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Italicum, Berlusconi tentato dal dare a Renzi una legge elettorale che ammazza Forza Italia. Pensando alle aziende...

È un cambio di schema di gioco, quello che ha in mente Silvio Berlusconi. Radicale. Per questo, da giorni, accarezza una “pazza idea”, finora stoppata da Denis Verdini. Dire di sì alla proposta di Matteo Renzi sulla legge elettorale. Che prevede, come ha scritto Francesco Bei su Repubblica, un premio di maggioranza alla lista che supera il 40 per cento, e non alla coalizione (come previsto dall’Italicum). Un cambio sostanziale, enorme. Che consiste in sostanza in una rottamazione delle coalizioni. E in un meccanismo che premia i partiti più grandi, a “vocazione maggioritaria” come dicono al Nazareno, dove è stato tolto dalla naftalina l’antico slogan di Walter Veltroni.

Inutile girarci attorno. Dal punto di vista numerico, il meccanismo non conviene a Forza Italia. Allarmato, Denis Verdini lo ha spiegato al Cavaliere più volte in questi giorni: “Se al ballottaggio ci vanno i partiti e non le coalizioni, noi siamo morti. Mor-ti. Al doppio turno accedono solo Renzi e Grillo”. Lo sguardo imperturbabile, quasi da sfinge, con cui Berlusconi ha accolto le obiezioni del suo plenipotenziario, lascia intendere che i pensieri che albergano nella sua testa sono altri.

Ecco la tentazione di un clamoroso sì a Renzi. Che significherebbe offrirgli un qualcosa di più rispetto al Patto (del Nazareno) di reciproco sostegno di questi mesi, basato sullo scambio tra opposizione innocua e sostegno alle riforme da un lato, in cambio di non vedere toccati i cari dossier Giustizia e Comunicazioni dall’altro: significherebbe offrire a Renzi, nero su bianco, la “sconfitta” di Forza Italia alle prossime elezioni. Il Nazareno elettorale. Un cambio epocale.

Fortunatamente per chi vuole frenare l’ex premier, raffreddandone gli entusiasmi renziani, la legge elettorale è bloccata al Senato e il relatore non è stato ancora nominato. Ma è più di una suggestione quella che ronza nella testa del Cavaliere. Perché è epocale la fase che si vive ad Arcore. Per Berlusconi il futuro di Forza Italia, in questo momento, non è la priorità. Anzi, è la variabile meno importante inserita in un quadro più ampio.

E il quadro più ampio è rappresentato dall’Impero, che non gode più della salute di una volta. Fininvest è in rosso, Mediaset in passivo e alle prese con un difficile mercato pubblicitario, Forza Italia travolta dai debiti a garanzia dei quali, presso le banche, c’è solo il nome di Silvio Berlusconi. A ciò va aggiunta la tegola di Bankitalia che obbliga Fininvest a vendere in Mediolanum le quote che superano il 9,9 per cento. Insomma l’Impero è in sofferenza. Ed è ancora tutta da giocare la partita per conferire Mediaset Premium a Telecom in cambio di una quota nel gruppo delle telecomunicazioni. Anzi, la partita pare essersi messa male davvero, stando agli spifferi di ambienti informati.

È in questo quadro che la politica, per Berlusconi, è solo un arnese per dare ossigeno all’impresa. Nulla di più. Chi ha provato a intavolare discussioni strategiche sul futuro del partito, riporta così il mood che si respira ad Arcore: “Di Forza Italia e della politica non gliene importa più nulla, anzi su molti argomenti prova quasi fastidio”. Ecco l’idea di rendere permanente, con la nuova legge elettorale, lo schema di questi mesi di appoggio esterno a Renzi. Con l’obiettivo di tutelare l’impero e la sua eredità, dando ai figli aziende meno sofferenti. Ora, il Cavaliere è uomo fin troppo pragmatico ed è consapevole che ricostruire una coalizione di centrodestra è fatica improba: la Lega sta su posizioni lepeniste, la Meloni pure, Alfano è al due per cento su posizioni ultramoderate. Ci vorrebbe tempo, fatica, e sopratutto bisognerebbe fare opposizione a un governo che non gli è affatto ostile.

E ammesso che ci si riesca, Renzi resta più forte, è difficile che il centrodestra possa tornare al governo e Berlusconi è incandidabile. Allora è assai più realistico sacrificare l’eredità politica all’eredità dell’Impero. Raccontano fonti alte che la sintesi del ragionamento di Berlusconi è questa: “Quando si voterà, o arriva secondo o terzo, è lo stesso. L’importante è che porta in Parlamento 80-90 deputati, fedelissimi, gente che obbedisce e spinge i bottoni senza fiatare, mica come fitto e tutti questi vecchi professionisti della politica. Li piazza lì e fa come adesso, va in soccorso a Renzi e tratta sui dossier che gli interessano”. Già, come adesso, senza Alfano, Meloni, Salvini. E parlando direttamente con Renzi.

 

Jobs act, Corradino Mineo: "Matteo Renzi ha vinto, il Parlamento non conta più". Il senatore Tocci si è dimesso, Casson,Mineo e Ricchiuti verso l'espulsione. Come al solito Pippo Civati ha calato le braghe assieme ai Cuperliani....

 

MINEO

 

"Io sono uscito dall'aula, non ho votato la fiducia. Quando mi hanno candidato, non c'era certo nel programma l'idea di dividere i sindacati o di dare ragione a Sacconi nella sua crociata contro l'articolo 18. Ma il dato è quello che è: Renzi ha vinto, ha costretto a capitolare i suoi oppositori. Questo gruppo che era di 14 'oppositori' si è diviso, con alcuni che poi hanno votato la fiducia. La cosa più significativa forse l'ha fatta Tocci, che si è dimesso". Sono queste le parole di Corradino Mineo, senatore della minoranza Pd, ad Agorà, su Rai Tre.

"Secondo me adesso la minoranza Pd è molto più debole - afferma Mineo -. Io il maxiemendamento l'ho letto, e non prende neanche tutte le promesse fatte nella direzione del Pd. La nostra battaglia per il momento si è conclusa con una sconfitta. "Cercavo il modo migliore - aggiunge il senatore - di dire al mio premier che di forzatura in forzatura si lasciano troppi cadaveri per terra. E non credo che il buffetto dato dalla Merkel ieri al governo italiano cambierà l'atteggiamento della Ue. Con la delega in materia di articolo 18 Renzi potrà fare quello che vuole. Così il Parlamento non conta più".

Casson, Ricchiuti e Mineo: sono questi i senatori che non hanno votato la fiducia sul jobs act. "Il tema sarà affrontato nell'assemblea del gruppo Pd al Senato - afferma il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini -. Non partecipare a un voto di fiducia che è politicamente molto significativo mette in discussione i vincoli di relazione con la propria comunità politica". Sono fuori? "No, ne discuterà il gruppo e la direzione serenamente e pacatamente", aggiunge sempre il vicesegretario.

Renzi: "Ora maggioranza più forte". "Il margine del voto è molto forte - afferma Matteo Renzi a proposito del voto sul jobs act -. Sono molto contento anche del risultato numerico, 165 a 111 è molto. Poi le immagini dei fascicoli che volano fanno pensare agli italiani che senso ha. Rimane l'amarezza per questo, sono immagini tristi. Gli italiani sono stanchi delle sceneggiate di alcuni. Ma il Senato ha fatto un grandissimo passo in avanti. Loro continuano a fare sceneggiate, ma noi andiamo avanti".

Renzi, che in mattinata ha riunito la segreteria Pd, parla anche delle dimissioni da senatore di Walter Tocci: "Farò di tutto perché Walter Tocci, che stimo molto, continui a fare il senatore - afferma -. Ha espresso le sue posizioni ma poi ha accettato la linea del partito. Abbiamo una diversa linea politica ma la sua intelligenza, la sua competenza e la sua passione sono necessarie al Pd. Proverò a convincerlo e dirò che le dimissioni sarebbero errore".

 

 

Riforme, via libera al Senato dei nominati Dissidenti Pd e Fi non votano, M5S fuori
 
 
Primo via libera alla riforma del Senato. Con 183 voti a favore Palazzo Madama dice il primo sì al provvedimento, dopo settimane di polemiche e scontri. Non partecipano Lega Nord e Sinistra ecologia e libertà. Il Movimento 5 stelle e Augusto Minzolini, tra i critici di Forza Italia, lasciano l’Aula, mentre a sinistra è Vannino Chiti ad annunciare il non voto dei dissidenti Pd. Romani (Fi) rivendica: "Senza Forza Italia, Renzi non avrebbe avuto maggioranza" (video). Calderoli: "Ddl è incostituzionale" (video)

 

Palazzo Madama approva in prima lettura il ddl Boschi. Tiene asse con Forza Italia, ma i dem perdono
pezzi. Lega e Sel non partecipano. Renzi assente dice: "Nessuno può più fermare il cambiamento"

 

Senato, domani dichiarazioni finali   dir tv   Sì a modifica Sel su minoranze linguistiche

Senato, domani dichiarazioni finali dir tv
Sì a modifica Sel su minoranze linguistiche

Nella notte il governo era andato sotto
Sull'Italicum, Berlusconi tre ore da Renzi
"Passi avanti solo sulle soglie" foto - video

 

PURTROPPO PER LE PSEUDO-Riforme, ok al Senato dei 100 nominati. Opposizioni via dall’Aula, poi prove di dialogo

CRONACA ORA PER ORA - Il premier: "Contento per clima delle ultime ore. Il primo sì la prossima

 

Riforme, Grillo: “Un’infamia democratica. E’ un Paese peggio del fascismo”

Il leader M5s visita la Maddalena con alcuni parlamentari: "Legge elettorale? O si riforma seriamente o si va subito a votare. E se la maggioranza vuole il leader Pd, Napolitano e la triplice europea, non posso fare niente, solo una rivoluzione culturale". E annuncia il "Parlamento in piazza" contro "la farsa di Palazzo"

“Da parte di Renzi non c’è nessuna apertura”: lo ha detto Beppe Grillo, parlando con i giornalisti a Palau prima di imbarcarsi su un gommone, insieme ad alcuni parlamentari M5S, per recarsi alla Maddalena. Grillo torna ad attaccare l’accordo Renzi-Berlusconi: “Uno salva l’altro: Berlusconi pensa alle sue imprese e in cambio voterà le riforme. Basta. E basta col Parlamento di nominati che ancora pretendono l’immunità. Sono personaggi televisivi”, conclude. “Non si tratta di eliminare il Senato, ma di risolvere il problema di un Parlamento di nominati, che poi nomina il Csm. E’ un paese più antidemocratico dell’età fascista. Noi studiamo, loro votano, modificano i regolamenti. E Grasso sostiene questa infamia democratica“. Quanto alla legge elettorale, l’unica vera piattaforma di confronto tra Pd e M5s, Grillo spiega che “o si riforma seriamente la legge elettorale o si va subito a votare. E se gli italiani sosterranno ancora loro, diremo che loro hanno ragione e che io ho sbagliato per tutta la vita”. “Se la maggioranza degli italiani vuole Renzi, Napolitano e la triplice europea non posso fare niente, solo una rivoluzione culturale – dice – proponiamo il Parlamento in piazza contro la farsa di Palazzo”.

 

Patto del Nazareno, la clausola segreta di Renzi e Berlusconi: “Prodi mai al Colle”

NASCE IL RENZUSCONISMO,IL PDRENZI ED IL PATTO BIERRE

Nell'accordo siglato lo scorso 18 gennaio tra il segretario del Pd e il leader di Forza Italia è stato introdotto un punto che impegna i contraenti a concordare un candidato comune alla successione di Giorgio Napolitano. Ma tra i due si parla anche di Senato non elettivo, abolizione del bicameralismo e riforma della giustizia

 

Il Senato che muore già è infestato dai fantasmi. Due spettri in carne e ossa, tetro ossimoro del renzusconismo segreto, che c’è ma non si vede, che si aggirano a Palazzo Madama quando il voto segreto affossa solo per un istante il fatidico patto Bierre del Nazareno. Da un lato ritornano dall’oltretomba bersaniano (in senso politico, ovviamente) i Centouno che tradirono Romano Prodi per la successione di Giorgio Napolitano. Dall’altro c’è lo stesso Renzi che più va giù e più sventola e agita il patto, come ha fatto ieri nella direzione del Pdr, il Partito democratico renziano, sfidando il ridicolo e l’evidenza: “Quando leggo: che cosa c’è scritto nel patto del Nazareno? È un atto parlamentare, può piacere o no ma è un atto parlamentare. Quando vedo anche alcuni nostri dirigenti che dicono: chissà cosa c’è sotto? Questo è il governo che ha declassificato il segreto di Stato, figuriamoci… Quello che mi preoccupa è la forma mentis, questa idea che i politici mascherino sempre le cose. Evitiamo di giocare alla meno”. Chiosa un notissimo esponente berlusconiano: “Più Renzi perde pezzi e più il patto con Berlusconi si rinforza”. Che tradotto vuol dire: resteranno loro due contro tutti.

Nuovo vertice Renzusconi
Nella tela segreta del Nazareno, il premier sta ricamando la nuova versione della legge elettorale come via d’uscita, spera lui, dall’infernale pantano del Senato. L’accordo prevede il Toscanum, non più l’Italicum, l’introduzione delle preferenze e la nuova intesa dovrebbe essere siglata la prossima settimana, forse martedì, tra i due contraenti, lo Spregiudicato e il Pregiudicato. A quattr’occhi, però, “Matteo” e “Silvio” rinnoveranno pure un’altra clausola del loro patto segreto, che comprende, sulla carta, riforme, legge elettorale e giustizia. È il comma anti-Prodi, come viene chiamato nella ristretta cerchia che custodisce il sacro testo (oltre B. e Renzi: Verdini, Gianni Letta e il sottosegretario Luca Lotti).

Il protocollo del Presidente
Il patto del Nazareno contiene infatti anche un protocollo tra il premier e il Condannato sulla “condivisione” del nome del prossimo presidente della Repubblica. Fantasma dei Centouno a parte, il tema della successione a Napolitano sta tornando sempre più attuale e tutto fa pensare che il 2015, al massimo a luglio, sarà l’anno che chiuderà il regno novennale del primo ex comunista salito al Quirinale. Così chi conosce tutti i dettagli e le clausole del patto segreto rivela che l’ex Cavaliere ha chiesto e ottenuto una precisa garanzia da Renzi: “In nessun caso, durante le trattative, dovrà essere fatto il nome di Romano Prodi”. Il Fatto ha interpellato alcuni parlamentari forzisti per chiedere una conferma ufficiale della pregiudiziale anti-Prodi ma tutti, pur confermando, non hanno voluto rilasciare dichiarazioni in questa fase. Dicono a taccuino chiuso: “È certo che i due si sono accordati per un nome condiviso e questo nome non potrà mai essere Prodi”. L’antiprodismo di B. è storico: il Professore è il suo vero incubo, come dimostra la storia dell’aprile del 2013: “Meglio D’Alema di lui”, disse. Senza dimenticare che un’opzione renziana per Prodi significherebbe un’apertura ai grillini.

Tutti i punti del “papello”
Senato non elettivo, abolizione del bicameralismo, riforma della giustizia, accordo sul Quirinale in funzione anti-prodiana, salvaguardia del colossale conflitto d’interessi del Condannato. Il patto del Nazareno è questo e il dibattito di questi convulsi giorni a Palazzo Madama ha una fine nota e segnata, a favore dell’accordo tra B. e Renzi. Come ha detto il leghista Centinaio, accusando Grasso: “Abbiamo eletto lei presidente del Senato e non Zanda o Verdini e dovrebbe condurre i lavori indipendentemente da quello che le dicono i partiti del patto del Nazareno”.

 

Riforme: il senso di Renzi per lo scazzo

Chi abita a Roma conosce bene la tragica barzelletta dei lavori stradali consistenti in buche, cunicoli e cavità di ogni tipo e dimensione, annunciati da ammiccanti cartelli del tipo: “stiamo lavorando per voi”. Peccato che quelle voragini in genere restino tali cosicché l’Urbe vive in una condizione di caos permanente, a partire dalla famosa Metro C, abisso sterminato e inconcludente che i poveri romani subiscono come il verdetto degli ergastolani: fine pena mai.

Le strombazzate riforme di Matteo Renzi assomigliano a quegli incasinatissimi cantieri: si blocca il traffico, si dice “stiamo lavorando per voi”, poi si lascia tutto per aria dando la colpa ai gufi e a chi complotta contro il cambiamento. Ricordate l’Italicum? Sembrava che dopo il patto (segreto) con il Pregiudicato la riforma elettorale fosse cosa fatta. Dov’è finita? Boh. E la riforma della Pubblica Amministrazione? Tagli di nastri, fanfare, la ministra Madia che proclama soave ma ferma che lo Stato dimagrirà, uffici accorpati, cittadini felici, tutto online, perepè perepè, poi il nulla. Un po’ come percorrere il nuovo tratto autostradale Brescia-Milano (inaugurato mercoledì dal premier) e che il Corriere della sera (non il Fatto) così descrive: “Tre corsie poi si torna alla coda in tangenziale”.

D’accordo, Renzi governa da pochi mesi, i problemi sono tanti e non è solo colpa sua se ci sono le code, se mancano 786 decreti attuativi di leggi approvate, se i vari Salva Italia, Cresci Italia, Destinazione Italia della premiata ditta Monti-Letta sono gigantesche insegne al neon però spente. Il problema è un altro, la continua esibizione muscolare del premier e dei suoi accoliti, la strategia dello scazzo permanente, il “qui si fa come dico io”, la politica non più mediazione ma strattonamento in un susseguirsi di ultimatum nevrotici: ci metto la faccia, mi gioco l’osso del collo…

Un giorno si decide di ribaltare la Costituzione, si scava una voragine in Parlamento, si azionano ghigliottine, si dettano ordini di caserma (“entro l’ 8 agosto prendere o lasciare”), poi si mena scandalo se qualcuno osa non essere d’accordo. Più che le riforme Renzi sembra agognare lo scontro, il casino, l’immagine del cantiere bloccato dai nemici del nuovo mentre gufi e sciacalli complottano a difesa della conservazione dei loro laidi interessi personali. Poi, al momento giusto si rivolgerà agli italiani che già ne hanno le scatole piene delle lungaggini della politica e dei politici formato casta e sarà un plebiscito. In un certo senso, gli oppositori stanno lavorando per lui. Ma è così chiaro.

Grillo: “Mussolini ebbe più pudore. E’ colpo di Stato”. Renzi: “E’ colpo di sole”

Il leader del Movimento 5 stelle sul blog attacca la modifica del Senato e critica il presidente della Repubblica: "D'ora in poi non avremo più alcun contatto con lui". Unica via d'uscita, scrive: "Il ritorno alle urne". Il presidente del Consiglio risponde poco dopo su Twitter. E l'ex comico contro ribatte: "Piduista". Il presidente Grasso: "Spettacolo dello scontro politico mi ha addolorato. Io imparziale"

Beppe Grillo lo chiama “colpo di Stato“. Matteo Renzi lo definisce “colpo di sole”. E il leader del M5s controribatte, definendo il premier “piduista”. Tutto in Rete, tra social network e blog dell’ex comico. E intanto il presidente del Senato Pietro Grasso si difende dalle accuse arrivate dai banchi del Partito democratico: “Io sono imparziale. Basta muro contro muro”. Dentro e fuori dall’Aula, continua lo scontro sulla riforma di Palazzo Madama che il governo vuole approvare a tutti i costi entro la pausa estiva. E la storia degli ultimi giorni è solo l’inizio di una lunga odissea: prima la decisione della seconda carica dello Stato di accettare il voto segreto su alcuni emendamenti, poi la “tagliola” sugli interventi in Aula per arrivare al voto l’8 di agosto e infine il corteo dei partiti di minoranza (M5S, Sel e Lega Nord) al Quirinale che Napolitano non ha ricevuto “perché indisposto”.

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Il giorno dopo il primo a tornare all’attacco è  il leader del Movimento 5 stelle sul blog. “Un Parlamento votato con una legge incostituzionale”, scrive Grillo in una nota dal titolo “Aridatece er puzzone“, “un presidente della Repubblica che nomina come e peggio di un monarca tre presidenti del Consiglio senza passare dalle elezioni, un patto per cambiare la Costituzione di cui nessuno sa un beneamato cazzo fatto con un pregiudicato. Ora si vuole eliminare il Senato elettivo inserendovi i gerarchetti locali dei partiti e una Camera di nominati. Questo si chiama colpo di Stato. Mussolini ebbe più pudore. Non le chiamò riforme”. La risposta del presidente del Consiglio arriva poco dopo su Twitter: “Caro Beppe: si dice sole.Il tuo è un colpo di sole”. Prima, sempre sui social network, Renzi aveva ribadito l’intenzione di fare un referendum tra i cittadini in seguito all’eventuale approvazione del ddl Boschi: “Perché le opposizioni urlano? Di cosa hanno paura? Del voto degli italiani?”. Ribatte poi Grillo: “Sidicesole? No, #sidiceP2″ e allegata una foto in cui il presidente del Consiglio e Silvio Berlusconi sono ritratti come i Blues Brothers. ‘The P2 Brothers’, il titolo del fotomontaggio.

Grillo attacca poi il Presidente della Repubblica con il quale i 5 stelle, scrive sul blog, non avranno più contatti. “Il regista di questo scempio”, continua il post, “è Napolitano che dovrebbe almeno per pudore istituzionale dimettersi subito e con il quale le forze democratiche non dovrebbero avere più alcun rapporto. Il M5S non terrà d’ora in poi alcun contatto con un uomo che ha abdicato al suo ruolo di garante della Costituzione. Si spera che anche altre forze politiche si associno e lo isolino prima che sia troppo tardi, prima del buio a mezzogiorno”. Unica via d’uscita secondo il leader è il ritorno alle urne: “La via d’uscita da questa situazione”, conclude, “è rappresentata da nuove elezioni, la legge c’è. E’ quella emendata dalla corte costituzionale, con le preferenze e senza un abnorme premio di maggioranza. Il M5S non ha paura di tornare alle urne per rilegittimare il parlamento, anche domani se necessario. La minaccia di Renzie di nuove elezioni è una pistola scarica e lui lo sa”.

In contemporanea il presidente del Senato alla cerimonia del Ventaglio difende la sua posizione dopo gli scontri in Aula: “A proposito di tempi, ostruzionismo e contingentamento ,voglio dire che lo spettacolo offerto dal duro scontro politico di questi giorni mi ha molto addolorato e, in alcuni momenti, indignato. Non è questa l’immagine che la politica, e questa istituzione in particolare, deve dare al Paese”. E parla poi della decisione di concedere lo scrutinio segreto su alcuni emendamenti: “Sui criteri che mi hanno ispirato nella scelta di concedere il voto segreto su ben specifici emendamenti, la risposta è molto semplice: il regolamento non lascia alcun margine di interpretazione”. La seconda carica dello Stato respinge i dubbi sulla condivisione delle riforme e chiede nuovi interventi sul tema giustizia e corruzione: “Queste riforme sono attese da decenni, largamente condivise soprattutto nelle loro linee essenziali: superamento del bicameralismo paritario, nuovo equilibrio tra i due rami del Parlamento, snellimento del processo legislativo e riduzione del numero dei parlamentari”. E aggiunge: “La profonda crisi che l’Italia affronta, non solo economica e politica ma anche etica richiede interventi di diverso genere: liberalizzazioni, privatizzazioni, riforma mercato del lavoro, revisione spesa pubblica, modernizzazione P.A. Ma anche la riforma della giustizia e la lotta alla corruzione. Proprio stamattina ho proposto in Consiglio di Presidenza di prevedere nei regolamenti del Senato sui vitalizi e le pensioni dei senatori la cessazione di qualsiasi erogazione nei confronti degli ex senatori condannati in via definitiva per fatti di mafia, di corruzione e per altri gravi reati.“. E conclude chiedendo una riflessione sul ddl diffamazione per i giornalisti da approfondire dopo l’estate: “Ha alcuni importanti elementi di novità, primo fra tutti l’abolizione del carcere per i giornalisti”.

Mose, sì all'arresto di Galan da Giunta autorizzazioni

Mose, sì all'arresto di Galan
da Giunta autorizzazioni

La palla all'Aula della Camera
seduta fissata per il 15 luglio
E lui si appella ai deputati

 

 

 

 

Privatizzazioni, da Cdm sì a vendita
di 40% di Poste Italiane e 49% di Enav

Opv per entrambe, si punta a incassi 4/5 miliardi

 

VIENE MANTENUTO IL PATTO DEL NAZZARENO, ESCLUSI LEGGI POPOLARI ED M5S

 

Riforme: il renzismo? E’ questa cosa qua

Riforme, risposte scritte M5S a Pd: ‘Non avete più alibi. Disposti a trattare su tutto,abbiamo calato le braghe al massimo !!’

La nota è stata pubblicata sul blog di Beppe Grillo: i 5 stelle aprono sulle proposte di Renzi, ma al tempo stesso rilanciano con alcune osservazioni. Resta la richiesta del Senato elettivo, ma sono disposti al dialogo sulla funzione di Palazzo Madama. In serata scompaiono dal sito del leader alcuni passaggi della sfogo contro il premier

Disposti a trattare su tutto. Sono dieci i sì del Movimento 5 stelle alle dieci proposte di Matteo Renzi. E questa volta sono messi per iscritto, in una lunga nota pubblicata sul blog di Beppe Grillo. “Vi rispondiamo per la terza volta”, si legge, “ora non avete più alibi”. Apertura su ballottaggio, premio di maggioranza, abolizione del Cnel e ridefinizione delle funzioni del Senato. Ribattono punto per punto e presentano sul tavolo le loro osservazioni con altrettante contro proposte: “irrinunciabile” resta l’elettività di Palazzo Madama. La lunga giornata di trattative per le riforme era cominciata con l’incontro tra M5S e Pd annullato all’ultimo momento dai democratici: il capogruppo Roberto Speranza ha scritto alla presidente Boldrini che “senza risposte scritte non si sarebbe fatto nulla”. E così è stato. Ma non è bastato per convincere i 5 stelle a “far saltare il tavolo”: “Noi non ce ne andiamo”, ha commentato Luigi Di Maio in conferenza stampa, “d’ora in poi parleremo solo con Renzi”. Poi è stata una lunga serie di botta e risposta: i democratici che hanno invocato “serietà e chiarezza”, Grillo sul blog che ha lanciato un appello “alle forze democratiche che vogliono salvare l’Italia dalla deriva dittatoriale”. Intanto in serata è stata la volta dell’assemblea dei parlamentari Pd: quella che avrebbe dovuto essere una resa dei conti tra il premier e i suoi dissidenti, è diventata una riunione senza il leader per un confronto.

Il primo che ha rischiato di perdere la pazienza è stato Beppe Grillo. Nel primo pomeriggio ha pubblicato un post sul blog dove parlava di “dittatura” e di “un confronto democratico impossibile”. Sembrava la fine del dibattito e il ritorno “all’opposizione dura”, il ritorno al passato. Ma dura poco e il leader è costretto ad una precisazione: “Per chi non avesse capito il dialogo resta aperto”. I 5 stelle restano così compatti dietro Luigi Di Maio, il deputato che ha convinto anche il purismo dei vertici e ha dato vita alla trattativa con il Pd. Così sul blog di Beppe Grillo verranno poi cancellati i passaggi più duri dello sfogo contro il Pd e Matteo Renzi. Sia nella trascrizione sul blog che nei file audio sono spariti, in particolare, due passaggi della chiamata alla web tv La Cosa che oggi avevano aperto testate online e tg, ovvero: “Il M5S rappresenta milioni di italiani che non possono essere trattati come dei paria, come dei cani in chiesa da personaggi mai eletti in libere elezioni, da sbruffoni della democrazia. Nessuno potrà più imputarci di non aver cercato il dialogo”. Scomparso anche il seguente passaggio: “Si prende atto che Renzi, le cui palle sono sul tavolo di Verdini e Berlusconi, rifiuta con il M5S ogni confronto democratico e che l’Italia dovrà pagarne tutte le conseguenze”.

I 5 stelle hanno lavorato tutto il pomeriggio alla stesura del documento ufficiale, in contatto diretto con Grillo e Casaleggio. E in serata è arrivata la nota ufficiale, ma con una premessa. “Come mai per trattare di legge elettorale con un condannato come Berlusconi non richiedete nulla, né risposte scritte, né lo streaming in modo che tutti i cittadini possano capire cosa vi siete detti? A noi non crea alcuna difficoltà né lo streaming né la lettera. Ma allora perché non fate altrettanto con i vostri incontri con Berlusconi?”. Seguono le risposte punto per punto alle dieci aperture della lettera ufficiale di Matteo Renzi. E se nell’intervista al Corriere della Sera Di Maio lasciava intendere che le aperture valevano per otto casi su dieci, nell’ultima nota i 5 stelle vanno oltre: sono disposti a trattare su tutto, anche se per ogni caso rilanciano con altre richieste.

I sì sono dieci in tutto. Uno: “Sì al ballottaggio”, scrivono nell’articolo. “Al fine di evitare un pessima legge elettorale quale è la legge Berlusconi-Renzi siamo disponibili a prevedere un ballottaggio. Ma a condizione di evitare che la conquista del primo posto si trasformi in una corsa all’ammucchiata di tutto e il suo contrario”. E ribattono: “Per evitarlo, noi proponiamo: un primo turno proporzionale privo di soglie di sbarramento, in modo da consentire a chiunque di correre per il Parlamento e colmare il deficit di rappresentatività che la legge comporta; in caso di superamento della soglia del 50% + 1 dei seggi al primo turno, prevediamo un premio di governabilità minimo, che consegnerebbe al vincitore il 52% dei seggi; nel caso in cui nessuno raggiunga la maggioranza al primo turno, è previsto un secondo turno tra i due partiti più votati, al cui vincitore viene assegnato il 52% dei seggi”.

Seconda domanda: “Siete disponibili a assicurare un premio di maggioranza per chi vince, al primo o al secondo turno, non superiore al 15% per assicurare a chi ha vinto di avere un minimo margine di governabilità?”, risposta: “Sì, ferme restando le condizioni precedenti”. Terza domanda: “Siete disponibili a ridurre l’estensione dei collegi?”, un altro “sì”. “E’ possibile, ma questo e altri elementi tecnici dipendono naturalmente dall’impianto complessivo della legge”. Ed è sempre positiva la risposta a “Siete disponibile a far verificare preventivamente la legge elettorale alla Corte costituzionale, così da evitare lo stucchevole dibattito “è incostituzionale, è costituzionale?”. Quinta domanda: “Siete disponibili” a una modifica del Titolo V?, risposta: “Sì”. Sesta domanda: “Siete disponibili ad abbassare l’indennità del consigliere regionale a quella del sindaco del comune capoluogo e eliminare ogni forma di rimborso ai gruppi consiliari delle Regioni?”, ed è un altro “sì”. Quindi c’è l’ok all’abolizione del Cnel.

Sul capitolo Palazzo Madama i sì sono due, ma a patto che il Senato resti elettivo. Sì dei grillini al superamento del bicameralismo perfetto e al fatto che ” il ruolo del Senatore non sia più un incarico a tempo pieno e retribuito ma il Senato sia semplicemente espressione delle autonomie territoriali?”. Si al superamento del bicameralismo perfetto ma, con il Senato delineato così come si evince dal ddl Boschi, l’elezione diretta è imprescindibile. Sono queste le risposte che il M5S dà ai quesiti numero 8 e 9 posti dal Pd sulla riforma del Senato. Sul superamento del bicameralismo perfetto “non siamo pregiudizialmente contrari, a condizione che l’esistenza di tale assemblea abbia ancora una precisa funzione nel disegno istituzionale”, si legge sul post pubblicato nel blog di Beppe Grillo. Mentre su un Senato che sia espressione delle autonomie e su un incarico, per i ‘nuovi’ senatori, non più a tempo pieno, il placet del M5S è più critico. “Il testo che si va formando attribuisce una serie di poteri al Senato (elezione del Presidente, dei giudici costituzionali, dei membri laici del Csm, competenza decisionale nelle leggi di riforma costituzionale ecc.) che vanno molto al di là dei poteri locali e che sono inconciliabili con una formazione di secondo grado, per cui, sul punto, riteniamo che in presenza di tali attribuzioni sia irrinunciabile l’elettività di primo grado dei senatori”, sottolineano i 5 Stelle. “Il problema della retribuzione – si legge ancora nel post – è presto superato: siete disponibili al dimezzamento immediato delle indennità e degli emolumenti di tutti i parlamentari e degli stanziamenti previsti per i gruppi parlamentari? Noi lo abbiamo già fatto. E per farlo non occorrono complessi procedimenti di revisione costituzionale, ma solo volontà politica seria in tal senso”.

Infine, i 5 stelle sono disponibili anche a rivedere la questione immunità. Decima domanda: “Siete disponibili a trovare insieme una soluzione sul punto delle guarentigie costituzionali per i membri di Camera e Senato, individuando una soluzione al tema immunità che non diventi occasione di impunità?” e arriva ancora un altro sì. ”La nostra proposta in merito è semplice: affinché l’immunità non diventi occasione di impunità e tuttavia preservi il parlamentare nella sua essenziale funzione di rappresentante dei cittadini, riteniamo necessario e sufficiente cancellare le immunità attualmente previste, all’infuori della garanzia dell’insindacabilità per le opinioni e i voti espressi”.

"Per il Senato di rappresentanza di 2° grado, regionale, degli interessi economici, sociali e culturali. Le competenze siano ripartite tra le due Camere". Così scriveva Licio Gelli nel Piano di rinascita democratica. Impressiona l'analogia con le riforme in cantiere oggi dopo il patto del Nazareno. Ma non è tutto. Renzi e Berlusconi accolgono in toto un’altra intuizione gelliana: “Stabilire che i decreti-legge sono inemendabili”. Fatto: inserendo in Costituzione la ghigliottina

Riforme, Renzi rafforza il patto. Ma Fi esplode: fronda contro Berlusconi

A Palazzo Chigi Berlusconi ha promesso fedeltà all'intesa del Nazareno. Ma l'assemblea dei parlamentari berlusconiani è una polveriera: "Vogliamo il Senato elettivo". Ma lui rimanda tutto: "Decido io la prossima settimana"

Il patto del Nazareno fa il tagliando e sembra reggere. Renzi e Berlusconi si giurano lealtà reciproca su Italicum e riforma del Senato: la legge elettorale sarà incardinata al Senato prima dell’estate (è una speranza più che un annuncio), mentre il Senato sarà composto da membri scelti con l’elezione di secondo grado. Lo spazio di manovra per il Movimento Cinque Stelle – che si era offerto quasi in zona Cesarini per avviare un dialogo – rischia di essere un po’ più stretto. “E’ pazzesco” commenta, dice Beppe Grillo che chiede di nuovo le preferenze in vista del nuovo incontro con il Pd. Ma dopo che il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha incontrato Silvio Berluxconi per la terza volta dopo condanna, interdizione e decadenza da senatore, la sorpresa è che a implodere per una volta è Forza Italia. Gli scontri sono esplosi durante l’assemblea congiunta dei parlamentari, con l’ex Cavaliere lì a ascoltare toni che si sono anche alzati. Oltre tre ore di confronto che hanno confermato che la fronda va molto oltre Augusto Minzolini: coinvolge figure storiche del partito come Renato BrunettaCinzia Bonfrisco e Giacomo Caliendo. Oggetto del contendere non tanto la legge elettorale (piace molto più ai berlusconiani che a una parte del Pd) quanto il Senato che molti vorrebbero elettivo. Ma alla fine di un’assemblea durata 4 ore la decisione è che sarà ancora lui, Berlusconi, a dire l’ultima parola. 

 

 

 

Indagati 521 consiglieri regionali su 1100
Ecco chi sceglierà i nuovi senatori

 

A votare sarà una base che nel 50% dei casi ha a che fare con la giustizia. Per 300 grandi elettori
è già stato chiesto il processo. E tutti loro saranno candidabili per una poltrona a Palazzo Madama 

Secondo la bozza del governo Renzi e l'emendamento Finocchiaro-Calderoli, a Palazzo Madama rischierebbero di sedere (e di avere l'immunità parlamentare) anche i consiglieri regionali degli scandali dei rimborsi: da Batman a Nicole Minetti, fino ad arrivare ad alcuni governatori come Vendola e Formigoni. I primi cittadini di Roma, Genova, Milano, Napoli e Cagliari si dicono contrari a qualsiasi tipo di protezione: "Così noi non ci andiamo"

 

Commissione, trovato accordo Pd-Lega-Fi
Via libera al nuovo Senato dei nominati

Ncd e Carroccio contro emendamento Finocchiaro sulla assegnazione dei seggi in proporzione al
peso in consiglio regionale. Il testo viene modificato e arriva l'ok. Renzi: 'Non temo voto in aula'
COSTITUZIONALISTA PACE: 'RENZI NON TOLLERA GARANZIE E CONTROPOTERI' (di S. Truzzi)

Commissione, trovato accordo Pd-Lega-Fi Via libera al nuovo Senato dei nominati
 
Cento componenti che non saranno scelti dagli elettori, ma da altri eletti, cioè i consiglieri regionali. Ecco il nuovo senato uscito dalla commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama. Il testo ha rischiato il testacoda dopo lo scontro Pd-Lega sull'emendamento a firma Finocchiaro sulla composizione e la scelta dei nuovi senatori che avrebbe - a detta del Carroccio e di Ncd - di fatto cancellato la rappresentanza dei piccoli partiti. Poi la modifica - è bastato togliere un "tenuto conto" - e arriva l'accordo 

 

Immunità Senato, Pd diviso: "Non passa"
Boschi: "Non la volevo, ma non è centrale"
E i renziani giocano in difesa: "Vedremo"

 

Immunità Senato, Pd diviso: "Non passa" Boschi: "Non la volevo, ma non è centrale" E i renziani giocano in difesa: "Vedremo"
 
"I relatori ci hanno provato, ma non passerà", dice Sandra Zampa a ilfattoquotidiano.it. Acque agitate anche nella sinistra Pd (articolo di M. Pasciuti). Renziani compatti: "Comunque possibili modifiche"

Nuovo Senato, Boschi incontra Romani
Renzi risponde a Grillo: "Incontro il 25 giugno con calma. Avete fatto gli stronzi a gennaio? Bene, adesso vi mettete in coda e vaffanculo!!"

 

Leader M5S: "Pronti a discutere su legge elettorale, parlamento e costi politica. Ma ci ignorano"
Premier: "Vediamoci mercoledì". E il gruppo 5 stelle dà l'ok. Il ministro cerca accordo con Fi

 

Borghezio al neonazi Delle Chiaie: "Serve  rivoluzione nazionale"
 
L'esponente del Carroccio alla convention dell'estrema destra romana: “Ronde contro chi ha violentato Roma riempendola di immondizia e immigrati”

 

Legge elettorale, dialogo Pd-M5s Renzi apre sulle preferenze   video   "Ma prima la governabilità"

Legge elettorale, dialogo Pd-M5s
Renzi apre sulle preferenze
video
"Ma prima la governabilità"

Lo streaming Pd-M5S è stato un confronto dialetticamente teso ma civile. Renzi si è confermato un marpione dialetticamente scaltrissimo, ma con Di Maio ha dovuto più volte rintuzzare e alla fine si è palesemente piccato; particolarmente comico il passaggio nel corso del quale Renzi ha detto che, sulla questione morale, il Pd non ha nulla da nascondere. Continue le frecciatine reciproche: Renzi ha indovinato quella su Farage, mentre è parso bambinesco e arrogante nel ricordare che loro hanno più preferenze degli altri (la solita sindrome dell’io ce l’ho più lungo). Molto tenero quel “chiudiamo tutto che ho un impegno tra 5 minuti”, segno ulteriore del nervosismo renziano. Fondamentale l’apporto dell’ex centrodestrorsa ex bersaniana ex tutto Alessandra Moretti, che è riuscita ad annuire più volte di Pellegatti con Galliani.

Dei due, almeno oggi, il partito “padronale” non è certo sembrato quello rappresentato da Di Maio. Renzi ha disperatamente inseguito l’ultima parola, inciampando a un passo dal traguardo in un drammatico riflusso esofageo che lo avrà oltremodo indisposto. Bravino Toninelli, bravo Renzi e bravissimo Di Maio, che avrebbe dovuto partecipare anche agli streaming passati dei 5 Stelle: forse, così facendo, M5S non avrebbe perso i voti che ha perso. Ottimo Speranza, ma solo perché è stato zitto.

E’ un confronto che strategicamente servirà il giusto, ma politicamente e concretamente non sposterà una mazza. In estrema sintesi, e al netto delle supercazzole su “Ric e Gian” e “noi siam quella razza” (povero Monni, citato da Renzi), il Pd continua a preferire Berlusconi e Verdini a Di Maio e Toninelli: a ognuno le sue perversioni politiche.

P.S. Ho un problema di memoria: quando lo hanno dato lo streaming della Boschi con Verdini e Romani? Lo stesso giorno in cui hanno dato quello tra Renzi e Berlusconi al Nazareno, immagino.

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Renzi tirerà dritto come nulla fosse

Il Ministro Karina Huff Boschi, con consueta incompetenza vagamente ilare, ha fatto sapere che il Pd valuterà la proposta (tardiva) dei 5 Stelle. Al tempo stesso, il mai stato giovane Presidente Orfini, ex bersaniano e attuale Fabris del Partito Democratico, avrebbe fatto sapere che comunque “l’Italicum non si tocca”. E’ più sincero il secondo: l’incontro Pd-M5S si farà ma non porterà a nulla. Se il Pd aprisse ai 5 Stelle, da un lato li accrediterebbe come forza politica e dall’altro metterebbe in discussione l’infinita schifezza infantile del cosiddetto “Senato alla francese”, che chiaramente M5S non può avallare (infatti ha appoggiato la proposta Chiti).

Renzi si trova a un bivio: o le riforme sensate e una legge elettorale degna con M5S, col rischio – sì, per lui è un rischio – di uccidere politicamente Berlusconi; oppure continuare a sfruttare la debolezza del Caimano, che allo stato attuale pur di vivacchiare accetterebbe qualsiasi proposta (anzitutto immorale). Se Renzi giungesse ad accordi con i 5 Stelle, potrebbe addirittura varare qualcosa di stranamente giusto e perfino un po’ di sinistra: ipotesi che non può nemmeno concepire, perché non ci è abituato.

Luisella Costamagna, sul Fattoquotidiano.it, ha chiesto al goffo Premier: #staiconSilvio o #staiconGrillo? Ovviamente Luisella conosce benissimo la risposta: raramente, in politica, i figli uccidono i padri. La mossa dei 5 Stelle, che doveva avvenire già a gennaio, può servire unicamente a svelare il bluff dei renzini, novelli berluschini 2.0 che – salvo rari casi – mirano a fama e potere. I 5 Stelle possono cioè smascherare definitivamente la natura berluschina di Renzi, evidenziando come i suoi amplessi costituzionali stipulati – in gran segreto – al Nazareno siano dettati non da “mancanza di alternative”, che ora esistono, ma da radicate e conclamate “affinità elettive” tra Pd e Forza Italia. E’ però tutto da dimostrare che gli elettori capiscano, o che comunque reputino tale aspetto sgradevole. La forza politica di Renzi, buffo e terribile “Pacioccone Mannaro”, è proprio quella di garantire il mantenimento dello status quo e dunque una serena morte democristiana: l’aspirazione massima per non pochi italiani.

TUTTI i tasselli stanno andando al loro posto e persino sull’Italicum il lavoro è ormai avanzatissimo, tanto da far ipotizzare a Renzi di vederlo approvato a palazzo Madama entro la pausa estiva.

Ma intanto la riforma costituzionale. «L’accordo è vicino», conferma Giovanni Toti a denti stretti. Il nuovo Senato della Repubblica, disegnato dagli emendamenti messi a punto dai relatori Finocchiaro e Calderoli, recupera molte funzioni, pur perdendo quella fondamentale di poter dare o togliere la fiducia al governo. Insomma, non è più un «dopolavoro per sindaci», per dirla con Berlusconi. Ha competenza sulla legislazione regionale e su quella europea, co-elegge il presidente della Repubblica, il Csm e i giudici costituzionali, ma soprattutto recupera voce sulle leggi elettorali e su quelle costituzionali. Crescendo le funzioni, cambia anche la composizione. Renzi ha dovuto rinunciare al suo Senato dei sindaci. I primi cittadini saranno invece pochi, circondati da una stragrande maggioranza di consiglieri regionali- senatori. Il premier ha trattato partendo da 1/3 di sindaci e 2/3 di consiglieri regionali, ma alla fine Forza Italia è riuscita a strappare la quota simbolica di un sindaco per ogni regione (non sarà automaticamente il primo cittadino del capoluogo di regione, a Roma andrà invece un sindaco eletto dai suoi colleghi). Il cocktail finale è dunque più vicino a 1/4 di sindaci - una ventina - e 3/4 di rappresentanti regionali, un mix che rassicura il centrodestra, preoccupato di un’eccessiva rappresentanza del Pd nella Camera alta.

Ballottaggi-ribaltoni: Livorno da sinistra a M5S
Pd perde a Perugia: ma sulla destra è 160-37
, grazie alla legge Del Rio non ci saranno elezioni Provinciali tramutate in Vaste Aree rette da consiglieri eletti in seconda istanza

 

 

 
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