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  INTERNOTIZIE

LA CARNEFICINA D'AREZZO. IL TRACOLLO STORICO DEL PdiRENZI NEI FEUDI STORICI (DOPO IL DISASTRO DI LIVORNO)

Di fronte alla Waterloo di Venezia, Matteo Renzi ha detto che lui non ha perso. La solita reazione da bulletto: se vince è sempre merito suo, se perde è sempre colpa degli altri (e lui porta via il pallone). In fondo però stavolta ha ragione: è molto più renziano Brugnaro di Casson. Di sicuro Renzi ha perso ad Arezzo: franare nella città della Boschi era difficile, ma lui ce l’ha fatta.

Fino a due giorni fa Arezzo pareva il feudo invalicabile del renzismo boschiano-fanfaniano. Città rossa ma non troppo (l’idolo politico per molti resta Amintore Fanfani), aveva già visto vincere il centrodestra nel 1999. Fu la prima città toscana, assieme a Grosseto, a scegliere Berlusconi. Anche per questo, verosimilmente, Arezzo ha subito amato il pallido Renzi. Alle primarie raccolse un consenso bulgaro dell’80 percento: la città più renziana d’Italia. La stessa redazione locale de La Nazione è ancora più filogovernativa della media regionale. Alle primarie per il sindaco, il renzianissimo e boschinissimo 31enne Matteo Bracciali ha vinto con il 48.30%. Bracciali, coordinare nazionale dei giovani delle Acli (una “carica” già desueta nella Prima Repubblica), è una sorta di Picierno in diesis minore: carisma zero, competenza non pervenuta e presenza scenica straziante. Emblematici anche i mega-manifesti elettorali che hanno deturpato la città, nei quali il povero virgulto renzino dimostra almeno il triplo dei suoi anni. I manifesti – che hanno fatto ridere mezza città – non sono un aspetto marginale: Renzi aveva affidato la comunicazione di due sfide a cui teneva particolarmente, Veneto e Arezzo, alla fidatissima DotMedia di Donnini: i risultati si sono visti. Bracciali, fedelissimo e protettissimo dalla Boschi, era un candidato debole e anzi debolissimo, percepito dai più come uno a cui non daresti in mano neanche un aquilone: figuriamoci una città di più di 100mila abitanti. Nel centrosinistra c’era tanto, ma tanto di meglio. L’avversario del centrodestra, Alessandro Ghinelli, è stato sottovalutato fino a domenica. La vittoria di Bracciali era data per certa, anche se un terzo del Pd aretino (bersaniani, veltroniani) lo detestava (silenziosamente) e bastava fare un giro in città per capire che – pur di non votare Bracciali – i 5 Stelle e la sinistra radicale erano disposti a tutto. Persino appoggiare Ghinelli. Di ricordabile, nella campagna elettorale di Bracciali, rimane giusto il concerto del Pan del Diavolo in Piazza Sant’Agostino. Non molto altro, a parte la solita litania stantia degli hashtag bimbominkia renziani (#unanuovastagione), qualche attacco flebile al passato politico di Ghinelli, foto estatiche accanto a Karina Huff Boschi e le infantili esortazioni alla lotta del Bene contro il Male. Una pochezza ottenebrante, condita peraltro da tweet comicamente tafazziani.

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Bracciali (il giorno del ballottaggio): “Oggi sei tu a scegliere! Il tuo voto può fare la differenza!”.

E infatti gli aretini hanno scelto. E poi il rutilante Dario Nardella, chiamato ad arringare le masse (e già questo fa ridere) per tirare la volata al pupillo boschino: “In Piazza Risorgimento ad Arezzo a fianco di Matteo Bracciali: sarà un ottimo sindaco di Arezzo!”. E infatti si è visto. Quattro anni fa Giuseppe Fanfani vinse al primo turno, e sarebbe ancora sindaco (il mandato scadeva nel 2016) se Renzi a settembre non avesse benedetto il suo passaggio al Csm come membro laico. Per Renzi vincere ad Arezzo era giusto una formalità, al punto da scegliere (lui e la Boschi) il primo che passava. Al primo turno Bracciali ha vinto ma non troppo, 44.21% contro  35.98%. Per diventare sindaco gli sarebbe bastato confermare quei voti, ma non ce l’ha fatta. La sua resa al ballottaggio è stata fantozziana. Non ha intercettato i grillini, non ha preso l’1.50% del Partito Comunista al primo turno, non ha neanche confermato i voti già avuti. Un disastro: astensione alle stelle, calvario e mattanza indicibile. Neanche a impegnarsi i renziani avrebbero potuto perdere così (male). Non solo Bracciali non ha guadagnato un voto, ma li ha pure persi (da 18.910 a 18.043). Di contro Ghinelli è cresciuto da 15.393 a 18.651, trionfando con uno scarto appena superiore a 600 voti: 50.83% contro 49.17%. Per Renzi (e per la Boschi) è una delle sconfitte più brucianti, figlia di quel mix sempre più respingente di supponenza, pochezza e ignoranza. Renzi ci teneva così tanto che ad Arezzo aveva mandato il fidatissimo Lotti e appunto Nardella, che comunque – in confronto a Bracciali – assurge quasi a Togliatti.

Nel 1999, quando i berlusconiani vinsero ad Arezzo, entrarono in Comune cantando “Chi non salta comunista è”. Per la città fu una ferita. Due giorni fa è accaduto più o meno lo stesso, ma molti non ci hanno fatto granché caso. Ed è forse questa la vera “vittoria” di Renzi: ormai è così detestato da sinistra (vera) e grillini, che quando perde li induce a far cortei a prescindere. Odiano più lui di Salvini, e non era facile. Bracciali è stato percepito come un garbato cataclisma, più o meno come Paita e Moretti. Un trionfo vero.

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