianze più consistenti della pittura parietale “a
fresco” sono conservate nei luoghi di sepoltura, mentre sono
molto rare quelle rinvenute in altri ambienti. Tra queste
ricordiamo gli affreschi delle
domus ecclesiae di Dura Europos. Solo a partire dal IV
secolo la decorazione parietale a mosaico si diffonde nelle
basiliche.
Nella loro fase iniziale, le pitture conservano vivo il ricordo
del
naturalismo e del decorativismo di origine
greco-romana: quelle della Catacomba di Pretestato ne
offrono un esempio negli uccelli dell’arcosolio della camera
superiore; pur mantenendo la freschezza, mostrano un tratto
pittorico più rapido e schemi compositivi più rigidi. Questa
rapidità disegnativa è molto evidente nell’episodio della
Samaritana in San Callisto.
La frequente ispirazione dell’arte cristiana a motivi della
romanità è confermata nella Catacomba dei SS. Pietro e
Marcellino del Banchetto eucaristico: l’agapè della tradizione
pagana nell’iconografia cristiana diventa commemorazione dell’ultima
cena di Cristo.
Anche nel caso dell’agapè, la resa sintetica e la fluidità di
movimento delle figure intervengono in modo originale. Lo stesso
avviene nel Sarcofago di Baebia Hertofila nel quale è
rappresentata la moltiplicazione dei pani e dei pesci che
richiama alla memoria l’iconografia dell’Ultima
Cena.
Ci troviamo di fronte a una sorta di “abbreviazione” formale che
interessa la pittura come la scultura.
Appare evidente la continuità di rappresentazione del sarcofago
del Museo Laterano: nelle colonne, infatti, gli episodi della
storia romana sono svolti ininterrottamente, seguendo la
successione
temporale e logica degli accadimenti narrativi.
L’eliminazione del paesaggio e dell’architettura
dallo sfondo favorisce l’essenzialità della rappresentazione.
Intorno al IV secolo il processo di sfaldamento formale della
tecnica impressionistica giunge a maturazione. Nonostante la
positura del Mosè che percuote la roccia della Catacomba dei SS
Pietro e Marcellino mantenga una certa scioltezza, notiamo sul
volto del profeta il colore steso a macchie chiare contrapposte
a tocchi più scuri e l’abbreviazione del tratto che sposta
l’accento dalla descrizione dei dati fisionomici all’espressione
del personaggio, come nel caso analogo del sarcofago di Baebia
Hetrofila e nella Guarigione dell’emorroissa.
Confrontiamo la figura dell’Orante del Cimitero Maggiore con
quella della catacomba dei Giordani di età costantiniana: la
seconda ha acquistato maggior ieraticità rispetto alla prima,
grazia alla positura frontale e all’accentuazione dei grandi
occhi.
La critica novecentesca ha introdotto nella definizione
stilistica dell’arte cristiana antica il termine “espressionismo”,
per indicare un modo di rappresentare che si allontana dalla
forma naturalistica in senso stretto, rafforzando il valore
evocativo della linea e del colore. In età antica, è la
spiritualità ad essere espressa. L’ideale umano della società
del III secolo muta orientamento: la raggiunta sobrietà
figurativa sembra cedere nuovamente il passo a composizioni più
complesse.
Dalla fine dell’età costantiniana fino al V secolo si delinea un
prevalente ritorno al classicismo.
Nel corso dei secoli è possibile individuare diverse rinascenze
e, molto spesso, questo è motivato dal bisogno di trovare
stabilità nel passato. Un caso è quello dell’imperatore Giuliano
L’Apostata, che restaura il culto pagano rinnegando il
Cristianesimo, fautore di un’arte classicheggiante, tesa al
recupero figurativo di un passato vagheggiato in ambito
politico. Anche i rilievi scultorei si appropriano di modi
“pittorici” che tendono a ridurre la tridimensionalità. Questo
procedimento acquista grande evidenza nel particolare della
Scena di vendemmia del sarcofago di San Lorenzo fuori Le Mura
che raffigura putti alati con tralci e grappoli d’uva; il
rilievo schiacciato e il tratto lineare appiattiscono la forma
che risulta quasi disegnata. L’arte cristiana primitiva non si
adegua passivamente ai mutamenti formali in atto nel mondo tardo
antico, ma interviene sulla loro
evoluzione in modo originale. Tale linguaggio sarà elaborato
e portato a compimento dall’arte
bizantina
LE NUOVE CAPITALI DELL’IMPERO
COSTANTINOPOLI
L’8 novembre del 324 ebbe luogo la cerimonia della consecration
della nuova capitale che
Costantino intendeva edificare sulle rive del Bosforo.
Secondo le fonti l’imperatore stesso tracciò il perimetro delle
mura urbane.
Costantino si sentiva sempre più investito della missione
divina di diffondere la fede in un impero pacificato e unito che
richiedeva una capitale ed era pienamente consapevole dei gravi
disagi e inconvenienti che comportava la pratica di spostare
frequentemente la sede della corte imperiale, del comando
militare e degli organi di
governo.
La nuova
Roma non poteva identificarsi con l’antica. La scelta cadde
su di un promontorio del mar di Marmara sulla cui estremità
orientale sorgeva una piccola e antica città greca: Bisanzio, un
luogo facilmente difendibile che domina gli stretti del Bosforo
e dei Dardanelli, dotato di eccellenti vie di
comunicazione terrestri e marittime verso tutti i principali
territori dell’impero. Il palazzo e le sedi del
governo vennero situati nella parte romana dell’antica
città, ma l’unico edificio di età costantiniana sopravvissuto è
l’Ippodromo che ebbe priorità assoluta, insieme alle mura, nel
programma di costruzione. L’Ippodromo era considerato luogo per
eccellenza della “epifania imperiale”. A pianta circolare,
racchiuso da colonnati a doppio ordine, aveva al centro una
colonna, con alla sommità la statua bronzea di
Costantino, rappresentato come Helios, che si ergeva su uno
zoccolo racchiuso in un piccolo edificio santuario dove si
celebrava la messa. Il culto dell’imperatore doveva raggiungere
il culmine in una costruzione religiosa; una delle chiese da lui
fatta erigere è la Sapienza Divina (Santa Sofia). Santa Sofia
venne interamente ricostruita dopo il 532, all’epoca di
Giustiniano, ma dalle fonti sappiamo che si trattava di un
edificio splendido e grandioso.
L’unica
chiesa iniziata e completata da
Costantino nella sua nuova capitale fu quella dei Santi
Apostoli, concepita come suo mausoleo nel punto più alto della
città. Le fonti di epoca costantiniana la descrivono come una
vasta e splendida costruzione a croce greca, che sorgeva entro
un cortile con portici colonnati, esedre e fontane, con annessi
edifici termali e una vera e propria residenza imperiale.
All’interno era la tomba dell’imperatore, sopra la quale
Costantino stesso aveva disposto che venisse celebrato
quotidianamente il sacrificio eucaristico, circondata dalle
sacre stelai dei dodici apostoli. Tutto appare concepito per
trasformare il luogo della sua sepoltura in meta di
pellegrinaggio.
La nuova capitale dell’impero cristiano appare così articolata
intorno ai tre luoghi deputati al culto imperiale: il palazzo
con annesso ippodromo, il foro con la colonna onoraria e
l’immagine divinizzata, la
chiesa-mausoleo. Alla morte di
Costantino fu coniata una medaglia che celebrasse la sua
consecratio, la sua assunzione tra gli dei.
Costantino è presentato su una quadriga diretta verso il
cielo da cui si tende verso di lui la mano di Dio.
Per lungo tempo la nuova capitale non fu in grado di competere
con
Roma, ma la sua crescita proseguì a opera di Teodosio I e
dei suoi discendenti, con il progressivo, inarrestabile declino
di
Roma, e più tardi di Antiochia e della stessa Alessandria.
Con gli imperatori Anastasio e Giustino, Bisanzio divenne la più
grande città di tutto il mondo mediterraneo. Vanno ricordate,
tra le principali imprese architettoniche dei secoli V e VI, le
grandi cisterne di Gerabatan Serai e di Bin bir Direk, con
foreste di colonne che sorreggono archi e volte e le mura di cui
Teodosio II iniziò la costruzione in sostituzione della
primitiva cinta dell’età di
Costantino.
Secondo Procopio di Cesarea le grandi imprese architettoniche
rivestivano per l’imperatore la medesima importanza e il
medesimo peso politico della
restaurazione dell’ortodossia religiosa, della codificazione
del
diritto o della riconquista dei territori occidentali
dell’antico
Impero romano. Lo splendore delle imprese architettoniche
era concepito da Giustiniano come instrumentum imperii,
manifestazione primaria della sacralità del potere imperiale
all’interno come all’esterno dell’Impero.
In Santa Sofia la cupola sovrasta lo spazio rettangolare della
navata centrale mentre nella
chiesa dei Santi Sergio e Bacco si eleva su otto pilastri
ricoprendo un vano più decisamente centralizzato.
Con gli edifici giustinianei la struttura a pianta centrale
viene portata a scala monumentale e le grandiose dimensioni
unitamente allo splendore dei materiali e della decorazione,
conducono all’affermazione di un nuovo tipo di costruzione
religiosa. Gli orientamenti stilistici prevalenti nell’arte
tardo-antica trovano pieno riscontro anche nell’attività degli
artisti di Costantinopoli tra il V e il VI secolo.
Nei rilievi della base dell’obelisco portato a Costantinopoli da
Karnak l’imperatore Teodosio I è raffigurato mentre assiste ai
giochi da un palco.
Alla rigida frontalità delle immagini “ufficiali”, in contrasto
con la vivacità di movimento degli attori e delle danzatrici
nell’arena, si accompagna il venir meno dei rapporti spaziali in
favore di una rappresentazione che privilegia rapporti di
carattere gerarchico.
Simili caratteri stilistici sono riconoscibili in opere come il
Missorium raffigurante Teodosio con Valentiniano II e Adriano,
in occasione della investitura di un alto dignitario
Se nelle rappresentazioni imperiali e di carattere ufficiale è
in genere possibile seguire un processo graduale di
schematizzazione e di irrigidimento verso immagini più
sensibili; sono gli effetti della renovatio, nel senso di una
sempre più consapevole ripresa di modelli classici.
Il significato più autentico della renovatio si coglie tuttavia
nel modo più evidente in opere di carattere profano, come i
mosaici pavimentali di un grande cortile porticato del palazzo
imperiale con scene di derivazione bucolica.
MILANO
Milano sorgeva all’incrocio strategico di tutte le strade che
portavano ai centri più importanti dell’Italia
e dell’Europa.
Sembra che la città sia stata fondata dei Galli; l’aspetto
urbano più antico conosciuto è quello romano. Milano aveva il
suo foro nella zona dell’odierna piazza San Sepolcro. Una cinta
di mura racchiudeva una estensione corrispondente grosso modo a
quello che oggi è il centro storico. Con la Tetrarchia, voluta
da Diocleziano, la città divenne capitale imperiale. Nel 313 con
l’Editto di Milano, che proclamava la libertà di culto per i
cristiani, la città incominciò a subire profonde trasformazioni.
Venne costruita la basilica e Santa Tecla (IV secolo). Si
trattava di una basilica a cinque navate .
La basilica di San Lorenzo, ricostruita successivamente ma
sempre sulla piana della
chiesa più antica, presenta un quadriportico di accesso
realizzato con colonne di riuso. La pianta è centrale, quadrata,
con gli angoli rinforzati da torri. Su ogni lato della
costruzione si apre un’esedra, che dà accesso a un mausoleo;
sembra che si trattasse di una basilica palatina collegata al
palazzo dell’imperatore, è probabile che la basilica fosse
vicina al palazzo.
La grande personalità che determinò l’aspetto della città
cristiana fu Sant’Ambrogio. Nominavo vescovo a 34 anni resse
tale carica fino alla morte. A lui si deve, probabilmente, la
costruzione del primo battistero. Inoltre il vescovo cinse la
città di chiese, costruite al di fuori delle mura.
La Basilica Martyrum si elevava dove ora sorge la costruzione
romanica di Sant’Ambrogio e nel 386 aveva tre navate e in
seguito vi fu sepolto lo stesso santo.
La Basilica Apostolorum poi divenuta San Nazaro presentava una
pianta a croce, movimentata da absidiole sui bracci laterali. La
planimetria si ricollega a quella della
chiesa dedicata agli Apostoli in Costantinopoli.
Anche la terza
chiesa, la Basilica Virginium aveva pianta cruciforme, ma
con il braccio del coro molto ridotto.
RAVENNA
Alla morte di Teodosio l’Impero venne diviso in due parti:
l’Oriente, con capitale Costantinopoli fu governato da Arcadio,
mentre l’occidente toccò a Onorio. Sotto la minaccia di Alarico,
re dei Visigoti, la capitale venne spostata da Milano a
Ravenna che era cura dall’attacco dei barbari.
Ravenna era strettamente unita al porto di Classe fu un
importante centro di diffusione del
Cristianesimo e vi fu infatti stabilita la sede
arcivescovile. Alla fine del IV secolo è databile il
trasferimento della cattedra vescovile da Classe a
Ravenna. La cattedrale era dedicata alla aghia anastasis
(santa resurrezione); di essa oggi non resta quasi nulla, anche
se possiamo riconoscerne quasi nulla anche se possiamo
riconoscerne la pianta, a cinque navata priva di transetto. In
questa stessa fase venne costruito anche il battistero annesso
alla cattedrale. Di forma ottagonale, presenta l’esterno in
semplice laterizio. Il soffitto venne sostituito da una cupola
del V secolo ricca di mosaici.
Nella decorazione si affermano le tendenze che saranno tipiche
delle prime fasi del mosaico ravennate. Le immagini presentano
ancora una somiglianza con l’ambiente
romano ma monumentalità delle figure trovano la loro radice nel
mondo artistico e bizantino.
Ravenna visse una grande stagione artistica sotto la guida
di Galla Placidia, reggente d’Occidente. Venne allora intrapresa
la trasformazione della città con l’intento di rendere
Ravenna una capitale splendida. C’è l’incertezza circa la
collocazione del Palazzo imperiale. Secondo le più recenti
ipotesi esso doveva trovarsi nella zona della città, vicino al
cosiddetto Palazzo di Teodorico. Nelle vicinanze, Galla Placidia
fece costruire la
chiesa di San Giovanni Evangelista. La
chiesa è a tre navate e aveva interessanti mosaici.
Importante è notare la presenza di due ambienti rettangolari che
chiudono le navatelle ai lati dell’abside.
Di questa fase è anche il cosiddetto Mausoleo di Galla Placidia.
Il mausoleo, che la tradizione vuole riservato a Galla Placidia
era forse un sacello dedicato a San Lorenzo.
La pianta è a croce latina; l’esterno, in semplice laterizio,
contrasta fortemente con lo sfarzoso interno ornato da mosaici.
La decorazione si presenta sfavillante di
colori, dominata dalla grande croce circondata da stelle
della cupola. Spiccano le due lunette a sud e a nord, con le
celebri raffigurazioni di San Lorenzo e del Buon Pastore.
Cristo è raffigurato imberbe seduto su una roccia mentre tutte
le pecore si rivolgono verso di lui. La raffigurazione manifesta
decisi rapporti con la tradizione naturalistica dell’arte
antica. D’altra parte, elementi di valore simbolico, come i
cervi, le colombe indicano invece il
nuovo mondo artistico, nato dalla cultura cristiana. Colore
dominante è l’azzurro.
Nel 476,
Odoacre, re degli Eruli, depose l’imperatore Romolo
Augustolo; questo evento fu assunto in seguito come data
convenzionale per dividere l’età antica dal
Medioevo.
La parentesi del regno di
Odoacre fu interrotta dall’arrivo di Teodorico, re dei Goti.
Teodorico trascorse la prima parte della sua vita come ostaggio
alla corte di Bisanzio, dove completò la propria educazione che
ricevette una impronta classica. Teodorico nel 493 assunse il
potere sui territori italiani. Organizzò il suo regno in modo
molto diverso da quello dei regni barbarici. Pur mantenendo
sempre popoli.
Ravenna venne creato un nuovo quartiere riservato ai Goti
con al centro il palazzo, Teodorico fece realizzare la basilica
oggi chiamata Sant’Apollinare Nuovo che allora era dedicata al
Salvatore. La costruzione, a tre navate, presenta abside
poligonale all’esterno.
L’illuminazione è diffusa da finestre che non sono disposta
centrale, ma anche nelle pareti delle navatelle. Le colonne con
capitelli corinzi provenienti Bisanzio, presentano, tra
capitello e attacco dell’arco, il pulvino, elemento
architettonico di derivazione bizantina, costruito da un tronco
di piramide rovesciata.
Ricchissima è l’ornamentazione a mosaico della
chiesa, divisa in tre fasce. In quella più alta sono
raffigurati episodi della vita di Cristo, motivo allegorico
costituito da un padiglione con due colombe. Nei mosaici di
Sant’Apollinare Nuovo si incominciano a notare profondi
mutamenti rispetto a quelli del tempo di Gallia Placidia.
L’immagine risulta fortemente ieratica. Altro elemento
caratteristico del racconto è costituito dalle proporzioni
gerarchiche, proprie della tradizione romana dell’arte plebea.
Su tutto domina lo sfarzoso fondo oro che crea un’ambientazione
non naturale, una dimensione ultraterrena.
Nella fascia intermedia compaiono figure di profeti o santi.
L’ultima fascia presenta una ricca decorazione. Alla fase
teodoricana vanno assegnate le rappresentazioni del Porto di
Classe e del Palazzo di Teodorico a
Ravenna che mostrano entrambe una prospettiva non
naturalistica: il porto di Classe appare visto “a volo
d’uccello”. Tra gli intercolumni dell’atrio, comparivano figure
che in seguito vennero sostituire da tende; queste immagini
probabilmente rappresentavano Teodorico e personaggi della sua
corte. Dopo la morte di Teodorico la
chiesa venne riconciliata al culto cattolico. In seguito
venne dedicata a Sant’Apollinare, protovescovo di
Ravenna.
A
Ravenna Teodorico fece costruire anche il proprio mausoleo
Nella necropoli riservata ai Goti. Si tratta dell’unica
costruzione ravennate realizzata in pietra d’Istria ben
lavorata, la cui concezione va ricondotta alla tradizione
architettonica dei mausolei
romani a pianta centrale. L’esterno è decagonale, mentre
all’interno l’ambiente
è circolare. Il soffitto dell’edificio è costituito da un’ unica
grande pietra monolitica. Particolarmente interessante è la
fascia di decorazione che circonda la cupola: il motivo a
tenaglia che vi compare trova riscontro nell’oreficeria gotica.
Con la morte di Teodorico si aprì un periodo politicamente molto
travagliato per la città. I rapporti tra Goti e Bisanzio si
erano andati deteriorando per l’intolleranza degli imperatori
bizantini verso gli Ariani. Con la salita al potere di
Giustiniano, la situazione sfociò nella cosiddetta guerra
gotico-bizantina che si concluse con la vittoria di
Giustiniano e quindi con l’ubicazione degli Imperi d’Oriente e
Occidente. Nel 554, con la Prammatica sanzione, Giustiniano
costituì la Prefettura d’Italia,
della quale la capitale fu
Ravenna.
Al vescovo Agnello vennero donati per decreto imperiale tutti i
beni della
chiesa ariana. Egli riconciliò al culto cattolico tutti gli
edifici religiosi goti come accadde in Sant’Apollinare Nuovo.
Vennero cancellati i personaggi che ornavano il Palatium di
Teodorico e aggiunge le due famose teorie di Santi Martiri e di
Sante Vergini che si dirigono verso Maria in trono con il
bambino in braccio tra gli angeli.
Le immagini sempre più solenni e ieratiche si stagliano su un
abbacinante fondo d’oro e mostrano una sempre più stretta
adesione ai modi dell’arte
bizantina. Ma la grande e completa espressione dell’arte di
questa fase è senz’altro costituita dalla
chiesa di San Vitale edificata vicino al complesso
monumentale che comprendeva il mausoleo di Galla Placidia.
Iniziata sotto il vescovo Ecclesio la costruzione fu proseguita
dai vescovi Urscino e Vittore, e venne conclusa con Massimiano.
La
chiesa mostra profonde differenze rispetto alle precedenti
costruzione ravennati mostrando in particolare elementi comuni
con la
chiesa dei Santi Sergio e Bacco e Bisanzio. A pianta
centrale, ottagonale è preceduta da un nartece o ardica, con due
torri laterali, oltre il quale era originariamente un portico
che proseguiva su tre lati. L’interno presenta un nucleo
centrale, separato dal deambulatorio da pilastri e colonne su
due ordini. La cupola si eleva con un’altezza decisamente
maggiore rispetto agli esempi coevi orientali. Grande risalto è
dato al presbiterio che si sviluppa su due ordini e conduce
all’abside.
L’interno è arricchito da marmi preziosi prodotti da officine
orientali e decorati con una ricca ornamentazione a traforo. I
mosaici palesano una stretta connessione con il mondo orientale:
i due famosi riquadri raffiguranti Giustiniano e Teodora con i
loro seguiti presentano le figure frontali secondo uno schema
che riflette il rigido rituale di corte. Le immagini
assolutamente ieratiche risultano come bidimensionali; la coppia
imperiale riflette il ruolo semidivino di chi è stato scelto da
Dio per governare il mondo.
Legata al nome del vescovo Massimiano è la preziosa cattedra
eburnea conservata nel Museo Arcivescovile di
Ravenna.
Ricche e raffinate decorazioni ricoprivano integralmente la
struttura di questo sontuoso seggio, raro esempio rimasto di
trono episcopale simbolo della sapienza e dell’insegnamento
cristiano che il vescovo da essa impartiva sono raffigurate nei
preziosi rilievi storie di Cristo oltre a episodi della vita di
Giuseppe.
Sul lato anteriore del trono appare un monogramma che secondo
alcuni dovrebbe essere riferibile al vescovo Massimiano e che
permetterebbe di datare la cattedra alla metà del VI secolo. Da
parte di altri studiosi, si è proposto di identificarla invece
con la cattedra eburne donata dal doge Pietro Orseolo III a
Ottone III.
IL TEMPO DEI BARBARI
Il concetto di “medio evo”, elaborato dagli umanisti nel XV
secolo, implicava un giudizio negativo di tale età, considerata
oscura e inquietante. Un’epoca di profonda desolazione, di
rovine e distruzioni, di gravissima decadenza della cultura come
di ogni forma di vita civile: il tempo dei “barbari”.
“Barbaro” significava per gli Elleni “balbuziente”.
“Barbari” erano le popolazioni germaniche che vivevano ai
confini settentrionali e orientali dell’Impero, ma che, fin
dalla seconda metà del III secolo, incominciarono a varcare tali
confini e a stabilirsi su territori romanizzati. Le migrazioni
assunsero via via carattere violento con saccheggi e
distruzioni. A partire dalla seconda metà del V secolo si
verifica la loro conversione al
Cristianesimo. Con rare eccezioni, come nel caso del regno
di Teodorico, gli sconvolgimenti politici e sociali conseguenti
alla formazione dei nuovi regni comportano il quasi totale
declino di alcune tecniche artistiche. Forte sviluppo assumono
invece altre tecniche come la lavorazione del legno, dei
metalli, delle pelli. L’oreficeria, in particolare, si afferma
come tecnica-guida della produzione artistica. Nelle Gallie
diversi manoscritti, tra cui le Gesta Dagoberti, fanno menzione
di stoffe preziose che rivestivano le pareti e i pilastri delle
chiese o avvolgono le reliquie.
Fin dal tempo dell’invasione degli Unni, si afferma
nell’oreficeria germanica lo “stile policromo”, già diffuso nei
territori intorno al Mar Nero. Nelle Gallie l’arte
dell’incastonatura raggiunge effetti di grande splendore
all’epoca di Childerico (seconda metà del V secolo).
Ai bronzi con incisioni a tacche e ornati zoomorfi stilizzati si
ricollega lo “stile animalistico” dell’oreficeria barbarica.
Per influsso dell’ornato orientale, l’ornato germanico
riacquista maggiore regolarità e fluidità, accentuando però la
stilizzazione degli elementi zoomorfi. Tale stile ornamentale
trova ulteriore sviluppo nella scultura in pietra .
In
Italia la consistente presenza bizantina nella penisola e il
costante prestigio e crescente potere del papato contribuiscono
un elemento di costante confronto e di forte tensione dialettica
tra continuità con la tradizione tardo-antica e paleocristiana e
sviluppi del nuovo linguaggio figurativo “barbarico”.
I
LONGOBARDI IN
ITALIA
Guidati da re Alboino, i
Longobardi penetrano in
Italia nel 568 scendendo dal Friuli e conquistano
rapidamente ampie zone della penisola.
Il regno longobardo è diviso in una parte più compatta a nord e
in una più frammentaria a sud. Nel 774, sconfiggendo le truppe
del re Desiderio nella battaglia delle Chiese di Susa,
Carlo Magno porrà fine alla dominazione longobarda sull’Italia
settentrionale, mentre i ducati di Spoleto e Benevento cadranno
solo nell’XI secolo sotto i
Normanni. La Historia Longobardorum, composta presso la
corte carolingia da Paolo Diacono alla fine dell’VIII secolo è
la fonte su cui si basa gran parte della nostra conoscenza sui
due secoli di dominio longobardo in
Italia.
I
Longobardi sono ricordati per la prima volta come gens
nomade attestata presso le foci dell’Elba. Nel V secolo si
accostano all’Impero bizantino e si trasferiscono nel Norico e
in Pannonia, l’attuale Romania.
Le espressioni artistiche longobarde prima della calata in
Italia sono concentrate sull’oreficeria. L’incontro tra la
tradizione germanica e i modelli tardo-romani
si manifesta nella produzione in lamina d’oro.
I primi
Longobardi giungono in
Italia nel 526 con le truppe comandate da Belisario.
Nel 568 Albonio guida una vera e propria invasione. I
Longobardi si abbandonano a un sistematico saccheggio fino
al 591 quando sale sul trono Agilulfo.
Il dominio longobardo viene sancito dall’Editto
di Rotari, con il quale la legge longobarda si sostituisce
al
diritto romano. Il popolo invasore stenta a integrarsi con
gli abitanti delle città e delle campagne assoggettate, e si
raccoglie in clan familiari, le farae.
L’oreficeria continua a essere anche nel VII secolo
“arte-guida”. Frequenti sono le crocette che sembrano ritagliate
in sottili lamine d’oro.
Accanto alle crocette più semplici vengono prodotti gioielli di
maggiore impegno, le “croci gemmate”. Queste croci riprendono il
motivo del Crocifisso come semplice Imago Christi: in tal senso
è significativa la Croce di Adaloaldo, dell’inizio del VII
secolo, cui il Crocifisso compare a figura intera.
Le pietre dure che le decorano rispondono a un vivace gusto del
colore e sono inserite a freddo in trafori appositamente
preparati.
Un ottimo esempio di tale tecnica è la copertura di evangelario
donata da
papa Gregorio Magno a Teodolinda nel 603. Più raffinata è la
tecnica che prevede una fitta rete di alveoli in cui le pietre
vengono inserite a caldo, come nella fibula a disco di Parma.
In una posizione mediana tra l’oreficeria e la cultura materiale
si colloca la produzione longobarda di armi. Le impugnature
delle spade presentano spesso una “decorazione” ottenuta con la
tecnica dell’ “ageminatura”. Le lame sono invece sottoposte al
trattamento della “damaschinatura” per risultare più flessibili
e resistenti alla torsione. Il prodotto più spettacolare
dell’arte degli armaioli
longobardi sono gli scudi da parata. Un esempio sono i
frammenti dello scudo di Stabio.
Riferibile a un sontuoso elmo da parata è la lamina sbalzata in
cui si celebra il trionfo di Agilulfo. La lamina appare a prima
vista un tipico prodotto di oreficeria “barbarica”, mentre lo
schema compositivo e la presenza delle due classiche Vittorie
alate di fianco al trono del re dimostrano lo sforzo di operare
una difficile contaminatio tra la carica sintetica dell’arte
longobarda e modelli classici.
Il tentativo di realizzare un accordo tra la nuova concezione di
motivi tardo-antichi è confermata dalla cosiddetta Testina di
Teodolinda.
Il modello è una scultura bizantina, la Testa di Teodora
ma nella testina longobarda viene meno la preziosa modellazione,
in favore di stilizzazione essenziale e geometrizzante.
Il parallelo più stringente è stato indicato con lo scettro di
Sutton Hoo. Il confronto tra la scultura longobarda e le teste
che decorano lo scettro dimostra la sostanziale affinità
culturale tra la produzione italiana e quella dei Sassoni.
Da 625 al 774 Pavia è stata capitale del regno longobardo e
centro principale di committenze artistiche. La maggior parte
degli edifici è stata distrutta.
Della
chiesa suburbana di Santa Maria in Pertica rimane un preciso
disegno settecentesco. Fondata nel 677, presentava una pianta
ottagonale con un deambulatorio anulare e un giro intero di sei
colonne.
Mentre la
chiesa di Sant’Eusebio divenne fulcro della conversione dei
Longobardi al cattolicesimo. Dell’antica costruzione
rimangono alcuni capitelli nella cripta, rimaneggiata in epoca
romanica. Questi
elementi architettonici mostrano un deciso scarto rispetto
alla tradizione antica.
Tra la fine del VII e l’inizio dell’VIII secolo si assiste a
un’interessante
evoluzione dell’arte longobarda.
La presenza di riferimenti a diverse espressioni artistiche
dell’area mediterranea sembra attestare una svolta negli
orientamenti commerciali e culturali dei
Longobardi. Il punto culminante di questa apertura culturale
viene toccato durante il regno di Liutprando.
A Pavia, gli esempi meglio conservati della pluralità di stili
nell’arte longobarda della prima metà dell’VIII secolo sono i
due plutei provenienti dall’Oratorio di San Michele alla
Pusterla.
I motivi naturalistici (due pavoni che si abbeverano, l’albero
della vita tra draghi marini) sono trattati con un senso
puramente bidimensionale e grafico del rilievo.
Nonostante il miglioramento dei rapporti con le popolazioni
romane e lo sforzo culturale della “rinascenza” del tempo di
Liutprando, i
Longobardi continuano a essere considerati un popolo
invasore. L’espansione della loro dominazione tocca il punto
estremo con l’effimera conquista della decaduta
Ravenna.
La disfatta di Desiderio a opera dei
Carolingi, nel 774, è stata a lungo salutata come una
“liberazione dei barbari”. Presso la corte di
Carlo Magno operavano maestri visigoti, sassoni e anche
longobardi, grazie ai quali l’arte carolingia ha potuto
valersi di un ampio raggio di contributi culturali. Un segno di
questa continuità è la
chiesa del monastero di San Salvatore a Brescia.
Rispetto alle vicende della Longobardia Maior i ducati
longobardi del Sud hanno vita più lunga.
Nel VI secolo viene fondato sul Gargano il santuario di Monte
Sant’Angelo, uno dei principali luoghi di devozione della
Longobardia Minor. Il santuario è dedicato all’arcangelo
Michele, particolarmente venerato dai
Longobardi. I rimaneggiamenti non consentono di riconoscere
l’architettura
antica, come accade a Montecassino, la potentissima abbazia
benedettina fondata nel 529, alla quale dà un decisivo impulso
l’abate longobardo Gisulfo.
Un altro centro monastico legato alla dominazione longobarda è
San Vincenzo al Volturno, fondato alla fine dell’VIII secolo.
Nella cripta della
chiesa abbaziale si conserva un importante ciclo di
affreschi del tempo dell’abate Epifanio .
Altri esempi di pittura beneventana si trovano a Olevano sul
Tusciano. Il complesso più importante è però il ciclo di
affreschi nelle absidi laterali di Santa Sofia a Benevento
Fondata da Arechi II nel 760, la
chiesa di Santa Sofia è la più importante costruzione dei
ducati
longobardi meridionali. A pianta centrale, ha una complessa
struttura stellare con tre absidi. Il modello per lo slanciato
corpo centrale è la
chiesa longobarda di Santa Maria in Pertica a Pavia, mentre
per l’articolazione dei volumi sembra opportuno il riferimento a
modelli bizantini
longobardi a un dialettico rapporto con differenti modelli
culturali.
PERSISTENZA DI MODELLI CLASSICI
NELL’ARTE ROMANA
(VI-IX SECOLO)
Dal 493 al 526
Roma attraversa un periodo di pace. Il re Teodorico affida
l’amministrazione del potere al cancelliere romano Cassiodoro e
risiede preferibilmente a
Ravenna. Si accentua il processo di degrado di
Roma.
Davanti allo sfaldamento fisico della città nasce il “mito”
nostalgico dell’antica
Roma.
Papa Felice IV fonda, all’interno del Foro romano, la
chiesa dei Santi Cosma e Damiano. Le grandi basiliche
paleocristiane erano fino ad allora sorte in quartieri
periferici. Il senso di questa iniziativa è sottolineato dal
grande mosaico che decora l’abside della
chiesa. La scena rappresenta (Cristo tra i SS. Cosma e
Damiano)
E ha un preciso precedente iconografico nel mosaico absidale di
Santa Pudenziana. Ma mentre il mosaico di Santa Pudenziana offre
un’immagine salda e concreta, il Cristo dei Santi Cosma e
Damiano appare librato nell’azzurro cupo del cielo nuvoloso. I
personaggi sono disposti secondo un rigido schema triangolare a
intervalli scanditi.
La riduzione del numero delle figure intravede riflessi dell’arte
bizantina. La conquista di
Roma da parte delle truppe dell’Imperatore Giustiniano
avviene dopo lunghe campagne militari. Dopo una prima vittoria
del generale bizantino Belisario nel 536 la presa definitiva
avviene nel 552 a opera dello stratega Narsete.
I Bizantini si preoccupano innanzi tutto di restaurare le opere
pubbliche di più immediata necessità.
Prosegue il processo di cristianizzazione del foro e delle zone
centrali di
Roma.
L’edificio su cui si concentra l’attenzione dei Bizantini a
Roma è Santa Maria Antiqua. Interrata da una frana nell’847,
è stata riscoperta solo nel nostro secolo e presenta un ciclo di
affreschi nel quale sono state ravvisate quattro fasi successive
d’intervento.
L’abside della
chiesa è una vera “parete palinsesto”. L’immagine più
antica, una Madonna col Bambino tra due angeli, è stata dipinta
subito dopo la conquista bizantina. Sono evidenti in questo
affresco i caratteri di frontalità iconica di origine
costantinopolitana, mentre il secondo strato mostra la mano di
un artista più raffinato. Questo “secondo tempo” risale al
565-78. Il terzo momento della decorazione di Santa Maria
Antiqua risale agli anni intorno al 650. Nella scena meglio
conservata, con Salomone e i Maccabei, si notano scritte in
greco e un abile uso delle ombre.
Gli anni del pontificato del
greco Giovanni VII coincidono con il quarto strato della
parete absidale.
La presenza di circoli culturali e di artisti orientali a
Roma si fa manifesta. Accanto agli stimoli ellenizzanti
riemergono motivi dell’arte classica e si affermano modelli
iconografici palestinesi.
Il mosaico absidale della basilica di Santa Agnese fuori le mura
propone figure quasi immateriali di sapiente sintesi simbolica.
D’altra parte, l’importante ciclo di affreschi che decorano la
cappella dell’alto funzionario Teodoto in Santa Maria Antiqua
mostra significative influenze orientali: ad esempio nella scena
della Crocifissione.
Un interessante scambio di esperienze figurative bizantine e
romane è testimoniato dal gruppo di icone tuttora conservate in
alcune chiese.
Le icone romane trovano un vasto seguito popolare in
processioni, feste, devozioni specifiche registrate dalle
antiche cronache. La più celebre tra le icone superstiti è la
Madonna Theotokòs di Santa Maria in Trastevere che per la sua
rigorosa frontalità e gli smaglianti
colori è paragonabile al primo strato degli affreschi di
Santa Maria Antiqua.
L’incoronazione di
Carlo Magno da parte di
papa Leone III, la notte di Natale dell’anno 800, sancisce
simbolicamente il decadere dell’influsso di Bisanzio su
Roma e il deciso ritorno alla tradizione paleocristiana e
tardo-antica.
Il modello della
chiesa ad aula rettangolare triabsidata vede il prepotente
ritorno allo schema spaziale delle basiliche paleocristiane: ne
è un esempio la
chiesa di Santa Prassede, in cui ricompare il transetto.
La tecnica della decorazione musiva era stata abbandonata da
circa un secolo.
Il rilancio del mosaico nell’età di Pasquale I propone, invece,
il ritorno un gusto ricco e raffinato del colore. Il modello cui
rifarsi è la scena absidale dei santi Cosma e Damiano, anche se
le forme vengono ulteriormente ridotte all’essenziale e
sfruttate soprattutto per ricavare ampie campiture cromatiche e
raggiungere effetti di espressiva vitalità.
LA RENOVATIO DELL’IMPERO
LA RINASCENZA CAROLINGIA
Tra l’VIII e il IX secolo la dinastia carolingia unificò quasi
tutto il mondo occidentale in un impero. La renovatio è lo
stumento di
Carlo Magno per dare forma unitaria a un insieme di aree
geografiche e di gruppi etnici diversi tra loro, sul modello
dell’impero
romano e in particolare di quello di
Costantino. Il sovrano carolingio afferma un potere unico e
universale, fondato sulla legge cristiana e su quella romana.
La dinastia carolingia lega a sé l’ordine benedettino favorendo
l’attività delle grandi abbazie. Non solo vengono istituite
scuole, ma si rimodella la scrittura su esempi classici.
Ai modelli
romani si accosta la tradizione irlandese e anglosassone,
frutto della prima rinascita umanistica dell’Alto
Medioevo, mentre altri elementi derivano dalla cultura
longobarda e da quella bizantina.
L’attività architettonica
L’architettura
è il campo privilegiato dei sovrani e gli edifici antichi presi
a modello sono quelli della
Roma costantiniana. Il palazzo imperiale di Aquisgrana
doveva evocare la residenza papale di San Giovanni ed è
caratterizzato dall’abbinamento tra il palazzo e la
chiesa. Tuttora conservata è la cappella palatina a forma
poligonale e coperta a cupola, con una struttura
derivata dalla
chiesa di San Lorenzo a Milano, da San Vitale a
Ravenna e da quelle orientali. L’interno è arricchito da
marmi colorati che, secondo le fonti,
Carlo Magno aveva fatto portare da
Roma e da
Ravenna, mentre un grande mosaico raffigurante Cristo in
trono decora la cupola e manifesta l’analogia tra il Salvatore e
l’imperatore. La
chiesa dell’abbazia benedettina di Fulda doveva contenere le
reliquie di Bonifacio, apostolo della
Germania e si ispira alla basilica vaticana di
Costantino. All’Arco di
Costantino si riferisce, invece, la Torhalle,(imp) la porta
di Lorsch: nella parte inferiore si apre una loggia a tre
fornici, mentre al piano superiore c’è un’aula che serviva
all’imperatore come sala del trono. Le due facciate sono
decorate da semicolonne accostate ai pilastri degli archi, con
capitelli compositi e, al di sopra della fascia marcapiano, a
araste ioniche scanalate che reggono una cornice piegata ad
angolo. Un paramento di pietre rosse e bianche disposte a
comporre motivi geometrici copre le murature. Nelle architetture
di cui si è parlato il modello antico è un punto di partenza
obbligato, mentre nella progettazione dei grandi complessi
monastici i costruttori
carolingi rispondevano con soluzioni originali, come nel
caso del monastero di San Gallo. La
chiesa ha una struttura a doppia abside e tutt’intorno gli
edifici si dispongono secondo una griglia regolare che
rispecchia quella delle città fondate da
Carlo Magno.
L’invenzione che meglio rappresenta l’architettura
carolingia è il Westwerk, un edificio a più piani aggiunto
all’ingresso della
chiesa, come quello presente nell’abbazia di Corvey e
costruito l’873 e l’885. A pianta quadrata, comprende a piano
terreno un basso atrio e una zona di passaggio che lo raccorda
alla navata della
chiesa, mentre i due piani superiori sono occupati da una
grande sala decorata da affreschi, dove avevano luogo la
liturgia del Salvatore e le cerimonie dell’imperatore. Questa
parte della
chiesa alludeva all’Anastasis di Gerusalemme, cioè
all’edificio sorto sul Santo Sepolcro.
Pittura e miniatura
La pittura monumentale è andata perduta nella sua quasi
totalità. Importanti sono gli affreschi della cripta di Saint
Germain d’Auxerre, databili tra l’841 e l’857. Lo spazio della
cripta è esaltato da un’intelaiatura di finti
elementi architettonici, riccamente decorati, entro cui sono
inquadrati gli episodi narrativi. In questi ultimi l’attenzione
del pittore si concentra sulla dinamica della scena, mirando
all’esatta definizione del movimento dei personaggi.
Contrariamente alla pittura antica, si adotta, però, una visione
sintetica dello spazio. Nella “lapidazione di Santo Stefano”, la
città e i personaggi sono avvicinati nonostante appaiano
incongruenti. La
chiesa di San Giovanni a Mustair fu completamente decorata
nel IX secolo con storie dell’Antico e del Nuovo Testamento. I
riquadri narrativi sono incorniciati da fasce con ghirlande e
nastri mentre il racconto ha un ritmo grandioso, con una
distribuzione dei personaggi attenta ad ottenere una
composizione equilibrata e simmetrica. A testimonianza della
varietà culturale dell’area ci sono gli affreschi di Naturno
che, per il linearismo esasperato e per l’estrema sintesi degli
elementi figurativi, rimandano ai rilievi dell’altare del duca
Ratchis a Cividale.L’attività dei miniatori raggiunge sotto i
sovrani
carolingi risultati di straordinaria qualità e rilevanza. Lo
stile decorativo rappresenta una svolta rispetto a quello
praticato durante l’VIII secolo negli scriptoria monastici
continentali dei quali il Salterio 18 della Biblioteca di Amiens
è il capolavoro, perché cerca una sintesi fortemente ornata di
testo e figurazione. Nel grande scriptorium di Corbie
Carlo Magno reclutò i decoratori del primo codice da lui
ordinato, un evangelario. Se i modelli iconografici sono tutti
bizantini, certi motivi decorativi a intreccio e a volute,
nonché le grandi iniziali, tradiscono la presenza di maestri
educati a Corbie. La nuova cultura figurativa giunge a
esprimersi pienamente in un gruppo di evangelari tra i quali
quello di Ada e quello di Lorsch, dove lo stile bizantineggiante
delle figure si coniuga con un’impaginazione che ricorre a
fondali architettonici ripresi dall’antico. Nelle parti
decorative ricorrono motivi derivati da cammei, monete e stoffe
antiche.
Si deve alla committenza di Ludovico il Pio, figlio di Carlo, un
secondo gruppo di manoscritti che si ispirano a motivi antichi,
cercando di penetrarne meglio i caratteri stilistici. Gli
Evangeli dell’Incoronazione (imp) imitano i modi pittorici
ellenistici, con rinnovata vitalità.
L’interpretazione che artisti autoctoni danno di questo stile
aulico porta alla produzione dei vangeli di Ebbone e del
Salterio di Utrecht, che sono tra le creazioni più straordinarie
di tutta l’arte carolingia. Le tavole dei canoni nei codici di
Ebbone si popolano di figure di letterati, cacciatori,
scalpellini, nei più vari atteggiamenti, desunti dalle miniature
orientali. Nel Salterio di Utrecht la narrazione figurata,
un’illustrazione ai salmi complementare al testo, si distingue
in composizioni complesse, che possiedono un respiro da pittura
monumentale.
Una grande impresa, l’edizione illustrata della Bibbia, fu
affrontata nell’officina di
San Martino a Tours. Il corredo figurativo di questi
manoscritti è concepito non come una pura traduzione del testo
in immagini, ma come una sorta di compendio storico e
dottrinale.
Nel sontuoso esemplare detto la Bibbia di Carlo il Calvo, le
scene storiche che corredano il codice si organizzano in una
fascia continua da leggersi cambiando direzione a ogni riga, in
cui la narrazione si caratterizza per una grande precisione nei
dettagli.
Diverso è il Sacramentario di Drogone, nel quale le scene sono
incluse in iniziali classicamente proporzionate, ma invase da un
rigoglio di viticci e foglie di acanto, tra cui si fanno largo i
personaggi e le architetture.
Scultura e oreficeria
Segno inconfondibile dello splendore artistico raggiunto dalla
corte di Aquisgrana sono le opere bronzee, transenne e porte,
della Cappella Palatina. A questa stessa rinascita del bronzo si
deve anche la piccola statua equestre di
Carlo Magno.
Invece, del monumentale crocifisso argenteo donato da
Carlo Magno a
Papa Leone III rimane solo il calco: il corpo del Cristo è
concepito come una compatta
architettura di volumi.
Sono, però, gli avori e le oreficerie, gli oggetti più
importanti. Le grandi placche di avorio intagliato formavano
polittici preziosi o venivano incastrate nelle legature dei
libri liturgici.
Lo stile della scuola di Reims impronta di sé una serie di
importanti avori, tra i quali la coperta di un salterio, del
tempo di Carlo il Calvo, dove la scena è modellata nell’avorio
come se fosse cera molle e secondo lo stile del Salterio di
Utrecht.
Un gusto più classicheggiante pervade la decorazione del
Flabello di Tournus, grande
ventaglio liturgico eseguito a Tours verso la metà del IX
secolo.
Il capolavoro dell’oreficeria carolingia è l’altare di Sant’Ambrogio
a Milano, eseguito da Vuolvino.
L’Italia
tra età longobarda ed età carolingia
Nel Tempietto regio di Cividale gli stucchi colorati e dorati,
gli affreschi e i mosaici creavano uno spazio simile a quello
dei sacelli tardo antichi di
Ravenna e di Milano. Al loro arrivo in
Italia i sovrani franchi trovarono corti non solo fortemente
latinizzate e grecizzate, ma anche un diffuso interesse per i
modelli artistici dell’antichità. La politica culturale degli
imperatori
carolingi sperimentò, però, una sistematicità nel progettare
la rinascita dell’antico.
Il potere carolingio si fonda anche in
Italia sull’appoggio di vescovi e abati. L’esempio meglio
conservato di sacello nell’Italia
del Nord è quello milanese di San Satiro, dell’876.
Mentre il Nord
Italia, oltre alla presenza carolingia subisce l’influsso
veneziano, nel Centro Sud l’influsso carolingio è più
frammentario, a causa delle ultime resistenze longobarde.
L’interesse per l’epoca costantiniana, evidente nella ripresa
dell’antico schema basilicale, vivo a
Roma, è analogo a quello imperiale ma di segno opposto.
Serve, infatti, per riaffermare la supremazia spirituale della
Chiesa di
Roma, nonché il suo
diritto a conferire l’autorità imperiale.
Nel restauro di San Salvatore a Spoleto viene, tuttavia,
raggiunto un risultato di grande coerenza classicista, sia dal
punto della struttura architettonica, sia come imitazione dei
motivi decorativi
romani.
Legata per alcuni aspetti alla cultura figurativa lombarda è la
decorazione della cripta dell’abbazia di San Vincenzo al
Volturno.
RINASCENZA OTTONIANA
Il lasso di tempo che intercorre tra il
declino della dinastia carolingia e la svolta dell’anno
Mille, è classificato dagli storici come periodo di crisi,
travagliato da nuove invasioni barbariche. Le grandi famiglie di
stirpe imperiale si combattono per raccogliere i resti del
dominio carolingio quelle dell’aristocrazia romana per il
controllo del seggio papale.
Nonostante le difficoltà che attraversa l’Occidente, nel X
secolo si ha una generale ripresa. Inizia a consolidarsi il
sistema feudale.
Le
fondazioni monastiche consolidano la propria funzione sia
economica sia culturale. Un esempio è l’abazia borgognona di
Cluny dove viene ricostruita più ampia.
Non minore è l’importanza del fitto
tessuto di pievi e cappelle che segnano la presenza nella
pianura padana e nell’Italia
centrale, di una comunità rurale e di un’organizzazione
agricola ed economica particolarmente evoluta.
Questo fervore edilizio va visto come segno e risultato della
prima lenta ripresa economico-demografica d’Europa.
Quando, nel 962 Ottone I si fa incoronare imperatore a
Roma, afferma la volontà di rifondare il potere che
Carlo Magno aveva esercitato sull’intera
Europa. Questo progetto non era destinato ad avere successo.
Le grandi formazioni imperiali e feudali
L’attività
edilizia è interesse primario degli imperatori.
Il capolavoro dell’architettura
ottoniana in Sassonia è la
chiesa abbaziale di San Michele a Hildesheim. La pianta di
San Michele è tracciata entro uno schema geometrico di tre
quadrati uguali. Esso fu probabilmente suggerito
dall’arcivescovo Bernoardo. Il corpo centrale a tre navate
termina a oriente in un transetto a tre absidi.
Le navate sono scandite da pilastri. I capitelli sono ottenuti
dall’unione di forme geometriche perfette e dovevano poi essere
dorati e dipinti. L’esterno si presenta come un cristallino
incastro di solidi geometrici definiti da murature lisce e
compatte.
La pagina di dedica dei Vangeli presenta il committente
all’interno della
chiesa e testimonia la sontuosità della decorazione, delle
pitture ornamentali, delle stoffe preziose. Per San Michele
furono fuse due enormi battenti bronzei con riquadri narrativi
raffiguranti episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento.
La porta raffronta sui due battenti la
storia della caduta con quella della salvazione. Sulla
superficie astratta del bronzo affiorano
elementi architettonici e paesistici. Le figure emergono dal
piano fino ad avere il busto e la testa a tutto tondo. Il vigore
plastico di questi personaggi e la nettezza dei loro movimenti
non ha più nulla in comune con l’atmosferica vibrazione degli
sbalzi
carolingi. La stessa monumentalità si ritrova nell’anima
lignea. Con quale disinvoltura si elaborassero modelli antichi
mostra la colonna bronzea. Lo schema della colonna coclide
romana vuole celebrate il trionfo di Cristo.
La capitale del basso Reno si presenta come un centro artistico
di prima grandezza. Santa Maria in Campidoglio viene iniziata
dalla badessa Hilda e consacrata nel 1065. Un corpo
longitudinale a tre navate, precedute da un atrio. L’eccezionale
risultato di Santa Maria in Campidoglio influenzerà le scelte
architettoniche della città renana per tutto il periodo
romanico.
La cattedrale di Spira, nel Palatinato, è un edificio immenso
sulla cui edificazione si concentrano gli interessi di Corrado
II. Si compone di un lungo copro longitudinale a tre navate, di
un grande transetto con profonda abside. Nella cripta le
semicolonne accostate ai pilastri conferiscono grande chiarezza
strutturale alle volte. Le semicolonne infatti si allungano,
oltre le arcate e le finestre del cleristorio fino a reggere,
subito sotto l’imposta del soffitto, una sequenza di archi.
Nella tradizione delle chiese paleocristiane il muro era
concepito come una superficie adatta ad accogliere grandi cicli
narrativi ad affresco o a mosaico, a Spira invece la parete
diviene un elemento plastico che tutti gli elementi strutturali
dell’edificio concorrono a formare.
Cicli di affreschi e codici miniati
Gli ultimi avanzi degli affreschi che un pittore
italiano eseguì per Ottone III ad Acquisgrana sono stati
ricoperti di intonaco nell’Ottocento. È però molto significativo
che il sovrano chiamasse un artista
italiano a decorare uno dei luoghi più rilevanti per la
mitologia imperiale. Ancora una volta si considerava la penisola
come depositaria di una tradizione figurativa. Forti legami con
l’area lombarda mostra anche il maggior ciclo quello della
chiesa di San Giorgio a Reichenau. La decorazione riprende
uno schema tardoantico e ravennate. Le grandi scene narrative si
dispiegano in un solo registro mentre tra le finestre del
cleristorio grandeggiano figure di santi.
Gli episodi cristologici sono stati scelti per mettere in
rilievo la dimensione eroica e gli aspetti regalistici della
vita del Salvatore. I miracoli sono rappresentati in ampie e
variate composizioni. L’ideatore del ciclo della Reichenau è un
abilissimo disegnatore. I panneggi delle vesti si piegano in
avvolgimenti delicati, mentre gli atteggiamenti dei personaggi e
i loro movimenti sono sintetizzati in un contorno teso ed
espressivo.
Tramite il ricchissimo patrimonio dei codici miniati possiamo
studiare la cultura figurativa del X e della prima metà dell’XI
secolo fuori d’Italia.
L’arcivescovo di Treviri Egberto commissiona ad un maestro
italiano due miniature a piena pagina per un codice
contenente una raccolta di epistole di Gregorio Magno (un
Registrum Gregorii). L’anonimo artista era colto e conosceva il
greco, praticava diverse forme di scrittura e possedeva un
vastissimo patrimonio figrativo. Le due miniature raffigurano
Ottone II in trono circondato dalle Province dell’Impero e san
Gregorio ispirato dalla colomba mentre detta allo scriba .
L’assoluta centralità dell’imperatore e il tono cerimoniale
della composizione sono ottenuti mediante la salda intelaiatura
geometrica.
Nella seconda miniatura più coerente è l’intelaiatura spaziale.
L’architettura
incornicia con assoluta naturalezza i personaggi. In entrambe le
scene la gamma cromatica studiatissima e l’uso di delicate
lumeggia ture conferiscono un forte risalto plastico ai
personaggi. Le stesse qualità possiede una Vergine col Bambino,
un avorio che ci tramanda il ricordo di un tipo monumentale
ripreso nell’XI e XII secolo.
Nell’immagine conserva alcuni elementi classicheggianti come il
bordo di foglie di acanto, la tridimensionalità dello spazio è
suggerita solo dallo slancio dinamico della figura mentre gli
effetti plastici sono ridotti al contrasto violento delle ombre
e delle lumeggia ture. Lo stile trova perfetta espressione nei
Vangeli decorati alla fine degli anni novanta per Ottone III. La
rappresentazione dell’imperatore deriva dal modello del
Registrum Gregorii, ma il linguaggio figurativo è diverso.
L’unità della scena si divide in due momenti narrativi.
All’aulica compostezza della scena subentra l’incedere reverente
delle Province.
Nell’inizio del vangelo secondo Luca viene raffigurato
l’evangelista entro una mandorla di
luce, si staglia contro l’oro abbagliante del fondo. Intorno
a lui, cerbiatti si abbeverano al suo verbo, mentre egli regge
una rappresentazione dell’epifania divina che contempla con
sguardo estatico. In questa miniatura è già presente la tendenza
a tradurre l’immaginario religioso in forme simboliche, fondendo
un elemento “storico” con una rappresentazione astratta e
allegorica.
Il confronto tra il San Gregorio del Maestro del Registrum
Gregorii e uno degli evangelisti dei vangeli eseguiti a Colonia
è assolutamente eloquente.
Il prestigio dell’arte costantinopolitana rimarrà assai forte in
area tedesca come modello insuperato di ars sacra.
Durante le invasioni danesi del IX secolo, buona parte delle
abbazie benedettine inglesi con il loro ricco patrimonio
librario era andata distrutta. Nella seconda metà del X secolo,
in un momento di generale ripresa del paese, Dunstano,
arcivescovo di Canterbury ed Etelvoldo, vescovo di Winchester,
promossero la rifondazione e la riforma dell’ordine benedettino
nell’isola. Molto forte risulta l’influsso della tarda arte
carolingia nei monasteri inglesi.
Il salterio eseguito a Winchester per Osvaldo prima del 992
contiene una Crocifissione disegnata da un artista inglese che
soggiornò e operò anche in
Francia. Le figure si stagliano su di un fondo pergamenaceo.
La stessa relazione tra la monumentalità della croce e la
fragilità della Vergine e di san Giovanni è di tipo gerarchico e
dottrinale. Il miniatore inglese si concentra sulla dinamica
emotiva. Di nuovo modelli
carolingi forniscono elementi iconografici stilistici e
decorativi: i fantastici intrecci vegetali sono animati da una
nuova e travolgente vitalità
Oreficerie e avori
Vastissima è la produzione di oreficerie e di oggetti liturgici
e di culto durante i secoli X e XI. Il meccanismo degli Ottoni è
talora eguagliato da quello dei grandi arcivescovi-feudatari.
Entro le arcate di una loggia di limpida
architettura, sono rappresentate tutte le figure di Cristo
come recita la scritta sulla ghiera dell’arco, adorato dai
sovrani in atteggiamento di proschynesis, di tre arcangeli e di
san Benedetto.
I corpi emergono con forte risalto dalla superficie del fondo.
La compostezza aulica dell’insieme nonché vari elementi
decorativi derivano da oreficerie di Bisanzio cui si ispira
l’arte imperiale. A questa corrente plastica si affiancano altri
linguaggi figurativi come quello del Maestro di Echternacht.
L’impostazione spaziale dell’incredulità di
San Tommaso è, nella sua novità, radicalmente classica. Il
gesto del Cristo che alza il braccio lasciando scoperta la
ferita del costato o lo slancio dell’apostolo che rovescia la
testa per arrivare sia materialmente che spiritualmente
all’altezza del Salvatore, sono di un “realismo”
del tutto inedito.
Nel Crocifisso inciso sul retro della croce di Lotario l’uso
sapiente della linea crea una figura di grane intensità
patetica.
I centri artistici della penisola
Nella miniatura del evangelario di Ottone I
Roma è la prima e reca, le mani coperte da un drappo in
segno di rispetto.
Il dominio su
Roma era d’altra parte per i sovrani un elemento di enorme
importanza simbolica. Nell’urbe avveniva la cerimonia ufficiale
dell’incoronazione. Sul piano culturale gli scambi tra l’Impero
e la penisola coinvolgono soprattutto Milano.
Gotofredo, è il committente di una situla di avorio .
Il secchiello liturgico è dedicato a Ottone e veniva utilizzato
nelle cerimonie imperiali. Entro una serie di arcate, siedono la
vergine col bambino tra due angeli e i quattro evangelisti. Alla
fine del X secolo, la stessa cultura artistica si esprime su
scala monumentale nei nuovi stucchi che decorano sant’Ambrogio.
Nel grande vano l’abside della basilica ambrosiana,furono
ricoperte di stucco le colonne e decorate con foglie di acanto
le ghiere degli archi. L’intero spazio destinato al clero
ricevette così un addobbo trionfale. Il lato verso la navata
accolse la Traditio Legis ( Cristo che consegna le chiavi a san
Pietro ed il libro a
san Paolo). È evidente che il programma iconografico
sottolinea l’origine divina dell’autorità episcopale e in
particolare di quella di Ambrogio chiamato da Dio stesso alla
sua missione. Le grandi figure rammentano la produzione
miniatoria e plastica del Maestro del Registrum Gregorii. Nei
manoscritti di Nivardova (altro artista lombardo) è la
raffigurazione della Consacrazione del crisma.
In Lombardia si conserva anche un prezioso gruppo di crocifissi
monumentali in lamina metallica, argentea o bronzea. Tra i più
importanti ricordiamo quello del vescovo Ariberto a Milano.
Nella Croce di Ariberto come in quella di Gerone a Colonia,
l’iconografia trionfale e l’aulica compostezza della figura cede
il posto alla rappresentazione del Cristo morto, sbalzato nel
metallo.
Il modello dell’abside ambrosiana viene imitato in San Vincenzo
in Prato.
La progressiva riorganizzazione delle campagne, favorita dalla
costante crescita demografica, ha nel sistema delle pievi una
rete di punti di forza. La popolazione vi si raccoglie per
soddisfare necessità non solo spirituali ma anche culturali e
sociali e mantiene il pievano con i propri contributi (le
decime).
La
chiesa di solito è affiancata da un battistero, staccato e
indipendente. La pieve e il battistero di Galliano furono
edificati per volere del potente Ariberto d’Intimiano. Il
battistero a pianta quadriloba con pilastri liberi
trasformandolo in uno spazio monumentale.
Temi nuovi compaiono in Santa Maria Maggiore a Lomello, un
edificio a tre navate con un transetto più basso del corpo
longitudinale. Il tema funzionale diviene elemento formale nei
pilastri che assumono struttura cruciforme. L’intera
chiesa era decorata da affreschi e stucchi di cui restano
solo pochi frammenti.
Per quanto riguarda l’area adriatica questo momento di passaggio
è ben rappresentato dall’abbazia di Pomposa. La
chiesa fu consacrata nel 1026 dall’abate Guido.
Alla basilica viene aggiunto un atrio. La grandiosità di questo
ingresso si ritrova nella possente torre campanaria. A Pomposa
si ribadisce lo sviluppo verticale della torre attraverso la
definizione di piani sovrapposti. Dell’architettura
civile adriatica può dare un’idea il palazzo della Ragione:
l’edificio capitolare annesso al convento, dove l’abate svolgeva
le sue funzioni istituzionali e amministrative.
Ben inserita nella tradizione locale ma aperta anche a contatti
con il settentrione ottoniano appare la pittura monumentale in
Lombardia. L’abside della
chiesa di San Vincenzo a Galliano fu affrescata per volontà
di Ariberto di Intimiano. Nel catino è raffigurato Cristo in
mandorla, l’arcangelo Michele e Geremia a sinistra e l’arcangelo
Gabriele ed Ezechiele a destra.
Tanto la grande visione ultraterrena quanto gli episodi storici
sono impaginati con il sicuro senso spaziale. Se alcuni elementi
iconografici sono di origine bizantina, del tutto occidentale è
il vigoroso senso plastico.
Una cultura figurativa simile ma più robustamente plastica si
ritrova negli affreschi di Sant’Ordo ad Aosta, anch’essi
databili all’inizio dell’XI secolo.
Verso la fine dell’XI secolo la nuova ondata di cultura
bizantina inizia anche in Lombardia ad acquistare un peso
determinante come nel ciclo di San Pietro al Monte. La grande e
bellissima scena apocalittica in San Pietro è impaginata secondo
un rigido sistema di corrispondenze simmetriche.
Il linguaggio figurativo lombardo si diffonde anche verso
Roma. Il generale movimento di riforma della
Chiesa e la progressiva ricerca di autonomia del potere
religioso da quello laico coincide con l’affermarsi di un
linguaggio tipicamente romano. La base di questo stile non
poteva che essere un nuovo ritorno alla tradizione e alla
cultura della
Roma tardo-antica e costantiniana. Gli affreschi della
chiesa di San Clemente (fine dell’XI secolo) narrano la vita
di sant’Alessio. La città è evocata dai complessi fondali
architettonici. Vi è il riuso di elementi decorativi come finte
lastre e incrostazioni marmoree. Il maestro tende a privilegiare
l’elemento lineare che gli serve per concatenare gesti e
atteggiamenti in complesse composizioni. La volontà di
comunicare con immediatezza il senso della narrazione allo
spettatore è evidente nella scelta di apporre alle immagini
didascalie in volgare.
Il meridione d’Italia
è fortemente impregnato di cultura orientale. Nella seconda metà
del X secolo si trova in Campania e in Puglia un tipo
particolare del testo liturgico, il rotulo, come molte
illustrazioni orientate in senso contrario a quello della
scrittura. Questi rotuli venivano usati in cerimonie
particolarmente complesse.
Un importante scrittorio di cui provengono alcuni rotuli è
quello della Benedictio fontis.
Gli Exultet pugliesi eseguiti sotto la diretta influenza della
più aggiornata cultura figurativa cosmopolitana.
LA MINIATURA MEDIEVALE
Il libro miniato è un’invenzione che nasce col
disfacimento della tradizione classica per estinguersi con
l’invenzione della stampa nel XV secolo. Anche nel mondo antico
si usava illustrare alcuni testi: si trattava soprattutto di
trattati tecnico-scientifici e di opere letterarie come poemi
epici di
Omero e Virigilio. Il libro antico aveva forma di rotolo e
si leggeva svolgendolo a poco a poco: le immagini sono
soprattutto le colonne del testo ma modificare o condizionare
l’impaginazione o la struttura
grafica della parte scritta. Le figurazioni antiche sono
condotte in uno stile compendiario e naturalistico, tipico della
pittura tardo-ellenistica e romana.
Un cambiamento radicale si ebbe tra il I e il III secolo d.C.
con il progressivo abbandono del rotolo e l’affermazione del
volumen, il libro formato da più fogli ripiegati. La nuova forma
di libro era la preferita dai circoli cristiani perché più
economica e diversa dal rotolo. Vennero dunque copiati in quella
forma i testi sacri. Contemporaneamente al papiro si sostituì la
pergamena. Benché costosa e di complicata fabbricazione la
pergamena è molto più resistente e duratura di qualunque
materiale cartaceo. La sopravvivenza della cultura antica si
deve in gran parte alla copiatura dei rotoli su questo nuovo
supporto. In questa operazione di trasferimento prevalgono forme
decorative che uniscono testo e immagini come le iniziali
figurate e quelle istoriate. Una raffinatissima decorazione a
intrecci di figure stilizzate e di racemi investe nei codici
irlandesi tra il VII e il IX secolo. Come esempio per tutti può
valere il celebre Libro di Lindisfarne.
Bisogna pensare che nel
Medioevo la fruizione del testo non era l’unica funzione del
libro. In un mondo quasi del tutto analfabeta il libro sacro
acquistava un valore simbolico e quasi magico. La mentalità
medievale percepiva una forte continuità tra la sfera terrena e
quella sovraterrena e vedeva perciò nel libro l’incarnazione
della parola divina.
Solo chi aveva un determinato livello culturale poteva capire le
implicazioni simboliche delle immagini e interprete il loro
stretto rapporto con il testo i libri venivano prodotti quasi
esclusivamente nei monasteri dagli amanuensi.
Nel mondo antico la scrittura come lavoro materiale era
considerata indegna di un letterato o di un filosofo che dettava
le sue opere a uno schiavo e a uno scriba di professione. Che il
lavoro dell’amanuense medievale fosse invece molto valutato è
evidente.
L’EUROPA ROMANICA
Il periodo che copre gran parte del secolo XI
è considerato dagli storici come un’epoca di radicale
trasformazione per l’Europa,
in particolare per quanto riguarda l’agricoltura, lo sviluppo
dei centri urbani e le tecniche militari, con profonde
ripercussioni sull’incremento demografico e sull’assetto
politico- sociale dell’intero continente come nel campo delle
attività culturali e artistiche.
Uno dei segni più chiari del mutamento è fornito dall’aggressivo
espansionismo militare nei confronti dell’Islam, che si
manifesta nel vigoroso avvio della reconquista di parte della
penisola iberica, a opera dei piccoli regni cristiani della
Spagna settentrionale e quindi nella spedizione per la
liberazione della Terra Santa che prese il nome di prima
Crociata.
I
Normanni, invece, conquistarono l’Inghilterra e l’Italia
meridionale.
Il
progresso delle tecniche agricole, fondato sulla frequente
applicazione di parti metalliche agli attrezzi e sul
perfezionamento e sulla diffusione dell’aratro fu evidente.
Con la crescita della produzione
agricola e il rapido incremento della popolazione, mutano
anche i rapporti tra campagna e centri urbani.
I mutamenti economici coinvolgono tutte le categorie sociali.
L’assetto rigorosamente gerarchico dei rapporti sociali e gli
estesissimi poteri della nobiltà favoriscono il lento sviluppo
delle grandi imprese militari e la ripresa dei commerci. Prima
ancora dell’impulso espansionistico che diede avvio alla
riscossa militare dell’Occidente, gli investimenti artistici e
la frenetica attività di costruzione di edifici monumentali,
secondo Raoul Glabro rivestì l’Europa
cristiana di un “bianco mantello di chiese”.
Caratteristica fondamentale dell’architettura
della produzione artistica che si sviluppa in
Europa a partire dalla seconda metà dell’XI secolo appare la
polarità tra aspetti che ne manifestano la profonda omogeneità e
la ricchezza e varietà dei risultati.
Tale polarità trova ampie analogie con la situazione politica e
con la dinamica
evoluzione delle strutture sociali. Si acquista sempre più
salda consapevolezza della propria identità spirituale e unità
materiale. Il fattore che maggiormente incise sul declino
dell’unità del potere monarchico è costituito dagli sviluppi del
feudalesimo e delle autonomie cittadine, come in
Francia, nella penisola italiana e più tardi in
Germania.
Uno dei protagonisti del tempo, l’abate Guglielmo da Volpiano
scriveva: “il potere dell’imperatore romano è oggi esercitato
nelle diverse province da molti scettri, ma il potere di legare
e sciogliere, in cielo come in terra, appartiene per
diritto incrollabile al magistero di Pietro”. Le parole di
Gugliemo da Volpiano suonano profetiche fino al concordato di
Worms (1122), con la contrapposizione del papato all’imperatore
nella lotta per le investiture, conclusasi con la sostanziale
vittoria del papato e l’affermazione dell’autonomia della
gerarchia ecclesiastica da ogni ingerenza dell’imperatore, come
di qualsiasi altro potere laico.
I tentativi di disporre liberamente della nomina di vescovo e
abati da parte dei più potenti feudatari non potevano essere
tollerati dalla
Chiesa e suscitarono una violentissima reazione che sfociò
nei movimenti di riforma tesi a ripristinare il rispetto e la
severità della regola nei monasteri.
Importantissimi focolai di riforma furono in particolare i
monasteri cluniacensi.
Il declino dei poteri centrali imperiali e monarchici ebbe
conseguenze anche sulla ripresa e lo sviluppo della produzione
artistica.
Infatti, prima, con l’atto sacramentale della consacrazione il
sovrano carolingio riceveva direttamente il proprio carisma dal
Dio dell’Antico Testamento. L’arte era divenuta una questione
essenzialmente regale verso una decisa ripresa di modelli aulici
dell’antichità imperiale.
Nel corso dell’XI secolo il patrocinio delle costruzioni
ecclesiastiche e il compito di provvedere alla loro costruzione
e decorazione passano in altre mani. Così non più il re di
Franca ma il duca di Normandia diviene il grande costruttore di
chiese e abbazie.
I signori locali vengono quindi divisi in “signori della guerra
e signori delle preghiere”.
Mentre i sovrani vengono spogliati di gran parte delle risorse
indirizzate ad alimentarne le magnificenza nei confronti della
Chiesa, gli investimenti artistici aumentano.
I “signori della guerra” continuano a spogliarsi di una parte
assai consistente delle loro ricchezze che vanno ad aumentare i
patrimoni di cattedrali e abbazie.
La grande arte assume sempre più come funzione primaria quella
“espiatoria”.
I monasteri devono manifestare anche nella grandiosità degli
edifici e attraverso la
bellezza e lo splendore della creazione artistica, la gloria
dell’Onnipotente e l’immagine radiosa della città celeste.
L’abbandono del lavoro manuale e le comodità concesse ai monaci
di Cluny rispetto alla regola di
san Benedetto sono conseguenza dell’importanza attribuita
alla celebrazione dell’ufficio liturgico con grande sviluppo del
canto corale.
Nel fasto e nella solennità delle celebrazioni liturgiche, come
nella costruzione e decorazione della terza immensa
chiesa abbaziale a Cluny, trova piena espressione la
tendenza a concepire la magnificenza, la grandiosità e la
ricchezza come elementi primari delle offerte rivolte a Dio.
Nelle nuove forme artistiche è, però, possibile riconoscere
anche un’aspirazione profonda a trascendere i limiti dei sensi e
dell’intendimento umani con un linguaggio accessibile solo a
pochi iniziati.
LA “QUESTIONE” DEL ROMANICO
Il rinnovamento delle forme artistiche che ha
luogo tra la seconda metà dell’XI secolo e i primi decenni del
XII investe principalmente l’architettura
e la scultura monumentale. Per definire la nuova civiltà
figurativa è entrato in uso il termine
romanico. Una delle caratteristiche fondamentali della nuova
civiltà figurativa è il riferimento a modelli e tecniche
costruttive dell’antichità romana. La
storiografia artistica ha ricostruito lo sviluppo dell’architettura
e della scultura romaniche come una catena di innovazioni legate
tra di loro.
Va attribuita una certa importanza alla mobilità di persone e
merci preziose che è conseguenza della ripresa dei commerci e
anche dei pellegrinaggi. Sono importanti le opere di alcuni
protagonisti del movimento di riforma della vita monastica, tra
le quali Guglielmo da Volpiano che fece costruire la vasta
rotonda a tre ordini dell’abbazia di Saint- Benigne a Digione.
È possibile definire i caratteri dell’architettura
romanica, partendo da quegli edifici religiosi che avevano
valore monumentale, e svolgevano anche funzioni di carattere
temporale. Tra gli elementi tipici della costruzione
romanica ci sono la riscoperta di una logica strutturale, basata
nella copertura a volte, in particolare a volte a
crociera. La volta a
crociera permette alla parete di slanciarsi in altezza. In
realtà alcuni degli edifici considerati tra le più importanti
creazioni dell’architettura
romanica- come il duomo di Modena e San Miniato a Firenze -
ricevettero in origine una copertura a soffitto ligneo.
Un altro elemento caratteristico dell’arte
romanica è la scansione delle murature esterne mediante
lesene e arcate cieche.
La medesima tendenza a una potente articolazione si manifesta
negli elementi di sostegno come nelle massicce pareti degli
edifici romanici che sembrano concepite a più strati e svuotate
da corridoi e gallerie. Tale concezione della parete rimanda
all’architettura
tardo romana delle province. Particolari esigenze di carattere
liturgico e funzionale pongono le premesse per lo sviluppo della
zona presbiteriale, mentre si ampliano le cripte dove vengono
custodite le reliquie.
All’interno come all’esterno, il gioco delle sequenze spaziali
appare ritmato dalle cornici e dalle lesene.
La scultura monumentale che si sviluppa a partire dagli ultimi
decenni del secolo XI presenta caratteri nuovi perché si
aggiunge un ampio
ventaglio di modelli che vengono liberamente interpretati e
si modifica la funzione delle immagini, destinate a un pubblico
più vasto.
LE REGIONI DEL
ROMANICO EUROPEO
Lo sviluppo dell’arte
romanica costituì un fenomeno europeo, basato
sull’omogeneità culturale della classe dominante e sulla nuova
mobilità che caratterizzò l’Occidente a partire dal secolo XI.
Nelle terre germaniche, dove l’autorità imperiale conserva il
suo potere, risulta molto forte la continuità con la tradizione
artistica carolingia e ottoniana, mentre nella Pianura Padana e
in Toscana, l’affermarsi dei comuni pone le premesse per uno
sviluppo più differenziato.
Germania e Paesi Bassi
Il rapporto di continuità tra l’architettura
nella prima metà del secolo XI e quella dei decenni seguenti si
coglie facilmente nelle terre imperiali di
Germania, come nelle chiese abbaziali di San Michele a
Hildesheim o in Santa Maria a Colonia, ma l’intreccio tra
continuità e sviluppo si manifesta soprattutto nella cattedrale
di Spira. Fondata dall’imperatore Corrado II e consacrata nel
1061, la cattedrale presenta dimensioni monumentali. Una
galleria continua di arcatelle all’esterno e l’articolazione
potente delle pareti all’interno creano la
fusione perfetta tra le parti più antiche e quelle più
recenti dell’edificio.
Un altro esempio di sviluppo nella continuità è fornito dalla
chiesa abaziale di Santa Maria Laach in Renania che si
presenta come un complesso unitario nella perfetta scansione dei
volumi.
Trovò, invece, uno sviluppo limitato in
Germania la scultura monumentale e architettonica.
Normandia e Inghilterra
Nella
chiesa abaziale di Jumièges ci sono alcuni dei caratteri
fondamentali della nuova
architettura, come l’altissima facciata inquadrata da due
torri e il soffitto ligneo nella navata centrale.
Alla vigilia della spedizione che portò i
Normanni alla conquista dell’Inghilterra Guglielmo il
Conquistatore fondò due grandi abazie a Caen. In particolare in
quella di Saint Etienne molti degli elementi già presenti a
Jumièges vengono riprese e perfezionati. In facciata le torri
sono allineate alla parte centrale e danno un effetto di grande
slancio verticale, mentre il soffitto ligneo è sostituito da
volte costolone.
La conquista normanna diede avvio in Inghilterra alla
costruzione di molte abbazie e cattedrali, accomunate da slancio
verticale, come le cattedrali di Winchester e Ely.
Borgogna
Come in
Germania anche in Borgogna lo sviluppo dell’architettura
romanica è preceduto da un’attività costruttiva di grande
importanza di cui rimangono scarse tracce. Gli scarsi resti che
ci sono giunti dalla ricostruzione dell’abbazia di Cluny del 948
e di quella del 1088 mostrano la presenza di una grande zona
presbiteriale e consentono di farsi un’idea delle grandi
dimensioni dell’edificio.
Accanto alla diffusione del modello cluniacense, si afferma in
Borgogna anche un altro tipo di costruzione con limitato
sviluppo verticale, come l’abbazia di Vezelay.
Anche la scultura monumentale conosce un grande sviluppo in
Borgogna. Un forte arcaismo caratterizza i capitelli della
rotonda di Saint Benigne a Digione.
Precedente più diretto della cultura romanica appaiono invece i
capitelli dell’abbazia benedettina di Saint Benoit: decorati con
foglie di acanto o con scene apocalittiche e figure di santi.
A Cluny su due capitelli sono raffigurati il peccato dei
progenitori e il sacrificio di Isacco, mentre un terzo riprende
la decorazione del capitello corinzio ed altri recano figure di
atleti, delle virtù teologali e cardinali, dei fiumi del
paradiso. I capitelli di Cluny, con le loro figure delicate e la
loro eleganza, pur appartenendo alla nuova
arte romanica, risultano ancora collegati alla tradizione
ottoniana dell’oreficeria.
Analoga tecnica di intaglio si riconosce nel timpano della
chiesa di Charlieu, raffigurante Cristo in maestà tra due
angeli. A partire da questo timpano è possibile seguire un
evoluzione verso figure più sciolte e in rapporto sempre più
dinamico con il campo architettonico.
Tra il terzo e il quarto decennio del XII secolo la scultura
romanica giunge a maturità in Borgogna, con i cantieri di Autun
e di Vezelay. Ad Autun il maestro Gislebertus firma il timpano
del portale occidentale che raffigura il giudizio finale, e
lavora al portale settentrionale da cui proviene l’immagine
naturalistica di Eva.
A Vezelay nel grande timpano del portale è raffigurata la
missione di Cristo agli Apostoli.
Linguadoca e Dordogne
Un precoce sviluppo dell’arte
romanica contraddistingue anche la Linguadoca.
A Tolosa la ricostruzione della
chiesa di pellegrinaggio di Saint Sernin ebbe inizio prima
del 1080. L’edificio presenta motivi di interesse per la
grandiosità dell’impianto planimetrico e per l’imponenza della
navata centrale e della zona presbiteriale. I capitelli del
deambulatorio presentano un’elegante decorazione a fogliami,
mentre quelli del transetto formano un organico ciclo
iconografico con le figure di Lazzaro e del ricco Epulone e
scene di supplizio: sono scene di grande semplicità.
La tavola dell’altare reca una decorazione scolpita sui lati con
figure di Cristo tra la Vergine e San Giovanni evangelista gli
apostoli, l’episodio leggendario dell’ascensione di
Alessandro Magno e immagini di uccelli affrontati.
In una lunga iscrizione latina compare il nome dell’autore
Berbardus Gelduinus. L’impronta dello stile di Bernardus
Geldunius appare evidente, anche in numerosi capitelli delle
tribune del transetto e soprattutto nelle sculture della porta
di Miegeville.
Contemporaneamente a quella del cantiere di Saint Senin a Tolosa
si svolge l’attività di un altro grande centro della scultura
romanica europea, l’ abbazia cluniacense di Moissac, dove viene
costruito il chiostro con capitelli scolpiti e figure di
apostoli a grandezza naturale. I particolari sono
sistematicamente subordinati a un complesso schema ritmico -
decorativo che intensifica la connessione e insieme la tensione
tra figura e piano di fondo.
I capitelli sono modellati come sculture e il sistema delle
volute e delle mensole rende ancor più impercettibile la
metamorfosi.
Al secondo decennio del XII secolo vengono fatti risalire i
lavori per il portico della
chiesa abbaziale con l’immenso timpano raffigurante la
Visione apocalittica di san Giovanni. Sugli stipiti sono
scolpite le figure di san Pietro e di un altro profeta oltre ad
animali mostruosi affrontati.
All’assoluta immobilità e frontalità della figura di Cristo si
contrappone la violenta animazione delle immagini circostante e
la resa reale dei particolari.
Ai cantieri di Moissac si collega anche lo sviluppo della
scultura monumentale nella Dordogne, a partire dalla cattedrale
di Cahors, che presenta una particolare struttura architettonica
con navata unica coperta da cupole. Nel portale di Cahors
lavorano scultori provenienti dal cantiere di Moissac.
L’influsso della scultura di Moissac si manifesta nel portale
meridionale della
chiesa di Beaulieu, con il giudizio finale nel timpano. A
Beaulieu è evidente la ripresa del risalto plastico delle
immagini di Moissac.
Conques, l’Aquitania, l’Avernia e la Provenza
Uno dei santuari che richiamarono maggiori folle di pellegrini
fu l’abbazia di Conques, la cui
chiesa presenta l’impianto caratteristico degli edifici di
pellegrinaggio ed elevata altezza della navata centrale, con due
ordini di arcate e copertura a volte. All’interno la decorazione
scultorea non è ricca, ma nel timpano del portale c’è una
rappresentazione del Giudizio finale molto interessante dal
punto di vista iconografico.
In Alvernia lo sviluppo dell’arte
romanica è in rapporto con quello dei pellegrinaggi e molte
chiese manifestano caratteri di severa austerità. Tra gli
edifici che risalgono alla prima metà de 1100 ricordiamo la
chiesa abbaziale di Saint Nectaire.
La particolare ricchezza di monumenti che caratterizza la
Provenza è decisiva per lo sviluppo del
romanico nella regione. A Saint Gilles du Gard, centro di
partenza per Santiago di Compostela, la
chiesa del priorato è preceduta da un grandioso portale che
riprende lo schema di un arco trionfale.
In Aquitania si ricorda l’abbazia di Poitiers, decorata in tutta
la sua superficie.
Spagna settentrionale
Stretti rapporti politici ed economici collegano i regni
cristiani della
Spagna settentrionale con il sud della
Francia. Tra i cantieri dove si verificò più precocemente il
passaggio all’arte
romanica c’è quello di San Isidoro a Leon. Contiguo a san
Isidoro sorge il Pantheon de los reies, la cui volta venne
decorata entro la fine del XII secolo con un ciclo di affreschi
raffiguranti la Majestas Domini.
Edificio
principe della regione è il santuario di Santiago di
Compostela, ricostruito a partire dal 1075 sullo schema
planimetrico delle grandi chiese di pellegrinaggio francesi, con
lunghe e alte navate, matronei e ampio transetto. I più antichi
capitelli del deambulatorio presentano forti punti di contatto
con quelli di Saint Sernin a Tolosa. Al medesimo ambito
culturale appartengono gli eleganti capitelli della cattedrale
di Jaca.
Più complessa appare la cultura figurativa dei maestri che
scolpirono i capitelli del chiostro del monastero di Danto
Domingo de Silos vicino a Burgos. Questi capitelli sono decorati
con motivi vegetali e figure di animali con una esecuzione
raffinatissima.
Catalogna
Caratteri del tutto particolari manifesta lo sviluppo dell’arte
romanica in Catalogna, dove una fioritura precoce di edifici
di ridotte dimensioni si prolunga per tutto il XII secolo.
Assume invece importanza la decorazione pittorica, con affreschi
e pittura su tavola, che reinterpretano lontani modelli
bizantini.
La penisola italiana
La penisola italiana, all’interno del
romanico europeo, presenta una varietà di aspetti che non
trova equivalenti.
La precoce crescita delle città in Sicilia al tempo della
dominazione araba, l’affermarsi delle repubbliche marinare, il
consolidarsi dei comuni in pianura Padana: sono tutti fenomeni
che testimoniano una rapida crescita.
In un contesto variegato, con l’influenza bizantina nel
meridione e quella d’oltralpe nel Nord, assume rilevanza il
fenomeno di resistenza all’assimilazione di alcuni elementi del
romanico, in favore di una ripresa di modelli
paleocristiani, soprattutto a
Roma, in Campania e Toscana.
Il vescovo di Arezzo, avendo deciso di ricostruire il duomo
della città, invia l’architetto Maginardo a
Ravenna per studiare la
chiesa di San Vitale. A Firenze il vescovo ricostruisce il
battistero, che consacra nel 1059. A Pisa la riedificazione
della cattedrale prende avvio da un impianto basilicale a cinque
navate di impronta paleocristiana.
A
Roma continua il legame con la tradizione dell’architettura
cristiana tardo antica, mentre in Campania, l’abbazia di
Montecassino si ispira alla prima
architettura cristiana e all’arte di Bisanzio.
La ricostruzione dell’antica basilica Martyrum, fondata da Sant’Ambrogio,
coincide con la piena affermazione dell’autonomia comunale di
Milano. Nel nuovo edificio, che conserva l’impianto a tre navate
privo di transetto, il sistema di coperture con volte a
crociera costolonate trova una delle soluzione più organiche
di tutto il
romanico europeo. Ai grandi pilastri a fascio che sorreggono
le volte delle campate centrali si alternano pilastri minori,
che ricevono le spinte di quelle laterali.
Del tutto in accordo con la tonalità dell’articolazione spaziale
appare la facciata scandita da due ordini di arcate: quelle
inferiori collegate agli altri tre lati del quadriportico,
mentre quelle superiori, in rapporto con il profilo a capanna
della copertura, appartengono a un loggiato che domina l’atrio
monumentale, concepito come luogo di riunione per assemblee
religiose o civili.
Altro grande centro di diffusione dell’arte
romanica nella pianura Padana è il duomo di Modena fondato
nel 1099 e voluto da tutto il popolo della città, con l’appoggio
della contessa Matilde di Canossa. Architetto e costruttore
dell’opera fu Lanfranco, il cui nome compare in una lapide. I
lavori ebbero inizio quasi contemporaneamente dall’abside e
dalla facciata, dove una seconda lapide ricorda il nome dello
scultore Wiligelmo.
Privo di transetto e a tre navate concluse da absidi nel
presbiterio sopraelevato, l’edificio presenta la scansione della
navata centrale in quattro campate, sormontate da un loggiato
con trifore. Più in alto si aprono nelle pareti alte e strette
finestre, mentre la copertura era in origine a capriate lignee.
L’articolazione spaziale si riflette all’esterno nelle scansioni
delle pareti e della facciata, che presentano arcate cieche in
continuità. Le sculture partecipano all’articolazione della
facciata. In origine i quattro rilievi scolpiti da Wiligelmo con
storie della Genesi erano probabilmente allineati ai lati del
portale centrale, con protiro a due piani, dove compaiono per la
prima volta i leoni stilofori.
Il portale presenta una leggerissima strombatura e manca di
timpano scolpito. Sono invece decorate le fasce degli stipiti e
dell’architrave con motivi a tralci di acanto e di vite, animati
da figurine di vendemmiatori, da animali favolosi e da esseri
mostruosi. Il motivo dell’intreccio vegetale evoca l’intrico
della selva, mentre quello della vendemmia allude al paradiso.
Dodici profeti entro edicole sono raffigurati all’interno degli
stipiti; sui capitelli sono scolpite invece figure incurvate
sotto il peso di massicce modanature. Altri rilievi, di cui non
è certa l’originale collocazione, sono murati nella facciata e
nel protiro: due figure di genietti alati appoggiati a fiaccole
rovesciate, Sansone che vince il leone e altre immagini di
animali.
Lo stile dei rilievi, come dei capitelli delle semicolonne e
della galleria di facciata, manifesta caratteri fortemente
unitari, che si differenziano da quelli dei capitelli della
cripta, opere di maestranze lombarde.
Protagonista del rinnovamento del cantiere di scultura fu
Wiligelmo, autore dei rilievi del portale e delle storie della
Genesi, la cui raffigurazione assume toni di grande intensità
grazie alla straordinaria varietà ed espressività dei gesti e
delle figure. La ripresa di modelli antichi non si risolve mai
per Wiligelmo dell’adozione di stereotipi, ma appare arricchita
da un’attenta resa dei particolari. Nel nuovo repertorio
gestuale e nella più sensibile modellazione dei volti, le
immagini trovano un’immediatezza e una forza espressiva che
corrisponde alle esigenze di
comunicazione a tutto il popolo di fedeli, senza distinzione
di cultura.
IL CANTIERE DELLA CHIESA ROMANICA
A partire dal VI secolo, al sensibile ridursi del numero di
nuovi edifici di dimensioni grandiose si accompagna il graduale
abbandono della tecnica costruttiva delle volte in opus
coementicum, con il sempre più frequente impiego di coperture
lignee. Mutano sia le dimensioni sia l’organizzazione del
cantiere: non più masse di manovali ma piccoli gruppi di
magistri che lavorano a erigere un settore della costruzione per
volta.
La prima
architettura non muta tale tipo di organizzazione. Tuttavia
la necessità di accelerare i tempi di costruzione e soprattutto
la crescente complessità strutturale riconducono a tipi di
cantiere più simili a quelli della tarda antichità.
L’architetto Lanfranco è circondato da assistenti in atto di
dirigere in un caso la posa delle fondamenta dell’edificio, in
un altro l’apparecchiatura dei muri, dando origini alle
maestranze, distinte in due categorie fondamentali: operarii e
artificces. I primi appaiono impegnati nelle mansioni più
semplici, mentre i secondi sono addetti alla rifinitura del
taglio delle pietre.
Accanto al vero e proprio cantiere architettonico doveva
esistere poi quello degli scultori. Inizialmente gli scultori
non erano altro che un gruppo particolare di artifices ma nel
corso dell’affermarsi della scultura monumentale si è
determinata una situazione di crescente autonomia degli scultori
che lavoravano il marmo.
Un capitello del portale meridionale di Santa Maria Maggiore a
Bergamo pare confermare tale tipo di organizzazione.
ARTE ROMANICA E VIE DI PELLEGRINAGGIO
Nel corso del secolo XI la pratica dei
pellegrinaggi verso santuari che custodivano preziose reliquie
rifiorisce e si trasforma in un fenomeno sociale di vastissima
portata.
Il pellegrinaggio costituisce per l’uomo medievale, oltre che un
atto penitenziale ed espiatorio, lo strumento più efficace per
assicurarsi la benevolenza e la protezione della divinità e dei
santi.
Le principali vie di pellegrinaggio conducevano al sepolcro di
Cristo a Gerusalemme, alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo a
Roma e a quella dell’apostolo Giacomo a Compostella, in
Galizia.
Venezia e le città costiere della Puglia, porti di imbarco per
la Terrasanta, dopo la conquista di Gerusalemme da parte dei
crociati, erano interessate dal primo di tali pellegrinaggi.
Le strade che dai passi alpini conducono a
Roma sono costellate di importanti centri urbani che
andavano acquistando grande floridezza e relativa autonomia
politica.
Tra i pellegrinaggi europei, tuttavia, quello che costituì il
fenomeno di più vasta portata nel secolo XI è il pellegrinaggio
a Santiago di Compostella dove il vescovo Teodemiro, aveva
miracolosamente ritrovato in una deserta e misteriosa zona
cimiteriale la sepoltura dell’apostolo Giacomo. Giacomo che fu
anche il primo degli apostoli a subire il martirio, secondo una
tradizione bizantina si sarebbe spinto “peregrinando” verso le
estreme regioni d’Occidente, per evangelizzare la penisola
iberica, giungendo fino alle coste dell’Atlantico in Galizia.
Il pellegrinaggio a Compostela assume dimensioni impressionanti
proprio a partire dal secolo XI dando vita a una vera e propria
rete di strade con luoghi di raccolta e ospizi per i pellegrini.
Documento importantissimo è la Guida del pellegrino scritta dal
chierico Aymery Picaud dove troviamo una puntuale descrizione
delle diverse strade e delle tappe che conducono a Santiago. A
Puente la Reina, in Navarra, confluivano i quattro “cammini”
francesi.
Per ciascuna delle quattro vie la Guida elenca con precisione
tutti i santuari e le reliquie cui il pellegrinaggio doveva
rendere visita e omaggio.
Lo sviluppo della pratica del pellegrinaggio non mancò di dare
grande slancio all’attività artistica. Il fenomeno più
interessante di circolazione di idee e modelli è costituito
dall’imporsi di un particolare tipo di pianta nelle grandi
chiese di pellegrinaggio con eccezionale ampiezza del
deambulatorio e del transetto, dotandolo di navate laterali e di
accessi indipendenti dall’esterno, con portali monumentali.
IMMAGINI TEOFANICHE NEI TIMPANI
La decorazione dei timpani di portali con
rilievi di carattere monumentale trova vasto sviluppo nelle
chiese abbaziali e nelle cattedrali di alcune regioni francesi
(Borgogna, Linguadoca, Dordogne) e della
Spagna settentrionale.
L’immagine ha carattere teofanico e tende a farsi veicolo della
soverchiante rivelazione della divina onnipotenza.
Uno dei più antichi timpani borgognoni è quello di Montceaux
–l’Etoile.
Lo stesso motivo riappare in Linguadoca nel portale della
chiesa abbaziale di Moissac dove trionfa la gigantesca
rappresentazione della visione apocalittica di san Giovanni.
L’intonazione trionfale del timpano di Moissac trova eco in
quello della
chiesa abbaziale di Beaulieu, dove il Giudizio finale si
caratterizza per una interpretazione accentuatamente “positiva”
del tema: Cristo- giudice è immagine egloriosa e la grande croce
disposta asimmetricamente alle sue spalle diviene simbolo di
vittoria e di trionfo sulla morte e sulle
forze del male. È assente qualsiasi accenno diretto
all’inferno.
Il Giudizio trova a Beaulieu la sua più limpida
rappresentazione.
Nel Giudizio di Autun l’iscrizione che tramanda il nome dello
scultore Gislebertus ricorda l’onnipotenza del giudice divino e
ammonisce gravemente gli spettatori. Il
Paradiso come “castello” del signore giusto, è contrapposto
all’Inferno- spelonca del malvagio. La figura frontale di
Cristo- giudice domina potentemente tutta la rappresentazione.
A Vezelay il portale reca nel timpano la rappresentazione di
Cristo in atto di affidare agli apostoli la missione di
evangelizzare la terra. Lo stile “tragico e visionario” della
scultura romanica borgognona trova qui il suo culmine.
Nell’archivolto sono scolpiti i segni zodiacali e figurazioni
dei lavori dei mesi.
Riprendendo una simbologia tardo antica, sulla soglia del
santuario Cristo è presentato come “consacratore” de i cicli
naturali e delle opere dell’uomo, ma anche dei tempi e dei
momenti dell’anno liturgico e segnando il varco verso il tempo
“sacro” dell’eternità.
Per la sua posizione al culmine del semicerchio della lunetta,
il simbolo allude anche all’ora meridiana come istante immobile
della massima intensità luminosa, quella che consente appunto la
visione di Dio “faccia a faccia” nel giorno dell’eternità.
ORIGINE DEL GOTICO IN FRANCIA E PRIMI
RIFLESSI IN ITALIA
Il termine “gotico”
passa nel XVI secolo ai trattati d’arte per definire, con
accentuato disprezzo, edifici di tipo nordico, lontani dai
“modelli classici”, nei quali la struttura portante di
decorazioni apparentemente capricciose, prive della chiarezza di
rapporti proporzionali e della razionalità predilette dagli
architetti del
Rinascimento. L’abolizione dell’aura negativa del termine è
merito della rivalutazione operata dalla cultura europea in
concomitanza con la diffusione di un vero e proprio revival di
quello stile, il Neogotico. Il pregiudizio negativo lascia
allora posto a un’acritica esaltazione. La cultura romantica
riconosce, nel passato
gotico, il primo formarsi di caratteristiche tipiche dei
popoli e delle nazioni moderne; non mancano inoltre motivazioni
religiose. Lo stile
gotico infine, in quanto espressione delle nascenti
monarchie nazionali, viene rivalutato dalle corti europee
dell’età della
Restaurazione.
Il
Gotico, come il
Romanico, è un fenomeno di portata europea e riguarda tutti
i settori della produzione artistica. L’origine del nuovo stile
viene in genere riconosciuta nel coro della
chiesa abbaziale di Saint-Denis in
Francia. Apparentemente l’arte
gotica esprime lo slancio mistico di un’epoca ancora pervasa
da una fortissima religiosità e che si avventura nei più
complessi tentativi di interpretazione dell’universo. “Gotici”
sono tanto il più artificioso distacco dalle forme naturali.
L’architettura
gotica può apparire il frutto di perfezionamenti tecnici già
presenti nell’arte
romanica. Si apre però presto una frattura clamorosa tra i
due “stili” per il mutare delle funzioni dell’arte e del ruolo e
del prestigio sociale degli artefici.
Attorno al 1380 si riconosce una fase stilistica unitaria a
livello europeo denominata “Gotico
Internazionale”, o “Cortese”. A nord delle Alpi il
Gotico si prolunga col “Tardo
Gotico”, sino all’inizio del XVI secolo. In
Italia la diffusione del nuovo stile coincide con un momento
storico di straordinaria fioritura economica, culturale, civile.
Dai primi anni del Duecento abbazie, basiliche, palazzi e
castelli cominciano a mostrare i segni inequivocabili del nuovo
modo di costruire nato in
Francia nel secolo precedente.
In
Italia risiedono l’imperatore e il
papa, fioriscono i Comuni, si affermano le prime Signorie.
Nasce e si sviluppa la letteratura in vogare che si afferma
pienamente in Toscana, con gli Stilnovisti.
IL
GOTICO NELL’ILE-DE-FRANCE
L’architettura
gotica ha origine in
Francia, nella regione circostante Parigi, poco prima metà
del XII secolo.
La cattedrale o la
chiesa abbaziale gotica
francese è un edificio spesso di dimensioni colossali,
slanciato e luminoso: è un complesso organismo in cui ogni
membratura ha una precisa funzione statica. La cattedrale gotica
richiama alla mente la costruzione teologica delle Summae della
filosofia
scolastica. La summa è uno schema del pensiero che affida
alla logica il compito di organizzare i fenomeni in un sistema
concettuale complesso. La prima affermazione dell’architettura
gotica coincide con le prime formulazioni della
Scolastica, entro la metà del XII secolo, con Gilbert de la
Porrè e
Abelardo. La massima fioritura del
gotico nel XIII secolo è coeva all’attività dei più celebri
Guglielmo di Auvergne, San Bonaventura,
San Tommaso d’Acquino. La cattedrale gotica è una metafora
del mondo: tende con una progressiva semplificazione a
slanciarsi verso il cielo, come esprimendo l’anelito dell’anima
a ricongiungersi con Dio. Le navate si innalzano ad altezze
vertiginose sorrette da agili pilastri a fascio in cui si
concentravano le nervature delle volte sospese a decine di metri
dal suolo.
L’arco a sesto acuto è la forma caratteristica dell’architettura
gotica, ha un ruolo essenziale nel ritmo verticale delle nuove
costruzione e un’importantissima funzione statica.
A equilibrare le straordinarie spinte centrifughe delle volte
provvedono, gli archi rampanti. Gli archi rampanti si allineano
lungo le fiancate delle cattedrali. Allo slancio verticale
conferito dalle proporzioni e dalle strutture dell’interno,
corrisponde la forma esterna, coi tetti a ripidi spioventi, le
torri, le guglie.
Nella cattedrale gotica
francese, le pareti sono sostituite da vetrate istroriate,
che hanno la funzione, assieme al rosone della facciata, di
illuminare l’interno. La forte luminosità rientra nella
simbologia religiosa, come testimoniano gli scritti di Suger ,
abate di Saint-Denis che ristruttura la sua
chiesa abbaziale, proponendo col deambulatorio del coro la
prima costruzione gotica
francese. Suger ritiene che un edificio ecclesiastico
assolva meglio il compito di onorare la divinità se è sontuoso e
dotato di splendidi arredi. Il pensiero dell’abate si ricollega
alle teorie dello pseudo dionigi, che aveva descritto l’universo
come propagazione di
luce emanata da Dio verso il mondo e la materia.
Il deambulatorio di Saint-Denis da accesso a cappelle. Del 1151,
sono il coro, dominato dallo slancio degli archi a sesto acuto e
la più tarda navata centrale.
L’esempio di Saint Denis è presto seguito nel resto dell’Ile de
France. Alla prima fase del
gotico, entro il 1200 appartiene Notre Dame a Parigi, a
cinque navate con transetto e doppio deambulatorio, dove sono
sperimentate nuove soluzioni tecniche , come la copertura del
deambulatorio con volte a sezioni triangolari, all’esterno,
l’introduzione degli archi rampanti a contenere le spinte delle
poderose volte. La prima metà del XIII secolo è ritenuta la fase
“classica” dell’architettura
gotica
francese, cui appartiene anche la cattedrale di Chartres,
consacrata alla vergine, tra il 1194 e il 1230; la pianta è a
tre navate, con transetto, doppio deambulatorio e cappelle
radiali. La facciata è dominata dalle altissime torri e dai
portali ornati da splendide sculture. Le pareti della navata
centrale, presentano archi e vetrate di identica forma e misura.
La massa muraria è eliminata a favore delle vetrate. Da
Notre-Dame di Chartres discendono le cattedrali di Reims e di
Amiens. Un modello coevo ma alternativo è proposto dalla
cattedrale di Bourges, la cui pianta a cinque navate senza
transetto e con doppio deambulatorio si ispira a Notre Dame di
Parigi . All’interno, i pilastri della navata centrale si
innalzano assai più che a Chartres lasciando spaziare lo sguardo
verso le navate laterali. Ne risulta l’impressione di uno spazio
molto vasto.
Una tendenza a uno svuotamento ancora più radicale delle pareti
si manifesta in
Francia verso la metà del Xlll sec., con la fase detta del “
Gotico Radiante”. Tale orientamento si afferma, oltre che
nelle testate dei transetti di Notre-Dame a Parigi con gli
immani rosoni e le gallerie comunicanti tramite vetrate con
l’esterno, nella Sainte-Chapelle di Parigi fatta erigere da S.
Luigi re di
Francia come santuario palatino e come contenitore do
preziose reliquie giunte da Bisanzio. Le pareti sono qui
completamente abolite e sostituite da vetrate istoriate separate
da sottili pilastri compositi: la leggerezza e la luminosità
dell’interno non lascia trasparire la so lida ingabbiatura
esterna dei possenti contrafforti.
Lo sviluppo della scultura gotica
francese presenta almeno due fondamentali caratteristiche.
Anzitutto, al gusto enciclopedico delle summae, si collega la
tendenza ad allestire degli schemi dottrinari di incredibili
complessità, nei quali le figure e le scene sacre si connettono
a personificazioni e allegorie riguardanti i più vari aspetti
del pensiero della vita. Se la cattedrale è una imago mundi do
pietra, anche lo scultore deve esporre il messaggio religioso,
come il teologo. La decorazione del portale centrale della
facciata occidentale di Notre-Dame a Parigi, che si dispiega
maestosamente attorno alla lunetta del
Giudizio Universale rende bene l’idea di questa tendenza
enciclopedica spinta fino all’ossessione catalogatoria.
Parallelamente si assiste al trapasso dalla concezione romanica
del rilievo come parte integrante delle membrature
architettoniche a una nuova concezione basata su una maggiore
autonomia delle figure plastiche rispetto all’architettura.
La statua non fa più corpo con l’architettura,
ma è “sovrapposta” a essa: acquista una potenzialità inedita
d’individuazione e di movimento.
Nella facciata della cattedrale di Chartres i Re e le Regine d’Israele
di allungata forma cilindrica sono colonne sagomate di aspetto
antropomorfo da cui sporgono appena le braccia e i piedi. I
panneggi increspano appena le superfici.
Un’ottantina d’anni più tardi le statue disposte nello strombo
del portale centrale della cattedrale di Reims sono figure
indipendenti, addossate alle colonne retrostanti ma di fatto
distaccate da esse, atteggiate con naturalezza bilanciate da
armoniosi contraposti. I panneggi non mascherano, ma rivelano le
membra sottostanti. Si ha l’impressione di ammirare statue
classiche.
La scultura
francese si approssima lentamente a quella antica. Non si
deve tuttavia definire “classico”lo stile di queste statue.
Sembra pertanto più corretto parlare di “classicismo”,
riconoscibile verso il 1220-50.
I CANTIERI ITALIANI NELLA PRIMA META’
DEL XIII SECOLO
In
Italia l’architettura
gotica stenta ad affermarsi.
La tradizione romanica è troppo forte e ben radicata per non
opporre una forte resistenza alla penetrazione di nuovi modelli.
In penisola l’affermazione di coerenti principi architettonici
gotici non sarà disgiunta dal manifestarsi di
ideologie aristocratiche. La penetrazione del
Gotico dunque non soltanto è lenta, ma dà luogo a
formulazioni moderate o romantico-gotiche che rifiutano
l’esasperato slancio verticale.
Le prime chiese gotiche italiane nascono in contesti particolari
come nel caso particolare delle costruzioni cistercensi.
Con l’ordine erige le prime abbazie gotiche italiane, tra la
fine del XII e il XIII secolo, nel Nord e nell’Italia
centrale.
Esemplare è il complesso di Fossanova nel Lazio, iniziato nel
1187 e consacrato nel 1206. La
chiesa è a croce latina, con corpo basilicale a tre navate,
transetto e coro per i monaci a testata rettilinea. All’esterno
risaltano la compatta robustezza della costruzione intercalata
dai contrafforti e l’altro tiburio ottagonale ornato da due
piani di bifore e rialzato nella torre campanaria. I muri
mantengono solidità e spessore; la navata centrale assume forte
risalto: coperta da volte a
crociera. Una sottile cornice divide le arcate laterali
dalle finestre soprastanti, smorzando l’effetto di verticalità.
L’edificio non ha né il dinamismo, né la luminosità delle grani
cattedrali francesi. Una concezione non dissimile si afferma. È
la costruzione dell’abbazia do San Galgano presso Siena,
finanziata dall’imperatore
Federico II, attualmente ridotta a un romantico rudere per
il crollo delle volte; ma che attesta un’evoluzione
dei primi modelli cistercensi in una formulazione più leggera
per l’assottigliarsi dei pilastri e il moltiplicarsi delle fonti
di
luce.
Un caso precoce di committenza non cistercense è offerto dal
Sant’Andrea di Vercelli, voluto e finanziato dal cardinale Guala
Bicchieri. Francesi sono i monaci Sanvittorini e tra essi è
Tommaso Gallo: rinomato maestro di teologia e
filosofia, è celebrato anche come “ingegnere”. Forse è
proprio Tomaso il progettista dell’edificio. Fondata nel 1219,
l’abbazia è consacrata nel 1224 e conclusa nel 1227. Nella
chiesa si armonizzano elementi gotici d’importazione e
romanici italiani. Romanica: è la facciata a capanna coi tre
portali inquadrati ad archi a tutto sesto e fortemente strombati
e con la doppia galleria.
Gotico è l’interno, a tre navate fiancheggiate da archi a
sesto acuto retti da pilastri circolari cui sono addossate esili
colonne. Le campate della navata centrale sono a pianta
rettangolare; le volte a
crociera scaricano il loro peso a terra tramite le lunghe
colonnette addossate alle pareti. Al fianco nord è adiacente un
ampio chiostro. La decorazione è completata dalle lunette a
rilievo sopra i portali con la Crocifissione di sant’Andrea
Il precoce “goticismo”del battistero di Parma va visto in
rapporto con le vicende personali e l’originale cultura del suo
artefice, Benedetto Antelami. Benedetto conosce bene la
tradizione romana padana. È già uno scultore di genio gli viene
affidata l’erezione del battistero, dal 1196, concepisce
un’opera di straordinaria originalità. Il battistero è un
edificio ottagonale ma è sviluppato in altezza, come una torre
tronca. Al piano terreno tre facce appaiono svuotare dai
profondi strombi dei portali a tutto sesto ornati da rilievi.
Verticalità ritmo complesso, proporzioni elaborate: sono tutte
caratteristiche gotiche, ottenute tramite un repertorio di forme
romaniche e classicheggianti. L’ottagono esterno si trasforma
all’interno in una struttura a sedici facce, con nicchie al
piano terreno e un’ampia cupola suddivisa a ombrello da
nervature tubolari che si prolungano sino a terra trasformandosi
in colonne sovrapposte: è questo il solo esplicito richiamo al
gioco sottile delle membrature delle cattedrali transalpine.
La basilica di Sant’Antonio a Padova a tre navate, iniziata nel
1232 come monumentale custodia della tomba del santo, combina
motivi romanici e gotici con un’impronta bizantina
derivata dalla basilica di San Marco a Venezia. La facciata
a capanna con galleria. All’esterno risaltano gli sporgenti
contrafforti sviluppati come archi rampanti lungo le fiancate.
A Bologna i Francescani affidano a Marco da Brescia l’erezione
di un’importante
chiesa dedicata a san
Francesco concepita a tre navate illuminata da strette
finestre che ricordano quelle degli edifici cistercensi.
Nel quadro della diffusione del
Gotico in
Italia, particolare rilievo assume la basilica di San
Francesco ad Assisi , centro irradiatore del
francescanesimo, sia per le caratteristiche strutturali sia per
le decorazioni. La
chiesa è in primo luogo sepoltura del fondatore dell’Ordine,
san
Francesco, che si vuole diventi una meta di pellegrinaggio e
un luogo di culto popolare. Per tradizione il sepolcro di un
santo era posto in una cripta, ma qui si vuole che essa sia
ampia quanto una
chiesa: sono perciò costruite due chiese sovrapposte, la
chiesa-cripta inferiore e la superiore finalizzata alla
predicazione. Fondata da Gregorio IX nel 1228 e consacrata da
Innocenzo IV nel 1253. Terminata la fase di distacco della curia
romana nei confronti di un Ordine sospetto di eresia, il papato
vede ormai nei francescani dei formidabili alleati religiosi e
politici coi quali rinsaldare i legami allentati con i ceti
popolari urbani. La basilica è anche una cappella papale e come
tale riferibile ai modelli romantici.
Le due chiese di Assisi sono a una navata, all’esterno da lunghi
contrafforti cilindrici e da archi rampanti. Nella
chiesa inferiore la limpida struttura è complicata
dall’aggiunta di un secondo transetto con funzioni di atrio e da
cappelle. Nella
chiesa superiore la navata è divisa in campate quadrate
coperte da volte ogivali rette da altri pilastri a fascio
addossati alle pareti. Gli archi a sesto acuto disposti
attraverso la navata sono ortogonali agli arconi che scavano la
fascia superiore, mentre la fascia inferiore delle pareti
presenta una cortina muraria continua, interrotta soltanto dallo
sporgere dei pilastri, pensato appositamente per essere
ricoperta da decorazioni ad affresco. La basilica superiore è un
capolavoro del
Gotico
italiano, ma non è priva di legami con l’architettura
della
Francia nord-occidentale, in particolare con la cattedrale
di Angers.
BENEDETTO ANTELAMI E LA CULTURA
FIGURATIVA IN ITALI SETTENTRIONALE
L’architetto del battistero di Parma Benedetto
Antelami è il più importante scultore
italiano attivo a cavallo tra il XII e il XIII secolo.
Ispirandosi alla viva tradizione del
Romanico padano fondata da Wiligelmo, ne riprende le fila e
la rinnova.
La Deposizione di Antelami nella cattedrale di Parma datata 1178
attesta uno stacco decisivo per stile, tecnica e sensibilità. La
superficie appare geometricamente definita da un bordo floreale
realizzato niello rinforzato nel lato superiore dall’iscrizione
con la data e la firma. La croce di Cristo divide il rilievo in
due metà esatte ma tale divisione ha ance un valore simbolico,
poiché il legno segna uno spartiacque tra i credenti e i non
credenti.
Le figure non sono caratterizzate individualmente e i gesti sono
convenzionali e ripetuti, ma i piedi poggiano saldamente sulla
stretta lastra di base. Le proporzioni delle figure sono
assottigliate: le capigliature, le barbe e i panneggi che
accennano alla volumetria dei corpi sono definiti con fitti
solchi. Memorabile è il gruppo di destra, dei
soldati intenti a dividere la veste di Cristo.
Una ventina d’anni più tardi Antelami decora il battistero di
Parma con il più spettacolare 1200. Le sculture rivestono gli
stipiti e le lunghe degli ingressi, le pareti cieche esterne e
nell’interno. L’ampiezza del programma iconografico dichiara il
debito
contratto con le complesse summae in immagini scolpite dei
portali sono figurazioni della Leggenda di Baarlam. La figura
issata su un albero e insidiata da un drago (il peccato) è
metafora della precaria condizione dell’uomo nel mondo
sottoposto ai ritmi del tempo, sull’albero è però un favo di
miele, da cui il protagonista sugge un nettare dolcissimo: la
salvezza spirituale del battesimo secondo un’interpretazione.
Il ciclo dei Mesi e delle Stagioni all’interno descrive la vita
dell’uomo nei diversi periodi dell’anno. L’insistenza sulla
raffigurazione del lavoro significa che esso non cade più sotto
il segno della maledizione divina. Il tema dei Mesi offrì all’Antelami
e ai suoi seguaci l’occasione di descrivere figure in atti
quotidiani per illustrare la vita dell’uomo e il suo
ambiente. Le figure di Antelami si stagliano quasi a tutto
tondo sul fondo liscio, realisticamente fissate nelle pose e nei
gesti: si veda con quanto vigore scultore descrive
analiticamente. La sua scultura flette una rivoluzione del mondo
anche dal pensiero religioso.
Un’importante personalità autonoma è il cosiddetto Maestro dei
Mesi, che scolpisce attorno al 1220 una lunetta con
adorazione dei Magi in San Mercuriale a Forlì e poco dopo,
il ciclo dei mesi del museo della cattedrale di Ferrara. Si veda
con quanta “verità” nel settembre sono illustrati i sottili
fusti, i tralci e le foglie dell’uva, le fitte striature del
cesto di vimini in cui il vendemmiatore raccoglie grappoli e con
quanta solenne concentrazione questi esegue il suo lavoro. Nel
Gennaio è addirittura recuperata la personificazione eponima
classica del mese, il dio Giano bicefalo, raffigurato sulla
scorta delle fonti antiche con un volto giovanile e l’altro
senile e caratterizzato dalla lunga barba. Un altro anonimo
seguace maestro, risulta attivo a Venezia, dove orchestra per il
portale centrale della basilica di San Marco un complesso
programma iconografico con i vivacissimi rilievi dei mesi.
Le attività di queste maestranze antelamiche si inserisce in un
non più generale rinnovamento della basilica marciana. È questo
il caso del mosaico Cristo sul monte degli ulivi, in cui la
figura di Cristo, è atteggiata con naturalezza e maestosità,
mentre gli apostoli sono definiti con tipologie diversificate e
con espressive pose angolose riprese da prototipi gotici. Il
paesaggio collinare, costituisce una quinta scenica credibile e
susciterebbe un impressione di profondità spaziale se non fosse
contraddetta dalla mancata diminuzione prospettica delle figure.
http://www.skuola.net/storia-arte/medioevo/storia-arte-medievale.html