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  INTERNOTIZIE

Esm, come funziona il fondo Ue al quale Tsipras chiede i nuovi aiuti

Esm, come funziona il fondo Ue al quale Tsipras chiede i nuovi aiuti

 
L'European stability mechanism ha una potenza di fuoco di 500 miliardi di euro. Presta soldi a fronte del pagamento di interessi modellati su quelli chiesti dall'Fmi. L'Italia ha finora contribuito con 14,3 miliardi. Varoufakis in passato ne ha criticato il funzionamento scrivendo che i Paesi garanti rischiano di essere travolti uno dopo l'altro

Il cosiddetto fondo salva Stati, nome ufficiale European stability mechanism (Esm), a cui Atene vorrebbe attingere per un nuovo pacchetto di aiuti, è l’evoluzione del precedente European financial stability facility (Efsf) utilizzato per il sostegno finanziario a Irlanda, Grecia e Portogallo. Dal luglio 2013 l’Esm ha infatti sostituito tutte le altre strutture finanziarie create dall’Unione europea negli anni della crisi per fornire aiuti ai Paesi in difficoltà. Ha carattere permanente e a differenza dell’Efsf, che era una società privata seppure controllata dai paesi dell’Eurozona, l’Esm è a tutti gli effetti un’organizzazione intergovernativa. Dispone di una “potenza di fuoco” che, almeno sulla carta, può raggiungere i 500 miliardi di euro.

Può prestare soldi agli Stati in difficoltà, eccezionalmente acquistare titoli di Stato sul mercato primario (ossia al momento dell’emissione) e in futuro potrà intervenire direttamente nei salvataggi bancari seppur con condizioni molto restrittive. Finora ha svolto un ruolo importante nella crisi di Cipro e soprattutto nella costituzione della bad bank spagnola, in cui le banche hanno scaricato i loro crediti deteriorati. Per gli istituti di credito della Spagna ha stanziato finanziamenti per 40 miliardi di euro, posti a carico del bilancio pubblico iberico. Restano a disposizione 450 miliardi.

Beninteso, niente è gratis. L’Esm è infatti una specie di piccolo Fondo monetario internazionale “made in Europe”. Presta soldi agli Stati in cambio di rigorosi impegni a effettuare riforme e dietro il pagamento di interessi modellati su quelli praticati per l’appunto dal Fmi. Difficile dire quali condizioni potrebbe strappare Atene sostituendo l’attuale mix di creditori. Va però detto che attualmente la Grecia paga sul suo debito da oltre 300 miliardi interessi piuttosto favorevoli: fino al 2020 non si va oltre il 3%.

Per raccogliere capitale il fondo emette obbligazioni facendo leva sui versamenti e le garanzie degli Stati membri. Il capitale versato ammonta a 80 miliardi di euro e gli stanziamenti a carico dei diversi paesi variano a seconda del peso economico. L’Italia si fa carico di una quota del 17,9% (la Francia del 20%, la Germania del 27%) e ha quindi sinora erogato all’Esm 14,3 miliardi  oltre a fornire garanzie (quindi senza che questi fondi escano dalle casse pubbliche a meno di necessità) per circa 120 miliardi di euro. Come previsto dal trattato istitutivo dell’Esm, i 14 miliardi versati da Roma sono stati raccolti emettendo titoli di Stato. Un’operazione neutra ai fini dei conteggi di deficit e debito poiché a fronte della passività generata con l’emissione di titoli di Stato si crea un attivo nei confronti dell’Esm.

L’architettura finanziaria piuttosto complessa e in parte oscura con cui opera l’Esm è stata oggetto di molte critiche. Tra i più scettici c’è, o almeno c’era fino a ieri, il ministro dell’economia greco Yanis Varoufakis, che nel suo libro “Il minotauro globale” metteva in guardia dai rischi intrinseci alla struttura del fondo. Varoufakis usa la metafora di una cordata di alpinisti (i paesi euro) che cominciano a cadere uno dopo l’altro finché anche l’ultimo e più forte membro viene trascinato nel precipizio. Questo perché i prestiti ai Paesi in difficoltà sono raccolti sui mercati monetari grazie alle garanzie dagli altri Stati. La somma incassata viene poi spezzettata in tanti piccoli “pacchetti” ciascuno dei quali contiene una quota garantita dalla Germania, una dalla Francia, un’altra dal Portogallo e via via da tutti i paesi membri. Visto però che gli Stati hanno diversi gradi di affidabilità, a ciascuna quota viene assegnato un diverso grado di interesse ricalcando molto da vicino il modello delle famigerate obbligazioni Cdo che hanno innescato il crollo del mercato statunitense nel 2008. Se uno dei garanti entra a sua volta in crisi e deve rivolgersi al fondo, è ovviamente costretto a sfilarsi dalla cordata, aumentando il peso sugli Stati rimanenti e innescando un perverso effetto domino.

 

 

Crisi Grecia, la doppia faccia di Pechino e Mosca che tendono la mano a Tsipras

Ufficialmente la Cina si fa avanti per tenere unito l'euro, ma a chi conviene una Grecia dalle reni spezzate se non a chi vuole poi farne bocconcini pagati quattro soldi? Putin, per il momento, sta a guardare: non si illude più di tanto sapendo bene che Atene è una pedina fondamentale per la Nato

Mentre per Atene si avvicina la ferale scadenza del 30 giugno, si profila all’orizzonte geopolitico di questa crisi epocale l’ingombrante presenza della Cina, tanto per non farci mancare nulla. In verità, è da qualche anno che Pechino si è ritagliata un ruolo importante quale partner della Grecia. Di recente, nella primavera del 2013, ha stretto vantaggiosi accordi commerciali ed industriali focalizzati attorno all’uso del terminal dei container del Pireo, il porto della capitale greca, che diventerà una sorta di hub per lo smistamento e il transito delle merci cinesi. L’obiettivo è chiaro: sfruttare la debolezza economica (e politica) di Atene per trasformare il Pireo nella porta più importante dell’Asia in Europa. Per ottenere, bisogna sedurre.

Basta poco. Un sorriso, uno sguardo ammiccante. E promesse che sanno di miliardi. Così, venerdì è rimbalzata la notizia che il governo cinese sarebbe intenzionato a foraggiare quello ellenico, non solo con investimenti e acquisti di bond, ma con robuste iniezioni di denaro. Almeno, questo si vorrebbe far credere all’opinione pubblica riportando una dichiarazione (abbastanza cauta) del vice ministro degli Esteri cinese Wang Chao: “La Grecia è in una fase cruciale. La Cina vuole che resti nell’Unione Europea. Daremo il nostro contributo perché ciò accada”. Come a dire: a Pechino interessa che la Grecia esca fuori non dall’Ue, bensì dalla crisi, in modo che resti nell’euro. E che non ci siano sconquassi finanziari, tantomeno sociali. Un segnale diretto ai tedeschi e ai “falchi” di Bruxelles che agitano lo spettro della catastrofe. Perché, è il sottinteso cinese, a chi conviene una Grecia dalle reni spezzate se non a chi vuole poi farne bocconcini pagati quattro soldi?

A rendere più complicato questo Piccolo Grande Gioco della Grexit ecco che Mosca fa da sponda alle buone intenzioni di Pechino. Con una breve, quanto significativa, nota dell’agenzia di stampa Ria-Novosti. Ormai solo la Russia e la Cina possono salvare la Grecia, è la sostanza del dispaccio giornalistico. Di sicuro, gli interventi cinesi sono sostanziosi: in questi ultimi tempi sono stati sottoscritti contratti per un totale di 6,5 miliardi di dollari. Sempre Ria-Novosti sottolinea come Atene si aspetti un’ondata di investimenti stranieri e in questo ottimistico scenario, aggiunge, un ruolo da protagonista l’avrebbe giustappunto la Cina. Che non punta più solamente a gestire il Pireo e trasformarlo in testa di ponte cinese nel Mediterraneo, per consolidare e sviluppare il commercio coi paesi dell’Europa meridionale e balcanica.

Ci sono le infrastrutture da modernizzare: Pechino vorrebbe realizzare una linea ferroviaria ad alta velocità che attraverso i Balcani arrivi a Vienna, tale da ottimizzare la distribuzione delle merci (un tunnel è già stato realizzato). Occorre rendere più competitivi i porti, per adeguarsi ai piani di sviluppo previsti dalla potentissima Cosco, la China Ocean Shopping Company, un colosso dei trasporti marittimi che dispone di una cospicua flotta, oltre 130 mercantili (e non solo) e che ha acquisito il controllo di parte delle strutture portuali del Pireo, il primo porto europeo per numero di passeggeri, 18 milioni lo scorso anno.

Il gruppo Cosco è presieduto da Wei Jiafu. Le sue intenzioni sono state comunicate ad Alexis Tsipras tramite il suo uomo di fiducia Fu Cheng Qui, il “dominus” del Pireo: “Noi siamo pronti, vogliamo investire in Grecia, considereremmo con molta attenzione qualunque apertura di bando ufficiale da parte delle autorità elleniche” (lo riporta il sito di Panorama). Tsipras vedrebbe di buon occhio l’operazione, i sindacati portuali si oppongono, avvisa il giornale Kathimerini, attenzione a svendere il Paese, e poi, siamo sicuri che ci convenga? I portuali sono pronti a scioperare, come è già successo altre volte “per via delle condizioni di lavoro imposte dai cinesi, considerate troppo dure”.

Altro comparto strategico è quello delle telecomunicazioni. E qui entra in gioco un altro gigante, anzi due: la Huawei di Shenzhen che compete con Samsung e la Apple e la Zhongxing telecommunication equipment corporation (Zte) che nel marzo del 2014 ha siglato con la Cosco un accordo per utilizzare il Pireo quale base di smistamento.

La Grecia è il jolly cinese che Tsipras agita davanti agli occhi dei creditori di Atene. E’ uno stato-porto, alla canna del gas (russo). Dove vivono ventimila cinesi (su 11 milioni di abitanti). Nella nuova mappa della crisi greca, bisogna quindi tener conto dei sussulti che arrivano dall’estremo Oriente. Venerdì la Borsa di Shanghai ha perso il 7,4 per cento, una sberla. Dal 12 giugno, il calo complessivamente è stato del 19 per cento. Dulcis in fundo, il premier cinese Li Keqiang si recherà lunedì a Bruxelles, giusto il giorno prima dell’ardua sentenza del 30 giugno, per incontrarsi con i leader delle istituzioni europee nell’ambito di un nuovo vertice Ue-Cina. Putin, per il momento, sta a guardare. Non si illude più di tanto: la Grecia è una pedina fondamentale per la Nato, perché lasciarla cadere nelle mani dei cinesi e dei russi? Intanto, però, si gode l’imbarazzante balletto dell’Ue, le contorsioni di Francois Hollande, il cipiglio di Angela Merkel e del suo durissimo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, l’inanità di Matteo Renzi, l’altezzosità dei paesi baltici, il moralismo affettato degli olandesi e del Grande Nord, il cinismo britannico…

 

 

Grecia, Tsipras spariglia: “Ultimatum?
Decida il popolo, referendum il 5 luglio”

Ad Atene è di nuovo corsa ai bancomat

Tsipras, la piccola Grecia sta(va) per abbattere il mostro di Bruxelles

Alla fine Tsipras è andato a vedere la proposta di Schäuble, uno degli architetti del rigore burocratico, che qualche mese fa che nel suo consueto stile da freddo tecnocrate, aveva quasi sfidato la Grecia a indire il referendum sulle proposte dei creditori.

Tsipras lo ha preso in parola e con una mossa astuta e sorprendente ha rovesciato il tavolo, quando ieri nel suo discorso alla nazione annunciava il referendum che si terrà domenica 5 luglio. Impossibile raggiungere un accordo, le due parti sono troppo distanti e secondo alcuni resoconti la Merkel ad un certo punto della trattativa avrebbe persino zittito Tsipras, che cercava di convincere il consesso degli eurocrati sulla bontà delle sue proposte. Forse è stato in quel momento che Tsipras ha avuto l’idea di sbloccare lo stallo di una trattativa che nei fatti non è mai esistita, in quanto in Europa si dettano le condizioni e i termini da osservare e null’altro.

La piccola Grecia sta facendo crollare i palazzi della tecnocrazia e dell’austerity che erano stati descritti come solidi e incrollabili. Nei mesi passati di questa trattativa, si erano alternate diverse emozioni e sensazioni quando si seguiva l’interminabile melina delle discussioni a Bruxelles. Alcuni non credevano che Tsipras fosse in grado di portare fuori il suo Paese da questo carrozzone impazzito. Altri vedevano in lui quelle doti di saggezza e di sagace diplomazia che un passo alla volta lo mettevano nelle condizioni di non piegarsi ai diktat di Bruxelles. La missione non è ancora compiuta, ma a questo punto la sua è stata comunque una vittoria. Se i greci dovessero votare no alle proposte dei creditori, e ci sentiamo di dire che questa è l’opzione più probabile, ciò starebbe a significare che per la Grecia che non c’è altra via d’uscita dell’abbandono della moneta unica e il premier ellenico sarebbe pienamente legittimato a compiere questo passo. Se invece i greci dovessero votare a favore delle proposte, Tsipras potrà dire di aver interpellato il popolo e potrà applicare quelle proposte che lui stesso aveva definito come irricevibili.

Nel lasso di una settimana il popolo greco potrà scegliere il proprio destino e i pochi giorni che restano per decidere giocano a favore della politica di Tsipras, che si è opposto fermamente a quelle bozze che volevano un taglio verticale della spesa pubblica. Se la volontà dei creditori fosse stata realmente quella di recuperare il proprio credito, il buonsenso avrebbe suggerito di sospendere il pagamento degli interessi per un periodo sufficientemente lungo che avesse consentito alla Grecia di costruire le condizioni della crescita. Non è certo con gli avanzi primari, con il taglio delle pensioni e con le privatizzazioni che l’economia greca potrà tornare a crescere, quando tutte queste misure procicliche hanno il solo effetto di peggiorare ancora di più la già indebolita Grecia. Perché allora questo rifiuto insensato di concedere un po’ di ossigeno alla Grecia? Il dogma dell’euro e dell’austerity è quanto di più pericoloso per le democrazie europee che stanno rischiando di precipitare in quell’abisso che negli anni’20 creò le condizioni per far sorgere il nazismo in Germania.

John Maynard Keynes, uno degli economisti più importanti del’900, nel 1919 quando l’Europa uscì sepolta dalle macerie da una guerra durissima, intuì che addossare riparazioni di guerra troppo onerose alla Germania avrebbe destabilizzato l’economia tedesca e portato l’Europa sull’orlo di un nuovo conflitto. I politici che l’economista britannico definì “pazzi al potere”, non gli prestarono ascolto e preferirono infliggere alla Germania riparazioni gravose che portarono l’economia tedesca all’iperinflazione e alla disoccupazione: la reazione fu il nazismo. La lezione della storia non trova udienza nelle stanze dei governanti e Keynes, profondamente deluso, scrisse queste profetiche parole sugli esiti del Trattato di pace del 1919: “La politica di ridurre la Germania alla condizione di servitù per una generazione, di degradare la vita di milioni di esseri umani, e di privare una nazione intera della felicità dovrebbe essere ripugnante e detestabile, - ripugnante e detestabile anche se fosse possibile, e anche se arricchisse noi stessi. Alcuni la invocano in nome della Giustizia. Nei grandi eventi della storia dell’uomo, e nello svolgimento dei difficili destini delle nazioni la Giustizia non è così semplice. E se anche lo fosse, le nazioni non sono autorizzate, né dalla religione o dalla natura morale, ad addossare ai figli dei loro nemici le malefatte dei genitori dei governanti “. Se si sostituisce “Germania” con “Grecia”, avremo esattamente davanti agli occhi lo stesso scenario.

L’eurocrazia in nome di una giustizia decisa dai mercati finanziari, ha condannato il popolo greco e le future generazioni ad un orizzonte senza tempo, ad un limbo che non lascia né speranze né sogni al paese che fu per davvero la culla della civiltà occidentale, nonostante la dottrina razziale rediviva di Die Welt che rimprovera ai greci di non avere nulla a che fare con gli antichi greci e in quanto tali non degni di appartenere all’Ue. Questa è l’Europa a trazione tedesca che abbiamo di fronte, molto simile ad un apparato totalitario che nei suoi argomenti e portati ideologici non esita a ricorrere al concetto di razza spuria per giustificare la riluttanza della Grecia a piegarsi. Tsipras ha compreso che non può abbandonare il suo paese nelle mani delle tecnocrazie che per loro stessa natura odiano le masse, e chiede al suo popolo di sostenerlo in questa decisiva battaglia per “le nostre future generazioni, per la nostra storia e per la dignità e sovranità della Grecia”. Qualsiasi sarà l’esito c’è un punto fermo in tutto questo, ed è la sconfitta dei vertici europei che dopo mesi di totale rigidità e di assurda inamovibilità, escono sconfitti dalla ferma volontà del governo greco di non proseguire con l’austerity. Questa è una battaglia decisiva che può essere l’inizio del riscatto dei popoli europei che non hanno più intenzione di sposare la povertà in nome di teorie e ideologie che alla prova dei fatti si sono dimostrate fallimentari. Il falso dogma dell’euro irreversibile può davvero essere sconfitto e ora i greci possono dimostrarlo all’Europa intera.

Calciomercato, Milan punta Romagnoli e la Roma vuole Dzeko – Tutte le trattative AL 12 LUGLIO 2015

Calciomercato, Milan punta  Romagnoli e la Roma vuole Dzeko – Tutte le trattative

 
La Lazio incassa 6 milioni come indennizzo per l'affare Zapata: Borini sempre più vicino. Galliani non smette di sognare Ibra, Sabatini deve vendere prima di comprare. Inter tra Salah e Jovetic mentre il Liverpool ha un problema: nessuno vuole Balotelli

I soldi del Monaco per strappare Alessio Romagnoli alla Roma e continuare a sognare Zlatan Ibrahimovic. Il volo di Sabatini per portare Edin Dzeko nella Capitale, mentre sull’altra sponda del Tevere si punta a chiudere per Fabio Borini. É un puzzle di tessere concatenate quello che sta andando in onda tra Monaco, Milano e Roma. Nel frattempo all’estero il Liverpool non trova acquirenti per Mario Balotelli e il Boca Junior si prepara a presentare Carlos Tevez.

Addio al Faraone per fare sognare il Milan
L’arrivo di El Shaarawy nel principato di Monaco è un’operazione da 16 milioni di euro: tre arriveranno subito nelle casse rossonere come indennizzo per il prestito secco, 13 sono quelli che Leonardo Jardim dovrà sborsare alla fine della prossima stagione per riscattare il Faraone. Un’opzione che il Monaco dovrà esercitare obbligatoriamente se l’esterno italo – egiziano giocherà almeno 15 partite: una clausola inserita a causa dei continui infortuni del calciatore azzurro. Che se tornerà in condizione ottimale, sarà una pedina fissa dell’undici del Principato. Col Monaco El Shaarawy ha firmato un quinquennale da 3 milioni a stagione, cioè 600mila euro in più rispetto allo stipendio rossonero: il trasferimento, in pratica è convenuto e tutti. Soprattutto al Diavolo che adesso torna prepotentemente a bussare alla Roma: dopo averlo lanciato nella Sampdoria, Sinisa Mihajlovic vuole Alessio Romagnoli al centro della difesa del nuovo Milan. Il giocatore è valutato sui venti milioni di euro, ma Walter Sabatini è stato chiaro: il talentino ventenne non è in vendita. Adriano Galliani dovrà lavorare duro, dato che nel frattempo i tifosi non hanno smesso d’invocare il ritorno di Zlatan Ibrahimovic: le trattative si sono bloccate alcuni giorni fa, ma il contante fresco arrivato dal sacrificio del Faraone potrebbe far riaprire il dialogo con il Paris Saint Germain.

Dzeko e Borini per la Capitale
Quei venti milioni di euro di Romagnoli, però, alla Roma potrebbero fare molto comodo. Lo sa bene il d.s. Sabatini che ha bisogno proprio di quella cifra per trasformare Edin Dzeko in un calciatore giallorosso. In realtà il Manchester City chiede 28 milioni per la punta bosniaca, ma i capitolini possono trattare avendo già un accordo da 4 milioni e mezzo con il calciatore. Problema: c’è prima da sfoltire la rosa, che da Doumbia a Gervinho, passando per Matteo Destro ed Ashley Cole, annovera ancora troppe pedine dagli stipendi pesanti ormai fuori dal progetto tecnico. Prima di comprare, insomma, Sabatini dovrà vendere, e per ottenere denaro fresco da reinvestire su Dzeko ( e magari Baba) dovrà capitalizzare al massimo le cessioni. Compito molto difficile: in alternativa bisognerà sbloccare il baby talento dell’Under 21. Non erano previsti, invece, i sei milioni di euro arrivati nelle casse della Lazio: Oltretevere infatti hanno brindato dopo la decisione della Camera di risoluzione della Fifa. Nel 2013 Mauro Zarate ha risolto il suo contratto con i biancocelesti senza giusta causa: con l’indennizzo, gli Aquilotti adesso accelerano per portare l’ex enfant prodige Borini in Italia, dove ha già vestito le maglie di Roma, Parma e Bologna.

Nessuno vuole Balotelli, l’Inter tra Salah e Jovetic
Dopo averlo escluso dalla tournée estiva il Liverpool cerca acquirenti per Mario Balotelli: solo che nessuno sembra disposto a farsi avanti per l’ex talento dell’Inter. Ai mondiali di un anno fa era la punta di diamante della nazionale azzurra, poi era stato acquistato dai Reds per più di venti milioni di euro, adesso dopo 17 presenze ed una sola rete nell’ultima Premier League non ha acquirenti: una parabola da fine carriera anche se Balotelli ha ancora “solo” 25 anni. Stessa età di Steven Jovetic, che invece è pronto a tornare in Italia dopo l’esperienza da dimenticare al City. Il futuro dell’ex viola è legato a quello di un altro Faraone: domani infatti Mohamed Salah dovrà presentarsi alle visite mediche della Fiorentina. L’Inter però rimane alla finestra: in alternativa Mancini si butterebbe proprio su Jovetic. Ma anche la Juventus potrebbe tornare a farsi sotto, mentre nelle prossime ore Tevez sarà presentato dal Boca Juniors. Tragitto inverso, da Buenos Aires a Torino, per Guido Vadalà, talento classe ’97, attaccante considerato una delle migliori promesse argentine che sarà aggregato alla Primavera bianconera.

 

 

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