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  INTERNOTIZIE

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Incrocio pericoloso in aeroporto  tifosi romanisti vs l'arbitro Rocchi    l'articolo    di MAURO FAVALE

REPUBBLICATV / FIUMICINO

Incrocio pericoloso in aeroporto
tifosi romanisti vs l'arbitro Rocchi

Renzi: "Polizia pagata dai club di calcio"
Ma nel Dl Stadi del governo le società
metteranno solo un terzo del costo totale

Contrariamente a quanto detto dal premier (di A. Tundo), gli straordinari delle forze dell'ordine per i match non saranno pagati interamente dalle squadre. Secondo il dl del governo si ricaveranno dai 2,5 a 7,5 milioni, contro una spesa annua di 25 milioni

Il mea culpa di Rocchi foto
"In Juve-Roma ho sbagliato"

"Gestione anomala del primo rigore"

Esposto Consob e interrogazione a Padoan
Juventus-Roma diventa un affare di Stato
. Calciopoli è un lontanissimo ricordo:tutto è ritornato all'anno 2005.
Le condanne in sede penale ai personaggi di allora,Moggi,Pairetto,Mazzini,De Santis,Bertini,Giraudo(rito abbreviato),NON HANNO INSEGNATO NULLA E LA PALUDE MALEODORANTE TORINESE HA RIAMMORBATO UN CAMPIONATO SEMPRE PIU' SCADENTE E SVALUTATO. Il caso più ECLATANTE DI UN CAMPIONATO VERAMENTE POVERO STA NELLA FIGURA DI LUIS ENRIQUE, ATTUALE ALLENATORE DEL BARCELLONA. Giunto alla Roma nell'estate 2011 dura solo una stagione per poi essere rispedito in Spagna con la patente di DEFICENTE. Bene, oggi il DEFICENTE è allenatore di UNO DEI CLUB PIU' POTENTI DEL MONDO, mentre la Roma è costretta a fare a pugni con i padroni di Torino. Per molti risulta chiaro come Calciopoli abbia completamente fallito il compito di svincolare gli arbitri dal dominio economico-politico di un club in un determinato periodo storico.

Juve-Roma, Travaglio: “Andrea Agnelli? Ha superato anche il ‘maestro’ Moggi”

“Andrea Agnelli? Ha superato anche il suo ‘maestro’ Moggi”. Così lo juventino Marco Travaglio, giornalista, scrittore e condirettore de il Fatto Quotidiano, che oggi su Rai Radio2, a ‘Un Giorno da Pecora’, ha dato il suo giudizio sulla partita Juventus-Roma di domenica: “Ho visto la partita e devo dire, da juventino, che non mi vergognavo così tanto dai tempi di Luciano Moggi. A me piace vincere, ma non rubando”. Quindi ieri la Juve ha rubato? “Sì, su tutto. Non c’è uno dei tre gol che sia regolare”. Peggio dei tempi di Moggi? “Credo che Moggi avesse i lucciconi agli occhi perché i suoi allievi hanno superato il maestro”. E chi sarebbero gli allievi di Moggi nell’attuale Juventus? “Andrea Agnelli”, risponde Travaglio."

Travaglio non solo non è juventino, continua, “ma è proprio contro la Juve”. Moggi tiene a ricordare al co-fondatore de Il Fatto Quotidiano che “le motivazioni dei vari processi, da quello sportivo a quello ordinario recitano: “Campionato regolare, nessuna partita alterata, sorteggio regolare”. Sarà, ma lui, vertice di quella che veniva definita “La Triade” juventina, per lo scandalo che ha colpito il calcio italiano nel 2006 è stato condannato in appello a una pena di 2 anni e 4 mesi di detenzione. Dalla giustizia sportiva, inoltre, è stato inibito per 5 anni e ha subito la preclusione alla permanenza in qualsiasi rango e categoria della Figc. Moggi sostiene dalle colonne di Libero la regolarità dei campionati svolti durante la sua permanenza all’interno della dirigenza della Juventus, ma la sentenza dei giudici parla di una “peculiare capacità di Moggi di avere una molteplicità di rapporti a vario livello con i designatori arbitrali fuori dalle sedi istituzionali, ai quali riusciva a imporre proprie decisioni e proprie valutazioni su persone e situazioni coinvolgendoli strettamente così nella struttura associativa e nel perseguimento della comune illecita finalità. Appaiono eclatanti le diverse incursioni di Moggi, assieme a Giraudo, negli spogliatoi di arbitri e assistenti“. 

Avevo qualche perplessità a intervenire sull’argomento. L’ultima volta che ho parlato di faccende che riguardavano la Juventus ho raggiunto il record personale di commenti negativi, per usare un eufemismo. Ma il dibattito che si è creato attorno alle vicende della partita di domenica scorsa mi sembra troppo interessante per restarne fuori e quindi vorrei dire la mia, non tanto su quello che si è visto in campo ma sui commenti che ha ispirato.
Ci sono, in questi commenti, due atteggiamenti che trovo irritanti, inutili e alla fine dannosi.

Il primo è quello “alla Tavecchio” che sposta il problema sul versante delle tecnologie. Introduciamo supporti tecnologici, la moviola in campo e così aiutiamo gli arbitri a non sbagliare valutazioni. A parte il fatto che in una partita ricca di episodi dubbi, come quella di domenica, il ricorso alla moviola sarebbe stato quasi continuo, con spezzettamenti del gioco all’infinito, c’è un altro problema che questa richiesta tace. Siamo proprio certi che la moviola potrà definire senza ombra di dubbio il punto in cui Pogba è stato atterrato? Di un’altra cosa, invece, siamo certi, del fatto che nessuna moviola potrà mai stabilire se un attaccante bianconero ostacolava la visuale del portiere della Roma sul tiro di Bonucci.
Se e quanto lo dovrà stabilire qualcuno e la moviola non eliminerà la presenza di un’interpretazione e di un interprete che dovrà assumersi la responsabilità della decisione. Sperando che sia oculato, imparziale, alieno da sudditanze.

E qui arriviamo al secondo atteggiamento fastidiosamente fuorviante che si è manifestato nella contesa giornalistica, quello che, affrontando le dichiarazioni post-partita di Totti, ha cercato di salvare capra e cavoli, ponendosi come al di sopra delle “fazioni” ma eludendo la sostanza del problema. E’ l’atteggiamento che potremmo definire “alla Sconcerti”, il quale, dall’alto della sua saggezza, sostiene che la Roma è stata danneggiata dagli errori arbitrali, ha buon motivo di essere arrabbiata ma non ha nessun diritto di evocare complotti.

Nessuno, però, ha parlato di complotti. Le cose sono andate ben diversamente dall’evocazione vaga di un complotto. Totti si è presentato davanti alle telecamere e con un tono molto pacato, persino un po’ malinconico, educatissimo – quasi un piccolo lord, un campione di galateo in confronto alle sguaiatezze di certe signore – ha detto di avere l’impressione che la Juventus goda di un trattamento speciale, che gli arbitri risolvano sempre i casi dubbi a suo favore. Nessun complotto, nessuna macchinazione, una semplice costatazione.
Alla quale si può rispondere in mille modi. Si può, seguendo l’indicazione della signora Agnelli, procedere alla delocalizzazione del pupone (dove? magari a Detroit, affidando la pratica a Marchionne), lo si può deferire e squalificare, come accadde moltissimi anni fa a Gianni Rivera che, per un caso simile, si prese dieci giornate di sospensione e lasciò il Milan in piena lotta per lo scudetto privo del suo capitano e campione (indovinate chi vinse poi quel campionato):

Inter, Thohir come la troika: di soli numeri l’antropos si spegne

“Questo vuol dire libertà – scrive Nikos Kasanzikis in Zorba il Greco – avere una passione, raccogliere monete d’oro e all’improvviso vincere la passione e gettare al vento tutto quello che possiedi”. Nessun uomo sano, nei tempi moderni fagocitati dalla globalizzazione coatta, pensa di poter vivere senza il valore materiale del denaro o di quei pezzi color cemento che affollano le nostre vite. Ma fermarsi qualche momento e ragionare sull’importanza dell’antropos piuttosto che di numeri e spread, forse è ciò che occorre a società paralizzate da deficit (culturali prima che finanziari), sempre pronte al potente di turno e incapaci di rialzare la testa e ricominciare a costruire una polis.

L’esempio sportivo interista, di un past president messo ai margini (anche da un allenatore modesto, tecnicamente e comportamentalmente) senza rispetto per il pathos dell’uomo, è in questo senso calzante e potrebbe spalancare gli occhi di molti (compresi amministratori o pseudo analisti dediti al manuale Cencelli) che non hanno ancora focalizzato un passaggio essenziale. La storia ci aiuta nel ricordare che al centro di un’agorà che produce società, comunità, polis e imperi ci deve essere l’antropos. Con i suoi difetti, le sue imprecisioni, le sue debolezze, ma al contempo con i suoi scatti di entusiasmo, la volontà di mettere in discussione la propria tasca. Con tutte le debite proporzioni, è quello che è capitato all’Italia del dopoguerra con i piccoli artigiani che, rischiando in proprio, hanno rifatto l’Italia.

Il modus operandi da “troika” non è scientificamente applicabile all’antropos, semplicemente perché, pur consapevoli che i numeri vanno rispettati e che se si spende più di quello che si incassa si fallisce, l’uomo non è un essere speculare ad un numero. A maggior ragione in un calcio dove è la passione dei tifosi a riempire gli stadi e a far crescere gli abbonamenti alle pay tv. Per cui un magnate che fino ad oggi non ha messo sul tavolo una lira propria pur acquisendo il 70% dei cammelli nerazzurri, deve capire che la passione di chi nell’anima sarà sempre il presidente va rispettata. E dopo, ovviamente, anche confrontata e/o confutata con ciò che la quotidiana amministrazione societaria impone.

Ma senza quel piglio da “troika”, con forbici gelidamente in mano e senza guardare in faccia i dipendenti che si sceglie di licenziare come fatto dall’indonesiano. Perché così si continuerebbe con l’ignorare che la polis e i mercati le hanno fatte gli uomini imperfetti. E non il contrario.

Alla guida della società per 19 anni, Moratti non ha mai centellinato le spese per provare a seguire le orme del padre, che portò l’Inter sul tetto di tutto. Ci è riuscito solo nel 2010 dopo aver collezionato una sfilza di campioni, presunti tali e scelte errate. Ma subito dopo la storica stagione del Triplete l’Inter si è nuovamente infilata in un tunnel di risultati e i suoi conti sono peggiorati di anno in anno. Fino alla vendita della maggioranza a Thohir, che proprio in settimana ha chiuso il suo primo bilancio con una perdita di 103 milioni di euro e si ritrova ora a dover organizzare nel giro di tre anni la ristrutturazione del debito, grazie a un prestito sottoscritto con Goldman Sachs International e Unicredit. Un piano salatissimo che comporterà il pagamento di una pesante rata fino al marzo 2019 e un maxisaldo finale da 184 milioni da rimborsare il 30 giugno 2019. I sogni, i grandi campioni, Vampeta e Pacheco, la Coppa Uefa, gli scudetti, Mourinho e la notte di Madrid. Assieme a tutto questo, Moratti lascia quel pericoloso buco.

 

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