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Matteo Renzi vuole un "nemico a sinistra"
Mentre il Pd è già scomparso nel nulla

Nel fine settimana la piazza romana della Cgil e la Leopolda fiorentina del premier si sono dimostrati due mondi distanti. E da nessuna parte si sono visti i simboli dei democratici. Perché è già in atto il passaggio all'"oltre Pd" voluto da Renzi. Che non includerà la sinistra-sinistra

iamo ai primi posti di Trending Topics con l'hashtag #Leopolda5, dobbiamo battere Matteo Salvini. Chiedo a tutti uno sforzo: diamoci sotto con gli hashtag!». Venerdì sera alla stazione Leopolda, invitando la platea a mobilitarsi, la deputata Lorenza Bonaccorsi aveva individuato il nemico e il terreno di gioco: la Lega e le citazioni su twitter. Ma si sbagliava. Tutto il fine settimana, l'Ottobre democratico, dimostra che la sfida è da tutta un'altra parte. Nessun avversario per Matteo Renzi, a destra. Il nemico è a sinistra.

Nessun nemico a sinistra. Era il dogma del Pci, attentissimo a non far germogliare nessun concorrente sul fianco sinistro, al punto di combattere una guerra di posizione perfino nelle aule parlamentari, per evitare che qualche gruppo di radicali o di demoproletari riuscisse a sedersi alla sinistra del grande partito della classe operaia.

Il dogma di Matteo Renzi è l'opposto: ben venga l'avversario a sinistra. Come si è visto questa mattina, quando in conclusione della Leopolda 2014 il premier-segretario ha sfidato la minoranza del Pd a lasciare il partito . «Lì c'è la nostalgia, qui il futuro. Lì c'è la sinistra che quando vede un iPhone chiede dove mettere il gettone, o se ha una macchina fotografica digitale prova a infilare il rullino. Io non ho paura se a sinistra si organizza qualcosa di diverso. Sarà bello vedere chi vincerà: decideranno i cittadini». Un esplicito invito alla scissione.

Nel discorso conclusivo alla Leopolda 5, Matteo Renzi spiega che "la sinistra di allora non votò" l'art. 18 e difenderlo oggi "sarebbe come pensare di prendere un iPhone e dire dove lo metto il gettone del telefono?". "Le forme di tutela - ha precisato - non devono valere solo per chi ha più di 15 dipendenti" (video di Andrea Lattanzi)

 

 

 

 

 

 

 

 



La sinistra del gettone e del rullino, ieri, si era ritrovata in piazza San Giovanni, alla manifestazione della Cgil. Mai così tanti, negli ultimi anni. Volti di italiani perbene. Lavoratori sfiancati dalla crisi. Mani ruvide. Felpe logorate da mille cortei. Stanchezza negli occhi. Autolesionismo comunicativo puro, tipo Citto Maselli in carrozzina con una coperta sul palco, e gli antichi capi reduci da mille sconfitte, senza mai ammettere il dubbio. Per esempio, la semplice consapevolezza che se Renzi è arrivato così facilmente a Palazzo Chigi c'è anche una responsabilità di una generazione a sinistra che ha sbagliato tutto, quando è stata all'opposizione e quando è stata al governo, quando per due volte ha fatto cadere Romano Prodi, per dire.Una manifestazione più sfibrata che rabbiosa. E tutt'altro che bellicosa nei confronti del premier, in realtà. Certo, il coro «Matteo-Matteo vaffanculo», con in testa, chissà perché, quelli dell'Alpaa, il sindacato dei produttori agroalimentari e ambientali. E la pettorina di Staino per il servizio d'ordine: «Maledetti toscani». E il militante che estrae dal portafoglio la tessera del Pd con la scritta “Italia giusta”: «Eccomi, sono uno che ha votato Renzi ma non lo rifarà. Sono uno dei 400mila che non rinnoverà l'iscrizione». Ma anche un sentimento rarefatto, più di rassegnazione che di furore, più di attesa che di scissione. Un po' calma forza tranquilla, come la Cgil è sempre stata nella storia, un po' la paura di non essere più considerati un pezzo importante del Paese. E la voglia di dire: ci siamo.Umori difficili da interpretare. «Il cielo è lo stesso di dodici anni fa, le bandiere anche, il governo è di un altro colore, questo è un problema», si lasciava andare Sergio Cofferati a confronti con la sua manifestazione al Circo Massimo del 2002 contro Berlusconi. La novità: sinistra contro sinistra, Cgil contro Pd. I dirigenti più lucidi politicamente erano già al dopo-manifestazione. «Abbiamo vinto la prova della piazza, ma ora dobbiamo riaprire il tavolo e dialogare. Non andiamo avanti con il muro contro muro o peggio fare finta di fare il muro contro muro», spiegava Carla Cantone. «È la piazza più affollata degli ultimi dieci anni», osservava Paolo Nerozzi, ex big di Corso d'Italia ed ex senatore del Pd. «Se Renzi è intelligente, oltre che furbo, la ascolterà».

L'unico ad aver sommato le due cariche, ex segretario della Cgil e ex segretario del Pd, Guglielmo Epifani, si proponeva come mediatore tra le due piazze, San Giovanni e la Leopolda: «Da ex sindacalista in quota socialista sono abituato a partecipare a manifestazioni contro il governo in cui c'era il mio partito...». Sul palco si stava sgolando la segretaria Susanna Camusso, senza il feeling con la piazza di altri leader carismatici. Gli altri, la minoranza Pd, i Cuperlo, i Fassina, i Civati, e poi i Vendola e le Pollastrini, occupano il ruolo di Gennaro Migliore e di Andrea Romano alla Leopolda, ceto politico in cerca di posizionamento, al più tollerati. Il carisma del Capo è tutto per il leader della Fiom Maurizio Landini, in felpa scura.

Tra le due piazze, San Giovanni e Leopolda, c'è una distanza più lunga di quella di un viaggio in treno Roma-Firenze. O di quello in pullman che questa mattina all'alba ha trasportato i lavoratori della Thyssen di Terni fino alle porte della grande ex stazione ferroviaria, tempio del renzismo. Dentro, il parterre affollatissimo delle ultime due edizioni. Carro del vincitore gonfio, strapieno all'inverosimile. La certezza di essere nel vento della storia, dalla parte dei vincenti. Arrivare primi come mito fondativo. La Leopolda raccontata come l'Apple di Steve Jobs, una start up di successo. Tutti in modalità «Stay foolish, Stay hungry», anche se poi l'Affamato è uno solo.

Dis-intermediazione alla Leopolda è una parola chiave, il contrario esatto dei delegati sindacali modello Cgil. La Leopolda è un gigantesco social network che si fa in carne e ossa, dove tutti si parlano per far vedere la loro conversazione agli altri (i tavoli di lavoro circolari con i ministri alla pari degli altri sono la materializzazione della fine delle gerarchie), dove i colloqui e gli incontri sono rapidi, veloci, leggeri, a volte profondi, altre superficiali, come nello spazio di un tweet. E si parla solo di una cosa: che fa Matteo? Ti è piaciuto Matteo? Quant'è bravo Matteo.

«Matteo Renzi questa mattina ha la camicia azzurra, tutti a cambiarsi», legge un tweet dal palco la solita Bonaccorsi. Simpatico, no? Il culto della personalità renziano si muove su linguaggi diversi dal passato, in un'identificazione totale, assoluta tra il Capo e il suo popolo, senza mediazione. Raccontano di telefonate di Renzi per riempire la sala all'inverosimile, forse preoccupato di un confronto con la piazza rossa. E delle future cene di auto-finanziamento con gli imprenditori: qualcuno aveva proposto che ai tavoli ci fossero anche i deputati del territorio, da Palazzo Chigi è arrivato il contrordine. C'è solo Matteo.

Parlano i neo-miglioristi, nel senso di Gennaro Migliore, il bertinottiano-vendoliano che ora è qui a vantare la sua coerenza e cita il ragù di Eduardo («'O rraù ca me piace a me m' 'o ffaceva sulo mammà...») per dire che, di destra o di sinistra, qualcuno il ragù dovrà prepararlo. Parlano i ministri al gran completo. Anche Dario Franceschini? Sì, anche lui. E un renziano della prima ora grida: «Ci vorrebbe il caterpillar!». Non ha capito che il vento è cambiato. Una sfilata, un congresso nel congresso, la Leopolda sembra già oltre il Pd, un partito di governo, anzi, il Partito Unico di Governo. Parla il Leader, Matteo-Uno-di-Noi, ti spiazza con l'Ucraina e la Russia e il Mozambico, un anno fa erano dossier fuori portata, oggi Renzi ci tiene a sollevarsi da terra, a presentarsi come uno statista internazionale, uno che va da Angela (Merkel) a dire: «ho preso più voti di te» e all'Europa ricorda «meno vincoli e meno austerità». Il cuore è un altro. Battere e ribattere sugli intellettuali che sembrano «il pensionato del cantiere», quello che scuote la testa perché non va mai bene nulla. E l'attacco alla sinistra, mai così diretto e violento.

Nel lungo fine settimana, tra San Giovanni e Leopolda, spariscono i due soggetti politici che hanno monopolizzato la politica italiana degli ultimi due decenni. Il primo è il Cavalier Silvio Berlusconi, insieme al suo centrodestra. Nessuno lo nomina, né la piazza rossa né la platea in camicia bianca di Firenze, è un pezzo di passato. L'unico a evocarlo è Franceschini, quando dice: «Dobbiamo superare il modello televisivo degli ultimi vent'anni». Nessuno lo ha avvertito, ahilui, che Barbara D'Urso, nel pantheon renziano, è ben più considerata di Mario Luzi.



Il secondo scomparso nel nulla è il partito che Renzi formalmente guida, il Pd. Nessuna bandiera del partito, né di qua né di là. Non c'è il Pd nella piazza rossa, non c'è il Pd alla Leopolda, inteso come simboli, parole d'ordine, classe dirigente. E così l'Ottobre del centrosinistra consegna un ultimo paradosso. Nell'Italia di Renzi la destra non c'è più, polverizzata, disintegrata (dis-intermediata?), non c'è l'anti-politica e il Movimento 5 Stelle. E non c'è più neppure il Pd così come è stato nell'ultimo decennio, il soggetto politico del centro-sinistra. Al loro posto potrebbero nascere, in un tempo neppure troppo lungo, due nuovi partiti. Un partito di sinistra-sinistra, magari guidato da Landini e aperto a spezzoni dell'attuale Pd, per dare risposta a una domanda di rappresentanza politica e sociale che arriva dalla grande piazza di ieri. E un nuovo partito, la grande coalizione renziana, un nuovo centro di governo che spazia da destra a sinistra, da Che Guevara a Madre Teresa come nella canzone di Jovanotti citata da Andrea Romano, uno che Veltroni lo odiava, e invece.

 

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Tra le due formazioni non ci sarebbe partita. Renzi è l'unico leader generalista in campo, in grado di parlare alle famiglie Rai e Mediaset, gli altri sono al massimo canali tematici, che parlano solo al loro pubblico: gli operai, gli intellettuali, gli impauriti da una modernità percepita soprattutto come perdita di diritti e non espansione di possibilità. Resta da vedere se tutta l'Italia possa esaurirsi in queste due piazze. E se si possa fare un partito della Nazione senza dare rappresentanza alla sofferenza, al dolore, alla capacità di riscatto e di speranza che abitava in piazza San Giovanni. Lì c'è un apparato in via di estinzione, del gettone e del rullino. Ma anche un'energia etica senza cui non si fa il partito di tutti, ma solo di qualcuno. Magari i soliti.

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Cittadinanza veloce per bambini
'Ius soli' con un ciclo scolastico
Renzi: 80 euro alle neomamme:uno scherzetto all'ultimo secondo da 6 miliardi di euro.... video

 

“Allora Matteo”, “Vedi Barbara”. Sceglie il salotto di Domenica Live su Canale 5, Matteo Renzi, per annunciare l’ultimo colpo a sorpresa della manovra varata mercoledì: 80 euro al mese per tre anni a tutte le neo-mamme entro i 90mila euro di reddito. Costo dell'operazione: 500 milioni di euro. Una misura ultrapopolare annunciata in una trasmissione che fin dai primi secondi scardina qualsiasi schema del tradizionale rapporto intervistatore-presidente del Consiglio.

Matteo Renzi e Barbara D'Urso si danno del tu come fossero due amici di sempre. Tono colloquiale per parlare di un argomento complesso, quello della legge dei stabilità, ad un pubblico più vasto possibile. “Matteo devi parlare con me come se fossi la comare Cozzolino”, dice la D’Urso al presidente del Consiglio sintetizzando il senso di tutta la chiacchierata: rivolgersi a tutti. Mai incalzante, con eccezione del passaggio sulla legge sulle Unioni civili (“Arriverà entro l’anno”, ha garantito il premier), la conduttrice imbastisce la più soffice delle cornici per consentire al premier di spiegare agli italiani tutti i punti principali della manovra. Dai “18 miliardi di tasse in meno rispetto alla legge di stabilità dello scorso anno” ai tagli di spese che hanno mandato su tutte le furie le Regioni. Ira che, però, non preoccupa il premier: “Si sono arrabbiate? Gli passerà”.

Bonus mamma e legge sugli unioni civili a parte, poche notizie e tanta confidenza tra i due. Come quando il premier fa notare alla D'Urso di essersi perso il novantaquattresimo compleanno della nonna. “L’ho dovuto saltare per essere qui”, scherza Renzi mandando poi un saluto in diretta. “Ciao, nonna Maria”.

Continuano così, dopo quelle a “Quinta Colonna” e “Virus”, le incursioni del premier in quello che tradizionalmente è sempre stato un terreno ostile per il centrosinistra: un audience – e elettorato – più popolare e storicamente meno vicino alla galassia di Centrosinistra. Un’operazione di sfondamento al Centro che pare anche dare i suoi frutti in termini di consenso, come mostrano gli ultimi sondaggi realizzati dalla Datamedia di Alessandra Ghisleri, storica sondaggista del Cavaliere. In vista delle prossime elezioni regionali non ci sarebbe partita. Lo schieramento dell’attuale premier risulterebbe vittorioso in tutte le regioni: un 7-0 a secco che testimonierebbe anche il successo dell’offensiva centrista della comunicazione renziana.

 

M5S: Orellana, da Grillo a Renzi: con incarico

Luis Alberto Orellana

Visto? Avevamo ragione noi, era davvero un traditore”. I talebani grillini, forse, non sono mai stati così contenti come due giorni fa, quando l’ex senatore 5 Stelle Orellana ha salvato il governo Renzi sul voto relativo al Def per lo spostamento del pareggio di bilancio al 2017.

Il suo parere favorevole si è rivelato decisivo e ciò lo ha reso “lo Scilipoti grillino” molto più di altri transfughi: dalla Gambaro alla De Pin, tutte più o meno folgorate sulla via del renzismo. Gli integralisti 5 Stelle hanno ora buon gioco a dire, anzi urlare, che “noi lo avevamo detto” e che “Grillo ha sempre ragione”. Orellana si è difeso pietosamente: prima ha detto che non sapeva che il suo voto si sarebbe rivelato decisivo, poi ha dato la colpa alla Lega che non si è opposta come doveva. Infine ha ripetuto ovunque, anzitutto in tivù, che lui è “una persona libera e non devo rendere conto a nessuno a differenza di altri”: evidentemente ha già dimenticato la promessa di dimettersi da senatore, come garantiva solennemente dopo l’espulsione. 

Per larga parte dell’informazione, ovviamente, la cosa grave non è che un parlamentare sputi sul mandato con gli elettori, ma che gli elettori e gli ex colleghi si arrabbino con lui (spesso con toni irricevibili). A Orellana, che cita l’art.67 della Costituzione e l’assenza del vincolo di mandato, andrebbe ricordato che lui deve eccome “rendere conto” a qualcuno. Non a Grillo, non a Casaleggio e neanche a Di Battista, ma a chi ha permesso a un emerito signor nessuno di sedere su quegli scranni: se gli elettori 5 Stelle avessero saputo che Orellana sarebbe diventato quasi un Razzi 2.0, avrebbero concesso l’appoggio ad altri. C’è poi un altro particolare, che pare conferire al voto renziano di Orellana le fattezze dello scambio di favori. Proprio mercoledì Orellana sarebbe dovuto diventare Presidente della delegazione parlamentare Ince, l’Iniziativa Centro Europea. La delegazione, di cui Orellana fa parte, consta di quattro deputati e tre senatori. Con lui ci sono tre piddini (Sonego, Blazina, Ginefra), due berluscones (Scoma, Polidori) e Maran (SCpl). Orellana, ora nel Gruppo Misto “Italia Lavori in Corso” (sic), verrà probabilmente eletto la prossima settimana o quella successiva. L’investitura è stata ritardata proprio dopo il voto di mercoledì, sperando che nel frattempo le polemiche scemino. Solo il presidente della delegazione può viaggiare e rappresentare l’Italia in uno dei 18 Paesi Ince (tra cui Rep. Ceca e Ungheria).

Un incarico di prestigio, che verrà letto dall’elettorato 5 Stelle come un chiaro do ut des. Gli attacchi, oltre a Orellana, hanno travolto anche chi ha osato ritenere in questi mesi che  il dialogo con il Pd fosse qua e là possibile. E che, dunque, Orellana non avesse sempre torto a prescindere. Così anche questo giornale è stato (legittimamente) sbertucciato, tanto dai duropuristi quanto dai siti di Casaleggio. Strana coincidenza: prima delle elezioni europee quasi ogni intervento del Fatto veniva celebrato come raro esempio di giornalismo libero; poi, dopo le critiche all’accordo con Farage, che peraltro ha portato a un gruppo parlamentare solidissimo (si è sfaldato ieri), anche il Fatto è diventato pennivendolo o giù di lì. Tutti sbagliano ed è verosimile che alcuni – compreso il sottoscritto – abbiano in qualche modo sopravvalutato Orellana, che non sembrava Churchill ma neanche l’ultimo dei Favia. Del resto fu proprio il M5S a candidare Orellana, e non altri, come Presidente del Senato: forse lo hanno sopravvalutato anche loro. Non si finisce mai di collezionare delusioni.

Al tempo stesso, ai duropuristi e a Grillo-Casaleggio andrebbero garbatamente fatte notare alcune cose. La prima è che nessuno è infallibile, né i giornalisti né gli integralisti. La seconda è che gli Orellana li hanno candidati loro e non noi: se in un anno e mezzo il M5S ha perso decine di senatori tra espulsioni e defezioni, qualche problema di selezione della classe politica esiste (o perlomeno esisteva nel febbraio 2013). Infine, se gli Orellana sono stati bastonati ogni volta che hanno osato dissentire, è poi bizzarro aspettarsi da loro fedeltà, ancor più quando non fanno neanche più parte del Movimento. Fermo restando la sostanziale indifendibilità del soggetto, è la solita storia dell’uovo e della gallina: chi è venuto prima, il duropurismo talebano o il trasformismo interessato?

Grillo: "I nostri eletti a Genova a spalare fango, tanto sono abituati a spalare la MERDA del parlamento"

 

Il fondatore M5S: "Tutti i deputati hanno dato la loro disponibilità". Renzi replica: "Basta passerelle"
Circo Massimo, Di Maio: "Dobbiamo essere pronti a governare". Ma nega di essere leader (video)

 
Grillo: "I nostri eletti a Genova a spalare"
 
 
E' il vicepresidente della Camera a fare l'ultimo intervento politico, che va oltre le rivendicazioni sul lavoro svolto e traccia le prospettive del Movimento. Nega di avere ricevuto una "investitura", ma dopo di lui, sul palco, sale solo Beppe Grillo. Che rilancia sul referendum anti-euro: "Porteremo 3-4-5 milioni di firme" (di M. Castigliani). Il leader M5S lancia un appuntamento: "Martedì a Genova con tutti i parlamentari, sono abituati a spalare merda in Parlamento, non ci sarà differenza" (video di G. Zaccariello)


 

L'Italia 5 Stelle c'è già

"500 mila Persone (secondo la Polizia 150.000, ndr). Lo avevamo detto e così è stato: ieri, seconda giornata di #Italia5Stelle, abbiamo riempito il Circo Massimo. Oltre 100mila persone si sono raccolte nell'area davanti al palco centrale per ascoltare Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio; ma calcolando il flusso nell'intera giornata di ieri, dalle 10 del mattino fino a tarda sera, e considerando l'intera area, possiamo dire che si sono registrate in totale 500mila presenze. Nell'Italia5Stelle, rappresentata da 177 gazebi disseminati al Circo Massimo abbiamo dato vita all'idea di democrazia che da sempre anima il Movimento 5 Stelle. Abbiamo portato i nostri eletti - parlamentari europei, senatori, deputati, sindaci, consiglieri regionali e comunali - fuori dalle Aule e dalle istituzioni e li abbiamo messi realmente a disposizione della gente e della loro necessità di conoscere e capire. Mentre le telecamere tv (schiave della vecchia politica e di un modo stantio di raccontarla) si concentravano sul palco, negli stand stracolmi prendeva vita la vera Politica, quella al servizio dei cittadini. E sono stati loro il vero spettacolo! Il fulcro di questi tre giorni sono state le agorà nate spontaneamente fuori e dentro i gazebi: visti dall'alto restituiscono la forma di un'Italia tutta bianca, più bella più pulita. E' l'Italia che il Movimento 5 Stelle sogna e che non smetterà mai di realizzare."
04:00

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Italia5Stelle si è conclusa. E' stata una tre giorni emozionante e ringraziamo le centinaia di migliaia di italiani che hanno partecipato all'evento, dal vivo e seguendo la diretta in streaming.

 

 

M5S, Casaleggio: “Renzi portaordini Bce”. Grillo: “Fuori da Euro, 1 milione di firme”

Il cofondatore del Movimento attacca: "Gli ultimi premier li ha nominati Napolitano o Draghi?". Sul palco sale nuovamente anche Grillo che lancia il referendum per l'uscita dalla moneta unica: "Porteremo una legge di iniziativa popolare in Parlamento e stavolta grazie ai nostri 150 parlamentari la dovranno discutere"

“Uscire dall’euro” e “difendere la sovranità del popolo italiano dalla Bce”. Sono Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, in un doppio intervento in prima serata al Circo Massimo, a scandire le nuove parole d’ordine del Movimento 5 Stelle. “La mia sovranità nazionale non la regalo a nessuno”, dice Casaleggio. In un’arena che vede una presenza più consistente rispetto al giorno d’esordio (tra le 10 e le 12mila persone secondo la polizia, mentre lo staff entusiasta azzarda: “Affluenza di 50mila persone”). “Mio nonno”, continua Casaleggio, “ha fatto per tre anni il partigiano, la mia sovranità devono venire a prendersela, ma non con una lettera della Bce. Devono venire con le armi, come hanno fatto una volta”.

 

Poi arriva il momento di Grillo, che rincara la dose: “Noi siamo scudi umani contro questi parassiti. Dobbiamo uscire dall’euro il prima possibile. Raccoglieremo un milione di firme in sei mesi e le porteremo in Parlamento. Chiederemo un referendum consultivo per dire la nostra opinione”. L’ultima volta insieme sul palco per i due cofondatori del Movimento 5 stelle è stata per la chiusura della campagna elettorale per Bruxelles. Poi un lungo silenzio, tra cambi di strategia e politiche. Dal dialogo con Renzi all’ostruzionismo, alle richieste di più democrazia diretta. Ora tornano a parlare e rispondono con due battaglie politiche: referendum sull’euro e reddito di cittadinanza. “Vedo una bandiera italiana, mi fa molto piacere”, attacca Casaleggio. “Draghi ha detto: ‘I governi senza riforme verranno cacciati’. Non è al governo e non si capisce a che titolo chieda queste riforme. Se la riforma poi è quella del Senato o dell’articolo 18 che riforme sono? Lui non ha il titolo di darci nessun ordine né diretto né indiretto. Napolitano ha nominato tre presidenti del Consiglio, ma li ha nominati lui o li ha nominati Draghi?”. Da qui l’attacco a Renzi e ai suoi predecessori, definiti “portaordini della Bce“. 

 

Che è un momento di cambiamento all’interno dei 5 stelle lo dimostra proprio l’intervento di Casaleggio. Non solo critiche al governo, non solo rivendicazioni di diversità, ma anche proposte concrete e una piccola autocritica. “L’obiettivo di tutto questo”, dice Casaleggio, “è avvicinare gli eletti con i cittadini. Noi abbiamo fatto molte leggi in parlamento. Abbiamo fatto sì che fossero disponibili in termini di contenuto e suggerimenti”. Si riferisce alla piattaforma per la democrazia diretta, da molti criticata. “Ci sono sicuramente delle cose da migliorare. Ma è la prima volta che viene fatta nel mondo una cosa del genere. Ad oggi abbiamo superato 100mila iscrizioni. Daremo dei controlli esterni sullo sviluppo e sul voto, così non ci saranno più ombre sul Movimento”. Parole che significano molto per gli attivisti. Poco prima sul palco era salito un gruppo di attivisti con un manifesto (“Occupy palco”) chiedendo dal microfono più controllo e trasparenza della piattaforma.

La piazza è meno timida della sera prima. Si sono contati per tutto il giorno, con i pullman arrivati da tutta Italia. E Grillo sa che fanno domande, hanno bisogno di qualcosa di più di un comizio. Durante il pomeriggio si sono alternati gli interventi di cittadini e attivisti sui palchetti dei gazebo per chiedere informazioni e spiegazioni agli eletti. E il leader m5S offre la sua proposta politica. “Il nostro Movimento è nato con delle frasi”, dice Grillo. “che significano che noi siamo francescani forse più del Papa. Nessuno deve rimanere indietro. Questa è una comunità di persone. Faremo il reddito di cittadinza e vorrà dire pensare alla sopravvivenza dei lavoratori. Noi andremo a governare con la piccola e media impresa“. Ma come l’M5S pensa di finanziare tale provvedimento? “Abbiamo speso miliardi in Afghanistan e per gli F35“, spiega Grillo. “Spendiamo 50 miliardi per questi aerei obsoleti e facciamo morire di fame la nostra gente e lasciamo che succedano disgrazie come quella di Genova“. E ancora sull’alluvione: “La politica va in tv a dire che è colpa del Tar. Non ci credo più che è un caso. Queste cose vengono previste dai bilanci”.

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Secondo il leader del Movimento 5 stelle, il governo Renzi non interviene in modo efficace per ridare lavoro e aiutare i cittadini. Una delle soluzioni, secondo Grillo, è dunque l’uscita dall’Euro: “Raccoglieremo milioni di firme in sei mesi e le porteremo in Parlamento. Lo abbiamo già fatto in passato e nessuno ha fatto nulla, ma oggi è diverso. Oggi abbiamo 150 dei nostri in Parlamento”. Così, sostiene, potranno discutere questa legge d’iniziativa popolare. “Io andrò avanti – continua – non dovete dirmelo voi, mi offendete se me lo dite. Noi abbiamo vinto le elezioni“. Poi si rivolge al Presidente del Consiglio: “Siamo a rischio default. Renzi ti prego continua così, fai esplodere questo Paese così sarà chiara la situazione in cui ci stai trascinando”. Un appello anche al nuovo sindaco 5 Stelle di Livorno: “Nogarin, stai attento. Non permettere quello che stanno cercando di fare con il rigassificatore di Livorno. Non abbiamo bisogno di gas, è una speculazione”.

Tra le proposte di Grillo, anche quella sulla banda larga: “Aumentandola del 10 per cento tu aumenti il Pil. Ma figuriamoci se lo fanno. Nessuno vuole intervenire“. Il fondatore M5S chiude dando appuntamento al giorno dopo. Domenica 12 ottobre promette che sarà in giro tra gli stand a parlare con le persone “se i giornalisti me lo permettono”. E ringrazia gli attivisti con una battuta: “Domani busserò alle 8 alle vostre roulotte e vi porterò il cappuccino”.

 

L’ex M5S Andrea Defranceschi: «I grillini-scientology hanno sconfitto i grillini-riflettenti»

Il consigliere dell'Emilia Romagna: «Tutte queste espulsioni, la spirale autoritaria, come qualunque cosa venga meno ai principi fondanti del Movimento, fa male al Movimento stesso»

 

Movimento 5 stelle, Andrea Defranceschi spera di rientrarci quando e se un giudice lo tirerà fuori dalla vicenda dei fondi regionali spesi per acquistare interviste tv. Consigliere in Emilia Romagna, Defranceschi è impegnato a non sembrare, neanche per un momento, un novello Giovanni Favia, ex collega in consiglio regionale, che si espone tantissimo nell’opposizione ai vertici 5 stelle. Però, il mite Defranceschi, lo dice chiaramente: tutte queste espulsioni, la spirale autoritaria, come «qualunque cosa venga meno ai principi
fondanti del Movimento, fa male al Movimento stesso».

Luigi Di Maio dice invece che ha fatto bene Beppe Grillo ad espellere i quattro volontari della festa al Circo Massimo, saliti sul palco con lo striscione OccupyPalco. «Di Maio può dir quel che vuole, come qualunque attivista: è il bello della libertà d’espressione. Uno vale uno», dice Defranceschi che però poi nota, chirurgico:  «La rete è piena di video di Grillo che fa salire dalla piazza contestatori sul palco e gli da il microfono: è
sempre stata una modalità vincente». Peccato, dunque, averla abbandonata. Peccato non aver capito che, se si perde il rapporto con i militanti, «si perde la natura stessa del Movimento, che invece sui territori e in molti meetup», anche se «non in tutti per la verità», «ancora viene portata avanti». «Proprio oggi» dice all’Espresso, «ho letto un post interessante in rete al riguardo.Forse, questo attivista riassume meglio di me la questione: parla di “grillini-scientology” contro “grillini riflettenti”». Quei grillini, cioè, sempre pronti a difendere le supposte regole di Grillo e Casaleggio, anche quelle cambiate senza che nessuno lo sapesse, perché in effetti, lo dice Defranceschi al collega di Parma Bosi, «sono molte le cose che sono state introdotte nel Movimento senza che ci avvisassero».

È finita che il movimento della democrazia diretta prende lezioni da Matteo Renzi che dalla direzione del Pd ha detto: «È imbarazzante che il M5s abbia espulso chi sul palco è salito per chiedere qual è l'organigramma. Tra noi ci dovremmo espellere in continuazione...». Difficile dargli torto, no?
«Quello che fa il Pd concretamente, l’ho visto e denunciato per 5 anni in Regione: questo basta per far cadere qualsiasi dichiarazione, per me. Detto questo, non sono l’opinionista del Movimento. A decidere se il movimento si sta allontanando dai presupposti con cui è nato, devono essere i cittadini a cinque stelle – iscritti o meno al blog, a questo punto».

Cosa risponderebbe al suo collega Marco Bosi, capogruppo a Parma, che sulle ultime espulsioni ha detto: «Davvero nel M5S è stato introdotto reato di opinione senza che ci avvisassero»?
«Sono molte le cose che sono state introdotte nel Movimento senza che ci avvisassero. Marco, come me e tanti altri amministratori sul territorio, sa bene quanto sia importante il confronto. Se si perde quello, si perde la natura stessa del Movimento, che invece sui territori e in molti meetup (non tutti per la verità) ancora viene portata avanti. Proprio oggi ho letto un post interessante in rete al riguardo. Forse, questo attivista riassume meglio di me la questione: parla di “grillini-scientology” contro “grillini riflettenti”».

Di Maio, confermando la sentenza del blog di Grillo, dice che i quattro attivisti, gli ultimi espulsi, hanno tradito la fiducia del Movimento, perché prima di fare il blitz erano i responsabili della sicurezza del palco. Ha ragione?
«Io ritengo che il dissenso vada sempre e comunque gestito. La rete è piena di video di Grillo che fa salire dalla piazza contestatori sul palco e gli da il microfono: è sempre stata una modalità vincente. Per il resto Di Maio può dir quel che vuole, come qualunque attivista: è il bello della libertà d’espressione. Uno vale uno».

Senta ma lei ha capito come si prendono le decisioni a Milano, qual è la catena? Conta più Grillo o Casaleggio?
«Viste le difficoltà di comunicazioni avute negli ultimi mesi, e che nessuno ha mai risposto alle mie richieste sulle modalità e sull’organizzazione delle elezioni regionali, non sono la persona più adatta a risponderle. Detto questo, non sono questioni che mi hanno mai interessato. Per me hanno sempre contato di più i cittadini. Mi scusi: contano solo i cittadini».

Questo per chiarire che lei non è Favia, e ha sempre parole più clementi verso Grillo e Casaleggio, e dice che «si sono affidate alle persone sbagliate». Ma la spirale autoritaria si sta stringendo sempre di più. Rischiano di compromettere il Movimento stesso?
«Qualunque cosa venga meno ai principi fondanti del Movimento, fa male al Movimento».

C’è spazio per un altro movimento 5 stelle, magari frutto di una scissione?
«Quello che so è che c’è un patrimonio di lavoro svolto, di impegno, di competenze acquisite e di battaglie iniziate; c’è un modo di fare opposizione, uno di governo e uno di amministrare; ci sono dei principi che le persone applicano nella vita personale e che hanno scelto di imporre a chi ci governa; che non va assolutamente buttato. Questo sarebbe il vero fallimento per tutti coloro che hanno creduto nel Movimento».

Lei che farà? Concluderà il mandato? E poi?
«Torno a riprendermi la mia vita. Quella che ho abbandonato in questi quattro anni e mezzo».

Spera nell’assoluzione della Corte dei conti, che la ritiene responsabile per l’utilizzo irregolare dei fondi regionali, nell’ambito dell’inchiesta sulle interviste tv a pagamento, e poi nel reintegro nel Movimento? Non si è rotto un vincolo di fiducia tra lei e l’organizzazione?
«Il vincolo che non si è rotto è quello con gli attivisti, col territorio, e con la maggior parte degli eletti, che è quello che a me interessa. I cittadini sono l’unica organizzazione nella quale ho sempre avuto fiducia. Se la cosa è reciproca, un motivo ci sarà. Vede, i miei conti erano on-line, euro per euro, dal primo giorno, e ogni sei mesi io ho girato le province rimettendo il mio mandato e mettendomi a disposizione di qualsiasi critica, suggerimento o richiesta di chiarimento che fosse. Io sono responsabile delle azioni da me compiute in quanto capogruppo, e proprio per questo motivo, conosco non solo ogni passo che ho compiuto, ma soprattutto il
relativo regolamento che lo autorizzava. Nello specifico io so la Sezione di Controllo della Corte dei Conti di Roma, ha definito le spese dei miei bilanci, compreso il famoso contratto per le partecipazioni televisive, “legittime, congrue e razionali”. È mio dovere, prima ancora che diritto, fare ricorso. Il tempo è galantuomo».

Grillo ha detto che i clandestini vanno rispediti a casa. Lei condivide?
«Io ricordo che fosse l’aggregazione e non l’esclusione, la forza del movimento».

Italia 5 stelle, poca gente in piazza e indigestione da tartufo bianco: i malesseri di Beppe Grillo

Intanto alle 18 Agorà fuori programma con il sindaco di Parma in rotta coi fondatori. DIRETTA TV

 

Italia 5 stelle, poca gente in piazza e indigestione da tartufo bianco: i malesseri di Beppe Grillo

Intanto alle 18 Agorà fuori programma con il sindaco di Parma in rotta coi fondatori. DIRETTA TV

Un referendum per uscire dall'euro, uno per l'introduzione del reddito di cittadinanza. E non si parla di votazioni sul blog e consultazione tra gli attivisti. No, questa volta Beppe Grillo fa sul serio. Una raccolta firme con tutti i crismi, per portare gli italiani a decidere con le urne su due dei punti programmatici più importanti del Movimento 5 stelle.

È quanto proporrà il leader stasera, nel corso del suo intervento, il secondo dal palco del Circo Massimo. Sceso tra i gazebo di Italia 5 stelle, il leader del M5s è stato assaltato da cronisti e telecamere, insultati dagli attivisti che hanno intonato il coro: "Venduti, venduti". L'ex comico è tornato ad attaccare Matteo Renzi: "Deve fare presto, deve essere più veloce a distruggere il paese. Con il Jobs act creerà milioni di schiavi e disperati.

Il leader che non si ritiene tale spiega che "Il piano B per uscire dalla merda è solo il M5s", e che stasera dal palco

Sulla manifestazione infuria la guerra dei numeri. Per eletti e simpatizzanti si è registrato il pienone, l'ex-comico liquida quelli che definisce "media di regime". Perché secondo gli osservatori sotto il palco ieri stazionavano quattro, cinquemila persone, numeri confermati dagli organizzatori al Fatto quotidiano, per i quali "comunque il pienone sarà tra oggi e domani".

Il Grillo visto oggi al Circo Massimo, occhiali da sole e camicia bianca, sembra essersi ripreso appieno dal malore di ieri notte. Che, racconta il Corriere della Sera, sarebbe stato provocato da "un'indigestione di tartufo bianco". Certo, con il crollo dei prezzi dell'ultimo anno un etto è sceso a costare 250 euro. Cifre che però stonano con un evento il cui finanziamento è interamente dalle donazioni di privati, ai quali, ai punti ristoro, viene ossessivamente ricordato: "Il M5s ha rinunciato a 42 milioni di euro di finanziamento pubblico. Dona anche tu e in cambio ti offriremo da mangiare e da bere". Qualche malumore in piazza si è registrato anche sull'alloggio del leader: "Certo però che io stringo la cinghia e vengo in camper con la famiglia - discuteva un gruppetto di attivisti sotto il palco- non è bellissimo che Beppe stia in un albergo da 200 euro a notte. Lo spirito del M5s dovrebbe passare anche da queste piccole cose".

Intanto in rete continua a far discutere l'incredibile gaffe dell'organizzazione. Ieri, al termine dell'intervento di Grillo, sui maxischermi è passata una gigantesca slide: "O noi, o la democrazia". Un errore, spiegano. Mancava "la fine della". Ma oggi è un altro giorno.

Italia 5 stelle: buio totale su soldi e responsabili formali dell'evento. La trasparenza nel M5s sembra essere passata di moda

"L'elenco delle spese sostenute sarà aggiornato periodicamente". Quella promessa, scritta a chiare lettere sul blog di Beppe Grillo, non è mai stata mantenuta. Era lo scorso giugno, e il Movimento 5 stelle raccolse - così si leggeva sul blog - 436mila euro.

La voce "spese sostenute" si aggiorna giorno dopo giorno con lo scorrere delle date. A rimanere immutato è il contatore, fisso ancora a quota "0,00". La trasparenza, da quelle parti, sembra essere passata di moda.

Perché parlarne oggi? Perché una piccola nota in calce al fund raising lanciato per Italia 5 stelle, la manifestazione che si terrà al Circo Massimo dal 10 al 12 ottobre prossimo, recita così: "Il residuo dei fondi raccolti per la campagna delle elezioni europee 2014 è stato interamente devoluto per finanziare l'evento Italia5Stelle".

Una postilla che fa scaturire due questioni non di poco conto. La prima è che quando Beppe Grillo chiese soldi per portare avanti la campagna elettorale europea, promise (anche qui nero su bianco): "Ogni spesa sarà rendicontata e gli iscritti al MoVimento decideranno come destinare l'eventuale residuo". Peccato che gli attivisti non abbiano toccato palla, e che la decisione di come impiegare quei soldi sia stata presa unilateralmente tra Milano e Genova.

La seconda è che sull'ammontare del tesoretto da destinare alla kermesse romana vige il silenzio più totale. Nessuno tra i parlamentari sembra essere a conoscenza delle cifre, e se qualcuno ha in mano i dati tiene la bocca cucita.

Brancolando nel buio, si può provare a fare una stima a spanne. Dei 774mila euro raccolti per le politiche del 2013, ne furono spesi meno della metà, 348mila. Supponendo che per una campagna elettorale sul territorio nazionale dalle analoghe modalità di svolgimento si sia arrivati a spendere la stessa cifra, nelle casse del M5s dovrebbero essere rimasti circa 100mila euro.

Soldi che si vanno a sommare ai 150mila raccolti fino ad oggi per Italia 5 stelle, e che dovrebbero costituire un patrimonio di un quarto di milione di euro. Qualcuno a Roma già si chiede che fine faranno quei soldi, considerando che l'affitto della location è risibile (10mila euro): "Non vorrei che, una volta pagate bollette e fornitori, finissero per pagare cene e alberghi per i soliti noti", sibila velenoso un parlamentare.

A prescindere dalla destinazione, la nebbia che circonda la gestione dei soldi in un partito che si professava custode della trasparenza e dell'open data è quantomeno discutibile.

Nessuna informazione nemmeno sul fantomatico "Comitato Promotore Incontro Nazionale con i Portavoce del M5S", l'organo al quale effettuare i bonifici per Italia 5 stelle. In parole povere: non c'è nessuna spiegazione (a differenza di quanto successo per le elezioni europee) di chi riceva e gestisca formalmente i soldi, volendo andare più a fondo di un generico "il blog di Grillo".

Così come molto lontano da un processo minimo di trasparenza è il processo che regola la macchina organizzativa dell'evento. È noto - ma solo tramite i mezzi di informazione e senza nessuna conferma ufficiale - che sia Mario Bucchich, socio fondatore della Casaleggio Associati, la mente pensante dietro l'iniziativa. Qui il flusso di informazioni si arresta del tutto.

Chi è che ha richiesto formalmente il Circo Massimo? Chi è concretamente a sborsare i soldi per la gestione dell'evento e a stipulare la fidejussione bancaria necessaria per il via libera? Qual è la figura giuridica che si incarica in solido il pagamento di eventuali danni?

La risposta, in questo caso, non può coincidere genericamente con "il Movimento 5 stelle". Verrebbe naturale pensare al già menzionato "Comitato Promotore Incontro Nazionale con i Portavoce del M5S". Ma dal comune di Roma fanno sapere che "noi non abbiamo mai parlato con nessun comitato, ma sempre e solo con l'onorevole Roberta Lombardi tramite la Camera dei deputati".

Che sulle questioni organizzative del M5s a Roma (sin dal primo V-Day capitolino) ci metta la testa l'ex capogruppo non è un mistero. Ma, spiegano ancora dal Campidoglio, "a noi non risulta altro referente che l'onorevole Lombardi, che non ha mai parlato per conto di Comitati promotori". Difficile pensare che Lombardi gestisca e si intesti la responsabilità di raccolta fondi, spese, fidejussioni bancarie e responsabilità per eventuali danni.

Ma c'è un'altra stranezza. Nel form che i volontari a 5 stelle hanno dovuto compilare per dare il proprio contributo all'evento (diversi gli esempi reperibili in rete sui Meetup, come qui e qui), c'era una piccola postilla: "L’adesione a questo evento comporterà l’iscrizione temporanea e a titolo gratuito a un’associazione no-profit di volontariato denominata Grandi Eventi". Punto, nessun'altra specifica in calce.

Dunque, formalmente, l'intero apparato di Italia 5 stelle verrà gestito sul campo non da attivisti del Movimento, ma dagli associati di Grandi Eventi.

La comunicazione della propria partecipazione era possibile solo fino alle 24.00 del 26 settembre. Qualche giorno dopo, nella casella di posta elettronica dei volontari è arrivata una mail. Dopo le indicazioni tecniche sul lavoro, si leggeva: "Alleghiamo inoltre per presa visione, copia dello Statuto dell'Associazione no profit Grandi Eventi". L'indirizzo del mittente è grandieventi@roma5stelle.org, casella ufficialmente utilizzata anche dal blog per comunicazioni riguardanti il Circo Massimo.

Lo Statuto, di cui Huffpost è in grado di produrne copia, singolarmente non fa mai menzione né del Movimento 5 stelle, né dell'evento in questione. Tra le finalità si leggono i seguenti tre punti:

Promuovere iniziative finalizzate allo sviluppo del territorio, attraverso l’organizzazione di manifestazioni ed eventi;
promuovere la partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica del territorio;
svolgere ogni altra attività, non compresa nei punti che precedono, ritenuta necessaria o utile al raggiungimento dei propri fini.

LEGGI A FONDO PAGINA LA COPIA INTEGRALE DELLO STATUTO

Tralasciando la questione delle "quote obbligatorie" da versare annualmente, comunicate ex post agli associati ma alle quali i responsabili possono non dare seguito concreto, si nota come l'unico punto di contatto con il M5s sia Roberta Lombardi. I verbali di costituzione di Grandi Eventi, datati 3 settembre, sono allegati allo Statuto. Da essi si ricava che oltre a Lombardi (vicepresidente), gli altre tre soci fondatori sono Giovanni Schirra, presidente, Raffaele Fanelli, tesoriere e Katharina Henriette Hembus, segretaria. Tutti e tre attivisti vicini all'ex capogruppo a Montecitorio.

Ricapitolando: negli atti ufficiali il Comitato promotore non viene mai menzionato, Roberta Lombardi risulta l'unico tramite e la responsabilità effettiva del Circo Massimo sarà a carico di attivisti associati nell'atto di offerta del proprio lavoro volontario a un'associazione la cui ragione sociale gli è stata comunicata a posteriori.

Associazione che, in linea teorica, potrebbe gestire parte dei fondi (di cui non è chiara la consistenza) raccolti dal misterioso Comitato promotore, elargite o come "donazioni di liberalità" o, recita lo Statuto, "dagli eventuali proventi delle attività indicate all’art. 2.2". Cosa si dice? Semplice, che Grandi Eventi può "utilizzare qualsiasi strumento ritenuto opportuno ed in particolare stipulare ogni opportuno atto o contratto, anche per il finanziamento delle operazioni deliberate e per la sponsorizzazione e convenzioni di qualsiasi genere".

Come tutto ciò abbia a che fare con la raccolta fondi e la gestione amministrativa di Italia 5 stelle non è dato saperlo. La trasparenza, si diceva.

 

 

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Clicca qui per vedere il video con i sottotitoli sul canale Youtube di Beppe Grillo

"Romolo e Remo, Numa Pompilio,
Tullo Ostilio, Anco Marzio.
Qui le gare,
le gare di bighe!
Anco Marzio, Tarquinio il Superbo.
250.000 persone arrivavano
al Circo Massimo
da tutto il mondo conosciuto
per vedere le grandi bighe.
Tarquinio! Dove sei Tarquinio?
Qui c'erano commerci, c'erano incontri,
gente che si trovava e faceva incontri.
Quello che vorremmo fare noi:
incontrare le popolazioni del mondo.
Venite qui a chiedere a noi e ai parlamentari!
Potrete chiedere quello che volete!
Sarà un grande raduno cari signori,
un grande raduno.
Vi aspettiamo il 10, 11 e 12 ottobre
al Circo Massimo, Roma,
per Italia 5 Stelle!" Beppe Grillo

Clicca sul banner per fare la tua donazione!

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Corriere: "Il patto del Nazareno odora
di massoneria. Renzi pubblichi contenuto"

Il direttore De Bortoli al premier: "Liberi l'accordo con Berlusconi dai sospetti". Critiche al governo
"Elementi di debolezza disarmante". "Superficialità degli slogan". Pd? "Quasi un partito personale"

Al Senato depositati 689 emendamenti. Un giudizio netto, mai visto sulle pagine del Corriere. E una ancor più inedita accusa di "stantio odore di massoneria" nel patto per le riforme tra il premier e Berlusconi. Nell'editoriale che inaugura il nuovo corso grafico del quotidiano, il direttore Ferruccio De Bortoli lancia un duro attacco al governo ("in qualche caso di una debolezza disarmante") e una esplicita richiesta a Renzi sul patto del Nazareno: "Sarebbe opportuno conoscerne tutti i reali contenuti. Liberandolo da vari sospetti"

Piketty, i rottamati e le parole proibite: da Tsipras al nuovo vate della sinistra italiota

 

PikettyVi ricordate Alexis Tsipras? Il greco è storia vecchia, per la stagione autunno-inverno la sinistra italiana ha scelto un altro campione, anche questo importato: Thomas Piketty.

Ora che la Bompiani ha finalmente tradotto il suo “Il capitale nel XXI secolo”, uscito in Francia nel 2013, l’economista della parigina Ehess può diventare ufficialmente un personaggio della politica italiana (e dunque un ospite dei talk, ieri sera da Michele Santoro). Ha le stesse caratteristiche che hanno reso popolare Tsipras: sulla quarantina, capello corvino, spalle larghe, camicie aperte e niente cravatta, inglese ruspante e – a tratti – incomprensibile. Alla Camera, ieri, Piketty sembrava l’ultimo argine contro l’avanzata del renzismo culturale (quello del Tina, There is no alternative, non c’è alternativa). Il deputato Pd Stefano Fassina, assai poco renziano, ha portato Piketty a Montecitorio: in sala oltre 400 persone, presenza obbligata per chi voleva marcare la distanza dal premier nei giorni dell’articolo 18. Massimo D’Alema è in prima fila, Gianni Cuperlo in piedi, Corradino Mineo nelle retrovie a commentare il libro (che lui, sottolinea, ha anche letto). C’è pure Renato Brunetta, compiaciuto di interloquire con il “collega Piketty”.

 

Stefano Fassina spiega che il lavoro di Piketty è importante perché smonta l’idea della trickle down economics, lo sgocciolamento del benessere dai ricchi che si arricchiscono ai poveri che diventano un po’ meno poveri. Nelle analisi dell’economista francese, invece, la disuguaglianza è destinata a crescere sempre: la ricchezza finanziaria cresce sempre più rapidamente dell’economia reale (e quindi dei salari), alla faccia dei rendimenti decrescenti predicati da Karl Marx, predecessore che in vita ha avuto assai meno successo di Piketty. L’oratoria non è la dote migliore dell’economista francese, che è uomo di numeri e serie storiche (contestate dal Financial Times, che ha trovato alcuni errori). Ma il messaggio arriva chiaro: la ricchezza dei privati era poco più di due volte e mezzo il reddito nazionale negli anni Settanta ed è arrivata a oltre sette volte all’inizio della crisi finanziaria. Solo nel breve intervallo tra la Seconda guerra mondiale e gli anni Ottanta del liberismo reaganiano (e thatcheriano e craxiano) la disuguaglianza è diminuita. Ma gli ideali socialdemocratici e le politiche di welfare state non avevano domato la spinta del capitalismo a polarizzare la ricchezza, semplicemente si erano create condizioni irripetibili: spesa pubblica post-bellica, fortune spazzate via dalle bombe e dagli stravolgimenti politici, grandi opportunità di lavoro nella ricostruzione. Ora siamo tornati a una struttura ottocentesca, dove conta più un buon matrimonio che una buona università.

Numeri e slide non bastano a spiegare la presa di Piketty sulla sinistra del Pd. A guardare i leader che lo ascoltano si capisce che è più una questione di linguaggio: il professore può pronunciare parole come “patrimoniale” e “redistribuzione” che a Roberto Speranza o Pier Luigi Bersani ormai sono proibite. Si avverte un brivido in platea ogni volta che Piketty dice “imposte progressive”. Gli ex comunisti triturati dal renzismo escono con un sorriso di beatitudine. Unica polemica: l’economista Veronica de Romanis: “Professor Piketty, trova normale che in un convegno sulla disuguaglianza tutte le prime file siano riservate ai politici, lasciando gli spettatori normali in piedi?”. E lui: “Sono desolato”.

 

 

 

 

 

 

 

 

M5S, Grillo: "Pd? Non ci prenderanno
in giro. O faremo opposizione dura"

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Il leader pentastellato dopo l'incontro con l'ambasciatore americano ai cronisti dichiara: “Gli Usa? Loro cercano interlocutori seri, gente perbene come noi”

Patto Renzi-B, esplosione di Forza Italia
"Riforme, Berlusconi è in minoranza"

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Facciamo un gioco. Immaginiamo che al posto di Renzi ci fosse al Governo Berlusconi. E immaginiamo che Silvio in questi mesi abbia ripercorso esattamente le stesse scelte che ha fatto Renzi in questo arco temporale. Che cosa sarebbe successo? Come riporta su Facebook la Costamagna:

Cosa sarebbe successo se Berlusconi avesse promesso di cambiare la legge elettorale, riformare il Senato, abolire le province, tagliare l'Irap alle imprese, pagare tutti i debiti della pubblica amministrazione... e poi avesse rimandato e rimandato e rimandato a data da destinarsi? E come unici fatti concreti avesse aumentato la precarietà dei contratti a termine, messo in cantiere l'abolizione dell'articolo 18 per i neoassunti e la mobilità obbligatoria per gli statali (nella migliore tradizione di Sacconi-Brunetta), e poi ridotto le pene per il voto di scambio politico-mafioso, tagliato soldi alla Rai? Apriti cielo! Per Berlusconi sono rimasti solo sogni, perché si sarebbe beccato scioperi generali permanenti e l'Usigrai sui tetti, mentre il Sole-Renzi è così intenso che acceca tutti.

Inutile chiedere invece cosa sarebbe successo se Berlusconi avesse nominato ministri belle donne ma inesperte o si fosse ritrovato nel partito inquisiti per tangenti. In questo ha fatto scuola e il Pd non è voluto essere da meno né all'Expo né nel Mose. Mica "c'ha scritto Jo Condor". E vai con le larghe intese delle mazzette. Basta cambiare il nome (non la sostanza, perché quella non cambierebbe di molto) e avremmo un'altra Italia: cupa, conflittuale, incattivita. E invece abbiamo il Sole, la pace, la speranza, l'ottimismo, l'entusiasmo di stampa e tv. "Ma quanto è forte Renzì. E' più di Zorro Renzì. Renzi-Zin-Zin". La buia "nuttata" è passata: ora splende il giorno luminoso in cui tutte le vacche sono bianche. Occhio solo a non scottarvi.

Sel nel caos, Migliore e Fava si dimettono. Dopo Scelta Civica salta per aria anche lo pseudo partito di merda di Vendola. Una infinita diaspora verso l'Ebetino
Vendola: "Mio mandato a disposizione"
 

Sel nel caos, Migliore e Fava si dimettono Vendola: "Mio mandato a disposizione"
 

Dopo le "liti" sugli 80 euro di Renzi, se ne vanno in 4: ufficializzato anche l'addio di Titti Di Salvo e Ileana Piazzoni. "Altri 10 pronti a lasciare" (leggi). L'ex capogruppo: "Venuta meno la fiducia". Il giornalista: "No a deriva minoritaria". Il leader: "Ferita la nostra comunità" (video di M. Lanaro)

IL CROLLO DI SEL. Nichi Vendola ha avuto in questi anni di leadership incontrastata dentro Sel, fino agli abbandoni degli ultimi  giorni, alcune felici intuizioni riassumibili in due concetti da lui ripetutamente espressi: “Sel come ingrediente additivo di una sinistra più grande” e “non m’interessa il partito ma la partita”.

Frasi paradigmatiche, di un progetto di lungo respiro costituente della compagine nata dall’aggregazione di alcune aree politiche, una di provenienza Ds, Pds, Pci, la cosiddetta sinistra storica, anch’essa nient’affatto omogenea al suo interno (come si conviene a tutte le famiglie che si rispettino della martoriata sinistra), composta sostanzialmente da un’area di provenienza e un’altra con radici molto forti nel sindacato Cgil e in parte Fiom.

La seconda componente, proveniente dalla scissione di Rifondazione, di stretta osservanza vendoliana, con un “cerchio magico” costituito essenzialmente dal trio Migliore, Ferrara e Giordano poi più defilato.

Una terza piccola componente molto fluttuante, tra i verdi movimentisti di Paolo Cento e una quarta numerosissima, almeno inizialmente, di giovani e giovanissimi, senza etichette, affascinati dalla “narrazione” del “loro” Nichi, intruppati come un esercito di riserva, pronto alla mobilitazione, nelle cosiddette “Fabbriche di Nichi”, poi misteriosamente abbandonate al loro destino.

Penso che la contraddizione tra le attese del progetto iniziale e il risultato di oggi, sia nel non aver mai neanche provato a creare un vero amalgama in questo rassemblemant che non è riuscito a conquistare una soggettività politica effettiva.

Gli unici momenti partecipativi sono stati circoscritti alle primarie oppure a consultazioni elettorali, dove le diverse componenti con le loro strutturazioni interne hanno pesato in modo preponderante.

Cosicché la “partita” si è persa proprio perché è mancato un “partito”, in altre parole un soggetto organizzato sulla base di un sistema di valori, regole e programmi in grado di fornire una struttura chiara e prospettica all’azione politica.

Tutte le decisioni più importanti si sono assunte con modalità organizzative e gestionali tipiche della cultura più tradizionale (asfittica) degli “apparati”. Far prevalere il gruppo più forte nei rapporti interni a ogni singola realtà, sulla base di equilibri predeterminati, eludere ogni discussione reale. Nessuna vera innovazione, poca attività nel territorio, poca promozione, scarsa attenzione alla società.

Tante persone valide che hanno partecipato nel corso del tempo alle diverse fasi e moltissime che si sono allontanate deluse, perché sostanzialmente ignorate da una struttura dirigenziale centrale e periferica, interessata prevalentemente al “palazzo”. Ovviamente con le debite eccezioni che però non hanno mai mutato il tratto complessivo dell’esperienza.

Ci sono ragioni “antropologiche” per questo insuccesso? Cattiverie ed egoismi dei gruppi dirigenti? Forse ma non si spiega solo così: indubbiamente ha pesato l’interminabile crisi della politica in senso molto più generale e il declino del Paese, l’offuscarsi nel ventennio berlusconiano, di ogni sostanziale differenza culturale nel sistema dell’informazione che ha costruito una società mediatizzata, un contenitore dove tutto è controllato, è ancora così, dalla ricerca del consenso e nessuno spazio è lasciato al pensiero critico.

Il liberismo all’italiana è stato instillato chirurgicamente nei circuiti mentali dei telespettatori e dei figuranti che con le loro comparsate hanno fornito attendibilità e oggettività alla straordinaria operazione di restaurazione di un pensiero-non pensiero unico e unificante, dove le sole differenze ammesse, erano nel timbro di voce di chi urlava di più per non dire niente.

Sel e il suo leader sono stati un guscio di noce in mezzo a una tempesta perfetta che ha travolto anche strutture più forti, ora il rischio d’inabissarsi definitivamente è più che probabile. Le ricette non sono a portata di mano, non c’è niente di facile. L’esperienza di Tsipras può essere un approdo, in cui tentare di ricostruire una trama, una scommessa tutta da verificare, però ora non ci sono altre strade.

Chi pensa che sia il Pd di Renzi l’interlocutore principale, non ha capito o finge di non comprendere che da quella parte non viene fuori niente, che occorre lavorare invece perché le tante contraddizioni, depositate sotto il tappeto dalla vittoria delle Europee del leader democratico, riemergano per sapere cosa diventerà questa macchina onnivora creata solo per gestire il potere. La tempesta non è ancora terminata bisogna rinforzare gli ormeggi.

Genova, spese illecite di fondi Idv: arrestate due consigliere regionali

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Fusco e Piredda ai domiciliari con accusa peculato

 

Al centrosinistra Modena, Bergamo, Pavia, Pescara e Bari
Padova alla Lega. Crollo affluenza: 49,5% /
Speciale risultati
Perde Cattaneo, pupillo di Berlusconi. Riparte lo scontro in Fi
Pd, sfida vecchio-nuovo. M5s: "Sarà vero che vinceremo poi?"
Casal di Principe: vince l'anticamorra : "Dedicato a don Diana"

Il trionfo di Matteo Renzi è evidente. Ovazione al primo turno, conferma sostanziale nei ballottaggi. Chi ancora straparla di brogli è oltre il ridicolo (e infatti mi dicono che ne abbia riparlato Martinelli anche stamani ad Agorà. Poveretto). La perdita di Livorno e Perugia è però molto significativa. Non basta certo a dire che “Renzi ha perso” (figuriamoci), ma dà segnali evidenti. Livorno e Perugia sono due roccaforti rosse storiche. Averle perse è oggettivamente clamoroso, soprattutto Livorno, città in cui il voto è particolarmente ideologico (ancora oggi) e che denota una volta di più come larga parte di elettorato grillino sia o provenga da sinistra: chissà se Grillo e Casaleggio, prima o poi, ne prenderanno atto.

I renziani, che pure hanno tanti motivi per festeggiare, danno ora la colpa al “vecchio Pd”, che certo avrà – anzi ha – innumerevoli magagne: ma è una spiegazione parziale. Un’autoassoluzione facile. In primo luogo, il Pd senza Renzi non va da nessuna parte: il 25 maggio è stato un voto pro-Renzi e anti-Grillo, non un voto pro-Pd. Se davanti alle Picierno e Madia non ci fosse Renzi, ma Bersani o Letta, il Pd prenderebbe a fatica più del 20%. Resterebbe cioè perdente come sempre. Nel momento in cui l’elezione non è più percepita come un referendum pro-contro Renzi, il Pd torna il partito che era, capace di vincere a Pavia ma pure di perdere in luoghi fino a ieri impensabili per gli avversari. La forte astensione e lo scandalo Mose hanno poi agevolato i rovesci nei ballottaggi (anche Padova e Foggia, tra gli altri).

C’è però un altro aspetto, ancora più significativo: la ribellione della sinistra “vera” e “autentica”, che a Livorno e Perugia hanno ben conosciuto e ancora ricordano, nei confronti del riformismo gattopardesco di Renzi. Entrambe sono roccaforti rosse, e proprio per questo non hanno accettato di ridursi a succursali rosa. Livorno, oltretutto, ha visto nascere il Partito Comunista Italiano; comprensibilmente, quasi un secolo dopo, non ce l’ha fatta a veder rinascere la Democrazia Cristiana.

 

 

Riforma P.A., la Ragioneria esprime perplessità sui risparmi stimati. E il Governo valuta di spacchettare il decreto

Per il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan si tratta di un altro pezzo della spending review. Al Sole24Ore il sottosegretario alla Pubblica Amministrazione Angelo Rughetti ha detto che la riforma porterà nelle casse dello Stato più di mezzo miliardo.

Bene. Anzi male: la Ragioneria dello Stato, chiamata a dire la sua sulla rivoluzione targata Renzi-Madia in procinto di prendere il largo, avrebbe acceso un faro proprio su uno dei passaggi più rilevanti sotto il profilo della razionalizzazione dei costi tra quelli contenuti nel documento, passaggio in cui si chiede a ciascuna amministrazione coinvolta di ridurre la spesa sostenuta dell’uno per cento nel prossimo quinquennio. Uno per cento di cosa, si starebbero domandando i tecnici di via XX Settembre.
Se, come pare, il testo facesse riferimento alle spese di funzionamento ebbene il risparmio a cui punta il Governo non andrebbe al di là di qualche centinaia di milioni di euro. Ma se si parla di spesa pubblica complessiva allora è tutto un altro paio di maniche (in questo caso si tratterebbe di un intervento attraverso il quale sarebbe possibile recuperare oltre sette miliardi).

Serve maggiore chiarezza. Ma questo non è l'unico punto che da qui alle prossime ore rischia di subire modifiche su imbeccata della Ragioneria. Anche la perimetrazione della P.A. non convincerebbe del tutto: una bozza del disegno di legge delega getta nel mucchio, oltre a enti e società controllate, come naturale, persino le università private. In bilico pure il commissariamento del Formez, il centro per l'ammodernamento della Pubblica amministrazione. Il Formez ha appena chiuso un 2013 da record. Gli affari non erano mai andati così bene, gestisce un budget da 70 milioni di euro e in cassa vanta una riserva di liquidità pari a 33 milioni, tesoro che fa gola. Che senso ha commissariare un simile gioiello? È quello che si starebbero.

Le verifiche della Rgs sono in dirittura d'arrivo. Il provvedimento sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale prima del Consiglio dei ministri di venerdì, questo almeno è certo. Come è certo anche che non vi saranno retromarce per quanto riguarda il dimezzamento dei distacchi sindacali (e dei sindacalisti, di conseguenza), la mobilità obbligatoria nel raggio di 50 chilometri (da estendere in seconda battuta al personale degli enti locali) e la correlazione tra retribuzione variabile (i premi di risultato) e andamento del Pil.

Rispetto alla bozza approdata in Cdm venerdì però qualcosa è già cambiato. Il numero degli articoli del decreto legge, per esempio. Alla fine della scorsa settimana il decreto ne contava in tutto 37. Erano diventati circa 80 lunedì. Ora siamo arrivati a quota 120. Alla faccia del work in progress. Tuttavia in questi giorni non sarebbero stati apportati cambiamenti significativi (sarebbero stati spacchettati gli articoli della precedente versione ma niente di più) e da quanto emerge si evince che le uniche modifiche di rilievo che verranno apportate da qui a venerdì saranno quelle dettate dalle perplessità della Ragioneria dello Stato.

I sindacati, all'oscuro di tutto da venerdì, sono in tensione. Ancora devono digerire l’innalzamento al 30% dei dirigenti esterni non vincitori di concorso, per non parlare della modifica dell’articolo 90 del d.lgs 267/2000 contenuta nelle bozze del provvedimento circolate nei giorni scorsi in base alla quale i sindaci potranno nominare nel proprio staff anche chi non possiede titoli di studio o professionali specifici per avere accesso alle qualifiche in palio. I sindacati temono poi comunque che la proliferazione degli articoli in corso riservi loro brutte sorprese. Proliferazione che ha dato vita a un decreto monstre. Al punto che si pensa sempre più seriamente di dividerlo in due parti, in modo da non sobbarcare di lavoro una sola commissione e velocizzare i tempi parlamentari prima della conversione in legge del decreto. Da un lato le norme su agricoltura, ambiente, energia, appalti e sblocca cantieri. Dall'altro Pubblica amministrazione, poteri a Cantone in materia di anticorruzione e risarcimento dei detenuti.

 

Fecondazione eterologa, i giudici: “Diritto ad avere figli è incoercibile”

Così la Consulta nelle motivazioni della sentenza emessa il 9 aprile scorso. Inoltre secondo la corte il divieto di fecondazione eterologa creava una discriminazione tra le coppie infertili sulla base delle loro possibilità economiche. Secondo i magistrati con la caduta della norma, dichiarata incostituzionale, non si crea alcun vuoto normativo

“La determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la sfera più intima e intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali”. C’è anche questa riflessione nelle motivazioni della sentenza numero 162, pubblicate martedì sera sul sito della Corte Costituzionale. Una sentenza emessa il 9 aprile scorso, ma che solo con la pubblicazione delle motivazioni sul sito della Corte e poi in Gazzetta ufficiale diventa legge, cancellando uno dei divieti più odiosi introdotti nel 2004 dalla legge sulla procreazione assistita, sotto il governo Berlusconi, con gli auspici dei teocon.

Nove anni dopo i referendum sulla fecondazione assistita, il divieto di fecondazione eterologa è stato abbattuto dai magistrati. Proprio come chiedeva il fronte referendario, battuto nelle urne dall’astensionismo scelto come arma di difesa della legge 40 dalla Chiesa cattolica e dai teocon. Nessuna legge dello Stato italiano può vietare alle coppie il ricorso alla fecondazione eterologa, spiegano i giudici della Consulta. La legge 40 lo ha fatto per dieci anni. Illegittimamente. Perché la scelta di “diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi”. E questo vale – annotano i giudici – “anche per la coppia assolutamente sterile o infertile”, che decida di procedere alla fecondazione eterologa.

Sulle scelte terapeutiche, i giudici costituzionali ribadiscono quando già scritto nella prima storica sentenza sulla legge 40, la 151 del 2009: “In materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali”. E ancora: “Un intervento sul merito delle scelte terapeutiche, in relazione alla loro appropriatezza, non può nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica del legislatore”, scrivono i giudici costituzionali.

La parola chiave che i giudici utilizzano per definire il comportamento del legislatore nel vietare l’accesso alla fecondazione eterologa è irrazionalità. La legge 40 – annotano i giudici – ha discriminato tra coppie con diversi problemi di sterilità, negando proprio alle quelle con problemi più gravi l’accesso all’unica tecnica che avrebbe consentito loro di mettere al mondo un figlio e violando così il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione. “La preclusione assoluta di accesso alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo introduce un evidente elemento di irrazionalità – si legge nella sentenza della Consulta -, poiché la negazione assoluta del diritto a realizzare la genitorialità, alla formazione della famiglia con figli, con incidenza sul diritto alla salute, è stabilita in danno delle coppie affette dalle patologie più gravi, in contrasto con la ratio legis“”.

Quel divieto ha prodotto anche una discriminazione di natura economica perché le coppie che hanno potuto permetterselo sono andate a fare la fecondazione eterologa all’estero. Possibilità in qualche modo regolamentata dalla stessa legge 40 che, pur vietando la fecondazione eterologa, ne disciplinava gli effetti, a tutela del nato. Ulteriore prova dell’”irrazionalità”, la legge realizza in questo modo “un ingiustificato, diverso trattamento delle coppie affette dalla più grave patologia, in base alla capacità economica delle stesse, che assurge intollerabilmente a requisito dell’esercizio di un diritto fondamentale, negato solo a quelle prive delle risorse finanziarie necessarie per potere fare ricorso a tale tecnica recandosi in altri Paesi”, annotano i giudici della Consulta.

E ora caduto il divieto che succede? “La sentenza della Consulta che boccia il divieto alla fecondazione eterologa ha efficacia immediata e va applicata senza ritardi”, avvertono Marilisa D’Amico e Paola Costantini, legali delle coppie dai cui ricorsi è scaturita la sentenza della Consulta. “Con la pubblicazione delle motivazioni già da domani sarà possibile ricorrere alla fecondazione eterologa”, rivendica Filomena Gallo, segretario dell’associazione Luca Coscioni. Per le migliaia di coppie già in lista d’attesa nei centri di tutta Italia si riaccendono le speranze.

E l’argomento del “vuoto normativo”, paventato davanti alla stessa Corte dall’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri? Respinto dai giudici che rinviano alle diverse “norme che già disciplinano molti dei profili di più pregnante rilievo”. A cominciare dal divieto di commercializzazione dei gameti, contenuto nella stessa legge 40, che all’articolo 9 provvede già a regolare diritti e doveri di donatori e riceventi, stabilendo che “qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo … il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità”, e che “il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi”. Restano le linee guida – osserva la Corte – che, come previsto dalla legge 40, il legislatore può provvedere ad aggiornare, indicando per esempio il numero massimo di donazioni previste.

La vera storia delle baby-squillo

Oltre il seminterrato dei Parioli, c'è una storia mai raccontata. Una storia di idoli pericolosi e inconfessabili debolezze che inizia nelle scuole più prestigiose della Capitale e finisce sui tavoli di Assunta Madre, il costoso ristorante di via Giulia gestito dal pluri-indagato Johnny Micalusi, dove malavita e potere stanno gomito a gomito. In mezzo a tutto le ragazze. Le due baby squillo dei Parioli, ieri, e tutte le altre mai raccontate, oggi. Un esercito misterioso sul quale Repubblica ha cercato di fare luce partendo da un messaggio raccolto il 28 marzo del 2013 su un profilo anonimo di Facebook: "Non si capisce perché Jenny e Lalla (i nomi sono di fantasia) non vogliono accettarmi. Forse perché sono già abbastanza chiacchierate". Comincia così, ancor prima di iniziare (la prima ragazza comincerà a prostituirsi solo dal mese di maggio), la storia delle due baby squillo dei Parioli. Una premonizione, forse, oppure la denuncia di una voce del branco, qualcuno che le conosceva da vicino e poteva anche solo immaginare cosa di lì a poco sarebbe accaduto.

Il risarcimento devoluto in beneficenza
. A parte amici e compagni di scuola che molto sapevano o avevano intuito, i primi a guardare dentro quella storia sono stati il Nucleo operativo dei Carabinieri di via in Selci e la Procura di Roma. E lunedì si è tenuta la prima udienza con rito abbreviato nell'ambito del processo che coinvolge i cosiddetti "sfruttatori" delle ragazze. Di fronte al gup Costantino De Robbio, il procuratore aggiunto di Roma, Maria Monteleone, e il pubblico ministero Cristiana Macchiusi, hanno chiesto condanne eccellenti per gli 8 imputati: 16 anni e 8 mesi per Mirko Ieni (l'uomo che gestiva il traffico di clienti), 6 anni per Nunzio Pizzacalla, 5 anni per Riccardo Sbarra, 4 anni per Marco Galluzzo, un anno per Michael De Quattro, 8 mesi per Francesco Ferrao, 8 mesi per Gianluca Sammarone e infine 6 anni per la madre della più giovane delle due, per la quale è prevista anche la perdita della patria potestà. 

Lalla, sua figlia, ha inoltre chiesto per il tramite del suo avvocato un risarcimento economico proprio nei confronti della madre, mentre un altro risarcimento pecuniario è stato chiesto anche dall'avvocato della ragazza più grande, il quale ha tuttavia dichiarato che devolverà l'intera somma alle associazioni di volontariato che tutelano i minori.

 


"Oggi mamma non è a casa".
Il processo con rito abbreviato aperto ieri è, in ogni caso, solo un primo passo rispetto alla enorme partita giudiziaria che riguarderà i clienti. Attualmente sono circa 60-70 i procedimenti aperti, molti dei quali finiranno nell'oblio di un patteggiamento inseguito a tutti i costi pur di assicurarsi l'anonimato.

Il punto chiave, per gli inquirenti, è dimostrare che i clienti fossero a conoscenza della minore età delle due ragazze. Un elemento su cui il Nucleo dei Carabinieri si è soffermato a lungo arrivando a scoprire particolari determinanti. Uno su tutti riguarda un famoso sito di annunci attraverso il quale le due minorenni si erano "messe sul mercato". E proprio il testo degli annunci sembra inchiodare gli imputati. "Lolita", "Cerco papi", "oggi mamma non è a casa". Messaggi chiari, diretti, inequivocabili, che rimandano alla minore età delle due e richiamano un interesse esplicito verso un'adolescente. Tra l'altro, a differenza della prassi, il loro annuncio non era corredato di immagini.

Un altro indizio, al quale se ne aggiunge un terzo - forse ancora più schiacciante dei precedenti - raccolto direttamente nel corso degli interrogatori alle due ragazze. In molti casi sono state proprio loro a confermare i nomi dei clienti che, sulla base dei dialoghi, dei messaggi o delle telefonate, erano consapevoli di trovarsi di fronte una minorenne.

Verità mai raccontate. Mentre la giustizia corre, rimane in piedi un cortocircuito informativo sui tempi e le modalità che hanno trasformato due adolescenti in un caso nazionale. Il cortocircuito si gioca sulla cronologia dei fatti. Per diverse settimane (da giugno a settembre) l'attività delle due ragazze è pressoché sporadica. Incontri in auto, oppure in qualche caso nelle abitazioni dei clienti. Il sistema diventa professionale con l'arrivo di Mirko Ieni, che trasforma un'attività saltuaria in un vero e proprio business. E questo avviene tra l'agosto e il settembre del 2013, proprio quando la madre della più grande presenta la prima denuncia alla caserma dei Carabinieri di zona. In questo periodo sono oltre 1.000 i contatti telefonici annotati dagli inquirenti. Tra questi c'è la famosa lista di insospettabili, quindi sportivi, avvocati, commercialisti, politici, ma anche qualche ragazzotto meno abbiente che, come commenta oggi una fonte, "ha rotto il salvadanaio per permettersi un'avventura con una ragazza più giovane".

Un altro elemento di novità, nell'ambito delle indagini, riguarda l'appartamento dei Parioli, su cui molto è stato scritto. L'affitto della casa da parte di Ieni arriva quasi al termine della storia, all'inizio di ottobre, pochi giorni prima, quindi, di quel famoso 28 ottobre, giorno di retate.

Le ragazze. Tutto questo per Lalla e Jenny. Non ragazze estreme, non figlie della periferia che avevano trovato nei quartieri bene un mercato fertile per i loro fini. Tutt'altro. Un'adolescente molto vicina ad entrambe ha scelto di parlare con Repubblica e di portarci dentro le pieghe della verità, fino al cuore di una vicenda che ha ancora molto da raccontare.

"Lalla e Jenny  -  rivela  -  avevano frequentato due tra le scuole più note e prestigiose di Roma. Di conseguenza i locali, gli amici, le abitudini, gravitavano tutti intorno a quel mondo, da corso Trieste a viale Parioli". L'obiettivo, per loro, era semplice e drammatico: fare soldi, e farne tanti. A qualunque costo. Il denaro non serviva ad altro se non a comprare droga, vestiti, serate nei locali, e vacanze. Proprio come quei giorni trascorsi a Ponza nel mese di luglio, quando - secondo un testimone diretto - tutti i ragazzi del gruppo hanno capito che qualcosa nella vita di Jenny e Lalla era cambiato. "Sono entrato nella loro camera - racconta il testimone - e ho visto una montagna di cocaina. Ce ne era dappertutto, sui mobili, sulla tv, per terra. Era ovunque". Polvere bianca, un'abitudine pericolosa per tantissimi ragazzi, soprattutto per quelli cresciuti con una buona riserva di contanti in tasca.

Estrema destra e tatuaggi. Roma Nord, quindi. Licei bene e famiglie bene. Un concentrato di borghesia i cui figli, però, hanno preso strade pericolose. Quella neofascista, prima di tutto. La presenza nelle scuole di quartiere del Blocco Studentesco, la rappresentanza politica di CasaPound, e di Lotta Studentesca, legata a Forza Nuova, è fortissima. Il 28 aprile scorso, al liceo Giulio Cesare di corso Trieste, giovani di estrema destra hanno manifestato contro una professoressa che aveva fatto leggere in classe il libro di Melania Mazzucco "Sei come sei", la storia di una bambina figlia di due padri. I giovani si sono presentati a scuola "armati" di croci celtiche e di striscioni con scritto: "maschi selvatici, non checche isteriche".

Questo il mondo di Jenny e Lalla, un mondo di cui erano profondamente parte. Un mondo di "Dux imperat" e di "heil Hitler", un mondo di stadio, risse e tatuaggi. Tatuaggi, proprio come quelli che mostrava Jenny (la più grande): "Si vis pacem para bellum" (se vuoi la pace, preparati alla guerra), o ancora inneggianti alle canzoni degli ZetaZeroAlfa, la band ufficiale di CasaPound.

I crudi di Assunta Madre. In tutta questa storia c'è ancora spazio per una buona dose di mistero. Nella calura dell'estate romana, Assunta Madre diventa un'oasi di riservatezza per chiunque: idoli del calcio, giudici, imprenditori, latitanti come Marcello Dell'Utri e boss della criminalità organizzata del calibro di Michele Senese. I crudi che arrivano ogni giorno da Terracina mettono d'accordo tutti, uomini per bene e malavitosi, mentre un gruppetto di ragazzotti fa la guardia alle Lamborghini e alle Ferrari parcheggiate su via Giulia. In mezzo a questa variegata fauna che di ittico ha ben poco, cresce il numero di ragazzine che siedono ai tavoli di Johnny. Alcune di loro sono minorenni, altre al limite della maggiore età, ma tutte rivendicano l'amore per il pesce fresco e i vini costosi.

Il locale è stato più volte al centro di indagini dell'antimafia e della Squadra Mobile di Roma, ma nessuno finora ha raccontato che qualche cascame è finito sui giri di ragazze che hanno gravitato o gravitano tuttora intorno ad alcuni clienti. Una pista investigativa che è stata confermata a Repubblica dai ragazzi appartenenti al giro delle baby squillo dei Parioli. Per loro non ci sono dubbi: Jenny e Lalla non erano sole. Ci sono tante ragazze ancora "in sonno" che fanno markette per pagarsi la borsa di Hermes o anche solo per sorseggiare una bottiglia di Dom Pérignon.

Nella loro identità è celato l'ennesimo punto interrogativo di questa storia. Perché nel giorno di apertura del processo scorre soltanto il primo dei numerosissimi titoli di coda che anticipano la fine di una vicenda ancora piena di angoli bui.

"Soldi e cocaina, ma è tutto sballato"
 


ROMA - Amici, passioni, abitudini, vizi. Una compagna di scuola di una delle due ragazze rivela particolari di vita rimasti finora sconosciuti. Dettagli e riferimenti determinanti per chiarire cosa ha alimentato la sfrenata voglia di denaro che ha portato due minorenni alla decisione estrema di prostituirsi.
Quando è iniziata la vicenda delle due ragazze dei Parioli?
"Jenny, la più grande, ha iniziato a maggio dell'anno scorso. Lalla, un paio di mesi dopo, verso luglio".
Come avvenivano questi incontri?
"All'inizio erano saltuari, una volta ogni tanto. In macchina o a casa dei clienti?".
E la casa dei Parioli?
"Quella è arrivata quasi alla fine della storia, tra settembre e ottobre. Quando hanno cominciato a fare i soldi veri".
Voi compagni e amici avevate capito qualcosa?
"Diciamo che quando è uscita la notizia tutti sapevano che erano loro due".
Qual era il loro giro?
"Lalla aveva fatto la ragazza immagine per alcune serate, poi aveva smesso. Jenny era un po' una testa calda, litigava spesso con la madre. Era anche vicina agli ambienti della destra estrema. Aveva frequentato un ragazzo del Blocco Studentesco. E aveva tutti tatuaggi con le frasi del fascismo".
I soldi voi li avete percepiti?
"Tutti vedevano che erano piene di soldi. Andavano ogni giorno a comprarsi un vestito nuovo. Poi serate nei locali e tanta cocaina".
Quando è stato il punto di svolta...
"A luglio. Sono andate a Ponza con gli altri. Un mio amico è entrato in camera loro e mi ha raccontato che c'era lo schifo".
La madre della più piccola sapeva e la spingeva...
"Preferisco non parlare di lei. Dico solo che era una donna molto chiacchierata. Già da prima".
Perché lo hanno fatto?
"Soldi. La voglia di essere indipendenti. È tutto sballato. Ci sono ragazze che accettano di avere rapporti sessuali per avere più mi piace su Facebook. Siamo a questo punto".
Che vuol dire? Che non sono sole?
"Sicuramente no. Ci sono altre ragazze. Gente di buona famiglia, ragazze che non hanno bisogno di nulla. Magari un giorno si parlerà pure di loro".
 

 

Sgravi fiscali, sogno politico anti-evasione
Ma i tecnici frenano: al fisco non conviene

Detrarre tutto, dalla fattura dell’idraulico a quella della baby sitter: da Monti a Renzi, gli annunci
per ridurre così  il sommerso. Perché non si fa? Rischio di coperture più alte delle nuove entrate

Si chiama 'contrasto d'interesse' e consiste nel portare in detrazione dalle imposte o in deduzione dall’imponibile gran parte delle spese sostenute dai contribuenti. Da Monti a Renzi, passando per Alfano, è la carta che la politica promette per ridurre l'evasione fiscale. Dalle parole, però, non si passa mai ai fatti perché è troppo alto il rischio che le coperture per la legge delega ad hoc siano superiori alle eventuali, nuove entrate per il fisco

Renzi: "Regole? Il problema sono i ladri"
Ma nel Pd parte lo scaricabarile su Orsoni

Lotti sul sindaco: "Non è nostro". Premier: "Corruzione? Alto tradimento. Via politici che rubano"
LE CARTE - COMMERCIALISTA: "I GALAN VOGLIONO FARE MILIARDI CON IL GAS" (di M. Lillo)A oltre 24 ore dalla raffica di arresti "bipartisan" per mazzette a Venezia il premier Renzi parla. Ma non cita il sindaco sostenuto dal Pd arrestato e gli altri dirigenti del partito coinvolti. Prima di lui Luca Lotti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ha scaricato così Orsoni: "Contrariamente a quello che ho letto stamani non è iscritto al Pd. Non ha tessera. Avrà modo di difendersi nelle sedi opportune". Cantone: "Più grave di Expo". Grillo: "Noi #vinciamopoi, ma intanto #arrestanovoi"

 

RENZI RIMANDATO A SETTEMBRE (dopo i Mondiali e le Vacanze (dicono che siamo in crisi...), si scateneranno gli aumenti a catena

Istat: la disoccupazione ai massimi dal 1977:12,6%
il tasso tra i giovani è balzato al 46%
, PIL - 0,1%,l'annuncio dello "sblocca stronzate" non basta...

Dati sul primo trimestre: quasi 3 milioni e mezzo senza lavoro

IL LUNGO DOCUMENTO EUROPEO CHE CI MASSACRA

Ma nel corso delle trattative notturne è saltata la parte più pesante della pagella: la bocciatura della richiesta italiana di poter rimandare di un anno il pareggio di bilancio strutturale. Nel testo iniziale veniva respinta "a causa del rischio di non conformarsi con gli obiettivi di riduzione del debito". In compenso Bruxelles detta a Renzi una minuziosa agenda in otto punti: dal rafforzamento delle misure di bilancio al trasferimento del carico fiscale dal lavoro ai consumi. Passando per il potenziamento delle misure anticorruzione, il riequilibrio della spesa sociale e la rimozione degli ostacoli alla concorrenza.

Lo schiaffo vero, quello che Matteo Renzi temeva e che nei giorni scorsi – al di là dell’ostentata tranquillità – lo ha fatto stare sulla graticola, è stato evitato per un pelo. Perché, all’ultimo minuto, dalle nove pagine di testo che contengono le attese “raccomandazioni” di Bruxelles all’Italia è stata eliminata la parte più scottante: quella che bocciava la richiesta italiana di uno slittamento di un anno – dal 2015 al 2016 – del pareggio strutturale di bilancio. E la cui immediata conseguenza sarebbe stata la necessità di una manovra di rientro. Salvi in extremis, dunque? Si fa per dire: quel che rimane, anche al netto della “sbianchettatura” finale, è tutt’altro che una bella pagella. Il giudizio (leggi qui il documento) sulle diverse parti del Documento di economia e finanza (Def) inviato alle istituzioni Ue a fine aprile non è per nulla tenero e anche se la parola manovra non c’è, il concetto è piuttosto chiaro: “Servono sforzi aggiuntivi, anche nel 2014, per rispettare i requisiti del Patto di stabilità e crescita”. E la ”deviazione dal percorso di aggiustamento verso l’obiettivo a medio termine”, su cui per ora la Ue ha deciso di chiudere un occhio, “se si ripetesse l’anno successivo potrebbe essere valutata come significativa”. Per di più lo scenario macroeconomico su cui il governo si è basato per disegnare le proprie proiezioni di bilancio è “leggermente ottimistico” e il raggiungimento degli obiettivi “non è totalmente suffragato da misure sufficientemente dettagliate“.

Segue una dettagliata agenda in otto punti, in qualche caso accompagnati anche dall’orizzonte temporale considerato ottimale. Oltre a prescrivere il rafforzamento delle misure di bilancio, il documento invita Palazzo Chigi a muoversi rapidamente sul fronte dell’efficienza della pubblica amministrazione e della buona gestione dei fondi europei, a rafforzare il settore bancario e a usare in modo diverso gli ammortizzatori sociali puntando all’effettivo reinserimento dei lavoratori. Non solo: nel mirino di Bruxelles finiscono anche la qualità del sistema scolastico con le sue ricadute sul capitale umano, la corruzione, la giustizia civile, la ripartizione della spesa sociale, gli ostacoli alla concorrenza che ancora ingessano molti settori e l’efficienza degli appalti pubblici.

PERICOLO SCAMPATO. SOLO FORMALMENTE - “L’esenzione richiesta dall’Italia di deviare dal percorso verso gli obiettivi di medio termine non può essere concessa a causa del rischio di non conformarsi con gli obiettivi di riduzione del debito”. Suonava così, stando a una bozza, la frase incriminata che avrebbe inchiodato il governo agli impegni presi con Bruxelles sul fronte del pareggio strutturale di bilancio. Pareggio che Renzi e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan hanno deciso di rinviare al 2016, scrivendo nel Def che si tratta di una “deviazione temporanea” e invocando le “circostanze eccezionali” previste dai regolamenti europei. Quel paragrafo, nel corso della notte tra domenica e lunedì o forse addirittura durante l’ultima riunione di lunedì mattina, è stato espunto dal testo finale. Pericolo scampato. Anche se la realtà dei fatti resta quella: “Le previsioni di primavera 2014 della Commissione”, scrive il Consiglio al punto 9 delle sue considerazioni preliminari, “indicano una non conformità con il parametro di riferimento della riduzione del debito nel 2014 poiché l’aggiustamento strutturale prospettato (soltanto 0,1 punti percentuali del Pil) è inferiore all’aggiustamento strutturale richiesto di 0,7 punti percentuali”. Il quotidiano La Stampa ha fatto i conti stimando in 9 miliardi lo sforzo aggiuntivo che sarebbe stato richiesto per correggere la deviazione dall’obiettivo. Al governo, però, non viene imposto di rientrare subito.

DEBITO SOTTO OSSERVAZIONE - In compenso vanno rispettati – e su questo non ci sarà flessibilità – altri paletti per nulla trascurabili: oltre a provvedere per il 2015, l‘Italia già quest’anno deve adottare provvedimenti per “rafforzare le misure di bilancio alla luce dell’emergere di uno scarto rispetto ai requisiti del patto di stabilità e crescita, in particolare alla regola della riduzione del debito”. Debito che in aprile ha toccato il 135,2% del Pil, già due punti sopra quello che in base al Def dovrebbe essere il livello medio per quest’anno.

SPENDING REVIEW, MA CON CRITERIO - Per Bruxelles, l’Italia nell’immediato dovrà “portare a compimento l’ambizioso piano di privatizzazioni” e “attuare un aggiustamento di bilancio favorevole alla crescita”, cioè basato non su nuove tasse ma sulla riduzione delle uscite grazie a “un miglioramento duraturo dell’efficienza e della qualità della spesa pubblica a tutti i livelli di governo”. Preservando però la spesa “atta a promuovere la crescita”, ossia quella “in ricerca e sviluppo, innovazione, istruzione e progetti di infrastrutture essenziali“. Sempre in vista del rispetto dei parametri di bilancio, vanno garantite “l’indipendenza e la piena operabilità dell’Ufficio parlamentare di bilancio“, l’organismo indipendente incaricato di vigilare sul pareggio di bilancio introdotto in Costituzione che le Camere sono riuscite a eleggere solo a maggio dopo quattro mesi di tira e molla. Adesso basta ritardi, chiede in pratica il Consiglio Ue: l’ufficio deve essere operativo “il prima possibile” e comunque “entro settembre 2014, in tempo per la valutazione del documento programmatico di bilancio 2015″.

TASSARE DI PIU’ I CONSUMI E MENO IL LAVORO - Il giudizio sul bonus fiscale di 80 euro è di parziale sufficienza. Il fatto è che va garantito anche per il 2015 e da comunque da solo non basta: occorre “trasferire ulteriormente il carico fiscale dai fattori produttivi ai consumi, ai beni immobili e all’ambiente, nel rispetto degli obiettivi di bilancio” e “valutare l’efficacia della recente riduzione del cuneo fiscale assicurandone il finanziamento per il 2015″. Seguono altre prescrizioni: la delega fiscale va attuata “entro il marzo 2015″, approvando anche i decreti che riformano il sistema catastale per garantire l’equità e “l’efficacia della riforma sulla tassazione dei beni immobili“, “sviluppare ulteriormente il rispetto degli obblighi tributari, rafforzando la prevedibilità del fisco, semplificando le procedure, migliorando il recupero dei debiti fiscali e modernizzando l’amministrazione fiscale”, “perseverare nella lotta all’evasione fiscale e adottare misure aggiuntive per contrastare l’economia sommersa e il lavoro irregolare”. Più nel dettaglio servono poi misure sulle agevolazioni fiscali dirette (la cui portata deve essere “riesaminata”), sulla base imponibile (che va appunto “allargata”, soprattutto sui consumi) e sulle accise sui carburanti, in particolare l’”adeguamento delle accise sul diesel a quelle sulla benzina” e l’eliminazione delle “sovvenzioni dannose per l’ambiente“.

CORRUZIONE, PRESCRIZIONE E L’EFFICIENZA DELLA GIUSTIZIA CIVILE - La terza raccomandazione riguarda l’efficienza della pubblica amministrazione: al governo viene chiesto innanzitutto di “precisare le competenze a tutti i livelli di governo” e “garantire una migliore gestione dei fondi dell’Ue con un’azione risoluta di miglioramento della capacità di amministrazione, della trasparenza, della valutazione e del controllo di qualità a livello regionale, specialmente nelle regioni del Mezzogiorno”. Ma il prerequisito è ridurre la corruzione che “continua a incidere pesantemente sul sistema produttivo dell’Italia e sulla fiducia nella politica e nelle istituzioni”. Per questo occorre anche “potenziare ulteriormente l’efficacia delle misure anticorruzione, in particolare rivedendo l’istituto della prescrizione entro la fine del 2014 e rafforzando i poteri dell’Autorità nazionale anticorruzione”. Ogni riferimento al caso Expo è puramente casuale e arriva proprio mentre si attende il decreto ad hoc, mirato soprattutto a dare all’authority e al suo presidente Raffaele Cantone pieni poteri per vigilare sugli appalti dell’Esposizione Universale di Milano. Bisogna poi “monitorare tempestivamente gli effetti delle riforme adottate per aumentare l’efficienza della giustizia civile, con l’obiettivo di garantirne l’efficacia, e attuare interventi complementari, ove necessari”.

PIU’ VIGILANZA SU BANCHE POPOLARI E FONDAZIONI - Ce n’è anche per le banche, e in questa fase non poteva essere altrimenti. Sotto osservazione i prestiti dalla riscossione incerta e, più in generale, il governo societario, sia degli istituti sia delle fondazioni che ne detengono quote. Va garantita “la capacità di gestire e liquidare le attività deteriorate per rinvigorire l’erogazione di prestiti all’economia reale“. Ma “gli interventi attuati finora in materia di accesso ai finanziamenti sono stati principalmente imperniati su misure di agevolazione dell’accesso delle imprese al credito”. Mentre ora va promosso anche “l’accesso delle imprese, soprattutto di quelle di piccole e medie dimensioni, ai finanziamenti non bancari“. Poi un nuovo ammonimento sull’attuazione effettiva delle regole: ”Benché siano lodevoli le iniziative relative al settore del governo societario delle banche, tra cui i nuovi principi recentemente stabiliti dalla Banca d’Italia, l’impatto di questi ultimi dipenderà dalle banche che dovranno applicarli correttamente e dal fatto che vengano effettivamente fatti rispettare”. Occorre “continuare a promuovere e monitorare pratiche efficienti di governo societario in tutto il settore bancario, con particolare attenzione alle grandi banche cooperative (banche popolari) e alle fondazioni, al fine di migliorare l’efficacia dell’intermediazione finanziaria”. 

LIMITARE LA CASSA INTEGRAZIONE - Per quanto riguarda il mercato del lavoro, Bruxelles invita il governo a “valutare gli effetti delle riforme” su salari, creazione di posti, procedure di licenziamento e dicotomia tra garantiti e precari. E a considerare, se sarà il caso, l’opportunità di varare “ulteriori interventi”. Gran parte del paragrafo, però, si concentra su chi il lavoro l’ha perso o non lo trova. Sul primo fronte le parole d’ordine sono “piena tutela sociale dei disoccupati”. Per garantirla occorre limitare l’uso della cassa integrazione guadagni “per facilitare la riallocazione della manodopera”, “rafforzare il legame tra le politiche del mercato del lavoro attive e passive, a partire dalla presentazione di una tabella di marcia dettagliata degli interventi entro settembre 2014″ e “potenziare il coordinamento e l’efficienza dei servizi pubblici per l’impiego“.

Quanto a chi sul mercato del lavoro deve entrarci, bisogna “intervenire concretamente per aumentare il tasso di occupazione femminile, adottando entro marzo 2015 misure che riducano i disincentivi fiscali al lavoro delle persone che costituiscono la seconda fonte di reddito familiare, e fornire adeguati servizi di assistenza e custodia”, “fornire in tutto il Paese servizi idonei ai giovani non iscritti alle liste dei servizi pubblici per l’impiego ed esigere un impegno più forte da parte del settore privato a offrire apprendistati e tirocini di qualità entro la fine del 2014, in conformità agli obiettivi della Garanzia per i giovani”.

TROPPA SPESA SOCIALE PER GLI ANZIANI - Dagli esami della Commissione è emerso che tra pensioni, sanità e assistenza la spesa sociale in Italia è “tuttora destinata in gran parte agli anziani“. E non riesce a “contenere i rischi di esclusione sociale e di povertà”. Per rimediare è necessario estendere gradualmente “il regime pilota di assistenza sociale, assicurando un’assegnazione mirata, una condizionalità rigorosa e un’applicazione uniforme su tutto il territorio”. Oltre a rafforzarne la “correlazione con le misure di attivazione”. Infine vanno migliorate l’efficacia dei regimi di sostegno alla famiglia e la qualità dei servizi per i nuclei familiari a basso reddito con figli.

LA SCUOLA, PIU’ ATTENZIONE AL CAPITALE UMANO - La qualità dell’insegnamento e la dotazione di capitale umano vanno migliorate “a tutti i livelli di istruzione”. Per questo tra le raccomandazioni compare anche la richiesta di ”rendere operativo il sistema nazionale per la valutazione degli istituti scolastici per migliorare i risultati della scuola e, di conseguenza, ridurre i tassi di abbandono scolastico; accrescere l’apprendimento basato sul lavoro negli istituti per l’istruzione e la formazione professionale del ciclo secondario superiore e rafforzare l’orientamento professione nel ciclo terziario”. Dulcis in fundo, e i ricercatori festeggeranno, bisogna “assicurare che i finanziamenti pubblici premino in modo più congruo la qualità dell’istruzione superiore e della ricerca” e assegnare quelli destinati alle università “in funzione dei risultati conseguiti nella ricerca e nell’insegnamento”.

POSTE, ASSICURAZIONI, BENZINAI E SERVIZI PUBBLICI SENZA CONCORRENZA - Occorre poi schiacciare l’acceleratore sulle semplificazioni normative e “colmare le lacune attuative delle leggi in vigore”, promuovere “l’apertura del mercato” e rimuovere “gli ostacoli rimanenti e le restrizioni alla concorrenza nei settori dei servizi professionali e dei servizi pubblici locali, delle assicurazioni, della distribuzione dei carburanti, del commercio al dettaglio e dei servizi postali“. Le prescrizioni sul fronte degli appalti pubblici – tema quanto mai sensibile in tempi di nuove “cupole” e giri di tangenti – si appuntano sull’efficienza da “potenziare” e sulle procedure da “semplificare” sfruttando le procedure informatiche, razionalizzando le centrali d’acquisto e dando “garanzia della corretta applicazione delle regole relative alle fasi precedenti e successive all’aggiudicazione”. In materia di servizi pubblici locali, infine, va “applicata con rigore la normativa che impone di rettificare entro il 31 dicembre 2014 i contratti che non ottemperano alle disposizioni sugli affidamenti in house”. 

BOCCIATE LE INFRASTRUTTURE, LA RETE E IL RUOLO SCOMODO DELLE FERROVIE - Nel capitolo infrastrutture c’è un evidente richiamo al ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Maurizio Lupi: “Garantire la pronta e piena operatività dell’Autorità di regolazione dei trasporti entro settembre 2014″, prescrive il Consiglio. A dire il vero quella Authority, nata sulla carta nel lontano 2011 ma varata di fatto nel luglio 2013 (Lupi era allora ministro del governo Letta), è attiva da gennaio. Ma per ora ha solo lanciato “consultazioni” e avviato un giro di audizioni con aziende e associazioni dei consumatori. Per di più, si legge nel “documento di lavoro” della Commissione, “gran parte dello staff previsto deve ancora essere reclutato”. Da qui l’invito a renderla davvero “operativa”, anche perché “è importante che dia rapidamente la sua opinione sulla separazione tra gestione dell’infrastruttura e operazioni di trasporto nel settore ferroviario (il riferimento è al ruolo di Ferrovie che sono al contempo gestore e fruitore della rete del Paese, ndr) che avrebbe dovuto consegnare già a giugno 2013″. 

Sempre a proposito di treni e ferrovie, all’interno del documento si ricorda che “il settore presenta ancora importanti debolezze. La lunghezza della rete rapportata al numero di abitanti è tra le più basse dell’Unione mentre il tasso di utilizzo è tra i più alti. A dispetto di un tasso di investimento infrastrutturale sopra la media Ue, in alcune regioni – in particolare al Sud – rimangono colli di bottiglia. E la soddisfazione dei consumatori è tra le più basse dell’Unione”. Al punto 16 delle considerazioni preliminari c’è spazio anche per  i porti, che “meritano particolare attenzione e interventi per ovviare alla mancanza di infrastrutture intermodali e alla carenza di sinergie e collegamenti con l’entroterra”. Infine la banda larga: “In termini di copertura in Italia ci sono zone non urbane prive di sufficiente copertura”. Le “strozzature infrastrutturali”, poi, ostacolano anche “il corretto funzionamento del mercato dell’energia“.

La Ue sente infine il bisogno di chiedere a Palazzo Chigi la piena attuazione delle misure adottate: l’Italia è sempre stata lenta e inadempiente non tanto nell’annunciare e magari varare nuove norme, quanto nello scrivere i decreti attuativi necessari per trasformarle in interventi concreti. ”Resta cruciale per l’Italia l’attuazione rapida e completa delle misure adottate, sia al fine di colmare le carenze esistenti che al fine di evitare l’accumulo di ulteriori ritardi”.

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