La
Bce maschera il quantitive easing come prestiti alle famiglie
I
mille miliardi promessi all'economia potrebbero essere dirottati dalle
banche sull'acquisto di altri titoli di Stato, proprio come faceva la
Fed acquistanto bond sul mercato secondario con l'obiettivo di
indebolire l'euro e spingere la ripresa. L'unico vincolo è non ridurre
il credito
Fino a mille miliardi di euro
per un'economia assetata di credito, promette Mario Draghi da
Francoforte. Un quinto di quei soldi, fino a 200 miliardi di euro in due
anni - dice Visco da Roma - potrebbero essere utilizzati dalle banche
italiane per le nostre industrie. In più, spiega il governatore della
Banca d'Italia, le nuove regole sui collaterali da versare per i
prestiti, potrebbero aggiungere altri 120 miliardi di euro ai fondi
disponibili per la ripresa dell'economia reale. Le decisioni prese dalla
Bce un mese fa, insomma, dovrebbero far piovere un fiume di prestiti su
aziende e famiglie e non, come avvenne nel 2011, nelle casse degli Stati
indebitati. Per questo si parla di operazioni di liquidità "mirate". Ma
è così? Molti ne dubitano e concludono che anche questi soldi finiranno
nell'acquisto di Bonos e Btp. Forse, però, non è il caso di strapparsi i
capelli e gridare al flop. Potrebbe servire anche quello e qualcuno
pensa che la Bce sappia benissimo ciò che fa.
Il problema non sono le misure prese a giugno, ma i meccanismi di
adempimento tecnico che la Bce ha reso noti solo nei giorni scorsi. Che
osservatori diversi come gli economisti di Lavoce.info, il
Wall street journal, gli analisti della Royal Bank of Scotland
definiscono tutti "assai generosi" per le banche. Due i punti
contestati. Primo: la liquidità è pensata per arrivare a imprese e
famiglie, ma da nessuna parte il manuale della Bce condiziona
l'erogazione dei soldi
al fatto che, effettivamente, quegli stessi soldi
vengano poi girati all'economia reale. Le banche possono farci ciò che
vogliono. L'unica cosa che devono dimostrare è che, contemporaneamente,
i loro prestiti ad entità non finanziarie, nel complesso, sono
aumentati. Basta un refolo di ripresa perché i prestiti aumentino
comunque, soldi della Bce o no.
Secondo: per evitare una penale, cioè l'obbligo di restituire i soldi
avuti dalla Bce dopo due anni, anziché quattro (sanzione, peraltro, che
non appare drammatica) le banche devono dimostrare di rispettare un
parametro. Ovvero, il flusso dei nuovi prestiti all'economia deve essere
superiore ad una crescita minima. Questo benchmark, però, non è uguale
per tutti. Le banche che, negli ultimi dodici mesi, avevano già
aumentato i finanziamenti erogati potranno limitarsi a mantenere
invariato l'ammontare. Il benchmark da superare è, cioè, zero. Le banche
che, invece, hanno diminuito nell'ultimo anno gli impieghi (come in
Italia) potranno continuare a ridurli secondo il trend precedente per un
anno e poi mantenerli per l'anno successivo. Il benchmark è meno di
zero. La conclusione generale che gli esperti traggono dal documento
tecnico della Bce è che agli istituti di credito basterà non razionare
ulteriormente il credito nei prossimi mesi per avere diritto ai
finanziamenti di Francoforte, al vantaggioso tasso dello 0,25 per cento.
Con cui, se vogliono, possono comprare Btp italiani o Bonos spagnoli che
rendono il 2,87 o il 2,75 per cento. Difficile che resistano alla
tentazione di intascare, senza fatica, uno spread del 2,5 per cento.
Insomma, la stessa speculazione del 2012 che ha, probabilmente, salvato
l'euro, ma a prezzo di rendere ancora più soffocante l'abbraccio tra
banche e debito pubblico. E, tuttavia, gli effetti potrebbero non essere
tutti negativi. Gli americani, che hanno l'occhio più esperto in
materia, sottolineano che, in fondo, l'operazione lanciata dalla Bce,
con le modalità tecniche appena specificate, è una sorta di versione
europea del quantitative easing adottato dalla Fed negli Usa: soldi
della banca centrale vengono utilizzati per comprare titoli (poco
importa se pubblici o privati). La differenza è che, in Europa, gli
acquisti vengono fatti dalle banche anziché dalla banca centrale.
Gli effetti? L'operazione gonfierà l'attivo della Bce e, probabilmente,
indebolirà di conseguenza l'euro, soprattutto se, nel frattempo, si
chiuderà il quantitative easing americano e la Fed alzerà i tassi. Un
euro più debole significa più esportazioni e importazioni (per la
svalutazione della moneta) più care, ciò che dovrebbe alimentare un po'
d'inflazione. Insomma, il quantitative easing su cui il board della Bce
litiga da mesi verrebbe realizzato attraverso la porta di servizio e
senza dirlo a nessuno. Possibile che Draghi e il presidente della
Bundesbank, Jens Weidmann, non se ne siano accorti, ma è difficile.
LE GRANDISSIME TESTE DI CAZZO IPER LIBERISTE CHE NON SI ACCORGONO CHE SE
ESISTONO E' PERCHE' CI SONO STRADE ASFALTATE, FERROVIE, AEROPORTI
FUNZIONANTI, SCUOLE PER PREPARARE I LORO SCHIAVI, OSPEDALI, FORZE DI
SICUREZZA ED UNA MASSA DI SOLDATI DA SPEDIRE NELLE FOGNE REMOTE A FARE
LA GUERRA SENZA DISTURBARE I MANOVRATORI DEL CAZZO!!!
Come era
abbastanza prevedibile, il mio precedente articolo (‘Capitalismo,
fa sempre più rima con egoismo‘) ha aperto un ampio seguito di
dibattiti ed opinioni, tuttavia l’argomento, nonostante il semplicismo
del titolo, era troppo vasto per poterlo comprendere nel breve spazio di
un solo articolo da blog, così ho preso spunto dall’articolo
“The failure of macroeconomics” (Il fallimento
del macroeconomismo) che John H. Cochrane,
professore di Economia finanziaria all’Università di Chicago, pubblicato
sul Wall Street Journal del 2 luglio
scorso, per svilupparlo ulteriormente.
Cochrane, in
sintesi, pur concordando con i “keynesiani” sul fatto che per ridare
slancio alla ripresa economica bisogna puntare sulla crescita, li
critica però duramente perché a suo parere le ricette dei keynesiani
contano troppo sugli stimoli monetari e finanziari per risolvere la
crisi, ma in questo modo si crea solo una spinta provvisoria e un
ulteriore indebitamentopermanente.
Lo si vede già ora (sempre a suo avviso): gli stimoli perdono presto di
efficacia, il pesante indebitamento che ora grava in “pancia” alla
Federal Reserve” avrà bisogno di tempi lunghi per essere “digerito”,
quindi occorre pensare a interventi risolutivi che consentano la
crescita insieme allo smaltimento del debito,
non a soluzioni che lo incrementano. E nel dir questo chiama in causa
anche Krugman, che invece ha sempre sostenuto
gli incentivi.
Krugman però ha
già smontato questa accusa sostenendo (fin dal 2009) che gli stimoli
sono stati fatti, sì, ma sempre in ritardo e sempre limitati perché
ostacolati dalla dura opposizione politica del partito conservatore. In
questo modo, pur raggiungendo recentemente (dopo 6 anni!) un risultato
di parziale soddisfazione, si è avuta tuttavia una sostanziale
inefficacia degli stimoli. Se si fosse fatto tutto con tempestività
adesso saremmo già del tutto fuori dalla crisi, è il suo parere (per
esempio nel suo articolo “Why
Economics Failed” del primo maggio scorso).
Comunque
Cochrane si prolunga nel suo articolo, chiamando in causa altri
economisti e facendo altri esempi, al fine di cercare di smontare le
teorie dei “neo-keynesiani”. Lascio ai volenterosi l’onere di andarsi a
leggere tutti i suoi ragionamenti. Per capire dove vuole arrivare basta
leggere gli ultimi tre paragrafi.
“Distorcono il
sistema della tassazione e avviano
regole intrusive nel mercato. Questo vogliono i
neo-keynesiani. Chi volete che investa il suo denaro in presenza di
queste riforme? Logico che la ripresa tardi a venire!”. Queste, secondo
Cochrane sono le vere cause della lentezza della ripresa economica.
Il “bello” viene
però nel paragrafo successivo, dove alla diagnosi fa seguire la
prognosi. Qual è la sua ricetta per la guarigione? Eccola qui di seguito
nella sua versione integrale (segue la traduzione).
“They
require us to do the hard work of fixing the things we all agree need
fixing: our tax code, our cronyist regulatory state, our welter of
anticompetitive and anti-innovative protections, education, immigration,
social program disincentives, and so on. They require “structural reform,”
not “stimulus,” in policy lingo.”
“Siamo richiesti
di compiere il duro lavoro di riparare ciò che necessita riparazione: il
sistema della tassazione, la parzialità del nostro sistema regolatorio,
la confusionarietà anti-competitiva e anti-innovativa del
nostro protezionismo, il sistema educativo, le norme per l’immigrazione,
la disincentivazione dei programmi sociali, e così via. Occorrono
“riforme strutturali, non stimoli”, detto in parole povere.”
Mi sbaglierò, ma
mi sembra la stessa musica che ci hanno proposto per tre anni i nostri
austeri manovratori europei (col risultato che sappiamo!). La logica di
Mr. Cochrane è quella dei neo-capitalisti iper-liberisti
che ormai conosciamo bene. Essa parte dal presupposto che l’economia per
funzionare bene deve essere completamente libera di muoversi a suo
piacimento, senza regole (salvo quelle che proteggono loro stessi)
altrimenti ne soffre la capacità di competere sui mercati.
Ovvio che se al
centro del nostro sistema esistenziale politico ed economico, come
elemento di massimo interesse,dovessimo
veramente mettere la “capacità di competere sui mercati” tutta quella
roba che ha messo Cochrane nella sua ricetta anticrisi sarebbe adeguata,
ma è ovvio anche che parte dal presupposto sbagliato. Perché al primo posto per una società non ci può essere il mercato.
La libertà che vuole Cochrane è la stessa di quel pugile che lamenta di
essere meno competitivo perché non può picchiare dove vuole e non può
tirare pedate. Se gliela concedi non è più pugilato, è lotta selvaggia.
Il mercato, e la
società nel suo insieme, sono come la boxe, ci confrontiamo e ci tiriamo
anche i pugni, ma ci devono essere regole precise che tutti devono
rispettare. E le regole non possono essere solo quelle che consentono a
qualcuno di far più soldi, ma quelle che consentono ad una società di
crescere con equilibrio. Ovvero il rispetto della democrazia, che
declama il potere del popolo non di qualche oligarca multimiliardario.
Questi “economisti” tutti schierati a favore del capitale, sembra che se
lo siano dimenticati.
Per fortuna c’è
ancora chi, come la senatrice del Massachusetts Elizabeth
Warren che provvede a ricordare a costoro anche le altre
priorità di una società evoluta.
“Nessuno diventa
ricco per suo unico merito. Ha realizzato dal nulla una impresa? Buon
per lui. Ma lui ha spostato le sue merci sulle strade che noi tutti
insieme abbiamo pagato. Ha assunto lavoratori che noi tutti insieme
abbiamo contribuito ad educare. Lui è sicuro e garantito nel suo ufficio
o nelle sua fabbrica perché tutti noi abbiamo pagato per avere forze di
polizia e vigili del fuoco efficienti. Questo è il contratto sociale che
permette ad una società di funzionare per tutti”.
La Warren ha
ragione da vendere. Senza giustizia ed equilibrio economico si può anche
arrivare a realizzare il più potente sistema competitivo del mondo, ma
quel cavallo presto scoppierà e lascerà tutti a piedi, neo-capitalisti
compresi. Storicamente è già successo molte volte.
L’Eurozona sta male e potrebbe peggiorare di
econoNuestra
L’Eurozona
è un esperimento economico fallito e le conseguenze stanno toccando le
strutture economiche più facili. Nel grafico qui sotto possiamo vedere
il differenziale di crescita dell’Euroza e del
resto del mondo.
Le politiche di austerità
unite alla politica monetaria della Bce ci
avvicinano pericolosamente ad una situazione di deflazione
nell’Eurozona. I problemi nei quali ci imbattiamo, si possono riassumere
in tre grandi blocchi, problemi di
liquidità, di solvenza e gli squilibri macroeconomici interni all’Eurozona.
Liquidità
I problemi di liquidità
si sono attenuati grazie ai pesanti programmi di acquisto del debito
pubblico delle banche messi in campo dalla Bce, principalmente da quando
nel 2012 la Bce ha annunciato che era disposta a prendere delle misure
per sostenere l’euro.
Il
credit crunch, che ha fatto sparire
la liquidità dai mercati nel 2008, è stato risolto ad un primo livello,
quello bancario. Per fare questo si è avuto bisogno di grosse iniezioni
di liquidità, cioè di creazione di moneta da parte della Bce che è
andata a finire alle banche private. Questo inusuale eccesso di
liquidità è servito principalmente a liberare i bilanci bancarie da
alcuni attivi pericolosi,
ma non di tutti e non in sufficiente quantità. Le banche europee
continuano ad essere sovraesposte – molto di più di quelle nordamericane
– il che ha fatto in modo che non usino queste risorse per il sistema
produttivo ma per il sostentamento dei propri bilanci. In questi tempi
di incertezza e di magra economica, le banche private hanno incentivi
per assicurare operazioni sui mercati del debito pubblico più che per
rischiare investendo in progetti produttivi che l’austerity e
l’incapacità delle istituzioni e dei governi europei di gestire la crisi
stanno lasciando al margine.
In questo contesto
Draghi ha annunciato un insieme
di misure straordinarie per inondare di credito
a buon mercato le banche private attraverso il programma di
Tltro con 400 miliardi. A questo
dobbiamo aggiungere la riduzione dei tassi di interesse marginali di
deposito a tassi negativi, il che significa che le banche devono
‘pagare’ un interesse per i depositi di denaro nella Bce. L’accesso a
questo credito a basso costo è legato alla
clausola che le banche prestino denaro all’economia produttiva. Dato che
la Bce non sterilizza attraverso il ‘Secondary Market
Program’. (Smp) ci troviamo di fronte ad un ‘Quantitative
Easing‘ (QE) camuffato che probabilmente si renderà
esplicito e verrà potenziato nei prossimi appuntamenti. Questo
cambiamento di opinione e di tendenza è sufficientemente importante al
punto di concludere che le cose stanno molto peggio di quello che ci si
augurava, visto che diversamente da così la Germania mai l’avrebbe
accettato e avrebbe fatto pressioni come già aveva fatto fino ad allora
perché il Quantitative Easing (Qe) non si mettesse in atto.
Ma la cosa realmente
importante è: queste misure sono realmente necessarie in questo momento,
o – che poi è la stessa cosa- la liquidità è davvero ancora il problema
dell’Eurozona? La risposta è no, dato che le banche hanno restituito
alla Bce il 65% dei prestiti
del precedente programma di finanziamento (Ltro). Quest’ultimo ha avuto
inizio in un momento di eccezionale mancanza di liquidità, da lì il suo
successo tra le banche, che, con i mercati interbancari congelati
trovarono nella Bce una fonte di liquidità straordinaria. Ora non esiste
questo problema e la liquidità non è scarsa ma eccessiva
sui mercati, il che significa che Tltro può non avere gli effetti
sperati e alimentare la bolla sui mercati
finanziari. Ma c’è di più, se il programma avesse il successo sperato
per gli attraenti interessi offerti dal Tltro, 0,25%, questo non implica
che si spostino a settori produttivi che hanno bisogno di finanziamento.
La Bce si trova di fronte a questo: il problema sta nella scarsità di
domanda come conseguenza degli alti livelli di
disoccupazione dei paesi periferici.
Squilibri interni
Sebbene i problemi di
liquidità siano stati risolti sui mercati interbancari, gli squilibri
macroeconomici tra i paesi dell’Eurozona
continuano ad estendersi e si situano nel centro della crisi. L’apertura
di strutture produttive come quella spagnola o
quella portoghese a strutture come quella tedesca
o quella olandese, molto più radicate e sviluppate, ha avuto un impatto
strutturale molto importante. La deindustrializzazione
che hanno sofferto i paesi periferici del sud è stata spettacolare tra
la fine degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90. Alla fine di questo
decennio si instaurò l’euro, riducendo notevolmente il costo dei
finanziamenti dei paesi del sud dal momento che approfittarono dei
minori interessi associati ai paesi del nord, soprattutto alla Germania.
Da allora i paesi hanno perso gli strumenti di politica economica come i
tassi di interesse passati ad essere stabiliti dalla Bce, o gli
interessi sul cambio.
La deindustrializzazione
e terziarizzazione
dell’economia spagnola ebbe come risultato la specializzazione
produttiva verso un settore di servizi di basso valoreaggiunto, dominato da un lato da un turismo
predatore e richiedente mano d’opera a basso costo e poco qualificata, e
dall’altro lato dalle costruzioni.
A questi fatti c’è da
aggiungere un crollo nella
partecipazione salariale al Pil. Il
Pil non è altro che la valutazione monetaria della produzione totale in
un’economia durante un periodo di tempo, normalmente un anno. Questa
produzione di redditi salariali implica che da questo reddito una
proporzione minore vada a finire a chi percepisce reddito da
lavoro e che lo produce. Ma dato che sono questi che hanno
sostenuto i consumi, per compensare questo
crollo è apparso un indebitamento di massa che è quello che ha sostenuto
la crescita degli anni precedenti alla crisi. Questo processo ha
prodotto una struttura produttiva accelerata, il che, unito alle
politiche di ‘austerity’, spiega la situazione di deflazione.
I paesi periferici,
Francia inclusa, stanno distruggendo
capacità industriale nella misura in cui i paesi centrali
con la Germania in testa la stanno incrementando. Il settore dei servizi dall’altra parte ha una grande eterogeneità
dato che sotto questa definizione si raccolgono le attività di complessi servizi finanziari offerti dai fondi di
investimento così come di quelli offerti da un panettiere
di quartiere. La produttività associata al settore dei servizi è
inferiore a quella associata all’industria dato che una gran parte degli
stessi sono a lavoro intensivo, il che rende più difficile l’incremento
della produzione per lavoratore.
Ma la produttività si può associare al
tasso di crescita potenziale, il che implica che la periferia sta
riducendo il suo tasso di crescita potenziale, o – che poi è lo stesso:
l’Eurozona sta condannando all’impoverimento la
periferia del sud d’Europa.
Contro questa
deindustrializzazione e depauperamento dei paesi periferici la Bce non
solo non ha mezzi ma contribuisce a questo con la sua esigenza di
tagli strutturali attraverso la
Troika. Quest’ultimo punto ci porta a trattare
il terzo degli squilibri contro cui si scontra l’Eurozona.
Solvenza
Il problema della deflazione è intimamente legato alla
crescita del debito nei paesi periferici. In effetti, è
risaputo che l’incremento dei debiti sovrani si è tradotto in problema
già all’inizio della crisi, e non è l’origine della crisi stessa.
Nonostante questo, le politiche di austerity che sono state applicate e
insieme alla passività della banca centrale hanno provocato un
incremento spettacolare dello stock di debito sovrano.
Il problema nonostante questo non ha niente a che vedere con lo stock di
debito sovrano, ma con il flusso del debito, in
altre parole, con la accelerazione dell’accumulazione del debito sovrano
principalmente nei paesi periferici del Sud, e in misura minore nei
paesi centrali.
La crisi attraverso cui
gli stabilizzatori automatici
hanno aumentato il bisogno delle spese dello Stato
(principalmente per i sussidi di disoccupazione) e le misure
discrezionali si sono sommate a questo (salvataggio, aiuti e crediti
alle banche private). A questo si aggiunge inoltre la
depressione economica causata dall’austerity, il che toglie
ogni possibilità di crescita e per tanto la possibilità di ridurre il
rapporto debito/Pil.
Infine, questo contesto di asfissia economica ha portato l’Eurozona al
limite del processo di deflazione, il che incrementa la probabilità di
una esplosione del valore nominale del debito. Siamo ad un passo dal
disastro e da un’insolvenza generalizzata del debito. Da qui il
pacchetto annunciato da Draghi e il disperato annuncio di ulteriori
misure in un prossimo futuro. Nel grafico qui sotto possiamo osservare i
tassi di crescita della zona euro, tutti al di
sotto dell’1%. Basterebbe un crollo rilevante dei prezzi per
alcune grandi compagnie dell’1 o 2% per far scatenare una tormenta
perfetta.
Se il problema della
liquidità in certa misura è stata risolto, i problemi degli squilibri
produttivi interni e di solvenza non sono spariti e sono aumentati.
Lontano dal distanziarci dalla crisi stiamo assistendo ad una
crisi che va cambiando negli
elementi che la definiscono ma che ha un sostrato economico
e politico che si mantiene invariato: l’inoperatività
delle istituzioni europee nell’incrementare le misure economiche
rilevanti.
Gli europei ne sono coscienti e le ultime elezioni europee sono un esempio di
questo. Staremo attenti a come evolve la questione.
Bce: le tre manovre
politiche di Draghi-Houdini,palliativi per gli stupidi
idioti. Il calo dei tassi non riversera' alcunche' e per gli
overnight oggi le banche riescono a rifinanziarsi
tranquillamente sul mercato perchè non siamo nel triennio
2008-2011. Ecco, queste misure arrivano con TRE anni di
ritardo, per questo i merdosi tedeschi le hanno approvate
senza battere ciglio....
Accanto alle misure già
adottate, la Bce ha inoltre promesso “l’intensificazione dei
lavori preparatori per acquisti definitivi di Abs” ovvero l’accelerazione
del percorso che dovrebbe portare alla creazione di
un mercato secondario dei prestiti cartolarizzati cui
partecipi anche la Banca Centrale.
La prima e la seconda misura, è
bene esser chiari, sono pannicelli caldi il cui beneficio in
termini di liquidità aggiuntiva non è (e
non può essere) quantitativamente rilevante: questo a meno
che non si speri che il sistema bancario europeo corra a
inondarci di prestiti solo per non perdere 10 bps di
rendimento (e d’altronde i precedenti interventi sui tassi
non hanno sortito alcun effetto in questo senso); così come
è piuttosto vano immaginare che le banche incrementino le
esposizioni verso i privati solo per
profittare del nuovo, inutile, Tltro: grazie a Dio non siamo
nel 2008 né nel 2011 e le istituzioni finanziarie non hanno
difficoltà significative a finanziarsi sul mercato
interbancario in autonomia e a prezzi accettabili.
Quanto alla terza
misura, trattasi dell’unico intervento
concretamente e immediatamente creativo di base monetaria: e
tuttavia la sua effettiva dimensione dipenderà dall’ampiezza
degli interventi della Banca Centrale sul mercato (se gli
spread dovessero mantenersi bassi, così non obbligando la
Bce a comprare altri titoli, non vedremmo nuova liquidità).
Ma allora come si spiega tutto
il can-can sui giornali?
“It’s the politics stupid!”
Eh già!
Perché quella di giovedì più
che una manovra di politica monetaria, è
stata una manovra di politica e basta: una
risposta al risultato elettorale delle europee e, in
particolare, una pacca sulla spalla del malconcio
Francois Hollande, volta a disincentivare la
nascita di un asse diplomatico tra la Francia e gli
sfigatissimi cugini italo/spagnoli.
Dietrologia dite?
Possibile, ma allora dovete
spiegarmi il perché dell’esclusione del settore
immobiliare dal nuovo Ltro. La mia teoria è che un
intervento di sostegno che avesse incluso il mattone non
avrebbe sortito effetti significativi per le economie “core”
che negli ultimi tempi hanno cominciato a zoppicare (come la
Francia, appunto), aiutando, al contrario,
i (fetentissimi) “periferici” (notoriamente più danneggiati
dal calo dei prezzi e dall’esplosione delle sofferenze).
Come noto Francoforte adora
correre in soccorso del più forte: quale miglior occasione
del meeting nel quale la Bundesbank fa marcia indietro per
finta?
Già: la mitica BuBa…
Gli osservatori più attenti
avranno notato la nonchalance con la quale Jens
Weidmann ha votato a favore di misure che due anni
fa avrebbe combattuto con la determinazione di Pietro Micca.
Come spieghiamo la
miracolosa conversione?
La chiamerei difesa
intelligente: siccome non intendo arretrare di un millimetro
sugli Eurobond, sull’acquisto in asta dei
titoli di stato e, più in generale, su qualsiasi strumento
di politica monetaria rivolto ad alleviare in via
privilegiata le pene dei Paesi periferici, ma al contempo
temo che il mio peso politico venga annientato da una
straripante maggioranza di cittadini europei
stanchi di essere vampirizzati, che faccio? Ma è naturale!
Mi mostro disponibile e accetto
finte manovre di finta espansione monetaria, pronto a
rifiutare con ancora maggior determinazione quelle vere.
Proprio qui sta il gioco di
Mario Draghi: convincere tutti di una svolta epocale,
ributtare la palla delle “riforme strutturali” tra le mani
degli Stati Membri e, contemporaneamente, proteggere il
culto del solito, perdente, modello di austerity
recessiva.
Complimenti vivissimi, la
riunione del Comitato Direttivo del 5 giugno passerà alla
storia come uno dei trucchi meglio riusciti dall’invenzione
della prestidigitazione.
La Banca centrale europea ha aperto
all'ipotesi di lanciare un Quantitative Easing europeo, ovvero di
acquistare titoli per contrastare i rischi di deflazione e far
ripartire l'economia.
Uscita dall’euro: il metodo stamina della svalutazione
Tre le frange che propugnano l’uscita dall’euro, vale a dire ilmetodo
Stamina per guarire dalla recessione, i supposti effetti
miracolistico-salvifici della svalutazione costituiscono i bastioni
retorici della propaganda.
Da un elemento semplice, che anche i meno istruiti credono di capire,
nelle varie Lourdes “der webbe”, siimbastisce
la mistica della guarigionericorrendo
ad un filo logico (si fa per dire) di questo tenore:i
tedeschi sono efficienti, hanno un sistema Paese che funziona, un
mercato del lavoro che crea occupazione, la scuola forgia competenze, si
investe in ricerca, i politici pizzicati a copiare una tesi si
dimettono, quelli corrotti sono una rarità, i grandi evasori fiscali
finiscono in galera sul serio, non ad articolare riforme costituzionali.
Noi italiani invece ci troviamo metà Paese in mano alle mafie, i leader
di tre partiti sono pregiudicati, la corruzione è diffusa, la burocrazia
è demenziale, la giustizia è una tragica barzelletta, la scuola è un
somarificio, la ricerca langue, le tasse sono confiscatorie. Perònoi
Italiani, quintessenza della furbizia, fotteremmo tutti con
svalutazioni a getto continuo. In tal modo sparirebbe d’incanto il
divario con il mondo civile, l’economia si risolleverebbe senza dover
riformare alcunché, i ladri potrebbero continuare a rubare e governare
senza conseguenze di sorta. Peròi
maledetti tedeschi per impedire il dispiegarsi di cotale sopraffina
furbiziahanno
ordito un subdolo complotto avvalendosi di complicità oscure tra banche,
Bilderberg, Trilaterale, gnomi del signoraggio e WTO (mentre si indaga
sul ruolo delle Sirene).
Inoltre se solo si potesseaccumulare
altro debito pubblicoavremo
un’economia da sogno eun
futuro di bagordi tra Montecarlo e Acapulcocon
il reddito di cittadinanza finanziato da vagoni dimoneta
filosofale.
Contro la stamina eurexit purtroppo i Guariniello non possono
intervenire, anche se – come le iniezioni di intrugli che non guariscono
malattie incurabili –la
flessibilità del cambio non influisce sulla produttività dell’economia
reale(l’unico
fattore di crescita sostenibile e di benessere).
Una spiegazione densa ed esaustiva in merito si trova in due articoli aquesto
linke aquest’altro.
Se avete difficoltà con numeri e logica, un viaggio in Argentina, in
Venezuela o in Yemen dovrebbe convincervi. Oppure basta un’occhiata ai
dati giapponesi: dopo la svalutazione del 30% dello yen il deficit
commerciale ha toccato livelli
recordquadruplicando in
un anno e senza miglioramenti in vista.
Mai
Vannoni prestati all’economiae
inegazionisti
dell’euroinsistono che
il tasso di cambio dell’euro ha colpito il sistema manifatturiero
italiano. Sicuro? Iniziamo dai concetti elementari.
1) Il tasso di cambio tra due monete (alcuni usano il termine valute),
ad esempio euro e dollaro, è la quantità di una moneta necessaria per
comprare un’unità dell’altra. Oggi per comprare un euro servono circa
1,38 dollari.
2)Ogni
moneta ha almeno un centinaio di tassi di cambio, quante sono
le altre monete in circolazione nel mondo. Quindi l’euro in un anno, può
rivalutarsi rispetto al dollaro e svalutarsi rispetto allo yuan cinese.
3) Il tasso di cambio definito al punto 1) èil
tasso di cambio NOMINALE. In realtà quello che davvero conta è
il tasso di cambio REALE di cui non si fa cenno nei “toc sciò” per
telelobotomizzati.
4) Il tasso dicambio
REALE è il tasso di cambio nominale diviso per il livello dei prezzi nei
due paesi. Che significa? Lo spiego con un esempio. Comprereste
un’auto prodotta in Argentina, perché il tasso di cambio euro-peso si è
dimezzato? Chi crede al metodo stamina forse risponderebbe di si. Ma se
il prezzo in peso dell’auto prodotta in Argentina fosse triplicato, a
dispetto della svalutazione, non vi sarebbe nessuna convenienza.
5) Ergo va considerato ilcambio
REALE con tutti i paesi con cui l’Italia ha relazioni commerciali,
cioè l’indice del tasso di cambioREALE
EFFETTIVO. Che significa? Che se l’Italia, poniamo, esportasse per
metà verso gli USA e per metà verso il Giappone, il tasso di cambio
reale effettivo sarebbe una media dei tassi di cambio REALI tra euro e
dollaro e tra euro e yen. Nella realtà il tasso di cambio reale
effettivo è una media di decine di tassi di cambio reali. Questoarticolo
nel Bollettino Economico della Banca d’Italiaspiega
come viene calcolato per l’Italia,questo
articolo della BCEspiega
le varie differenze metodologiche.
Notizie ed analisi contrastanti continuano a
caratterizzare l’economia
mondialee
quellaitalianain
particolare ed a riempire le prime pagine dei giornali. Perl’agenziaFitchlarecessionein
Italia si è conclusa e quindi venerdì ha rivisto al rialzo le
prospettive (outlook)della
Penisola portandole da una valutazione “negativa” “stabile“. La
capitalizzazione dellebanche
italianeè
migliorata, sempre secondo Fitch, peccato che nel rapporto non si
spieghi come ciò sia avvenuto, dando allaBanca
d’Italiail
potere di trasformare parte del patrimonio nazionale (di cui il popolo è
proprietario) in capitale bancario, una mossa che ha prodotto una
ricapitalizzazione ed il corrispondente aumento del valore dei pacchetti
azionari di chi ne è proprietario, tra cui le grosse banche commerciali
italiane.
C’è poi chi parla addirittura dinuovoapartheidin
relazione aiprivilegiconnessi
con il censo. Come nel lontano
Medioevo chi nasce ricco ha vantaggi che chi nasce povero o
semplicemente all’interno di una famiglia della classe media non avrà
mai.
Alcuni dati sembranocontraddire
l’entusiasmoper
la ripresa europea: circa 26 milioni persone sono ancoradisoccupateed
in molte nazioni, come la Grecia, salari e pensioni sono stati ridotti
all’osso, infine ildebito
pubblicocontinua
a salire. Nel 2013 quello italiano è aumentato raggiungendo quota 132,2
per cento del Pil, bastano questi numeri per farci dubitare della
validità della formula lacrime e sangue applicata da Bruxelles.
Per chi poi voglia conoscere la verità si consiglia di
andare a fare la spesa al supermercato e confrontare ilpotere
d’acquistoodierno
con quello di 10 anni fa, oppure mettere a confronto lebollette
della lucee
delgaso
quanto costa un pieno di benzina. Ormai il benessere delle masse non
interessa più a nessuno, neppure ai politici che da una parte usano i
giudizi degli organi dell’alta finanza, come le agenzie di rating, o
soprannazionali, come ilFondo
monetarioo
l’Unione Europea, per legittimare il loro operato ed una abilissima
propaganda verbale per convincere l’elettorato che sono dalla parte del
popolo.
A ridosso delleelezioni
europeeè
bene riflettere su tutti questi punti, chi ci dice che i candidati
faranno ciò che promettono durante lacampagna
elettorale? Ancora più incerti sono iprogrammid’azione.
In fondo il ruolo del Parlamento europeo è molto limitato, può sì
esprimere giudizi ma non governa; chi dirige l’Unione è la Commissione
che certamente non è eletta dal popolo ma dalla macchina burocratica
europea e dai leader dei paesi membri, a loto volta ‘aiutati’
economicamente nelle campagne elettorali dall’élite del denaro.
Forse lapropagandamaggiore
è proprio quella che ci vuole far credere nel funzionamento della
macchina democratica nel regime imperiale dell’alta finanza.
Pil: crescere nonostante la deflazione sarchiaponica
Al pari del Sarchiapone nell’indimenticabilescenetta
di Walter Chiari, Carlo Campanini e Ornella Vanoni,la
deflazione è un classico spauracchioper
suscitare ad arte paure di sconquassi e incanalare acqua putrida verso
mulini parolai che macinano argomenti senza costrutto.
Al pari del Sarchiapone, è sconosciuto il motivo
plausibile per cuiprezzi
in discesasarebbero
una iattura. Qualcuno soffre perché la benzina non costa più due euro? O
perché i cellulari valgono ormai come tre pacchetti di sigarette e due
di caramelle? Misteri dei corto circuiti logico-cognitivi già
illustrati, da un punto di vista speculare, nel post sulla “leggenda
dell’inflazione stimolatoria“.
Al pari di Walter Chiari, che per impressionare i
compagni di viaggio spacciava, con tono magniloquente e assertivo, il
suo sapere in fatto di sarchiaponi (sia americani che asiatici,
precisava), un’eccelsa scuola di pensiero sostiene che la gentein
tempi di deflazionerimanda
gli acquisti in attesa di affari più ghiotti e di conseguenza
inevitabilmente ilPilcollassa.
Secondo le teorie sarchiaponiche si rinuncerebbe al ristorante perché
fra 6 mesi la carbonara costerà l’1,35% in meno? Oppure non si mandano
le camicie con patacche di unto e salsa in lavanderia in attesa del
ritocco dei listini? E le signore si acconcerebbero a vestire tailleur
sdruciti e collant smagliati? O magari si procrastina la visita dal
medico tanto fra tre mesi la parcella sarà più lieve?
Obnubilata dagli effetti stroboscopici dei millenarismi
sarchiaponici, la logica si fa evanescente e lo scompartimento
ferroviario assurge a cenacolo intellettuale. Eppure la deflazione
l’abbiamo sperimentata per decenni in tanti settori, dai computer
all’elettronica, alle telecomunicazioni. Non mi risulta che non si
vendano smartphone o tablet, anzi per tali oggetti la gente fa la fila e
si accampa la notte fuori dai negozi. Ne ho conoscenti in astinenza da
cellulare perché il prossimo trimestre le tariffe saranno più
convenienti o che reprimono il desiderio di vacanza pregustando il
biglietto aereolowest
cost.
E che dire degli abbonamenti internet? Si segnalano milioni di aspiranti
utenti in paziente attesa di sconti?
Per prevenire il riflesso condizionato di quanti, in
perenne conflitto con l’ovvio, invocano i mitici dati, esiste una
ricerca pubblicata nel 2004, in tempi non sospetti, da Andrew Atkeson e
Patrick Kehoe intitolata“Deflation
and depression: is there an empirical link?”(Deflazione
edepressione:
esiste un legame empirico?). I dati esaminati coprono 17 paesi lungo
quasi due secoli dal 1820 fino al 2000.
Tolto il periodo 1929-34 (su cui dirò in seguito) in
circa il 90% dei casi in cui venne registrata una caduta generalizzata
del livello dei prezzi non vi fu alcuna recessione. Solo in 8 casi su 73
la deflazione fu associata a unacaduta
del Pil. Inoltre, in 8 depressioni
sulle 29 esaminate non vi fu alcuna deflazione. Insomma illegame
tra deflazione e decrescita del Pilè
fievole. Se poi si eliminano dal campione gli episodi di depressione
senza deflazione legati alle due guerre mondiali e all’immediato
dopoguerra, il legame svanisce in un tenue singulto statistico.
Allora da dove si alimenta lo spauracchio? In buona
sostanza da ciò che avvenne durante laGrande
Depressionein
America. È il caso menzionato e studiatoad
libitum, su cui l’interpretazione considerata
quasi universalmente definitiva si deve allaStoria
Monetaria degli Stati Uniti(1867-1960)diMilton
FriedmaneAnna
Schwartz. Al dilettantismo dellaFedsi
aggiunse il protezionismo cialtrone e la Grande Depressione si propagò
in tutto il mondo (a
questo link, pag. 41, si trova un’esposizione
in italiano). Le serie storiche a disposizione su quel periodo coprono
16 paesi. Tutti registrarono una deflazione, ma solo in 8 vi fu una
depressione.
Conclusione di Atkeson e Kehoe (pag. 6): l’esperienza
storica insegna che “ci sono stati molti più periodi di deflazione con
crescita ragionevole che con depressione e molti più periodi di
depressione con inflazione che con deflazione”.
Gli autori fanno notare che dall’immediato dopoguerra
si è verificato un solo caso di deflazione: inGiappone.
Tuttavia crescita ed inflazione erano su un trend decrescente sin dagli
anni ‘60 e ’70, rispettivamente. Quindi è difficile attribuire alla
politica monetaria un fenomeno strutturale dipanatosi lungo 40 anni. Se
poi si attua un confronto internazionale, negli anni ‘90 la crescita del
Giappone fu in media dell’1,41%, non troppo diversa da quella
dell’Italia 1,61% (dove l’inflazione era sostenuta), o della Francia
1,84% dove rimase moderata.
Ad ogni modooggi
in Eurolandia l’inflazione annuale è bassa, non negativa,
con l’eccezione di Grecia e Cipro e in misura lieve in Spagna,
Portogallo e Slovacchia (insieme a paesi fuori della moneta unica, come
la Svizzera o la Svezia, di certo non in crisi). Pur adottando politiche
monetarie diverseEurolandia
e Usa hanno tassi di inflazione simili(idem
per i deflatori del Pil, nel 2013
rispettivamente 1,54% e 1,64%). La
frenata dell’inflazione finora deve molto al fatto che i prezzi delle
materie prime ristagnano, fenomeno per quale immagino nessuno si
dolga. Le previsioni e le aspettative insite nei rendimenti dei titoli a
reddito fisso indicano un’inflazione in risalita.
C’è però qualcuno a cui la bassa inflazione duole: i
governi e in parte alcune banche. Senza inflazione i debiti non vengono
erosi dall’illusione
monetariae
il torchio del fiscal
drag sui contribuenti si inceppa. Le tasse
non aumentano più senza dover sfidare l’impopolarità di aliquote
maggiorate e gli sprechi pubblici bisogna davvero ridurli, senza cortine
fumogene nominali. Ecco da dove si amplifica la grancassa della
deflazione sarchiaponica per continuare nei propri comodi, come faceva sul
treno lo scaltro personaggio della scenetta a danno dei gonzi.
ANCORA SU FISCAL COMPACT E SIX PACK
Tutto ha un limite. Persino laseveritàdi
Berlino e Bruxelles in fatto di bilanci pubblici. Unfiscal
compactche
davvero contemplassetagliannuali
per decine di miliardi di euro sarebbe la pietra tombale su qualsiasi
velleità di ripresa economica della zona euro. In realtà su questo
accordo messo in cantiere ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi e poi
siglato daMario
Montisonofiorite
interpretazioni inesatte che in alcuni casi sono sfociate inipotesida
far accapponare la pelle. Come quella
stando alla quale dovremmo fare50
miliardi di tagli ogni anno per vent’anni. Una
lettura attenta dei documenti suggerisce conclusioni piùprudenti:
la camicia di forza Ue – o la sana gestione dei conti, a seconda dei
punti di vista – potrebbe costarcitra
i 5 e i 7 miliardi di euro. Le
critiche sull’eccesso di austerità imposto da Bruxelles sono legittime.
Il continuo sovrapporsi e avvicendarsi di norme e trattati con dentro
regole complesse crea oggettivamente confusione. E’ però sbagliato
pensare che il fiscal compact, che saràapplicato
dal 2015e
produrrà effetti dal 2016, comporti stravolgimenti. Le nuove regole
possono diventare una zavorra, ma non una pietra al collo. Partiamo
dall’inizio: giuridicamente il fiscal compact è untrattato
internazionaleche
deve essere espressamente recepito dagli Stati membri. Non si tratta
cioè di un atto normativo dell’Unione europea che come tale entra
automaticamente (o quasi) nella legislazione nazionale. I contenuti sono
in sostanza quelli previsti dal cosiddetto “Six
Pack” della Commissione europea (il
pacchetto di misure entrato in vigore nel 2011): un sentiero di
riduzione deldebito
pubblicoin
eccesso e limiti ai deficit tarati sulle specificità dei singoli Paesi,
ma un po’ più severi rispetto alla semplice regola del 3 per cento.
La regola del debito–
E’ lospauracchiodi
molti commentatori, ma si tratta di un vincolo molto più morbido di
quanto possa sembrare. E, peraltro, già contemplato da tempo nei
trattati europei. I Paesi con un debito che supera il60%
del Pildevonoridurrela
parte eccedente diun
ventesimoogni anno fino a riportarlo
al di sotto di questa soglia. La regola può effettivamente generare
confusione e ha dato origine all’equivoco più grande. Siccome l’Italia
ha un debito di2.107
miliardi di euro, più del132%
del Pil, si è pensato che dovesse
ridurlo di circamille
miliardi(la
parte eccedente il 60%, appunto) di un ventesimo l’anno: i famigerati 50
miliardi. In realtà la diminuzione che interessa è quella delrapporto
tra il debito e il Pil, non del suo
valore assoluto. Ossia: se il Pil cresce, il debito può restare comunque
oltre i 2.100 miliardi (o persino salire) e in proporzione scendere
comunque. Non solo. Il valore del prodotto interno lordo da utilizzare
ai fini della regola del fiscal compact non è quello “reale”, di cui si
legge abitualmente sui giornali (per esempio: nel 2014 il Pil italiano
crescerà dello 0,7%) ma quellonominale,
cioè non depurato dagli effetti dell’inflazione. Per esempio, se in un
dato anno la crescita economica è pari allo 0,5% e i prezzi aumentano
dell’1% il Pil nominale crescerà dell’1,5 per cento. Questo offremargini
aggiuntiviper
ridurre il quoziente debito/pil senza tagli alla spesa. Ovviamente i
margini saranno più ampi in periodo di forte crescita economica e/o alta
inflazione, minori se, come accade ora in Italia, la crescita è
asfittica e l’inflazione è bassa. Inoltre, spiegaAngelo
Baglioni, economista dell’universitàCattolicadi
Milano, il ritmo di discesa del debito (il famoso ventesimo,ndr)
viene ricalcolato ogni anno sulla base del triennio precedente. Quindi,
se il debito inizia a scendere la quota da ridurre si assottiglia via
via: se ho un debito di 200 e lo riduco di un ventesimo arrivo a 190,
quindi l’anno successivo il ventesimo richiesto non sarà più 10, ma 9,5.
Inoltre, essendo calcolata come media annuale del triennio la riduzione
può essere nulla se si prevede che l’anno successivo sarà di un decimo.
Per farsi un’idea, si consideri che alcune simulazioni
hanno evidenziato come con un debito al 120% del Pil sarebbe sufficiente
una crescita nominale (Pil reale + inflazione) del 2,6% per ottenere
automaticamente una riduzione del debito pari al ventesimo richiesto dal
fiscal compact. Si tenga presente poi che tra il 2000 e il 2007 la
crescita nominale italiana è stata in media del 3,6% annuo. Prendiamo
per buone le stime dell’Fmi,
stando alle quali nel 2015 il Pil reale italiano salirà dell’1,1% e
l’inflazione dell’1 per cento. L’incremento del Pil nominale dovrebbe
essere quindi del 2,1 per cento. Mancherebbe quindi uno 0,5%-0,7% per
ottenere una crescita sufficiente ad abbattere il debito di un
ventesimo. Si parla insomma di7-10
miliardi di euro, ammesso che il gap
non venga compensato nei due anni successivi. Fin qui tutto bene, o
quasi. Che cosa succederebbe, però, in una situazione come quella del
2013, quando per effetto del calo del Pil reale e della bassa inflazione
il Pil nominale è addirittura arretrato? In teoria, ma solo in teoria,
una puntuale applicazione della regola comporterebbe effettivamente
esborsi nell’ordine didecine
di miliardidi
euro. Sono tuttavia previste una serie di circostanze attenuanti che
sospendono l’applicazione del vincolo in situazioni di particolare
difficoltà, precisaGiuseppe
Pisauro, economista dell’universitàLa
Sapienza. Tra queste tutti i fattori
che condizionano il ciclo economico e allontanano l’economia di un paese
dal suo potenziale di crescita.
Pareggio strutturale e deficit–
Le nuove regole europee in materia di bilanci pubblici ribadiscono il
limite del deficit al 3% del Pil ma aggiungono un nuovo parametro. Che
è, questo sì, lavera
novitàdel
fiscal compact. Si tratta del fatto che ildeficit
strutturalenon
deve superare lo 0,5% del Pil (l’1% per i paesi più virtuosi). Il
deficit strutturale è quello calcolato tenendo conto deglieffetti
del cicloeconomico:
per esempio considera se il calo delle entrate dello Stato o l’aumento
della spesa per sussidi di disoccupazione è temporaneo e legato a una
fase di crisi. Detto in altri termini, un Paese è in deficit strutturale
se le spese sono superiori alle entrate anche ipotizzando che l’economia
marci al massimo delle sue potenzialità. Qui però sorgono non pochi
problemi: quantificare l’ipotetica crescita potenziale è estremamente
complesso e non mancano gli elementi diarbitrarietà.
Un recente studio degli economistiStefano
Fantacone,Petya
GaralovaeCarlo
Milani pubblicato sulavoce.infoha
messo in luce come in tal senso stiano prevalendo orientamenti piuttostopenalizzantinei
confronti dell’Italia.
Le vere cifre–
In condizioni normali (dove per normale si intende una crescita nominale
del 2-2,5%) il pareggio strutturale, spiegano fonti dell’Unione europea,
è in linea di massima sufficiente per garantire il ritmo di riduzione
del debito richiesto dal fiscal compact. La regola sulla riduzione del
debito diventerà pienamente operativa dal 2016 e fino a quella data il
parametro che viene tenuto sotto sorveglianza è appunto ilpareggio
strutturale. Su questo fronte potrebbe
emergere qualche difficoltà. Dalla Ue non si sbilanciano su quello che
ciò potrebbe comportare in tema di aggiustamento dei conti (attraverso
tagli o nuove tasse) negli anni a venire. Ricordano però come, rispetto
a quanto previsto nell’ultima legge di stabilità, siano ritenuti
opportuni interventi aggiuntivi di aggiustamento pari allo 0,4 – 0,5%
del Pil, ossia tra i 5 e 7,5 miliardi di euro. SecondoFedele
De Novellisdel
centroRef
ricerche, le stime del governo
sull’evoluzione dei conti pubblici partono da due assunzioni molto
favorevoli ma contraddittorie. Si prevedono infatti sia un’accelerazione
dellacrescitaeconomica
siatassi
di interessesui
titoli di Stato a livelli bassissimi, anche per effetto delle misure
messe in campo dalla Bce proprio per sostenere la crescita. La vera
difficoltà, continua De Novellis, non è tanto quella di raggiungere il
pareggio di bilancio strutturale quanto il modo in cui ci si arriva.
Farlo mentre si cerca di abbassare lapressione
fiscaleè
ovviamente più complicato.
Le sanzioni–
Che cosa succede se un Paese non rispetta i vincoli di bilancio? In
teoria, se il debito in eccesso non scende può esseresanzionatoanche
se presenta un deficit “a norma” (entro il 3% del Pil). L’eventuale
avvio della procedura viene però deciso tenendo conto dei fattori che
influenzano il ciclo economico e valutando tre parametri: deviazione dal
Pil potenziale, riduzione rispetto ai tre anni precedenti, prospettive
per i tre anni successivi. Soltanto se lo Stato sotto esame è fuori dai
parametri da tutti e tre i punti di vista possono scattare le sanzioni.
Che devono comunque essere votate dalConsiglio
europeoe
precedute da una serie diavvertimenti.
Un iter barocco e tortuoso il cui esito rischia di essere quello della
montagna che partorisce il topolino.
Cina, la finanza ombra che droga la crescita
A quasi sette anni dal fallimento diBear
Stearns, la Sarajevo dellaGrande
Recessione, mentre l’economia globale arranca su un impervio
sentiero di normalizzazione, la coltre di silenzi ufficiali non riesce
a ovattare sussurri e grida provenienti dai grattacieli diShanghaie
dai corridoi di Pechino su un“sistema
bancario ombra”, composto da trust companies (fiduciarie)
opache, senza controlli e malgestite. Dato che i depositi bancari
offrono tassi irrisori perché compressi dalla Banca centrale, queste
fiduciarie promettono rendimenti allettanti in tempi di inflazione
persistente.
I fondi – raccolti da risparmiatori convinti di godere digaranzie
statali– spesso
finanziano palazzinari in bolletta, aziende pubbliche alla canna del
gas (ad esempio miniere di carbone o acciaierie) e direttamente o
indirettamente autorità locali disinvolte. Sul fenomeno governo e
Banca centrale avevano sostituito saracinesche alle palpebre,
illudendosi che la crescita impetuosa, a cui le fiduciarie fornivano
propellente, avrebbe mondato le conseguenze nefaste. In cinque,
ruggenti, anni il
debito totale in Cina, secondo l’agenziaFitch,
si è gonfiato fino a raggiungere il 220 per cento del Pil a fine 2013,
dal 130 per cento nel 2008, un aumento che in valore assoluto
risulta pari all’intero settore bancario degliUsa.
Metà di questo aumento andrebbe attribuito allafinanza
ombra.
Purtroppogli
steroidi macroeconomicida
investimenti sballati (pubblici o privati) si sciolgono sempre in una
valle di lacrime e laCina
del laissez-faire comunistanon
fa eccezione. Persino ilFmi(di
solito tenero con la Cina) ha avvertito che gli attivi marcescenti
vanno rimossi e le catene di Sant’Antonio spezzate. Le autorità da
qualche mese hanno intrapreso l’ingrato compito. Seguendo il
dettato maoista sul colpirne uno per educarne cento hanno
lasciato fallire alcuni pesci piccoli, effetti scenici ribattezzati
“Potemkin defaults” dalle avanguardie della blogosfera che hanno
sostituito quelle del proletariato. Glisquali
grossiinvece
vengononeutralizzati
con cautelae
circospezione attraverso salvataggi coordinati, ad evitare un corto
circuito stileLehman.
Inoltre i nuovi investimenti nelle trust companies non possono essere
più utilizzati per pagare i rendimenti di quelli vecchi e ad ogni
investitore va assegnato un conto segregato che fornisca dettagli
sulle singole esposizioni piuttosto che il riferimento opaco ad un
portafoglio di titoli malamente assemblato.
Questo desiderio di ramazza però confligge con un
vincolo psico-politico pavloviano. Appena lacrescita
del Pilsi sgonfia
verso il 7% per cento (cifra ufficiale, quella reale sarebbe sotto il
5) ai ministri cinesi appare minaccioso lo
spettro delle rivolte.Quindi
parte un’altra ondata di credito allegro che genera altri prestiti
dubbi, altri immobili vuoti, altra capacità industriale
obsoleta, altre infrastrutture costose. A fine 2013 si stimava a 1800
miliardi di dollari il totale degli attivi delle fiduciarie. Per
quanto la cifra sia astronomica, la Cina, oltre a misure emergenziali
di politica monetaria, mantiene riserve valutarie per 4 mila miliardi
di dollari e potrebbe in teoria affrontare una crisi di questa
portata. Ma il grosso di queste riserve sono detenute in titoli del
debito pubblico Usa. Se da Pechino a New York può deflagrareil
battito d’ali di una farfalla, figuriamoci una tale batosta.
La riscossa di Grecia e Portogallo:
Atene in surplus, Lisbona torna sui mercati
L'economia ellenica ha anticipato i target di avanzo primario, con 1,5
miliardi nel 2013. Lisbona emette bond decennali al 3,5% di rendimento,
raccogliendo una grande domanda e spianando la strada all'uscita dal
piano di salvataggio, prevista per il 17 maggio
MILANO- Conti
pubblici in miglioramento e riconoscimento internazionale, attraverso il
test delle aste di titoli di Stato. Le economie "salvate" di Grecia e
Portogallo fanno passi avanti in direzione della normalizzazione, se
così si può definire quella dei mercati finanziari. Resta infatti
tesissima la situazione sociale, con i principali indicatori (dal crollo
dei consumi al volo della disoccupazione) a dimostrare quanto la
popolazione viva ancora i lacci della crisi economica.
Ma oggi si registra una doppietta di notizie incoraggianti, sia da Atene
che da Lisbona. La Grecia è riuscita a raggiungere un avanzo primario
(esclusi gli interessi sul debito e gli oneri una tantum) nel 2013 pari
a 1,5 miliardi di euro. Lo ha annunciato ad il vice ministro delle
Finanze, Christos Staikouras. La Commissione europea ha, poi, confermato
questa informazione parlando di "un avanzo primario dello 0,8% del Pil".
"Sono trascorsi esattamente quattro anni da quando il Paese ha richiesto
il salvataggio" ha osservato il ministro nel corso di una conferenza
stampa "e la Grecia è riuscita oggi ad avere un avanzo primario prima
delle stime che sono state fatte. Gli sforzi del governo sono stati
riconosciuti e anche i sacrifici del popolo greco".
I creditori internazionali di Atene, rappresentati Talla troika (Ue, Bce
e Fmi), avevano affermato che un avanzo primario della Grecia avrebbe
dato al Paese il diritto di procedere ad un ulteriore sollievo del peso
del debito. Le discussioni in merito
tra governo e creditori dovrebbero concludersi nella seconda metà del
2014. Molti analisti si aspettano che l'Eurozona possa abbassare i tassi
di interesse che la Grecia paga sui prestiti ricevuti o che ad Atene
possa essere concesso più tempo per onorare gli impegni con i creditori.
Altre notizie di distensione arrivano dal Portogallo: ha collocato
titoli decennali per 750 milioni con tassi di interesse al 3,575%, alla
sua prima emissione a lungo termine regolare, senza un sindacato di
banche, dal piano di salvataggio finanziario nel 2011. L'operazione,
caratterizzata da una forte domanda degli investitori (per 2,6 miliardi)
e tassi ai minimi da otto anni, è stato un test cruciale nei mercati in
vista della conclusione, il 17 maggio, del piano di salvataggio
negoziato tre anni con l'Unione europea e il Fondo monetario
internazionale. Certo, a favore di questo successo gioca anche la
sovrabbondanza di liquidità in cerca di rendimenti sul mercato. Ma
intanto Lisbona incassa il dividendo dei suoi piani lacrime e sangue.
Boeri e Zingales: un po’ debolucci in storia economica o matematica
Boeri e Zingales: un po’ debolucci in storia economica o matematica
L’articolo di Tito Boeri “Quanto costa uscire dall’euro” su la
Repubblica di lunedì scorso (7-4-2014 pag. 1 e 23) s’è subito
attirato i giusti strali di Alberto
Bagnai.
Ma a ben vedere non c’è solo l’assurdità di presentare come
monetizzazione deldebito
pubblicol’emissione di assegni circolari o addirittura bancari.
Come con le ciliege, qui un errore ne tira l’altro. Scrive infatti
Boeri:
“…abbondiamo di esempi storici di monetizzazione del debito. Basti
pensare ai mini-assegni sul finire degli anni ’80 scambiati in fretta e
furia prima che perdessero valore, un surrogato di una moneta che ogni
giorno vedeva erodersi il proprio potere di acquisto, con un’inflazione
a due cifre”.
Ebbene:
1. Non è vero che a fine anni ’80 l’inflazionefosse
a due cifre prima della virgola: era a una sola, per es. al 4,5% nel
1987 o al 7% nel 1989; e rimase anche dopo sotto il 10%;
2. I miniassegni non circolarono allora, bensì dieci anni prima negli
anni 1976-77.
3. Non erano surrogati di una moneta che vedeva erodersi ilpotere
d’acquisto, bensì semplicemente delle monete metalliche da 50 e
100 lire, in numero insufficiente;
4. Non vennero scambiati “in
fretta e furia”, ma versati tranquillamente in banca all’arrivo di
monete in misura sufficiente nel 1978-79 (salvo quelli conservati dai
collezionisti, vedi tre
esempi).
Certo che questi sommi economisti, onnipresenti sulla carta stampata o
in televisione, potrebbero fare un po’ più d’attenzione. VediLuigi
Zingalesche –
sempre riguardo all’uscita dall’euro – affermava riguardo al debito per
esempio della societàTerna:
“Siccome la lira si svaluterebbe del 30-40% rispetto all’euro, questo
equivarrebbe a un aumento effettivo del debito di Terna del 30-40%” (l’Espresso,
5-5-2012 pag. 35).
Ebbene no, l’aumento sarebbe del 43-66%, che fa già una certa
differenza. Se la valuta A perde il 40% rispetto alla valuta B, dopo ce
ne vuole dopo il 66% in più per comprare la stessa quantità di B. Lo si
capisce subito pensando a una perdita del 50%: dopo ce ne vuole il
doppio ovvero in 100% e non solo il 50% in più.
di Beppe Scienza
La paralisi deflattiva della BCE guida Italia, Francia e Spagna
nelle trappole "morse" del debito Movimento 5 Logge alla luce del sole
DaThe
Telegraph del 2 aprile 2014
La paralisi deflattiva della BCE guidaItalia,
Francia e Spagna nelle trappole del debito.
Francoforte potrebbe in qualsiasi momento rimettere in carreggiata
l'euro, mostrando una ferma volontà di reagire alla situazione attuale,
ma ha scelto di non farlo.
E la Banca Centrale Europea gliel'ha consentito. Negli ultimi cinque
mesi,la
deflazione è avanzata a un tasso annuo pari a -1.5%nell'Eurozona,
in conseguenza delle tasse imposte dalle misure di austerity.
In base ai miei calcoli approssimativi (annualizzati), partendo dai dati
mensili di Eurostat, da settembre i prezzi sono calati al ritmo del 6.5%
in Grecia, del 5.6% in Italia, del 4.7% in Spagna, del 4% in Portogallo,
del 3% in Slovenia e quasi del 2% in Olanda.
Il rialzo dell'euro rispetto a dollaro, yen, yuan e alle valute di
Brasile, Turchia e paesi asiatici in via di sviluppo, è in parte
responsabile di questa deflazione importata. Il trade-weighted index di
Eurolandia è salito del 6% in un anno.
Ma questa non può essere una scusante: si tratta di unaconseguenza
diretta della politica monetaria della BCE.
Francoforte potrebbe in qualsiasi momento rimettere in carreggiata
l'euro, mostrando una ferma volontà di reagire alla situazione attuale.
Ha scelto di non farlo, nella speranza che qualche parola di pace
pronunciata senza convinzione possa in qualche modo invertire la
tendenza globale.
È arduo stabilire quale sia il punto in cui la deflazione si inserisce
nel sistema. Dalla metà del 2012, i prezzi alla produzione si sono
notevolmente ridotti e la tendenza si è velocizzata a febbraio,
raggiungendo una percentuale pari a -1.7%:il
declino più vertiginoso dalla crisi Lehman.
Ma questa volta non si tratta della diretta conseguenza di un crac
finanziario: il fenomeno è cronico, e più insidioso.
Il professor Luis Garicano, della London School of Economics, ha
affermato che i modelli economici utilizzati per prevedere l'inflazione
appaiono fuorvianti e comportano una serie di errori di valutazione. "Sono
necessari interventi molto seri,"
ha dichiarato.
Laurence Boone e Ruben Segura-Cayuela, della Bank of America, affermano
che il loro indice di "sorpresa
inflattiva"
continua a scendere man mano che l'eurozona viene scossa dauno
shock dietro l'altro,
mentre il loro misuratore della "vulnerabilità
deflazionistica"
ha cominciato a lampeggiare in rosso per la maggior parte dei paesi
della UEM.
L'effetto è pesantemente corrosivo, anche se la regione non è mai
entrata in deflazione tecnica. La “lowflation”
(bassa inflazione), vicina allo 0,5%, può scombinare le traiettorie del
debito, se prolungata, portando nuovamente l'Europa verso una crisi
debitoria. "La
più pericolosa minaccia per le dinamiche del debito pubblico è
un'inflazione inferiore alle aspettative. Anche solo un'inflazione più
bassa del previso, non una deflazione, comporterebbe un significativo
deterioramento delle finanze pubbliche dei paesi”,
ha affermato.
Secondo la banca, una “lowflation”
prolungata potrebbe provocare un aumento dei rapporti di indebitamento
entro il 2018, il che comporterebbeun
aumento di 10 punti percentuali del debito sul PILin
Francia (105%), di 15 in Italia (148%), e di 24 punti in Spagna (118%).
Questi paesi hanno di fronte un'impresa di Sisifo: qualsiasi risultato
ottengano dall'austerità verrà sbaragliato dalla forza maggiore della
deflazione del debito. Lo stesso "effetto
denominatore”
– con il peso del debito che aumenta più velocemente del PIL nominale –
ingolferà anche il settore privato, che è ancora il tallone di Achille
in Spagna, Portogallo e Irlanda.
Secondo Moody's , la "bassa
inflazione"
(dallo 0.5 all'1% fino al 2018) "rinnoverebbe la preoccupazione sulla
sostenibilità del debito”, serrando lamorsa
sulle famiglie e sulle aziende con debiti a tasso fisso.
Eroderebbe, inoltre, gli asset bancari, comportando nuovi fallimenti
delle banche, e colpirebbe gli assicuratori sulla vita per discrepanze
sulle scadenze. "Evitando
una decisa deflazione non si proteggerà completamente l'eurozona da uno
shock: la combinazione di bassa crescita e bassa inflazione ha un
impatto significativo su tutti i settori dell'economia",
ha affermato.
Secondo l'affermazione di Reza Moghadam, del Fondo Monetario
Internazionale, anche l'inflazione allo 0.5% minaccia di "soffocare
la nascente ripresa"
dell'Europa. Aggrava, inoltre, il divario nord-sud, rendendo ancora più
difficile al Club Med il recupero della competitività persa. Gli stati
indebitati dovranno apportare svalutazioni interne ancora più drastiche
per riguadagnare terreno, ma ciò spingerà in alto i loro rapporti di
indebitamento. "Ogni
punto di aggiustamento relativo dei prezzi dovrà essere perseguito a
costo di una maggiore deflazione del debito",
ha dichiarato.
“Un'inflazione
molto bassa può avvantaggiare importanti segmenti della popolazione,
principalmente i risparmiatori netti, ma nel contesto odierno dei
problemi dovuti al diffuso indebitamento, va a detrimento della ripresa
dell'eurozona, soprattutto nei paesi più fragili, dove vanifica gli
sforzi per ridurre il debito",
ha affermato.
Una volta compreso questo aspetto fondamentale, e cioè che “vanifica”
gli sforzi per controllare il debito, la spettacolare idiozia della
politica dell'UEM diviene palese.L'austerity
così concepita è controproducente.
Il fallimento principale è stato il rifiuto della BCE di
controbilanciare le conseguenze della contrazione con uno stimolo
monetario sufficiente per fare in modo che il PIL nominale crescesse più
rapidamente dello stock del debito in Italia, Francia, Spagna,
Portogallo e Grecia, ma non solo in questi paesi.
Ancora una volta, la BCE avrebbe potuto agire in modo diverso, ma ha
scelto di non farlo perché ciò avrebbe consentito che la sua politica
monetaria venisse contaminata dai giudizi su rischi morali che esulano
dal suo ambito, dalle dottrine premoderne delle banche centrali o dalla
paura di quello che potrebbe dire o non dire la Germania.
Il suo fallimento è evidente soprattuttoin
Italia, dove il debito è saltato dal 119 al 133%dal
2010, malgrado la stretta fiscale draconiana e un avanzo primario di
bilancio. Il premier rockstar Matteo Renzi ha preso possesso della sua
carica come un ciclone, portando un New Deal dei primi 100 giorni che ha
stracciato il copione dell'austerità, rischiando il tutto per tutto con
le riforme dal lato dell'offerta e una scossa fiscale per far partire la
crescita.
Antonio Guglielmi, di Mediobanca, ha riferito che i mercati stanno
scommettendo che Renzi possa essere un "catalizzatore
di discontinuità"
capace di tirare fuori l'Italia dall'apparentemente implacabile trappola
della bassa crescita, attivando un circolo virtuoso cha alla fine possa
aumentare il limite di velocità dell'economia e tagliare i rapporti di
indebitamento. Ma anche questoscommettitore
fiorentinoalla
fine può fare ben poco contro la follia granitica della costruzione UEM.
Mediobanca ha dichiarato che la sua missione ultima di salvare l'Italia
è destinata al fallimento se la BCE non lancerà un Quantitative Easing
per impedire la deflazione del debito, e se dovrà adempiere al Fiscal
Compact dell'UE, costringendo così il paese a un surplus primario di
bilancio del 6% del PIL per il prossimo anno. Secondo la banca, "Spetta
a Renzi dare un messaggio chiaro e deciso a Francoforte
sull'alleggerimento dell'austerità".
Scopriremo giovedì se la BCE è pronta ad affrontare la questione delQE,
o qualsiasi altra questione. I prestiti alle imprese si stanno
contraendo al ritmo del 3%.La
BCE ha mancato il suo obiettivodi
inflazione del 2% per 150 punti base, e continuerà a mancarlo di
parecchio nel 2015 e nel 2016, in base alle sue stesse previsioni. Si
potrebbe dire che stia violando pesantemente il suo mandato, per non
parlare dei più vasti obblighi del Trattato per sostenere la crescita e
gli obiettivi economici dell'Unione, ma ancora se ne sta con le mani in
mano.
I critici hanno evidenziato che da anni la crescita dell'aggregato M3
tedesco si attesta costantemente tra il 4 e il 5% all'anno, ma non
riescono a dire che la BCE imposta la sua politica monetaria
esclusivamente sugli interessi di un paese, indipendentemente dal grado
di devastazione degli altri paesi, devastazione che ora sta toccando
anche Finlandia e Olanda. Se gli altri governatori sono così inerti o
intimiditi dalla supremazia della Bundesbank da sopportare tutto questo,
allora si meritano questo destino.
Forse ci sarà un leggero taglio dei tassi di interesse, o un tasso
negativo sui depositi, o la fine dello sterilizzazione degli acquisti di
obbligazioni; o un po' di polvere negli occhi che arriva con un anno di
ritardo, che sarà gravemente insufficiente e che non farà alcuna
differenza. Quando la deflazione si velocizza, ci vogliono iniziative
più radicali per gestirla. Jens Weidmann, dalla Bundesbank, ha aperto le
porte al QE in modo davvero tiepido, apparentemente per ragioni
tattiche, ma le conseguenze politiche di una simile azione sono davvero
punitive in Germania.
La Bundesbank non ebbe voce in capitolo nel piano di salvataggio della
BCE del 2012 (OMT),
ma la Germania sì, e tale circostanza spesso non è ben non compresa
dagli analisti anglosassoni. Lo schema è stato progettato di concerto
con il ministro tedesco delle finanze, con il pieno supporto della
Cancelliera Angela Merkel. A una cena privata tre settimane prima dell'OMT,
ho udito un alto funzionario tedesco dichiarare che "non
vola una mosca nell'eurozona senza l'approvazione di Berlino",
e non ho dubbi che ne fosse convinto. Così funziona l'UEM. Non ci sono
segnali che lascino pensare che la signora Merkel sia pronta per un QE.
La BCE insiste nel dire che l'ultimo calo dell'inflazione sarebbe dovuto
alla diminuzione dei costi dell'energia, e che pertanto sarebbe
transitorio. Si tratta di un alibi sospetto. La BCE ha dimostrato
l'opposto nel 2008, alzando i tassi in uno shock petrolifero basato
sull'affermazione secondo cui gli effetti dell'energia non sarebbero
passeggeri.
In ogni caso, alcuni dei principali analisti energetici mondiali
affermano cheil
prezzo del petrolio ha appena iniziato a scendere,
visto l'aumento della produzione di greggio. La produzione dell'Iraq ha
raggiunto il suo massimo da 35 anni. Le esportazioni della Libia
saliranno quando le milizie ribelli termineranno il blocco. Gli Stati
Uniti potrebbero aggiungere 1 milione di barili al giorno per quest'anno,
toccando gli 11 milioni. Un calo a 80 dollari del prezzo del barile
sarebbe un toccasana per i redditi reali che sono in calo in mezza
Europa, ma potrebbe anche liberare “aspettative
inflattive”,
un effetto simile a quello che colpì il Giappone negli anni '90.
I timori per la deflazione in Europa si placherebbero se fosse vero chesiamo
giunti all'apice di un nuovo ciclo di crescita economica globale.
Se ciò sia vero, proprio mentre Cina e Stati Uniti si avvicinano, rimane
da vedere. "Potremmo
avere di fronte a noi anni di crescita lenta e inferiore alla attese",
ha dichiarato questa settimana Christine Lagarde del FMI.
"Il
rischio è che, senza una sufficiente ambizione politica, il mondo possa
cadere in una trappola di bassa crescita a medio-lungo termine. L'area
dell'euro ha bisogno di altro monetary easing, anche attraverso misure
non convenzionali".
Potremmo anche essere vicini alla fine di un ciclo quinquennale globale,
che Eurolandia ha ampiamente mancato a causa dei suoi errori. Se così
fosse, la regione è solo a un passo dal precipitare in una piena
deflazione, che porterà matematicamente l'Italia e altri paesi verso
l'insolvenza, velocizzando una crisi del debito sovrano troppo grande
per essere arginata. È una scelta politica.Ci
sono ventiquattro uomini e donne che vogliono che tutto questo accada."
Ambrose Evans-Pritchard
Microsoft, scade il sistema operativo Xp
Panico nella pubblica amministrazione
Dall'8 aprile non ci saranno più aggiornamenti automatici del
software. La paura è che migliaia di computer diventino vulnerabili
ai virus. A rischio soprattutto ministeri, comuni e ospedali. Ma
anche le famiglie...
La data da segnare in rosso sul calendario è martedì
8 aprile. Da quel giorno il sistema operativo Windows XP non avrà
più aggiornamenti automatici. Con la paura evidente che migliaia di
computer diventino, nel giro di una notte, vulnerabili ai virus: la
stima del rischio è difficile, ma è facile immaginare che un sistema
che perde il supporto della casa madre non avrà più protezione
contro falle di sicurezza scoperte in futuro.
Il software lanciato da Microsoft nel lontanissimo
2001 è di un’altra era tecnologica, ma resta uno dei più diffusi in
Italia, specialmente tra le imprese e nelle famiglie. Un parco pc
aziendale con un sistema operativo ormai datato e superato, che
nella pubblica amministrazione ha raggiunto la più alta diffusione:
quasi l’80 per cento degli uffici hanno installato questo sistema
operativo. Xp, nonostante lo sviluppo iniziato alle fine degli anni
novanta, domina nei ministeri e nei comuni ed è usato da molti
ospedali per gestire macchinari di analisi e terapia. Gli attacchi
alla privacy e al sistema dei pagamenti è lo scoglio da superare per
garantire la sicurezza ad Asl, ospedali e regioni che ogni giorno
smistano milioni di dati sensibili.
UN ALTRO MILLENNIUM BUG?
«Dal 9 aprile ci sarà indubbiamente un rischio
maggiore. Gli hacker si sono già dati appuntamento perché è questo è
il momento da sfruttare», spiega Paolo Lezzi, esperto di sicurezza
informatica e capo di Maglan Europe, multinazionale israeliana
specializzata in materia di information security: «Ci aspettiamo una
concentrazione di attacchi perché durante questa migrazione sono più
vulnerabili».
Una chiamata alle armi via Web con obiettivo le work
station di Xp. Sono il ventre molle dell’infrastruttura tecnologica,
perché attaccando anche una sola postazione la si può usare come
testa di ponte per distribuire un codice malevolo, mettendo fuori
uso l’intero sistema di raccolta dati.
I cyber malintenzionati possono sfruttare l’occasione
per prendere il controllo dei macchinari con poche mosse. La
pubblica amministrazione ha difese standard: sono i Municipi di
dimensione maggiore e la sanità che rischiano di più. È un
potenziale nuovo Millennium bug (il difetto informatico scatenato
dal cambio di data al capodanno del 2000 con il possibile crac mai
avvenuto), con le società di protezione che sfruttano il momento
moltiplicando gli annunci per rinforzare le difese: «Esistono oltre
venti vulnerabilità non risolte da Microsoft e altrettante
potrebbero saltare fuori con il pensionamento», conclude Lezzi.
«Abbiamo una politica standard di assistenza che dura
10 anni - commenta Claudia Bonatti, direttore di Windows Client di
Microsoft Italia - la fine di questo glorioso sistema si conosceva
da tempo e per tempo abbiamo fatto partire l’avviso grazie ad un
sito ad hoc (windowsxp.it), un numero di telefono e formando più di
400 partner. Purtroppo gli enti locali hanno una gestione di budget
“complicata”: la migrazione in sé ha dei costi ma se valuto i
benefici mi ripago tutto in un anno».
I processi di migrazione dal vecchio al nuovo sono
complessi e la domanda di partenza è sempre la stessa: l’hardware
potrà supportare un sistema nuovo? Le soluzioni adottate sono
diverse. Ecco cosa succederà a Milano e Genova.
PALAZZO MARINO CORRE AI RIPARI
A Milano sono cinquemila i computer che il Comune ha
deciso di sostituire al più presto, per evitare disservizi negli
uffici e rischi per la privacy dei cittadini. Sono tante le macchine
che funzionano con il vecchio sistema prossimo alla pensione e solo
ora si è deciso di programmarne la sostituzione.
«Circa metà dei computer installati negli uffici
comunali montano sistemi operativi Windows 7 o superiori –
confermano dalla direzione generale di Palazzo Marino, responsabile
per i sistemi informativi - la sostituzione delle altre cinquemila
macchine è in corso e sarà completata in tre mesi».
Meglio cambiarli che aggiornali: la soluzione più
economica rispetto all'adeguamento delle vecchie macchine agli
standard necessari per l'installazione di Windows 8. Perché nel
frattempo è cambiato il mondo informatico e ora le nuove postazioni
si comprano con poche centinaia di euro. Gli ultimi bandi per
l'acquisto di modelli base sono stati assegnati a 219 euro per
pezzo. Però cinquemila computer sono tanti. E non risulta che il
Comune avesse previsto nell'ultimo bilancio questa spesa aggiuntiva
da 1,1 milioni di euro, più l'aggiornamento dei software collegati:
da quelli per la contabilità fino a quelli per la gestione delle
multe.
In queste ore gli uffici dei Servizi informativi
stanno verificando la compatibilità dei software in uso con il nuovo
sistema operativo che andrà installato. Per ora l'indagine sembra
dare risultati "non buoni". Il software che fa funzionare la
macchina comunale è obsoleto, al punto che per i cittadini con
sistemi operativi nuovi (Windows 7 o superiore) è spesso impossibile
autenticarsi sul portale del Comune. Mentre il mondo cambiava con
l’arrivo del wi-fi, smartphone e cloud nessuno si accorgeva che la
macchina comunale rimaneva indietro.
CHI PRIMA CAMBIA
A Genova l’azienda ospedaliera universitaria San
Martino è un centro di riferimento in Italia per la ricerca
oncologica e una dei più grandi ospedali italiani con oltre 5 mila
dipendenti.
Nei reparti di questa città nella città ligure
(100mila ricoveri all’anno e 12 chilometri di strade interne) sono
installati circa 2.500 computer e 10.000 identità digitali diverse.
Per superare le complessità di un parco hardware estremamente
disomogeneo ed obsoleto, con alti costi di manutenzione e bassa
sicurezza, già nel 2010 si è deciso di abbandonare XP a favore del
più moderno Windows 7 Enterprise.
«Grazie alla migrazione a un sistema operativo
moderno, abbiamo ottenuto significati vantaggi in termini di
efficienza, continuità e qualità del servizio reso ai nostri utenti
e cittadini. Abbiamo aumentato il numero di macchine installate in
rete ed il livello di qualità e sicurezza del servizio, riducendo le
spese annuali di circa 100.000 euro grazie a meno guasti e pochi
interventi per la manutenzione» dice Dario Padrone, direttore dei
sistemi Informativi del San Martino.
Ancor più importante è migliorata la qualità dei
servizi diagnostici, il sistema di gestione dei laboratori e delle
varie radiologie e il Pronto Soccorso che accoglie 80 mila cartelle
cliniche ogni dodici mesi. Qui i lungimiranti sono partiti per tempo
e il 9 aprile non sarà un incubo.
La resilenza da Bristol, un nuovo modo di fare "resistenza" abbandonando
i canovacci novecenteschi. Il voto in ciò che si compra, l'attacco
all'economia corporate "neo-cons",lo smantellamento dei grossi gangli a
favore del tessuto connettivo locale.
Ciao, sono Rob Hopkins, uno dei fondatori del movimento “Transition
Town Transition Network”.
Uno dei progetti che abbiamo in atto è proprio la Transition Town, la
Totnes. Sono a Milano per un paio di eventi che hanno a che fare con
Transition.
Transition è un processo bottom up, parte dal basso verso l’alto per
rendere la comunità locale resiliente. Non è un movimento politico, non
è una cosa di destra odi sinistra, non è verde, non è contro la crescita
né a favore della crescita, ma mira semplicemente a coinvolgere tutte le
persone, la popolazione locale, nel creare questa forma di resilienza
come forma di sviluppo economico.
Come forma di sviluppo abbiamo la creazione di società energetiche, di
piccole società agricole, l'agricoltura urbana, il tentativo di
rivitalizzare a livello locale le comunità, dare supporto a agli
imprenditori locali. Nella città di Bristol, una delle Transition Town,
c’è la valuta locale, hanno fatto laSterlina
di Bristolcon
il supporto dell'amministrazione comunale.
Se la crescita globale e globalizzata andava bene per il ventesimo
secolo, quando c’erano combustibili fossili a basso prezzo, ora non è
più fattibile,bisogna
utilizzare la resilienza e far sì che siano le persone normali a fare
accadere il cambiamento.
Io viaggio per tutto il mondo e vedo che queste cose stanno accadendo.
I governi possono fare delle cose, le aziende e le imprese possono farne
altre, ma per superare la crisi ci vuole la gente normale, che
rappresenta la grande riserva di risorse, di energia, non sfruttata.
Uno dei progetti realizzato recentemente da Transition Network è “The
New Economy in Twenty Enterprises”,
la nuova economia in venti imprese. Abbiamo mappato tutto il territorio
del
Regno Unito e scelto venti imprese rappresentative dell’economia di
transizione, che potevano essere replicate ovunque, non dipendenti
perciò da una particolare situazione geografica o altro.Abbiamo
scelto una banca della comunità, la comunità che aveva la propria
valuta, piuttosto che il proprio sistema di trasporti, gestito dalla
comunità, l’agricoltura, le aziende agricole della comunità,fonti
energetiche, etc.. Alcune di queste iniziative nascono e si sviluppano
in modo del tutto spontaneo, la differenza che fa Transition è creare un
collegamento tra tutte queste cose.
Infatti dalla natura, dall’ecologia, abbiamo imparato che la cosa
potente è il collegamento tra i vari elementi che vanno così a formare
un sistema.Transition
fa questo:tesse
il tessuto che collega l’economia locale consentendo a queste iniziative
di parlare le une con le altre facendo sì che la resilienza della
comunità diventi una forma di sviluppo economico.
Transition è nata nel Regno Unito nel 2005, e da allora si è diffusa in
tutto il mondo, siamo presenti in 44 paesie
ci sono migliaia di iniziative Transition in tutto il mondo, che è un
movimento che si auto-organizza, nel senso che noi non siamo come un
franchising della Coca Cola, che è sempre uguale ovunque esso si trovi,
il nostro modello è diverso a seconda di dove nasce. C’è un movimento
Transition, un’organizzazione,un
Network Transition anche in Italia,
che è stato uno dei primi posti a replicarlo, con grande successo,nel
paese di Monte Veglio,
in provincia di Bologna.C’è questa storia molto positiva, dove
l’amministrazione locale ha promulgato una risoluzione per rendere il
paese più resiliente, quindi esiste Transition Italy, se c’è qualcuno
che sta ascoltando ed è interessato sappiate che ci sono a disposizione
possibilità di training, di collaborare a dei progetti,c’è
una rete molto attiva, molto vitale, in Italia,
cui ci si può collegare se si è interessati a Transition.
Spesso pensiamo che il cambiamento possa accadere soltanto attraverso le
proteste, i picchetti con i cartelli, le dimostrazioni, etc., e
sottovalutiamo quello che è il potere di ritirare il nostro supporto a
ciò che non ci piace.
C’è un movimento negli Stati Uniti che si chiamaDivest,
cioè disinvestite, che invita e incoraggia a disinvestire dal
combustibile fossile per investire invece nelle rinnovabili.
Si può disinvestire in un modo molto semplice,
cioè con la spesa che facciamo ogni giorno, invece di fare delle scelte
di acquisto che vanno a privilegiare l’economia corporate, quella delle
grandi aziende, si scelgono prodotti che stimolano la resilienza locale,
una economia locale, più inclusiva.
Oogni giorno possiamo scegliere dove depositare i nostri risparmi, se
dare supporto alle aziende locali o meno.
Ho letto, per esempio, che negli Stati Uniti, prima che scoppiasse la
guerra con l’Iraq,l’amministrazione Bush aveva previsto, le
dimostrazioni, ma era anche altrettanto sicuro che questa protesta non
si sarebbe tradotta in cambiamento di modello del consumo, infatti non
le persone non hanno smesso di comprare benzina.
Quindi il sistema è concepito proprio per lasciare sfogo a questo
rumore, a queste dimostrazioni, perché tanto questo non corrisponde a un
cambiamento delle azioni delle persone.
Oggi dare supporto all’economia locale rappresenta una delle scelte più
radicali che si possano fare.
Dopo lo smantellamento di tre impianti dell'ex polo di Tanzi, il gruppo
transalpino che controlla le filiere ha dato il via a una nuova
razionalizzazione degli stabilimenti
Il muro delle Sparkassen tedesche:417 CASSE DI RISPARMIO LOCALI CHE
TRATTENGONO 1000 MILIARDI DI EURO FUORI CONTROLLO BCE, DI QUESTI , 67
MILIARDI SONO ANDATI A COPRIRE I BUCHI DELLE LANDESBANKEN SPROFONDATE
SOTTO I COLPI DEI SUBPRIME
contro una piena unione bancaria
La Germania è riuscita a tenere le sue 417 casse locali, di proprietà
pubblica, fuori dai meccanismi di supervisione della Bce. Ma nel complesso
questa rete di istituti ha attivi per mille miliardi. Trascurata così la
lezione delle Landesbanken, le casse regionali: per salvarle Berlino ha
speso più soldi (67 mld) di quelli a disposizione dell'intero fondo di
salvataggio Ue
Tango bond, l'Argentina a New York
cerca l'intesa con i fondi,
VERSO IL SECONDO DEFAULT IN 15 ANNI???
Il ministro dell'Economia, Axel
Kicillof, è negli Usa per
incontrare Daniel Pollack, lo "special
master" nominato
dal giudice per seguire la
trattativa sul pagamento di 1,3
miliardi di dollari agli hedge
fund che non hanno accettato la
ristrutturazione del debito
MILANO - Il ministro argentino
dell'Economia, Axel Kicillof è
arrivato a New York con una
delegazione ufficiale per
incontrare Daniel Pollack, lo "special
master" nominato dal giudice
Thomas Griesa per seguire la
trattativa sul pagamento di 1,3
miliardi di dollari agli hedge
fund che non hanno accettato la
ristrutturazione dei bond
argentini. La Corte Suprema
americana, però, ha dato ragione
ai fondi obbliganto l'Argentina a
pagare.
Secondo fonti ufficiali citate
dalla stampa di Buenos Aires,
Kicillof non avrà incontri diretti
con gli hedge fund - che il
governo definisce "fondi
avvoltoio"- nè presenterà
un'offerta di pagamento a Pollack,
bensì confermerà la volontà del
suo governo di arrivare a un
accordo "giusto, equo e legale"
che soddisfi le esigenze del 100%
dei detentori di bond, che abbiano
o no accettato il concambio e
spiegherà la difficili situazione
nella quale è rimasto dopo la
sentenza di Griesa.
Il giudice, infatti, ha respinto
la richiesta argentina di pagare
solo gli obbligazionisti che hanno
aderito agli swap e ha esortato il
governo a trattare con gli hedge
fund. Per l'Argentina adesso è
cominciato un conto alla rovescia
che potrebbe portarla a nuovo
default sul suo debito sovrano:
entro il prossimo 31 luglio deve
pagare oltre 800 milioni di
dollari ai detentori di bond che
hanno accettato il concambio,
ma Griesa ha bloccato qualsiasi
pagamento finchè non si arriverà a
un accordo con i hold out. Il
giudice ha, inoltre, sequestrato i
fondi depositati da Buenos Aires
presso la Mellon Bank di New York
per pagare gli obbligazionisti.
Con quasi 29 miliardi di dollari
in riserve estere, Buenos Aires
dovrebbe essere in grado di
onorare il suo debito; ma non si
tratta di soldi facili da
utilizzare. Alcuni di questi fondi
sono infatti depositati presso il
Fmi, altri riguardano crediti
verso altri Paesi. L'Argentina
avrebbe a portata di mano soltanto
16 miliardi di dollari. Adesso il
Paese rischia la seconda
bancarotta in 13 anni.
Gas, il
progetto South Stream serve a
Mosca ma spaventa l’Europa
Il gasdotto che dalla Russia
dovrebbe raggiungere l'Europa
centrale aggirando l'Ucraina è
fondamentale per il
Cremlino. Che dipende dai ricavi
dell'export più che la Ue dal suo
gas. Bruxelles ha sempre avversato
l'opera, mentre l'Italia la
ritiene strategica. Nonostante
Gazprom, socia del South Stream
come Eni, abbia deciso di spostare
l'approdo da Tarvisio a
Baumgartner, in
Austria
Nel braccio di ferro politico e
diplomatico tra Europa e Russia,
che si è inasprito con l’accordo
di libero scambio tra Unione
europea e Ucraina, le
infrastrutture energetiche come il
South Stream sono diventate pedine
chiave. Ma a chi serve il nuovo
maxi-gasdotto? In certa misura
proprio all’Europa, più di quanto
Bruxelles voglia ammettere. Oltre
naturalmente alle imprese
partecipanti, tra cui le italiane
Eni e Saipem. Ma più di tutti
serve alla Russia, che dipende dai
ricavi dell’export più che
l’Europa dal suo gas. L’Europa
copre con il metano quasi un
quarto del suo fabbisogno di
energia primaria. Il 30% del gas
che consuma viene dalla Russia e
una metà di questo, circa 80
miliardi di metri cubi all’anno,
transita per l’Ucraina. Negli
ultimi anni le dispute Mosca-Kiev
sul gas hanno portato
all’interruzione dei flussi
all’Europa nel 2006 e nel 2009. La
risposta russa è stata tentare di
aggirare l’Ucraina, a Nord con il
gasdotto North Stream con approdo
in Germania, capacità 55 miliardi
di metri cubi all’anno, inaugurato
nel 2011-12, e a Sud con il South
Stream, 63 miliardi di metri cubi
all’anno, invece ancora da
costruire.
I soci del tratto offshore del
progetto, che attraverserà il Mar
Nero per poi proseguire via
Balcani fino in Europa centrale,
sono la russa Gazprom con il 50%,
Eni con il 20, la francese Edf con
il 15 e la tedesca Wintershall,
controllata di Basf (15). La
decisione finale di investimento
sul tratto sottomarino è stata
presa nel 2012. L’avvio della
prima linea è atteso a fine 2015 e
dell’ultima nel 2018. Con lo
scoppio della crisi russo-ucraina,
la tensione sul progetto è
cresciuta. Se Bruxelles, da sempre
sostenitrice del progetto rivale
Nabucco, oggi tramontato, non
aveva mai guardato South Stream
con simpatia, da febbraio è
passata a un aperto ostruzionismo.
Arrivando di recente a chiedere e
ottenere dalla Bulgaria, paese di
transito del gasdotto,
l’interruzione dei lavori sul
tratto locale avviati a fine 2013.
Il bluff di Bruxelles - Nella
linea europea non mancano le
contraddizioni. Incoraggiando Kiev
a spostare il suo asse verso
Ovest, l’Europa ha contribuito a
innescare una transizione politica
dal futuro incerto. Conseguenza
immediata e certa però è stata una
nuova disputa sul gas tra Mosca e
Kiev che la Ue fatica a gestire e
che minaccia la sua stessa
sicurezza energetica. Nella
partita con Mosca, Bruxelles
insiste inoltre nel mostrare una
carta che non ha: la possibilità
di rinunciare dall’oggi al domani
al gas russo. In realtà è vero che
col calo dei consumi degli ultimi
anni e la crescita delle
rinnovabili il potere contrattuale
della Russia si è fortemente
ridimensionato. E che una limitata
interruzione dei flussi sarebbe
gestibile. Ma tutt’altra cosa è
pensare di fare di colpo a meno di
130 miliardi di metri cubi di gas
ogni anno. Nessuna delle
alternative ipotizzabili, infatti
– dall’impostazione dagli Stati
Uniti dello shale gas (quello
estratto dalle rocce) alle
forniture dal Mar Caspio – può
coprire l’ammanco almeno nel medio
termine. Nella migliore delle
ipotesi gli Stati Uniti
esporteranno circa 20 miliardi di
metri cubi annui dal 2015 e
altrettanti dal 2018, e per averli
l’Ue dovrà competere con i prezzi
dell’Asia. Quanto al Caspio, se il
gasdotto Albania-Puglia TAP
riuscirà a superare le opposizioni
locali, porterà 10 miliardi di
metri cubi annui di gas azero dal
2019. Infine, l’Europa può certo
ridurre il peso del gas nel
proprio mix energetico ma anche
questo richiede tempo e risorse.
Non a caso, in conclusione,
secondo il think tank Oxford
Institute for Energy Studies, da
un punto di vista puramente
commerciale la scelta migliore per
l’Ue sarebbe di sostenere South
Stream.
Meglio l’Austria che Tarvisio - Al
maxi-gasdotto, che oltre a Eni
vede in campo Saipem nella posa
della prima linea, non mancano del
resto neppure i sostenitori. Nato
nel 2007 proprio in seno alla
partnership tra Eni e Gazprom,
South Stream ha sempre goduto
dell’appoggio dei governi
italiani, sia con l’ex premier
Romano Prodi – a cui, come
racconta lui stesso, il Cremlino
offrì perfino la presidenza del
consorzio dopo la fine del suo
governo – sia con Silvio
Berlusconi, fino ad arrivare
all’attuale governo. Ciò non ha
impedito tuttavia a Gazprom di
spostare dall’Italia all’Austria
all’Italia il punto di arrivo
europeo della pipeline.
Interpellato dal Il Fatto
Quotidiano l’ufficio stampa di
Gazprom conferma che con gli
accordi perfezionati con
l’austriaca OMV – per anni sul
fronte opposto come capofila del
Nabucco – “l’approdo di South
Stream in Europa diventa
Baumgarten e non più Tarvisio”,
come previsto negli ultimi anni.
Lo hub austriaco è oggi il più
importante dell’Europa centrale e
da qui il gas potrà proseguire per
l’Italia attraverso il già
esistente gasdotto TAG,
controllato dalla Cassa depositi e
prestiti, ha rimarcato nei giorni
scorsi il numero due di Gazprom
Alexander Medvedev.
In ogni caso il presidente del
Consiglio Matteo Renzi e il
ministro dello Sviluppo Federica
Guidi ribadiscono spesso la
strategicità dell’opera per il
nostro Paese. E d’altra parte
l’Italia non è l’unica voce
“stonata” con le posizioni di
Bruxelles verso la Russia. Ci sono
i paesi di transito del South
Stream, come la Bulgaria o
l’Ungheria. Costretti alle
esportazioni Altri Paesi sono
legati a Mosca da una forte
interdipendenza commerciale. Oltre
alla stessa Italia è il caso della
Germania, in prima linea (almeno
fino a poco fa) nell’auspicare una
soluzione negoziale alla crisi
ucraina. O della Francia, che
partecipa a South Stream con Edf e
con la Russia ha in ballo una
fornitura di navi porta-elicotteri
per 1,2 miliardo di euro. In ogni
caso la più interessata alla
realizzazione di South Stream
resta la Russia. Negli ultimi anni
con la crisi dei consumi e
l’aumento della concorrenza sul
mercato Ue, la leadership di Mosca
come fornitore di gas dell’Europa
è finita sotto pressione. E in
questo contesto di domanda già
debole le politiche Ue su
efficienza e rinnovabili hanno
progressivamente eroso spazi di
mercato al gas e il processo è
destinato a proseguire. Per
l’economia russa invece
l’esportazione di gas rimane
vitale per far quadrare i conti.
Come emerge da un’analisi di
Federico Pontoni e Antonio Sileo
pubblicata sul sito lavoce.info,
ad esempio, Gazprom realizza la
stragrande maggioranza dei propri
margini con l’export in Europa.
Numeri che i recenti accordi russi
con la Cina, pur aprendo
prospettive di diversificazione
nel medio termine, non bastano per
ora a riequilibrare.
E’ questo il primo caso di causa da fracking negli
Usa con regolare processo, dove i fraccanti vengono multati. Spesso
infatti, spaventati dalle lungaggini burocratiche e dai costi
legali, le famiglie firmano accordi privati con i petrolieri, fuori
dal tribunale, dove in cambio di soldi i residenti accettano dei
“gag orders” – cioè di tacere e non rendere pubblico l’inquinamento
e i danni subiti. La signora Parr e la sua famiglia invece ha avutoil
coraggio di denunciare, nel 2011, la
Aruba Petroleum che aveva trivellato decine di pozzi di gas naturali
attorno la loro casa.
Siamo a Wise County, nel nord del Texas. Lisa e Bob
Parr ci si trasferirono appena sposati nel 2008, in un ranch di loro
proprietà. Erano appena iniziate le operazioni di fracking. Subito
Lisa e Bob iniziarono ad avere problemi di salute. All’inizio
pensavano che fosse influenza. Lisa si lamentava di problemi
respiratori, nausea, eczemi e mal di testa. I suoi linfonodi erano
infiammati e doloranti. Bob iniziò ad avere frequenti casi di
perdite di sangue dal naso – anche tre volte la settimana. Anche per
la piccola Emma, figlia di Lisa, sangue dal naso, eczemi, nausea ed
asma. Ovviamente l’acqua di casa un tempo potabile diventòimbevibile.
Dopo varie cure iniziali, e visto che nessuno dei
sintomi migliorava, i dottori pensarono che potesse esserci qualcosa
nell’ambiente che stava avvelenando la famiglia Parr. E così, su
suggerimento dei dottori, Lisa iniziò a chiedere ai suoi vicini se
avevano visto o se sapevano qualcosa su quei pozzi dietro le loro
case. Uno dei residenti, quasi per caso, aveva tenuto un registro di
tutti i giorni in cui aveva visto o sentito di perdite e sversamenti
di materiale da fracking nell’ambiente circostante. Lisa prese nota
e fece il paragone con le date in cui era stata al pronto soccorso.
Le date erano identiche. Ogni volta che i pozzi avevano avuto un
problema, lei o sua figlia o suo marito erano stati ricoverati.
E così, i Parr fecero causa alla Aruba Petroleum. Il
processo non è stato per niente facile perché i signori del petrolio
hanno cercato il più possibile dimettere
in cattiva lucei
comportamenti e le abitudini della famiglia Parr, pur di provare che
non era colpa del fracking. Non ci sono riusciti: alla fine il
buonsenso e la giustizia hanno prevalso.
L’impatto di questa causa va ben oltre i 3 milioni di
dollari della famiglia Parr. Si è infatti pronunciato un tribunale
che ha deciso che i danni erano veri e significativi “beyond a
reasonable doubt”. E questo potrebbe essere usato in molte altre
cause contro i petrolieri e dare coraggio ad altre famiglie nella
stessa situazione.
E’ per questo che i signori del petrolio non vogliono
che questi tipi di denunce vadano a processo. Hanno paura delle
conseguenze sul lungo termine e preferiscono questi “gag orders” in
cambio di silenzio grazie al quale possono continuare a riepetere il
mantra illusorio che non ci sono prove che il fracking causa danni
alla salute.
La Aruba Petroleum farà appello. Dicono che siccome
ci sono molti altri pozzi nella zona non è possibile sapere se sono
state proprio le loro trivelle a causare i problemi della famiglia
Parr. Notare che danno la colpa ad altri pozzi ma non hanno potuto
negare l’esistenza dei danni da fracking alla salute di Lisa, Bob ed
Emma Parr.
Conti in rosso per Linkedin: deludono le stime sul futuro
A Wall Street i titoli del gruppo sono cresciuti
dell'89% solo lo scorso anno, ma la fase di espansione della società
sta rallentanto. Il social network dei professionisti sta aumentando
gli investimenti in Cina per allargare la base utenti
MILANO-
Primo trimestre in perdita per LinkedIn, il social network dei
professionisti, tra gennaio e marzo, ha perso 13,4 milioni di
dollari, pari a 11 centesimi per azione, in calo rispetto allo
stesso periodo dello scorso anno, quando aveva guadagnato 22,5
milioni di dollari, pari a 20 centesimi per azione. Si tratta della
perdita trimestrale più ampia da quando LinkedIn è sbarcato a Wall
Street a maggio del 2011. I ricavi sono aumentati invece del 46%
rispetto all'anno scorso a 473,2 milioni di dollari, circa 7 milioni
di dollari al di sopra delle attese degli analisti.
A preoccupare i mercati però sono le previsioni per il secondo
trimestre che sono inferiori alle stime degli analisti. I ricavi
saliranno tra i 500 e 505 milioni di dollari: più lento del
previsto. Abbastanza per far crollare il titolo che solo lo scorso
anno aveva guadagnato l'89%. Per tornare a spingere sulla crescita
il gruppo ha accelerato sui servizi per mobile e sta investendo
sulla crescita della base utenti in Cina.
Caldo record nel 2015. El Niño farà salire la colonnina di mercurio
Analizzando i dati climatici l’Istituto Internazionale di Ricerca della
Columbia University ha confermato che la probabilità di un evento di
questo tipo è salito di quasi il 60 per cento
ANCHE
se è ancora presto per pensare alle vacanze 2015 sarà bene tenere in
considerazione quanto rilevato da un gruppo di scienziati statunitensi,
convinti che il 2015 sarà un anno davvero bollente. A portare le
temperature elevate la massiccia influenza del fenomeno climatico
conosciuto come El Niño che interessa il Pacifico modificando la
temperatura dell’aria al di sopra della superficie oceanica portando
siccità, inondazioni e perturbazioni atmosferiche particolarmente
intense.
Contemporaneamente, Eric Blake, specialista in uragani presso il
National Hurricane Center National Oceanic and Atmospheric
Administration (NOAA) di Miami, ha specificato che le condizioni stanno
cambiando rapidamente nel Pacifico e che El Niño e La Niña stanno
influenzando le fluttuazioni delle temperature.
Anche se El Niño tendenzialmentefunge
da freno dell’attività degli uragani nel Nord Atlantico, ricordano gli
esperti, quando i suoi effetti si combinano con il riscaldamento globale
causato dalle emissioni di gas serra aumenta notevolmente la probabilità
che un determinato anno, in questo caso il 2015, segni un nuovo record
di temperatura globale, come è accaduto nel 1998.
Iraq, l’Occidente e quel vizio del petrolio
Leviolenze
degli ultimi giornitestimoniano
che dopo la (ri)presa delle città irachene di Falluja e Ramadi da parte
di cellule qaediste il Paese vive ancora nell’inquietante ricordo del
decennio passato. L’invasione americana del 2003 ha aperto un vuoto di
potere destabilizzante, di cui da diversi anni traggono beneficio
soprattutto le multinazionali petrolifere. Perché sì, possiamo dirlo: inIraqc’è
stata una guerra per l’oro nero.
Nel 2011, anno in cui si chiuse formalmente il conflitto, le truppe
statunitensi e le compagnie mondiali del greggio hanno fatto staffetta,
si sono date il cambio con l’obiettivo di avviare unrestyling
completo dell’industria petrolifera nazionale. Prima della
guerra il comparto era totalmente chiuso all’ingresso delle società
occidentali. I margini di trattativa erano bassisssimi. Dopo dieci anni
di sangue e migliaia di vittime il mercato del petrolio iracheno, oggi,
è gestito esclusivamente da privati come ExxonMobil, Chevron,British
Petroleum e Shell.
Ognuna di queste compagnie possiede filiali importanti nel Paese.
Anche la texana Halliburton, dove lavoròDick
Cheney, ex vicepresidente degli Stati Uniti, oggi mantiene
diverse attività redditizie. In molti negli anni hanno sostenuto che il
petrolio fosse il primo motivo (anche se non il solo) alla base di una
guerra per cui i cittadini iracheni stanno pagando ancora il loro
prezzo.
Il risultato è che per la prima volta in 30 anni le compagnie
petrolifere occidentali hanno cominciato adesplorare
la via dei giacimenti iracheni, tra i più grandi al mondo,
raccogliendo ingenti profitti. Dal canto suo Washington ha mantenuto un
alto livello d’importazioni a seguito dell’invasione, anche se
l’approccio commerciale degli States non è servito in alcun modo a
rilanciare l’economia nazionale di Baghdad.
Nel 1998 Kenneth Derr, allora amministratore delegato di Chevron, disse
che “l’Iraq
possiede enormi riserve di petrolio e di gas“. Ammise che gli
sarebbe piaciuto accedervi. Oggi lo fa. Nel 2000 sono state la Exxon,
Chevron, BP e Shell a promuovere George W. Bush e il suo vice Cheney
alla Casa Bianca. Dopo nemmeno una settimana dalle elezioni il loro
sforzo venne ampiamente ripagato con la creazione dellaNational
Energy Policy Development Group(NEPDG),
una task force energetica affidata, guarda caso, proprio a Dick Cheney,
con il compito di sviluppare una politica energetica nazionale in
supporto del comparto privato.
La circostanza naturalmente accompagnò l’amministrazione americana e le
multinazionali mondiali del greggio a untavolo
comune; nel mese di marzo furono rivisti gli elenchi e le mappe
che delineavano l’intera capacità produttiva irachena nel comparto. E’
in quel momento – secondo diversi analisti dell’industria petrolifera –
che si apre la pianificazione di un invasione militare contro Saddam
Hussein. L’allora primo segretario al TesoroPaul
O’Neill nel 2004 confessa che il progetto era già stato pensato nel
febbraio 2001, ben 6 mesi prima degli attentati dell’11 settembre.
Trascorsi un paio d’anni e iniziato il conflitto, il governo di Baghdad,
già fortemente condizionato da Washington, decise infatti che il suo
mercato petrolifero avrebbe dovuto accogliere l’interesse degli
investitori internazionali. Per questo venne costituito un comitato ad
hoc che guidasse le operazioni commerciali. I membri non sono mai stati
resi pubblici, ma è noto che vi facesse parte Ibrahim Bahr al-Uloum, poi
nominato ministro del Petrolio iracheno dal governo americano di
occupazione. Da quel momento i rappresentanti di ExxonMobil, Chevron,
ConocoPhillips e Halliburton, mantennero incontri di routine con lo
staff di Cheney agendo come dei veri e propri consulenti dell’esecutivo
iracheno.
Prima dell’invasione erano due i fattori che ostacolavano l’attività
delle compagnie petrolifere occidentali:Saddam
Husseine lalegislazione
nazionale. Ucciso il primo e by-passata la seconda, con la
ferma opposizione dell’opinione pubblica irachena edel
Parlamento, tutto cambiò. Le imprese occidentali cominciarono a
firmare contratti su contratti che agevolassero l’accesso al trattamento
del petrolio nel Paese aprendo, nel tempo, un vortice di privatizzazioni
inarrestabile.
Il meccanismo portò la produzione petrolifera irachena ad aumentaredi
oltre il 40 per cento in cinque anni, per 3 milioni di barili di greggio
al giorno, ma l’80 per cento del prodotto ancora oggi viene esportato
lasciando la popolazione locale in una paradossale precarietà
energetica. Il Pil pro capite è aumentato significativamente, ma rimane
ancora tra i più bassi al mondo e ben al di sotto delle stime vantate
dagli altri vicini arabi. I servizi di prima necessità come l’acqua e
l’elettricità rimangono un lusso, mentre il 25 per cento della
popolazione vive in uno stato di assoluta povertà.
La promessa dinuovi
posti di lavorolegati
allo sviluppo del comparto energetico deve ancora materializzarsi. I
settori del petrolio e del gas oggi rappresentano meno del 2 per cento
dell’occupazione totale, mentre le società straniere si affidano a una
manodopera importata. Ebbene sì, in Iraq c’è stata una guerra per il
petrolio. A poco più di una decina di giorni dall’anniversario
dell’aggressione americana (il 20 marzo 2003) è sempre un bene
ricordarlo.
Ungheria: vittoria scontata di Orban, padrone anti-Ue
Da un lato c’è lui,Viktor
Orban: nazionalista anti-europeista, leader indiscusso del
partito populista e conservatore Fidesz. Il premier magiaro in carica
dal 2010 sarà riconfermato senza problemi nelle elezioni del 6 aprile,
anche grazie alla riforma elettorale maggioritaria e uninominale
disegnata a sua immagine e somiglianza. Dall’altro l’opposizione -una
coalizione variegata, composta da socialisti, liberali, centristi e
verdi- che candida il 39enne socialista Attila Mesterhazy, ma è data per
sconfitta. Gli ultimi sondaggi accreditano Orban addirittura al 47%
mentre il suo sfidante sarebbe fermo a un misero 20% (con la coalizione
comunque sotto il 30%). In gioco c’è ilfuturo
dell’Ungheria, un Paese di quasi 10 milioni di abitanti dove da
anni si diffondono pericolose tendenze autoritarie associate ad un
rinascente antisemitismo: quello incarnato dal partito di estrema destra
Jobbik (una formazione ideologicamente non lontana dalla grecaAlba
Dorata), che domenica potrebbe volare oltre l’inquietante
soglia del 15%.
“Orban rimane forte, ma almeno stavolta l’opposizione ha provato ad
unirsi. Certo, la sfida elettorale in un solo round (prima della riforma
c’era un sistema a doppio turno, ndr) non aiuta”. Isvan Hegedus, ex
parlamentare ungherese, è una delle più autorevoli voci critiche del
premier in carica. Militante di Fidesz “quando era un partito
conservatore e liberale” negli anni post-sovietici, ne è uscito non
appena il partito ha iniziato la virata a destra. Lo abbiamo incontrato
a Bruxelles, dove dirige un centro studi sulla politica ungherese, poco
prima della partenza alla volta diBudapest.
Perché, gli chiediamo, Orban rimane così popolare se ha fatto unalegge
bavaglio per la stampa, riformato la costituzione a colpi di
maggioranza accentrando su di sé moti poteri e messo a rischio
l’autonomia della magistratura? “In realtà il Paese è più diviso di
quello che si crede, e molta gente è stanca di Orban”. Ma la verità è
che manca una vera alternativa. “Molte sono le colpe della coalizione
che sfida il premier. Innanzitutto i partiti non hanno una chiara
strategia comune, incerti tra competizioni e cooperazione. E poi c’è lacorruzione”.
Il numero due socialdemocratico Gabor Simon è stato recentemente
coinvolto in un grosso scandalo per aver depositato 800.000 euro al
fisco depositandoli in una banca austriaca.
Insomma, la domanda non è se Orban sarà riconfermato premier, ma con
quale percentuale. E se porterà il suo Paese più lontano dalla
democrazia nei prossimi quattro anni. “Possiamo solo augurarci che non
stravinca. Già perdere con un margine aiuterebbe”, conclude amaro Istvan.
Corea del Nord "come apartheid, nazismo, khmer rossi". Duro rapporto
dell'Onu sui diritti umani
Una commissione di giuristi incaricata dalle Nazioni
Unite relaziona a Ginevra. Il rappresentante di Pyongyang lascia la
sessione per protesta. Anche la Cina critica: "Critiche su informazioni
non di prima mano"
GINEVRA
-
I crimini commessi dal regime Nordcoreano sono paragonabili a quelli dei
nazisti, del regime dell'apartheid e dei khmer rossi e devono essere
fermati. Lo ha dichiarato a Ginevra il presidente di una commissione
d'inchiesta delle Nazioni Unite.
"Affrontare le piaghe del nazismo, dell'apartheid dei
khmer rossi ha richiesto coraggio da parte delle grandi nazioni", ha
dichiarato Michael Kirby, di fronte al consiglio dei diritti umani dell'Onu.
"E' nostro dovere" affrontare "le violazioni dei diritti umani e i
crimini contro l'umani commessi nella repubblica popolare di corea", ha
aggiunto. Siamo nel 21mo secolo e ci troviamo di fronte ad un altro
flagello vergognoso che tocca il mondo di oggi. Non possiamo più
permetterci di vederlo", ha insistito. Nel rapporto pubblicato il 17
febbraio i giuristi incaricati dall'Onu hanno stilato una lista
documentata di accuse per crimini contro l'umanità su larga scala.
Il rapporto ha provocato la dura reazione sia della Cina
sia della stessa Corea del Nord. Il rappresentante nordcoreano presso l'Onu
a Ginevra, Se Pyong So, ha abbandonato il dibattito mentre prendeva la
parola il rappresentante del Giappone. Shigeo Lizuka, a nome
dell'associazione delle vittime rapite in Corea è intervenuto durante il
tempo concesso al Giappone in sede di dibattito, e l'ambasciatore
nordcoreano ha inizialmente presentato una mozione d'ordine e interrotto
il discorso di Lizuka. Quest'ultimo ha ripreso la parola su richiesta
del presidente del consiglio. L'ambasciatore nordcoreano si è allora
alzato in silenzio e ha lasciato la sala, seguito da una decina di
fotografi. Anche la Cina ha protestato, sostenendo che il rapporto non
ha legami con la realtà, perché non si basa su informazioni di prima
mano, e che formula accuse contro la Cina non corroborate. Il rapporto,
sostiene Pechino, getta ombre sulla credibilità dell'organismo dell'Onu.
Le mani unte di Putin sull’ex Urss. “In Transnistria può capitare lo
stesso”
Dopo la Crimea "potrebbe continuare un’ulteriore disgregazione dello
spazio post-sovietico", spiegano alcuni esperti a ilfattoquotidiano.it.
Nel mirino di Mosca, l'ipotesi dello Stato de facto che si è staccato
dalla Moldavia a seguito del crollo dell'impero sovietico
Il governo presieduto dal nuovo capo, il filorussoSergey
Aksyonov, si è affrettato ad
anticipare al 30 marzo il referendum sullo status della repubblica. A
prescindere da un intervento ufficiale dell’esercito russo sulla
penisola, non cambierà il risultato del voto che sembra già volgere in
favore di Mosca.Mentre
il senatore americanoJohn
McCainsi
dice pronto ad una nuova “guerra fredda” con la Russia,
e la “cortina di ferro” sembra alzarsi di nuovo per dividere il mondo a
metà tra ilblocco
filorussoe
pro-americano, alcuni esperti dell’Ucraina frenano questa retorica. “La
Crimea è un caso a parte”, spiega ailfattoquotidiano.itAlexey
Vlasov, tra i massimi esperti della
materia e vice preside della facoltà di Storia dell’Università statale
di Mosca. All’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in
Europa (Osce),
da dove è appena tornato, molti colleghi concordano con lui sul fatto
che la questione della Crimea esiste e andrebbe risolta. “I diritti deicittadini
russofonidella
Crimea che sono stati promessi dopo il crollo dell’Urss, in realtà non
sono mai stati garantiti”, osserva lo studioso.
L’autonomia della repubblica è stata sancita dallaCostituzionedel
1998, ma Vlasov sostiene che valga “solo sulla carta”. La soluzione,
secondo l’esperto, potrebbe essere quella di creare una commissionead
hocche
coinvolga tutte le parti in causa per garantire l’autonomia effettiva
della Crimea, sia sul piano economico, sia su quello linguistico.
Nell’ipotesi in cui la Russia cercasse solo una sua maggiore autonomia,
il risultato sarebbe un’entità territoriale in bilico, come lo sono già
l’Abcasiae
l’Ossezia
del Sud, ai confini con la Georgia.
Queste due repubbliche autoproclamate sono riconosciute ad oggi soltanto
dallaRussia,
dalVenezuelae
da alcuni una manciata di altri stati minori, mentre la comunità
internazionale si schiera con laGeorgiache
li considera territori occupati.
La storia post-sovietica dei due territori,
diversamente della Crimea, è stata segnata da conflitti sanguinosi con
Tbilisi in seguito alla disgregazione dell’Urss.
Le due repubbliche hanno cercato protezione sotto l’ala della “Madre
Russia”. Ma se il primo presidente della Federazione russa,Boris
Eltsin, ha respinto la richiesta per
sostenere il suo alleato, l’allora presidente georgianoEduard
Shevarnadze, la svolta è arrivata conPutin.
Nel 2006 ha usato il precedente delKosovoper
dettare il nuovo corso della politica estera russa. Secondo ilCremlino,
il principio dell’autodeterminazione dei popoli applicato ai kosovari
doveva valere anche per gli Stati non riconosciuti sullo spazio dell’ex
Urss. Anche se la posizione di Mosca sul Kosovo è rimasta immutata: in
una sorta didoppio
giocosi
è sempre schierata a favore dell’integrità territoriale dellaSerbia.
“La Russia ha garantito l’integrità territoriale della
Georgia per 18 anni, finché Tbilisi non ha scatenato la guerra contro di
noi uccidendo i nostricaschi
blunell’Ossezia
del Sud”, commenta Andrei
Suzdaltsev, vicepreside della facoltà
dell’Economia e politica mondiale dellaHigh
School of economicsdi
Mosca. Ailfattoquotidaino.it illustra
la dinamica del conflitto russo georgiano scoppiato nell’agosto del 2008
(per la Georgia, è stata la Russia amuovere
guerra). Proprio in seguito di quella
crisi, con una disposizione dell’allora presidenteDmitry
Medvedev, la Russia ha riconosciuto
l’indipendenza dell’Ossezia del Sud e dell’Abcasia, “tenendo conto della
volontà degli osseti e degli abcasi”. Infatti sia l’Ossezia del Sud colreferendumdel
1991, sia l’Abcasia con l’iniziativa del parlamento del 1995 avevano già
bussato alla porta di Mosca.
“Con il caso della Crimea potrebbe continuare
un’ulteriore disgregazione dellospazio
post-sovietico”, nota Suzdaltsev, che
comunque più che una Crimea indipendente vede, in futuro, una specie di
confederazione tra l’Ucraina e la Repubblica autonoma. Il nuovo governo
dellaCrimeaha
detto che spera di poter contare su un sostegno economico russo,
seguendo l’esempio di alcuni Stati non riconosciuti della galassia russa
che costituiscono una voce significativa delbilancio
federale. Ciò è vero soprattutto per
l’Ossezia del Sud, che nel 2009 contava una popolazione di 50mila
persone (secondo i dati dell’Assemblea parlamentare del Consiglio
d’Europa). Infatti, soltanto con “i decreti di maggio”della terza
presidenza Putin, sono stati stanziati 669 milioni dirubli(circa
14 milioni di euro) alla repubblica delCaucaso.
Risolta la crisi in Crimea, sullo spazio dell’ex blocco sovietico se ne
potrebbe presentare subito un’altra.
LaMoldavia,
a differenza dell’Ucraina, non ha rinunciato alla firma dell’accordo di
associazione con l’Unione
europea. Anzi, al vertice diVilniusa
novembre scorso ha fatto un’ulteriore passo versoBruxelles.
Mosca non ha visto di buon occhio questo gesto, rivolgendo la sua
attenzione sullo Stato non riconosciuto dellaTransnistria,
territorio con una vasta popolazione russa che si è staccato dalla
Moldavia dopo il crollo dell’impero sovietico. Anche la repubblica
autoproclamata è stata luogo di un conflitto sanguinoso traChisinaue
i separatisti, placato nel 1992 dalle forze russe dislocate in
Transnistria. “Conflitto che è stato congelato, ma che potrebbe
riaccendersi ora che Chisianau si sta avvicinando all’Ue”, sostiene ailfattoquotidiano.itVladimir
Solovyev, giornalista che segue la
Moldavia per il giornale russoKommersant.
Minaccia che si legge nelle parole pronunciate di recente dall’inviato
speciale di Putin per la Transnistria,Dmitry
Rogozin. “Il ‘treno Moldavia’ che
corre verso l’Europa potrebbe perdere qualche carrozza”. Proprio in
questi giorni allaDumaè
stata presentata una proposta di legge per facilitare l’ingresso nella
Russia di nuovi soggetti territoriali. Questo provvedimento potrebbe
essere funzionale non solo al caso della Crimea, ma anche dellaTransnistria.
Venezuela, proteste contro Maduro. “Paese in crisi, diritti umani a
rischio”
International Crisis Group pubblica un'analisi sugli scontri a Caracas,
che hanno già provocato dieci morti. E punta il dito contro il
successore di Chavez, incapace di fermare le violenze. Stati Uniti
accusati di finanziare quello che il governo definisce “golpe fascista”Le manifestazioni di sabato inVenezuela,
con da una parte i sostenitori e dall’altra gli oppositori del
presidenteNicolas
Maduro,
sono state l’immagine della spaccatura politica del Paese. Decine di
migliaia di venezuelani hanno manifestato aCaracase
in altre città. Maduro deve fronteggiare la più grave protesta
dall’elezione, contestata dall’opposizione, a capo di Stato lo scorso
aprile. I morti nelle violenze e negli scontri sono già almeno dieci. La
situazione “rischia di erodere ulteriormente la stabilità e la tutela
dei diritti umani in una nazione già polarizzata alle prese con ungrave
crisi economicae
con uno dei tassi diomicidiopiù
alti al mondo”, si legge in un’analisi dell’International
Crisis Group
I deludenti dati sulla
produzione industriale di Maggio stanno spingendo molti Uffici Studi a
rivedere le previsioni: quest’anno il PIL non andrà oltre il +0,3.
Nell’Aprile 2013 il governo Letta prevedeva +1,3%: da allora la stima è
andata gradualmente calando. Comme toujours.
Le nuove stime hanno due implicazioni, cariche di
conseguenze politiche:
il rapporto fra il Debito pubblico e il Pil continua
a crescere, a ritmi notevoli;
i disoccupati non scendono… scendono i loro risparmi
familiari.
Questo non è quanto era stato promesso. È perciò in
atto una revisione delle aspettative.
Sui mercati ci si chiede se il debito italiano
sia sostenibile: date le tendenze attuali, molti concludono di no. Ci si
chiede se qualcosa in futuro farà ripartire la crescita; si esamina più da
vicino il Renzismo. Si osserva che – seppure gli attuali andamenti
economici non sono imputabili al Governo in carica – Renzi si occupa di
altro: di riforme istituzionali, secondo i sostenitori; di smantellare la
democrazia, secondo i critici. Ma non sta imprimendo nessuna svolta alla
politica economica: che resta essenzialmente quella dei governi
precedenti. I conti del 2015 non quadrano. Occorrerà fare altra
austerità: è dunque possibile che la situazione economica si
deteriori ulteriormente.
Gli investitori allargano lo sguardo a Spagna,
Portogallo, Grecia, Irlanda, ecc. Notano che anche qui il rapporto
Debito/Pil continua a salire. Chi pagherà il conto? Gli investitori si
volgono verso la Bce. Riconsiderano la promessa del 26 Luglio 2012 che
fermò gli spread: “Faremo tutto il necessario per salvare l’Euro”. Partorì
gli OMT: una garanzia ambigua! La BCE si accollerà davvero le perdite sui
titoli pubblici? Nel 2012 la situazione era diversa. La BCE fronteggiava
una ‘crisi di liquidità’ di quelle che si auto-avverano. Per rendere i
debiti sostenibili era sufficiente offrire una garanzia,
senza spendere un solo Euro. Ma l’ipotesi sottostante era: la crescita
ripartirà. Non è così. Perciò il rischio dell’instabilità finanziaria
torna concreto.
Berlusconi cadde così.
Renzi gode ancora di ampi consensi. Ma quanto
dureranno? Considerato il suo populismo, molti rispondono: “Vent’anni!
Come Berlusconi!”, che mai fu scalfito dal declino italiano. I due
adottano la stessa tecnica: additare al popolo sempre nuovi ‘nemici del
cambiamento’ (Europa, P.A., CGIL…), su cui scaricare i fallimenti… Ma le
circostanze sono mutate. La gente oggi soffre; perciò bada molto più
alla sostanza. Renzi non ha più riserve di spesa pubblica
da regalare per occultare i fallimenti. Se i risultati non arrivano, il
consenso calerà. Inoltre, la gente sembra oggi accettare di perdere
antichi diritti (eleggere i senatori, selezionare i deputati,
l’uguaglianza dei politici di fronte alla legge, ecc.) in cambio della
promessa ripresa economica. Ma domani?
E arrivo al M5S. Per raccogliere il
malcontento provocato dai fallimenti altrui, adesso occorre dimostrare di
essere portatori di soluzioni superiori. Nei mesi scorsi ho spesso rivolto
critiche al M5S per stimolarne la crescita. Per esempio quando nel Marzo
2013 non ha proposto al Pd un ‘governo di cambiamento’ di alto profilo. O
quando si è abbandonato al cupio dissolvi (tutto crollerà, ecc.).
O quando sulla Costituzione ha assunto un atteggiamento ambiguo (i partiti
sono superati; la democrazia rappresentativa è superata; il Parlamentare
deve avere un mandato vincolato; ecc.). I balordi che vogliono un
giornalismo schierato, incapaci di autocritica, se ne dolevano. Ma il M5S
sta crescendo. Sta passando da una cultura da movimento – con un’Agenda
limitata – a una cultura da partito – capacità di
affrontare tutti i problemi. Sta organizzando i rapporti interni in
maniera più tollerante, ma abbastanza coesa. Ecc.
La domanda cruciale è se M5S stia sviluppando una
cultura di governo adeguata ai problemi: e questo è oggi uno standard
altissimo. Si consideri il Ministro dell’Economia, Padoan.
È possibile sostenere che sia il miglior Ministro dell’Economia degli
ultimi anni, e al tempo stesso che sia inadeguato. Una malattia grave
richiede medici non solo di alto livello, ma anche con la giusta
specializzazione; per vincere la crisi occorrono non solo bravi
economisti, ma che siano anche esperti di politiche della domanda.
(Padoan è un esperto delle politiche dell’offerta). Auspicherei pertanto
che M5S proponesse un governo di alto profilo senza parlamentari dentro. I
parlamentari facciano i parlamentari, cioè i controllori del governo.
Controllino i risultati, inclusi gli ‘obiettivi intermedi’ (per vedere se
la strategia funziona). E se il Governo non sta portando i risultati
concordati, via, si cambia!
M5S potrebbe annunciare per ogni ministero una terna
(in evoluzione) di nomi che ‘tiene in considerazione’ come potenziali
Ministri. Per dissipare i timori, alzare gli standard, segnalare che
un’altra politica è possibile. C’è, sotto, un’idea paradossale: il M5S può
diventare la formazione politica più moderata. E un equivoco da dissipare:
Pd e Pdl fanno una politica economica moderata, quando essa spinge in
povertà assoluta il 10% degli italiani? Fanno una politica istituzionale
moderata, quando cancellano conquiste storiche della democrazia… e ‘i
treni finalmente arriveranno in orario’? Gli italiani vogliono un buon
governo, che risolva davvero la crisi. L’apparente radicalismo della
‘rottamazione’ è solo una protesta di moderati contro
l’estremismo dell’incompetenza e della disonestà. Se il M5S abbandonerà i
sogni palingenetici, l’arroganza del “sappiamo tutto noi”, e impegnerà
umilmente – nel confronto con tutti – i migliori italiani a ristabilire la
civiltà economica e democratica, potrà raccogliere l’eredità del Governo
prima di quanto si pensi. In non so più quale western, dice Henry Fonda
dopo una sparatoria: “Ragazzo, ti consiglio di crescere; in fretta!”. Chi
ha orecchi intenda.
Colle, gli 11 presidenti
– Ciampi, banchiere grigio che sognava la “moral suasion”
Già premier e ministro
dell'Euro. Passa al primo turno: come De Nicola. E' scelto fuori dal
Parlamento
Il decimo Presidente, come il primo Enrico De Nicola, i
partiti lo vanno a prendere fuori dal Parlamento. È Carlo
Azeglio Ciampi, il tecnico di pronto intervento che nel
1993 è divenuto premier e ha salvato per pochi mesi la reputazione della
politica screditata da Tangentopoli e da Mafiopoli; e che nel 1996-’98,
come ministro del Tesoro del primo governo Prodi, ha
salvato il Paese dalla deriva verso il Terzo Mondo, agganciandola
miracolosamente all’Europa della moneta unica. L’Italia che nel 1999
saluta il presidente Scalfaro dopo sette anni di Quirinale ha appena visto
naufragare la Bicamerale, tentativo maldestro e suicida del centrosinistra
di giungere alla “normalità” tanto cara a Massimo D’Alema con un
compromesso al ribasso sulla riforma della Costituzione con l’eversore
incostituzionale per antonomasia: Silvio Berlusconi.
Il quale, subito dopo aver perso rovinosamente le sue
seconde elezioni nel ‘96 e aver ottenuto dal Conte Max l’insperata
legittimazione di padre costituente, anzi ricostituente, ha portato a
spasso il centrosinistra per due anni, costringendolo a snaturarsi in
“patti della crostata” in casa Letta e in progetti neocraxiani sul
presidenzialismo e contro l’indipendenza della magistratura. Poi, sul più
bello, li ha mollati a metà del guado e ha fatto saltare il tavolo della
Bicamerale, avendo capito che il suo vero obiettivo finale – l’amnistia
per salvarsi dai processi – non glielo può regalare nemmeno la sinistra
più masochista del pianeta, terrorizzata dalla rivolta dei suoi elettori.
In compenso ha ottenuto un risultato mica da ridere: indebolire il
governo Prodi, che insieme a Scalfaro alla Bicamerale ha sempre
guardato con sospetto, fino a farlo cadere per mano di Bertinotti e a
rimpiazzarlo nell’ottobre ’98 con una parodia di governo D’Alema sostenuto
dai ribaltonisti al seguito di Cossiga e Mastella. Il viatico ideale per
una riscossa che solo due anni prima pareva follia.
Ma se la controriforma della seconda parte della
Costituzione va in fumo dopo due anni di inutile lavoro, l’asse D’Alema-Berlusconi
resta in piedi per eleggere il nuovo capo dello Stato, che i due compari
vogliono scegliere insieme, convinti ciascuno di poterlo usare per mettere
nel sacco l’altro. Max e Silvio non hanno dubbi: il nuovo capo dello Stato
deve descalfarizzare il Quirinale, dunque non può essere
un politico abile nella manovra di palazzo come lo era il Presidente
uscente. Occorre – come scriverà Marzio Breda ne La guerra del Quirinale
(ed. Garzanti) – “un defibrillatore istituzionale, un
dissuasore” che spenga gli ardori della battaglia politica. Un
anestesista, un emolliente che consenta ai partiti di riprendere in mano
il pallino della politica, troppo a lungo commissariata. “Una figura
istituzionale all’insegna della terzietà”, auspica Gianni Letta col suo
linguaggio alla vaselina.
L’inciucio tra B.
e D’Alema
Dunque è subito chiaro a tutti che i candidati di
bandiera ai blocchi di partenza, nella primavera ‘99, sono specchietti per
le allodole. Berlusconi pronuncia due nomi: Amato, l’ex
craxiano che fino a due anni prima è stato presidente dell’Antitrust da
lui stesso nominato e perfetto garante del trust Mediaset; e
Bonino, eletta con Forza Italia nel ’94 e sempre rimasta
nell’orbita del centrodestra, anche perché lo stesso Cavaliere l’ha scelta
come commissario europeo insieme a Monti. Il centrosinistra non gradisce:
Amato è ancora sotto scacco di Craxi, che ogni tanto distilla veleni sul
suo passato socialista con i famosi fax da Hammamet; e la Bonino non è
ancora ascesa nell’Olimpo progressista.
Così il centrosinistra ribatte con le candidature di
tre ex democristiani: Rosa Russo Iervolino, ex presidente del Ppi,
fedelissima di Scalfaro, dunque vista come il fumo negli occhi dal
Cavaliere; Nicola Mancino, presidente del Senato, ex sinistra Dc e ora Ppi;
e Franco Marini, ex leader della Cisl, poi passato alla politica attiva
con Andreotti, anche lui confluito nel Ppi. Ma nessuno dei tre incontra i
favori della destra. E Prodi, altro papabile, viene spedito alla
Commissione Ue. Ciampi invece va bene a tutti. Tant’è che il 13
maggio, quando le Camere iniziano a votare, viene eletto
plebiscitariamente al primo scrutinio. Come Cossiga. Lo
votano centrodestra e centrosinistra, tranne la Lega Nord e Rifondazione
comunista. Con 707 voti su 1010, contro i 72 del lumbard Luciano Gasperini
e i 21 del rosso antico Ingrao (scelto dai rifondatori). Raccolgono
consensi anche la Iervolino (16), la Bonino (15), l’imputato per mafia
Andreotti (10) e persino il latitante Craxi (6).
Sul Corriere, Montanelli saluta con sollievo non tanto
il nuovo Presidente, quanto lo scampato pericolo di veder eletti i suoi
concorrenti demo-cristiani e dunque rinascere la Balena Bianca: il “mostro
senza volto che m’incalza con la logorrea del presidente uscente
(Scalfaro, ndr), aggravata dall’accento irpino di Mancino e dalle corde
vocali della signora Iervolino”. L’idea di un capo dello Stato più
taciturno, dopo le intemperanze di Per-tini, le picconate di Cossiga e le
omelie di Scalfaro, rassicura più di un italiano. E Ciampi – scrive il
vecchio Indro – promette bene almeno da questo punto di vista: “Non è di
un grande statista che stiamo parlando, ma di un ‘commesso dello
Stato’, come si chiamano in Francia gli alti e ringhiosi
guardiani della pubblica amministrazione, allergici alle manovre
politiche… Impacciato parlatore, in aula non brilla. Ma non brillava
nemmeno Einaudi, come non aveva mai brillato Giolitti”. Il quale, “quando
non aveva più nulla da dire, aveva finito di parlare”.
Chissà, forse in un altro contesto Ciampi avrebbe
davvero tenuto fede a queste attese. Di sé quest’uomo in grigio, anzi in
bianco e nero con le sopracciglia folte ad accento circonflesso, dice:
“Soffro di agorafobia, prendere la parola in una piazza o davanti a platee
troppo vaste mi blocca”. Ma dovrà fare violenza a se stesso. Perché, dopo
poco più di un anno di tregua, si ritrova subito in mezzo a un’infuocata
campagna elettorale: quella del 2001, col ritorno di
fiamma di Berlusconi. Seguita da un quinquennio terribile fatto di leggi
vergogna, norme ad personam, attacchi alla Costituzione e alla
magistratura, scontri con la “sua” Europa e incidenti internazionali. Ed è
costretto, lui che non ama parlare in pubblico, men che meno a braccio, a
esternare quasi ogni giorno: se non come i tre precedessori, quasi.
Nato a Livorno nel 1920 da un
negoziante di ottica e una insegnante di musica, sposato con Franca Pilla,
Ciampi ha studiato dai gesuiti e poi alla Normale di Pisa. Ha due lauree,
in Filologia classica e in Giurisprudenza. Credente ma laico (e, secondo
qualche maligno, anche massone), si definisce un “liberale
crociano”: combattendo in guerra come sottotenente degli autieri
in Albania e poi in Abruzzo, ha conosciuto il suo maestro Guido Calogero,
filosofo antifascista e liberalsocialista, che l’ha avvicinato al Partito
d’azione. È questa l’unica militanza politica del giovane Ciampi, insieme
all’iscrizione alla Cgil. Nel 1946, dopo aver insegnato per un po’ Lettere
al liceo, dà il concorso per la Banca d’Italia, dove
resterà 47 anni percorrendo tutto il cursus honorum, da impiegato a
governatore (per 14 anni, dal 1979 al 1993). È lì che matura uno stile
sobrio ed essenziale e un metodo di lavoro fondato sulla “squadra”, che
metterà a frutto sul Colle con un’équipe di consulenti esterni (i “Ciampi
boys”) di cui fanno parte Andrea Manzella, Sabino Cassese, Mario Draghi,
Maurizio Viroli, Tommaso Padoa-Schioppa e il solito, eterno Tonino
Maccanico.
Sì e no alle
leggi vergogna
Una sobrietà tecnica che non gli impedirà qualche
concessione alla retorica patriottarda, senza plateali baci alla bandiera
e lacrime in pubblico, con giuste campagne come quella per rivalutare la
festa del 2 giugno. Ma pure con qualche indulgenza di troppo al
nazionaltrombonismo. Tipica, in questo senso, la battaglia per far cantare
l’inno di Mameli ai calciatori della Nazionale. E anche
un’esternazione nel giorno dell’ottantesimo compleanno: “Nel ’93, da
presidente del Consiglio, andai in visita di Stato in Germania. Ero
sul palco al fianco del cancelliere Kohl, e fu issato il tricolore mentre
la banda suonava l’inno di Ma-meli. Lo confesso, un brivido mi corse lungo
la schiena e mi tremarono le gambe”. Figurarsi la faccia di Ciampi, sul
palco della prima alla Scala, quando il maestro Riccardo Muti rifiuta di
eseguire l’inno nazionale “perché si tratta di una marcetta incompatibile
con Beethoven”.
Il suo primo atto politico è, nel 2000, la nomina di
Giuliano Amato per rimpiazzare D’Alema, dimissionario dopo la
rovinosa disfatta alle elezioni regionali. Poi, appunto, torna
Berlusconi. Sulle prime Ciampi si illude di fronteggiare i suoi
continui strappi istituzionali, costituzionali e internazionali con la
moral suasion: qualche fervorino in via riservata. Come
quello che consiglia al Cavaliere di rinunciare a nominare ministro della
Giustizia Roberto Maroni, condannato in via definitiva per aver picchiato
un poliziotto durante una perquisizione nella sede della Lega, e dirottato
al Welfare.
Ma ben presto deve cambiare registro: sin da quando, a
fine 2001, il Cavaliere dichiara guerra all’Europa con la legge sulle
rogatorie e il rifiuto di ratificare la legge sul mandato di cattura
europeo, perdendo per strada il ministro degli Esteri, il tecnico, Renato
Ruggiero e assumendo su di sé l’interim della Farnesina. Ciampi fa buon
viso a cattiva sorte anche con la legge sul falso in bilancio e con la
Cirami sul legittimo sospetto, mentre le piazze si riempiono di
girotondini , scudi umani contro il bombardamento alle procure. Ma nel
2003 deve rassegnarsi: la moral suasion, con un tipaccio come il Caimano,
non serve a nulla. Del resto, agli scenari di guerra è abituato: non solo
per la sua esperienza di sottufficiale, ma anche perchè porta ancora le
stimmate della notte fra il 27 e il 28 luglio ‘93, quando le bombe mafiose
polverizzavano a suon di bombe il Pac di Milano, le basiliche romane del
Velabro e del Laterano, e i centralini di Palazzo Chigi andavano in tilt,
facendogli temere il golpe.
I soliti dossier
Dunque, dal 2003, il Presidente comincia a rispedire al
mittente le leggi più incostituzionali: quella sui
tribunali minorili e soprattutto quelle sulla tv (la Gasparri) e contro la
giustizia (la Castelli sull’ordinamento giudiziario e la Pecorella che
abolisce l’appello contro le assoluzioni). E così diventa anche lui, come
Scalfaro, un nemico da abbattere, un “ribaltonista”, un “comunista
mascherato”. Gli house organ di Arcore e dintorni estraggono i dossier
pronti da tempo: allusioni al figlio scavezzacollo e ai suoi pasticci
finanziari; e soprattutto all’operazione Telekom Serbia, il controverso
acquisto della compagnia telefonica di Belgrado dalle mani di Milosevic ai
tempi del governo Prodi, quando Ciampi era al Tesoro. Il centrodestra
istituisce una commissione parlamentare ad hoc, trasforma un truffatore
(il celebre Igor Marini) in supertestimone, raccoglie accuse false a
Prodi, Fassino e Dini.
Ma Claudio Scajola e Carlo Taormina fanno sapere che
sono pronti a tirare in ballo anche il Presidente, se farà lo schizzinoso
sulle leggi del Capo. Lui non si lascia intimidire (anche se poi firmerà
senza batter ciglio altre vergogne come la Bossi-Fini, il lodo Schifani,
la ex-Cirielli e le guerre in Afghanistan e in Iraq). Così come quando
un’orda di leghisti guidati dagli “onorevoli” Borghezio, Salvini e
Speroni, accoglie la sua visita al Parlamento europeo al grido “Basta
euro, Padania libera, Italia vaffanculo”. Sul momento, Ciampi minimizza,
anche per non enfatizzare la figuraccia italiana in Europa. Ma si prenderà
una sonora rivincita il giorno dopo le sue dimissioni, nella primavera del
2006, annunciando da semplice senatore a vita il suo No al
referendum confermativo sulla controriforma costituzionale della
“devolution” targata Carroccio e centrodestra. Qualcuno
dirà: troppo poco, troppo tardi. Ma solo perché non ha ancora visto
all’opera il suo successore.
Crisi: l'Italia ha perso un quarto del
prodotto industriale, la Germania ha già recuperato
Secondo i dati dell'Istat gli impatti maggiori della doppia
ondata recessiva dal 2008 a
oggi si sono fatti sentire su Italia e Spagna più che in
ogni altra circostanza. In due terzi dei
settori economici del Belpaese si sono registrati cali
produttivi superiori al 20%. Estero e tagli dei costi sono
state le uniche scialuppe di salvataggio
MILANO - La doppia ondata di recessione che ha colpito
l'Italia e tutto l'Occidente tra il 2008 e il 2013, della
quale ancora si fatica a vedere la fine, ha lasciato sul
tappeto la capacità produttiva italiana. Proprio il
Belpaese, insieme alla Spagna, è in cima alla graduatoria di
chi ha perso livelli produttivi: ha lasciato sul terreno un
quarto del prodotto industriale, mentre l'economia iberica
ne ha perso addirittura un terzo. Se la Germania ha quasi
recuperato i livelli produttivi antecedenti la crisi,
Francia e Regno Unito si collocano nel mezzo tra questi
estremi.
L'attuale fase recessiva si sta così rivelando
"particolarmente lunga e intensa", nonostante la progressiva
attenuazione osservata negli ultimi mesi dello scorso anno.
In Italia tra il 2007 e il 2013 sono stati registrati cali
produttivi di oltre il 20% in ben due terzi dei settori.
Sono i dati frortemente negativi contenuti nel rapporto
dell'Istat sulla competitività dei settori produttivi. La
caduta ciclica del 2011-2013 è stata contrassegnata
"dall'eccezionale divaricazione" delle due componenti del
fatturato industriale: quello nazionale è diminuito di circa
il 17%, posizionandosi a un livello inferiore rispetto al
punto minimo della prima recessione; quello estero ha
registrato un rallentamento, facendo segnare comunque una
lieve crescita (+3%).
Eurobarometro: Italia al tappeto, potenziale di crescita a
zero
A differenza delle crisi precedenti, in Italia la caduta
dell'output si è manifestata con "un'ampiezza maggiore
rispetto a quella osservata in molti tra i partner
dell'Unione economica e monetaria", si osserva nel rapporto.
Nel confronto con gli altri partner europei la peggiore
performance del fatturato complessivo italiano ha riguardato
in particolare i beni intermedi e di consumo, mentre le
vendite dei beni d'investimento hanno mostrato una maggiore
uniformità.
Il crollo della domanda interna, si legge nel dossier
dell'Istat, "dovrebbe aver determinato impatti differenziati
sul tessuto produttivo del nostro paese". Tra i settori
vincenti emergono alcuni di quelli tipici del modello di
specializzazione italiano: gli articoli in pelle,
l'industria delle bevande e quella alimentare. Al contrario,
i comparti che evidenziano le più forti contrazioni di
fatturato sono: il settore della fabbricazione di mobili, la
confezione di articoli di abbigliamenti, le industrie del
legno.
Tra il 2010 e il 2013, secondo i dati dell'Istat, solo in
quattro comparti si è verificata una variazione negativa del
fatturato estero: produzione di mobili, legno, stampa e
abbigliamento. Mentre solo nel settore alimentare è stato
registrato un incremento di fatturato nel mercato interno.
Di conseguenza si è registrato un "generalizzato incremento
della propensione all'export" rispetto al fatturato totale.
Ripartendo le imprese sulla base della propria quota di
fatturato estero in quattro classi di uguale ampiezza,
emerge che tra il 2010 e il 2013 si sono delineati
"spostamenti netti di imprese verso classi più elevate".
A questi passaggi, si spiega nel rapporto, si associano
generalmente "variazioni di fatturato totale positive e
strategie prevalentemente aggressive, orientate
all'espansione all'estero attraverso l'ampliamento della
gamma di prodotti e servizi offerti". Al contrario, a
passaggi verso classi meno elevate di propensione all'export
"si accompagnano aumenti di fatturato nazionale e riduzione
del fatturato totale, guidate da forti cadute dei ricavi sui
mercati esteri".
Tra le leve competitive si segnala l'importanza assunta da:
l'intensità delle relazioni con altre imprese o istituzioni,
l'attività innovativa, l'investimento in formazione di
personale. Mentre in un'ottica settoriale le strategia
trainanti del sistema sono: l'investimento in capitale
umano, il raggiungimento di un elevato grado di connettività
produttiva e l'innovazione. In particolare, nel rapporto si
evidenzia che l'investimento in capitale umano "accomuna
settori molto eterogenei".
Le aziende sopravvissute alla crisi del biennio 2012-2013
presentano delle caratteristiche messe in luce nel rapporto:
più di un'attività su due ha conservato invariata la propria
dotazione fiscale, mentre l'occupazione netta complessiva è
diminuita. Per contrastare la recessione, le aziende
manifatturiere hanno fatto principalmente ricorso a
orientamenti strategici interni di difesa della propria
competitività, come: la riduzione dei costi di produzione,
il miglioramento qualitativo dei prodotti, l'ampliamento
della gamma, il contenimento dei prezzi e dei margini di
profitto. Tra le strategie esterne si segnala un
rafforzamento delle politiche di commercializzazione.
Analizzando gli effetti delle due ondate recessive, del
2008-2009 e del 2011-2013, sulla produzione industriale, si
evidenzia chiaramente come l'impatto sulle economie europee
sia stato notevolmente differenziato. La Germania, spiega
l'Istat, è l'unico paese ad avere recuperato quasi
pienamente i livelli produttivi precedenti alla crisi;
Italia e Spagna hanno perso, rispettivamente, quasi un
quarto e un terzo del prodotto industriale; Francia e Regno
Unito si situano in un ambito intermedio tra questi due
poli.
RENZI RIMANDATO A SETTEMBRE (dopo
i Mondiali e le Vacanze (dicono che siamo in crisi...), si
scateneranno gli aumenti a catena
Ma nel
corso delle trattative notturne è saltata la parte più
pesante della pagella: la bocciatura della richiesta
italiana di poter rimandare di un anno il pareggio di
bilancio strutturale. Nel testo iniziale veniva respinta "a
causa del rischio di non conformarsi con gli obiettivi di
riduzione del debito". In compenso Bruxelles detta a Renzi
una minuziosa agenda in otto punti: dal rafforzamento delle
misure di bilancio al trasferimento del carico fiscale dal
lavoro ai consumi. Passando per il potenziamento delle
misure anticorruzione, il riequilibrio della spesa sociale e
la rimozione degli ostacoli alla concorrenza.
Lo schiaffo vero, quello
che Matteo Renzi temeva e che nei giorni
scorsi – al di là dell’ostentata tranquillità – lo ha fatto
stare sulla graticola, è stato evitato per un pelo. Perché,
all’ultimo minuto, dalle nove pagine di testo che contengono
le attese “raccomandazioni” di Bruxelles all’Italia è stata
eliminata la parte più scottante: quella che bocciava la
richiesta italiana di uno slittamento di un anno
– dal 2015 al 2016 – del pareggio strutturale di
bilancio. E la cui immediata conseguenza sarebbe
stata la necessità di una manovra di rientro.
Salvi in extremis, dunque? Si fa per dire: quel che rimane,
anche al netto della “sbianchettatura” finale, è tutt’altro
che una bella pagella. Il giudizio (leggi
qui il documento) sulle diverse parti del
Documento di economia e finanza (Def)
inviato alle istituzioni Ue a fine aprile non è per nulla
tenero e anche se la parola manovra non c’è, il concetto è
piuttosto chiaro: “Servono sforzi
aggiuntivi, anche
nel 2014, per rispettare i requisiti del Patto di stabilità
e crescita”. E la ”deviazione dal percorso di aggiustamento
verso l’obiettivo a medio termine”, su cui per ora la Ue ha
deciso di chiudere un occhio,
“se si ripetesse l’anno successivo potrebbe essere valutata
come significativa”. Per di più lo scenario
macroeconomico su cui il governo si è basato per disegnare
le proprie proiezioni di bilancio è “leggermente
ottimistico” e il
raggiungimento degli obiettivi “non è totalmente suffragato
da misure
sufficientemente dettagliate“.
Segue una
dettagliata agenda in otto punti, in
qualche caso accompagnati anche dall’orizzonte temporale
considerato ottimale. Oltre a prescrivere il rafforzamento
delle misure di bilancio, il documento invita Palazzo Chigi
a muoversi rapidamente sul fronte dell’efficienza della
pubblica amministrazione e della buona gestione dei
fondi europei, a rafforzare il settore bancario e a
usare in modo diverso gli ammortizzatori sociali
puntando all’effettivo reinserimento dei lavoratori. Non
solo: nel mirino di Bruxelles finiscono anche la qualità del
sistema scolastico con le sue ricadute sul capitale umano,
la corruzione, la giustizia civile,
la ripartizione della spesa sociale, gli
ostacoli alla concorrenza che ancora ingessano molti settori
e l’efficienza degli appalti pubblici.
PERICOLO SCAMPATO. SOLO FORMALMENTE -
“L’esenzione richiesta dall’Italia di
deviare dal percorso verso gli obiettivi di medio termine non
può essere concessa a causa del rischio di non
conformarsi con gli obiettivi di riduzione del debito”.
Suonava così, stando a una bozza, la frase incriminata che
avrebbe inchiodato il governo agli impegni presi con
Bruxelles sul fronte del pareggio strutturale di bilancio.
Pareggio che Renzi e il ministro dell’Economia Pier
Carlo Padoan hanno deciso di rinviare al 2016,
scrivendo nel Def che si tratta di una “deviazione
temporanea” e
invocando le “circostanze eccezionali” previste dai
regolamenti europei. Quel paragrafo, nel corso della
notte tra domenica e lunedì o forse addirittura durante
l’ultima riunione di lunedì mattina, è stato espunto dal
testo finale. Pericolo scampato. Anche se la realtà dei
fatti resta quella: “Le previsioni di primavera 2014 della
Commissione”, scrive il Consiglio al punto 9 delle sue
considerazioni preliminari, “indicano una non
conformità con il parametro di riferimento della
riduzione del debito nel 2014 poiché
l’aggiustamento strutturale prospettato (soltanto 0,1 punti
percentuali del Pil) è inferiore all’aggiustamento
strutturale richiesto di 0,7 punti percentuali”. Il
quotidiano La Stampa ha fatto i conti stimando in
9 miliardi lo sforzo aggiuntivo che sarebbe stato
richiesto per correggere la deviazione dall’obiettivo. Al
governo, però, non viene imposto di rientrare subito.
DEBITO
SOTTO OSSERVAZIONE - In
compenso vanno rispettati – e su questo non ci sarà
flessibilità – altri paletti per nulla trascurabili: oltre a
provvedere per il 2015, l‘Italia già quest’anno deve
adottare provvedimenti per “rafforzare
le misure di bilancio alla
luce dell’emergere di uno scarto rispetto ai requisiti del
patto di stabilità e crescita, in particolare alla regola
della riduzione del debito”. Debito che in aprile ha toccato
il 135,2% del Pil, già due punti sopra quello che in base al
Def dovrebbe essere il livello medio per quest’anno.
SPENDING REVIEW, MA CON CRITERIO -
Per Bruxelles, l’Italia nell’immediato dovrà “portare a
compimento l’ambizioso piano di privatizzazioni”
e “attuare un aggiustamento di bilancio favorevole alla
crescita”, cioè basato non su nuove tasse ma sulla
riduzione delle uscite grazie a “un miglioramento
duraturo dell’efficienza e della qualità della spesa
pubblica a tutti i livelli di governo”. Preservando però la
spesa “atta a promuovere la crescita”, ossia quella “in
ricerca e sviluppo, innovazione,
istruzione e progetti di infrastrutture essenziali“.
Sempre in vista del rispetto dei parametri di bilancio,
vanno garantite “l’indipendenza e la piena operabilità dell’Ufficio
parlamentare di bilancio“, l’organismo
indipendente incaricato di vigilare sul pareggio di bilancio
introdotto in Costituzione che le Camere sono riuscite a
eleggere solo a maggio dopo quattro mesi di tira e molla.
Adesso basta ritardi, chiede in pratica il Consiglio Ue:
l’ufficio deve essere operativo “il prima possibile” e
comunque “entro settembre 2014, in tempo
per la valutazione del documento programmatico di bilancio
2015″.
TASSARE
DI PIU’ I CONSUMI E MENO IL LAVORO -
Il giudizio sul bonus fiscale di 80 euro è
di parziale sufficienza. Il fatto è che va garantito anche
per il 2015 e da comunque da solo non basta: occorre
“trasferire ulteriormente il carico fiscale
dai fattori produttivi ai consumi, ai beni immobili e
all’ambiente, nel rispetto degli obiettivi di bilancio” e
“valutare l’efficacia della recente riduzione del
cuneo fiscale assicurandone il finanziamento per il
2015″. Seguono altre prescrizioni: la delega fiscale
va attuata “entro il marzo 2015″, approvando anche i decreti
che riformano il sistema catastale per
garantire l’equità e “l’efficacia della riforma sulla
tassazione dei beni immobili“, “sviluppare
ulteriormente il rispetto degli obblighi tributari,
rafforzando la prevedibilità del fisco, semplificando le
procedure, migliorando il recupero dei debiti fiscali e
modernizzando l’amministrazione fiscale”, “perseverare nella
lotta all’evasione fiscale e adottare misure aggiuntive per
contrastare l’economia sommersa e il lavoro irregolare”. Più
nel dettaglio servono poi misure sulle agevolazioni
fiscali dirette (la cui portata deve essere
“riesaminata”), sulla base imponibile (che va appunto
“allargata”, soprattutto sui consumi) e sulle accise sui
carburanti, in particolare l’”adeguamento delle
accise sul diesel a quelle sulla benzina” e
l’eliminazione delle “sovvenzioni dannose per
l’ambiente“.
CORRUZIONE, PRESCRIZIONE E L’EFFICIENZA DELLA GIUSTIZIA
CIVILE - La terza
raccomandazione riguarda l’efficienza della pubblica
amministrazione: al governo viene chiesto innanzitutto di
“precisare le competenze a tutti i livelli di governo” e
“garantire una migliore gestione dei fondi dell’Ue
con un’azione risoluta di miglioramento della capacità di
amministrazione, della trasparenza, della
valutazione e del controllo di qualità a
livello regionale, specialmente nelle regioni del
Mezzogiorno”. Ma il prerequisito è ridurre la
corruzione che “continua a incidere pesantemente
sul sistema produttivo dell’Italia e sulla fiducia nella
politica e nelle istituzioni”. Per questo occorre anche
“potenziare ulteriormente l’efficacia delle misure anticorruzione,
in particolare rivedendo l’istituto della
prescrizione entro la fine del 2014 e rafforzando i
poteri dell’Autorità nazionale anticorruzione”. Ogni
riferimento al caso Expo è puramente
casuale e arriva proprio mentre si attende il decreto
ad hoc, mirato soprattutto a dare all’authority e al suo
presidente Raffaele Cantone pieni poteri
per vigilare sugli appalti dell’Esposizione Universale di
Milano. Bisogna poi
“monitorare tempestivamente gli effetti delle riforme
adottate per aumentare l’efficienza della giustizia
civile, con l’obiettivo di garantirne l’efficacia,
e attuare interventi complementari, ove necessari”.
PIU’ VIGILANZA SU BANCHE POPOLARI E
FONDAZIONI - Ce n’è
anche per le banche, e in questa fase non poteva essere
altrimenti. Sotto osservazione i prestiti dalla riscossione
incerta e, più in generale, il governo societario, sia degli
istituti sia delle fondazioni che ne detengono quote. Va
garantita “la capacità di gestire e liquidare le attività
deteriorate per rinvigorire l’erogazione di prestiti
all’economia reale“. Ma “gli interventi attuati
finora in materia di accesso ai finanziamenti sono stati
principalmente imperniati su misure di agevolazione
dell’accesso delle imprese al credito”. Mentre ora va
promosso anche “l’accesso delle imprese, soprattutto di
quelle di piccole e medie dimensioni, ai
finanziamenti non bancari“. Poi un nuovo
ammonimento sull’attuazione effettiva delle regole: ”Benché
siano lodevoli le iniziative relative al settore del governo
societario delle banche, tra cui i nuovi principi
recentemente stabiliti dalla Banca d’Italia,
l’impatto di questi ultimi dipenderà dalle banche che
dovranno applicarli correttamente e dal fatto che vengano
effettivamente fatti rispettare”. Occorre
“continuare a promuovere e monitorare pratiche efficienti di
governo societario in tutto il settore bancario, con
particolare attenzione alle grandi banche cooperative (banche
popolari) e alle fondazioni, al
fine di migliorare l’efficacia dell’intermediazione
finanziaria”.
LIMITARE LA CASSA INTEGRAZIONE -
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, Bruxelles invita
il governo a “valutare gli effetti delle riforme” su salari,
creazione di posti, procedure di licenziamento e dicotomia
tra garantiti e precari. E a considerare, se sarà il caso,
l’opportunità di varare “ulteriori interventi”. Gran parte
del paragrafo, però, si concentra su chi il lavoro l’ha
perso o non lo trova. Sul primo fronte le parole d’ordine
sono “piena tutela sociale
dei disoccupati”. Per garantirla occorre limitare l’uso
della cassa integrazione guadagni “per
facilitare la riallocazione della manodopera”, “rafforzare
il legame tra le politiche del mercato del lavoro
attive e passive, a partire dalla presentazione di una
tabella di marcia dettagliata degli
interventi entro settembre 2014″ e “potenziare il
coordinamento e l’efficienza dei servizi pubblici
per l’impiego“.
Quanto a chi
sul mercato del lavoro deve entrarci, bisogna “intervenire
concretamente per aumentare il tasso di occupazione
femminile, adottando entro marzo 2015 misure che
riducano i disincentivi fiscali al lavoro delle persone che
costituiscono la seconda fonte di reddito familiare, e
fornire adeguati servizi di assistenza e custodia”, “fornire
in tutto il Paese servizi idonei ai giovani
non iscritti alle liste dei servizi pubblici per l’impiego
ed esigere un impegno più forte da parte del settore privato
a offrire apprendistati e tirocini
di qualità entro la fine del 2014, in conformità agli
obiettivi della Garanzia per i giovani”.
TROPPA SPESA
SOCIALE PER GLI ANZIANI -
Dagli esami della Commissione è emerso che tra
pensioni, sanità e assistenza la spesa sociale in
Italia è “tuttora destinata in gran parte agli
anziani“. E non riesce a “contenere i rischi di
esclusione sociale e di povertà”. Per rimediare è necessario
estendere gradualmente “il regime pilota di
assistenza sociale, assicurando un’assegnazione
mirata, una condizionalità rigorosa e un’applicazione
uniforme su tutto il territorio”. Oltre a rafforzarne la
“correlazione con le misure di attivazione”. Infine vanno
migliorate l’efficacia dei regimi di sostegno alla famiglia
e la qualità dei servizi per i nuclei familiari a basso
reddito con figli.
LA SCUOLA, PIU’ ATTENZIONE AL CAPITALE UMANO -
La qualità dell’insegnamento e la dotazione
di capitale umano vanno migliorate “a tutti i livelli di
istruzione”. Per questo tra le raccomandazioni compare anche
la richiesta di ”rendere operativo il sistema nazionale per
la valutazione degli istituti scolastici per migliorare i
risultati della scuola e, di conseguenza, ridurre i tassi di
abbandono scolastico; accrescere
l’apprendimento basato sul lavoro negli istituti per
l’istruzione e la formazione professionale del ciclo
secondario superiore e rafforzare l’orientamento professione
nel ciclo terziario”. Dulcis in fundo, e i
ricercatori festeggeranno, bisogna “assicurare che i
finanziamenti pubblici premino in modo più congruo la
qualità dell’istruzione superiore e della ricerca”
e assegnare quelli destinati alle università “in funzione
dei risultati conseguiti nella ricerca e nell’insegnamento”.
POSTE, ASSICURAZIONI, BENZINAI E SERVIZI
PUBBLICI SENZA CONCORRENZA -
Occorre poi schiacciare l’acceleratore sulle semplificazioni
normative e “colmare le lacune attuative delle leggi in
vigore”, promuovere “l’apertura del mercato” e rimuovere
“gli ostacoli rimanenti e le restrizioni alla concorrenza
nei settori dei servizi professionali e dei servizi pubblici
locali, delle assicurazioni, della
distribuzione dei carburanti, del commercio
al dettaglio e dei servizi postali“. Le
prescrizioni sul fronte degli appalti pubblici
– tema quanto mai sensibile in tempi di nuove “cupole” e
giri di tangenti – si appuntano sull’efficienza da
“potenziare” e sulle procedure da “semplificare” sfruttando
le procedure informatiche, razionalizzando le
centrali d’acquisto e dando “garanzia della
corretta applicazione delle regole relative alle fasi
precedenti e successive all’aggiudicazione”. In materia
di servizi pubblici locali, infine, va
“applicata con rigore la normativa che impone di rettificare
entro il 31 dicembre 2014 i contratti che non ottemperano
alle disposizioni sugli affidamenti in house”.
BOCCIATE LE INFRASTRUTTURE, LA RETE E IL
RUOLO SCOMODO DELLE FERROVIE -
Nel capitolo infrastrutture c’è un evidente richiamo al
ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Maurizio
Lupi: “Garantire la pronta e piena operatività
dell’Autorità di regolazione dei trasporti entro settembre
2014″, prescrive il Consiglio. A dire il vero quella
Authority, nata sulla carta nel lontano 2011 ma varata di
fatto nel luglio 2013 (Lupi era allora ministro del governo
Letta), è attiva da gennaio. Ma per ora ha solo lanciato
“consultazioni” e avviato un giro di audizioni con aziende e
associazioni dei consumatori. Per di più, si legge nel
“documento di lavoro” della Commissione, “gran parte
dello staff previsto deve ancora essere
reclutato”. Da qui
l’invito a renderla davvero “operativa”, anche perché “è
importante che dia rapidamente la sua opinione sulla
separazione tra gestione dell’infrastruttura e
operazioni di trasporto nel settore ferroviario (il
riferimento è al ruolo di Ferrovie che sono al contempo
gestore e fruitore della rete del Paese, ndr) che
avrebbe dovuto consegnare già a giugno 2013″.
Sempre a
proposito di treni e ferrovie, all’interno del documento si
ricorda che “il settore presenta ancora importanti
debolezze. La lunghezza della rete rapportata al
numero di abitanti è tra le più basse dell’Unione mentre il
tasso di utilizzo è tra i più alti. A dispetto di
un tasso di investimento infrastrutturale
sopra la media Ue, in alcune regioni – in particolare al Sud
– rimangono colli di bottiglia. E la soddisfazione
dei consumatori è tra le più basse dell’Unione”.
Al punto 16 delle considerazioni preliminari c’è spazio
anche per i porti,
che “meritano particolare attenzione e interventi per
ovviare alla mancanza di infrastrutture intermodali e alla
carenza di sinergie e collegamenti con l’entroterra”. Infine
la banda larga:
“In termini di copertura in Italia ci sono zone non urbane
prive di sufficiente copertura”. Le “strozzature infrastrutturali”,
poi, ostacolano anche “il corretto funzionamento del mercato
dell’energia“.
La Ue sente infine il
bisogno di chiedere a Palazzo Chigi la piena attuazione
delle misure adottate: l’Italia è sempre stata lenta
e inadempiente non tanto nell’annunciare e magari
varare nuove norme, quanto nello scrivere i decreti
attuativi necessari per trasformarle in interventi
concreti. ”Resta cruciale per l’Italia l’attuazione rapida e
completa delle misure adottate, sia al fine di colmare le
carenze esistenti che al fine di evitare l’accumulo di
ulteriori ritardi”.
ECCO IL 25 APRILE 2014:Il
25 aprile non unisce gli italiani. Pesa l’assenza di una memoria
condivisa, ma anche il ridimensionamento dello spirito della
Liberazione: è solo retorica? Sembrano propendere per questa
ipotesi molti cittadini che abbiamo intervistato per strada. E
voi come la pensate? Avvertite il valore morale della Resistenza
quale fonte di ispirazione per il presente o ritenete che siano
parole d’ordine da archiviare nei libri di storia? Ormai tutto è
pronto per archiviare nella polverosa memoria itagliota
due anni di doppia occupazione, 25.000 morti solo di
rappresaglia, 1.000.000 di deportati, il 70% delle
infrastrutture industriali del nord disintegrate dai
bombardamenti,una
parte del patrimonio artistico come Cassino annientata, più di
mezzo milione di morti ed altrettanti di dispersi su tutti i
fronti, ecco tutta questa massa spaventosa di distruzione caduta
nel dimenticatoio, perche'?? Semplice, perchè sono passati
70 anni ovvio, il solito concetto itagliota di merda....
Storia
Convenzionalmente fu scelta questa data, perché
il 25 aprile 1945 fu il giorno della liberazione diMilanoeTorino.
In particolare il 25 aprile 1945 l'esecutivo delComitato
di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia,
presieduto daLuigi
Longo,Emilio
Sereni,Sandro
PertinieLeo
Valiani(presenti
tra gli altri ancheRodolfo
Morandi–
che venne designato presidente del CLNAI –Giustino
ArpesanieAchille
Marazza), alle 8 del mattino via radio
proclamò ufficialmente l'insurrezione, la presa di tutti i
poteri da parte del CLNAI e la condanna a morte per tutti i
gerarchi fascisti[2](tra
cui Mussolini, che sarebbe stato raggiunto e fucilato tre giorni
dopo).
Entro il1º
maggio, poi, tutta l'Italia
settentrionale fu liberata:Bologna(il
21 aprile),Genova(il
23 aprile) eVenezia(il
28 aprile). La Liberazione mette così fine a venti anni didittatura
fascistaed
a cinque anni di guerra; simbolicamente rappresenta l'inizio di
un percorso storico che porterà alreferendumdel2
giugno1946per
la scelta fra monarchia e repubblica,consultazione per la quale
per la prima volta furono chiamate alle urne per un voto
politico le donne, quindi alla nascita della
Repubblica Italiana, fino alla stesura definitiva dellaCostituzione.
Il 2 maggio 1945 i plenipotenziari tedeschi guidati dal Generale
delle SS Wolf, comandante in Capo dell'esercito tedesco di
stanza in Italia, firmava a Caserta l'armistizio di cessazione
definitiva delle ostilità sul territorio italiano. C'è da dire
che l'azione del generale nazista arrivava senza alcun ordine da
Berlino, assediata dai sovietici, e senza il placet di Hitler
che il 28 aprile aveva fatto arrestare prima Goering e poi suo
cognato ufiiciale plenipotenziario SS collegato ad Himler,
precedentemente fuggito da Berlino il 20 aprile e riparato
nell'estremo nord della Germania, ultimo lembo di terra non
ancora invaso dagli alleati, entrambi dichiarati traditori e
decaduti delle loro cariche. Il 28 aprile 1945 nei pressi di
Dongo, sul Lago di Como, veniva fucilato Mussolini, in fuga
forse verso la Svizzera ed il suo cadavere esposto a Piazzale
Loreto a Milano il giorno seguente. Informato dettagliatamente
di ciò, Hitler lucidamente decideva di suicidarsi il 30 aprile
nel bunker della Cancelleria di Berlino, dando
disposizioni precise per disintegrare il suo corpo per non farlo
cadere in mano ai sovietici. I russi occupavano definitivamente
la capitale della Germania il 2 maggio 1945. In Germania la
guerra infuriò fino al 9 maggio prima della firma della resa
incondizionata su tutti i fronti da parte dell'ammiraglio
Doenitz, nominato assurdamente suo successore da Hitler in
persona nel suo "testamento politico".
« A
celebrazione della totale liberazione del territorio
italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale. »
La ricorrenza venne poi celebrata anche negli
anni successivi e dal1949è
divenuta ufficialmentefesta
nazionalee
in molte città italiane vengono organizzate manifestazioni in
memoria dell'evento, in particolare nellecittà
decorate al valor militare per la guerra di liberazioneo
in quelle che hanno subito grandi perdite umane.
La legge che istituì la celebrazione è la n. 260
del 27 maggio 1949[3]("Disposizioni
in materia di ricorrenze festive") ad istituzionalizzare
stabilmente lafesta
della liberazione:
« Sono
considerati giorni festivi, agli effetti della osservanza
del completo orario festivo e del divieto di compiere
determinati atti giuridici, oltre al giorno della festa
nazionale, i giorni seguenti: [...] il 25 aprile,
anniversario della liberazione;[...] »
L'Italicum è senza preferenze, Senato e
Province non vengono aboliti e non sono neanche elettivi
L'intesa Renzi-B toglie potere di indicare chi mandare nelle
istituzioni. Eppure non la pensavano così
Benvenuti nella Terza Repubblica Targata Licio
Gelli trent'anni dopo, era politica della "democrazia dei
nominati". Sembra un secolo fa quando i politici inveivano
contro se stessi, additando il "Parlamento dei nominati", che
produce scollamento tra Palazzo e territorio. Ma le riforme di
Renzi e Berlusconi non cambiano niente: l’Italicum avrà i
listini bloccati, le Province non sono state abolite ma sono
non elettive e il Senato 2.0 sarà composto da designati dai
consigli regionali,peggio
di così non si poteva....
Matteo Renzi trova il compromesso con
Berlusconi e con la fronda interna al Pd. Le modifiche: meno
sindaci e più regione. Resta fermo il caposaldo di una camera
che non voterà la fiducia al governo
IlSole
24 Oredi
ieri attirava l’attenzione critica sulpiano
per le scuole: il premier
aveva annunciato 3, 5 miliardi, ma il decreto Irpef permette
agli enti locali di spendere fuori dal patto di stabilità
soltanto 240 milioni di euro. L’intervento, più a beneficio
delle imprese di ristrutturazione che degli studenti, avrà
quindi una dimensione minima.
Nei ‘semafori’ che pubblichiamo oggi su il
Fatto Quotidiano, facciamo il punto sulladistanzache
separa gliannuncidairisultati.
A una prima analisi si può vedere come Renzi sia risultato più
efficace sui dossier che gli garantiscono il maggiore ritorno di
consenso, e questo è comprensibile visto che manca un mese alleelezioni
europee. La promessa di far
trovare in busta paga ad alcuni milioni di italiani80
euroin
più a maggio è stata rispettata, anche se con tanti compromessi
al ribasso che rendono l’intervento molto diverso da come lo
sognava il premier. La pecca maggiore è che la copertura non è
strutturale, quindi è ancora molto incerto che ilbonus
fiscalesia
garantito dal 2015 in poi.
Itaglialla
casta, simbolici (o demagogici) ma molto richiesti, ci sono:
dalla vendita delleauto
blusu
eBay al tetto agli stipendi dei dirigenti pubblici a240
mila eurofino
a minuzie, ma significative, come la cancellazione delle tariffe
postali agevolate per il materiale di propaganda dei partiti.
Anche lenominenelle
società partecipate dal Tesoro sono state gestite in coerenza
con le promesse: via tutti i dinosauri, incluso il potentissimoPaolo
Scaroni. Anche se non tutti i
nomi prescelti per la successione sono all’altezza dei proclami
di rottamazione di Renzi, basti guardareEmma
Marcegagliaalla
presidenza Eni. I
problemi arrivano dove il premier non può decidere da solo ma ha
bisogno del consenso o dei voti di altri bizzosi soggetti, da
Silvio Berlusconi conForza
Italia all’ala sinistra del Pd
in Parlamento. Quando Renzi non può fare tutto da solo, il
risultato è quasi zero:
la legge elettorale si è impantanata al Senato,
il suo destino è legato al superamento del bicameralismo, ma
anche latrasformazione
del Senatoin
camera delle autonomie locali è bloccata da un’opposizione
sempre più larga.
A parte i variinteressi
politicicontrapposti,
una delle spiegazioni di merito è che nessuno ha ben chiaro cosa
dovrà fare il nuovo Senato, visto che prima (o poi) bisognerebbe
redistribuire le competenze tra Stato ed enti locali riformando
laCostituzionenel
titolo quinto.Anche l’altra
riforma ambiziosa del renzismo, quella del mercato del lavoro,
per il momento ha prodotto pochino: un decreto legge che aiutava
le imprese a ridurre il rischio di cause legali permettendo loro
una maggiore flessibilità nel ricorrere al lavoro precario (i
disoccupati sono felici alla prospettiva di diventare precari,
ma i precari sono piuttosto seccati dalla prospettiva di
rimanere in quella condizione più a lungo di prima). In
Parlamento il Pd ha iniziato a svuotarla, reintroducendo parte
dei vincoli eliminati dal ministroGiuliano
Poletti. Risultato:
impalpabile.
Quanto alla riforma
più complessiva, la legge delega che dovrebbe essere il veroJobs
Act, è un tema da affrontare
nei prossimi mesi. Anche della delega fiscale non si è più
saputo niente, eppure dovrebbe essere la leva per una vera
riforma delletasse.
Morale: se lo statista è
quello che guarda alle prossime generazioni e il politico chi
pensa alle prossime elezioni, Renzi è un politico efficace. Ma
le grandi riforme sono molto più complesse.
Renzi avvia la riforma Pa su tre pilastri:
"Capitale umano, tagli e open data"
VIDEO.Il
governo "punta a un cambiamento radicale nella Pa". Renzi
preferisce "un disegno di legge", da portare nel Cdm del 13
giugno. "Spazio per l'assunzione di diecimila giovani", il
premier precisa: "Non c'è un tema di esuberi". Via al ruolo
unico dei dirigenti, possibile licenziamento per quelli senza
incarico. Tetto a 40 Prefetture, permessi sindacali dimezzati.
Salta l'obbligo di iscrizione in Camera di commercio
MILANO-
Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, apre ufficialmente il
fronte dellariforma
della Pubblica amministrazionenel
Consiglio dei Ministri. L'esecutivo si è incontrato nel
pomeriggio, in un Cdm di un paio d'ore, e il premier, con il
ministro Marianna Madia, ha illustrato i tre pilastri sui quali
poggiano le linee guida della riforma. "C'è un sacco di bella
gente che lavora e va premiata, c'è qualche fannullone e quella
lo stanghiamo", il motto.
Per il ministro dell'Istruzione "il
concorso, che si terrà nella tarda primavera 2015, consentirà
di essere in tempo utile per l’immissione in ruolo nell’estate
2016"
Renzi avvia la riforma Pa su tre pilastri:
"Capitale umano, tagli e open data"
VIDEO.Il
governo "punta a un cambiamento radicale nella Pa". Renzi preferisce "un
disegno di legge", da portare nel Cdm del 13 giugno. "Spazio per
l'assunzione di diecimila giovani", il premier precisa: "Non c'è un tema
di esuberi". Via al ruolo unico dei dirigenti, possibile licenziamento per
quelli senza incarico. Tetto a 40 Prefetture, permessi sindacali
dimezzati. Salta l'obbligo di iscrizione in Camera di commercio
MILANO-
Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, apre ufficialmente il fronte
dellariforma
della Pubblica amministrazionenel
Consiglio dei Ministri. L'esecutivo si è incontrato nel pomeriggio, in un
Cdm di un paio d'ore, e il premier, con il ministro Marianna Madia, ha
illustrato i tre pilastri sui quali poggiano le linee guida della riforma.
"C'è un sacco di bella gente che lavora e va premiata, c'è qualche
fannullone e quella lo stanghiamo", il motto.
"Stiamo rispettando tutte le scadenze che ci siamo autoimposti per
cambiare il paese", esordisce il premier nella conferenza stampa dopo il
Cdm, aggiungendo che nel campo degli statali "il governo punta a un
cambiamento radicale nella Pa". Renzi spiega che il "desiderio di
coinvolgere gli uomini e le donne che lavorano nella Pubblica
amministrazione" insieme a quello di "togliere il tema della riforma dalla
campagna elettorale" hanno spinto l'esecutivo a non presentare
immediatamente un decreto e un disegno di legge delega (come fatto con il
Jobs Act), quanto piuttosto un insieme di linee guida da sottoporre alla
discussione prima di avviare il percorso di un disegno di legge. "Una
riforma contro i lavoratori avrebbe le gambe corte", ricorda. Il governo,
in sostanza, pone delle questioni di fondo sulle quali avviare il
confronto con le parti in causa, "anche i sindacati se vorranno farci
sapere il loro parere", per quaranta giorni, e dispone anche un indirizzo
internet per la consultazione: "Scrivetemi arivoluzione@governo.it",
dice ridendo. Il ministro Madia precisa poi che ai sindacati non sono
offerti tavoli, ma un "confronto innovativo e l'invito a fare delle
proposte" sui punti "concreti e puntuali" avanzati dall'esecutivo.
Dopo la consultazione, la riforma diverrà norma con un
disegno di legge, che verrà presentato in Cdm il prossimo 13 giugno.
"Preferirei fare un disegno di legge ed evitare il decreto", spiega sul
punto Renzi. I tre punti della riforma - espressi in una lettera ai
dipendenti statali - saranno "sul capitale umano, sui tagli agli sprechi
della Pa e sugli open data come strumento di trasparenza e innovazione".
Renzi avvia la riforma Pa su tre pilastri:
"Capitale umano, tagli e open data"
VIDEO.Il
governo "punta a un cambiamento radicale nella Pa". Renzi
preferisce "un disegno di legge", da portare nel Cdm del 13
giugno. "Spazio per l'assunzione di diecimila giovani", il
premier precisa: "Non c'è un tema di esuberi". Via al ruolo
unico dei dirigenti, possibile licenziamento per quelli senza
incarico. Tetto a 40 Prefetture, permessi sindacali dimezzati.
Salta l'obbligo di iscrizione in Camera di commercio
MILANO-
Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, apre ufficialmente il
fronte dellariforma
della Pubblica amministrazionenel
Consiglio dei Ministri. L'esecutivo si è incontrato nel
pomeriggio, in un Cdm di un paio d'ore, e il premier, con il
ministro Marianna Madia, ha illustrato i tre pilastri sui quali
poggiano le linee guida della riforma. "C'è un sacco di bella
gente che lavora e va premiata, c'è qualche fannullone e quella
lo stanghiamo", il motto.
La svolta dopo che il capo della polizia Pansa ha definito "cretino da
identificare" l'esponente delle forze dell'ordine ripreso da Servizio
Pubbliconegli
scontri di Roma (leggi)
Uova, arance, bottiglie e petardi contro le forze dell'ordine in
via Veneto. Il Viminale: "Sei fermi"
Un manifestante perde alcune dita di una mano mentre cerca di
lanciare una bomba carta
Grillo contro Repubblica: “Guadagni del blog? Mi sono rotto i
coglioni”
Il leader del Movimento 5 stelle se la prende con un articolo del
quotidiano di De Benedetti che oggi ha simulato i ricavi del blog
attestandoli intorno a 570mila euro l'anno
“Io non dovrei neanche smentire nulla, ma questo è il dossier del
nostro amico svizzero De Benedetti?”. Il leader del Movimento 5
stelle risponde sul suo blog ad un articolo diRepubblicain
cui si “simulano” i guadagni del blog di Beppe Grillo stimandoli
intorno a 600mila euro l’anno. E lui risponde con un articolo. “Io
mi sono rotto i coglioni di queste robe qua, per
cortesia. Tutti i miei documenti fiscali sono pubblici. Perché
questo giornalista vergognoso non prende il mio 740? E’ pubblico.
Il mio reddito imponibile nel 2012 è stato di 218.000 euro. Ho
pagato 83.000 euro di tasse. Io sono un professionista, va bene?
Mi sono sempre guadagnato i soldi”.
I due giornalisti del quotidiano hanno infatti simulato l’acquisto
diun’inserzione
pubblicitariasul
sito dei cofondatori 5 stelle. I due sono passati per un’asta
gestita daGoogle
Adsense e Google Adwordse
hanno acquistato 125.351 visualizzazioni per 115 euro circa.
Ovvero 0,92 centesimi ogni mille visualizzazioni che, considerando
le commissioni del colosso di Mountain View, scendono a 0,62
centesimi di euro. E, sempre secondo i cronisti, stimando le
inserzioni intorno al numero di 50\100 milioni e 500\600mila
visite al giorno (stando alle dichiarazioni di Grillo), si
arriverebbe a circa 570mila euro annui di ricavi per il sito
internet beppegrillo.it.
“Fare queste cose finte, di nuovo, di questi giornali”, dice
Grillo in un video pubblicato online, “io
mi sono rotto veramente le palle.Repubblica
fa queste finte: ‘Chi sono i finanziatori del blog?’ Repubblica!
Repubblica mi ha dato 115 euro. Hanno fatto una pubblicità per
vedere quanti click ci sono stati e ho guadagnato 115 euro grazie
a loro. Ezio Mauro, mi rivolgo a te, prima di fare il servo di
questo qui svizzero, prendi il mio 740 e pubblicalo. Devi avere
questo coraggio. Poi pubblichiamo il tuo e quello di De Benedetti.Anche
il bilancio della Casaleggio Associati è pubblicoe
scaricabile dal sito della Camera di Commercio di Milano per 5
euro. Lo prendi e lo pubblichi se sei una persona per bene. Ma
dato che non sei una persona per bene dai queste cifre di milioni,
di 500.000 euro.Il
signor Casaleggio ha chiuso l’esercizio 2012 con un utile di
69.000 euro.Dovreste aiutarlo Casaleggio”.
Grillo torna poi a promuoverela
raccolta fondiper
la campagna elettorale del M5S in vista delle europee. “Appurato e
precisato che non siamo miliardari – dice – voglio tornare a
chiedervi di mandarci qualche soldo. Non possiamo sopportare
tutto. Ognuno darà secondo le proprie forze. Io darò qualcosa,
Casaleggio qualcosa e voi quello che potete”. “Dobbiamo
raggiungere una certa cifra – incalza – per pagare le strutture
dei palchi dei comizi di tutta Italia. Abbiamo un mese di tempo,
sarà una campagna sanguigna, molto forte”. Poi annuncia: “Di
nuovo col camper girerò tutta l’Italia, mi farò in 4,
sprizzeremo gioia e entusiasmo in tutte le piazze d’Italia.
Vinceremo noi. Per un’Europa diversa cambiamo l’Europa e cambiamo
l’Italia”.
Una pioggia di euro dagli spot sui blog.
Ecco la miniera d'oro di Beppe e Casaleggio
Inchiesta. Ogni mille inserzioni cliccate costano 92
centesimi, in totale un giro d'affari da circa 570 mila euro l'anno.
Abbiamo simulato una campagna pubblicitaria sul sito dell'ex comico:
questi sono i risultati
Il blog di Beppe Grillo è un affare - per la Casaleggio associati - da 92
centesimi per mille spot, pari a 570mila euro di entrate l'anno. Più, a
piè di lista, l'indotto dei ricavi garantiti dalla catena di Sant'Antonio
digitale che il guru dei 5 Stelle sta costruendo a scopo di lucro attorno
alla sede ufficiale (per statuto) del suo partito. Affari e politica, nel
cuore della rete grillina, viaggiano paralleli. E basta una pragmatica
prova sul campo per dare una risposta a quello che sembra essere diventato
il segreto di Fatima pentastellato: "Quanto guadagna il sito
dell'ex-comico?". Dati ufficiali non ci sono: i bilanci della società di
Casaleggio - 1,3 milioni di ricavi e 69 euro di utile nel 2012 - non lo
dicono. Lui si guarda bene dal far chiarezza: "Uso una sola parola: Vaffa...",
risponde sobriamente ai giornalisti che chiedono lumi.
La società, interpellata, non dà spiegazioni. E sul web girano numeri come
al lotto: dai 200mila euro di fatturato calcolati dai minimalisti (una
sparuta minoranza) ai 10 milioni buttati lì da una fonte autorevole comeIl
Sole 24 Ore. Quale è la verità? Per provare a capire quanto rende ai
due fondatori il blog,La
Repubblicasi è messa
dall'altra parte della barricata. E il 10 aprile scorso è stata testimone
diretta di una campagna pubblicitaria - reale e pagata - sul blog. Ecco
come è andata e che conclusioni empiriche si possono trarre sugli affari
della "Beppe Grillo Spa".
Un'asta
da 115,3 euro.
Buona parte degli spot nelle pagine diwww.beppegrillo.itè
venduta con un'asta da Google Adsense e Google Adwords, i servizi del
colosso di Mountain View nel settore. Qualche inserzione - come quella di
Coca-Cola - è stata venduta da Publy Ltd, domiciliata in Irlanda e
controllata da Gianluca Bruno, Francesco Di Cataldo e Emanuele Aversano.
"Che rapporti abbiamo con Casaleggio? No comment", ha detto contattato per
telefono Di Cataldo. Il nostro test è transitato sulla piattaforma di
Google. È iniziato di prima mattina lanciando un ordine "mirato" ai banner
sul blog. Si è chiuso poche ore dopo con questo bilancio: 125.351
impressions (vale a dire visualizzazioni singole dello spot) acquistate
per 115,3 euro. Pari a 0,92 euro ogni mille.
Non tutti questi soldi entrano nelle tasche della Casaleggio Associati. Le
commissioni applicate da Google viaggiano attorno al 30%. Gli 0,92 euro
scendono così a 0,64. Quanti sono gli spot disponibili in un anno sul blog?
Numeri ufficiali non ci sono. Alexa, il misura-web di Amazon, lo
classifica come 77esimo sito in Italia. Appena dietro aLa
Stampa,
davanti aRaieSky.
Beppe Grillo ha parlato di "500-600mila visite al giorno". Cifra
compatibile con i dati di Google: Mountain View, che probabilmente conosce
all'unità la cifra reale, stima un'offerta di 50-100 milioni di spazi
pubblicitari al mese. Pari a un fatturato per la Casaleggio & Associati
tra i 384mila e i 768mila euro annui, probabilmente assestato a metà
strada a quota 570mila.
La catena di Sant'Antonio.
"Se io e Grillo avessimo voluto fare soldi, ci saremmo tenuti i 42 milioni
di rimborso pubblico ai partiti", risponde Casaleggio a chi critica la
scarsa trasparenza degli affari del blog. Vero. Di aria però non si vive.
E visto che "con i suoi ricavi il sito supporta se stesso" (ipse dixit),
lui ne ha fatto il vertice di una catena di Sant'Antonio che moltiplica
come pani e pesci gli spot disponibili. Basta digitarewww.beppegrillo.ite
sullo schermo appare una serie di link che rimandano a due aggregatori di
notizie (privati) della scuderia Casaleggio:Tzetze.it-
dove ieri brillava la pubblicità di Ford e Easyjet - eLafucina.it.
Tzetze, nata da poco, ha scalato la classifica di Alexa arrivando al
174esimo posto, La Fucina è al 318esimo. La controllata Amazon certifica
pure il cordone ombelicale che unisce i tre siti della galassia: il 53%
dei visitatori di LaFucina arriva dai due cugini (e un altro 24% da
Facebok), mentre per TzeTze la quota è il 35% (con un altro 37% dal social
network). Tutto fieno in cascina - leggi entrate pubblicitarie - per la
Casaleggio & Associati.
Gli spot a rischio.
Gli spot sono sbarcati sul blog di Grillo nel 2012. "Senza pubblicità
l'informazione online chiude", dice Casaleggio. E a tutela dell'immagine
dei 5 Stelle assicura di aver creato una black-list di investitori
indesiderati. Quali non è chiaro. Negli ultimi giorni - accanto a
inserzionisti "nobili" come Poste, Mercedes e Dolce & Gabbana - spuntavano
su tutti e tre i siti di famiglia annunci per promuovere il gioco
d'azzardo - settore contro cui i grillini hanno condotto benemerite
battaglie in Parlamento - la costituzione di società offshore (tale Sfm) e
la vendita di case in Costarica. "Il nuovo bilancio della Casaleggio
Associati sarà molto migliore del 2013", ha promesso il guru del
movimento. Vista la moltiplicazione dei siti, la vendita sulla vetrina del
blog dei prodotti della casa editrice Adagio (sempre di sua proprietà) e
le royalty sulle vendite di biglietti per i tour dell'ex-comico, nessuno
ne dubitava
LA FAVOLA DEGLI OTTANTA
EURO,L'ABBASSAMENTO DELLA NO TAX AREA E LA CANCELLAZIONE DEGLI ASSEGNI AL
CONIUGE A CARICO
Probabilmente saranno poco più della metà a riceverli, e solo a tempo
determinato: solo chi si trova in una fascia di reddito compresa tra i 16
e i 24 mila euro lordi. Il bonus scatta infatti solo quando l’imposta
lorda , cioè quella pre-applicazione delle detrazioni, è superiore agli
sconti già previsti dalle leggi in vigore. Per esempio, un lavoratore
dipendente con un reddito di 15-16 mila euro con moglie e figli a carico
(una platea vastissima di contribuenti) non percepirà mai alcun bonus. I “chimerici”80
euro saranno solo un miraggio.
Cosi come lo saranno per tutti quei lavoratori dipendenti che percepiscono
un reddito fino a 8 mila euro, per i pensionati e per il popolo delle
partite IVA, mentre i dipendenti pubblici si vedranno addirittura bloccare
l’adeguamento dei contratti, già fermi da 5 anni. Questo non si chiama
sostegno, si chiama illusione. E anche quei pochi fortunati che
riusciranno a percepire qualcosa non si illudano: il comma 2 dell’art. 1
del decreto, infatti, dice: “Le
disposizioni di cui al comma 1 si applicano per il solo periodo d’imposta
2014. A decorrere dal 1°gennaio 2015, si applicano le disposizioni
dell’art.13 del testo unico dell’imposte sui redditi, di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nel testo
vigente anteriormente alle modifiche di cui al comma 1 del presente
articolo.”.
Insomma, una botta e via,un’elemosina
una tantum che non cambia la vita a nessunoma
che vorrebbe costituire il viatico per consegnare nelle mani di Renzi i
nostri destini europei, per i quali ha già dato ampie rassicurazioni
pubbliche alla Merkel.
Ma non è finita. Incombe un’altra legge sulle vostre teste, denunciata
solo dal M5S che ne chiede l’abrogazione già dal novembre dello scorso
anno. Si tratta del comma 430 della legge 147/2013. Eccolo: “Con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro il 15
gennaio 2015, […] sono disposte variazioni delle aliquote di imposta e
riduzioni della misura delle agevolazioni e delle detrazioni vigenti tali
da assicurare maggiori entrate pari a 3.000 milioni di euro per l'anno
2015, 7.000 milioni di euro per l'anno 2016 e 10.000 milioni di euro a
decorrere dal 2017. Le misure di cui al periodo precedente non sono
adottate o sono adottate per importi inferiori a quelli indicati nel
medesimo periodo ove, entro la data del 1º gennaio 2015, siano approvati
provvedimenti normativi che assicurino, in tutto o in parte, i predetti
importi attraverso il conseguimento di maggiori entrate ovvero di risparmi
di spesa mediante interventi di razionalizzazione e di revisione della
spesa pubblica.”
Una vera e propria mannaia,
inserita nelDEF,
che è fonte di preoccupazione perfino per la Corte dei Conti, la quale a
pag. 12 della sua relazione dice: “Vi
è, infine, un terzo fattore che stende un velo di incertezza sulla
dinamica delle entrate previste dal DEF 2014 e anche in questo caso si
tratta di un rapporto di “dipendenza”: quello che lega la crescita delle
entrate attesa a partire dal 2015 all’attuazione della misura di revisione
delle agevolazioni fiscali contenuta nella legge di stabilità 2014. Si
tratta di una partita che vale 3 miliardi nel 2015, 7 miliardi nel 2016 e
10 dal 2017, e che rappresenta fra il 26 per cento e il 62 per cento delle
maggiori entrate tributarie previste dal DEF fra il 2015 e il 2018”
E vogliamo parlare del pericolo dell’abolizione della detrazione sul
coniuge a carico? Se credevate che fosse stato superato, vi sbagliate: nel
testo di legge delega al Governo si è solo sostituito il termine
abolizione con armonizzazione. Visto quanto conta “la
parola d’onore”
per il nostro attuale Premier, non c’è motivo di essere ottimisti. Sarà
inoltre punita l’agroenergia dalla limitazione dell’esenzione IMU nelle
aree svantaggiate, doveil
Governo rastrellerà 350 milioni di Euro.
Stanno per riscrivere le mappe dei comuni montani e svantaggiati, quelli
in cui si applica l’esenzione. Per non parlare poi di un chiaro, smaccato,
regalo alle lobby dell’energia: gli agricoltori che hanno piccoli impianti
di produzione da fonti rinnovabili passeranno dalla tassazione attuale
(che considera il reddito agrario) alla tassazione ordinaria sul 25% dei
ricavi prodotti.
Insomma, oltre ai 91 milioni di Euro in bilancio a favore dei Partiti ed
ai 5 milioni aggiuntivi chiesti da SEL per l’invio di propaganda
elettorale a mezzo posta, pagheremo quindi anche lo spot elettorale di
Renzi per le Europee, e sarà la stessa Commissione europea a chiedercene
conto. Già, infatti Renzi non dice che la deroga approvata per i
famigerati 80 euro (se qualcuno li dovesse poi realmente avvistare, per
favore si metta in contatto con la redazione di Chilhavisto?), varrà solo
per il 2014. Non dice che grazie alFiscal
Compact, che noi vogliamo eliminaree
che lui vuole mantenere, nel 2014 il nostro disavanzo strutturale si
attesterebbe allo 0,6% del PIL, riducendosi così di soli 0,2 punti
percentuali rispetto al 2013 invece degli 0,5 richiesti dal Patto di
Stabilità, e questo comporterebbe che la Commissione Europea ci imporrebbe
la riduzione dell’aggregato della spesa pubblica di un ammontare che
garantisca una diminuzione del saldo strutturale di bilancio di almeno 0,5
punti percentuali ogni anno.Saranno
tagli lineari che smantelleranno ulteriormente lo stato sociale.
Tra l’altro, il tasso di crescita della spesa in termini reali, nel 2014,
nel 2015 e nel 2016, sarà ridotto rispettivamente dello 0,64, dello 0,74
nel 2015 e dello 0,41 nel 2016, valori non in linea con i parametri che la
Commissione impone, ovvero l’1,07% ogni anno.
IL GRAVE ERRORE DI GRILLO SUL FISCAL COMPACT,QUESTA
VOLTA RENZI HA LETTO MEGLIO
Possiamo mai tagliare 50 miliardi all’anno per un ventennio?”,si
chiedevaBeppe
Grillo nell’intervista alFattodi
sabato scorso. Risposta: no, perché non è sostenibile e no, perché non
è questo che impongono ivincoli
di bilancio europei, nonostante ormai si sia affermata l’idea che
Fiscal Compacte Six
Pack impongano manovre gigantesche ogni anno. Non è così, come spiega bene
Franco Mostacci, ricercatore dell’Istat, sul suo sito francomostacci.it
Il cosiddetto Six Pack (regolamenti europei) impone di ridurre di
un ventesimo all’anno la parte di
debito pubblicoche
eccede il 60 per cento del Pil. Noi abbiamo il 132 per cento circa e
quindi, con un conto a spanne, dovremmo ridurre il debito in valore
assoluto di 50 miliardi all’anno. Ma la regola –
combinata con il vincolo al rispetto del3
per cento del deficit/Pil–
funziona in un altro modo. L’Italia viene considerata in pari se il debito
si sarà ridotto al giusto ritmo tra 2012 e 2014, oppure se lo farà nei due
anni successivi oppure ancora se si sarà ridotto del ventesimo tra 2012 e
2014 considerato sia il Pil che il debito corretti per gli effetti della
recessione.
Stando così le cose, l’Italia sarà a posto senza bisogno di alcuna manovra
se si rispettano i numeri che hanno stimatoIstateBankitalia:
una crescita reale del Pil dello 0,6 nel 2014 e dell’1,2 per cento nel
2015 sarebbe sufficiente, tenendo ferme le altre variabili (purché non
salga troppo il debito pubblico, per esempio per pagare gliarretrati
della Pubblica amministrazione). È più stringente
l’Obiettivo di medio termine (MTO) che riguarda l’indebitamento
strutturale, cioè i conti pubblici al netto degli effetti del ciclo
economico e delle misure una tantum. Si considera la distanza tra il Pil
potenziale (quanto crescerebbe l’economia se corresse senza i freni della
crisi e senza stimolare l’inflazione) e il Pil che si registra davvero.
Una volta calcolato l’output gap, cioè quanto il Pil è frenato da
dinamiche esterne che non dipendono dalle politiche adottate, si calcola
il saldo di bilancio corretto per il ciclo, considerando l’elasticità
delle entrate alle variazioni di Pil (per ogni 100 euro di Pil in meno,
quanti sono gli euro che mancano al Tesoro?). Poi si tolgono le misure una
tantum. Et voilà il saldo di bilancio strutturale. La correzione
deve essere di almeno 0,5 punti di Pil all’anno, per ottenerla servono
tagli duraturi di circa 4-5 miliardi all’anno.
Morale: incrociando le dita, se leprevisioni
di crescitavengono
rispettate, se il debito non sale troppo e se non arriva la deflazione, la
gabbia del rigore europeo ci costa circa 5 miliardi all’anno. Che non sono
pochi, ma sempre meglio di 50.
Sosteniamo l'appello "La svolta autoritaria" che riportiamo
integralmente.
Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio
"Stiamo assistendo impotenti al progetto di stravolgere la nostra
Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato
dalla sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014, per creare
un sistema autoritario che dà al presidente del Consiglio poteri
padronali. Con la prospettiva di un monocameralismo e la
semplificazione accentratrice dell’ordine amministrativo, l’Italia
di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi cambia faccia mentre la
stampa, i partiti e i cittadini stanno attoniti (o accondiscendenti)
a guardare. La responsabilità del Pd è enorme poiché sta consentendo
l’attuazione del piano che era di Berlusconi, un piano
persistentemente osteggiato in passato a parole e ora in sordina
accolto.
Il fatto che non sia Berlusconi ma il leader del Pd a prendere in
mano il testimone della svolta autoritaria è ancora più grave perché
neutralizza l’opinione di opposizione. Bisogna fermare subito questo
progetto, e farlo con la stessa determinazione con la quale si
riuscì a fermarlo quando Berlusconi lo ispirava. Non è
l’appartenenza a un partito che vale a rendere giusto ciò che è
sbagliato. Una democrazia plebiscitaria non è scritta nella nostra
Costituzione e non è cosa che nessun cittadino che ha rispetto per
la sua libertà politica e civile può desiderare. Quale che sia il
leader che la propone".
Nadia Urbinati, Gustavo Zagrebelsky, Sandra Bonsanti, Stefano Rodotà,
Lorenza Carlassare, Alessandro Pace, Roberta De Monticelli, Gaetano
Azzariti, Elisabetta Rubini, Alberto Vannucci, Simona Peverelli,
Salvatore Settis,Costanza Firrao
IL REFERENDUM DI INDIRIZZO CON LEGGE
COSTITUZIONALE DEL 3 APRILE 1989 N.2
"È con l'istituto tipico della democrazia diretta - il referendum - che i
cittadini italiani, il 18 giugno 1989, sono stati chiamati a pronunciarsi
sul potenziamento del ruolo dell'Europa, «affidando allo stesso Parlamento
europeo il mandato di redigere un progetto di Costituzione europea da
sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati
membri della Comunità».
In altri termini, con la Legge Costituzionale 3 aprile 1989, n. 2, è stato
formalmente indetto unreferendum
popolaredi
indirizzo, non meramente consultivo, attraverso il quale è stata richiesta
la legittimazione popolare per il trasferimento di sovranità dallo Stato
italiano all'Unione europea (alloraComunità).
Ecco dunque che, nel solco già tracciato, potrebbe tranquillamente essere
indetto, con legge costituzionale, un nuovo referendum di indirizzo, per
sottoporre ai cittadini italiani il seguente quesito: «Ritenete voi che si
debba procedere all'uscita dell'Italia dall'utilizzo dell'EURO?».
La legge costituzionale istitutiva di un referendum di indirizzo ad hoc
avrebbe il pregio di neutralizzare i possibili rischi derivanti da un
referendum abrogativo ed, in particolare, dalle esplicite esclusioni
previste dal vigente articolo 75 Cost.
In ogni caso, oltre all'aspetto formale, un referendum sulla permanenza
del nostro Paese nell'area della moneta unica non farebbe altro che
concretizzare il principio cardine del nostroregime
democratico,
solennemente sancito nel primo articolo dellaCarta
Costituzionale repubblicana,
secondo cui«La
sovranità appartiene al popolo».
Al popolo sovrano, dunque, la parola!" M5S Senato
UN IMPERO ROMANO OPEN SOURCE FREE
Pompei è emozionante. E’ una città enorme, non ce la fai a girarla neanche
in due giorni. Ho parlato coi custodi, e c’è da dire che il problema
Pompei è il problemaItalia.
Pompei è un pozzo di petrolio, e se non hai una manutenzione ordinaria si
scrosta un muro e devi fare un appalto e tutto il resto. Qui ci vogliono
muratori, mosaicisti, che tutti i giorni si prendano cura della città. E
invece cosa fanno? Fanno le gare d’appalto, spendono milioni, mandano a
dirigere i lavori a della gente messa lì da Forza Italia che coordina e
prendemilioni
di euro.
C’è un teatro, qui, bellissimo. E lo hanno ristrutturato con le lucine a
led, il ferro. Lo hanno snaturato, rovinando la sua storia. Manca il senso
del rispetto, ecco! Ma come si fa? Allora seppelliamo tutto e speriamo che
tra mille anni ci sia una tecnologia straordinaria che auto-riparerà il
mosaico da solo. Così non si sopravvive.
Iromaniavevano
già inventato tutto: il geotermico, le saune, l’aria condizionata. Tutto
pubblico. Questo è il luogo della sacralità del pubblico. Tutto aperto.
Poveri e ricchi stavano all'aperto, svagavano. Non facevano appalti per le
saune, appalti per bere e appalti per mangiare. Che civiltà.
Oggi guardi queste macerie e pensi alle macerie delle persone macerate
dentro. Qui arrivano i generali coi loro venti esperti, coi loro stipendi
da100
milioni a botta.
E’ questa la rovina di questo Paese.
IL GORGO DELLA MONETA:DAL SIGNORAGGIO
ALLA RISERVA FRAZIONATA
« Per signoraggio viene
comunemente inteso l'insieme dei redditi derivanti dall'emissione di
moneta. Con riferimento all'euro il reddito da signoraggio generato
dall'emissione della moneta è definito come reddito originato dagli
attivi detenuti in contropartita delle banconote in circolazione e
viene ricompreso nel calcolo del reddito monetario che, secondo
l'articolo 32.1 dello Statuto del SEBC, è “Il reddito ottenuto dalle
Banche Centrali Nazionali nell'esercizio delle funzioni di politica
monetaria del Sistema Europeo delle Banche Centrali. »
Il signoraggio derivante dall'emissione diretta di moneta da parte del
governo viene incassato da questo, mentre quello derivante dall'emissione
di moneta da parte della banca centrale viene in parte prelevato dal
governo, sotto forma d'imposta, e il rimanente resta alla banca centrale,
dove viene utilizzato per coprire i costi di funzionamento e, per
l'eventuale parte eccedente, costituisce utile netto. Le banche centrali
possono essereenti
pubblici(come la Banca di
Francia) osocietà
di capitaliil cui capitale
è interamente (come la Banca del Canada) o in maggioranza (come la Banca
Nazionale Svizzera) di proprietà statale, in questi casi tale utile
finisce per essere incassato, in tutto o in parte, dal governo.
La Banca
d'Italia è un istituto di diritto pubblico ma le sue quote di
partecipazione al capitale sono in grande maggioranza private: per il
94,33% di proprietà di banche e assicurazioni e solo per il 5,67% di enti
pubblici (INPS e INAIL)[17].Lo statuto della Banca d'Italia, una volta pagate le imposte, concede di
distribuire ai partecipanti solo una minima parte degli utili netti
annuali, da spartirsi tra tutti in base alle quote possedute. Dal 20 al
40% degli utili netti viene aggiunto alle riserve valutarie ordinarie e/o
straordinarie dell'istituto e la parte restante (dal 60% all'80%) viene
trasferita al pubblico erario[18].
Ad esempio, come si evince[19]dal
Bilancio della Banca d'Italia per il 2009, a pagina 345 della Relazione
Annuale, in quell'anno l'utile netto è stato di euro 1 668 576 514,
ripartiti come segue:
allo Stato sono stati versati euro 1 001 130 308,
corrispondenti al 60,00% dell'utile netto;
alle riserve ordinaria e straordinaria sono stati
destinati euro 608 015 606 (calcolati come 333 715 303 + 333 715 303 −
59 415 000), corrispondenti al 36,44% dell'utile netto;
ai partecipanti sono stati versati euro 59 430 600
(calcolati come 9 360 + 6 240 + 59 415 000), corrispondenti al 3,56%
dell'utile netto.
Larga parte degli utili distribuiti ai partecipanti viene calcolata come
percentuale - non superiore al 4% - delle riserve detenute nell'anno
precedente[19],
come previsto dal comma terzo dell'art. 40 dello Statuto[18]che
recita «Dai frutti annualmente percepiti sugli investimenti delle
riserve, può essere, su proposta del Consiglio superiore e con
l’approvazione dell’assemblea ordinaria, prelevata e distribuita ai
partecipanti, in aggiunta a quanto previsto dall’art. 39, una somma non
superiore al 4% dell’importo delle riserve medesime, quali risultano dal
bilancio dell’esercizio precedente». Nel 2009 si è trattato di un
importo pari allo 0,5% dell’ammontare complessivo delle riserve al 31
dicembre 2008, cioè euro 59 415 000.
La parte rimanente, di importo generalmente trascurabile, non può, ex art.
39, commi 1 e 2[18],
eccedere il 10% del capitale, corrispondente nel 2009 a euro 15 600[19].
I russi di Rosneft mettono mezzo miliardo per il 13% di Pirelli
Il 26% detenuto da Camfin passa in un veicolo che per la
metà sarà controllato dalla società petrolifera. L'altro 50% si divide
tra Nuove Partecipazioni, che avrà l'80% delle quote, Unicredit e Intesa
Sanpaolo. L'operazione a 12 euro per azione
MILANO-
Si rafforza la presa della russa Rosneft sull'Italia. Dopo aver rilevato
il 20% di Saras dalla famiglia Moratti, la compagnia petrolifera russa è
pronta a mettere le mani sul 13% di Pirelli dando forza ai rumors di
fine gennaio quando pareva che insieme a Goldman Sachs fosse pronta a
lanciare un'Opa sulla Bicocca. Indiscrezioni che il numero uno della
società degli pneumatici, Marco Tronchetti Provera, aveva bollato come
"illazioni. Non è arrivata nessuna proposta al sottoscritto, nè
tantomeno ho fatto io proposte al board di Pirelli".
Certo per il momento il passaggio di controllo non è all'ordine del
giorno e anzi nei nuovi patti l'uscita di Tronchetti non è più prevista
nel 2017, anzi i tempi per decidere il futuro della Bicocca si allungano
di altri 5 anni. Nel frattempo, però, esce di scena il fondo Clessidra
di Claudio Sposito cambiando così la catena di controllo degli
pneumatici, secondo un accordo di massima del quale ha dato notizia con
una nota mattutina Intesa Sanpaolo.
Proprio Ca' de Sass, insieme a Unicredit, Clessidra, Nuove
Partecipazioni (Marco Tronchetti Provera e soci) e Rosneft è tra i
firmatari di questo accordo, secondo il quale verranno "valorizzate" le
quote indirette di Pirelli possedute attraverso Camfin "a un prezzo in
trasparenza pari a 12 euro per azione" (grossomodo l'attualeprezzo
di Borsa). Clessidra dovrebbe incassare 260
milioni, dopo averne investiti poco più di 150 milioni
nel giugno scorso.
Ai tempi dell'opa su Camfin della scorsa estate la valutazione di
Pirelli era stata di 8 euro ad azione. Di fatto, il pacchetto del 26%
circa di azioni Pirelli, detenuto oggi da Lauro 61/Camfin, entrerà in
una nuova scatola. Questa "newco", cioè una nuova società creataad
hocper
l'operazione, sarà a sua volta detenuta da due diverse realtà. Metà del
capitale andrà appunto ai russi di Rosneft, che secondo le indiscrezioni
dovrebbero pagare mezzo miliardo. L'altra metà del capitale andrà a un
nuovo veicolo nel quale continueranno a sedere Nuove Partecipazioni
(Tronchetti Provera) con l'80% delle quote, e le due banche (Intesa
Sanpaolo e Unicredit) con il 10% a testa. Entrambi gli istituti di
credito avevano investito meno di 120 milioni in Lauro-Camfin e vedranno
le proprie quote valorizzate 200 milioni circa prima di reinvestire una
cinquantina di milioni nella nuova operazione.
Le banche reinvestiranno quindi parte dei denari ottenuti liquidando le
attuali posizioni nella nuova scatola di controllo di Pirelli, mentre il
fondo Clessidra sarà del tutto fuori dai giochi. Quanto alla governance,
la nota di Intesa specifica che Nuove Partecipazioni "indicherà il
presidente e ceo di Pirelli, con pieni poteri sulla gestione ordinaria
della società.
La governance di Pirelli rimane invariata, resta centrale
il ruolo di guida del board, in linea con" le migliori prassi
internazionali. Con l'uscita di scena di Sposito e di Clessidra decade
l'obbligo di valorizzazione delle quote dopo 4 anni, la preannunciata
'exit' da Pirelli nel 2017. I nuovi accordi con Rosneft avranno, durata
di 5 anni, rinnovabili a scadenza. E' possibile ipotizzare che il gruppo
russo, con questa mossa, si candidi a rilevare il controllo della
società, anche se in base ai nuovi accordi il numero uno della Bicocca,
Tronchetti Provera, non avrà più alcun obbligo di uscire dal gruppo
italiano entro il 2017. Ci sarebbero così cinque anni per decidere del
futuro del celebre marchio italiano.
Quanto infine agli aspetti industriali, "obiettivo dell'accordo - si
legge nel comunicato - è sviluppare le attività e il business di
Pirelli, anche rafforzando la rete commerciale in Russia grazie alla
capillare presenza sul territorio di Rosneft". E ancora: "Già dalla fine
del 2012 Rosneft, la più importante società quotata nel settore oil and
gas al mondo, ha definito con Pirelli una serie di intese commerciali e
nel settore della ricerca e sviluppo, in particolare nei materiali per
la produzione di pneumatici e nella gomma sintetica". Rosneft, come
detto, è la stessa società che ha siglato un accordo con i Moratti,
storicamente legati a Tronchetti Provera, perrilevare
il 20% della Saras,
la società della raffinazione.
L'ultimo aggiornamento Consob sull'azionariato
dell'azienda della Bicocca vede Lauro 61 al 26,2% di Pirelli, seguito
dai Malacalza poco sotto il 7%, poi Edizione al 4,6%, Mediobanca al
3,95%, il fondo Harbor International al 3,94%. L'azione della Bicocca (segui
in diretta)
scivola in fondo al listino principale dopo la notizia. Secondo gli
analisti l'accordo rafforza la posizione di Marco Tronchetti in
confronto a quella delle istituzioni finanziarie. L'operazione è però
vista in modo ambivalente: per gli esperti di Mediobanca riduce l'appeal
speculativo. Nei mesi scorsi, infatti, il titolo aveva in parte
beneficiato in Borsa della convinzione del mercato che fosse imminente
un riassetto, magari anche attraverso anche un'opa. Per Intermonte,
invece, "l'ingresso di Rosneft apre una nuova fase in Pirelli: una
notizia positiva per il titolo".
Pirelli, arriva il colosso petrolifero russo Rosneft. Clessidra esce dal
gruppo
Il 26,2% detenuto da Camfin passa in un veicolo che per la metà sarà
controllato dal gruppo russo. L'altro 50% si divide tra Nuove
Partecipazioni (Marco Tronchetti Provera e soci), che avrà l'80% delle
quote, Unicredit e Intesa Sanpaolo
Il colosso russo del petrolioRosneftentra
nell’azionariato diPirelli.
Lo riferisce una nota diUnicrediteIntesa
Sanpaolo, che hanno raggiunto un accordo con il gruppo
petrolifero in base al quale Rosneft deterrà il 50% di una newco che
rileverà la quota di Pirelli detenuta daCamfin,
pari al26,2
per cento. L’altro 50% della newco sarà invece detenuto da una
compagnia partecipata all’80% da Nuove Partecipazioni (Marco
Tronchetti Proverae
soci), la holding che controlla Pirelli, e da Intesa e Unicredit per un
10% ciascuna.Clessidra,
invece, uscirà dal capitale del gruppo.
L’investimento russo è di circa 500
milioni di euro, per una quota “in trasparenza” (cioè al netto
dei veicoli societari che custodiscono le azioni della Bicocca) del13%
circa. Il disinvestimento di Unicredit, Intesa e Clessidra – si
legge in una nota degli azionisti – avverrebbe valorizzando a 12 euro
per azione la partecipazione Pirelli.
Le novità nell’azionariato di Pirelli sono state accolte con una pioggia
di vendite a Piazza
Affari. Il titolo perde oltre
il 2% a 11,7 euro. Secondo gli analisti l’accordo rafforza la
posizione di Marco Tronchetti in confronto a quella delle istituzioni
finanziarie, ma si attenua l’appeal
speculativo.
“Obiettivo dell’accordo è sviluppare le attività e il business di
Pirelli, anche rafforzando la rete commerciale in Russia grazie alla
capillare presenza sul territorio di Rosneft”, spiega la nota. In base
agli accordi è previsto che lagovernancedi
Pirelli rimanga “invariata e incentrata sul ruolo fondamentale di guida
del board, in linea con le best practice internazionali”.
Intesa e Unicredit, accordo per i crediti in ristrutturazione
Le due maggiori banche italiane hanno siglato un'intesa con il fondo di
private equity Kkr e l'advisor A&M (quello che ha ristrutturato Lehman
Brothers) per creare un veicolo che ospiti i crediti in
ristrutturazione. I nodi da sciogliere per gli istituti italiani: quanti
asset trasferire e con quante risorse proprie partecipare. Sullo sfondo
la suggestione di una bad bank all'italiana
MILANO- I due
principali player del credito tricolore uniscono le forse con advisor e
fondi di private equity per cercare di dar corpo a un veicolo in grado
di accogliere alcuni pacchetti di crediti in ristrutturazione e liberare
capitale buono per parare i colpi dell'Asset quality review della Bce e
tornare a erogare finanziamenti per le imprese in difficoltà. Intesa
Sanpaolo e Unicredit hanno annunciato di aver firmato un "memorandum of
understanding" con Alvarez & Marsal (A&M) e Kkr "per sviluppare e
realizzare insieme una soluzione innovativa finalizzata a ottimizzare le
performance e massimizzare il valore di un selezionato portafoglio di
crediti in ristrutturazione attraverso la gestione attiva degli asset e
l'apporto di nuove risorse finanziare".
Il progetto riguarderà in particolare i crediti erogati nei confronti di
aziende del settore industriale e dei servizi, con l'esclusione sia del
comparto finanziario che del real estate, che siano in fase di
ristrutturazione e non ancora, quindi, da considerare del tutto
"deteriorati". Con l'intervento degli operatori specializzati nel
settore, le parti in causa puntano a ridare fiato alle società
selezionate, riportandole alla possibilità di restituire i denari presi
a prestito dagli istituti e, in un orizzonte temporale maggiore,
generare utili dall'attività caratteristica.
A&M è infatti uno dei principali operatori delle ristrutturazioni
aziendali e della consulenza a società in serie difficoltà;
fondato nel 1983, il suo nome è legato nientemeno che alla
ristrutturazione del fallimento più famoso della storia, quello di
Lehman Brothers che ha scatenato la crisi finanziaria. Kkr, invece, è un
fondo che gestisce quasi 15 miliardi di dollari di asset; in tempi
recenti ha diversificato proprio nell'attività di gestione e recupero
dei crediti in sofferenza, dall'operatività tradizionale di buyout.
Nella nota congiunta si spiega che "la formazione e l'operatività della
partnership sono ancora oggetto di discussione e verifica tra le parti.
Ulteriori dettagli verranno resi noti con il progredire
dell'operazione".
La notizia era stata intercettata dalFinancial
Times,
che nella serata di ieri ha anticipato l'uscita del comunicato. Il
quotidiano della City nota che si tratta di un raro esempio di banche
europee che fanno fronte comune con alcuni dei tanti private equity e
hedge fund presenti nel sistema finanziario del Vecchio Continente in
cerca di opportunità per accaparrarsi asset dagli istituti di credito
"affamati di capitale". Sullo sfondo, ilFte
altri osservatori lasciano intravvedere la suggestione della creazione
di una "bad bank" italiana, cioè un soggetto che accolga i crediti in
sofferenza delle banche tricolori.
Le parti in causa specificano però che non è ancora questo il caso di
parlare di una "bad bank", perché l'accordo di oggi accoglie crediti non
ancora deteriorati, per di più senza l'intenzione di dismetterli, ma per
riportare alla redditività le aziende che hanno richiesto i
finanziamenti; inoltre la taglia dei pacchetti dovrebbe essere tutto
sommato limitata. Oltre ai dettagli tecnici sulla costituzione del
veicolo, a Intesa e Unicredit spetta la scelta su quale parte del
proprio portafoglio di crediti in sofferenza conferire e in che misura
contribuire con risorse fresche di tasca propria.
Entrambe, in occasione della presentazione dei loro conti 2013 e dei
piani industriali per i prossimi anni, hanno messo nero su bianco la
volontà di isolare nei propri libri contabili i crediti difficili, dando
vita a delle forme di "bad bank interne".Unicredit
ha isolato 87 miliardi di eurodi
prestiti in sofferenza, annunciando la volontà di dismetterne 55
miliardi entro la fine del 2018.Intesa,
a stretto giro, ha creato la sua banca cattivaper
accogliere 46 miliardi di asset (per la maggior parte crediti, anche se
non manca qualche partecipazione non più strategica) con l'intenzione di
dimezzarli nel giro dei prossimi quattro anni.
Nel complesso, le solesofferenze
lorde del sistema bancario italiano,
secondo le ultime stime dell'Abi, hanno raggiunto la cifra record di 162
miliardi. Ultimamente le pulizie effettuate dagli istituti di credito e
alcune cessioni di pacchetti di crediti hanno fatto scendere il dato
delle sofferenze nette, cioè l'ammontare dei crediti difficili meno le
coperture stanziate dalle banche: a febbraio erano 78 miliardi, con un
rapporto del 4,27% sul totale degli impieghi.
Film e musica gratis su Internet, stretta dell'Agcom. L'autorità
potrà chiedere la rimozione dei contenuti ai provider con
provvedimento della durata di 35 giorni accertamenti compresi
Per alcuni sarà più facile far rispettare la legalità, per altri si
rischia una deriva repressiva. Di certo, da lunedì, chi combatte la
pirateria on line avrà un’arma in più. Dal 31 marzo entra infatti in
vigoreil
nuovo regolamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni
a tutela del diritto d’autore. Forse non a caso, proprio in
concomitanza con il lancio dei nuovi servizi streaming di Sky e
Mediaset, che in questo periodo stanno ampliando la propria offerta
di contenuti su internet.
La novità è che d’ora in poi non solo l’autorità giudiziaria, ma la
stessa Agcom, potrà ordinare ai provider (ossia ai fornitori di
servizi come Telecom o Fastweb) la rimozione di contenuti illegali.
Con un procedimento rapidissimo che durerà al massimo 35 giorni,
accertamenti compresi.
Il nuovo regolamento riguarda ogni “opera digitale” coperta da
diritto d’autore: canzoni, fotografie, articoli. E ovviamente anche
film. Pellicole e serie tv illegali che oggi è così facile trovare
in rete potrebbero subire un brusco ridimensionamento; e in qualche
pagina Facebook dedicata ci si imbatte in questi giorni in
avvertimenti di questo genere: “Avvisiamo tutti gli appassionati che
dal 31 marzo la nostra liberà è finita, quindi godetevi i vostri
ultimi momenti più belli con le vostre serie preferite”.
“Vogliono fare tabula rasa e chiuderci tutti”: dice all’HuffPost
l’amministratore di Italia-film, tra le decine di siti che ospitano
link di film in streaming ma il solo che ha accettato di parlare con
noi. “Perché non intervengono sui siti di hosting che ospitano
fisicamente il materiale? Sono loro i veri ‘pirati’, quelli che
lucrano sul cinema. La verità è che sono siti impossibili da
rintracciare e da chiudere, e allora colpiranno noi che facciamo
solo i link”.
Per l’avvocato Guido Scorza, esperto di digitale, è verosimile
ipotizzare che assisteremo a una fase di transizione in cui trovare
film e serie piratati sarà più difficile; ma nel lungo periodo
basterà scaricare il software giusto per superare i blocchi. “Oggi
basta digitare su Google il titolo di un film per trovarlo in pochi
passaggi, domani sarà più complicato. Verrà scoraggiato l’utente
pigro e poco abile con il computer. Sarà un forte disincentivo, ma
chi vuole davvero continuerà a farlo”.
Per Scorza, comunque, ci sono questioni ben più serie di queste. Se
è vero infatti che tutti sono d’accordo nel combattere la pirateria
digitale, sulle modalità di perseguire lo scopo non c’è unanimità. E
sul nuovo regolamento Agcom pendono due ricorsi al Tar.
Da una parte quello dell’avvocato Fulvio Sarzana, che rappresenta i
provider di Assoprovider (associazione aderente a Confcommercio).
“Sono loro i soggetti che dovranno materialmente intervenire per
rimuovere i contenuti illegali – spiega Sarzana - e non vogliono
certo diventare dei cyber sceriffi”.
Poi c’è il ricorso dello stesso Scorza a sostegno di alcune
associazioni, tra cui Federazione Media digitali indipendenti e
l’Associazione nazionale stampa on line.
“La mia paura – dice l’avvocato – è che si rischiano procedimenti
sommari anche per quei soggetti che violano il diritto d’autore
spesso inconsapevolmente e in buona fede, per fare informazione e
critica. Penso al cosiddetto citizen journalism, il giornalismo
fatto dai non professionisti. Penso a blogger o testate che usano
magari parte di un Tg o spezzoni di un programma per informare e non
certo a fini di lucro”.
Il punto centrale, per Scorza, è che un’autorità amministrativa come
l’Agcom si sia di fatto sostituita all’autorità giudiziaria. “Prima
chi pensava di aver subito la violazione di un diritto doveva
rivolgersi a un avvocato, c’erano delle indagini, e iniziava un
processo con tutte le garanzie del caso per entrambe le parti. Per
il presunto colpevole c’era la possibilità di fare ricorso, la
possibilità di un dibattimento in cui poteva dimostrare le sue
ragioni. Era un procedimento lungo e complesso che poteva durare
mesi, in alcuni casi anni. Ora invece al titolare del copyright
basterà compilare online un modulo di segnalazione e inviarlo all’Agcom,
con un sistema facile, rapido e poco dispendioso. L’Autorità
ordinerà al provider di rimuovere i contenuti illegali e il tutto
durerà al massimo 35 giorni. E’ vero che il presunto colpevole potrà
sempre ricorrere al giudice, ma solo a procedimento concluso”.
“Dall’Agcom – prosegue l’avvocato – assicurano che il regolamento
sarà applicato con buon senso. Non ho motivo di dubitarne. Ma il
buon senso, purtroppo, è sempre cosa molto relativa”.
Analoghe perplessità arrivano dall’avvocato Fulvio Sarzana. “La
procedura è completamente informatizzata e tecnologicamente molto
avanzata, già usata per i siti di pedofilia dalla Polizia Postale.
Il punto è che se si chiude un sito di pedofilia non è un problema
per nessuno; ma la violazione del diritto d’autore è un terreno
molto più delicato che spesso confina con la libertà d’informazione
e critica”.
“Prima che entri in vigore non è facile valutare l’impatto del nuovo
regolamento; ma temo che con una procedura così semplificata e
rapida, si scateni una ‘caccia al ladro’ dall’indubbio valore.
Oltretutto non sarà facile rimuovere i singoli contenuti illegali e
soprattutto per i siti ospitati all’estero, così come per quelli in
cui si riscontreranno ‘violazioni massive’, si rischia l’oscuramento
di interi siti”.
Problematiche e critiche, queste, che all’Agcom conoscono bene. “Ma
bisogna ricordare – sottolinea dall’Autorità il commissario
Francesco Posteraro – che lo scopo del nuovo regolamento non è
quello di sanzionare e rimuovere, ma ampliare l’area di legalità”.
“A chi dice che ci sostituiamo ai giudici ricordo che ci muoviamo
sulla base di un decreto legislativo del 2003, che recepisce una
direttiva europea. Il testo dice che sia l’autorità giudiziaria che
quella amministrativa con potere di vigilanza (ndr: l’Agcom) possono
esigere dal provider un intervento in caso di violazione”.
Il commissario evidenzia che il titolare del diritto leso può
rivolgersi tanto all’Agcom quanto a un giudice, e che tutti i
provvedimenti sono impugnabili di fronte al Tar.“Non ci sostituiamo
in alcun modo all’autorità giudiziaria - prosegue Posteraro – noi
interveniamo solo nei confronti del provider il quale è libero di
fare ricorso. Il nostro è un procedimento anzi molto garantista, che
offre anche ai soggetti che non sono direttamente coinvolti nella
procedura, ossia coloro che ospitano sul loro sito materiale
illegale, di intervenire e difendere le proprie ragioni; oppure di
adeguarsi spontaneamente”.
Posizioni e opinioni diverse, evidentemente, si manifestano nel
vasto campo della pirateria on line. Anche tra gli stessi soggetti
che la combattono. Gli interessi in gioco non sono di poco conto e
agli utenti non resta che aspettare di vedere in che modo realmente
verrà applicato il nuovo regolamento. Con una precisazione: in
questa specifica partita, l’utente finale, ossia chi fruisce di
opere digitali in streaming e downloading, non rischia nulla. Il
regolamento Agcom non si riferisce infatti a loro in alcun modo.
Per quanto riguarda la banca d'Italia le
cose sono cambiate dal decreto del 27 novembre 2013 divenuto legge nel
febbraio 2014 con la "tagliola"prodotta dal presidente della Camera
Boldrini:con quell'atto il capitale della Banca d'Italia veniva rivalutato
da 156.000 a 7,5 miliardi di euro, capitale bloccato dal 1926 e mai
rivalutato nemmeno dal venefico Amato durante la crisi-default del 1992!!
Il primo libro dello scrittore di fantascienzaJames
Ballardfu
"Il
vento dal nulla".
Un vento sempre più forte soffia ovunque e la sua intensità aumenta giorno
dopo giorno. La sua origine è sconosciuta e il vento cessa soltanto quando
l'ultimo edificio sulla Terra viene distrutto. Questo vento è oggi il
denaro,il
denaro dal nulla,
che sta infettando le economie e gli Stati che ne vengono travolti. Il
denaro è creato dalle banche con il meccanismo dellariserva
frazionaria.
Quando la banca concede un prestito ha una riserva che lo garantisce, ma
non del tutto. Supponiamo che la banca abbia nei suoi depositi 1.000 euro
e che la riserva obbligatoria per un prestito corrisponda al 10% della
somma prestata. La banca potrà quindi prestare fino a 10.000 euro
nonostante disponga solo di 1.000 euro. Ha creato 9.000 euro dal nulla. Se
tutti i clienti di un qualunque istituto bancario decidessero di prelevare
le somme depositate scoprirebbero che non esistono e la banca fallirebbe.
Il denaro in circolazione non ha più niente a che fare con la realtà. Si
stima che il debito totale del mondo ammonti a 200trilionidi
dollari, mentre la produzione mondiale annua, il PIL, è di 70 trilioni,
circa un terzo.Una
bolla enorme che prima o poi è destinata ad esplodere.
Per uscirne si potrebbe sostituire il denaro creato dalle banche con
denaro stampato dagli Stati e con l'obbligo di prestiti interamente
coperti da capitali. Per ora siamo seduti sopra a un uragano i cui effetti
sono di una dimensione che sfugge alla mente umana. L'economista e premio
NobelMaurice
Allaisdisse
"L'attuale
creazione di denaro dal nulla, operata dal sistema bancario, è identica
alla creazione di moneta da parte dei falsari. La sola differenza è che
sono diversi coloro che ne traggono profitto".
Il denaro dal nulla potrebbe terminare con ladistruzione
delle Nazioni.Come
il vento, e poi cessare di colpo.
PER CANCELLARE IL SENATO CI VUOLE UNA MODIFICA
DELLA PRIMA PARTE DELLA COSTITUZIONE, OVVERO CI VUOLE IL DOPPIO PASSAGGIO
NORMATIVO A CAMERA E SENATO CON I 2/3 DI VOTI FAVOREVOLI, CON IN PIU'
REFERENDUM CONFERMATIVO, STIAMO PARLANDO DI TEMPI BIBLICI, QUINDI I DUE
RINCOGLIONITI AL GOVERNO (UNO UFFICIALE,RENZI,L'ALTRO
UFFICIOSAMENTE,BERLUSCONI) DECIDONO DI RIDURRE IL PASTROLICUM ALLA SOLA
CAMERA DEI DEPUTATI, DICENDO CHE IL SENATO TANTO VERRA' ABOLITO...
CONTINUANO LE EPURAZIONI STALINISTE
ALL'INTERNO DEL M5S, ALTRI 5 ESPULSI !!!
I senatori eletti come portavoce del M5S Bencini, Bignami,
Casaletto, Mussini e Romani hanno rassegnato le loro dimissioni dal Senato
e le hanno presentate ufficialmente al Presidente del Senato Piero Grasso.
Questo gesto non è stato motivato da particolari situazioni personali,
familiari o di salute, come solitamente avviene in questi casi, ma come
gesto politico in aperto conflitto e contrasto con quanto richiesto dal
territorio, stabilito dall'assemblea dei parlamentari del M5S, confermato
dai fondatori del M5S e ratificato dagli iscritti certificati in Rete, in
merito ai quattro senatori espulsi. E' stato loro chiesto se confermassero
o meno la propria posizione e l'hanno ribadita.
I senatori dimissionari si sono pertanto isolati dal
MoVimento 5 Stelle e non possono continuare ad esserne rappresentanti
ufficiali nelle istituzioni. Bencini, Bignami, Casaletto, Mussini e Romani
sono fuori dal M5S.
Un consigliere Idv: "Candidato a sindaco? Macché voto online, io
lo sapevo da prima". E scoppia la lite: "Non collaboriamo finché
non ci saranno risposte complete"
Da "megafono" Beppe Grillo, ad un anno
dall'exploit delle politiche del 2013, si è rapidamente trasformato
in capo indiscusso che espelle con la pantomima della "decisione
della rete" degli iscritti, che sono , come da regolamento per la
candidatura alle Europee, gente "originaria" iscritta ai MeetUp poi
cooptata nella "rete" che si guarda bene dall'allargarsi temendo
"infiltrazioni" extra da quel mondo politico putrefatto che
vorrebbero liquidare. E' la solita setta massonica italiota che si è
formata in rete piuttosto che a Castiglion delle Stiviere,
raggrumata grazie ai buoni uffici di questo parruccone destrorso,
tal casaleggio, vecchissima conoscenza del mondo Telecom targato
Colaninno-Provera.
Casaleggio a cavallo del 2000 è amministratore delegato di Webegg
spa, società Olivetti. Olivetti ne vende la proprietà nel 2002 al
suo principale cliente,Telecom
Spa già di Roberto Colaninnoche
era anche precedentemente in Olivetti (quello delle scalate dei
Capitani Coraggiosi ma che aveva anche dato vita sempre nel 2000 a
Netikos spa; nel CdA Casaleggio e Michele Colaninno; Roberto
Colaninno lascia Telecom nel 2001 ). Niente male per Casaleggio che
è un semplice perito informatico! Tutto bene fino a che diventa
nuovo azionista di maggioranza Tronchetti Provera. Infatti subito
dopo, nel 2003, Casaleggio viene mandato via. Guardando i bilanci,
la sua gestione risulta disastrosa come riporta anche la stampa
specializzata (Computerworld online del 15 giugno 2004). La Webegg
si ritrova con un drastico calo del fatturato:-
26% nel 2003. Infatti ci sono buchi di 1milione 932mila euro nel
2001 e di 15 milioni 938mila euro nel 2002,su
un fatturato di 26 milioni di euro. E meno 60% dei ricavi nel 2002
rispetto al 2001 sui clienti del gruppo Telecom. Gli azionisti
definiscono “un piano pluriennale di risanamento” con una “drastica
riduzione dei costi di gestione… e ridimensionamento del budget
rivolto alla comunicazione”, la dismissione delle aziende che
Casaleggio aveva acquisito per costruire un modello particolare di
azienda in rete, oramai non considerato “più strategico e coerente
col core-business della società”. Gli azionisti devono risanare
l’azienda e alla fine venderla, chiudendo anche tutte le società
connesse. La gestione Casaleggio succhia ingenti risorse economiche.
IlBeppe
Grilloimplacabile
scopritore di scandali direbbe:Con
questi buchi di bilancio e con un diploma da perito informatico
quale impresa privata ti riprende?E
invece no. ll comico genovese che mette alla berlina i manager
fallimentari ed esempi dell’italianità più ridicola anche nel 2012
in un comizio tra i fans di Pistoia ripete sicuro cheCasaleggio
è “un ottimo manager!”
Ma in cosa e perché spendeva l’Amministratore Delegato Casaleggio?
Ce lo mostrano le testimonianze del Project Manager Mauro Cioni (che
ha lavorato in tutta la compagine per 10 anni) e di altri dipendenti
che non sono voluti apparire. Ma soprattutto i documenti dell’epoca.
La strategia di Casaleggio.
Fidelizzare i giovani
La strategia aziendale di Casaleggio in Webegg è il modello Web
company americana, con quelle classiche formule del marketing “made
in Usa”. Casaleggio assume giovani, fa la parte del “capo amico di
tutti”, ma c’è sempre lo psicologo, nei ritiri in monastero per
affiatare il gruppo. Nell’impresa non esiste una differenza tra il
tempo libero e quello lavorativo. Lui è oltre. Ha un modo diverso di
concepire la vita: bisogna fare qualcosa che ti piace, in cui credi
e dai il massimo…all’azienda però.Per
vendere di più del prodotto devi essere quel prodotto e non
semplicemente promuoverlo.Insomma
se avete mai preso in mano un manuale americano di marketing o
motivazionale ne trovate a iosa di questa roba. I giovani, come
dichiara nell’articolo “Dolce Vita” su Logica Interview, sono
guidati da qualcosa di più dei soldi; bisogna dar loro la
possibilità di partecipare al cambiamento, di avere responsabilità e
se una persona è motivata e felice questa rende di più. Quindi il
successo per l’azienda è garantito. E allora Casaleggio cosa fa?Prende
anche giovani inesperti e dà loro grandi responsabilità e ottimi
stipendi. Vi ricorda qualcosa del Movimento 5 Stelle!? Ma andiamo
avanti.
La Webegg è rappresentata da un uovo.Casaleggio
fa costruire all’interno delle tre sedi della società,
Milano,
Torino e Bologna proprio una stanza a forma di uovo, stile “Star
Trek”come dice
lui stesso nelle riviste di settore. Con pavimento d’acciaio,
colonnina comandi tutta metallica con pulsanti colorati, la
tecnologia è completamente occultata e attivata con i raggi
infrarossi “per dare fin dal primo impatto la sensazione della
proiezione nel futuro”: stile navicella spaziale del capitano Kirk;
tutti dentro, lui, i dipendenti, i clienti e la stampa.
E Casaleggio? L’amministratore delegato di una società che lavora
con banche, assicurazioni e la Telecom, per sentirsi nel futuro si
chiude in una stanza a forma di uovo!?
I comandamenti del “guru” e il
Movimento 5 Stelle
La società di Casaleggio ha addirittura12
comandamenti,affissi
ovunque nell’azienda in manifesti con le uova. E Casaleggio fa
realizzare un video sui comandamenti e lo distribuisce a tutti i
dipendenti.
Studiandoli in profondità si trovanonon
poche corrispondenze tra i comandamenti di Webegg e il Movimento 5Stelle
oggi. Vediamone solo alcuni, ad esempio il comandamento9.“Assenza
di competitività interna”molto
simile al principio di eguaglianza del Movimento 5 stelle, dove ogni
attivista vale uno (il motto “Uno vale uno” ). O il5
Teamwork, dove si decide che il sistema di lavoro
deve essere per gruppi funzionali, simile al modello di aggregazione
dei Meetup dove le persone lavorano su singoli temi funzionali. O il
comandamento2.Responsabilità
sul risultatoche
ricorda le “Semestrali” dei grillini quando i cittadini confermano o
meno la fiducia ai consiglieri del Movimento 5 Stelle. Il
comandamento6
Protezione totale delle persone, che ricorda quando
Grillo interveniva in aiuto dei singoli colpiti da un provvedimento
giudiziario ingiusto (cosa che fa sempre più di rado). O il4
Il divertimento come forza creativa. Tutto il
Movimento si basa sulla divertente figura di un comico, Grillo, che
usa l’umorismo come registro comunicativo con i cittadini. Le sue
parole ti suscitano delle emozioni che creano il coinvolgimento e
non un ascolto passivo. Al pubblico resta impresso un’emozione
positiva e non semplicemente le parole di un comizio. Una tecnica di
comunicazione ben nota agli addetti ai lavori (usata nella
Programmazione Neurolinguistica)
Nel video i comandamenti vengono sempre rappresentati con un film
(come vedrete nella video-inchiesta). E spicca su tutti il
comandamento8
L’Invenzione continua del businessche
il “guru” rappresenta in un modo del tutto particolare e che da quel
tocco in più di personalità: Con Totò, che nel film“Totò
truffa ’62” vende la Fontana di Trevi ad un credulone!
Chiusa malamente l’esperienza di Webegg Casaleggio continua a
portare le società nel web e diventa un personaggio pubblico nel
2005 quando fonda il blog di Beppe Grillo, pianifica i V day,
organizza i meet up del Movimento e il Movimento 5 Stelle con lanuova
società la Casaleggio Associati.
Come sostengono molti attivisti il Movimento non nasce
spontaneamente dal basso ma dalle strategie di Casaleggio. Ad
esempio ancheil
Meet up N°1, la piattaforma di aggregazione del Movimento
nella città di Milano, nasce il 10 giugno 2005 da un ex-dipendente
Webegg, Maurizio Benzi, poi assunto da Casaleggio nella sua nuova
azienda, la Casaleggio Associati, un mese prima che Grillo stesso
proponga ai suoi fans, il 16 luglio 2005, di usare i Meet up come
piattaforma di aggregazione. Lo stesso Benzi oggi è candidato alla
Camera per il Movimento nella circoscrizione Lombardia 3.
Tutto quindi fa pensare che
questo Movimento sia la riproduzione del modello di business dell’ex
società di Casaleggio. E non sia nato dalla rete, da cittadini che
spontaneamente si sono messi insieme. I cittadini si
aggregano su un modello già pianificato e proposto dall’ alto.
Infatti Casaleggio e Grillo fanno credere che la loro rete di
attivisti sia il luogo dell’orizzontalità e della libertà assoluta,
esente da censure. Ma nella realtà il Movimento comunica sul loro
sito e non su un piattaforma aperta, i commenti possono essere
omessi o anche manipolati dalla società al vertice, come sostengono
tantissimi attivisti.Oggi
la Casaleggio Associati, ultimo bilancio consultabile 2011, ha un
passivo di circa 57mila euro ripianato dai soci. Con il supporto di
analisti di bilancio abbiamo messo a confronto l’azienda passata, la
Webegg spa e quella presente, la Casaleggio Associati srl, con
imprese del settore, ma in attivo, come la Accenture spa (capofila
del settore ICT).Le
aziende del “guru” hanno sempre gli stessi problemi, spese
sproporzionate per il personale e le materie prime, in percentuale
così alta da determinare un buco di bilancio.A
conferma che la gestione Casaleggio richiede sempre ingenti risorse
economiche.
OLTRE UN MILIONE DI EURO DI DANARO
PUBBLICO VIA ITALIA DEI VALORI
La comunicazione è potere e da la possibilità di essere visibili.
Magari riciclando le strategie di Webegg-Telecom, come abbiamo
visto. Ed è Grillo stesso che ci dice in un filmato (guarda la Video
inchiesta) quale possa essere il fine manageriale di Casaleggio:visto
il miracolo che gli è riuscito con il Movimento adesso nasce la
possibilità di avere altri clienti.
Cosa già sperimentata in politica da Casaleggio, come ci ha
raccontato il penalista ed ex esponente dell’Idv Domenico Morace che
ha seguito la gestione della Casaleggio e le spese dell’Italia dei
valori diAntonio
Di Pietrodal
2006. Con l’avvento di Gianroberto Casaleggio il bilancio
dell’Italia dei Valori del 2006 riporta la spesa Internet aggregata
ad altre voci per un ammontare totale di 1milione 305mila euro. Nel
2007 la voce siti Internet è unica: 469.173 euro. Lievita ancora nel
2008 ed arriva a 539.138 euro
“La Rete è politica” sostiene ancora più esplicitamenteCasaleggioin
un”intervista del passato (Data Manager 2001) ma ”per
apprezzare la rete bisogna darle una dimensione culturale, solo in
un secondo momento si può cominciare a fare business”
perché “da la possibilità di cambiare gli equilibri”.
DAL 1 GENNAIO 2011 BEPPE GRILLO SI
ALLONTANA DA DI PIETRO, PERCHE' ?
Come dal regolamento di Grillo: in sostanza sarà una società di
comunicazione decisa da Grillo stesso a parlare per i Deputati e i
Senatori del Movimento.Gestirà
circa 10 Milioni di euro l’anno (6,3 alla Camera; 3,7 al Senato; i
dati sono calcolati sui numeri ufficiali delle due Camere), che
diventano 50 milioni di euro per una legislatura completa,visti
i circa 100 parlamentari attribuiti al Movimento, oltre ai loro
singoli stipendi. Non sappiamo ancora quale sarà il nome ufficiale
della società che gestirà tutte queste risorse. Ma di certo sappiamo
che con 50 milioni euro la forza di convinzione e di trasformazione
degli equilibri può alimentare molto altro denaro.
Sarà per questo che in Italia è
sempre meglio fondare un partito che gestire un’azienda! E'
assolutamente così: nel 2011 ai "movimentisti", alle api operaie
originarie dei MeetUp riesce il colpaccio di prendersi Parma come
comune ed altre amministrazioni minori sfruttando lo sfacelo
spaventoso prodotto da tre anni di governo Berlusconi Tris e dalla
profonda crisi economica internazionale che incomincia a colpire
fortemente anche l'Italia che dal 2008 sostanzialmente non ha
avviato nessun programma di difesa e riforma sia della politica che
dell'economia. Grazie alle farraginosità di una classe dirigente
disastrosa, la penisola ha continuato a vivacchiare sull'enorme
debito pubblico che proprio nel 2011 ESPLODEVA, vi ricordate LO
SPREAD ?? Fino ad allora nessuno sapeva cosa fosse fino a quando nel
giugno-luglio del 2011 iniziò a correre come un forsennato di fronte
al colpevole immobilismo del duo Berlusconi-Tremonti: il primo
troppo impegnato a coprire scandali di ogni tipo che lo porteranno a
svariate condanne penali, il secondo barcamenante in Leggi
Finanziarie ridicole. Proprio a maggio di quell'anno il Partito
delle Libertà cedeva di schianto a Milano, Napoli roccaforti
amministrative comunali che aprivano uno squarcio spaventoso sia
politico - prima - che economico -poi. proprio durante la campagna
elettorale per le amministrative, Grillo, fiutando benissimo il
vento che cambiava, scaricava il povero Di Pietro, che con la
montagna di soldi pubblici proveniente dal suo partito, come visto
sopra, aveva sostanzialmente finanziato la crescita del blog di
Beppe Grillo mascherando le caratteristiche perdite della società di
Casaleggio che gestisce il tutto. La visibilità portata dal
clamoroso successo nel comune di Parma diede modo successivamente al
"Movimento" di diventare "primo partito" in Sicilia, alle
amministrative anticipate del 2012 arrivate per il crollo della
Giunta Lombardo, spazzata via dal solito "concorso esterno in
associazione mafiosa". Al disastro etico morale della classe
dirigente italiota, si unì in maniera micidiale, il disastro
economico-fianziario con lo spread a quota 575 a ridosso del default,
il "licenziamento" di Berlusconi e l'ascesa dei "tecnici" che non
arrestarono il decorso comatoso della penisola. E' vero che Grillo
obbliga alla restituzione di diarie ed alla stipula di patti onerosi
per massacrare che fuoriesce dal "Gruppo", ma il "codice etico"
viene scritto da Lui ed è insindacabile, non viene posto ai voti
neanche nella Sua rete ristretta: o si accetta o si è fuori e se per
caso eri dentro e vuoi uscire devi pagare una penale che finisce
nelle tasche di Casaleggio che così "pareggia un pochino i
bilanci"...
I titoli si sono spostati dal primo contenitore al secondo negli ultimi
quattro anni, in cuil'Italia
ha preso ordini dalla BCEche
ha "consigliato"
persino le nomine di Monti, di Letta e ora di Renzie, tre presidenti del
Consiglio non eletti dagli italiani. I titoli si sono mossi. I detentori
esteri sono scesi dal 47,1% al 30%, di conseguenza i detentori italiani
sono passati da poco più della metà al 70%.Ci
siamo ripresi la spazzaturain
casa. Questo del resto era l'obiettivo della UE e della BCE, diminuire
l'esposizione estera verso i nostri titoli pubblici. Operazione riuscita,
ma non ancora conclusa. L'esposizione deve infatti scendere almeno al 10%,
dopo questa soglia il rischio default dell'Italia non potrà produrre un
contagio, in particolare per Germania e Francia.
Dopo
Berlusconi,12-11-11,Monti,24-12-12,e Letta,13-2-14,la sfiducia arriva via
Quirinale. Totalmente esautorato il Parlamento. Per il resto della nazione
è tutto normale...in Sardegna il 48% degli aventi diritto non è andato a
votare!!!
Elezioni regionali Sardegna, vince il centrosinistra. Pigliaru nuovo
presidente. Cade la prima campagna di Forza Italonia
L'economista candidato del centrosinistra batte il presidente uscente, che
ha telefonato all'avversario per complimentarsi. La scrittrice Michela
Murgia si ferma al 10%. Un voto contraddistinto dall'astensionismo: solo
un sardo su due è andato alle urne (52,2%). I complimenti di Renzi al
vincitore della Persepoli
Seveso,
scoperta la banca della 'ndrangheta: riciclava il denaro degli
imprenditori, 40 arresti
Dalle carte dell'indagine, coordinata
dall'aggiunto Ilda Boccassini, emerge una 'nuova mafia' che spara poco e
tratta molto con il mondo produttivo. L'intercettazione: "Il capo è come
la banca d'Italia"(04-03-2014)
E'
nella produttiva Brianza, non a caso, che le cosche della 'ndrangheta
hanno pensato bene di installare una sorta di banca clandestina" che
movimentava "centinaia e centinaia di milioni di euro" attraverso un
reticolo di società usate per riciclare capitali illeciti e spesso tolte
dalle mani degli imprenditori ormai in crisi anche in quelle ricche terre.
E' l'ennesimo capitolo dell'espansione della mafia calabrese al Nord, in
Lombardia in particolare, portato alla luce da un'inchiesta della Dda di
Milano che ha fatto emergere come altro "dato nuovo e preoccupante" la
stretta collusione tra l'imprenditoria locale e i clan, oltre a una serie
di estorsioni ai danni di dirigenti di società di calcio.
Con un blitz della squadra mobile,
coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dal pm Giuseppe
D'Amico, è stata smantellata la potentissima 'locale', ossia una cosca in
termini 'ndranghetisti, di Desio (Monza e Brianza), capeggiata da Giuseppe
Pensabene, 47 anni originario di Reggio Calabria ma residente a Seveso,
che si vantava di essere una lavanderia" di denaro e che per gli altri
affiliati era il "papa" o il "sovrano" o come la "banca d'Italia". E se
nelle carte dell'inchiesta viene fuori come il clan abbia cercato di
riempire il vuoto prodotto dagli oltre 170 arresti in Lombardia del 2010
dell'operazione
'Infinito-Tenacia',
il gip che ha firmato l'ordinanza a carico di 40 persone (21
in carcere e 19 ai domiciliari) descrive anche una vera e propria 'nuova
mafia'.
I "fenomeni di compenetrazione tra mafia e
impresa", scrive il giudice, storicamente "confinati nelle ben note aree
geografiche dell'Italia meridionale", non solo si sono estesi "in
Lombardia e al Nord in genere (e questo è un dato risalente nel tempo), ma
soprattutto" vivono grazie a "un intenso e disinvolto connubio tra forme
evolute di associazioni mafiose e imprenditori calabresi e lombardi,
pronti a fare affari illegali insieme come se niente fosse". E così fra
gli arrestati figura l'imprenditore edile di origine calabrese Domenico
Zema, in passato anche assessore in un Comune della Brianza, "uomo di
storia, di fatti, di rispetto, di amicizia, di esperienza, di conoscenze",
come lo definisce Pensabene.
E c'è anche Fausto Giordano, nato in
Svizzera - dove la cosca portava i soldi (che finivano anche a San Marino)
- altro imprenditore edile che ha il compito di "procacciare nuovi clienti
e nuovi affari". Poi una serie di imprenditori e commercianti vittime di
estorsioni ed usura, ma nessuno di questi, rimarca il gip, "ha mai
presentato denunzia all'autorità giudiziaria". Non l'hanno fatto nemmeno
il vicepresidente esecutivo del Genoa, Antonio Rosati, e un ex direttore
generale della Spal, Giambortolo Pozzi, anche loro finiti nella morsa
dell'organizzazione. Nell'ottobre 2011 il clan avrebbe elargito 100mila
euro alla Spal Calcio e un altro prestito di 30mila euro sarebbe stato
erogato personalmente a Pozzi nel gennaio 2012, con interessi, scrive il
gip, "di natura chiaramente usuraia".In un incontro a Seveso, dove la
cosca aveva la sua base in una sorta di "ufficio-tugurio", Pensabene e
altri del clan "ottenevano il rilascio da parte di Pozzi di 36 cambiali
(...) per un importo complessivo di 198mila euro". Rosati, già presidente
del Varese Calcio, secondo il gip è risultato invece "in rapporti di
affari con Pensabene", tanto che avrebbe concordato con uomini del clan
"di operare alcune speculazioni edilizie". Mentre un ex presidente della
Nocerina, Giuseppe De Marinis, sarebbe stato pestato fino al distacco
della retina di un occhio per un debito usurario.
Nelle quasi 500 pagine di ordinanza il gip
elenca tutte le 39 società, un vero e proprio impero, "costituite o
acquisite dal gruppo criminale facente capo a Pensabene" e "utilizzate per
fare circolare i flussi di denaro contante, per l'acquisizione del
patrimonio immobiliare e per l'emissione di fatture fittizie". Un elemento
preoccupante, ha spiegato Boccassini, "è il fatto che ancora una volta
abbiamo trovato imprenditori usurati e malmenati che hanno preferito non
denunciare". Fra gli arrestati non mancano i cosiddetti 'colletti bianchi',
come Vincenzo Bosco e Walter Alessandro La Coce, direttore e vicedirettore
dell'ufficio postale di Paderno Dugnano (Milano), che avrebbero
autorizzato "sistematicamente presso i loro sportelli le operazioni di
prelievo di ingenti somme di denaro contante" per la cosca.
Mentre il Pd dà il benservito a Letta, la sinistra radicale cerca il suo
papa straniero e lo trova nel leader greco. Intervengono Maurizio
Landini, segretario della Fiom e Luca Casarini, ex leader No Global,
oggi Lista Tsipras
E' un importante decreto voluto il 27
novembre 2013 da Saccomanni nell'ignoranza assoluta degli italioti
ipnotizzati dall'espulsione del delinquente di Arcore dal Senato.
L'opposizione pentastellata non è riferita ovviamente all'abolizione
della seconda rata IMU 2013, ma alla SELVAGGIA PRIVATIZZAZIONE IMPOSTA
DAL GOVERNO alla Banca d'Italia. Come già ampiamente descritto nel
nostro articolo
Banche, così il governo anticipa di un anno il
regalo da 4 miliardi di euro,
il Governicchio Burletta ha proceduto ad una spaventosa
rivalutazione del capitale sociale della Banca d'Italia (7,5 miliardi di
euro contro i precedenti 156.000 !!!) allo scopo di rivalutare a sua
volta le partecipazioni azionarie delle varie banchette italiote
(Unicredit ed Intesa su tutti...)per fare in modo che rastrellassero 4
miliardini di crediti in relazione alla vendita delle loro
partecipazioni che deve essere ridotta al 3%, contemporaneamente aprendo
l'intero capitale alle partecipazione privata anche estera in quanto i
soggeti devono semplicemente essere membri UE. Da questa colossale
vendita il Governo rastrellerà 1,5 miliardi di euro contro la perdita
totale della funzione pubblica della Banca d'Italia nonchè di garante a
tutela dl risparmiatore. Altresì i giganti bancari europei potranno
attingere ad una quota rivalutatissima, spuntare ottime cedole e mettere
il becco negli affari italioti. Di fronte a questa porcata allucinante
cha fa il paio con la cessione del 40% di Poste Italiote e con la messa
in vendita di quote di FinMeccanica e di Enav - la rete di gestione dei
controllori di volo - al peggior Italonia del secondo dopoguerra sta
svendendo gli ultimissimi rimasugli di patrimonio pubblico dopo aver
disintegrato telefonia (Sip-Telecom), industria metal-meccanica (Alfa,
ferriere,Italsider), autostrade (date in gestione a Bemetton), credito
al risparmio italiano (il fu Credito Italiano), chimica. Uno strapuntino
suggellato altresì dal comportamento diarroico dell'ex comunista
Boldrini che ormai si è ampiamente scordata di cosa significhi stare
all'opposizione
Non si ferma la marcia di Sergio Marchionne nella valorizzazione dei
marchi Fiat. Lo scorporo del Cavallino rampante potrebbe preluderea
un suo trasferimento all'estero, per godere dei benefici nella
tassazione delle royalties
Si tratta del gruppo 6 Gdo Despar di Castelvetrano (Trapani). A rischio
il posto di 500 lavoratori. Ma prima che diventasse bene dello Stato non
c'erano "problemi"
Approvato il nuovo piano industriale del progetto immobiliare in
costruzione a Milano. Le due società assicurative hanno concordato un
investimento diretto nelle torri realizzate dall'archistar giapponese
Porcellum bocciato dalla Consulta, accolto il ricorso dei cittadini. ALTRO
SILURO DEL POTERE GIUDIZIARIO ALLA POLITICA ITAGLIOTA. Solo una settimana
prima era stato affondato il finanziamento pubblico ai partiti...
I manifestanti che protestano contro il meeting hanno cercato di partire
in corteo, prima verso la sede del Pd nazionale, poi in direzione del
Senato, ma sono sempre stati fermati dagli agenti. Ai tentativi di
sfondamento le forze dell'ordine hanno risposto con le manganellate,20
NOVEMBRE 2013
Lodo Mondadori, la Cassazione:
"Fininvest deve risarcire Cir"FINITA
PER SEMPRE ANCHE PER QUESTO FURTO
La Cassazione ha respinto il ricorso dellaFininvestdella
famigliaBerlusconicontro
la Cir deiDe
Benedettiper
il risarcimento delLodo
Mondadori.
Che rimane confermato con un ritocco al ribasso: il taglio è di circa 23
milioni di euro rispetto ai 564,2 milioni di euro già liquidati, ma che
erano stati messi a bilancio con valore neutro. La decisione è emersa
dalle motivazioni sul Lodo appena depositate dallaTerza
sezione civile della Cassazione.
Si tratta di un verdetto monumentale di circa 200 pagine.
VideoAssalto
media/Pm
e avvocati/I
fan
VideoE
fuori si litiga-FotoUn
collegio femminileviI
giudici, presieduti da
Giulia Turri, hannocondannato
Silvio Berlusconia
7 anninell’ambito
delprocesso
Ruby. I
giudici hanno rimodulato
l’accusa in concussione per
costrizione invece che per
induzione come ipotizzato
dall’accusa. Berlusconi è
stato condannayo anche per
prostituzione minorile. Il
verdetto è arrivato dopo
sette ore di camera di
consiglio.Disposta
l’interdizione perpetua dai
pubblici uffici. I giudici
hanno stabilito anche
l’interdizione legale per la
durata della condanna. Il
Tribunale ha deciso anche la
trasmissione degli atti alla
Procura perché valutinio le
dichiarazioni di una lunga
serie di testimoni;e
la trasmissione all’ordine
degli avvocati degli atti
riguaranti dell’avvocato
Luca Giuliante, primo legale
di Ruby.
L'ex premier era imputato per
rivelazione di segreto
d'ufficio. Due anni e tre mesi
al fratello Paolo
La sentenza del Tribunale di
Milano. Il Giornale aveva
pubblicato la conversazione sul
caso Unipol
VIDEO - INTERCETTAZIONI E
RICATTI, IL WATERGATE ITALIANO
(primaesecondaparte)Il
tribunale di Milano ha
condannato Silvio e Paolo
Berlusconi nel processo per la
vicenda della pubblicazione
sulle pagine del Giornale della
conversazione tra Piero Fassino,
allora segretario Ds, e Giovanni
Consorte, numero uno di Unipol:
“Allora abbiamo una banca?” in
riferimento alla scalata del
colosso assicurativo
all’istituto di credito nel
2005, sulla quale si sono aperti
poi un’inchiesta e il relativo
processo. Per Paolo Berlusconi
cadono però le accuse di
ricettazione e millantato
credito. All'ex segretario Ds un
risarcimento di 80mila euro
103 MILIARDI DALLA BCE DAL 5
AGOSTO 2011...
Quasi
la metà dell'intervento della
Banca centrale europea a sostegno
dei Paesi periferici dell'Eurozona
ha riguardato l'Italia.
Nell'ambito dell'Smp (Securities
Markets Programme),
cioè l'acquisto di titoli di
debito pubblico da parte della Bce
sul mercato secondario, pari in
totale a 218 miliardi di euro, ben
103 miliardi sono serviti a
contenere l'aumento dello spread
dell'Italia. E' quanto emerge dai
dati al 31 dicembre 2012 resi noti
dall'Eurotower, in linea con la
politica di trasparenza dopo la
creazione del cosidetto meccanismo
anti-spread (Omt, Outright
Monetary Transactions).
La Bce ha acquistato 102,8
miliardi di euro in bond italiani,
iscritti a libro per 99 miliardi,
la quota maggiore tra i Paesi
dell'eurozona colpiti dalla crisi
del debito. Seguono Spagna (44,3
miliardi), Grecia (33,9),
Portogallo (22,8) e Irlanda
(14,2). La durata media residua
del debito italiano in pancia all'Eurotower
è di quattro anni e mezzo. La
durata maggiore è quella
irlandese, mentre la Grecia è
quella a più breve termine (circa
tre anni e mezzo). Il programma
Smp era stato avviato dalla Bce
alla metà del 2010, allo scoppio
delle crisi del debito ellenico,
ed terminato lo scorso settembre
quando è stato sostituito dall'Omt.
Quest'ultimo non è stato finora
mai attivato in quanto, a
differenza del precedente
programma, richiede, a chi ne fa
richiesta, di sottoporsi alle
condizioni di aggiustamento
strutturale fissate dal fondo
europeo salva-Stati.
In
Ucraina la situazione è questa:
Yanucovych era stato eletto in elezioni con il 51,8 per cento dei voti.
Ora, l’Occidente ha appoggiato questa rivolta, una rivolta molto violenta,
armata. Sono stati sequestrati una sessantina di poliziotti e quindi pone
il principio che anche un regime democraticamente eletto possa essere
rovesciato legittimamente con la violenza. Quindi potrebbe essere uno di
quei casi in cui l’Occidente si dà la zappa sui piedi, perché potrebbe
accadere anche nelle democrazie ed essere considerata non più illegittima,
oltretutto questa partitocrazia è ben più ladra di Yanucovych con le sue
piscine. Quello che ha rubato in trent’anni altro che piscine, struzzi e
bottiglie di champagne!! Siamo di fronte a una seconda guerra fredda. Dopo
il crollo dell’URSS gli Stati Uniti in particolare, ma con i loro alleati
occidentali, hanno inanellato credosette
o otto guerre di aggressione, tutte!
E solo la prima, quella del Golfo, poteva essere giustificata se Saddam
Hussein sveva aggredito il Kuwait, ma le altre, Afganistan, Iraq, Libia…
Adesso che la Russia è diventata di nuovo protagonista della scena
mondiale, si ripropone la contrapposizione tra questi due blocchi e
l’Occidente è all’attacco, anche economicamente, da tutte le parti, nel
senso che è un tentativo di occupazione geopolitica del mondo intero.Prendiamo
il Venezuela, adesso, dopo la morte di Chavez,
guarda caso ci sono queste rivolte. E’ chiaro che in ogni Paese c’è del
malcontento, a parte il fatto che la politica di Chavez in Venezuela era
stata una politica non alla Castro.Chavez
non era un comunista,
ma un socialista e eletto democraticamente. E’ altrettanto chiaro che gli
Stati Uniti soffiano su questi malcontenti o li foraggiano. L’Argentina,
che ha fatto una scelta intelligente, di non integrarsi nel mercato
finanziario internazionale, che sta provocando disastri ovunque, è stata
messa in ginocchio anche economicamente dal giro finanziario
internazionale.
Quindi è in atto una sorta di guerra tra mondi dove alle due potenze
tradizionali si aggiunge la terza incognita, che è il mondo musulmano che
non ci sta a farsi né occidentalizzare, né comunistizzare, vuole seguire
una propria linea di sviluppo. Oggi la guerra non si combatte come ai
vecchi tempi, dove sarebbero entrate truppe russe o arrivati gli
americani, si combatte economicamente, quindila
Russia ricatta l’Ucrainacon
il gas e gli altri rispondono promettendo miliardi di dollari. Però tutto
ciò in qualche modo avviene sulla testa degli stessi ucraini e anche di
noi cittadini europei, Nessuno decide niente, noi siamo sudditi, questa è
una situazione che si vede ovunque e in Italia lo vediamo bene, pur
essendo governati da dei quaraquaquà. Chavez aveva un’altra consistenza e
se restiamo in Europa la Merkel ha un’altra consistenza,l’Italia
è ormai diventata una povera cosa. Suddita due volte,
degli americani e in qualche misura di una Europa più forte."Massimo
Fini
Che cosa avete capito della crisi in Ucraina?In
fondo una storia molto semplice: il glorioso popolo ucraino che si
ribella, lotta contro il dittatoreYanukovich,
il cattivo Yanukovich, le proteste vincono a prezzo di qualche scontro
di strada, Putin si arrabbia e occupa la Crimea. Sullo fondo la
richiesta degli ucraini, del popolo ucraino di entrare nell’Unione
Europea. Fine delle trasmissioni.
In realtà la storia è un po’ diversaperché
per capire che cosa sta accadendo davvero in Ucraina bisogna considerare
le nuove tecniche di comunicazione e di manipolazione dell’opinione
pubblica. Bisogna considerare due fattori: primo, dalla metà degli anni
Novanta l’Ucraina è diventata uno scenario strategico importante, da
quandoBrzezinskilo
indicò come un obiettivo prioritario per gli interessi dell’Occidente.
Secondo punto, dalla fine degli anni Novanta si applicano tecniche di
occupazione del potere molto diverse rispetto a quelle usate fino a quel
momento.
Funziona così:proteste
di piazza in apparenza spontanee sono in realtà pianificate con cura e
guidate per il tramite di Organizzazioni non governative, Associazioni
umanitarie e partiti politici;
in un crescendo di operazioni pubbliche amplificate dai media
internazionali e con appoggi all’interno delle istituzioni, in
particolare dell’esercito, che finiscono per provocare la caduta del
“tiranno”.
Si fa salire la tensione, le proteste fino al momento in cui il
Presidente, per quanto in apparenza potente, cede e va via. Queste
tecniche furono ideate alla fine degli anni Novanta, e applicate per la
prima volta in Serbia alla fine degli anni Novanta. RicordereteMilošević,
sembrava fortissimo benché sconfitto in Kosovo, improvvisamente fu
costretto alle dimissioni grazie alle proteste di piazza di un
movimento.
Quell’esperimento ebbe un successo clamoroso e fu ripetuto altre volte.
Fu ripetuto sempre nello spazio dell’ex Unione Sovietica, in Georgia, in
Kirghizistan e in Ucraina nel 2004 quando larivoluzione
arancioneebbe
un clamoroso successo emozionando tutti noi. Era il periodo natalizio,
seguimmo quella rivoluzione dagli schermi e facemmo tutti il tifo per
quella bella rivoluzione, che portò al potere per la prima volta un
leader, amico degli occidentali, degli americani e nemico dei russi.
Fu proprio in quell’occasione però che Putin,fino
a quel momento in rapporti ottimi con gli americani, capì che cosa stava
accadendo e decise di reagire. Reagì usando gli stessi metodi: cominciò
a tagliare il petrolio, a fare pressioni sociali, a spaccare l’opinione
pubblica interna fino a quando nel 2010 Yanukovich vinse le elezioni e
per cui l’Ucraina della sfera americana tornò nella sfera russa.
Se non si è consapevoli di questi movimenti con un’origine piuttosto
lunga non si capisce quello che è accaduto in questi giorni, perché è
andato in scena esattamente lo stesso scenario. Le manifestazioni di
piazza sono state in buona parte ispirate, organizzate, incoraggiate da
dei professionisti.La
variabile nuova emersa è molto inquietante perchéaccanto
a migliaia di pacifisti sinceri e disinteressati che nemmeno riuscivano
a leggere questi disegni, sono apparsi degli estremisti neonazisti
impresentabili che per la prima volta, rispetto ad altre rivoluzioni
pacifiste. Hanno usato delle tecniche di guerriglia sofisticate: assalto
ai ministeri, barricate, bombe molotov e con modalità ulteriori molto
sorprendenti e inquietanti, perché in questi giorniabbiamo
avuto la prova che dei cecchini hanno sparato sia sui manifestanti, sia
sull’esercito,facendo
però ricadere la colpa su Yanukovich. Tutto questo ovviamente per
fomentare il caos che poi ha portato alla caduta di Yanukovich.
Perché è successo proprio alla fine di febbraio? Perché è accaduto
proprio durante i giochi olimpici di Soci, ovvero sull’evento
internazionale che Putin aveva pianificato per rinverdire l’immagine di
Russia come potenza. In quei giorni la Russia non poteva permettersi di
intervenire, né di reagire nell’Ucraina, e proprio in quei giorni la
guerriglia armata, perché tale è stata, ha esercitato la massima
pressione costringendo Yanukovich alle dimissioni.
Finite le Olimpiadi Putin ha risposto in maniera meno sofisticata, ma in
modo altrettanto sorprendente invadendo o comunque occupando la Crimeache
ormai è evidente, si avvia verso l’indipendenza dall' Ucraina.
Questo cosa significa? Oggi le guerre, gli scontri di potere molto
spesso avvengono attraverso queste modalità, queste tecniche di
comunicazione e di manipolazione delle masse e dell’opinione
pubblica,estremamente sofisticate, usate anche in tempi recenti in
Tunisia, in Egitto e in maniera drammatica e violenta in Siria e in
Libia.
Tutto questo con un corollario dei media. Perché i media sono
importanti? Per una ragione molto semplice: se una rivoluzione, un
movimento di piazza non ha un audience televisiva importante non esiste
e per il regime è facilissimo reprimerlo. In più, se ci sono i grandi
media internazionali, e pensiamo al peso della Cnn ma in generale di
tutti i media che parlano in maniera intensa di quell’argomento, i
manifestanti si sentono sostenuti e ringalluzziti e il potere si sente
sempre più fragile. Fino a quando non è costretto a cedere e,
chiaramente, chi perde viene descritto come il dittatore, il cattivo,
l’impresentabile anche quando in realtà non lo è. Nel caso di Yanukovich
non c’è gara, era l’uomo dei russi benché i russi non lo amassero
troppo, mase
noi pensiamo aMubarako
piuttosto aBen
Aliin Egitto e in
Tunisia che sono stati amici a lungo dell’Occidente, ci rendiamo conto
di quanto spregiudicate possono essere queste tecniche moderneche
vengono usate in maniera molto più diffusa di quanto l’opinione pubblica
possa capire.
Dunque la
guerra non dichiarata tra Stati Uniti e Russia per il controllo di
questo territorio durerà ancora a lungo con colpi informali,
asimmetrici, metodi non convenzionali che a mio giudizio l’opinione
pubblica quasi sempre non riuscirà a capire.
Secondo punto, in generechi
vuole capire davvero che cosa accade nel mondo non può accontentarsi di
una lettura superficiale,
limitata solo alle grandi tematiche lanciate dai media, ma, per quanto
possibile, deve cercare di leggere in trasparenza per capire e per
cogliere quei segnali, e ce ne sono sempre tanti, che indicano quando un
movimento è davvero spontaneo oppure quando il movimento è indotto per
fini e con ispiratori, che non si mostrano quasi mai.
E se avete trovato interessante questo intervento non esitate a farlo
circolare e passate parola!
Le invasioni di Mosca del secondo dopoguerra, dall'Ungheria alla
Georgia,passando per Transnistria/Basso Fiume(1992) e Cecenia(1995-2005)
Sei anni dopo l'invasione russa della Georgia scatenata dall'offensiva
militare di Tbilisi contro la regione separatista dell'Ossezia del Sud
nel 2008,Mosca
prepara l'intervento armato in Ucraina.
L'approvazione oggi da parte del Senato russo della richiesta di Putin
di inviare "forze armate in territorio ucraino" potrebbe preludere a
un'operazione militare nell'ex Repubblica sovietica, di fatto
un'invasione, che si aggiungerebbe a quelle degli ultimi 50 anni:
l'Ungheria nel 1956, la Cecoslovacchia a fine anni Sessanta,
l'Afghanistan fra i Settanta e gli Ottanta e - dopo la fine dell'Urss -
la Georgia nel 2008.
Nel 1945, dopo la sconfitta dell'UNGHERIAnella
Seconda Guerra Mondiale, inizia l'occupazione del Paese da parte
dell'Urss, che durerà 45 anni, fino al 1991, ovvero poco prima del
collasso dell'Unione Sovietica. Quasi mezzo secolo trascorso però non
senza incidenti: nel novembre 1956, una vasta forza militare del Patto
di Varsavia guidata da Mosca entra a Budapest per schiacciare la
Rivoluzione Ungherese contro il governo comunista e le sue politiche
imposte dai sovietici.
L'invasione dellaCECOSLOVACCHIAda
parte delle truppe del Patto di Varsavia (Bulgaria, Ungheria, Germania
dell'Est e Polonia - Romania esclusa) guidate dall'Urss è del 20 agosto
1968, in piena guerra fredda. Obiettivo: fermare la liberalizzazione
politica della Primavera di Praga del riformista Alexander Dubcek. I
successivi leader del Paese cercano di ripristinare i valori che avevano
prevalso prima di Dubcek, grazie al controllo del Partito Comunista.
La guerra sovietica inAFGHANISTANinizia
nel dicembre 1979 sotto la leadership di Leonid Brezhnev e dura nove
anni, fino al febbraio 1989. Milioni di afghani fuggono dal Paese mentre
le forze afghane guidate dai sovietici combattono contro i Mujahideen
dell'Unità Islamica degli sciiti afghani, sostenuti dagli Usa attraverso
Pakistan e Arabia saudita. Solo l'arrivo di Mikhail Gorbaciov al
Cremlino porrà fine agli scontri, con il completamento del ritiro delle
forze dell'Urss nel 1989.
Il nove agosto 2008 il ministro degli Esteri della GEORGIA denuncia
"l'invasione" della Russia e chiede l'aiuto della comunità
internazionale. Lo stesso giorno, l'allora presidente, l'antirusso
Mikhail Saakashvili, dichiara che la Georgia "è in stato di guerra" con
la Russia. Un'invasione, quella della Russia, dettata dall'offensiva
militare su larga scala che la Georgia aveva sferrato nella notte del
7-8 agosto contro l'Ossezia del Sud, nel tentativo di riprendersi il
territorio.
Tbilisi sosteneva di rispondere ad attacchi contro i suoi peacekeeper e
villaggi nell'Ossezia del Sud, e che la Russia stava spostando unità
militari nel Paese. Grazie alla mediazione della presidenza francese
della Ue, le parti raggiungono il cessate-il-fuoco nell'agosto 2008. Ma
Ossezia del Sud e Abkhazia si confermano de facto separate dalla
Georgia. Di lì a poco vengono riconosciute come indipendenti da Mosca.
JUVE: VAFFANCULO !!! GRAZIE
ALLA MERAVIGLIOSA ELIMINAZIONE DALLA MERDOPA L'ITAGLIA SPROFONDA
AL QUINTO POSTO NEL RANKING !!! UNA PERSEPOLI CHE NON ACCADEVA
DAL 1984
Ha ragione Giovanni Malagò. Purtroppo. Il nostro calcio è in
ribasso: in campionato fra le prime due, Juve e Roma, e tutte le
altre c'è un abisso. In Europa, poi, prendiamo schiaffoni sia in
Champions che in Europa League: la Spagna ha tre squadre in
finale (e l'Atletico Madrid ha schiacciato il Milan...), il
Portogallo una (il Benfica ha fatto fuori la Juve) e ci ha
superati nella classifica del ranking Uefa. Dal prossimo luglio
infatti l'Italia sarà addirittura quinta. Non perderemo, è vero,
un posto in Champions League (sempre tre sono e tre rimarranno
chissà per quanti anni) ma di sicuro è un'umiliazione. A luglio,
con i preliminari, partirà il nuovo quinquennio: l'Uefa
cancellerà la stagione 2009-'10, per noi la più positiva
(coefficiente di 15,4). Al comando partirà la Spagna, seguita da
Inghilterra e Germania: quarto il Portogallo che ha 52,133 punti
(ma ancora una partita da giocare, la finale del Benfica),
mentre la povera Italia è quinta 51,510). E' dal 1984 che non
siamo così in basso. Dal 1986 al 1989 (escluso il 1990) siamo
stati persino in testa: bei tempi. Come detto, a livello di
Champions non cambia nulla, per quanto riguarda l'Europa League
invece le cose si complicano un po'. Il quarto posto nel ranking
infatti garantisce di qualificare due squadre (e non una) ai
gruppi, evitando così un preliminare che obbliga ad un inizio
anticipato della stagione. Le nostre quindi avranno un cammino
più complesso, dovranno cercare di rimontare sul Portogallo: esperiamo
che non snobbino più l'Europa League, ex Coppa Uefa. La Francia
per ora è sesta e lontana, ma non si sa mai...La
soglia di una finale europea rappresenta ormai le colonne
d'Ercole del calcio italiano: l'ultima a superarle fu l'Inter
del Triplete nel 2010 e quel passato comincia ad essere remoto.
Così, quando anche la Juventus dominatrice del campionato e
zoccolo duro della Nazionale di Prandelli è stata respinta
sull'uscio dell'ultimo atto dell'Europa League, è tornata alla
memoria la recente sentenza di Capello: "La serie A non è
competitiva". La lapide trova apparente conferma nella nuova
classifica Uefa: da luglio, per effetto della cancellazione dei
risultati della stagione 2009-10, l'Italia scivolerà al quinto
posto del ranking, sorpassata proprio dal Portogallo del Benfica
eversore della Juve.
Ma Paolo Maldini, recordman di presenze nelle coppe (174), offre
una spiegazione più articolata, che è anche un atto di accusa ai
club italiani. "La classifica è incontestabile, si basa su
calcoli matematici. Ed è il frutto della mancanza di etica
sportiva. Le nostre squadre spesso in Europa League schierano le
riserve, perché i dirigenti danno un input preciso: per loro una
competizione è importante solo quando dà tanti soldi. Perciò in
Champions vogliono in campo i migliori e in Europa League invece
no. Eppure è la seconda competizione europea. Snobbarla, per
quanto la formula sia discutibile e il fatto di giocare il
giovedì pesante, è autolesionistico. Gli effetti lo dimostrano".
Per ora gli esiti del declassamento sono attenuati.
Irraggiungibili Spagna, Inghilterra e Germania (che fino al 2011
era dietro), non cambierà il numero potenziale delle squadre in
Champions (2 ammesse direttamente, 1 via play-off) e 3 saranno
anche le teoriche iscritte all'Europa League (1 sola però di
diritto, mentre le altre 2 dovranno sottoporsi ai preliminari in
piena estate). Resta tuttavia il contraccolpo d'immagine: l'ex
campionato più bello del mondo è diventato così mediocre da
essere posposto non soltanto alla Liga, alla Premier
e alla Bundesliga, ma anche alla Primeira Liga, non esattamente
un torneo di squadroni, Benfica e Porto esclusi. Negli anni
Novanta sarebbe stato preso per folle chiunque avesse azzardato
il paragone con la serie A, che mieteva Coppe Campioni,
monopolizzava l'albo d'oro della Coppa Uefa e lasciava
consistenti tracce nell'agonizzante Coppa delle Coppe.
L'imbarazzante dislivello tra calcio italiota e resto
d'Europa:mentre in Italonia il campionato è già finito al 9 marzo,
in Premier e Liga Real Madrid,Barcellona,Atletico Madrid, Chelsea,Liverpool,Manchester
City e Arsenal si stanno dando battaglia in stadi strapieni
con partite che vedono tra i 4 ed i 6-7 gol segnati. In Italonia
fioccano gli 1-0 in stadi deserti con pochissimi tiri in porta e
quei pochi sui pali e traverse !!!
Confronto impietoso a portata di telecomando tra la serie A e Real
Madrid-Barcellona. Stadi, campioni e atmosfera: è tutto un altro
calcio.
A volte basta pigiare il tasto del telecomando, clìc, per percorrere
distanze immense, per viaggiare come dalla Terra a Marte. Chi
l'abbia fatto durante Real Madrid-Barcellona (e Catania-Juventus, e
Lazio-Milan) ha visto cose che noi umani eccetera. Chi, per tifo o
per necessità di lavoro, ha preferito o dovuto soffermarsi sul
nostro campionato e poi, random - oppure infilandosi nel quarto
d'ora di differenza tra gli orari d'inizio delle tre partite (anzi,
della Partita e dei due tristi riempitivi) - si è spostato
televisivamente a Madrid, ha vissuto quasi uno shock. Perché
sembravano, anzi erano, due sport differenti, due mondi opposti, due
universi paralleli che non si incontrano mai: se non, appunto,
grazie a quel clìc.Non si tratta della solita critica al nostro
calcio deludente, impoverito di talento e denari, isterico, insomma
provinciale nel senso peggiore del termine. Si tratta, proprio, di
distanze siderali. E c'erano almeno una decina di motivi, ieri sera,
per lasciar perdere la nostra lillipuziana serie A e rimanere ricchi
(di bellezza, di emozioni), felici, golosi e appagati. Bastava
rimanere a Madrid, e dimenticare tutto il resto.Con una scusante:
anche sulla carta (in termini di punti in classifica)
Catania-Juventus non è comparabile a Real-Barcellona. Ma i risultati
nelle Coppe europee raccontano bene la differenza.1)I
GIOCATORI -Persino
ovvio dire che la prima, abissale differenza tra noi è loro è nella
qualità media dei calciatori. Tutti, non solo i fenomeni. Anzi,
soprattutto in quelli che fenomeni non sono. Giocatori che sanno
fare tutto e quasi sempre benissimo. Calciatori completi, bene
addestrati, capaci di fare quello che devono e andare dove devono.
Un'altra razza.
2)LA
VELOCITA'-
Bastava un clìc, e la palla cominciava a correre ai duecento
all'ora. Non stava mai ferma, come i bambini sulla spiaggia. Il
Clasico non si interrompeva mai, era un fluire continuo e
rapidissimo. E ogni gesto atletico e tecnico, nonostante quella
folle rapidità, restava preciso, esattissimo: la differenza tra una
finale dei cento metri alle Olimpiadi e una mezza maratona nel
giardino di clinica Villa Arzilla.
3)L'EQUILIBRIO-
Nel nostro campionato c'è la Juve, e poi ci sono gli altri. Non è
colpa della Juve se gli altri, quasi sempre, sono una banda di
pellegrini. Quando lo sente dire, Antonio Conte urla al "complotto
mediatico globale destabilizzante": si sbaglia. Perché i grandi
tornei prevedono un altrettanto grande equilibrio, altrimenti sono
monologhi. In Spagna, le tre squadre di testa sono divise da appena
un punto a fine marzo, da noi il campionato è finito in autunno,
cadendo come una foglia.
4)IL
CORAGGIO -Mai
domi, mai abbattuti neppure se quasi battuti, i protagonisti di
Real-Barcellona hanno lottato dal primo all'ultimo secondo senza
calcoli e senza risparmio. Sette gol, tantissimi, e dopo ognuno di
questi gol i giocatori si rimettevano all'opera, per rimontare o per
ribadire. Uno spettacolo anche di carattere, non solo di abilità.
5)L'ATMOSFERA
-Invece
dei nostri soliti stadi vuoti, un'astronave come il Bernabeu piena
di gente ma anche di calore. Persino l'erba, vista dalla tivù,
sembrava più verde. E non possiamo neppure cavarcela con la battuta
classica, visto che non si tratta purtroppo dell'erba del vicino.
Perché la Spagna del calcio, l'abbiamo detto, sta su un'altra
galassia rispetto ai nostri spelacchiati orizzonti.
Non è certo un buon momento per il nostro calcio: una sola squadra
(la Juventus) rimasta in Europa, una sola squadra (sempre la Juve)
che domina il campionato. Merito dei bianconeri. Demerito di chi sta
dietro, molto dietro. Logico che in questa situazione non ci sia
grande entusiasmo negli stadi, ed è già un (mezzo) miracolo se il
sistema-calcio tiene. I telespettatori di Sky si stanno orientando
sempre più sul panorama europeo, alla ricerca di partite di maggiore
appeal: e così ecco che il match di calcio estero più visto quest'anno
è stato Real Madrid-Barcellona, 557.791 spettatori medi. Molto di
più di tanti piccoli incontri insignificanti che si vedono in
Italia, costano solo produrli e non fanno ascolti. Per quanto
riguarda il top degli ascolti nostrani non si sfugge: Juve, sempre
Juve. Le prime tre partite della stagione sono state infatti
Juventus-Roma (2.507.863), Juventus-Inter (2.449.061) e
Juventus-Milan (2.138.650). Il top per Diretta Gol, quest'anno, è
stato toccato il 2 febbraio: 648.158).
Partenza a tutto gas intanto per la MotoGP su Sky e Cielo, che da
quest'anno hanno i diritti: nel complesso il primo Gran Premio della
stagione, in diretta domenica 23 marzo dalle 20 in Qatar, è stato
visto in media da 3.222.542 spettatori, con il 12,02% di share e
5.292.485 spettatori unici. In particolare, la gara su Sky Sport
MotoGP HD è stata seguita in media da 899.274 spettatori, più di
quelli raccolti su Sky dai posticipi di Serie A Catania-Juventus
(837.838), Lazio-Milan (602.430),e
il "Clasico" Real Madrid-Barcellona (557.791). Merito, ovviamente,
della rinascita di Valentino Rossi. Su Cielo, che trasmette in
chiaro, sono stati invece 2.323.268 gli spettatori medi che hanno
seguito il GP del Qatar. Alle 20,42, in occasione della fase finale
del duello tra Marquez e Rossi, si è registrato il picco di ascolto
su Sky Sport MotoGP HD e Cielo, con 4.226.795 spettatori e il 15,1%
di share.
ORA E' UFFICIALE: Allarme-calcio, 1 milione
di spettatori in meno DAL 2012 AL 2013
Crollano gli
spettatori, quasi un milione in meno (esattamente 900.000) negli stadi
italiani. Il numero totale dei presenti ai match del calcio
professionistico passa dai circa 13,2 milioni della stagione 2011-2012 a
12,3 milioni del 2012-2013.
In termini di affluenza media il confronto con gli altri campionati
stranieri vede i club italiani superare soltanto quelli francesi (22.591
tifosi contro i 19.211 della Ligue1).
Il primato spetta alla Bundesliga tedesca con 42.624 spettatori, seguita
dalla Premier inglese (35.921) e dalla Liga spagnola (28.237).
Il calo va a pesare sulla voce ricavi da
stadio e commerciali che scendono rispettivamente del 4,1% e del 3,9%.
Insieme rappresentano solo il 23% del valore della produzione aggregato
(8% i ricavi da stadio e il 15% i ricavi commerciali).
E continuano a crescere i debiti della Serie A. E' quanto emerge dal 'ReportCalcio'
2014, pubblicato dal Centro Studi, Sviluppo ed iniziative Speciali della
Figc con la collaborazione dell'Agenzia di Ricerche e Legislazione (Arel)
e PwC.
Dallo studio si nota che i debiti del massimo campionato,
nella stagione 2012-'13, erano pari a 2.947 milioni di euro (+1.9%
rispetto alla stagione 2011-2012). Di questi i debiti finanziari pesano
per il 32%.
La perdita netta della Serie A si riduce significativamente se
confrontata con il periodo precedente e si attesta a 202 milioni di euro
(contro i 280 milioni della stagione 2011-2012).
"I numeri del calcio sono in calo però purtroppo sono in calo anche i
numeri dello sport e del Paese. Io non voglio essere criticoma
di stimolo per aiutare a invertire questa tendenza. Poi i numeri bisogna
saperli leggere, perchè ci sono anche numeri positivi o che non meritano
di essere criticati". Questo il pensiero di Giovanni Malagò, presidente
del Coni. "Sono in
calo anche gli spettatori e questo è dovuto a tante componenti, come
stadi vecchi, contesto congiunturale del Paese, crisi economica,
l'incomprensibile politica commerciale di alcune società e non ultimo un
campionato non competitivo come quelli di Spagna e Inghilterra".
Malagò ha aggiunto: ''Il calcio ha numeri favolosi, a volte dispiace e
fa rabbia non capitalizzare al meglio questa grande potenzialità. Con
tutte le sue problematiche il calcio è tuttora il movimento che tra i 6
e i 16 anni vanta un quarto di tutti i tesserati dello sport italiano,
il 25% di ragazzi e ragazze rientrano nel mondo del calcio. In Europa i
praticanti sono 17,7 milioni, in Italia 1,1 cioè l'8% di quelli che
giocano a calcio in Europa. Non bisogna solo accontentarsi di questi
numeri, che al contrario devono consentire di migliorarsi. Se migliora
il calcio, migliora tutto lo sport nel Paese, il Coni e il sistema
Italia nel suo complesso, che è fondamentale. Il mondo del calcio è e
sarà sempre la costola più importante del nostro mondo''.
Malagò ha inoltre spiegato: "E' indecente l'8% dei ricavi
da stadio per le società professionistiche, se continueremo così tra un
po' arriveremo a zero. Forse è dovuto anche al fatto che i diritti tv
sono talmente cresciuti... ma questa è la versa sfida: arrivare al
25-30% come fanno gli altri Paesi.
E' colpa anche e soprattutto degli stadi. Il nostro campionato lo
facciamo diventare il campionato più intrigante del mondo ma rispetto a
Inghilterra e Spagna non è proprio una lotta all'arma bianca.
Si è creato un gap molto importante e questo non aiuta a
favorire chi vuole andare a vedere le partite''.
''Negli ultimi 6 anni - ha sottolineato Giancarlo Abete, n.1 Figc-
abbiamo recuperato attraverso il Coni 480 milioni dei 6 miliardi che
solo il calcio professionistico ha dato al Paese. Raffrontandoci alle
altre Nazioni siamo al secondo posto come contribuzione, solo
l'Inghilterra ha dato all'erario più di noi''. Abete non ha nascosto i
problemi del mondo del calcio: ''Abbiamo valori assoluti importanti,
senza dubbio la condizione dei nostri stadi è uno degli elementi che
porta ad una diminuzione delle presenze. Ma non dimentichiamoci che
restiamo il quinto Paese al mondo come numero di spettatori medi. Da
questi dati emerge una sofferenza strutturale della Lega di B e della
Lega Pro.
Daspo e tessera tifoso, gli ultras incontrano i parlamentari:
“Questo sistema fa acqua”
Per la prima volta si è aperto un confronto tra i gruppi
organizzati italiani e la politica: sul tavolo possibile modifiche ai
due provvedimenti anti-violenza. All'incontro che si è tenuto a Roma
erano presenti anche i delegati di Figc e delle Leghe professionistiche,
oltre a Pd, M5s e Fratelli d’Italia
Faccia a faccia dopo anni dimuro
contro muroper
provare a capire se si può uscire dal vicolo cieco dell’articolo9
della Legge Amatoche
regola iDaspoe
superare latessera
del tifoso. I rappresentanti di circa
trentatifoserie
italianee
parlamentari diPd,M5seFratelli
d’Italiasi
sono incontrati oggi pomeriggio nelle sale diPalazzo
Santa Chiaraa
Roma. Un primo approccio per discutere dei due provvedimenti
anti-violenza che hanno visto la partecipazione anche di delegati diFigce
delle Leghe professionistiche. Gli spiragli per superare due
provvedimenti da più parti definiti fallimentari ci sono, almeno a
giudicare dalla trasversalità deipartitipresenti.
MODIFICARE L’ARTICOLO 9 -“Il
sistema fa acqua da tutte le parti. E’ arrivato il momento che si
ascolti la voce dal basso. Itifosisono
i fruitori, i clienti, ma nessuno ha mai provato a capire le loro
ragioni”, spiega l’avvocatoLorenzo
Contucci, uno dei massimi esperti diDaspoin
Italia. Tutto ruota attorno alle conseguenze provocate dall’applicazione
di quella sigla che racchiude un provvedimento di divieto d’accesso alle
manifestazioni sportive. I tifosi battono sulla rimozione dell’articolo
9 della legge 41 del 2007 “che se interpretato allaletteraprevede
l’impossibilità per chiunque ha preso un Daspo – argomenta Contucci – di
avere titoli d’accesso alle manifestazioni sportive anche dopo la fine
del divieto”. Una criticità evidenziata anche dall’Osservatorio
nazionalesulle
manifestazione sportive che ha infatti circoscritto il divieto a chi lo
sta ancora scontando. “Ma potenzialmente è interpretabile appieno da
domani – spiega Contucci – Per questo abbiamo scritto una norma
d’interpretazione autentica che mettiamo a disposizione dellegislatore”.
La proposta di Contucci si aggancia al disegno di legge di modifica
dell’articolo 9 presentato negli scorsi giorni dai grilliniVaccaeDel
Grossoe
che a giudicare dalla presenza all’incontro dell’ex capogruppo M5sVito
Crimi, di rappresentanti di Pd e Fratelli
d’Italia – oltre al segretario dei RadicaliMario
Staderini–
potrebbe trovare sponde inedite in Parlamento.
COME FUNZIONA LA TESSERA -L’altro
capitolo spinoso riguarda lacci e lacciuoli dellatessera
del tifoso, criticata anche dal presidente dell’UefaMichel
Platinie
dal numero uno del ConiGiovanni
Malagò. La tessera esiste solo in Italia
e l’introduzione dalla stagione 2010/11 del sistema di “questura on
line” la rende di fatto superflua. Nel momento in cui si compra un
biglietto per lo stadio, infatti, chi lo emette ha bisogno di undocumento
d’identitàin
originale i cui dati vengono immessi nel sistema e controllati
all’istante dalCendi
Napoli, il centro di elaborazione dati dellaPoliziache
ne autorizza o meno la vendita. “E’ lo stesso sistema che regola la
tessera del tifoso. Ma se il controllo avviene nello stesso modo per il
singolobigliettoe
per la tessera, a cosa serve quest’ultima? – si domanda Contucci – Così
si allontana la gente dallo stadio. Basti pensare che la tessera è
necessaria anche per gliunder
14: se è stata pensata per motivi di sicurezza, che senso ha
l’obbligatorietà per chi è ancora in un’età tale da renderlo non
imputabile?”.
TULLO (PD): “DIALOGHIAMO” -E’
la domanda posta dai tifosi diBrescia,SampdoriaeAtalanta
dai quali è partito l’appello accolto da
altri gruppi tra i qualiMilan,
Udinese,Padova,
Bologna,Napoli,
Parma,Avellino,
Fiorentina,Genoa,
Ascoli eVenezia.
Una lotta trasversale tra tifoserie spesso contrapposte sugli spalti nel
nome di tessera e Daspo, mai digeriti e che negli ultimi mesi fanno
acqua anche nei tribunali. Dall’inizio del 2014 i Tar di Liguria e
Toscana ne hanno annullati 129. Tra questi i 93 inflitti ai tifosi della
Sampdoria che il 20 ottobre scorso erano stati allontanati da Livorno
perché muniti di biglietto ma senza tessera. Il deputato democraticoMario
Tullopochi
giorni dopo presentò un’interrogazione parlamentare e oggi ailfattoquotidiano.itdice:
“La tessera del tifoso non ha funzionato. Nessuno cerca comprensione
alla violenza, sotto nessun punto di vista. Gli ultras lo sanno. Ma
bisogna stabilire cosa devono pagare se sbagliano. E’ il momento di
aprire il dialogo e questo è un compito che spetta alla politica. Per
trent’anni si è affrontata solo la parte repressiva, in alcuni casi
necessaria.
Calcio, proposta di legge sulla proprietà dei club: via libera al
modello spagnolo
E' stato presentato nella sala stampa della Camera dei Deputati il
testo che punta a riformare il mondo del pallone italiano. In
particolare la normativa mira a favorire il coinvolgimento diretto
dei tifosi, evitando che un singolo soggetto possa detenere in via
esclusiva un club
ROMA–
Da tempo si sente parlare della necessità di una riforma del sistema
calcio, ma da oggi c’è anche una proposta di legge, presentata
ufficialmente nella sala stampa della Camera dei Deputati. “Credo
che questo sia il momento migliore per intervenire, abbiamo il clima
adatto per una vera e propria ‘rivoluzione’. Il calcio è diventato
qualcosa di separato dal mondo dei tifosi e della società civile”.
Con queste parole Salvatore Grillo, presidente dell’Associazione
“Salviamo il calcio” ispiratrice della proposta di legge, ha
illustrato l’iniziativa che mira a modificare gli statuti delle
società che gestiscono il mondo del pallone in Italia. Una generica
criminalizzazione del tifoso e orari delle partite imposti da
esigenze televisive hanno allontanato sempre di più gli appassionati
da questo sport. “La proposta di legge – continua Grillo – vuole
anche garantire maggiore trasparenza nei bilanci delle società
attraverso il coinvolgimento delle tifoserie così come avviene nel
calcio spagnolo e in quello tedesco”.
Il testo è stato sottoscritto da 42 parlamentari ed è stato
illustrato dai due primi firmatari, l’On. Angelo Attaguile – ex
presidente del Catania Calcio – e l’On. Giancarlo Giorgetti – ex
portiere del Varese -. I parlamentari hanno sostenuto che la
normativa, imponendo un limite alle quote o alle azioni in mano ad
unica persona, mira ad evitare che un singolo soggetto possa
detenere la “proprietà” di una squadra di calcio il cui valore è
rappresentato dai tifosi e dalle tradizioni delle quali questi sono
figli. Il testo punta anche all’istituzioneobbligatoria
negli statuti societari di un organo consultivo che assicuri
un’adeguata informazione su vicende che interessano l’opinione
pubblica, passaggio fondamentale affinchè le tifoserie possano
essere coinvolte nel controllo degli atti più importanti dei club.
I tifosi protagonisti della contestazione dopo la sconfitta con il
Parma si sono visti contestare quattro reati. E' una stretta che, in
caso di seguito da altre questure, prefigurerebbe nuovi scenari.
Appello della polizia contro l'omertà: "Denunciate e isolate i
violenti"
Al Milan spunta un nuovo e clamoroso giallo: quello
degli spettatori fantasma. Dati ufficiali alla mano sulle persone
che sono realmente entrate a San Siro attraverso i tornelli nelle
prime 13 partite casalinghe di campionato, sono infatti quasi 9mila
a partita i tifosi che mancano all'appello, rispetto ai bollettini
trasmessi alla Lega di serie A.
Alla statistica mancano solo i numeri dell'ultima
gara interna di domenica col Parma: proprio quella che ha avvalorato
definitivamente il sospetto di uno stadio Meazza ormai semivuoto per
irreversibile consuetudine, al di là dei soccorrevoli bollettini.
Gli ingressi omaggio distribuiti a 4 mila bambini delle scuole
calcio non sono bastati a mascherare l'evidenza. Anzi, in piena
contestazione degli ultrà, i cori delle voci bianche della Nord
hanno appunto indotto a notare il desolante colpo d'occhio. Che
trova conferma nella verifica del numero di spettatori passati dai
tornelli nelle precedenti 13 partite, con un arrotondamento di 250
persone, per difetto o per eccesso. La media è di 29.543 (contro i
38.841 dichiarati): togliendo il quasi pienone con la Juve, si
abbasserebbe a 26.088. Ma appare notevole soprattutto la differenza
tra la teorica somma di paganti e abbonati e la cifra dei presenti
effettivi, che sono molti in meno: 8.883 di media a partita, con i
picchi di Milan-Sampdoria (13.575), Milan-Torino (13.200),
Milan-Bologna (11.567) e Milan-Atalanta (10.187).
Nel primo e nel secondo caso - dando per scontato
che gli 8.203 e gli 11.710 paganti siano ovviamente entrati - ben
oltre la metà degli abbonati registrati dal club (23.372 con la Samp,
23.490 col Torino) avrebbe dunque rinunciato a presentarsi allo
stadio. Il fenomeno è curioso, in tempi di crisi, ma è innegabile:
le assenze di chi ha pagato in anticipo il diritto a vedere il Milan
dal vivo sono costanti e uniformi nelle varie date delle gare,
spalmate dal sabato al lunedì, in orari sia serali sia pomeridiani.
Non ne risente l'incasso: la quota abbonati resta di circa 550 mila
euro a partita, per una spesa di 23 euro in media pro capite (sono
perciò 206.885 gli euro spesi a vuoto). In compenso fa effetto la
proiezione finale: se il trend resterà questo fino alla fine del
campionato, il Milan avrà 168.777 spettatori fantasma, capaci di
regalargli quasi 4 milioni di euro (3.930.815).
Mette invece malinconia il paragone col passato (i 70
mila abbonati superati negli anni Novanta) e con i club europei, con
i quali il Milan dovrebbe in teoria rivaleggiare. La media del
Dortmund è di oltre 80 mila spettatori. Sono lontani Bayern (71
mila), Real (74 mila), Barça (72 mila), United (75 mila) e Arsenal
(60 mila), ma anche Ajax (51 mila), Psg (45 mila), Celtic (43mila),
Rangers (42 mila), Shakhtar (41 mila) e perfino il Guanghzou di
Lippi (45 mila) e i giapponesi dell'Urawa (43 mila). In Bundesliga
il Milan sarebbe tredicesimo, con meno pubblico del Magonza. E in
Premier League pure, rivaleggiando col Southampton. E' difficile
pensare che sia colpa dei tornelli.
Partita Spettatori per il Milan
Spettatori effettivi Differenza
Milan-Cagliari
30.471 22.500
7.971
Milan-Napoli
51.384 47.000
4.384
Milan-Sampdoria 31.575
18.000 13.575
Milan-Udinese
33.188 25.000
8.188
Milan-Lazio
30.212 21.000
9.212
Milan-Fiorentina
44.261 37.500
6.761
Milan-Genoa
34.848 26.000
8.848
Milan-Roma
37.987 31.000
6.987
Milan-Atalanta
34.187 24.000
10.187
Milan-Verona
30.953 21.000
9.953
Milan-Torino
35.200 22.000
13.200
Milan-Bologna
29.631 18.064
11.567
Milan-Juventus
75.589 71.000 4.589
Dato medio di spettatori in più secondo il Milan:
8.878
N. B.: spettatori effettivi approsimati di 250 per
eccesso o difetto
Curve ridotte, no dell'Uefa
Euro 2020: Roma candidata
L'Uefa non vuole barriere, per "loro-spiega Malagò-dovrebbe
essere consentito spostarsi dalle curve quasi sino in tribuna
d'onore": per questo il progetto delle curve ridotte, o
segmentate, presentato dalla task force, dovrà essere rivisto.
Non si potrà fare in stadi di squadre impegnate nelle Coppe
europee: quindi l'Olimpico di Roma, a Firenze, a Napoli, a
Torino (Juventus Stadium), forse a San Siro (se Inter o Milan
si qualificano). Si potrà fare eventualmente in altri stadi.
Lo ha spiegato oggi Malagò al termine della Giunta Coni. Verrà
privilegiato quindi il riconoscimento audiometrico (la Roma
farà dei test) per individuare chi fa cori razzisti o lancia
pertardi o espone striscioni vergognosi.
Euro 2020 di calcio: Roma candidata, Milano non ha i requisiti
(e rischia di perdere anche la finale di Champions 2016, come
da noi anticipato). L'Uefa ha deciso che l'edizione 2020 degli
Europei diventi itinerante: dovrebbe essere ospitata in 13
Paesi. La decisione verrà presa il 19 settembre di quest'anno.
La Figc ha presentato il dossier. Abete ha fiducia:
"L'Olimpico ha le carte in regola". Il Coni intanto il 7
maggio presenta il nuovo logo, che porterà più soldi da
marketing e merchandising (previsti anche Coni Point), mentre
entro luglio nasce anche il nuovo sito del Comitato olimpico,
sicuramente più moderno. Continua l'indagine intanto sulla
Federazione hockey su prato, a seguito dell'esposto di Sergio
Mignardi. E continua il (lungo) commissariamento della Fise (Federequitazione).Il
premier Matteo Renzi non ha ancora incontrato Malagò, che si è
visto già con molti nuovi ministri: lo farà dopo aver
nominato, nei prossimi giorni, il referente per lo sport.
Nessuna decisione intanto della Giunta Coni in merito ai
contributi alle federazioni (qualcuno vorrebbe togliere
qualche decina di milioni alla Figc ma Abete è un osso
duro...) e alla fusione fra alcune Federazioni e discipline
sportive associate. Il 15 aprile ultima riunione della
commissione-Buonfiglio: presenti anche Malagò e Roberto
Fabbricini. Antidoping: integrata la lista Cca con la nomina
del professor Sergio Amadori. Malagò è soddisfatto deli lavoro
delle strutture antidoping del Coni, "e da parte mia
nessunissima ingerenza". Infine, Roma 2024: la rivale più
pericolosa, se Roma si candida, potrebbe essere una città Usa.
Champions League 2014, il Chelsea di Mourinho corre ancora.
Anche sul Web
L'impresa dei Blues, oltre a mortificare gli sceicchi del Psg
e i loro milioni, permette al tecnico portoghese di
avvicinarsi alla storia e di diventare lo Special One anche
dei social network
Alla fine arriva sempre lui,Josè
Mourinho. Il trionfo del tecnico portoghese è totale:
vince in campo dove il suoChelseacompleta
laremuntadaai
danni delParis
Saint Germaine
lontano dall’erba diStamford
Bridge, prendendosi la scena in tv e suTwitter,
dove per ore è stato stabilmente tra i trends topics dopo il
triplice fischio che ha spedito i Blues in semifinale diChampions
League. Lo Special One conquista così l’ottava
qualificazione alle semifinali in undici anni. Non era mai
successo a nessun allenatore. Per Mourinho è un titolo di
cartone, quello che ha veramente in testa è un altro: vincere
la terzaCoppa
Campionicon
il Chelsea vorrebbe dire entrare nella storia del calcio come
il primo allenatore capace d’alzare il trofeo con tre squadre
diverse.
Eppure già nel 2-0 al Psg diLaurent
Blanc, uscito tatticamente distrutto dal doppio
confronto con gli inglesi, c’è tutto il meglio dell’ex tecnico
dell’Inter.
La carica ai suoi dopo il 3-1 dell’andata (“Siamo a solo a
metà strada, possiamo farcela”), la parte tecnica (nel finale
ha schierato quattro punte e i gol qualificazione portano la
firma diSchürrleeDemba
Ba, entrambi buttati nella mischia a partita in
corso), la stilettata all’eterno rivaleBenitez(“Con
questo gruppo lo scorso anno era inEuropa
Leaguee a
20 punti dal primo posto in Premier”) e dopo il trionfo le
battute furbe in perfetto italiano per far rimbombare l’eco
dell’impresa (“I cambi? Ho avuto culo”). E infatti Mourinho
rimbalza ovunque.
Su Twitter, soprattutto, dove da ieri sera non si arresta
l’onda celebrativa in versione140
caratteri. Fan dell’Inter che si chiedono se il loro
cuore batta per i nerazzurri o per il portoghese, l’exMaterazziche
lo definisce “Simply
the best”, utenti che sottolineano come la partita abbia
dimostrato che tra “Mourinho e Blanc c’è ancora una categoria
di differenza che gli assegni degli sceicchi non coprono”: sul
popolare social network è scoppiata laSpecial
One mania. Così la rimonta riuscita a Mourinho
oscura e inghiotte la quasi-rimonta delBorussia
Dortmundai
danni del Real Madrid. I tedeschi sono arrivati a un soffio da
una vittoria che, calcisticamente parlando, sarebbe stata
ancor più clamorosa del ribaltone del Chelsea. Dopo il 3-0
subito alSantiago
Bernabeu, il Borussia ha fatto tremare i Blancos diCarlo
Ancelottifino
al 90esimo.
La squadra spagnola, affondata due volte daMario
Reusnella
prima mezz’ora di gioco, è stata salvata dalle parate diCasillase
dal palo che ha detto no all’affondo diMkhitaryan.
Per il Real si tratta della quarta semifinale consecutiva, una
continuità tutt’altro che scontata nella massima competizione
europea. Sarebbe il risultato del giorno, da celebrare in
prima pagina, se a Londra non ci fosse stato un portoghese
eternamente diviso tra genio e fortuna a cancellare il tutto.
Stasera si completa il quadro conBayern
Monaco-Manchester Unitede
il derby spagnoloAtletico-Madrid
Barcellona. Ma a me di clamorose prestazioni c’è una
squadra che emotivamente arriva in semifinale con un passo in
più, racchiuso nella corsa del suo allenatore verso il mucchio
di giocatori che esultavano dopo il gol-qualificazione
arrivato all’86esimo. E Mourinho, che non ha mai fatto mistero
di quanto conti la fortuna per vincere la Champions, avrà
anche buttato un occhio a unatradizionedegli
ultimi anni che lega la vincente del trofeo alla nazione che
ha ospitato la finale precedente. Nel 2009 si giocò aRomae
l’Inter vinse nel 2010. Il trionfo nerazzurro si celebrò inSpagnae
nel 2011 ha vinto il Barcellona. Ancora: nel 2011 si giocò aWembleye
la stagione seguente toccò al Chelsea alzare la coppa dalle
grandi orecchie. I Blues allora guidati daDi
Matteoesultarono in Germania e lo scorso anno ha
vinto il Bayern Monaco. Dove? In Inghilterra. Se stasera il
Manchester United non compie l’impresa contro i campioni in
carica, il Chelsea sarà l’indiziato numero uno. Per lacabala,
certo. Ma anche per quell’uomo “special” che lo guida dalla
panchina e vuole scrivere il suo nome nella storia del calcio
mondiale. “Appena un gradino sotto Dio”, direbbe lui.
La Task Force del Viminale, voluta dal ministro Angelino Alfano e
coordinata dal prefetto Vincenzo Panico, ha lavorato sodo sino al 17
marzo. Ora è pronto un pacchetto di misure. Oltre all'Osservatorio e
alla forze di polizia, hanno fatto parte della Task Force anche il Coni,
la Figc (con il dg Antonello Valentini) e le tre Leghe
professionistiche. Erano stati gli stessi club di serie A a chiedere
aiuto al ministro Alfano e al capo della polizia, Pansa. Sono stati
accontentati. Il pacchetto sarà presentato domani pomeriggio al Viminale.
Ora le società hanno gli strumenti per rendere gli stadi più civili e
dovranno presentare progetti credibili. L'Osservatorio non obbligherà
nessuno ma farà in modi di vigilare sui comportamenti dei club che
dovranno dare sempre più importanza al supporter liaision officer (slo),
il dirigente che si occupa della tifoseria. Molte cose cambieranno la
prossima stagione, e speriamo in meglio perché questa è stata (è)
veramente disastrosa. Anche la Figc farà la sua parte: Giancarlo Abete
ha già promesso che saranno riviste a fine campionato le norme sul
razzismo e sulla discriminazione territoriale, norme di difficile se non
impossibile applicazione.
Ma ecco cosa cambierà, dovrà cambiare, il prossimo anno: innanzi tutto
la tessera del tifoso si trasformerà in una vera tessera per il tifoso,
una fidelity card, non più uno strumento che ha reso la vita difficile a
chi voleva andare allo stadio. Non verrà abolita (purtroppo)la
tessera del tifoso, perché ci vorrebbe un provvedimento di legge, ma
trasformata radicalmente. Bisognerà vigilare però sui club che se ne
facciano davvero carico. Sarà più facile acquistare i biglietti, on line
o attraverso gli smart phone. Inoltre i tagliandi saranno messi in
vendita anche all'ultimo momento, e ci sarà più attenzione alle
trasferte (ora disertate quasi in massa). Non ci saranno più gli episodi
successi quest'anno con i padri che non potevano portare i figli
(minorenni) allo stadio: la fidelity card non più sarà richiesta per gli
under 14. Inoltre via libera a chi vuole portare allo stadio un amico.
Molte lamentele (giustificate) dei tifosi per il caro-biglietti, ultimi
nei confronti del Chievo. Da elogiare la Lega di A che ha stabilito
prezzi bassi, i più bassi degli ultimi quattro anni, per la finale di
Coppa Italia fra Napoli e Fiorentina: dai 20 euro delle curve ai 90
delle tribune. Si parlerà anche del Daspo: uno strumento cui il Viminale
non vuole rinunciare. Ma, attenzione: non più a pioggia come successo
sinora, quando tanti provvedimenti, per carenza di motivazione, venivano
poi annullati dai Tar. Maggiore attenzione quindi da parte di alcune
questure: il Daspo non serve per fare le statistiche. Verrà
intensificato il lavoro degli stewards, soprattutto nelle curve: hanno
gli strumenti di legge per intervenire. I club maggiori (vedi Juve,
Milan, Inter, Roma, eccetera) potranno suddividere le curve in
mini-settori in modo da individuare più facilmente chi fa cori razzisti
o espone striscioni vergognosi. A proposito: la questura di Torino non è
riuscita ad andare avanti nell'inchiesta sui tifosi (circa 200?) che
avevano fatto cori antisemiti. Probabile quindi che il giudice sportivo
non prenda alcuna decisione. Anche la polizia farà la sua parte, non
solo i club: prevista maggiore attenzione nel filtraggio. Adesso entrano
troppi petardi, proibiti oltre che pericolosi: i tifosi li nascondono
nei panini, o nella biancheria intima. A volte vengono utilizzate donne
o addirittura bambini (che vergogna) per cercare di eludere i controlli.
In futuro, più attenzione ai tifosi per bene. Un primo passo avanti, che
va poi verificato nella sua attuazione. Ma i tifosi chiedono altro,
chiedono nuove norme e più attenzione: venerdì 11 una delegazione di
ultrà di varie città parlerà con alcuni esponenti di partiti politici.
Serie B a 20 squadre dal 2015-'16? Abodi lo spera
Andrea Abodi è per il dialogo (costruttivo): il n.1 della Lega di serie
B, attivissima su vari fronti, adesso ha intavolato un discorso con la
Lega di A, dopo tanti anni di silenzi. Un passo avanti. Argomento,
riforma dei campionati. Logica vuole che la A debba scendere da 20 a 18,
la B da 22 a 20 (meglio ancora sarebbe 18). In A ci sono resistenze, e
non sarà per niente facile. Il presidente Maurizio Beretta aveva parlato
di una sola retrocessione diretta, con la seconda ai playoff. Alcuni
presidenti sono perplessi, temono di perdere i soldi dei diritti tv. In
B invece c'è la convinzione che si debba passare a 20. Quando? Il più
presto possibile. Abodi spera quindi dal 2015-'16, ma va trovato
l'accordo con la A in fretta. C'è ancora un braccio di ferro invece fra
Lega di B e quella Pro: argomento, i soldi dei diritti tv. Deciderà il
Tnas, questa estate. Non è stato possibile mettere d'accordo le due
parti, troppo lontane. Nemmeno Abete c'è riuscito.
La Task Force del Viminale, voluta dal ministro Angelino
Alfano e coordinata dal prefetto Vincenzo Panico, ha lavorato
sodo sino al 17 marzo. Ora è pronto un pacchetto di misure.
Oltre all'Osservatorio e alla forze di polizia, hanno fatto
parte della Task Force anche il Coni, la Figc (con il dg
Antonello Valentini) e le tre Leghe professionistiche. Erano
stati gli stessi club di serie A a chiedere aiuto al ministro
Alfano e al capo della polizia, Pansa. Sono stati
accontentati. Il pacchetto sarà presentato domani pomeriggio
al Viminale. Ora le società hanno gli strumenti per rendere
gli stadi più civili e dovranno presentare progetti credibili.
L'Osservatorio non obbligherà nessuno ma farà in modi di
vigilare sui comportamenti dei club che dovranno dare sempre
più importanza al supporter liaision officer (slo), il
dirigente che si occupa della tifoseria. Molte cose
cambieranno la prossima stagione, e speriamo in meglio perché
questa è stata (è) veramente disastrosa. Anche la Figc farà la
sua parte: Giancarlo Abete ha già promesso che saranno riviste
a fine campionato le norme sul razzismo e sulla
discriminazione territoriale, norme di difficile se non
impossibile applicazione.
Ma ecco cosa cambierà, dovrà cambiare, il prossimo anno:
innanzi tutto la tessera del tifoso si trasformerà in una vera
tessera per il tifoso, una fidelity card, non più uno
strumento che ha reso la vita difficile a chi voleva andare
allo stadio. Non verrà abolita (purtroppo)la
tessera del tifoso, perché ci vorrebbe un provvedimento di
legge, ma trasformata radicalmente. Bisognerà vigilare però
sui club che se ne facciano davvero carico. Sarà più facile
acquistare i biglietti, on line o attraverso gli smart phone.
Inoltre i tagliandi saranno messi in vendita anche all'ultimo
momento, e ci sarà più attenzione alle trasferte (ora
disertate quasi in massa). Non ci saranno più gli episodi
successi quest'anno con i padri che non potevano portare i
figli (minorenni) allo stadio: la fidelity card non più sarà
richiesta per gli under 14. Inoltre via libera a chi vuole
portare allo stadio un amico. Molte lamentele (giustificate)
dei tifosi per il caro-biglietti, ultimi nei confronti del
Chievo. Da elogiare la Lega di A che ha stabilito prezzi
bassi, i più bassi degli ultimi quattro anni, per la finale di
Coppa Italia fra Napoli e Fiorentina: dai 20 euro delle curve
ai 90 delle tribune. Si parlerà anche del Daspo: uno strumento
cui il Viminale non vuole rinunciare. Ma, attenzione: non più
a pioggia come successo sinora, quando tanti provvedimenti,
per carenza di motivazione, venivano poi annullati dai Tar.
Maggiore attenzione quindi da parte di alcune questure: il
Daspo non serve per fare le statistiche. Verrà intensificato
il lavoro degli stewards, soprattutto nelle curve: hanno gli
strumenti di legge per intervenire. I club maggiori (vedi Juve,
Milan, Inter, Roma, eccetera) potranno suddividere le curve in
mini-settori in modo da individuare più facilmente chi fa cori
razzisti o espone striscioni vergognosi. A proposito: la
questura di Torino non è riuscita ad andare avanti
nell'inchiesta sui tifosi (circa 200?) che avevano fatto cori
antisemiti. Probabile quindi che il giudice sportivo non
prenda alcuna decisione. Anche la polizia farà la sua parte,
non solo i club: prevista maggiore attenzione nel filtraggio.
Adesso entrano troppi petardi, proibiti oltre che pericolosi:
i tifosi li nascondono nei panini, o nella biancheria intima.
A volte vengono utilizzate donne o addirittura bambini (che
vergogna) per cercare di eludere i controlli. In futuro, più
attenzione ai tifosi per bene. Un primo passo avanti, che va
poi verificato nella sua attuazione. Ma i tifosi chiedono
altro, chiedono nuove norme e più attenzione: venerdì 11 una
delegazione di ultrà di varie città parlerà con alcuni
esponenti di partiti politici.
Serie B a 20 squadre dal 2015-'16? Abodi lo spera
Andrea Abodi è per il dialogo (costruttivo): il n.1 della Lega
di serie B, attivissima su vari fronti, adesso ha intavolato
un discorso con la Lega di A, dopo tanti anni di silenzi. Un
passo avanti. Argomento, riforma dei campionati. Logica vuole
che la A debba scendere da 20 a 18, la B da 22 a 20 (meglio
ancora sarebbe 18). In A ci sono resistenze, e non sarà per
niente facile. Il presidente Maurizio Beretta aveva parlato di
una sola retrocessione diretta, con la seconda ai playoff.
Alcuni presidenti sono perplessi, temono di perdere i soldi
dei diritti tv. In B invece c'è la convinzione che si debba
passare a 20. Quando? Il più presto possibile. Abodi spera
quindi dal 2015-'16, ma va trovato l'accordo con la A in
fretta. C'è ancora un braccio di ferro invece fra Lega di B e
quella Pro: argomento, i soldi dei diritti tv. Deciderà il
Tnas, questa estate. Non è stato possibile mettere d'accordo
le due parti, troppo lontane. Nemmeno Abete c'è riuscito.
Socrates, colpi di tacco e impegno civile: il Dottore del popolo
Mimmo Calopresti ripercorre in un film la vicenda sportiva e umana del
fuoriclasse. La vera democrazia nel Corinthians, in cui tutto veniva
messo ai voti, l'impegno politico che, contemporaneamente, viene
testimoniato anche nel libro "Calciatori di sinistra". E la profezia: il
Mondiale in Brasile sarà una vergogna organizzativa
ROMA
-"Vorrei morire di
domenica, mentre il Corinthians diventa campione". Socrates Brasileiro
Sampaio de Souza Vieira de Oliveira è stato l'uomo più fortunato del
mondo: ha avuto la fine che sognava. Se ne è andato il 4 dicembre del
2011. Una domenica. Mentre il Corinthians diventava campione pareggiando
0-0 con il Palmeiras. Tutta la squadra, a centrocampo, spese il minuto
di silenzio per la sua stella d'una volta con le lacrime agli occhi e
con il pugno chiuso verso il cielo, il gesto che un tempo era stato del
Dottore.
Dottore era davvero, Socrates, lo aveva scritto sulla cassetta della
posta anche durante il suo periodo da calciatore: pediatra. Colpi di
tacco e impegno civile, 37 di piede e una delle menti più aperte del
Brasile. Mentre il Paese faceva i conti con il governo autoritario del
regime militare, Socrates sperimentava nella sua squadra il significato
della parola Democrazia. Tutto veniva messo ai voti: ritiri, orari di
allenamento, quali calciatori vendere o comprare. E sulle proprie maglie
il Corinthians affermava con dei messaggi la necessità che quell'organizzazione
micro sociale venisse estesa all'intero Paese.
Il pugno destro sollevato verso il cielo. Chiuso. Rosso. La fascia tra i
capelli con un scritta che predica giustizia. La maglia della nazionale
brasiliana. Socrates è ritratto così sulla copertina di un bel libro
uscito da qualche giorno in Italia, "Calciatori di sinistra" (Isbn
edizioni, 251 pagine, 21 euro), scritto dallo spagnolo Quique Peinado e
tradotto da Giovanni Dozzini. Un volume che racconta le incursioni dei
calciatori nella politica, oggi sempre più rare, ma un tempo
testimonianze forti, vere, a volte dalle conseguenze dolorose. Un libro
che rinuncia alle suggestioni facili, dal tatuaggio di Che Guevara sul
braccio di Maradona al ribellismo di Eric Cantona. Queste cose non ci
sono. C'è invece, in molte pagine, il capovolgimento di vicende che
parevano certezze, come il presunto marxismo del tedesco Breitner o la
partecipazione del portiere svedese Hellstroem alle manifestazioni delle
Madri di Plaza de Mayo durante i Mondiali d'Argentina. Forse le pagine
più belle sono proprio quelle legate al 1978, alle testimonianze sul
disimpegno e sull'indifferenza che circondarono la Coppa del Mondo
organizzata da Videla. E poi gli italiani, certo: le vite di Sollier,
Lucarelli, Zampagna.
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Curiosa e sorprendente è la coincidenza dell'uscita di questo libro con
il lavoro di Mimmo Calopresti, sceneggiatore, attore e regista, spintosi
in Brasile sulle orme di Socrates, per raccogliere tracce della sua
missione sociale e della sua eredità. Ne è nato un documentario, scritto
da Marco Mathieu, dal titolo "Socrates, uno di noi".
Calopresti racconta l'irripetibile parabola di un fuoriclasse, il
fascino che ha esercitato sulle generazioni successive, l'amore che in
Brasile circonda il suo nome. E' stato a girare nei suoi luoghi, tra la
sua gente. E mette in evidenza il contrasto del Socrates brasiliano con
quello che vedemmo in serie A nel campionato 1984/85, quando venne a
giocare con la Fiorentina. Una personalità a cui l'Italia impedì di
esprimersi fino in fondo.
La versione televisiva del documentario è completata. Sarà venduta sul
mercato internazionale ed è probabile che sia mandata in onda prima dei
Mondiali. Intanto Calopresti lavora a una versione che possa avere una
sua distribuzione nelle sale. A proposito dei prossimi Mondiali, resta
da tenere a mente la seconda profezia fatta da Socrates, pure questa
riferita nel libro "Calciatori di sinistra". Disse: "Il Mondiale 2014
sarà una vergogna in termini organizzativi, e in finale arriveranno
Argentina-Brasile, vinceranno i primi 2 a 0, con due gol di Lionel
Messi".
La task force del Viminale ha quasi concluso i suoi lavori:
mercoledì 19 marzo è prevista l'ultima riunione, poi i
risultati di quattro mesi di lavori verranno consegnati al
ministro dell'Intero, Angelino Alfano. A fine marzo o al
massimo ai primi di aprile saranno resi pubblici e dalla
prossima stagione verranno applicati negli stadi che, si
spera, saranno un po' più civili. Per la prima volta i club di
calcio saranno messi di fronte alle loro responsabilità: ci
saranno delle regole e l'Osservatorio controllerà che vengano
rispettate. Una svolta. Alfano ha voluto questa task force,
l'ha promessa ai presidenti di serie A e ne ha affidato il
coordinamento al prefetto Vincenzo Panico, capo della
segreteria del Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Della
task force fanno parte, oltre naturalmente all'Osservatorio e
agli altri Corpi (carabinieri e finanza), anche gli organismi
sportivi. C'è stata piena collaborazione con il Coni, la Figc
(rappresentata dal suo dg, Antonello Valentini) e le tre Leghe
professionistiche. Ora siamo arrivati a tirare le fila. Un
lavoro importante, quantomai necessario. Uno dei concetti base
venuto fuori in queste riunioni è che i club di calcio
dovranno assumersi una maggiore responsabilità. Il presidente
Andrea Agnelli, uno dei pochi che ha il coraggio di dire
quello che pensa, ha chiesto l'aiuto dello Stato, "perché le
società da sole non ce la fanno". Vero, ci vorrà, almeno da
parte di alcune questure sinora poco attente e attive sul
fronte-stadio, una maggiorecollaborazione:
ma non dimentichiamo che il Viminale, anche il Viminale, deve
fronteggiare una situazione non facile, la spending review ha
toccato anche il sistema-sicurezza (anche se qualcuno la
nega). I poliziotti di servizio la domenica negli stadi sono
sottratti da altri servizi sul territorio, e molto spesso non
vedono un euro di straordinario. I club sono chiamati quindi a
mettere in campo professionalità e organizzazione, cose che in
passato a volte sono mancate. A tagliare tutti i ponti (cosa
non sempre successa) con la tifoseria più violenta, con chi
insulta, con chi minaccia (vedi i Drughi). I club saranno
chiamati dalla prossima stagione a stringere rapporti più
saldi coi tifosi perbene, che sono la stragrande maggioranza,
stufi di pagare l'abbonamento e di essere costretti magari a
starsene a casa perché la curva è stata chiusa per colpa di
chi (e purtroppo non sono pochi) fa cori razzisti, antisemiti
e di discriminazione territoriale, o porta nello stadio
striscioni vergognosi. La Figc ha promesso di rivedere le sue
norme, a fine stagione: ma da rivedere soprattutto c'è il
comportamento di certi idioti, che vanno isolati. A Torino, ad
esempio, un tifoso viola ha mostrato un foglio, che teneva
nascosto, sull'Heysel, così come in precedenza tre tifosi
juventini avevano offeso la memoria di chi aveva perso la vita
nella tragedia di Superga. Questi idioti sono stati tutti
identificati dalla Digos torinese (e puniti col Daspo) :
perché i club non si costituiscano parte civile? Perché non
chiedono i danni? Se non hanno la forza, il coraggio, se
temono ritorsioni, allora la faccia la Lega di serie A che
organizza il campionato. La task force chiederà alle società
un cambio di marcia, maggiore responsabilità.
Ma sono molte le cose, anche importanti, che usciranno dal
documento conclusivo: a) nuove procedure di semplificazione
per la vendita dei biglietti (ora, in molti casi, oltremodo
penalizzante); b) ottimizzazione nell'impiego degli stewards
(che hanno il potere di intervenire); c) segmentazione dei
settori e delle curve per isolare chi espone striscioni infami
o fa cori razzisti, eccetera. Sono state studiate anche forme
di contrasto al razzismo e alla contraffazione dei marchi
(basterebbe un decreto legge di poche righe, senza spese per
lo Stato). La tessera del tifoso, purtroppo, resta: ma si farà
in modo, almeno si spera, di renderla sempre più una fidelity
card, una tessera che venga incontro al tifoso e non, come
successo sinora in troppe circostanze, renda la vita
complicata a chi vuole andare allo stadio (non parliamo poi in
trasferta, non ci va quasi più nessuno). I club dovrebbero
anche farsi carico del costo dei biglietti: 50 euro, prezzo
minimo per gli ospiti, per Fiorentina-Juve di giovedì prossimo
è troppo caro.
Sinora, preso da altri problemi, il premier Matteo Renzi poco,
o nulla, si è interessato di sport, pur essendo uno sportivo
(ex calciatore ed ex arbitro). Così come ha trascurato il
capitolo sicurezza: al Viminale sono stati fatti i tagli,
pretendere che sia solo la polizia a risolvere il problema dei
nostri stadi, sovente specchio di una società degradata, è
pura utopia. Se ne facciano carico, in futuro, anche le
società di calcio, alleandosi con i tifosi civili, ora
scoraggiati e costretti, a volte loro malgrado, a seguire la
squadra del cuore solo in tv. Altrimenti è tempo perso parlare
di stadi (mezzi) vuoti.
Financial far play
E ora Platini che farà?
"Non voglio ammazzare nessuno", ha confidato Michel Platini,
stimatissimo presidente Uefa in corsa anche per la poltrona
della Fifa. Fra un mese, o poco più, si capirà davvero se le
sanzioni per chi ha sgarrato col 'financial fair play' voluto
dall'ex campione juventino saranno severe. Platini ha avuto
l'appoggio dell'Eca, European Club Association, sempre più
potente. Ma il suo presidente, Kalle Rummenigge, si aspetta
adesso che il Paris Saint Germain venga punito. Come noto,
l'Uefa ha preso in esame i bilanci dei club che partecipano
alle Coppe nel biennio 2011-'13: il deficit massimo consentito
è di 45 milioni (più un bonus di 5, quindi in pratica 50
milioni). Escluse le spese considerate utili dall'Uefa
(stadio, settore giovanile, eccetera): le posizioni dello
Zenit San Pietroburgo e del Manchester City si potrebbe
alleggerire. Ma per altri club la situazione è molto delicata:
il Paris Saint Germain, ad esempio, usufruisce di una
ingentissima sponsorizzazione, non consentita, dell'Ente del
turismo del Qatar. Avrà il coraggio Platini di escluderlo
dalle prossime Coppe europee? Per quanto riguarda i club
italiani sono sotto esame le situazioni di Inter e Roma, che
negli ultimi anni hanno chiuso in passivo e che in questa
stagione non hanno fatto parte delle competizioni europee. La
gamma delle sanzioni è vasta: si va, come detto,
dall'esclusione dalle Coppe 2014-'15, sino allo stop dei
contributi Uefa e al blocco del mercato (internazionale). Agli
sceicchi dei Psg non farebbe certo paura se Platini non
versassepiù i
contributi previsti dalle Coppe (una cinquantina di milioni di
euro se vinci la Champions), ma un'esclusione non
l'accetterebbero tanto volentieri. E si moltiplicherebbero le
cause a livello internazionale. Ad aprile comunque sapremo.Brutte notizie dall'Europa per l'Inter:
i nerazzurri hanno infatti problemi con i parametri delFair
Play finanziarioe
rischianosanzioni
da parte della Uefaqualora
dovessero qualificarsi per le coppe internazionali
A spiegare la critica situazione nerazzurra è statoPaolo
Ciabattini, autore del libro "Vincere con il Fair
Play Finanziario" e grande esperto di calcio business, in un
intervista a Sportmediaset: nell'analisi dell'esperto, proprio
il club nerazzurro sono emersi come quello nella fase più
critica considerando i periodi di monitoraggio tra il2012
e il 2015
L'Inter avrebbe una perdita aggregata relativa al primo
periodo di monitoraggio Uefa (fino a giugno 2013) di ben 157
milioni: grazie ad alcune clausole tale perdita può essere
ridotta a circa67,
superiore ma in modo non eccessivo ai 45 consentiti. In questo
caso ci sarebbero sanzioni lievi.
Il problema è nel secondo periodo di monitoraggio, quando
verranno monitorate le perdite relative alla stagione
2013/2014, che potrebbero ammontare a 79 milioni, per una
perdita aggregata di quasi150
milioni, quasi il triplo dei 45 consentiti. In questi
casi, se si qualificassse per una Coppa europea, l'Inter
rischia una o un mix delle seguentisanzioni:
blocco o cancellazione dei premiprovenienti
da competizioni Uefa,blocco
del mercato calciatoriper
le competizioni Uefa,limitazione
del numero di giocatoriche
il club può registrare per la partecipazione a competizioni
Uefa.
JUVENTUS:
SITUAZIONE AL LIMITE-
Situazione decisamente migliore in casa Juventus: nei periodi
di monitoraggio della Uefa, il club bianconero ha
sostanzialmente rispettato i parametri Uefa, ad esclusione
dell'ultimo nel quale la perdita aggregata s'aggira sui 55
milioni rispetto ai 45 permessi. La società dovrebbe quindi
limare qualcosa entro giugno 2015 per non subire sanzioni,
comunque lievi
MILAN: BILANCIO IN
ATTIVO-
La lunga opera di tagli e cessioni (come quelle eccellenti di
Zlatan Ibrahimovic e Thiago Silva) ha risanato il bilancio in
casa Milan: se a queste si unisce la politica di mercato di
puntare ai parametri zero, il risultato è un bilancio in utile
senza problemi di Fair Play Finanziario.
NAPOLI: SESTO ANNO
IN ATTIVO-
All'ombra del Vesuvio tutto va bene: nel 2013 il Napoli ha
infatti chiuso in utile il bilancio per il sesto anno
consecutivo. Sopratutto le cessioni di Ezequiel Lavezzi e
Edinson Cavani hanno permesso al Napoli di realizzare diversi
acquisti sul mercato e aumentare quindi il monte ingaggi senza
incorrere in sanzioni Uefa
ROMA: RISCHIO DI
SANZIONE MINIMA-
La Roma ha una perdita aggregata nel primo periodo di
monitoraggio di 92 milioni ma sottraendo stipendi e costi (35
milioni), lo sforamento rispetto ai 45 milioni consenstiti
torna gestibile. Quest'anno non partecipa alle Coppe e quindi
non è nella lente d'ingrandimento Iefa mentre per il prossimo
il bilancio dovebbe permetre una perdita aggregata complesiva
di 60 milioni sui tre anni con trend in miglioramento, La
sanzione che potrebbe arrivare da parte della Uefa sarebbe
quindi in ogni caso leggera
LAZIO: TUTTO A
POSTO-
Non sarà simpatico ai tifosi ma Claudio Lotito ha gestito in
modo eccellente il club sotto il profilo finanziario e
addirittura il prossimo bilancio - grazie alla cessione di
Hernanes - tornerà ad essere in utile. Ovviamente, gli stessi
tifosi sperano che insieme all'aspetto economico torni a
sorridergli anche quello sportivo: in sostanza, i parametri
Uefa sono più che rispettati, ora c'è da qualificarsi per una
competizione Uefa
BIG D'EUROPA: TUTTE
IN REGOLA. O QUASI-
Per quanto riguarda le Big d'Europa, dal Real Madrid al
Barcellona, dal Manchester United all'Arsenal, nessun
problema, con parametri Uefa rispettati e spesso bilancio
addirittura in netto utile grazie agli enormi fatturati.
"Particolare" la situazione di Manchester City e Paris
Saint-Germain, che hanno "ammortizzato" le spese grazie ad
enormi contratti di sponsorizzazione che gonfiano la voce
"entrate" ma chei arrivano spesso da società legate alla
proprietà dei due club, per una sorta di "ripianamento
illecito". Dal canto suo, la Uefa indaga e non a caso
rappresentanti del Psg sono stati convocati a fine novembre a
Nyon per chiarire alcuni particolari del bilancio societario
della società biancorossoblù. In ogni caso tali "entrate"
saranno rivalutate verso il basso e dovrebbero così portare i
club ad una situazione tale da subire sanzioni più - Paris
Saint-Germain - e meno - Manchester City - pesanti (senza
arrivare all'esclusione dalle Coppe) da parte della Uefa.
Proprio il modo in cui punirà i francesi definirà in termini
importanti la credibilità della Uefa per quanto riguarda il
Fair Play Finanziario
Berlusconi vende il Milan? Cinesi, russi e sceicchi: ecco chi
vuole il Diavolo
Dalla Evergrande Real Estate del Guangzhou di Lippi al sovrano
di Abu Dhabi, fino ad arrivare agli oligarchi: è lunga la
lista dei possibili compratori della società rossonera. Anche
se il Cavaliere smentisce
Secondo Bloomberg il valore del Milan si aggira intorno ai 600
milioni di euro, la cifra indicata dalla rivistaForbesche
fa del Milan uno dei sei club calcistici di maggior valore. In
realtà, come nel caso della trattativa per l’Inter, c’è poi da
tenere in considerazione la situazione debitoria, che è
abbastanza pesante. L’ultimo bilancio chiuso nel 2013 quasi in
pareggio (meno sette milioni circa) ha mostrato come il Milan
sia la società con il fatturato più alto in Italia. IlDiavoloinfatti
incassa 276 milioni di ricavi, così suddivisi: 140 dalle tv,
80 dalcommerciale,
34 dallo stadio (con il progetto di rinnovareSan
Siroo di
trasferirsi aRhoper
aumentare le entrate in questo settore) e 22 da altri ricavi.
Bisogna però considerare anche che il Milan ha ilmonte
stipendipiù
alto, 180 milioni circa, e un’esposizione con le banche di
oltre 250 milioni perdebiti
finanziari. Quest’ultima voce influirà molto sul
prezzo di vendita. SeFininvestha
prontamente smentito la notizia di Bloomberg come “ipotesi
senza fondamento”, la multinazionale statunitense è parsa
abbastanza sicura che l’era
Berlusconidopo
quasi trent’anni sia oramai giunta al termine. E ha altresì
indicato la provenienza dei nuovi padroni: l’Asia.
CINA
Il nome caldo è quello è quello dellaEvergrande
Real Estate, di proprietà del magnateXu
Jiayin, il quinto uomo più ricco della Cina con un
patrimonio stimato intorno ai 6 miliardi. La Evergrande è
proprietaria delGuangzhou,
squadra di calcio salita agli onori della cronaca prima con i
dispendiosi acquisti, come il brasilianoConca,
secondo per ingaggio solo aMessi,RonaldoedEto’o,e
poi con l’ingaggio del tecnicoMarcello
Lippi, con cui ha appena vinto il titolo e laChampionsasiatica.Già
lo scorso anno tramite gli uffici diDavide
Lippi, figlio del ct campione del mondo con l’Italia
nel 2006, procuratore ed ex uomo dellaGea,
erano iniziati i primi contatti tra rappresentanti diBerlusconieLiu
Yongzhuo, presidente del Guangzhou. L’ipotesi che
voleva allora anche lo sbarco di Lippi senior come direttore
generale del nuovo Milan cinese prende ancor più corpo ora che
il tecnico ha annunciato il suo addio alla panchina del club.
A chiudere il cerchio il fatto che la merchant bank Lazard,cui
secondo Bloomberg la Fininvest avrebbe dato mandato per la
vendita del Milan, aveva trovato come primi potenziali
acquirenti dell’Inter proprio i cinesi dellaChina
Railway Construction Corporation. Poi l’affare
non andò in porto e arrivòThohir.
GOLFO PERSICO
Qui il nome più importante è quello dello sceiccoKhalifa
bin Zayed Al Nahyan, sovrano di Abu Dhabi e
presidente degli Emirati Arabi.Rumorsin
tal senso si registrano da almeno tre anni, e la notizia è
stata rilanciata a ottobre dalQuotidiano
Sportivoche
ha raccontato di una intermediazione del deputato del PdlValentino
Valentininella
trattativa.Il
nome dello sceicco Khalifa è poi in questi mesi sulle pagine
di tutti i quotidiani per l’affareAlitalia,
dato che sembra imminente l’accordo conEtihad,compagnia
aerea creata nel 2003 per regio decreto proprio dal sovrano diAbu
Dhabi. A questo punto l’ingresso di Khalifa nel
mercato italiano sarebbe duplice: aeri e pallone. Gli
interessi di Abu Dhabi nel calcio poi sono già avviati dal
momento dell’acquisto nel 2008 delManchester
Cityda
parte dello sceiccoMansour,
membro della famiglia reale e imparentato col sovrano Khalifa.
Le altre ipotesi nel Golfo guardano alQatare
aDubai.Per
quanto riguarda il Qatar, il referente sarebbe lo sceiccoTamim
bin Hamad Al Thani, già entrato in maniera
pesantissima nel calcio con l’organizzazione dei Mondiali del
2022 e con l’acquisto delPsg,
cui il Milan ha vendutoIbraeThiago
Silvaall’inizio
dell’operazione di ridimensionamento. Inoltre, Al Thani è
anche padrone diAl
Jazeera, potentissimo network televisivo che ha
sua volta fatto l’ingresso nel calcio acquistando parte dei
diritti tv dellaChampionse
che secondo alcune fonti sarebbe anche in procinto di creare
joint venture conMediaset(magari
proprio in ambito calcistico con Mediaset Premium) e con la
galassia di telecomunicazioni spagnola in cui lo stessoBerlusconiha
interessi. L’ultimo nome è quello dello sceiccoMohammed
bin Rashid Al Maktoum, sovrano di Dubai e padrone
della compagnia aereaEmirates,
che sponsorizzaArsenal,Real
Madrid, Psg e diverse altre squadre, tra cui lo
stessoMilancui
versa decine di milioni l’anno.
RUSSIA
Infine c’è sempre la possibilità del soccorso diPutin,
dalla Russia con amore per salvare il suo antico sodaleBerlusconi.
Il nome più ricorrente è sempre stato quello della compagnia
di estrazione del gas naturaleGazprom.
Il colosso parastatale – capace di incidere sui destini
geopolitici del globo – si diletta anche con il calcio,
possedendo loZenit
San Pietroburgo, sponsorizzando a cifre fuori
mercato, quasi da proprietà mascherata, i tedeschi delloSchalke
04e
continuando ad essere uno dei main sponsor dellaChampions
League. Altrimenti ci sarebbe l’oligarcaOleg
Vladimirovich Deripaska, con patrimonio di circa 8
miliardi che è ceo diEn+
Group(energia)
e diRusal(la
più grande compagnia al mondo nella produzione di alluminio).
Infine un nome abbastanza curioso, quello diUralchem,
multinazionale di fertilizzanti chimici con ragione sociale aCiproe
sede aPerm.
Nel 1994, l’anno della grande discesa in campo berlusconiana,
la Uralchem decide di fondare una squadra di calcio: l’Amkar
Perm. Per questo chiede l’aiuto di Berlusconi, che
tra le altre cose invia un kit di maglie rossonere preso dalla
fornitura per il Milan. Da allora l’Akmar, che oggi gioca
nellaRussian
Premier League, ha le maglie rossonere. Se fosse la
Uralchem ad acquistare il Milan, almeno i tifosi avrebbero una
certezza: non cambierebbero gli storici colori sociali del
club.
Basket, Monte Paschi mette in crisi anche Mens Sana: a rischio
iscrizione in A
La società che ha vinto gli ultimi 7 scudetti è stata posta in
liquidazione e l'assemblea dei soci non ha approvato il
bilancio per una perdita di oltre 5 milioni. Ora c'è un
liquidatore ed è iniziata la corsa contro il tempo
La squadra vincitrice degliultimi
7 scudettidelcampionato
italianodibasketrischia
di non potersi iscrivere al prossimo campionato diLega
A. LaMens
Sana Basketè
stata infatti postain
liquidazionelo
scorso 21 febbraio: l’assemblea dei soci non ha approvato il
bilancio chiuso al 30 giugno 2013 poiché è stata rilevata una
perdita pari a 5,4 milioni di euro. Il consiglio
d’amministrazione della società (per l’87% in mano alla
Polisportiva Mens Sana 1871 e per l’11% alla Fises) è decaduto
ed è stato nominato un liquidatore: a traghettare la società
per i prossimi mesi saràEgidio
Bianchi, ds dellaVirtus
Siena(squadra
di serie C regionale) e membro della deputazione
amministratrice della Fondazione Mps. La corsa contro il
tempo è iniziata: “La soluzione e le risorse – taglia corto
l’assessore comunale allo sportLeonardo
Tafani–
devono essere messe in campo prima della fine della stagione:
chi ha idee o progetti veri alzi la mano”.I
conti della Mens Sana erano finiti nell’occhio del ciclone già
nel 2013 a seguito dell’indagine delle Fiamme Giallesulla
gestione del trattamento economico dei giocatori. Le
difficoltà della Mens Sana sembrerebbero legate a aspetti
economici e non finanziari: “Nessun debito nei confronti di
banche o fornitori – precisano dalla società alfattoquotidiano.it–
e nessun decreto ingiuntivo notificato”.
Nei giorni scorsi la Mens Sana ha anche ricevuto la visita
dellaComtec,
la commissione che verifica l’equilibrio economico-finanziario
delle squadre ha rilevato la regolarità di tutti gli
adempimenti richiesti fino a oggi, “compresi contributi e
stipendi”. La crisi della società sarebbe da imputare
soprattuttoalprogressivo
disimpegnodel
Monte dei Paschi, sponsor principale dal 2000 a oggi: un
binomio che ha permesso di raggiungere importanti traguardi.
Le difficoltà del gruppo Mps hanno avuto conseguenze
importanti sulla palla a spicchi senese: “La banca ha avuto un
atteggiamento tipico di chi ha paura: i suoi esponenti si sono
chiusi e irrigiditi nel perimetro di piazza Salimbeni” ha
dichiarato il presidente della Mens SanaPiero
Ricci. “La crisi mondiale che ha coinvolto l’economia
non era prevedibile – sottolinea la società in un comunicato –
e di conseguenza non era prevedibile il verificarsi di un
cambiamento così improvviso dei rapporti tra Banca e Mens Sana
Basket”. Il
contratto di sponsorizzazione scadrà il prossimo giugno e le
strade molto probabilmente si divideranno.
Negli ultimi anni Siena è stata la capitale del basket
italiano e assolutaprotagonista
in Europa: i tifosi senesi (4mila
gli abbonati) adesso temono di piombare in un incubo.
Cosa accadrà alla pallacanestro locale? “E’ ancora presto per
fare valutazioni sul futuro della società –
ha dichiarato il liquidatore – La questione è assai
complicata”. L’obiettivo prioritario resta l’iscrizione al
prossimo campionato. La strada appare però in salita:
l’articolo 130 del regolamento della Federazione Italiana
Pallacanestro prevede infatti che a seguito della messa in
liquidazione si arrivi alla revoca dell’affiliazione. Nei
giorni scorsi è stato lo stesso presidente della FipGianni
Petruccia
ribadire che tale regola non può essere affatto derogata e che
non saranno concesse scorciatoie. Tafani evidenzia la
posizione “fin troppo rigida” della Fip ma chiede, nel
rispetto delle regole, che non venga preclusa alcuna strada
“per salvare la pallacanestro professionista a Siena”. La
partita decisiva per il futuro della Mens Sana si giocherà
fuori dal parquet.
Scommesse sul calcio by Rcs: fuorilegge i patron di Juve,
Fiorentina e Toro?
Andrea Agnelli, Diego Della Valle, Urbano Cairo
hanno partecipazioni nel gruppo editoriale che avvierà un
portale per le puntate sul calcio. Partecipazioni che, in modo
indiretto, arrivano anche a Berlusconi e Moratti. La legge
sportiva: "I soci non possono agevolarle". Cesare Di Cintio
(esperto di diritto dello sport): "C'è un vuoto normativo"
Può ilpresidente
di una società di calciofare
affari con le scommesse sportive? La legge recita: “A
dirigenti, soci e tesserati è fatto divieto di effettuare,
accettare oagevolare
scommessecon
atti funzionali alla effettuazione delle stesse”. Gli esperti
di diritto sportivo però sono “possibilisti” e parlano divuoto
normativoperché
i regolamenti federali non lo vietano espressamente. In ogni
caso, quando si tratta di business l’opportunità morale,
specie in Italia, diventa semplice noia a cui dar peso
relativo.
Prima del 27 gennaio scorso, tuttavia, il
problema non si era mai posto. Poi è accaduto qualcosa:Rcsha
messo il tassello chiave che le mancava per rendere concreto e
reale quello che fino a pochi giorni prima era solo uno deitanti
nuovi progetti allo studio dell’adPietro
Scott Jovane, cioè
l’avvio di un’attività di scommesse sportive a marchioGazzabetda
affiancare allaGazzetta
dello Sport. Alla fine del
mese scorso, infatti, l’editrice del quotidiano sportivo e delCorriere
della Serasi è comprata per
293mila euro la concessione statale per l’attività di
commercio di giochi online.
E così oggi, il presidente della Juventus,Andrea
Agnellie
il suo azionista di maggioranza, nonché cuginoJohn
Elkann, il patron della
FiorentinaDiego
Della Valle, e quello del
Torino,Urbano
Cairo, si trovano tutti
assieme tra i soci di un’azienda, la Rcs, che sta per inserire
tra le sue attività commerciali anche igiochi
e le scommesse. E non sono i
soli. A voler essere puntigliosi, al novero dei proprietari di
squadre di calcio legati al gruppo editoriale, bisognerebbe
anche aggiungereSilvio
BerlusconieMassimo
Morattianche
se lo sono in modo molto blando. Il primo grazie alla
partecipazione di famiglia inMediobancache
di Rcs è ancora azionista di rilievo, il secondo tramite il
filo sottile che passa perPirellifino
ad arrivare alle holding che stanno in testa alla società
degli pneumatici. Ma si tratta di quote davvero
infinitesimali. Lo stesso non si può dire del peso di Elkann,
Della Valle e Cairo sulla casa editrice (e ormai anche di
scommesse). Nel mezzo Agnelli, che è socio del primo azionista
di Rcs, Fiat, tramite la cassaforte della famiglia torinese di
cui ha però una partecipazione decisamente inferiore rispetto
a quella del cugino, pur condividendo con lui i consigli di
amministrazione delle società che legano la Giovanni Agnelli &
C alla casa editrice di Corriere e Gazzetta.
Senza contare che a vendere la licenza per
le scommesse a Rcs, come riferiva nei giorni scorsi il
quotidiano finanziarioMf,
è stata Neomobile Gaming, una società di giochi che tra i suoi
azionisti conta anche il figlio di Umberto Agnelli. Anche qui
tramite una complessa catena di società che arrivano fino alla
holding personale del presidente della Juventus. A districare
l’eventuale conflitto d’interesse nella compravendita ci sta
già pensando un’insolitamente
solerte Consob, mentre la
società editrice rispedisce le accuse al mittente mandando a
dire che “i diversi accordi commerciali e di carattere
partecipativo recentemente conclusi nei settori e-commerce
viaggi e gaming sono relativi a iniziative in start-up del
gruppo RCS e prevedono peraltro impegni economici non
significativi”.
Resta il fatto che oraRcs
è titolare di una concessioneper
le scommesse datata 2011 e in scadenza nel 2020. Per partire,
quindi, mancano solo gli accessori. Che piaccia o meno ai
giornalisti della rosea già protagonisti di una levata di
scudi alla sola idea di una perdita d’indipendenza e di
credibilità del giornale che ha dato il là a scioperi delle
firme e, soprattutto, alla mancata uscita in edicola il giorno
dell’inaugurazione dei Giochi di Sochi, tra veleni e
polemiche.
E il quadro che si prefigura per il futuro è
piuttosto ambiguo, perché il presidente della Juventus insieme
a Della Valle, Cairo e Moratti, sarà proprietario di quote
azionarie di una società che fa soldi con le puntate degli
scommettitori sugli eventi sportivi. Quali? Anche sulle
partite della Serie A – sono gli stessi giornalisti della
Gazza a lamentarsene -, quindi anche delle gare di Juventus,
Fiorentina, Inter, Milan e Torino. Un circolo vizioso. Legale
o no?
In tal senso, l’unico ostacolo
all’operazione potrebbe derivare da un’interpretazione
letterale dell’articolo
6 comma 1 delle Norme di comportamento della Figc.
Vale la pena riportare integralmente il dettato di legge: “Ai
soggetti dell’ordinamento federale, ai dirigenti, ai soci e ai
tesserati delle società appartenenti al settore
professionisticoè
fatto divieto di effettuare o accettare scommesse,
direttamente o per interposta persona, anche presso i soggetti
autorizzati a riceverle, o di agevolare scommesse di altri con
atti univocamente funzionali alla effettuazione delle stesse,
che abbiano ad oggetto i risultati relativi ad incontri
ufficiali organizzati nell’ambito della FIFA, della UEFA e
della FIGC”.
La norma, quindi, non vieta espressamente a
un presidente di un club di calcio di essere proprietario di
quote di società di scommesse sportive. Al tempo stesso, però,
il comma 1 dell’articolo 6 vieta a tutti i tesserati di
“effettuare o accettare” puntate “direttamente o per
interposta persona”. Agnelli e i suoi compagni di ventura in
Rcssono
quindi fuori leggeo,
nel migliore dei casi, stanno approfittando di un vuoto
normativo? Non la pensa così l’avvocatoCesare
Di Cintio. “Al momento non
esiste una legge che vieta il possesso di quote nelle società
di betting e contemporaneamente di quote all’interno di
società sportive – dice a il fattoquotidiano.it l’esperto di
diritto dello sport – Non c’è un’incompatibilità di fondo,
perché i bookmakers hanno interesse al corretto svolgimento
delle gare, altrimenti ci perderebbe quattrini. Diverso,
invece, il caso in cui due soggetti si accordano per alterare
una partita e dopo vanno a scommeterci su”. Nulla di
scandaloso, quindi. “Anzi – continua Di Cintio – potrebbe
essere una cosa positiva, perché in tal modo le società
avrebbero maggiore interesse affinché i match siano corretti e
non combinati”. L’operazione per il legale non confligge con
l’articolo 6 delle Norme di comportamento Figc. Il motivo?
“Quella legge prevede il divieto per un tesserato, main
questo caso si tratta di quote societariee
la società è una cosa differente dal singolo”.
Insomma, per l’avvocato si può fare. Maè
opportuno farlo? La vicenda
sembra ripercorrere in qualche maniera la legge del 1957 sullaincandidabilitàdi
chi è titolare di concessioni pubbliche. La Giunta per le
elezioni del Parlamento, infatti, ha paradossalmente e più
volte stabilito che non poteva essere parlamentareFedele
Confalonieriin
quanto ai vertici operativi di Mediaset, permettendo al
contrario la candidatura di Silvio Berlusconi poiché “solo”
azionista di maggioranza della stessa azienda. A prescindere
dai paragoni con la politica, nel caso di Gazzabet non si può
non “ammirare” il carattere uno e trino di Andrea Agnelli, al
tempo stesso presidente della Juve, socio di Rcs (quindi anche
del maggior quotidiano sportivo nazionale) tramite la
cassaforte di famiglia e azionista della società che ha appena
venduto la licenza per scommettere algruppo
di via Solferino. Uno che
quando gioca non perde mai.
Viva gli ultrà, abbasso le sentenze
Un inizio di campionato con una curva chiusa per razzismo. Una
seconda squalifica, poi revocata. Una terza, sospesa grazie
alla condizionale; una quarta, con pena raddoppiata dalla
recidiva. Un primo appello, respinto. Un secondo appello,
d'urgenza, a 24 ore dalla partita: respinto. Un improbabile e
temerario tentativo di ricollocare parte dei tifosi delle
curve chiuse in altri settori dello stadio: respinto,
verosimilmente anche con una pacca sulle spalle e un invito a
non esagerare con la fantasia.
In tutta questa tormentata vicenda, i dirigenti della Roma
hanno parlato poco, esprimendo però concetti semplici, il più
semplice dei quali è che il club si impegna da sempre contro
il razzismo e che i cori anti napoletani alla base delle
ultime sanzioni fanno parte più del folklore da curva che
dell'intolleranza discriminatoria. È una teoria in cui
evidentemente si crede molto, a giudicare dall'impegno, ai
limiti dell'accanimento terapeutico, con il quale il club ha
provato a evitare una punizione ampiamente annunciata dalle
azioni degli ultrà per tutta la stagione. Invece di combattere
i comportamenti, insomma, la Roma ha deciso di combattere le
sentenze, come già - e con maggior fortuna, chissà perché -
avevano fatto Inter e Milan. Una strategia legittima, per
carità, opposta a quella della Juventus che aveva rinunciato
ai ricorsi e varato la discussa operazione bambini. Ma non
proprio in linea con quei richiami alla sportività, ai valori,
alla correttezza, alla modernità con cui Pallottaintendeva
targare il nuovo corso giallorosso. Provare a far rientrare
dalla finestra - peraltro di lusso, ai piani alti del
condominio stadio - la gente sbattuta fuori dalla porta non
pare il massimo della coerenza: io ti faccio i cori razzisti
fino a farti chiudere mezzo stadio, tu in cambio mi premi
mandandomi in tribuna. Davvero una bella, geniale pensata per
tenere buona la piazza. La stessa piazza che appena ripreso
posto nella sua curva, dopo averla lasciata vuota in un paio
di partite chiave per la stagione, farà di tutto per farla
chiudere di nuovo. Magari sperando in un biglietto gratis
nelle prossime coppe europee, quando sarà bellissimo poter
insultare di nuovo a squarciagola qualcuno che non capisce la
lingua. Auguri.
Mondiali 2022, stampa inglese: strage di operai in Qatar, già
400 immigrati nepalesi morti
L''Observer' anticipa i risultati di
un'inchiesta di un'organizzazione per la difesa dei diritti
umani. E secondo le previsioni, fino all'inaugurazione
potrebbero perdere la vita in tutto 4 mila persone impegnate
nella costruzioni degli stadi. Polemiche in Gran Bretagna per
la prossima visita del principe Carlo a Doha
LONDRA-
Sono già oltre 400 gli immigrati nepalesi morti in Qatar nei
cantieri per i mondiali dicalcio 2022. Lo scrive il
quotidiano britannico 'Observer', che anticipa i risultati
di un'inchiesta della "Pravasi Nepali Co-ordination
Committee", un'organizzazione per i diritti umani. L'elenco
degli operai che hanno perso la vita è stato compilato
utilizzando fonti ufficiali a Doha.
Quella che ormai è già una strage degli operai potrebbe in
futuro assumere valori ancora più drammatici: come
annunciato la settimana scorsa dall'''International Trade
Union Confederation', fino all'inaugurazione dei Mondiali,
tra otto anni, si temono 4 mila vittime. E i lavoratori più
a rischio sembrano proprio quelli nepalesi, che
rappresentano il 20% della manodopera usata per la
costruzione degli stadi. Molti altri arrivano da India,
Bangladesh, Pakistan e Sri Lanka.
Le polemiche sono destinate ad acuirsi nei prossimi giorni,
in occasione della visita del principe Carlo in Qatar. Il
deputato laburista Jim Murphy ha scritto un intervento sul 'Guardian'
in cui ha condannato la tragedia degli operai e ricordato
che nessun lavoratore è morto nei cantieri per le Olimpiadi
di Londra 2012.
Minala, 17enne della Lazio: “Ad agosto compirò 42 anni”. Ma è
una bufala
Il calciatore, al centro delle polemiche per i
dubbi sulla sua età, avrebbe confessato la verità a un sito
del Senegal. Poi smentisce: "Falsità". La società di Lotito:
"Vogliono gettare ombre sull'operato del club". E alla fine il
portale che ha diramato l'intervista ammette l'errore
“In realtà non ho 17 anni, ho firmato subito
il contratto per iniziare ad inviare soldi alla mia famiglia,
rimasta inCamerun.
Festeggerò i miei 42 anni nel mese diagosto,
mi auguro che laLaziocontinui
a tenermi”.Questa
sarebbe la confessione del centrocampista camerunese della
Primavera della LazioJoseph
Minalariportata
dal sito del quotidiano senegalesesenego.com.Arrivato
in Italia nell’agosto del 2012 allaVigor
Perconti, dopo un
tesseramento lampo per un sol giorno allaCittà
di Fiumicino, Minala era
finito presto nel mirino diInter,NapolieUdinese,
ma nessuna delle società lo aveva tesserato proprio per i
dubbi sulla sua reale età. Lo ha invece fatto in estate laLazio,
aggregandolo alla squadraPrimavera.
Poi la sua convocazione in prima squadra per il derby di
domenica – visto in tribuna – ha aperto il vaso diPandora.
Interpellata sulla vicenda, laLazio prima
ha deciso di non rilasciare alcun commento, poi invece ha
diramato uncomunicato
ufficiale: “LaS.S.
Lazio s.p.a., in riferimento
alle notizie di stampa apparse in ordine sull’età anagrafica
del calciatore Joseph Minala – si legge nella nota – conferma
l’assoluta legittimità delladocumentazionedepositata
presso gli organi federali, denuncia l’ennesimo tentativo, da
parte di ambienti ostili, di gettare luce sinistra
sull’operato del club. Preannuncia sin d’ora ogni azione
mirante a far cessare un tale comportamento nel rispetto dei
tifosi e dei calciatori e – conclude il club di Lotito – si
riserva di agire nei confronti dei responsabili per la tutela
del buon nome della Società e delcalciatore“.
Anche quest’ultimo, poi, ha commentato lavicenda:
“Ho preso conoscenza delle presunte dichiarazioni che sono
state attribuite in un comunicato apparso sul portalesenego.net nelle
quali avrei confessato la mia reale età rispetto a quella
risultante nei miei documenti – scrive Minala sul sito della
Lazio - Si tratta didichiarazioni
falseche
mi sono state attribuite da soggetti che non conosco e nei cui
confronti riservo ogni azione di danno”.
Prima della presa di posizione di calciatore
e società, aveva parlato aIl
Messaggeroil
direttore generale della Victor Perconti, la squadra che due
anni fa ha tesserato il calciatore che allora risiedeva nella
casa famigliaLa
Città dei Ragazzi. “Il
ragazzo ha una struttura fisica imponente e può sembrare più
grande, ma noi abbiamo appurato la sua situazione anagrafica –
ha detto il dgVito
Trobiani–
La cosa più importante è il passaporto dal punto di vista deltesseramento,
se non fosse stato così, la federazione ci avrebbe subito
bloccato. Anche la Lazio ha a disposizione la nostra stessa
documentazione, altrimenti non lo avrebbe potuto tesserare”.
Sul caso è poi intervenuto il suo procuratoreDiego
Tavano, con un lapidario:
“Sono soloillazioni,
Joseph è sereno”.
Noto in Italia anche il caso diLuciano,
giocatore brasiliano che quando arrivò alChievodisse
di chiamarsiEribertoe
di avere quattro anni in meno di quanti ne aveva realmente.
Mentre tra ilazioni e sfottò, nel mondo del calcio è stata
messa in dubbio l’età di diversicalciatori
africanio
sudamericani, il cui viso tradiva un’età che le prestazioni in
campo mascheravano. O viceversa, il cui declino fisico
lasciava stupefatti data la presunta giovane età. PersinoAdriano
Gallianiun
giorno si è lasciato sfuggire una mezza verità. “Ho conosciuto
un grandissimo giocatore del Milan che aveva tre passaporti
diversi. E non era certo l’unico – ha detto l’ad del Milan –
Eppure, tutti quelli che usavano il passaporto più fresco,
quello con l’età più giovane, hanno giocato fino a
quarant’anni o quasi, come se fossero immortali”. Dove il
riferimento è con tutta probabilità aGeorge
Weahil
liberiano vincitore delPallone
d’Oroall’età
di 30 anni, dichiarati. Ora è il turno diJoseph
Minala, con questi 25 anni
che ballano tra i 17 riportati sul passaporto e i 42 che
avrebbe confessato di avere asenego.com.
La svolta della vicenda, però, arriva dopo
lapubblicazionedel
comunicato della Lazio, in cui la società minacciava azioni
legali. Il sito del quotidiano Senego, infatti, riporta il
link con la fonte da cui ha preso la presunta confessione diJoseph
Minala.Si
tratta di un pezzo apparso sul sito di satira calcisticaDesinfos
du Foot,
un nome che è una garanzia.
Già l’anno scorso infatti,Desinfos
du Footaveva
lanciato la notizia della creazione di una super lega di
campioni di calcio inQatar,
una bufala clamorosa nella quale era caduto il quotidiano
britannicoThe
Timesrilanciandola
come sua addirittura in prima pagina. Se erano già sufficienti
le smentite del calciatore per ritenere l’intervista
inventata, l’aggiunta della fonte originaria rende invece il
caso unacolossale
boutade a cui hanno creduto
tutti i principali media. Dati i precedenti citati
nell’articolo, infatti, da Mbemba a Luciano, la falsificazione
dei documenti dei calciatori non è una possibilità così
remota.
Mediaset, il futuro passa dall’acquisto della Champions League
in esclusiva
Il Biscione ha speso 700 milione di euro per strappare a Sky
la massima competizione calcistica europea. Dietro la mossa,
la possibilità di trovare un alleato
Mediaset PremiumbatteSky
Italiaper
un centinaio di milioni di euro: ne offre 700 per un triennio
(2015-18) e s’aggiudica l’esclusiva per le partite diChampions
League. A Sky resta l’Europa League. Poche righe,
ecco, e la notizia è servita. Se non fosse più concitata, più
intricata o, senza esagerare, quasi epocale. La famigliaBerlusconitrasmette
un messaggio, per la concorrenza e per la finanza: il Biscione
è pronto a sacrificare un pezzo (Mediaset Premium) per non
rischiare di perdere il corpo intero. Questi700
milioni di eurosono
spropositati per l’attuale valore e le attuali capacità di
Mediaset Premium: una televisione a pagamento che, con 2,2
milioni di abbonati e ricavi da mezzo miliardo di euro (410
mln a novembre 2013), viene sballottata dai capitali che iMurdochpossono
investire su Sky Italia.
Questi 700 milioni di euro, un impegno pesante per un gruppo
che ha tagliato 500 milioni di costi in due anni, servono a
lanciare il vero modello spagnolo deiBerlusconi:
l’alleanza conTelefónica,
la multinazionale con sede a Madrid che già sta prendendo il
controllo diTelecom
Italia. Cosa c’entrano le telecomunicazioni con la
televisione e le giocate diLionel
Messi? Telefónica e Mediaset sono azioniste di
minoranza diDigital+(oCanal+),
il circuito spagnolo a pagamento: possiedono il 44 per cento
di quote, 22 a testa, la maggioranza è diPrisa,
la società editrice diEl
Paìs. Prisa vuole (e deve) vendere: il prezzo
fissato è un miliardo di euro. Ma Mediaset e Telefónica
possono trattare perché vantano ildiritto
di vetosui
nuovi ingressi, il diritto di prelazione in caso di cessione
e, soprattutto, Prisa ha bisogno di ristrutturare il debito e
deve fare cassa.Cologno
Monzesenon
attraversa un periodo entusiasmante, il mercato pubblicitario
è stagnante e i canali generalisti vanno maluccio, e così
Telefónica è il serbatoio che può introiettare liquidità per
inglobare Digital+.
Un passo fondamentale per plasmare una società dicomunicazione
italo-spagnola, cioè Mediaset Premium e Digital+, che
può spadroneggiare nell’Europa dei prodotti a pagamento: il
Biscione prende fiato e Telefónica guadagna potere. Il debutto
è in agenda prima di giugno e laquotazione
in Borsaè
ancora da valutare. Non è un segreto inviolabile che
l’operazione Telefónica-Mediaset sia benedetta daMediobanca,
regista dei soci italiani che stanno consegnando Telecom agli
spagnoli. Che c’entraSky
Italia? Un anno fa, stagione dilarghe
intesee patti di non belligeranza, Cologno Monzese
invitava lo squalo Murdoch a studiare i conti di Mediaset
Premium, a valutare uno scambio equo: Sky non ha ostacoli per
la tv a pagamento, il Biscione conserva l’antico monopolio conCanale5e
sorelle. E faceva sorridere l’improvvisa amicizia fraPier
Silvio BerlusconieAndrea
Zappia, l’amministratore delegato di Sky Italia.
La sintonia ritrovata, e in particolare evocata dai Berlusconi
e daConfalonieri,
ha generato “l’inciucio” con il comodo baratto fra diritti per
l’Europa
League(Mediaset)
e per la Champions League (Sky). Non è escluso che possa
accadere per l’anno prossimo e, ancora, per il triennio che
vede trionfante Mediaset. Il calcio non è soltanto un gioco,
in questi scenari da miliardi sonanti, è un pretesto: un
effetto, non una causa. A Sky Italia devono digerire la
sconfitta e, ancora più delicato, scoprire la strategia dei
rivali. A Mediaset vogliono accorciare i tempi per far
esordire il sodalizio italo-spagnolo con Telefónica (e magari
anche con i munifici arabi diAl
Jazeerao
i tedeschi diRtl).
C’è bisogno di un clima mite. Di una politica rilassata. E poi
persino i Murdoch potrebbero affiancare l’impresa. Perché ilcalciosarà
fede, però il denaro non ha odore.
Calcio-spezzatino?
E non è ancora finita
se
del derby Genoa-Sampdoria (bussalino)
Non c'è niente da fare, la battaglia
contro il calcio-spezzatino è persa. Le pay tv, che tengono in
piedi il Circo del pallone, vogliono partite tutti i giorni, a
tutte le ore. E, fra anticipi e posticipi, adesso si gioca
sempre. La giornata di campionato, a volte, inizia il venerdì
per concludersi il lunedì. E aumentano le finestre: la Lega di
Serie A ha previsto infatti che si giochi anche la domenica
alle 18,30 (oltre alle 12,30, alle 15 e alle 20,45). Già
programmate alcune partite: 23 febbraio 18,30 Juventus-Torino,
poi 2 marzo Livorno-Napoli, 16 marzo
Cagliari-Lazio. E nel
nuovo contratto tv (dal 2015) ci sarà probabilmente anche una
gara il sabato alle 15 (o 16) che fa comodo alle tv, anche per
i diritti esteri, ma che penalizza chi al sabato pomeriggio
lavora (vedi, ad esempio, i commercianti). Ma, come detto, è
una battaglia persa. A presidenti fa comodo così, perché senza
i soldi delle tv sarebbero in crisi. E i tifosi dovranno
rassegnarsi. Un problema anche per la Rai, e per le sue
trasmissioni della domenica, soprattutto quelle pomeridiane
(Stadio Sprint e Novantesimo Minuto). Antonio Marano, leghista
della prima ora, vicedirettore della Rai con molte deleghe
(fra cui i diritti tv) ha rilasciato un'intervista a la
Gazzetta che non è piaciuta solo a Malagò, che gli ha
replicato in maniera piccata, ma nemmeno ai giornalisti di Rai
Sport. Marano si è dimenticato, fra l'atro, di dire che
Novantesimo e la Domenica Sportiva, superando quasi sempre il
10 per cento di ascolto, sono il fioreall'occhiello
di una Rete, Rai 2, che è in piena crisi. Non solo:
Novantesimo e la Ds hanno ringiovanito il target medio della
Rai che è di 57-58 anni. Le due trasmissioni, affidate a
Franco Lauro e Paola Ferrari, hanno un target intorno ai 50
anni, e sono molto ambite anche dal punto di vista
pubblicitario. Ma questo, Marano non l'ha detto. La sua
intervista ha suscitato le ire dell'Esecutivo Usigrai e del
cdr di Rai Sport. Ecco il loro comunicato congiunto: "Come
stanno realmente le cose? Come le racconta il vice direttore
generale della Rai, Antonio Marano, o come le racconta il
presidente del Coni, Giovanni Malagò? Crediamo sia urgente
fare chiarezza, perché dal botta e risposta sulle pagine della
Gazzetta dello Sport, emerge l'immagine di una Rai priva di
una credibile politica di palinsesto ed editoriale sullo
sport. E questo l'Usigrai lo denuncia da tempo. Ma del resto,
il vice direttore generale Marano invece di fare autocritica
per questa e altre gravi lacune e inciampi, preferisce
scaricarne le responsabilità su presunti "privilegi" dei
giornalisti. Ma di quali privilegi parla?
Ricordiamo a Marano che è un alto
dirigente aziendale e quindi prima di criticare i suoi
dipendenti sui giornali, delegittimandone la professionalità,
farebbe bene a confrontarsi nei luoghi opportuni. Noi siamo
pronti a farlo: così si chiarirà se il problema dello Sport in
Rai sono i presunti privilegi dei giornalisti o le scelte
editoriali e di palinsesto". L'intervista, credo, non ha
giovato nemmeno al direttore di Rai Sport, Mauro Mazza, che ha
iniziato un piano di rilancio per il canale tematico (Rai
Sport 1 e 2), pur in un momento difficile. Ora vedremo se
Marano sarà in grado di riportare in Rai i diritti della
Champions... Per ora, intanto, si è scusato con Malagò il dg
Gubitosi.
Moviola in campo? Attenti a Blatter...
Il 1 marzo l'Ifab, custode delle regole
del calcio, parlerà di "moviola a bordocampo". E' la prima
volta che succede, l'International Board non aveva mai voluto
discutere di questo argomento. Nel 2006, Sepp Blatter
disse:"Se ne può parlare fra 50 anni". Ma si sa che lui cambia
idea in fretta, soprattutto quando deve difendere la sua
poltrona. Il prossimo anno ci sono le elezioni Fifa: Blatter,
classe '36, si ricandida per la quinta volta (è in carica dal
1998!) oppure mette un suo uomo di fiducia. Il pericolo per
lui è Michel Platini: non è affatto escluso quindi che il
dittatore svizzero studi qualche mossa a sorpresa. Ultimamente
ha parlato di espulsione a tempo, in caso di simulazione. Ha
introdotto la tecnologia per i gol-fantasma, chissà che non si
convinca ad aprire anche alla moviola in campo (che Platini
non vuole assolutamente) in cambio dei soldi delle tv. Attenti
a Blatter...
LO SPROFONDO
2
PUNTI IN CASA CON LE ULTIME IN CLASSIFICA,SETTE PUNTI IN MENO
RISPETTO AL DISASTROSO STRAMACCIONI,VOMITEVOLE SESTO POSTO CON
LA 4A IN CLASSIFICA A 7 PUNTI E CON IL FIATO SUL COLLO DI BEN
4 SQUADRE. UNA PERSEPOLI SPORTIVA CHE CI RIMANDA AI
RI-TARDELLI ED AGLI ORRICO DI MERDA.Nemmeno
un illusorio 3-1 come quello ottenuto lo scorso anno conStramaccioni,
nella prima sconfitta casalinga dei bianconeri allo Juventus
Stadium, avrebbe potuto oggi mutare i destini delle squadre.
Mai nella storia dei campionati con 3 punti a vittoria le due
squadre si erano incontrate con23
punti di distacco,
oggi diventati 26, e in campo questa differenza si è vista
tutta: nel gioco, nella corsa, nei duelli individuali, nella
voglia di giocare a calcio. E quando nella ripresa sotto di
tre gol Mazzarri fa entrare l’argentino Botta e Conte risponde
concedendo qualche minuto a Vucinic, oscuro oggetto del
desideri del mercato interista che per arrivare a lui sembrava
disposta a sacrificare Guarin, il suo miglior giocatore, ecco
che si capisce che il derby d’Italia oggi non è unasfida
ad armi pari.
A dare una mano alla Juventus, che prosegue nella sua media
punti record che la porterebbe oltre i cento punti, anche le
altre contendenti che a febbraio decidono di mostrare i loro
limiti, e aprire le loro piccole crisi.
Più che in crollo è un tracollo quello degli uomini di Benitez
a Bergamo. Complimenti all’Atalanta,
capace di sfruttare gli errori degli avversari, a partire
dalla papera di Reina sul primo dei due gol dell’ex Denis, ma
la figuraccia azzurra è imbarazzante. Va bene che Higuain,
Hamsik e Jorginho sono lasciati a riposo in vista della
semifinale di Coppa Italia di mercoledì, ma una squadra che
punta in alto non può giocare così male. Se dopo due punti in
tre partite è crisi – o fallimento di un progetto, come alcuni
già lo definiscono – lo si scoprirà presto: sabato sera alSan
Paoloarriva
ilMilanper
un match che può rilanciare entrambe le squadre. Dello stop
del Napoli non ne approfitta la Fiorentina, che nell’anticipo
del sabato regala al Cagliari la prima vittoria da due mesi.
Anche per il flop di Montella le responsabilità sono da
dividersi tra il turnover e una certa supponenza
nell’affrontare gli avversari.
Probabilmente lazona
Championsè
troppo lontana, ma il campionato di Verona e Torino (e del
Parma, ovviamente) meriterebbe davvero il premio della vetrina
europea. Gli scaligeri vincono con il suggello dell’anziano
Toni (decimo gol), e annichiliscono le speranze del
rivoluzionato Sassuolo, con il nuovo tecnico Malesani in
panchina e sette nuovi giocatori in campo. I granata con il
colpo del giovane Immobile rischiano invece di vincere aSan
Sirocon
il Milan, che trova il pari solo con la fortunosa sortita
offensiva del difensore Rami e non certo grazie a un gioco che
resta lento, macchinoso e prevedibile. L’infornata di
mezzepunte sembra il canto del cigno di un allenatore stanco e
incapace di adattarsi ai mutamenti del presente, piuttosto che
la fresca idea di un giovane tecnico cui è data la possibilità
di esprimere il proprio desiderio. ASeedorfè
concesso osare, inutile fingere di.
Chi invece senza troppi fronzoli per la testa sta tenendo una
media straordinaria èReja:
per il tecnico friulano, ancora imbattuto, sono undici punti
in cinque partite. La “minestra riscaldata” rientrata alla
Lazio per sostituire Petkovic, assiste in fase di mercato alla
partenza del suo miglior giocatore e non si perde d’animo: dà
fiducia al giovane talento Keita e ne viene ripagato con tre
punti che valgono il contro-sorpasso sul Milan. Rossoneri che
stasera potrebbero essere superati anche dalGenoa,
che ospita laSampdoriain
un derby che tutta la città voleva giocare di sera, o anche
nel tardo pomeriggio per non sovrapporsi alla fiera cittadina.
Ma oramai in Italia – vedi la farsa diRoma-Parma–
si dà per scontato che i calendari li debba fareSky.
VideoLe
immagini della partita della vergogna
FotoFalsi
infortuni-Esultanza
sugli spaltiLE
CONSEGUENZE SUL CAMPIONATO-
L'articolo 53 delle Norme Organizzative Interne Federali (Noif),
al comma 4 parla chiaro: "Qualora una società si ritiri dal
Campionato o da altra manifestazione ufficiale o ne venga
esclusa per qualsiasi ragione durante il girone di ritorno
tutte le gare ancora da disputare saranno considerate perdute
con il punteggio di 0-3 [...] in favore dell'altra società con
la quale avrebbe dovuto disputare la gara fissata in
calendario". Di conseguenza, i risultati ottenuti finora dalla
Nocerina sono considerati validi: da domenica prossima (in
calendario c'è Frosinone-Nocerina) invece scatterà quindi lo
0-3 a tavolino nei confronti dei campani. Ma c'è il rischio,
se il ricorso fosse accettato, che le partite potrebbero
essere in futuro recuperate in caso di ribaltone della
condanna. Insomma, il derby "farsa" rischia di stravolgere
ulteriormente la classifica.
Berlusconi e il Milan via da San Siro? Lo prescrive il nuovo
Codice etico del Comune
La bozza prevede che chi ha subìto condanne a più di due anni
o presenta motivi di ineleggibilità alle cariche pubbliche non
possa gestire strutture sportive comunali. Pisapia in cerca di
soluzioni. Dopo la diffusione della notizia, l'assessore allo
Sport rassicura i tifosi: "I rossoneri potranno continuare a
giocare al Meazza"
Se non fosse bastata l’esclusione dalSenato,
oraSilvio
Berlusconine
rischia un’altra: l’esclusione daSan
Siro, insieme a tutta la squadra rossonera. Già, il
Milan rischia di non poter più calpestare l’erba dello storico
stadio milanese. Per colpa del nuovo ‘Codice etico dello
sport’ chePalazzo
Marinosta
mettendo a punto. La bozza prevede infatti che chi ha subìtocondannea
più di due anni o presenta motivi diineleggibilitàalle
cariche pubbliche non possa gestire strutture sportive
comunali. Berlusconi? Colpito e affondato: è presidente
onorario delMilane
al processoMediasetè
stato condannato a quattro anni per frode fiscale. Il caso sta
suscitando un certo imbarazzo in comune.
Secondo ilCorriere
della sera, che riporta la notizia nelle pagine
locali, la bozza è stata per il momento fermata per sottoporla
a ulteriori valutazioni. Perché qui il rischio diincidenteè
grosso. E mezza città, quella di federossonera,
potrebbe giurare vendetta al sindacoGiuliano
Pisapia. Se il documento verrà approvato così com’è,
i rossoneri saranno costretti ad abbandonare Milano, e non per
farsi un nuovo stadio, come vorrebbeBarbara
Berlusconi, nell’area Expo o a Sesto San Giovanni
nelleex
aree Falck. Al codice stanno lavorando il presidente
della commissione AntimafiaDavid
Gentili, la presidente della commissione SportAnna
De Censi, entrambi del Pd, e l’avvocatoGuido
Pisapia, fratello di Giuliano. Il testo è nato con la
collaborazione delle associazioniTransparency
InternationaleAvviso
Pubblicoper
evitare le infiltrazioni criminali nelle società che
gestiscono strutture pubbliche e per valorizzare gli aspetti
sociali dello sport.
Le ipotesi al vaglio di Palazzo Marino sono due. La prima,
richiamando la legge 267 del 2000 del Testo unico deglienti
locali, escluderebbe dalla gestione di impianti
comunali chi ha condanne superiori a due anni. La seconda,
ancora più severa, andrebbe a colpire chi ha condanne anche di
primo grado o è statointerdettodai
pubblici uffici. IlCavaliere,
dunque, non avrebbe nessuno scampo. Certo, potrebbe dimettersi
dalla squadra che ha elevato sul tetto d’Italia e d’Europa.
Un bello smacco, però. Una soluzione potrebbe pertanto
arrivare dall’amministrazione comunale che, di certo, non gli
è politicamente amica. La scappatoia va trovata in fretta.
Magari – ipotizza il quotidiano divia
Solferino–
l’applicazione del codice etico verrà resa facoltativa anziché
obbligatoria, qualora la società sportiva ne motivi la mancata
applicazione in un atto formale. Il Milan continuerebbe così a
giocare a San Siro, col presidente a tifare dagli spalti. Ma
qualcuno potrebbe prendersela con Pisapia. E accusarlo di una
cosa: aver fatto inserire un bel comma ad personam.
Dopo la diffusione della notizia è intervenuto l’assessore
allo SportChiara
Bisconti, che in una nota rassicura tifosi e
dirigenza rossonera: “Il lavoro del consiglio comunale su
questa carta dei diritti e dei doveri dello sport è prezioso e
andrà avanti nelle prossime settimane. Ma questo non ha nulla
a che vedere con il diritto di una squadra gloriosa come il
Milan nell’avere San Siro come sua casa naturale, perlomeno
fino a quando lo stesso Milan non prenderà decisioni diverse”.
IL CROLLO ECONOMICO
Sembra vicina la rottura tra l'Inter e RCS Sport, la
concessionaria di pubblicità che fa capo al gruppo
Rizzoli-Corriere della Sera. Lo rivela il sito
calcioefinanza.it: tutto nascerebbe dai ricavi di Inter Brand
s.r.l, la controllata di Internazionale Holding attiva nel
settore merchandising e sponsorizzazioni, che nel 2013 ha
registrato un utile di circa 4,2 milioni che è stato inferiore
alle aspettative di budget perché penalizzato da due fattori,
ovvero "lo slittamento rispetto all’esercizio precedente
dei ricavi per la tournee post campionato di 2,7 milioni di
euro nell’esercizio successivo a quello di riferimento (quindi
2013-14, ndr) in quanto le amichevoli sono state svolte a
luglio e non nel mese di maggio come nel 2012".
L'attività di RCS Sport di vendita spazi promo-pubblicitari,
poi, ha fatto registrare un decremento del fatturato del 13%
circa rispetto alla stagione 2011-12. Si legge sul bilancio di
Internazionale Holding: "Nel secondo semestre della
stagione 2012-13 Inter Brand ha lavorato su una revisione
della strategia commerciale con particolare riferimento ai
ricavi da sponsorship e relativa analisi e benchmarking
internazionale valutando la possibilità di intraprendere un
percorso di internazionalizzazione di questa particolare zona
di ricavo. I due nuovi sponsor acquisiti per la stagione
2012-13, Trenitalia/Frecciarossa e Lete, infatti sono frutto
di contatti diretti del club e non di attività commerciale
riconducibile all’agenzia RCS Sport. L’attuale rapporto
contrattuale durerà fino al termine della stagione 2013-14 e
un eventuale cambiamento strategico di questa area di business
non potrà quindi avvenire prima della stagione 2014-15". Insomma,
esistono tutti i presupposti per la fine dell'accordo.
Cresce il volume degli affari dei maggiori club
calcistici, con le solite note Real Madrid e Barcellona a recitare la
parte del leone. Ma nella Football Money League del 2014, stilata come
di consueto da Deloitte, ci sono novità di rilievo che testimoniano la cavalcata di
club emergenti come il Paris Saint Germain. Quanto all'Italia, il
Milan bastonato in Coppa Italia scopre di essere dietro la Juventus in
una classifica che di recente l'aveva vista dominare tra i club
italiani.
Gli analisti di Deloitte mettono in fila le squadre misurando la loro
capacità di generare ricavi da "matchday", cioè legati allo stadio
durante i giorni delle partite, dal settore commerciale
(merchandising, sponsor e affini) e dalla vendita di diritti tv. Sono
dunque escluse le plusvalenze da mercato. Al primo posto, nella
stagione 2012/2013, si conferma il Real Madrid. Le merengues sono
rimaste a bocca asciutta con José Mourinho, ma guardano tutti
dall'alto di 518,9 milioni di euro di ricavi generati, in crescita
dell'1,2%. Alle loro spalle il Barcellona si conferma a 482,6 milioni,
ma il divario aumenta da 29,6 a 36,3 milioni.
Tolti i due club spagnoli, si registrano le vere novità, a cominciare
dal Bayern Monaco. Il club bavarese ha sfruttato la campagna
vittoriosa in Champions League, bissata con il successo domestico in
Bundesliga e addolcita dalla coppa di Lega. Così ha spinto ancor più
sui ricavi commerciali - settore nel quale è già forte - mettendo
insieme una crescita
del fatturato di 35,5 milioni. A ciò si aggiungono 25,6 milioni
aggiuntivi dai diritti televisivi, inclusi quelli Uefa legati alla
Champions, e così la squadra ora affidata a Pep Guardiola butta giù
dal podio il Manchester United: i bavaresi vincono contro i Red Devils
per 431,2 a 423,8 milioni. Secondo gli esperti, però, lo United già
quest'anno potrebbe rifarsi. Poco importa se il cammino in campionato,
dopo il passo indietro di sir Alex Ferguson, è tutt'altro che
esaltante: la nuova suddivisione dei diritti tv della Premier e
l'allargamento dei partner commerciali potrebbe consentire già nel
2013/2014 di recuperare la posizione perduta, se non addirittura di
insidiare il Barcellona.
Al quinto posto sale impetuoso il Paris Saint Germain. La corazzata di
Ibra & co. è la prima squadra francese a entrare nella top five di
Deloitte. Il Psg può contare su ricavi commerciali da 254,7 milioni,
un record assoluto per la storia della Football Money League. Ma si
tratta di una voce controversa, visto che il rapporto con il Qatar
(proprietario del club attraverso la Sports Investments) è molto denso
e ha già fatto storcere il naso ai puristi del fair play finanziario.
In sostanza, molti accordi commerciali (con assegni generosi) sono
riconducibili a società nell'orbita del Qatar, come la compagnia
Emirates, con tanto di dubbi sulla loro natura di trasferimenti da
parte della proprietà. Ciò detto, il Psg ha quadruplicato i ricavi dal
giugno del 2011 - quando è passato in mani emiratine - e ora ne vanta
ben 398,8 milioni.
Venendo all'Italia, la Juventus scala due posizioni e scalza il Milan
a guidare la truppa tricolore. Per la Vecchia Signora la stagione
2012/2013 si chiude con ricavi a 272,4 milioni, che valgono il nono
posto complessivo. La Juve ha potuto beneficiare dell'ultima campagna
Champions: la Uefa ha girato oltre 65 milioni a Torino, la maggior
fetta distribuita, perché le italiane a spartirsi il bottino sono
state solo due, appunto Juventus e Milan. I rossoneri restano
agganciati alla top ten della classifica, con 263,5 milioni al decimo
posto. Ma fa pensare il calo dei ricavi da stadio, legato al crollo
delle presenze a San Siro. Per di più, secondo Deloitte, nelle
prossime due edizioni della Football Money League il Milan potrebbe
uscire dalla top ten: finora è stato l'unico club italiano, insieme ad
altre tre squadre europee, ad entrarvi sempre. Scendendo in
graduatoria si trova l'Inter al 15esimo posto, con prospettive nere
qualora non si centrasse l'ingresso in Europa, mentre si rivede la
Roma al 19esimo posto.