Due giorni fa l'annuncio:
"Servono soldi, siamo con l'acqua alla gola" (leggi).
Ora parte l'offensiva
con mail bombing e pubblicità. Sul sito si possono fare
donazioni e divantare 'azionisti della libertà'SCANDALO EXPO2015:
Anticorruzione, Cantone
ancora solo
E l'inquisita Maltauro si riprende l'Expo
Nulla di fatto in cdm su poteri e membri dell'Autorità.
Maroni: "Ennesimo rinvio, chi mi dice che fare con
l'azienda accusata per mazzette?". Ma la risposta arriva
dall'interessata: "Continuiamo i lavori"
'Ndrangheta, 17 arresti tra Calabria
e Lombardia: "Sistema credito parallelo. Nel febbraio 2014 era
stata scoperchiata la Banca d'Italia della 'Ndrangheta a Seveso in
piena Brianza con 40 arresti...."
Le cosche erogavano denaro, a tassi usurari, a imprenditori in
difficoltà. Sotto scacco la cosca Condello-Imerti di Archi e
famiglie mafiose dei Pesce e Bellocco di Rosarno
Ndrangheta, arrestati 54 affiliati
a cosca Molè. Anche l'attore Sammarco
La Procura di Reggio Calabria li accusa di associazione
mafiosa, traffico di armi e stupefacenti, intestazione
fittizia di beni. Controllavano cliniche private e sale gioco
Camorra, boss Iovine collabora
con i pm
È il ministro dell'Economia dei Casalesi
Conosciuto come 'o
Ninno ha cominciato a ricostruire alla Dda di Napoli il
complesso delle attività e dei rapporti di Gomorra: dalla
gestione delle attività criminali, alle guerre fra clan e ai
rapporti con esponenti politici
Robinho
indagato per stupro di gruppo. Chiesto l’arresto per l’ex del
Milan
I fatti risalgono a gennaio 2013: una
diciottenne brasiliana ha denunciato l’aggressione. Il gip ha
negato la richiesta. Nel 2009, a Manchester, fu prosciolto
dall'accusa di violenza sessuale. Il calciatore è tornato in
Brasile

Chiesto l’arresto per l’ex attaccante del Milan
Robinho, ma il gip ha negato la richiesta. Il
calciatore brasiliano è accusato di stupro di gruppo.
A renderlo noto è il Corriere.it e i fatti risalgono
a gennaio 2013, quando una ragazza è riuscita ad incontrare
l’atleta nel ristorante dove lui si trovava con la moglie e
cinque amici. Quella sera Robinho ha accompagnato a casa la
consorte ed è tornato dagli amici dove era presente anche la
fan 18enne.
Secondo la ragazza, che ha denunciato il fatto sei mesi
dopo, la situazione è poi degenerata in una violenza
sessuale di gruppo. Sulla vicenda, percorsa da
qualche dubbio, ha indagato il pm milanese Stefano
Ammendola che a un anno e mezzo dai fatti ha chiesto
l’arresto di Robinho al gip Alessandra Simion,
che ha negato la misura: il calciatore, tornato in
Brasile, non può inquinare le prove e non ha
precedenti penali. Robinho fu arrestato per stupro nel 2009
quando giocava a Manchester e fu prosciolto.
Hammerfest 2014, a Milano da tutto il
mondo per il concerto neonazi
Cronaca
Il punto di
ritrovo dei nostalgici è il parcheggio della tangenziale
est, uscita 14 a Carugate. Sono attese mille persone che
trasformeranno il capoluogo lombardo in capitale europea
del "White power"
Il meeting point
è stato fissato nelle ultime ore: parcheggio della
tangenziale est, uscita 14 a Carugate,
hinterland a nord di Milano. Questo il
centro di raccolta dove oggi pomeriggio confluiranno
oltre mille persone da tutta Europa per
partecipare all’Hammerfest 2014, raduno
nazi-rock. Milano così si trasforma da città medaglia
d’oro della Resistenza a nuova capitale
del neonazismo europeo.
Il battage per
l’evento gira da settimane sui siti specializzati. Nella
zona di Linate sono già stati
prenotati tre alberghi. Il cappello
sull’organizzazione, come già nel 2013, lo mette la
Skinhouse di Bollate il cui volto
pseudo “istituzionale” è rappresentato dal movimento di
estrema destra Lealtà e Azione che ha
recentemente partecipato a un meeting organizzato ad
Atene dal movimento Alba Dorata.
Qualche coordinata per capire cosa andrà in scena oggi.
La Fratellanza Hammerskin è un
movimento a carattere internazionale che dichiara di
voler perseguire “lo stile di vita White Power”.
Molti i riferimenti soprattutto negli Stati
Uniti dove la Fratellanza viene fondata negli
anni Ottanta da fuoriusciti del Ku Klux Klan.
Tra le tante band che animeranno il festival ci sono i
tedeschi Lunikoff, la cui denominazione
originaria era Endlosung (“Soluzione finale”).
Il logo della band è composto da una L e da una spada,
chiaro riferimento alle insegne della divisione
SS Lutzow creata da Himmler.
Dall’Ungheria, invece, arrivano i Vérszerzodé
legati al circuito Rac (Rock Against Communism).
Il ritornello di uno dei loro brani recita: “Ein Volk,
ein Reich, ein Führer”. Stessa linea per i milanesi
Malnatt che cantano: “Sarò me stesso
finché ci sarò, / con il braccio teso ti saluterò! /Sono
della Resistenza bianca!”. Da Verona arrivano invece
I Gesta Bellica che dedicano un testo
al comandante delle SS Erich Priebke
chiamato il Capitano. Milano nera, dunque. Rock e
politica. Con la Questura che ieri ha diffidato i
partecipanti a compiere atti contrari alla legge
Mancino. Oggi si canta. Ma il lavoro è in prospettiva.
Obiettivo: 29 aprile 2015, quando correranno i 40 anni
dall’omicidio del giovane missino Sergio Ramelli,
ucciso nel 1975 da due ragazzi di sinistra.
La tensione è
alle stelle visto che il fronte opposto, quello
dell’autonomia diffusa, prepara disordini per il primo
maggio quando sarà inaugurato l’Expo 2015.
Intanto, per il corteo di Ramelli del 2013 la Procura di
Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per 16 persone.
Tutti sono accusati di aver violato la legge Scelba che
punisce “le manifestazioni usuali del disciolto partito
fascista”.
Il capoluogo
lombardo, dunque, si ripropone come cantiere dei nuovi
scontri sociali a livello nazionale. Sul fronte degli
Hammer, il movimento milanese da qualche tempo ha
trovato un leader. Si tratta di Mimmo Hammer in rapporti
con il presunto narcos montenegrino Milutin
Tiodorovic. Il suo nome (non iscritto nel
registro degli indagati) compare in una intercettazione
messa agli atti di un’inchiesta della Finanza che ha
fotografato i rapporti tra la ‘ndrangheta e la malavita
serba. Si allarga anche l’ala di CasaPound
gestita politicamente da Marco Clemente,
già candidato del Pdl alle Comunali del 2011 e
intercettato (ma non indagato) a colloquio con
personaggi legati ai clan.
Arrivano anche in
Italia i metallari di Cristo
Suonano il
rock più aggressivo e potente
che esista. Ma con testi
che lodano il Signore.
Nati tra i protestanti americani,
ora questi gruppi
si sono diffusi anche nel nostro Paese.
Da due anni i fan del genere si ritrovano d’estate in
Toscana, per un festival.
Tra loro, anche religiosi come
fra’ Metallo
e don Davide, tastierista dei Metatrone
l’anno
rock 1990 e a un concerto dei Metallica, mischiato fra i
giovani fan osannanti, c’era anche fra’ Cesare Bonizzi,
dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Frate Cesare era
andato per curiosità: voleva capire il perché del successo
dell’Heavy Metal fra i giovani. Già avvezzo a intonare le
lodi del Signore, aveva inciso qualche disco ed era noto
come “il PrediCantore”. Ma, illuminato dal concerto dei
Metallica, quel giorno decise di cambiare musica. Nacque
così un personaggio che farà parlare di sé nel mondo dell’Heavy
Metal italiano e non solo: Frate Metallo.
Facciamo un salto temporale e
arriviamo agli anni Duemila: Frate Metallo e la sua band
si esibiscono fra Milano e Bologna, al Gods of Metal, il
più importante festival internazionale di Heavy Metal in
Italia. Con lunga barba bianca e saio francescano, canta
sul palco inneggiando a Gesù attorniato da chitarre
elettriche che “sparano” a tutto volume, davanti a una
folla di ragazzi in abiti di pelle fetish e con le
borchie. Lui e la band vengono presentati come «cavalieri
templari». Le reazioni sono contrastanti. Un giornalista
dell’“International Herald Tribune” che assiste a un suo
concerto scrive: «Frate Metallo è una forza della natura»;
ma sulla Rete molti metallari “puri e duri” lo attaccano.
Frate Metallo è tutt’altro che un caso isolato. Il
musicista e pastore protestante Robert Beeman, noto
nell’ambiente metal americano come Pastor Bob, prima dei
concerti di Heavy Metal tiene sempre una predica ai suoi
fan cristiani. «Nelle Americhe e in Europa si è diffuso da
tempo un forte movimento di Christian Metal, composto da
band dichiaratamente cristiane che usano l’Heavy Metal per
diffondere la propria fede. Il Christian Metal nasce in
California con la band degli Stryper, si diffonde prima
nel mondo protestante e poi in quello cattolico ma ora
stanno nascendo anche gruppi Metal cristiano-ortodossi
nell’Europa dell’est. Si calcola che in tutto il mondo
oggi le band di Christian Metal siano già un migliaio».
Chi parla è Daniele Fuligno, coordinatore di WhiteMetal.it,
sito di riferimento del Movimento Christian Metal in
Italia. «Ci definiamo anche White Metal in opposizione a
quelle band di Black Metal che diffondono messaggi
anticristiani (o a volte antisemiti) legati all’occultismo
e al satanismo. Messaggi antireligiosi o di odio sociale
ci sono sempre stati nell’Heavy Metal e più in generale
nel rock, però è sbagliato identificare la nostra musica
con il satanismo: il Metal è un mosaico di culture
diverse, fra cui oggi c’è anche la fede cristiana. Basta
pensare che nei Paesi scandinavi ci sono chiese in cui si
suona l’Heavy Metal nella celebrazione dei matrimoni»,
conclude Fuligno.
White Metal contro Black Metal, Angeli contro Demoni,
croci contro simboli satanici: questa partita a scacchi
fra il Bene e il Male si svolge anche nei concerti rock
del nostro Paese, dove si moltiplicano le band di
Christian Metal. Fra le più attive, da nord a sud, ci sono
i Boarders e i Timesword in Lombardia, gli S91 e gli
Inside Mankind in Toscana, gli Ascer in Abruzzo, gli
Envyra in Basilicata, i Members of God in Campania, i
Doomenicus in Puglia, per finire con la Sicilia dove la
scena Christian Metal è particolarmente vivace con gli
Exultet, i Violet Sun, gli Hypersonic e soprattutto gli
ormai celebri Metathrone. C’è chi canta in italiano, chi
in inglese e chi in latino, ma tutti prendono molto sul
serio sia il proprio messaggio evangelizzatore sia il
proprio sound “metallico”.
Dal 2012 il Christian Metal italiano ha anche un festival
dedicato: il Rock for the King, sorto a Prato in Toscana
sul modello della più grande kermesse europea di Christian
Metal, l’ Elements of Rock che si tiene ogni anno in
Svizzera a Uster, vicino a Zurigo. «Rock for the King,
cioè rock per il Re Salvatore, Gesù», spiega Francesco
Romeggini, organizzatore del festival toscano. «L’edizione
del giugno 2014 è stata un bel successo sia in termini di
partecipazione di Christian Metal band sia in termini di
spirito ecumenico dell’evento. Nel movimento c’è
fratellanza tra chi è cattolico e chi, come me, è
protestante evangelico: e al termine del festival abbiamo
deposto le chitarre e pregato tutti insieme il Padre
Nostro». All’edizione 2013 di Rock for the King era
intervenuto anche Frate Metallo. Ma si è trattato di una
“scappatella”, perché nel 2009 il frate ha annunciato
pubblicamente di lasciare l’Heavy Metal per dedicarsi
soltanto alla preghiera. La vecchia passionaccia per il
Metal, tuttavia, dev’essersi rifatta viva, e l’ormai
anziano francescano si è concesso di tornare per un giorno
nei panni di Frate Metallo.
Oltre a essere organizzatore del festival di Prato,
Francesco Romeggini (web avatar: “Demonicida”) è anche
chitarrista degli S91, Metal band di Pistoia che deve il
suo nome al salmo 91 del Libro dei Salmi: «Egli per te
darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutte le tue
vie». Gli S91 stanno preparando il terzo album per il 2015
dopo il successo del precedente, “Volontà legata”, «che è
stato un disco di critica del fondamentalismo religioso,
ovvero di quei cristiani che indossano la propria identità
come un’uniforme, in modo formalistico e superficiale. Per
questo in “Volontà legata” cantiamo “butta l’uniforme!”»,
conclude Romeggini.
Un’ispirazione anti-fondamentalista che non sembra
appartenere a tutte le Christian Metal band. Per esempio i
catanesi Exultet hanno pubblicato un album, “At the Gates
of Christendom”, che invece esalta lo scontro di civiltà
fra Islam e Occidente cristiano; rievoca infatti la famosa
battaglia navale di Lepanto che vide opposti, nel 1571,
l’Impero Ottomano la Lega Santa europea. I titoli dei
brani degli Exultet sono eloquenti: “Invasione Turca”,
“Martirio Terrore e Morte”, “Guerra navale nel
Mediterraneo”. Cattolici come gli Exultet ma di
ispirazione diversa sono gli Inside Mankind, una
Progressive Metal band di Arezzo che nel 2015 pubblicherà
il nuovo album “Oikoumene”, cioè “la Terra dei viventi”.
Dice il batterista Matteo Bidini: «Qualsiasi membro di una
Christian Metal band ha dovuto affrontare un doppio
pregiudizio: quello di certi cristiani contro l’Heavy
Metal e quello di molti metallari contro il cristianesimo.
In Toscana ci è capitato di non poterci esibire in alcuni
locali quando hanno saputo che siamo una band cristiana.
Ma il Metal è una musica potente, adatta a un messaggio
potente come quello di Cristo, perciò io raccolgo la sfida
e rimango me stesso: da catechista educo i bambini alla
fede e da metallaro suono vestito con le borchie».
Il “doppio pregiudizio” citato da Bidini potrebbe essere
ancor più duro da superare se sei anche un sacerdote.
«Eppure la mia esperienza è meravigliosa», dice don Davide
Bruno, tastierista e voce dei siciliani Metatrone.
«Metallaro fin da ragazzo, quando sono entrato in
seminario mi hanno detto di restare me stesso», racconta
don Davide.«E anche il mio vescovo ha capito: le nostre
canzoni sono omelie musicali.
Così non soltanto ho potuto continuare a suonare con i
Metathrone ma il seminario ha anche finanziato al 50 per
cento il nostro primo album, “La mano potente”, che
naturalmente è la mano di Dio». Ma i suoi parrocchiani,
don Davide, che ne pensano? «Una volta una madre mi ha
inviato il figlio sedicenne, fan dell’Heavy Metal,
preoccupata che diventasse un satanista. Io gli ho detto:
quali band ascolti figliolo? Parliamone, sono un metallaro
anch’io. Il ragazzo è uscito entusiasta e nient’affatto
satanista», ride don Davide. E conclude: «Mi resta una
curiosità. Quando il cardinale Bagnasco ha ricevuto il
nostro cd, gli sarà piaciuto il Metal?»
Fenomenologia della donna Sentinella
Tutta chiesa, smalto e tacchi a spillo
Costanza Miriano, autrice di
'Sposati e sii sottomessa', è il prototipo femminile delle
Sentinelle in piedi: contraria agli asili nido,
all'eutanasia, alla fecondazione assistita, considera le
esponenti della protesta "madri colte che tengono al
proprio aspetto. "Non sono omofoba ma a scuola si deve
insegnare a leggere, non l'ideologia gender"
libri sono tra i
più letti dalle
Sentinelle in Piedi . Lei stessa è scesa più volte in
piazza con questo movimento ultra-cattolico che si oppone
alla legge anti-omofobia, il cosiddetto ddl Scalfarotto.
Si può dire che con le sue idee Costanza Miriano
sia un po' la Donna-Sentinella, un prototipo di moglie e
mamma orgogliosamente tradizionalista, come lasciano
intuire i titoli dei suoi libri, dal primo e più famoso,
«Sposati e sii sottomessa», del 2011 -
che le è costato una denuncia in Spagna - fino al recente
«Obbedire è meglio».
Costanza precisa di non parlare a nome delle Sentinelle,
che in effetti non parlano proprio (si limitano a scendere
in piazza in silenzio, immobili, leggendo in piedi un
libro, in difesa «della famiglia naturale fondata
sull’unione tra uomo e donna»). Il legame tra loro però è
profondo. È amica stretta del loro idolo Mario
Adinolfi, e la giovane portavoce nazionale del
movimento, Raffaella Frullone, fa parte
del ristretto team che cura il suo blog,
costanzamiriano.com
.

Ma chi è Costanza
Miriano? Perugina, 44 anni, giornalista passata dal Tg3 a
Rai Vaticano, madre di quattro figli. A una recente tavola
rotonda organizzata dal cardinale conservatore Gerhard
Ludwig Müller è arrivata in ritardo, giustificandosi col
fatto che doveva portare i figli a danza e tennis e
preparare la cena. Anche noi però non siamo da meno del
cardinale, anche al nostro appuntamento telefonico
Costanza esordisce dicendo: «Uh! Lo sapevo che mi stavo
dimenticando qualcosa! L'intervista con “l'Espresso”!
Scusa ma sono a scuola a un colloquio per genitori,
possiamo risentirci tra un'ora?».
Un'ora e mezza
dopo, Costanza è pronta. Ha fatto spesso discutere per la
sua idea di donna “sottomessa”, che si prenda cura
dell'uomo e sia al suo servizio, una teoria che ci spiega
così: «È ovvio che credo nella pari dignità di uomo e
donna. Il punto è che l'essere umano, come ci insegna la
Chiesa, non è perfettamente funzionante, ha un bug, c'è in
lui il germe del male e della tentazione. E se la
tentazione dell'uomo è l'egoismo, quello della donna è il
controllo, la manipolazione dell'altro, una forma di
violenza che viene da quella che è invece la sua grande
virtù, saper custodire e educare una vita. L'uomo sposa la
donna sperando che non cambi, la donna sposa l'uomo
sperando di cambiarlo».
Nel concreto quotidiano, Costanza dice di non essere per
nulla interessata «a chi lava i piatti», e nemmeno alle
quote rosa. Non tanto perché pensa che «il lavoro
femminile, in sé, non è una conquista, soprattutto per chi
ha impieghi noiosi e faticosi», quanto perché l'aspetto
più importante sta per lei nell'incapacità del sistema di
aiutare le lavoratrici a stare a casa con i propri figli,
che per lei sono una passione sfrenata, visto che confessa
di aver allattato anche fino al secondo e terzo anno:
«L'asilo nido è una violenza sui bambini, è illogico
mettere nelle mani di un estraneo un bambino di 4 mesi.
Sono per un congedo di maternità che duri tre anni e che
magari la donna restituisca al sistema quando è il momento
di andare in pensione. I bambini muoiono se la mamma non
va alle loro recite. Il dramma per me è essere
perennemente stanche, io ho fatto 4 figli in 7 anni e
confesso di essermi addormentata ovunque, al bar, alle
conferenze stampa, persino durante la messa».
vedi anche:
Sono gruppi
informali che si ritrovano per protestare contro il
progetto di legge anti omofobia. Spaventati e contrari
all’adozione da parte di coppie omosessuali, fecondazione
eterologa e unioni civili scendono in piazza per difendere
la famiglia tradizionale. Apartitici sì, ma spunta la
Nuova Destra
Ma Costanza Miriano non è solo contraria agli asili nido.
È contraria all'eutanasia. Alla fecondazione assistita.
Alla pillola. Pure al cognome materno per i figli.
Sull'aborto dice che capisce il dramma di tante donne,
«che magari sono state violentate, o hanno tradito il
marito, o hanno già sei figli», ma è «comunque l'uccisione
di un essere umano», e la legge 194 per alcune è diventato
«un metodo contraccettivo». Sul “Foglio”, l'ultima volta
che ha dialogato con il suo amico Camillo Langone,
l'intellettuale che una volta ha detto «togliete i libri
alle donne e torneranno a fare figli», è stato sui metodi
contraccettivi naturali come alternativa al preservativo e
alla pillola (la quale pillola, dice, deprimerebbe e
rendere lamentose le donne).
Costanza ritiene inoltre che la rivoluzione sessuale abbia
fregato le donne: «Il poliamore professato da Jacques
Attali è ridicolo, la promiscuità sessuale ci ha solo resi
più infelici, perché tutti tendiamo in realtà a relazioni
esclusive». Infine invita a riscoprire il valore
dell'obbedienza («in un'epoca in cui il mantra è quello di
fidarsi solo di sé e del proprio istinto») ed è felice che
papa Francesco, pur con uno stile diverso da Benedetto XVI,
abbia «tenuto duro sulla dottrina, ribadendo il diritto
dei bambini a un padre e una madre».
E che cosa pensa, dunque, delle Sentinelle? «Sono una
realtà di grandissima civiltà, con cui dovrebbero stare
tutti quelli che hanno a cuore la libertà di opinione,
minacciata dal ddl Scalfarotto (un'accusa sempre
decisamente respinta dal deputato del Pd Ivan Scalfarotto,
ndr). Noi Sentinelle non siamo omofobe. Crediamo
che gli omosessuali non abbiano bisogno di una legge
speciale che li tuteli, anche Pasolini sarebbe stato
d'accordo, così come avrebbe contestato il diritto alle
adozioni, che sono l'obiettivo ultimo di queste leggi.
L'Italia è già uno dei Paesi più gay-friendly del mondo, e
gli adolescenti omosessuali non sono discriminati in
quanto tali, ma perché si sa che a quell'età si colpisce
sempre il diverso, che sia grasso o altro».
Non sarà omofoba, Costanza Miriano, però certo non vuole
rendere più facile la vita dei gay. È contro il
riconoscimento delle unioni di fatto («Se qualcuno vuole
lasciare la casa al proprio compagno basta che vada da un
notaio»). Ha difeso Putin e «le sue leggi contro la
propaganda omosessualista nelle scuole, che sono purtroppo
delle direttive dell'Organizzazione Mondiale della Sanità,
ma in classe si deve insegnare a leggere e scrivere, non
l'ideologia gender, che ormai è mainstream in Occidente».
Dice che sugli omosessuali non si può più fare nemmeno una
battuta, «perché c'è la GayStapo pronta a saltarti
addosso».
Nel suo lungo percorso, è felice di aver incrociato Mario
Adinolfi, amatissimo dalle Sentinelle, autore di «Voglio
la mamma» e fondatore del quotidiano “La Croce”, di cui
Costanza sarà collaboratrice: «La nostra è una bellissima
amicizia. Mario viene da una storia diversissima dalla
mia, ma questo significa che non bisogna essere per forza
credenti per essere ad esempio contro l'utero in affitto,
un tema su cui una volta anche Miriam Mafai ha scritto su
“Repubblica” parole illuminanti, ma che ora lascia
indifferenti le femministe, insensibili a questo
sfruttamento del corpo femminile. Con Mario, padre
Maurizio Botta e lo psicoterapeuta Marco Scicchitano
organizziamo degli incontri contro “i falsi miti di
progresso”».
Le chiediamo se non ci sia il rischio che la loro
protesta, per quanto “silenziosa”, possa essere
strumentalizzata dall'estrema destra, e lei risponde così:
«Sì, c'è questo rischio, ma non succederà, le Sentinelle
sono attentissime alla comunicazione».
Le ultime parole sono per le donne-Sentinelle: «Lasciamelo
dire, sono donne con gli attributi. Madri colte e
informate, che tengono a sé e al proprio aspetto. Non sono
solo cattoliche da parrocchia, hanno smalto e tacco a
spillo, non dipingeteci come le solite bigotte. Lo si vede
anche dai libri che portano in piazza e leggono in
silenzio, non ci sono solo Bibbie e San Paolo». Lei, per
esempio, che libro ha portato, quando ha “sentinellato”?
«Una delle mie ultime passioni, i fumetti di Zerocalcare».
Eppure una volta Zerocalcare ha scritto su Twitter: «Al
netto delle contraddizioni che possono dividerci circa il
McDonald's, è scontato per tutti che le Sentinelle in
piedi per me so' il male, ve'?». Costanza ne è
consapevole, ma non ci sta: «Ho una gran voglia di
incontrarlo e dirgliene quattro, a Zerocalcare. Non ha
capito chi siamo».
Gang bang, il racconto:
“Noi, sei donne con trenta uomini pagate 100 euro a testa”
Ilfattoquotidiano.it incontra una ragazza che partecipa ad
eventi erotici in provincia di Milano. Una storia di
"gioco scelto per piacere", ma anche di sfruttamento e
pressioni psicologiche

“Alcuni organizzatori di gang
ti trattano peggio di una puttana da strada. Mi è capitata
due anni fa una serata di questi eventi qua… eravamo 6
donne e 30 cristiani, e ci hanno dato 100 a testa. Secondo
te è normale? E in più pretendevano che facevi di tutto,
dicevano ‘devi fare questo, questo e questo’”. Quello che
racconta a
ilfattoquotidiano.it una delle tante protagoniste
femminili delle gang bang milanesi è una storia di “gioco
scelto per piacere” ma anche di sfruttamento
e pressioni psicologiche. “Se ti
lamenti ti rispondono che tanto ce n’è un’altra pronta a
prendere il tuo posto. È successo che si è rotto il
preservativo a una mia amica e
l’organizzatore l’ha trattata come un animale. Io questi
li ho mandati affanculo”.
Incontriamo Diana (nome di
fantasia), sui 35 anni, in un locale in periferia. “Si
inizia per trasgredire”, spiega, precisando che fa questa
vita ormai da “qualche anno”. Un’ironia che tradisce
l’imbarazzo di raccontarsi e di svelare i meccanismi che
regolano il mondo dei festini a
luci rosse. Il racconto della
protagonista nasconde una valutazione pesante. È lei
stessa a bollare alcuni degli organizzatori di gang come
dei veri e propri sfruttatori.
Ma come
funziona una gang bang?
Innanzitutto serve una location
adatta, e poi clienti,
soldi e soprattutto donne
disposte a stare per ore al centro di un lungo e
complesso gioco erotico. Una
complessità gestita da alcuni organizzatori che, tramite
annunci online, profili facebook o
twitter, veicolano
date e orari degli
incontri, scendendo nei dettagli con i nomi delle
protagoniste, corredati di foto e menù di “specialità”
sessuali. Tutte informazioni inserite su vere e proprie
locandine digitali, come se si
trattasse di un evento qualsiasi.
A
Milano e in Lombardia
sono almeno quattro i guru del settore, tutti facilmente
rintracciabili su Internet. Hanno
una rete di clienti affezionati in continua espansione, si
accordano con proprietari di location private (dalle
ville agli appartamenti,
ma spesso si tratta di night club)
e cercano di reperire donne adatte al gioco, concordando
prezzi e prestazioni.
Di solito
non si tratta di vere e proprie professioniste del
sesso a pagamento. Sono donne che
nella vita svolgono un’altra attività e scelgono di
arrotondare partecipando al gioco erotico
in cambio di “gettoni di presenza” più o meno generosi.
Non c’è un tariffario standard. “Dipende da come va
l’evento di quel giorno, quante persone vengono e quante
donne siamo”. In alcuni casi per un pomeriggio di sesso in
compagnia di decine di uomini le performer si portano a
casa un migliaio di euro. Ma le cose non vanno sempre
così. “È capitato che mi pagassero anche poco,
pochissimo”.
Vendesi
castello di Vigoleno
Borgo fortificato dai
Visconti-Sforza a presidio della via Emilia che da sud portava
entro i territori del Ducato di Milano. Il complesso infatti era
situato proprio sul confine con i territori rivendicati dallo
Stato della Chiesa secondo la mendace Donazione di Costantino.
All'indomani delle guerre cinquecentesche franco-asburgiche, il
territorio del piacentino venne inglobato con Parma dal papa
Farnese che lo donò al figlio che ne fece Ducato autonomo ed
indipendente fino al tracollo ed all'annessione al Regno di
Sardegna all'indomani della Seconda Guerra d'Indipendenza, 1859.
Immobile di prestigio, tremila metri quadri, trattativa
strettamente riservata. E' in vendita niente meno che il
castello di Vigoleno, imponente complesso fortificato
della provincia di Piacenza sul confine con quella di Parma, nel
comune di Vernasca. Un esempio di borgo fortificato medievale di
particolare bellezza.
Nel 1922 - ricorda l'annuncio - la principessa Ruspoli Gramont
lo fece restaurare e ne fece sede di incontri mondani, passarono
tra le sue mura Gabriele D'Annunzio, Max Ernst, Alexandre
lacovleff, Jean Cocteau, la diva del cinema Mary Pickford, la
scrittrice Elsa Maxwell, il pianista Arthur Rubinstein. Nei
primi anni'80 fu teatro di parte delle riprese del film Lady
Hawke di Richard Donner con Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer.
Vittime del nazismo, la Consulta:
possibili risarcimenti a carico della Germania

Sentenza cancella
tutte le norme del nostro ordinamento che garantivano immunità.
"Non si applica a casi di crimini di guerra o contro l'umanità"
Dalla Consulta arriva una picconata
a quelle norme italiane che impedivano alle vittime delle stragi
naziste di chiedere risarcimenti a paesi stranieri, ovvero alla
Germania. La decisione della Suprema Corte sancisce che i
giudici sono competenti sulle istanze di risarcimento perché "il
principio dell'immunità degli Stati dalla giurisdizione civile
degli altri Stati, generalmente riconosciuto nel diritto
internazionale, non opera nel nostro ordinamento, qualora
riguardi comportamenti illegittimi di uno Stato qualificabili e
qualificati come crimini di guerra e contro l'umanità, lesivi di
diritti inviolabili della persona e garantiti dalla
Costituzione".
La Consulta, dunque, nel corso della camera di consiglio di oggi
ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme che
impediscono al giudice italiano di accertare l'eventuale
responsabilità civile di un altro Stato per "tali gravissime
violazioni - si legge nella nota della Corte - commesse nel
territorio nazionale a danno di cittadini italiani".
Tali norme, secondo i 'giudici delle leggi', violano i principi
dettati dalla Costituzione con gli articoli 2 (diritti
inviolabili dell'uomo) e 24 (diritto di agire in giudizio per la
tutela dei propri interessi), perché "impediscono l'accertamento
giudiziale" di eventuali responsabilità civili di uno Stato per
violazioni così gravi, nonché del "eventuale diritto al
risarcimento dei danni subiti dalle vittime.
La questione dei risarcimenti chiesti alla Germania dalle
vittime del nazismo era stata trattata in udienza pubblica il 23
settembre scorso, ma la decisione è giunta soltanto oggi. Il
caso era stato sollevato con tre distinte ordinanze dal
tribunale di Firenze, che aveva espresso dubbi di legittimità
delle norme con le quali si negava la giurisdizione del giudice
italiano sulle istanze risarcitorie avanzate nei confronti della
Repubblica federale tedesca.
La questione dei risarcimento sembrava essere ormai chiusa dopo
la pronuncia con cui la Corte internazionale dell'Aja che, nel
2012, aveva stabilito la carenza di giurisdizione del giudice
italiano. Precedenti sentenze della Cassazione, invece, avevano
riconosciutoad alcuni familiari di vittime del nazismo il
diritto ad essere risarciti dallo Stato tedesco.
I processi da cui è scaturito l'invio degli atti alla Consulta
riguardano istanze risarcitorie avanzate da italiani che vennero
deportati in campi di concentramento in Germania.
Sotto il lago di Villa Torlonia. A Villa Ada. E a casa
della Petacci. Ecco dove si nascondevano il Duce, il re e i
vip

Ruby, Maristhell Polanco e le altre
olgettine: che fine hanno fatto le ragazze delle "cene
eleganti" di Silvio Berlusconi? (FOTO)

Ce ne siamo dimenticati eppure non era molto tempo fa che le
cronache italiane erano piene delle loro foto e delle loro
dichirazioni sulle feste di Arcore, le "cene eleganti" dell'ex
Cavaliere Silvio Berlusconi. Chi sono? Le olgettine (dal nome
del residence in cui albergavano), escort, ragazze del bunga
bunga. Una di loro, la romena Ioana Visan, coniò un'altra
formula: "Il clan delle belle gnocche". Modi diversi per dire
la stessa cosa che ora il Tribunale dice con linguaggio assai
più crudo e crudele: prostitute.
Il
Messaggero le ha cercate e raccontato la loro storia.
Tutta la storia. Dalle notti di Arcore alla vita di tutti
i giorni, tra eufemismi e realtà.
I festini erano cene eleganti. I
palpeggiamenti gare di burlesque. E poiché parlare
esplicitamente di euro risultava poco dignitoso, le
frequentatrici del villone prediligevano una definizione
più chic: "Silvio ha chiesto ad Aris di fermarsi per la
notte e le ha dato novemila flowers". Pare quasi una
citazione di De Andrè: dal letame nascono i fiori. E
comunque: se le prostitute fanno sesso per i soldi, le
olgettine facevano sesso per i flowers. Suona meglio,
no? Aris Espinosa, quella dei novemila per una notte,
adesso è senza lavoro. Aveva ricevuto in dono un bel
contratto con Mediaset. Avviluppata in abiti leggeri
danzava e sorrideva dagli schermi tv in trasmissioni di
intrattenimento. Tutto finito. Contratto non rinnovato,
marpioni del jet set che non le rispondono più al
telefono, agenzie di modelle che le chiudono la porta in
faccia. Anche i duemila mensili che, finite le feste,
Berlusconi le passava a mo' di risarcimento non arrivano
più: "Andrò all'estero".
Destino comune a quello di tante
altre, il suo. A riprova del fatto che il risvolto più
triste e compassionevole delle notti di Arcore sta
proprio nelle biografie delle fanciulle che le
allietavano. Le quali, comprensibilmente, hanno sempre
rifiutato l'epiteto di prostitute. Per loro quella non
era una professione, ma soltanto il primo passo
necessario per poi finire sotto i riflettori della tv,
approdare nel mondo dello show business, entrare nel
giro delle copertine dei rotocalchi e delle cene coi
calciatori.
Di Minetti, però, ce ne sono poche.
Molte altre non hanno retto alla botta dei processi che
le ha disorientate, destabilizzate, messo a nudo le loro
fragilità. Le gemelle De Vivo, per esempio, dopo aver
campato grazie ai paterni bonifici di Silvio, son dovute
tornare a Napoli dove faticano a sbarcare il lunario.
Così sostengono. Cinzia Molena era riuscita a mettere il
naso in qualche serie tv, ma dopo alcune puntate di
Centovetrine "non mi ha più cercata nessuno". Roberta
Bonasia, ex infermiera a Nichelino, ebbe persino l'onore
di essere spacciata a un certo punto per la fidanzatina
segreta del Cavaliere. Tutta colpa di un colloquio
(intercettato) fra Mora e Fede: "Silvio è presissimo.
Lei ha preso possesso di tutto, pretende tutto...". Ora
invece va avanti "grazie all'aiuto che mi danno i miei
genitori" e c'è da immaginare con quanto rimpianto
assista all'irresistibile ascesa di Francesca Pascale.
Qualcuna, intuendo in tempo utile
che i tempi delle vacche grasse si stavano esaurendo,
ha riposto le ambizioni da star puntanto a di
sistemarsi con qualche aitante sportivo dal
portafoglio pieno, un Balotelli o cose così.
Maristhell Polanco s'è dovuta accontentare di un
giocatore di basket ticinese da cui ha avuto due
figli. Barbara Faggioli è andata oltreoceano dove è
stata pizzicata con Danilo Gallinari, un altro che
vive dignitosamente grazie alla pallacanestro.
Infine c'è Ruby Rubacuori, la causa
di tutto. Si dice che si sia sistemata per la vita
grazie a una sorta di vitalizio di cui beneficerebbe in
virtù del suo silenzio. S'è sposata, ha avuto un
bambino, veste in modo castigato e sparge lacrime
lamentose sostenendo di far perfino fatica a trovare un
posto di cameriera. Ma nessuna delle sue ex colleghe le
crede.
Canone Rai legato
alla bolletta elettrica. Costerà meno (60 euro in media), ma lo paga
anche chi ha un pc o un tablet
La
riforma del Canone Rai è pronta. Il Messaggero scrive oggi che
Matteo Renzi ha dato il suo via libera alla rivoluzione per
l’imposta, che verrà legata alla bolletta della luce con l’obiettivo
di garantire all’azienda di viale Mazzini un gettito di 1,8 miliardi
di euro l’anno. Più o meno quanti ne incassa oggi la Rai, ma
allargando la platea.
Non si pagheranno più i 113,50 euro, ma si chiederà un importo
inferiore. Resteranno le fasce di esenzione e i bonus per i meno
abbienti, ma tutti gli altri pagheranno una cifra che viene
stimata dai 35 a 80 euro in base agli indicatori Isee. In media,
il Canone Rai costerà 60 euro agli italiani.
Renzi ha ricevuto
il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, e
ha approvato l’idea di legare il Canone Rai alla bolletta elettrica.
Per non pagare la tassa diventa compito dell’utente dimostrare di
non possedere una tv o anche qualsiasi device con cui raggiungere i
programmi del servizio pubblico – tablet, iPad, smartphone, pc.
Nell’Italia di oggi, pochissimi saranno esclusi dall’imposta.
Spetta ora al Tesoro e a Palazzo
Chigi decidere quale sarà lo strumento normativo, se presentare un
emendamento alla Legge di Stabilità oppure varare un decreto ad hoc.
Lo stato delle casse Rai richiede di non esitare.
L’evasione del Canone Rai è stimata in 450 milioni di euro e un
ulteriore rinvio sarebbe deleterio. Per questo Giacomelli confida di
portare a casa l’operazione entro l’anno, ma dovrà superare i dubbi
dell’Authority per l’Energia – che già ha definito un “uso
improprio” quello del Canone in bolletta e ha sollevato perplessità
legate alla privacy.
Il nuovo supertreno Londra-Parigi. Sfreccia a 320
all'ora
Ecco il nuovo Eurostar E320. Il primo dei futuri
convogli che viaggiano sulla Londra-Parigi (e sulla
Londra-Bruxelles), in altre parole sotto la Manica, è
stato oggi presentato alla stazione di St. Pancras, il
capolinea londinese della tratta. Più veloci dei
precedenti (320 all'ora contro 300, da cui il nome),
ospitano 900 passeggeri. Sono prodotti dalla tedesca
Siemens. Eurostar, la compagnia che gestisce il servizio
attraverso il "Chunnel", ne ha ordinati 17 per un totale
dell'ordine dei 700 milioni di euro. Entreranno in
servizio a cominciare da fine 2015 e, data la loro
adattabilità all'intera rete europea, cominceranno a
viaggiare anche su altre tratte, collegando direttamente
Londra a città come Amsterdam o Marsiglia
Gomorra tv,
produzione rinuncia al processo su racket. Cast: ‘Non
chiedete a noi’
“Perché ci
fate queste domande? Chiedete a qualcun altro”.
Cattleya, casa produttrice della serie tv
Gomorra e vittima di racket da parte
del clan camorrista Gallo, non si è
costituita parte civile nel processo
per estorsione in corso a Napoli. Sul
banco degli imputati, il boss Francesco Gallo
e i suoi genitori. Due attori di punta del cast,
Marco D’Amore (alias Ciro Di Marzio) e
Marco Palvetti (alias Salvatore Conte), non
intendono commentare e si limitano a ribadire la
“specchiata onestà e buona fede della casa di
produzione”. All’incontro per il lancio del dvd e blue
ray della premiata serie televisiva, alla libreria
Feltrinelli a Milano, si dicono
tranquilli perché sanno bene con chi hanno lavorato.
Eppure, tre manager dell’azienda sono indagati
per favoreggiamento. E nelle intercettazioni degli
inquirenti, lo sceneggiatore Pasquale Meduri
si augura che l’affitto di “villa Savastano”, al centro
dell’inchiesta, finisca nelle mani del boss Francesco
Gallo anziché dello Stato. “Quest’affermazione non l’ho
letta, non so se rispecchi la realtà”, è la risposta di
D’Amore di Stefano De Agostini
Marco Baldini, l’addio a Fiorello. E l’ipocrisia
italiana sul gioco d’azzardo
Il caso del conduttore dice tutto
sulla sciagurata regolamentazione del nostro paese.
Mentre i Casinò sono vietati, le liberalizzazioni delle
sale slot incoraggiano la dipendenza. Lobby e mafie
ringraziano
Quella di
Marco Baldini che lascia la trasmissione
Fuoriprogramma su RadioUno perché (parole sue) “non
sono più in grado di garantire un buon livello di
professionalità”, è una storia senza tempo, perché
dietro la laconica dichiarazione dello storico compagno
di cazzeggio di Fiorello, si nasconde
un segreto di pulcinella: i debiti
legati al gioco d’azzardo, che da troppo tempo segnano
la vita del conduttore toscano: “I miei problemi
personali non mi consentono più di essere affidabile.
Faccio un passo indietro per rispetto”.
In effetti, non si
vede come possa essere affidabile una persona che in una
recente intervista
(rilasciata ad Alessandro Ferrucci sul Fatto Quotidiano)
aveva dichiarato di non avere una fissa dimora,
di accettare qualsiasi tipo di lavoro, di non essersi
mai davvero liberato della ludopatia
pur avendo pagato debiti per quattro milioni di
euro. È una storia senza tempo quella del
giocatore compulsivo che vede la posta sul piatto
crescere sempre più, fino a diventare la sua stessa
vita, e arriva a scommettere sulla sua salvezza.
Una, due, tre, troppe volte. Questo vortice di
autodistruzione inconscio eppure scientifico l’hanno
raccontato Dostoevskij, Landolfi, Zweig,
Schnitzler; e nel 2005 l’ha raccontato pure
Baldini nel libro autobiografico Il giocatore.
La folgorante carriera
a Radio Deejay fino all’allontanamento
dalla conduzione da Claudio Cecchetto,
a causa dei debiti milionari a forza di
scommesse ippiche e partite a carte. I prestiti
dai cravattari, gli amici che spariscono uno a uno,
anche per non perdere altri soldi, gli avvertimenti e le
minacce di morte. Ma anche la risalita,
l’amore e l’amicizia che curano, la promessa solenne di
avere chiuso per sempre. Fino alla prossima
ricaduta. E che stavolta la caduta sia pesante
lo prova l’annuncio di voler sparire. Nessun
demone è tanto solitario quanto quello del
gioco, la prima ossessione del giocatore compulsivo è
poter giocare lontano da tutto e da tutti. E dire che
Baldini sarebbe un uomo fortunato, se solo non giocasse.
La sorte gli ha regalato una moglie che lui ama
ancora, e che però ha deciso di lasciare “per non
rovinarle la vita”. Ha incontrato anche un amico come
Fiorello che gli è rimasto
sempre accanto e più di una volta gli ha
permesso di rialzarsi; ora ha deciso di lasciare
anche lui.
Quella di Marco
Baldini è una storia senza tempo, ma
anche molto attuale e molto italiana, che ci dice
parecchio sul Paese più ipocrita al mondo
nella sciagurata regolamentazione dell’azzardo.
Proibizionismo assoluto fino a non molti anni fa, dunque
tutto saldamente in mano alla malavita.
Dalla sala corse alla scommessa clandestina è un attimo;
da qui alla bisca, un altro attimo. A volte il
bookmaker e lo strozzino sono la stessa
persona. Oppure, come nel caso di Baldini, l’“amico” che
ti ha prestato 30 mila euro e li rivuole è
Giuseppe De Tomasi detto Sergione, ex uomo
della banda della Magliana.
Poi lo Stato ha
cominciato a liberalizzare, e la
situazione è ancora peggiorata. Sale scommesse, slot
machine e casino online come se piovesse,
ma anche la tabaccheria sotto casa. Giochi non
proibiti, il libro inchiesta di Antonella
Beccaria ed Emiliano Liuzzi, è
una disamina impressionante non solo di quanto il giro
d’affari legato al gioco sia aumentato in modo
esponenziale, ma soprattutto di come queste
liberalizzazioni siano andate di pari passo con le
strategie delle lobby e le infiltrazioni della
criminalità (che peraltro era già in pole
position).
Morale: in nessun
paese come in Italia ci si straccia le vesti sulle
patologie, ma i realtà si fa tutto il possibile
per aumentarle. Restano vietati i Casinò veri,
unici luoghi in cui ovunque il gioco è legalmente
consentito, ma anche controllato. In compenso, tutto il
resto è permesso; anzi, incoraggiato.
Il risultato è che se quattro vecchietti si giocano il
bianchino al bar c’è il rischio che arrivino i
carabinieri; però ci si può giocare le mutande sullo
smartphone, oppure nelle sale slot aperte ogni cinquanta
metri (record mondiale), ma controllate dalle stesse,
pochissime mani sospette.
Lo Stato ha fatto di
tutto perché il giocatore a rischio, già portato di suo
a isolarsi, diventi invisibile oltre che inguardabile, e
quindi per spingerlo alla rovina. L’aiuto più grande che
Fiorello ha dato a Baldini non è stato quello economico,
e nemmeno le opportunità di lavoro: è stata la
possibilità di rendere pubblico il suo vizio,
di gridarlo al mondo, la vera arma letale
contro la ludopatia. Ma quando Baldini dichiara di
essere finito nel giro dell’azzardo “perché volevo tutto
e subito”, bluffa. Come ci ha raccontato Robert
Altman in California poker, nel
profondo del cuore, i giocatori vogliono una cosa sola,
continuare a giocare; e hanno una sola paura, vincere
così tanto da non poterlo fare più. Paura pressoché
immaginaria ovunque; ma mai quanto in Italia.
Media
& regime
COSTUME ITALIANO E DEL MONDO DAL GENNAIO AL
GIUGNO 2014
ECONOMIA ALLO
SFASCIO
Ilva,
ecco il piano di Renzi per far intervenire lo Stato:
commissario e Cassa depositi
Già oggi il Consiglio dei ministri
può varare un decreto per l’amministrazione straordinaria.
La Cdp in una newco
ROMA - C'è un "piano
B" per l'Ilva. Il governo è pronto a chiedere l'amministrazione
straordinaria per il gruppo siderurgico. Sostanzialmente dichiararne
il fallimento e applicare la legge Marzano, il nostro "Chapter 11",
riservato ai grandi gruppi con più di 500 addetti e oltre 300
milioni di debiti. Un default pilotato, insomma. Un decreto legge ad
hoc potrebbe essere varato nei prossimi giorni, o addirittura questa
sera visto che è stata convocata una riunione del Consiglio dei
ministri. I tempi saranno comunque strettissimi. L'Ilva, dopo che le
sono arrivati i 125 milioni della seconda rata del prestito
bancario, ha i soldi per pagare gli stipendi dei suoi 11 mila
dipendenti di dicembre, la tredicesima e il rateo del premio di
produzione. Niente di più. Mentre ci sono 350 milioni di debiti
scaduti con i fornitori e 35 miliardi di richieste per danni
ambientali, sotto varie forme, da parte della comunità tarantina.
Nessuno in queste condizioni comprerà mai la società. Non gli
anglo-indiani di Arcelor-Mittal, il più grande gruppo europeo
dell'acciaio, alleati con Marcegaglia; non l'italiano Arvedi che in
ogni caso ha chiesto l'aiuto finanziario del Fondo strategico
italiano, braccio industriale della Cassa depositi e prestiti,
controllata dal ministero dell'Economia con la partecipazione delle
Fondazioni di origine bancaria. Sia Mittal sia Arvedi, infatti,
hanno presentato offerte considerate inaccettabili dal governo. Ma
in particolare gli anglo-indiani hanno posto paletti insormontabili
dal punto di vista economico e politico. Così non ci sarebbero
garanzie sul futuro dell'impianto. "Non si svende la più grande
acciaieria d'Europa", spiegano a Palazzo Chigi. La produzione
dell'acciaio resta strategica se si vuole rilanciare l'attività
industriale crollata del 25 per cento in questi lunghi anni di
recessione. Da qui il "piano B" del governo.
Giovedì scorso si sono riuniti a Palazzo Chigi il premier, Matteo
Renzi, il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, e il
commissario governativo dell'Ilva, Piero Gnudi. Ne è emersa la
convinzione che senza il passaggio all'amministrazione straordinaria
la questione Ilva sia destinata a finire in un vicolo cieco. Con il
rischio che prenda forma uno scenario sociale esplosivo, per le
ricadute dirette su Taranto e gli altri siti produttivi (Novi Ligure
e Cornigliano) e indirette sulle migliaia di piccole aziende
fornitrici. Non per nulla ieri sono arrivati i commenti positivi dei
sindacati all'ipotesi dell'amministrazione straordinaria.
D'altra parte né Mittal, né tantomeno i lombardi di Arvedi,
significativamente indebitati, hanno indicato nell'offerta una cifra
per rilevare la società. Questo è il punto. L'Ilva continua a
perdere intorno ai 25 milioni al mese (ne perdeva quasi 70 prima
dell'arrivo di Gnudi che ha cambiato tutta la prima linea di
comando), nel 2012 e 2013 ha perso un miliardo l'anno, ha due terzi
dello stabilimento di Taranto sotto sequestro, non ha praticamente
le risorse per fare la manutenzione, e soprattutto deve rispettare i
vincoli posti dal piano di risanamento ambientale che
complessivamente richiedono un esborso di 1,8 miliardi di euro. Così
i grandi acciaieri europei scommettono sul tracollo dell'Ilva,
perché ci sarebbe un concorrente in meno e quote da spartirsi,
mentre sui mercati globali avanzano i produttori asiatici, russi e
brasiliani. Anche questa partita si sta giocando intorno alla crisi
dell'ex Italsider. Eppure a Taranto si potrebbe ancora produrre
acciaio di qualità in condizioni redditizie purché liberi del
"fardello" del passato. L'amministrazione straordinaria servirebbe a
questo, a non cedere l'azienda, bensì gli impianti. Il modello di
riferimento sarebbe quello dell'Alitalia dei cosiddetti "capitani
coraggiosi": una bad company su cui scaricare il cumulo di macerie,
controversie giudiziarie comprese, accumulato negli anni (ai Riva,
azionisti di maggioranza, sono stati sequestrati dalla magistratura
1,2 miliardi di euro per dirottarli al risanamento ambientale); una
new company sulla quale costruire il futuro dell'acciaieria, con le
banche creditrici, con nuovi soci privati, con un intervento
pubblico attraverso il Fondo strategico. Una volta ripulita,
insomma, l'Ilva avrebbe ben altro appeal. E allora non si
tratterebbe più di "svendita" e potrebbe - a condizioni di mercato
sulle quali Bruxelles non potrebbe eccepire sollevando il pericolo
di aiuti di Stato vietati dai Trattati - entrare in campo anche una
sorta di statalizzazione. Ipotesi che il Renzi, nell'intervista ieri
a Repubblica, considera al pari delle altre. Questa, potrebbe anche
essere un'ipotesi tattica (dove troverebbe i soldi, non meno di 2-3
miliardi, il governo?) per far vedere a Mittal che lo scenario può
anche cambiare. Ma si vedrà. In ogni caso il ricorso alla "legge
Marzano" dovrebbe permettere - secondo quanto è trapelato da chi nel
governo ha in mano il dossier - al commissario straordinario di
venire in possesso in tempi rapidi dei 1,2 miliardi sequestrati ad
Emilio Riva e sul cui patrimonio c'è stata la rinuncia degli eredi.
Certo il fratello Adriano ha fatto ricorso contro il sequestro ed è
in atto una battaglia legale. Ma questo è un altro capitolo del
groviglio tarantino.
Unipol razionalizza il capitale. Batosta in Borsa per
ex soci risparmio FonSai
Il
gruppo delle coop avvia operazioni straordinarie che
secondo la Borsa premiano la holding Unipol Gruppo
Finanziario e le cooperative azioniste. Sfavoriti invece
i vecchi titolari delle azioni di risparmio di Fondiaria
Unipol si prepara a razionalizzare il capitale
del gruppo. Obiettivo del numero uno Carlo Cimbri
è eliminare le azioni privilegiate della capogruppo e
convertire le risparmio della compagnia assicurativa delle
coop. L’operazione, appena presentata dai vertici della
società, rischia però di diventare ben presto un boomerang
innescando una nuova ondata di cause da
parte degli ex azionisti di risparmio di Fondiaria
Sai.
Bastonati in occasione delle nozze con Unipol e diventati
soci di UnipolSai attraverso le azioni di risparmio di
tipo A, i vecchi soci FonSai si sono infatti visti
proporre condizioni decisamente meno interessanti di
quelle riservate alla categoria dei titoli “gemelli” B.
Azioni di risparmio, queste ultime, che in buona parte
(67%) sono in pancia alla stessa controllante
Unipol Gruppo Finanziario che a sua volta fa capo
alle coop attraverso Finsoe.
La
questione non è sfuggita al mercato. Se, infatti, Cimbri
giudica “congruo” il prezzo di conversione
dei titoli di risparmio di tipo A, la Borsa non concorda
tanto che lunedì ha affossato i titoli che hanno accusato
un tonfo superiore al 12% a 212 euro. Per gli esperti il
responso del mercato è inequivocabile: l’operazione non è
interessante, quindi sfavorevole. Tanto più che Cimbri ha
già fatto sapere di non essere disponibile a
rivedere le condizioni di conversione offerte
agli ex soci di risparmio FonSai che riceveranno 100
azioni ordinarie per ogni titolo nelle loro mani. E ha poi
mandato un chiaro messaggio a chi dovesse decidere di non
partecipare all’operazione e uscire dai giochi senza
incassare l’eventuale dividendo per il 2014. Se il
diritto di recesso - cioè il prezzo di 228,37
euro per azione che Unipol ha deciso di pagare
per liquidare i soci dissenzienti tra i titolari delle
risparmio A – supererà complessivamente la soglia
dei 30 milioni di euro, il gruppo “non farà
alcuno sforzo superiore” per coprirlo, con il risultato
che l’operazione chiesta da tempo dagli stessi azionisti
che si ritenevano già danneggiati dalle condizioni poste
con il passaggio sotto l’ala delle coop, salterà. “Se il
mercato in larga maggioranza gradisce, bene. Altrimenti
resteremo volentieri con la categoria di risparmio A tra
le nostre azioni”, ha commentato Cimbri con un chiaro
prendere o lasciare.
Le
condizioni proposte dal manager, però, non sono
sfavorevoli per tutti. La conversione delle risparmio B
(+0,09% lunedì in Borsa) in ordinarie UnipolSai che
prevede lo scambio 1 a 1 con i titoli ordinari è, secondo
gli analisti di Intermonte, “fair e senza
sorprese” e i titoli che sono prevalentemente di proprietà
di Unipol nel giorno dell’annuncio hanno chiuso in semi
parità a +0,09% mentre le azioni ordinarie della compagnia
hanno perso il 2,52 per cento. Cioè niente rispetto a
quanto hanno bruciato le risparmio di tipo A, rendendo il
confronto delle condizioni poste ai due tipi di azionisti
ancora più impietoso. Infine c’è la trasformazione in
azioni ordinarie delle Unipol Gruppo Finanziario
privilegiate, almeno un terzo delle quali è
direttamente in mano ad alcune delle coop maggiori.
L’operazione avverrà ad un prezzo “favorevole” (1 a 1) ,
sempre secondo Intermonte, che rileva come venerdì scorso
i titoli privilegio valevano il 7,8% in meno degli
ordinari. Non a caso lunedì in Borsa in scia all’annuncio
le Unipol privilegio hanno guadagnato l’1,68% mentre le
ordinarie hanno perso il 5,28 per cento.
Il
mercato, insomma, ha già dato il suo giudizio sulle
proposte di Cimbri che arriveranno alle rispettive
assemblee dei soci a partire dal 26 gennaio 2015. Per
allora probabilmente ci saranno anche altre novità in casa
Unipol. Anche perché la controllante Finsoe ha intenzione
di cambiare volto. La cassaforte, che controlla il 50,7%
della holding che controlla il polo assicurativo per conto
una quindicina cooperative capitanate dalla Holmo
spa e da una manciata di soci finanziari con
esponenti di spicco come Jp Morgan, ha,
infatti, deciso di approfondire “eventuali modalità di
scioglimento” della holding. L’operazione sarà effettuata
però senza rinunciare al controllo di Unipol che sarà
mantenuto attraverso la definizione di un patto di
sindacato fra alcuni degli attuali soci della holding.
Mediaset Premium vale 819 mln:
tutti i numeri della pay di Arcore
Depositata la
perizia sulla newco per le tv a pagamento di casa
Berlusconi: abbonati a quota 1,72 mln, utile operativo di
19 milioni nel 2014. E nei conti spuntano pure 637 milioni
di crediti da Sky per il "patto" sulla Serie A. Ora via
libera all'ingresso con l'11% degli spagnoli di Telefonica
MILANO
- Mediaset Premium, la pay-tv di casa
Berlusconi, vale 819 milioni di euro. E la nuova scatola
societaria dove sono confluite tutte le attività a
pagamento (escluso la pay on demand di Infinity) del
Biscione chiuderà il 2014 con un utile operativo stimato
dal gruppo a 19 milioni, meglio rispetto alle
valutazioni di perdite a volte apocalittiche circolate
sul mercato negli ultimi anni. Numeri e dettagli
emergono dalla perizia redatta da Stefano Morri della
Morri Cornelli & associati in vista del decollo della
scatola societaria creata per aprire il capitale a
Telefonica, che ha rilevato un pacchetto azionario
dell'11% di Mediaset Premium. Trecento pagine tra
calcoli ed allegati da cui spuntano altri particolari
inediti e ufficiali sul gruppo: la nuova entità
decollerà proprio oggi con 1,72 milioni di abbonati
(dato al 30 settembre), una posizione finanziaria netta
attiva e con crediti per 637 milioni con Sky,
figli dell'armistizio e della
spartizione sui diritti della serie A 2015-2018
raggiunto lo scorso giugno con la mediazione di Infront
e l'ok della Lega. I documenti svelano anche
i patti parasociali con Telefonica: gli
spagnoli saranno obbligati a vendere la loro quota in
caso di richiesta al Biscione, che avrà pure un diritto
di prelazione sulla partecipazione. Ma Cologno, nel caso
decidesse di aprire il capitale a nuovi partner, sarà
obbligata a vendere azioni sempre in compartecipazione
con la società iberica.
La relazione di Morri cristallizza in 819 milioni il
valore dell'intero pacchetto in cui sono stati conferiti
i diritti per la Serie A, quelli della Champions
2015-2018 e 1,9 miliardi di debiti. La forbice di valore
balla da un minimo tra 733 e un massimo di 932 milioni
ma precisa la relazione è in linea con la stima
effettuata da Telefonica e con i metodi di calcolo
utilizzati prendendo in considerazione i multipli dei
concorrenti quotati in Borsa. La fotografia dei
documenti depositati riguarda solo lo stato patrimoniale
del gruppo (debiti e crediti) e non la sua redditività.
Su quel fronte, mette le mani avanti il perito, ci si è
avvalsi solo delle stime dell'azienda. Nessun
riferimento agli anni scorsi dunque (Premium non
pubblica più i dati dal 2011) ma solo previsioni per il
futuro: 19 milioni di utile operativo nel 2014, 33 di
rosso nel 2015, 21 nel 2016 per poi decollare con 54
milioni di profitti nel 2017 e 102 nel 2018. Frutto, c'è
da immaginare, di un boom di abbonamenti grazie
all'esclusiva sulla Champions League.
L'elenco ragioneristico dei beni confluiti in Mediaset
Premium comprende tutti i pacchetti di diritti tv del
calcio, gli accordi con Fox ed Eurosport, i dipendenti
(poco più di 200), un bouquet di film a luci rosse figli
dell'avventura andata male negli adult movies (da
"Modelli in libera uscita" a "Alle bionde piace caldo"
attraverso altre produzioni con titolo molto più estremi
impubblicabili in fascia protetta) e i contratti con ex
calciatori e allenatori e giornalisti (spiccano
Giancarlo Mughini e Andrea Scanzi) assoldati come
opinionisti
Azimut crolla in Borsa dopo l'accordo
da 118 mln con il Fisco
La società ha annunciato che
risolverà una controversia con le Entrate per i periodi
d'imposta dal 2001 al 2013. I problemi legavano il
transfer pricing tra società del gruppo stesso. Il numero
uno, Giuliani: "Soddisfatto, usciamo da ogni incertezza"
MILANO
- Azimut sistema una partita con il
Fisco ma paga il conto anche a Piazza Affari, dove il
titolo crolla alla notizia del raggiungimento dell'accordo
transattivo con le Entrate, in base al quale dovrà
sborsare un totale di 117,8 milioni di euro tra imposte e
sanzioni e interessi di legge.
L'azione
Azimut sul Ftse Mib, già vittima di sospensione al
ribasso, è la peggiore del listino principale con un calo
che la porta in area 17,52 euro. Il gruppo in una nota
diramata nel weekend ha fatto sapere di aver perfezionato
un accordo con l'Agenzia delle Entrate per la definizione
di ogni controversia derivante dai processi verbali di
constatazione notificati fra il 2010 e il 2013.
Sulla base dell'accordo, il gruppo assume l'impegno al
pagamento, tra maggiori imposte e sanzioni, di un importo
complessivo pari a circa 105,9 milioni di euro (oltre agli
interessi di legge per circa 11,9 milioni di euro),
relativo ai periodi d'imposta dal 2001 al 2013,
principalmente determinate per effetto della rivisitazione
dei criteri utilizzati nella determinazione dei prezzi di
trasferimento nei rapporti intercompany tra le diverse
società del gruppo del risparmio gestito.
A tal proposito, si rileva come Azimut avesse comunque già
accantonato, relativamente alla presente controversia,
circa 34,1 milioni di euro tra imposte e oneri, ed inoltre
la presenza di perdite fiscali pregresse limiterà
l'esborso finanziario complessivo a circa 91,8 milioni di
euro. Ciò significa, sottolineano gli analisti di
Intermonte, che l'impatto a livello di conto economico
dovrebbe essere di 80 milioni e il cash out di 92 milioni.
Il gruppo "ribadisce che, nonostante vi sia il
convincimento della correttezza del proprio operato, ha
comunque ritenuto opportuno perseguire l'ipotesi di una
definizione transattiva delle controversie al fine di
evitare il protrarsi dell'attuale stato di incertezza ed
in considerazione dell'orientamento, assai contrastato,
della giurisprudenza in merito. La definizione
stragiudiziale non implica peraltro riconoscimento alcuno
delle contestazioni formalizzate dall'amministrazione
finanziaria nell'ambito dei rilievi oggetto di
definizione". Pietro Giuliani, presidente e amministratore
delegato di Azimut Holding, si è detto "soddisfatto per la
conclusiva definizione della vicenda che ci permette di
uscire dall'incertezza propria di ogni controversia".
Anche secondo Intermonte, l'accordo è di entità maggiore
rispetto alle attese ma "chiarisce le incertezze fiscali
pendenti sul gruppo" con un possibile impatto negativo sul
dividendo 2014. Confermato il giudizio "neutral" con
target price a 18,5 euro.
Editoria, Santanché mette nel
carniere anche la concessionaria del Giornale
Media & Regime
L’intesa prevede che Arcus
passi di mano dal primo gennaio a costo zero ma insieme a tutto il
personale. La società interamente controllata dalla Pbf negli ultimi tre
esercizi ha registrato perdite complessive per 5,7 milioni
Daniela Santanchè rafforza la sua
alleanza negli affari con la famiglia Berlusconi. Questa
volta nella tela della pasionaria del Pdl è caduta Arcus,
la concessionaria di raccolta della pubblicità locale del Giornale
di Paolo Berlusconi, fratello dell’ex cavaliere che passerà nelle sue mani
dal prossimo primo gennaio. Santanché segue già le inserzioni del quotidiano
a livello nazionale ma con la società sotto il suo controllo potrà dedicarsi
anche a quelle sulla piazza di Milano e dintorni.
Non si tratta del primo passo della
Santanchè per accreditarsi come socia del presidente Berlusconi sia in
politica sia negli affari. Nelle settimane scorse ha intavolato le
trattative per rilevare il 50% del mensile Focus in mano al gruppo
tedesco Gruner und Jahr, che vuole sciogliere l’alleanza
con la Mondadori di Marina Berlusconi. Operazione che hanno
entrambe l’effetto collaterale di togliere le castagne dal fuoco agli
imprenditori-amici e di rimpolpare con nuove attività la Visibilia
Editore della pitonessa, prossima allo sbarco in Piazza Affari ma
legata ancora ai piccoli business delle tre riviste Ciak, Pc Professionale e
Villegiardini. Dunque, da sole poco attraenti per eventuali investitori.
Con il Giornale la
Santanchè ha già trovato l’intesa che prevede di ottenere l’Arcus a costo
zero, facendosi però carico di tutto il personale. La
società interamente controllata dalla Pbf (Paolo Berlusconi
Finanziaria) non naviga in buone acque come molte altre
concessionarie. L’anno scorso ha registrato un fatturato totale di quasi 12
milioni di euro ma è gravata da un monte debiti complessivo di 15,5 milioni,
di cui 5,3 milioni proprio verso la controllante Pbf, come si legge nella
nota integrativa al bilancio 2013. Anno che ha registrato una perdita netta
di a 1,9 milioni di euro che si è aggiunta a quella di 1,6 milioni del 2012
e al rosso di 2,2 milioni del 2011. Una situazione che non frena le
ambizioni della deputata di Forza Italia. “Se abbiamo firmato, vuol dire che
va bene a entrambe le parti”, taglia corto lei, interpellata in merito da
ilfattoquotidiano.it.
C’è da dire che con Arcus la
pitonessa riuscirà anche ad affiancare il suo compagno Alessandro
Sallusti, che dirige Il Giornale. Inoltre riuscirà a
mettere un piede in Rcs, l’editrice del Corriere della Sera che nel 2013 non
le aveva venduto i suoi periodici: insieme alla raccolta del quotidiano di
Paolo Berlusconi, Arcus ha anche l’incarico per il Corriere di Como,
edizione provinciale del Corsera. Solo una cosa resta da vedere: se
la pitonessa, una volta acquisiti Arcus, Focus e le prossime prede, avrà
abbastanza forza e risorse economiche per sostenerne i conti e soprattutto i
costi. Compresi quelli del personale.
Ligresti,
omologato il concordato fallimentare per Imco. Un buco da
800 milioni
Il Tribunale di Milano ha dato il via
libera all'accordo con i creditori. Ai chirografari verrà
riconosciuto il 35% del valore del loro credito
MILANO -
Arriva in porto dopo un percorso tortuoso e accidentato il
concordato per Imco, una delle due holding (l'altra è
Sinergia) attraverso la quale la famiglia Ligresti
controllava Premafin e a cascata Fondiaria-Sai, il colosso
del ramo Danni finito ora nelle mani di Unipol.
Il tribunale ha omologato la proposta di Visconti
(assuntore) la società attraverso la quale gli azionisti (Unicredit,
Ge, Bpm e UnipolSai) pagheranno nel giro massimo di 20
giorni circa 28 milioni di euro per cassa i crediti non
più oggetto di contestazione: sono i cosiddetti
chirografari che riceveranno circa il 35% dell’importo
dovuto. Altri creditori, invece, saranno compensati con
beni (titoli in pegno o immobili per circa 200 milioni).
Il dissesto della Imco ha raggiunto un passivo di circa
800 milioni di euro: una parte sarà oggetto di
contestazione (circa 390 milioni e verranno rinunciati),
il resto invece verrà pagato se a seguito delle
controversie verranno riconosciuti. Per Visconti, il
conocrdato è stato curato dagli avvocati Nardone, Sandulli,
Jannaccone, Morandi e Orsenigo.
Bocciati
i conti della cassaforte di Preziosi
No al bilancio dai revisori e dal
collegio sindacale: la Finholding, finanziaria prima
azionista di Giochi Preziosi e Genoa, ha chiuso il 2013
con nuove perdite da 49 milioni. Dubbi sul rispetto degli
accordi con Unicredit e Intesa, mentre con Carige si sta
trattando una proroga dei rimborsi
MILANO - Nella partita
finanziaria del presidente del Genoa, Enrico Preziosi, i revisori
dei conti e il collegio sindacale tirano fuori il cartellino rosso.
Si potrebbe ricorrere a questa immagine calcistica per spiegare quel
che è appena successo alla Finholding, la finanziaria
dell'imprenditore nato nel 1948 ad Avellino che ha in portafoglio
come principale attività la partecipazione di controllo della Giochi
Preziosi. Fuor di metafora, il revisore dei conti Marco Colacicco ha
bocciato il numeri 2013 della Finholding: a causa di "molteplici
significative incertezze", l'esperto, in un documento firmato il 30
settembre scorso, si dice "non in grado di esprimere un giudizio" né
sul bilancio, né "sulla coerenza della relazione sulla gestione con
il bilancio di esercizio al 31 dicembre".
Giunge a una conclusione analoga anche il collegio sindacale, organo
interno alla holding, che in un documento allegato ai conti 2013
della cassaforte, appena depositati al registro delle imprese,
"richiamata l'attenzione dei soci sulle incertezze, sulla capacità
della società di sostenere la continuità aziendale e sui rilevanti
rischi di liquidità", si dice "non in grado di esprimere un giudizio
relativamente al progetto di bilancio per l'esercizio così come
predisposto dall'amministratore" e cioè proprio da Enrico Preziosi,
che è anche presidente e socio di maggioranza della Finholding.
In effetti, i numeri del 2013 fotografano ancora un anno complesso
per la finanziaria che fa capo al presidente del Genoa: la perdita
di esercizio si è attestata a 49,3 milioni, rosso che va ad
aggiungersi a quello di 209,1 milioni del 2012 e a quello di
"appena" 18,29 milioni del 2011. L'assemblea degli azionisti di
Finholding che si è riunita a Cogliate (Mb) il 7 ottobre, dopo avere
preso atto delle decisioni del revisore dei conti e del collegio
sindacale, ha comunque deciso di approvare il bilancio del 2013 e di
coprire la perdita di esercizio utilizzando la riserva
straordinaria. Sempre alla fine del 2013, la holding di Enrico
Preziosi presentava un patrimonio netto pari a 47,9 milioni e un
indebitamento finanziario netto di 91,9 milioni.
Proprio la posizione debitoria, prevalentemente verso Unicredit,
Intesa Sanpaolo e Carige, è uno degli aspetti che fa impensierire il
revisore dei conti. Colacicco, innanzi tutto, sottolinea che con le
prime due banche italiane sono stati raggiunti accordi per il
rientro graduale dell'esposizione attraverso la vendita di attività,
soprattutto immobiliari. Mentre con l'istituto di credito genovese
ora guidato da Piero Montani "sono in corso colloqui per ottenere
una proroga dei finanziamenti concessi". Da ricordare che, nel 2013,
al termine dell'ispezione sulla Carige dell'era di Giovanni
Berneschi, la Banca d'Italia aveva espresso dubbi anche sui
finanziamenti concessi a Enrico Preziosi.
Ebbene, tra le circostanze che potrebbero mettere in discussione la
continuità aziendale di Finholding, il revisore Colacicco indica "il
mancato rispetto dell'accordo con Unicredit" sottolineando di non
avere ricevuto, al momento della redazione del documento (30
settembre), "evidenza delle modalità e delle risorse con cui
Fingiochi prevede di far fronte agli impegni, anche con riferimento
alla prima e rilevante scadenza prevista per il mese di ottobre
2014".
Non solo. Il revisore dei conti esprime dubbi sulla possibilità
della holding di reperire risorse nel breve termine "per far fronte
alle conseguenze della sentenza della Commissione tributaria
regionale della Lombardia", che lo scorso maggio, accogliendo gli
appelli dell'Agenzia delle entrate, ha condannato Fingiochi al
pagamento di 27,5 milioni tra mancate imposte, sanzioni e interessi.
Nella nota integrativa la finanziaria spiega di avere presentato
ricorso in Cassazione e di avere comunque accantonato a bilancio
l'intera cifra, in via prudenziale.
Ma non è ancora finita, perché il revisore dei conti richiama
l'attenzione anche sul valore di iscrizione della partecipazione del
42% nella Giochi Preziosi, che per Colacicco "riflette le
aspettative di valori conseguenti ai contenuti dell'accordo di
ristrutturazione dei debiti ex articolo 182 bis della legge
fallimentare". Secondo l'esperto di bilanci, "il mancato rispetto
dell'evoluzione economico finanziaria prevista dal piano
determinerebbe ulteriori svalutazioni per perdite durevoli di
valore".
Da ricordare che nel bilancio del 2012 la partecipazione in Giochi
Preziosi (di cui sono azionisti anche Clessidra, Unicredit, Hamilton
Lane, Intesa Sanpaolo e Idea Capital) era già stata drasticamente
svalutata di 155 milioni a 36 milioni. Nei conti del 2013, il valore
della quota è salito a 51,87 milioni, per via dei versamenti
effettuati a titolo di aumento di capitale. Finholding appare però
fiduciosa sull'andamento della società di giocattoli: "Dai dati
disponibili relativi al 30 giugno del 2014 (quando Giochi Preziosi
chiude l'esercizio, ndr), emerge un sensibile miglioramento rispetto
al piano industriale". Cosa che dovrebbe consentire "nel medio
periodo di valorizzare adeguatamente l'investimento". Da tempo
circolano indiscrezioni secondo cui Enrico Preziosi starebbe
sondando per la vendita della società investitori cinesi (si era
parlato di Ocean Gold).
La partecipazione che invece nel bilancio della Finholding non vale
più nulla, come fosse carta straccia, è quella del 75% nel Genoa
cricket and fotball club spa, che era già stata svalutata
integralmente nel bilancio del 2012. "L'esito del processo di
riequilibrio economico e finanziario" del club rossoblù, mette in
guardia ancora il revisore Colacicco, "richiede una verifica
puntuale e periodica, alla luce dei rilevanti impegni fidejussori a
carico di Fingiochi". Le garanzie prestate a favore del Genoa dalla
holding del suo presidente ammontano a 62,6 milioni e risultano
persino superiori a quelle di 51,9 milioni verso Giochi Preziosi.
Insomma, il revisore dei conti tratteggia una situazione finanziaria
su cui pesano molte incognite. Ciononostante, però, evidenzia sempre
Colacicco, "nel 2013 sono stati corrisposti compensi al consiglio di
amministrazione" di Finholding "in mancanza di previa delibera
assembleare. La ratifica - aggiunge il revisore - è intervenuta il
31 luglio 2014". Il bilancio della holding dà conto di 464mila euro
di compensi per gli amministratori, voce inserita tra i "costi per i
servizi". Non male considerata la fase di crisi conclamata della
Finholding.
SCORPORO FERRARI,
SCORPORO FININVEST-MEDIOLANUM, SCORPORO BSKYB, SCORPORO SORGENIA-DE
BENEDETTI,SCORPORO NTV, SCORPORO ENEL
Termini Imerese, aiuti
per 250 milioni a Grifa
E Fiat "paga" un bel cazzo di incentivi:riceverà contributi
pubblici, l'eterna cassa integrazione straordinaria ed altre misure
straordinarie....gli spolpatori d'Italia che poi aprono la
quotazione a Wall Street con diritto fiscale a Londra e sede legale
ad Amsterdam....siete bravi!!!!
La società
pronta a subentrare nello stabilimento palermitano riceverà una
ricca dote. Contributi pubblici, cigs e altre "misure
straordinarie"
Lobby
Fininvest, la quota di
Mediolanum finirà in un trust
La holding di casa Berlusconi ha
deciso di trasferire il 20% circa della banca in un trust,
mossa obbligata e propedeutica alla cessione a seguito
della perdita dei requisiti di onorabilità dell'ex
Cavaliere
MILANO
- La quota di Mediolanum in mano a Fininvest, la holding
di famiglia Berlusconi, finirà dentro un trust. E' la
decisione del consiglio di amministrazione della
finanziaria, che segue
il provvedimento adottato dalla
Banca d'Italia e dall'Ivass il 7 ottobre scorso
che ha disposto la dismissione della partecipazione
eccedente il 9,9% detenuta indirettamente in Mediolanum
(segui
il titolo) da Silvio Berlusconi per
la perdita dei requisiti di onorabilità previsti dalla
legge.
Il cda di Fininvest, come annunciato, ha anche dato
mandato all'amministratore delegato Pasquale Cannatelli
"di concordare con FinProg Italia Sapa di Ennio Doris &
C la formalizzazione dello scioglimento anticipato e
consensuale del patto di sindacato Mediolanum": si rompe
dunque il legame tra Berlusconi e lo storico
amico-socio, Ennio Doris.
Alla luce del provvedimento, si legge in una nota, "con
il quale la Banca d'Italia ha, tra l'altro, ritenuto
compatibile con la normativa applicabile l'ipotizzato
trasferimento della sopracitata partecipazione in
Mediolanum spa ad un trust" Finivest "ha dato mandato
all'amministratore delegato di riscontrate il suddetto
provvedimento e di proseguire, nel rispetto dei termini
ivi previsti, le necessarie interlocuzioni con
l'autorità, ferma restando la competenza del consiglio
stesso per le deliberazioni che si renderanno opportune
e necessarie".
Alla data del provvedimento di Bankitalia e Ivass, la
Fininvest deteneva poco più del 30% di Mediolanum.
Fininvest ha tre mesi di tempo dal suo ricevimento (il 9
ottobre scorso) per istituire un trust cui conferire la
quota eccedente il 9,9% e successivamente altri 30 mesi
per cederla a terzi.
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Il
magnate australiano acquisisce le due reti attraverso il gruppo
Fox, che controlla al 100 per cento. Un'operazione mirata a
fornire al tycoon i mezzi per alzare la maxi offerta da 80
miliardi di dollari su Time Warner, per la quale ha già ricevuto
un rifiuto
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quest'ultimo prossimo
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Tornano le
vendite sul titolo Fiat.
Bancarotta, Denis Verdini a giudizio
per il Credito cooperativo fiorentino
Il coordinatore azzurro dal tavolo per
le riforme al banco degli imputati. È la decisione del gup di
Firenze Fabio Frangini. A processo anche il parlamentare di Fi Massimo
Parisi

Sisal non va in Borsa: 'Mercati avversi'
Ma la quotazione era già critica
Gli alti
debiti, un conto economico da anni in rosso e i contenziosi
fiscali e penali che interessano la società, proprietaria degli
ippodromi come San Siro per esempio, e il suo ad Petrone non
hanno agevolato lo sbarco in Piazza Affari del gruppo
Intesa per gestire gli esuberi chiesti dall'Ue: chi matura entro
fine 2019 i requisiti percepirà l'83-85% dello stipendio. Ma le
perdite su crediti tengono in rosso la banca. L'ad Viola:
"Condizioni esterne particolarmente difficili". Il titolo affonda
a Piazza Affari
A dare la notizia è stato Rami Abdel Rahman,
direttore dell'Osservatorio siriano per i diritti umani, secondo il
quale "l'azione ha causato morti ma non ci sono ancora conferme sul
numero esatto". Rahman ha aggiunto che è il primo caso di cui si ha
notizia di una combattente donna curda che si fa saltare in aria in
un attentato suicida contro l'Is: una tecnica impiegata invece
frequentemente dalle diverse sigle della galassia terroristica
islamica, inclusa al Qaeda. Il 3 ottobre, sempre nelle vicinanze di
Kobane, una 19enne curda del gruppo Ypg, Ceylan Ozalp,
si era invece uccisa pur di non finire prigioniera dell'Is quando
aveva esaurito le munizioni.
A preoccupare i mercati, più
che il rinnovamento nella poltrona di capo dello Stato, è il
possibile segnale politico che potrebbe arrivare dal voto. La
sconfitta del candidato designato da Samaras, l'ex commissario Ue
Stavros Dimas, porterebbe a indire nuove elezioni politiche, con
possibile successo della sinistra di Syriza,
che gli ultimi sondaggi danno in forte ascesa.
Il premier può contare su
una maggioranza di 155 voti, insufficienti per far passare il
proprio candidato per sostituire l'attuale presidente. Servono 180
voti e sembra difficile che Samaras possa arrivarci. Il primo
scrutinio per eleggere il nuovo presidente è il 17 dicembre, il
secondo e terzo eventuali il 23 e 29 dicembre. Se non si riuscirà a
eleggere un nuovo presidente Samaras sarà costretto ad andare a
elezioni anticipate per rinnovare il parlamento ed i mercati sono
spaventati all'idea di una vittoria di tsipras.
Il leader di Syriza, nei
giorni scorsi
aveva rassicurato mercati sulla volontà di restare all'interno
dell'euro. In ogni caso però, l'intenzione di Tsipras sareebbe
quella di promuovere una conferenza europea per la ristrutturazione
del debito. Scenario, questo, che spaventa gli investitori.
Crisi russa, Unicredit presta
390 milioni al gigante del gas di Putin, Gazprom
L’accordo,
secondo l'azionista di maggioranza del naufragato
consorzio South Stream, è "di grande importanza storica"
anche per "l'ampliamento della cooperazione di Gazprom
con i circoli finanziari dell’Italia e dell’intera
Europa"
Giovedì a Vienna il gigante russo del gas
Gazprom ha siglato un accordo con
UniCredit per un finanziamento da 390
milioni di euro. Lo ha fatto sapere la stessa
società energetica pubblica in una nota. L’accordo è
secondo Gazprom “di grande importanza storica”
anche per “l’ampliamento della cooperazione di Gazprom
con i circoli finanziari dell’Italia e
dell’intera Europa”. Nessun accenno, invece, al nodo
delle sanzioni. La notizia, per altro, è arrivata a poco
meno di una settimana dallo stop alla costruzione del
gasdotto South Stream annunciato a
sorpresa dal presidente russo Vladimir Putin.
L’infrastruttura avrebbe dovuto collegare direttamente
Russia ed Europa bypassando l’Ucraina e attraversando il
Mar Nero, la Bulgaria, la Serbia, l’Ungheria e
l’Austria
e
avrebbe visto tra il resto la partecipazione del
gruppo Eni che, oltre ad essere socio del
consorzio dietro alla stessa Gazprom, attraverso la sua
controllata Saipem, si era aggiudicato
la commessa da 2,4 miliardi per la
costruzione della prima tratta.
Intanto il gruppo russo ha annunciato
la costruzione di un nuovo gasdotto in Turchia,
con una capacità di 63 miliardi di metri cubi, di cui 14
miliardi per sostituire il transito attraverso
l’Ucraina. L’infrastruttura, ha fatto sapere nei giorni
scorsi il numero uno di Gazprom Alexei Miller,
permetterebbe di trasportare circa 50 miliardi
di metri cubi al confine con la Grecia. Il
punto di partenza sarà la stazione Russkaya,
già prevista per il South Stream mentre per gestire
l’intera operazione Gazprom creerà per un nuovo
organismo giuridico in Russia.
Il presidente della Commissione Ue,
Jean Claude Juncker, tuttavia, è ancora
possibilista sulla realizzazione del South Stream. “Puó
essere costruito”, ha detto giovedì al termine
dell’incontro col premier della Bulgaria, Boyko
Borisov, uno dei Paesi che maggiormente rischia
danni per lo stop russo legato a doppio filo con la
crisi ucraina e le sanzioni comminate alla Russia. “Le
condizioni – ha proseguito il presidente della
Commissione Ue – ci sono da tempo, la palla è nel campo
della Russia, gli ostacoli che ci sono non sono
insormontabili”. Da parte sua il premier bulgaro ha
detto: “Possiamo andare avanti con i lavori preparatori,
la Commissione ha detto che non ci lascia soli”.
Allarme Nato: "26 caccia
russi intercettati nei cieli Ue. Rischi per voli civili".
Enav: "Non in Italia"
BRUXELLES
- La Nato lancia un'allerta: negli ultimi due giorni è
stato rilevato un "insolito" aumento di attività di aerei
militari russi sul Mar Nero, Mar Baltico e Mare del Nord.
Lo riferisce il portavoce dell'Alleanza, Jay Janzen,
aggiungendo che le manovre nello spazio aereo
internazionale sono state condotte da quattro gruppi
composti da bombardieri strategici Tu-95 Bear H, caccia
MiG-31 e altri tipi di aerei da guerra russi. In risposta
a questa attività, fa sapere la Nato, sono intervenuti
caccia partiti da Norvegia, Regno Unito, Portogallo,
Germania e Turchia. Sono intervenuti inoltre jet della
Danimarca e aerei di Finlandia e Svezia, che non sono
membri della Nato.
In tutto i voli militari russi intercettati sarebbero 26.
Non sono stati registrati incidenti ma si tratta di
attività aeree di proporzioni "inusuali", spiega la Nato,
aggiungendo che ancora a metà pomeriggio di oggi stava
tracciando alcuni velivoli russi. Secondo l'Alleanza
"rappresentano un rischio per l'aviazione civile, perché
non hanno piani di volo o non usano trasponder, quindi il
controllo aereo civile non può vederli né assicurare che
non interferiscano con i voli civili". Le manovre degli
aerei russi "sono attività che non interessano lo spazio
aereo italiano" rende noto l'Enav, aggiungendo che "non
c'è un'allerta" in Italia.
Il portavoce del comando operativo delle forze armate
della Norvegia, Brynjar Stordal, spiega che gli F-16
norvegesi hanno interettato una formazione di bombardieri
Bear e aerei cisterne a ovest della Norvegia. I tanker si
sono poi diretti verso nord, mentre i bombardieri hanno
continuato a volare in direzione sud verso lo spazio aereo
internazionale che si trova a ovest di Spagna e
Portogallo. "Abbiamo diversi di questi incidenti, circa 40
all'anno", ha detto Stordal, aggiungendo che "ciò che
distingue questa da alcune altre missioni già viste da
parte russa è che la formazione era un po' più grande di
quella che vediamo di solito e che sono andati un po' più
a sud di quanto fanno solitamente".
All'avvicinarsi degli F-16 portoghesi di otto apparecchi
russi in formazione sull'Atlantico, sei hanno invertito la
rotta ma altri due, bombardieri Tu-95, hanno continuato
verso la Gran Bretagna dove sono stati presi in consegna
dai caccia della Raf prima e norvegesi poi. Gli aerei
russi - in silenzio radio - non hanno sottoposto alla Nato
alcun piano di volo né hanno preso contatto con le
autorità civili, il che rappresenta "un rischio potenziale
per i voli civili".
Le tensioni fra la Nato e la Russia sono aumentate da
quando Mosca a marzo ha annesso al suo territorio la
penisola di Crimea, fino a quel momento parte
dell'Ucraina. L'aviazione militare britannica ha
intercettato un aereo privato civile, probabilmente
lettone, e l'ha fatto atterrare all'aeroporto di Stansted
dopo che aveva interrotto o perso le comunicazioni con la
torre di controllo.
Secondo la Nato, quest'anno i piloti dell'Alleanza hanno
intercettato velivoli russi oltre 100 volte, cioè circa
tre volte in più del 2013.
Mosca-Pechino in 48 ore.
Con il supertreno
di Nicola Lombardozzi
La nuova Transiberiana avvicinerà la
Russia e la sua capitale alla Cina. Una spesa da 200 miliardi.
Stretta dalle sanzioni, Mosca guarda sempre più spesso verso
Est...
Si può velocizzare un mito, renderlo più
moderno, magari più comodo, senza ucciderne l'alone
romantico che lo ha animato per quasi cento anni? La Russia
ci prova con un progetto ardito e anche maledettamente
costoso: realizzare una linea di Alta Velocità a fianco
delle rotaie della vecchia Transiberiana, sacre a
generazioni di appassionati di grandi viaggi intorno al
mondo. Medesimi panorami, affascinanti e selvaggi, ma visti
di sfuggita attraverso i finestrini sfrecciando a più di
trecento all'ora.
Il viaggio infinito (7000 chilometri e sei fusi orari) da
Mosca a Pechino che adesso dura almeno sei giorni di
dondolii, sobbalzi e nascite inaspettate di nuove amicizie
tra compagni di scompartimento, si ridurrebbe a due giorni
scarsi vissuti in asettici vagoni ultramoderni e cambiando
così per molti il senso e lo spirito di quella che è sempre
stata considerata un'avventura in piena regola. Non tutti a
Mosca sono convinti che sia un affare investire la cifra,
finora prevista, di 200 miliardi di euro per una simile
operazione, ma il primo accordo con le ferrovie cinesi è già
stato firmato l'altro giorno e la progettazione della nuova
tratta potrebbe essere pronta già per la fine di quest'anno.
A mettere fretta al governo russo c'è soprattutto la corsa
ad orientare sempre più verso Est i propri interessi
economici in questi mesi di sanzioni, controsanzioni e
tensioni continue con l'Europa. E anche valutazioni di pura
convenienza.
I cinesi come è noto sono maestri nel campo dell'Alta
Velocità. Non a caso possiedono la rete più estesa del mondo
e vantano la tratta, finora più lunga, la Canton-Pechino di
2298 chilometri. Ma soprattutto possono garantire costi
irrisori rispetto ad ogni altra nazione. Se la media del
resto del mondo è di circa 26 milioni di euro per un
chilometro di ferrovia ad Alta Velocità, le aziende cinesi
sono in grado di realizzare la stessa distanza con "appena"
13 milioni. Per questo la Russia ha accettato di realizzare
la "Transiberiana veloce" insieme ai cinesi, accettando
condizioni che fino a qualche anno fa sarebbero state
impensabili visto il gelo tra i due Paesi: sul territorio
russo arriveranno macchinari cinesi, ingegneri cinesi e
anche operai specializzati cinesi. Il governo di Pechino
sarà pagato soprattutto direttamente in natura con gas
naturale e petrolio.
In effetti da tempo i grandi progetti ferroviari russi
languono per eccesso di costi e per difficoltà tecniche. I
treni veloci (ma non velocissimi, poco più di
duecentocinquanta all'ora), i cosiddetti Sapsan (falco
pellegrino) collegano Mosca solo a San Pietroburgo a nord e
Niznij Novgorod a sud. Ma corrono sulle rotaie tradizionali
senza nemmeno sfruttare tutte le loro potenzialità. L'inizio
di una nuova Transiberiana porterebbe come prima tappa al
collegamento veloce della capitale con la città tartara di
Kazan, capoluogo di oligarchi e industrie pesanti. La
seconda tappa renderebbe veloce il tragitto anche per
Ekaterinenburg, altra città emergente per commerci e
attività manifatturiere. Le tappe successive interessano
meno a Mosca che infatti per bocca dei suoi dirigenti si
esprime con vaghezza sui tempi e le scadenze dell'opera.
«Non basteranno dieci anni - dice il presidente delle
ferrovie russe - e c'è poi da valutare bene quanti
passeggeri la utilizzerebbero». Del resto le migliaia di
turisti che sognano il viaggio lento e romantico
continuerebbero a preferire la tratta tradizionale, quella
voluta dagli zar, che ignorava Pechino e tirava dritto fino
a Vladivostok. Ferrovia percorsa da eroi letterari, nobili
esiliati e anche da migliaia di deportati nell'orrore dei
lager sovietici dell'Estremo Oriente russo. Per percorrerla
tutta ci vogliono sette giorni, attraversando pianure
deserte, gole spaventose, e le coste straordinarie del lago
Bajkal. Difficile che il treno superveloce cinese possa
battere la potenza di un fascino immortale.
“Putin testa di cazzo”: 130 tifosi
bielorussi e ucraini arrestati dalle
autorità di Minsk
Durante il match per le
qualificazioni a Euro 2016, la
solidarietà tra supporters delle due
nazioni contro la Russia non è
andata giù a Lukashenko: per tutti
l'accusa è di turpiloquio in luogo
pubblico
Una reciproca dimostrazione di
solidarietà della tifoseria
ucraina e
bielorussa che non è andata
giù alle autorità di Minsk.
Per aver intonato un coro
anti-Putin durante una
partita circa 130 tifosi sono stati
arrestati dal Kgb bielorusso
(video). Nel Paese
dell’ultimo dittatore dell’Europa,
Aleksandr Lukashenko,
che insieme alla Russia e al
Kazakistan farà parte dal 1
gennaio del 2015 della fantomatica
Unione economica eurasiatica,
il nome del titolare del Cremlino
non può essere biasimato, anche se,
soprattutto dopo l’annessione della
Crimea e il
conflitto nell’Est, i rapporti fra i
due leader non sono proprio rose e
fiori.
L’incidente è avvenuto lo scorso
9 ottobre, durante la partita di
qualificazione ad Euro 2016
giocata nello stadio di
Borisov, in Bielorussia.
L’incontro tra le due
nazionali (Ucraina ha vinto
2 a 0) non è stato segnato da nessun
scontro tra gli ultras, anzi gli
ucrani in trasferta sono stati
accolti dai bielorussi col canto “Gloria
all’Ucraina! Gloria agli eroi!”
che aveva risuonato a Kiev durante
le proteste di Maidan
iniziate quasi un anno fa. Gli
ucraini allora hanno risposto con il
canto “Zhive Belarus’”,
ossia “Lunga vita alla Bielorussia”.
Dopo di che insieme hanno intonato
un altro canto popolare di Maidan, “Putin
hujlo“, tradotto “Putin
testa di c..“.
Dopo le
proteste di Kiev e il cambio di
governo in Ucraina, Lukasnehko aveva
promesso che in Bielorussia
“non ci sarà nessun Maidan”. Il
presidente bielorusso, rieletto per
la quarta volta nel 2010, è noto per
aver represso qualsiasi
manifestazione di opposizione nel
suo Paese. Non stupisce quindi
quello che è seguito ai cori dei
tifosi dal chiaro
sfondo politico. Il canto che si
sente benissimo sui tanti video
amatoriali diffusi in rete ha
infastidito tantissimo le
forze dell’ordine
bielorusse, che però non hanno fatto
niente fino alla fine della partita.
Solo all’uscita dallo stadio gli
agenti del Kgb bielorusso
hanno arrestato circa una centinaia
di tifosi ucraini e una trentina di
quelli bielorussi. Con l’accusa di
torpiloquio in
luogo pubblico, il tribunale
bielorusso ha inflitto il 10 ottobre
a otto ucraini una detenzione da 5 a
10 giorni, mentre altri quattro
tifosi sono stati multati per un
import tra 90 e 140 dollari. Quello
che prometteva di sfociare in un
incidente diplomatico evidentemente
è stato risolto al vertice tra i due
Paesi. Il presidente ucraino
Poroshenko ha seguito
personalmente la vicenda e l’11
ottobre il portavoce del ministero
degli Esteri ucraino ha fatto sapere
che tutti i tifosi, compresi quelli
condannati all’arresto, sono stati
rilasciati e sono tornati in patria.
Il
reportage domani sera su Servizio Pubblico
Al 41esimo
del primo tempo scoppia il finimondo
allo stadio del Partizan di
Belgrado, dove si stava disputando
il match valevole per la
qualificazione a Euro 2016. Fonti
serbe parlano dell'arresto del
fratello del premier albanese,
autore del gesto. Da Tirana - dove
la gente è scesa in strada per
protestare - smentiscono. E nelle
fasi concitate degli scontri si
rivede Ivan Bogdanov
Ferite ancora aperte. Una guerra,
quella per il Kosovo,
conclusasi appena quindici anni fa.
Troppo poco evidentemente per
mettere di fronte su un campo da
calcio Serbia e
Albania. Non ci
aveva pensato l’Uefa
quando ha formato i gironi di
qualificazione per Euro 2016.
Entrambe sono finite nel
Gruppo I e martedì sera si
sono ritrovate l’una di fronte
all’altra al Partizan
Stadium di Belgrado. Ed è
successo il finimondo, che con il
passare delle ore assume dimensioni
e contorni allarmanti, con gente in
strada a Tirana e
il rischio d’innescare una crisi
diplomatica tra i due Stati.
Perché quando al 41esimo del primo
sull’impianto ha iniziato ad
aggirarsi un drone che trasportava
la bandiera della Grande
Albania, accompagnata dai
volti di Isa Boletini
e Ismail Qemali,
padri della patria, è scoppiato il
putiferio (video).
E a farlo alzare in volo sarebbe
stato Olsi Rama,
fratello del premier albanese Edi.Questo
almeno riferiscono fonti serbe,
secondo le quali Rama sarebbe stato
arrestato. Una versione smentita dal
ministro dell’Interno
albanese.
Intanto però il gesto aveva
scatenato la rabbia dello stadio.
Fumogeni e urla da parte dei
tifosi serbi, gli unici
presenti sugli spalti perché l’Uefa
ha negato la vendita dei tagliandi
agli albanesi che
allo stadio ci sono arrivati lo
stesso (video).
Con il drone e, sembrerebbe, per
mano di Rama. L’arbitro inglese
Martin Atkinson ha
interrotto la partita per un attimo
sperando di calmare gli animi e
sperando che il drone
si allontanasse. Ma la bandiera
albanese si è avvicinata al terreno
di gioco ed è finita tra le mani del
serbo Stefan Mitrovic
che l’ha strappata dal drone. Un
attimo, una scintilla e le
rivalità etniche sono
improvvisamente tornate a galla
perché gli albanesi considerano il
Kosovo, oggi
indipendente ma sempre a maggioranza
albanese, una costola del proprio
Paese.I giocatori hanno dato il là a
una maxi- rissa
proseguita a lungo sul campo da
gioco, mentre dagli spalti pioveva
di tutto all’indirizzo degli
albanesi, aggrediti anche
fisicamente da alcuni tifosi serbi
che hanno invaso il terreno di
gioco. Il giocatore della Lazio
Lorik Cana ha
reagito prendendo a pugni l’ultrà
che aveva tentato d’atterrarlo,
mentre alcuni suoi compagni hanno
recuperato la bandiera prima di
fuggire negli spogliatoi
provando di schivare gli oggetti
scagliati dagli spalti. L’Albania
non ha più fatto ritorno in campo,
nonostante Atkinson abbia tentato di
far riprendere il match: una
trattativa a cui ha recitato la sua
parte anche Ivan Bogdanov,
l’ultras serbo che nel 2010 riuscì a
far interrompere la partita tra
Italia e Serbia al Ferraris
di Genova. In particolare, Ivan
Il Terribile è entrato in campo
e ha incitato la folla.
Ma la situazione ambientale ha
indotto il direttore di gara
a chiuderla lì. Una figuraccia per
l’Uefa, che per questioni legate
alla geopolitica ha evitato
d’inserire negli stessi gironi
Gibilterra e
Spagna, oltre ad
Azerbaijan e
Armenia, ma non ha
ravvisato pericoli nel confronto tra
due popoli che fino al 1999 si sono
scontrati per la provincia autonoma
del Kosovo. Prima la lotta degli
indipendentisti dell’UCK,
poi la seconda forte repressione di
Slobodan Milosevic
con l’esodo dei kosovari verso il
confine albanese e infine
l’intervento Nato.
E infatti le reazioni politiche non
si sono fatte attendere. Il premier
albanese Edi Rama,
atteso il 22 ottobre a Belgrado, ha
subito fatto sentire la propria
voce: “Orgoglioso dei nostri
calciatori, dispiaciuto per lo
spettacolo dei
nostri vicini”. Una contrapposizione
rincarata dal ministro dell’Interno
che ha attaccato l’omologo serbo per
non essere stato in grado di
garantire la sicurezza
della nazionale all’interno del
Partizan Stadium,
dove sono volati anche ceffoni e
calci al loro indirizzo. E la rabbia
albanese per il gesto di Aleksandar
Mitrovic si è anche riversata per le
strade di Tirana.
Centinaia di macchine sventolanti la
bandiera del Paese delle aquile
hanno invaso le vie della capitale
in direzione di Piazza
Italia. Sarebbero state
bruciate anche alcune bandiere serbe
a Scutari e Tirana,
mentre il governo ha deciso di
rafforzare la sicurezza attorno all’ambasciata
serba. Difficile anche il
rientro della nazionale albanese e
dei giornalisti al seguito (già
trattenuti al loro arrivo a Belgrado
e fatti passare solo grazie
all’intervento del ministro
albanese): bloccati negli
spogliatoi, non si sa ancora quando
saranno in grado di raggiungere
l’aeroporto e fare ritorno in
Albania.
A Pristina,
invece, migliaia di persone in
piazza per festeggiare, sparando
petardi e scandendo ‘Albania,
Albania’. Caroselli di auto a
clacson spiegati hanno attraversato
a grande velocità le strade della
capitala kosovara centro con
bandiere kosovare e albanesi.
Festeggiamenti anche nel settore
albanese (a sud) di Kosovska
Mitrovica, dove la folla
inneggia all’Albania. Dall’altra
parte del ponte sul fiume
Ibar, nel settore nord
della città divisa, gruppi di
giovani serbi si
sono ammassati a osservare. La
polizia kosovara e i militari della
Kfor che presidiano
il ponte hanno rafforzato il
pattugliamento. Tensione
altissima, ma nessun incidente. Per
ora.
Il presidente della Generalitat catalana,
Artur Mas, ha dichiarato che anche dopo i risultati della Scozia "la
battaglia prosegue": la consultazione sarà non vincolante. Madrid
farà ricorso
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L'ex attaccante
campione del mondo eletto con il 64% dei voti nel suo
seggio alle presidenziali brasiliane. Quando giocava
segnava caterve di gol (da fermo), nella carriera politica
combatte malaffare e corruzione
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La Scozia separata dall'Inghilterra? La battaglia si vince
sulla sterlina

Il 18 settembre il referendum
sull'indipendenza. Nel primo dibattito tv ha prevalso
Alistair Darling, rappresentante del fronte del "No" che al
momento è in vantaggio. Al premier scozzese Alex Salmond,
leader della campagna per il "Sì", ha chiesto: "Quale moneta
sceglierete?". Ed è sull'economia che si gioca la partita
LONDRA
- I giornali (anche quelli scozzesi) sono tutti d'accordo:
il primo dibattito televisivo sul referendum per
l'indipendenza della Scozia del 18 settembre lo ha vinto
Alistair Darling, il capo di "Better Togheter" ("Meglio
insieme"). Il fronte del "No" all'indipendenza è avanti fra
gli elettori scozzesi che dovranno decidere cosa fare del
loro futuro. Ed è avanti per una solida ragione: molti hanno
capito che gli svantaggi economici che arriverebbero dal
fare a pezzi il Regno Unito li pagherebbe pericolosamente
proprio la Scozia.
Ieri notte, nel dibattito tv, Darling, ex cancelliere dello
Scacchiere con Gordon Brown, ha affondato il colpo contro
Alex Salmond, premier di Scozia e leader della campagna per
il "Sì": "Quale moneta sceglierete? Come si chiamerà la
vostra sterlina visto che la Banca d'Inghilterra non vi
permetterà di usare la vera sterlina?". Salmond ha
svicolato, ha evitato una risposta diretta, ha continuato a
recitare le cifre di una ricchezza scozzese che c'è tutta
(soprattutto per le riserve di petrolio del Mare del Nord),
ma che esiste ai livelli di oggi solo se è in sinergia con
tutta la Gran Bretagna.
Salmond ha ripetuto per 21 volte la stessa domanda a
Darling, chiedendogli se fosse d'accordo con le parole del
premier David Cameron che aveva riconosciuto possibile per
la Scozia essere "un Paese indipendente di successo". Sì, è
vero, Cameron voleva ingraziarsi la Scozia e non ha voluto
esporsi
personalmente pro o contro l'indipendenza.
Ma lo ha fatto da Londra per la prima volta con i capi degli
altri partiti: Ed Miliband, leader del Labour, e Nich Clegg,
capo dei liberal-democratici, hanno firmato col premier una
dichiarazione politica tripartita in cui promettono alla
Scozia mari e monti. Se rimarranno uniti, gli scozzesi
riceveranno indietro una fetta maggiore delle tasse che
pagano a Londra e avranno maggiore libertà nella
legislazione su settori che fino ad oggi sono stati di
competenza centrale.
Chi ha visto il dibattito, trasmesso in tv solo in Scozia e
seguito su Internet nel resto del Paese, ha risposto a un
sondaggio assegnando al 56% la vittoria a Darling, mentre
per il 44% ha prevalso Salmond. Ci sarà un altro dibattito,
il 25 agosto, questa volta sulla Bbc e quindi visibile in
tutto il Regno Unito.
Per ora non molti credono all'idea che l'indipendenza sia
meglio. Ma Salmond non molla: "Per oltre la metà della mia
vita, la Scozia è stata governata da partiti che non abbiamo
eletto a Westminster. Ci hanno dato di tutto, dalla tassa
elettorale alla tassa sulle camere da letto e sono le stesse
persone che con il "progetto paura" ci vogliono far credere
che questo Paese non può gestire da solo i suoi affari".
SULL'ORLO DELLA
GUERRA CIVILE: BRASILE-GERMANIA 1-7. VIOLENZE ED INCENDI DOPO IL
TRACOLLO.
Contro la Germania la Seleçao
rimedia la peggior sconfitta da quando si gioca la Coppa del Mondo.
Una disfatta nazionale che supera nelle proporzioni l'umiliazione
patita nel 1950, quando i verdeoro vennero superati in finale
dell'Uruguay. Il governo brasiliano accusa la Colombia per il fallo
su Neymar, sul confine colombo-brasilero si sono schierate le FARC,
l'Esercito Rivoluzionario del Pueblo Colombiano a difesa del
territorio nazionale contro una eventuale escalation. La
presidentessa Rousseff vuole lavare l'onta dell'8 luglio 2014 col
sangue. Sul tavolo del Governo brasiliano la proposta di BLOCCO
ECONOMICO NEI CONFRONTI DELLA MERDOSA GERMANIA. E' IL
Atti di vandalismo, rapine e negozi
saccheggiati in alcune città brasiliane, dopo la sconfitta della
Selecao nella semifinale contro la Germania.

Una ventina di pullman dell'azienda privata Vip sono stati dati alle
fiamme all'interno di un garage a San Paolo. Altri tre autobus di
linea sono stati attaccati da sconosciuti mascherati e dati alle
fiamme, sempre nella capitale paulista, dove l'azienda di trasporti
SPT ha chiesto l'intervento della polizia per poter proseguire il
regolare servizio notturno.

I vandali hanno poi preso di mira un negozio della catena Ponto Frio,
di San Mateo, periferia est di San Paolo. All'arrivo della polizia,
gli agenti hanno arrestato due uomini e quattro adolescenti che
stavano fuggendo con prodotti di elettronica.
Incidenti si sono verificati anche a Belo Horizonte, dove si contano
12 feriti e otto arrestati, e a Salvador, nello stato di Bahia. A
Rio de Janeiro, la polizia ha arrestato sei giovani che avevano
rapinato alcuni tifosi stranieri che assistevano alla partita nel
Fan Fest della Fifa, a Copacabana.
opo
la decapitazione del tassista inglese Alan Henning, e dopo
la sfida lanciata al premier britannico David Cameron da uno
jihadista a volto scoperto (video),
lo Stato Islamico continua la sua avanzata sul terreno. Oggi le
milizie islamiche hanno assunto il controllo dell'area di Mohammadi,
nella zona occidentale del governatorato iracheno di Anbar e
occupato la strada provinciale tra Haditha e Ramadi. A riferirlo è Faleh al Issawi, vicepresidente del
Consiglio provinciale di Anbar, dopo che in settimana i qaedisti
erano riusciti a conquistare la vicina città di Hayt. Da Mohammadi,
70 chilometri a ovest di Ramadi, le forze di sicurezza si sarebbero
"ritirate senza combattere", cosa che ha permesso allo Stato
islamico di rafforzare la propria presenza nel governatorato di
Anbar, al confine con la Siria.
Nonostante la nuova ondata di
raid aerei americani contro le forze dell'Is (i bombardamenti
avrebbero avuto come obiettivo alcune postazioni in Siria e in
Iraq), i jihadisti sono a un chilometro da Kobane e i raid non sono
sufficienti a fermarli. Lo ha dichiarato un responsabile curdo
siriano. I miliziani "sono in alcuni punti a un chilometro da Kobane
e in altri a due o tre chilometri", ha detto Idris
Nahsen, sottolineando che le nuove ondate aeree "non
sono sufficienti a battere i terroristi sul terreno. Loro (la
coalizione giuidata dagli Stati Uniti,
ndr) ci devono aiutare con armi
e munizioni".
LO SPECIALE
Iraq, l'avanzata dell'Is
Intanto, una squadra delle forze speciali britanniche Sas sarebbe
sul terreno pronta ad intervenire per la cattura di 'John il
jihadista', il boia dell'Is dall'accento britannico comparso (sempre
vestito di nero e sempre a volto coperto) nei video delle
decapitazioni, al quale Londra continua a dare la caccia. Lo
riferisce il Sunday Times. Il
domenicale spiega che, in un incontro con i vertici dei servizi di
intelligence, il primo ministro britannico David Cameron ha dato
indicazioni affinché si raccolgano tutte le informazioni necessarie
per permettere alle Sas di intervenire. Stando al resoconto del
giornale tuttavia, pur avendo i servizi fornito informazioni sulla
cellula terroristica nelle cui mani resterebbero altri ostaggi, le
indicazioni per localizzarle non sarebbero sufficienti per dare il
via libera a un intervento delle forze speciali, in quanto il gruppo
sarebbe in continuo movimento nel deserto siriano.
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La coalizione contro lo Stato islamico:
"Fermata avanzata in Siria e Iraq"
La
notizia al termine di una riunione a Bruxelles. Raid iraniani
sull'Iraq. Kerry: "Va distrutta l'ideologia"
BRUXELLES - La
campagna della coalizione contro lo
Stato islamico "comincia a ottenere risultati, la sua
avanzata in Iraq e in Siria è stata fermata". E' quanto si legge
in un comunicato diffuso al termine dalla riunione ministeriale
dei 60 paesi che compongono la coalizione anti-Is in corso a
Bruxelles.
"Migliorare lo sforzo militare". "Le forze
irachene e le forze del governo regionale del Kurdistan -
prosegue la nota - con il sostegno di raid aerei della
coalizione, stanno riguadagnando terreno in Iraq". I componenti
della coalizione, che comprende Paesi occidentali e arabi,
"hanno ribadito il loro impegno a lavorare insieme su una
strategia comune, su diversi fronti e a lungo termine per
indebolire e sconfiggere l'Is". La coalizione insiste su cinque
assi nella lotta contro il gruppo jihadista: "migliorare lo
sforzo militare, fermare il flusso di combattenti stranieri,
tagliare l'accesso al finanziamento, affrontare la questione
degli aiuti umanitari e delegittimare l'Is".
Kerry, impegno coalizione si misurerà in anni.
"Riconosciamo il duro lavoro che resta da fare", ha detto il
segretario di stato americano, John Kerry al summit che si tiene
nella sede della Nato. "Il nostro impegno - ha aggiunto - si
misurerà probabilmente nel giro di anni, ma i nostri sforzi
stanno già avendo un impatto significativo". A Bruxelles, il
numero uno della diplomazia Usa ha anche incontrato privatamente
il primo ministro iracheno Haider al-Abadi, il quale ha chiesto
una grande "sostegno per riuscire a battere Daesh", l'acronimo
arabo per indicare lo Stato islamico. "Penso - ha detto il
premier iracheno - che siamo l'unico Paese del Medioriente che
sta realmente combattendo Daesh sul terreno". Di "riunione molto
importante" ha parlato il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni,
che la giudica come un segnale che questa operazione "sta
facendo passi avanti". Quanto all'impegno italiano nella
coalizione, "è apprezzato e considerato utile da tutti", ha
assicurato.
Kerry: va distrutta ideologia. In appena due
mesi e mezzo la coalizione ha fatto "progressi significativi"
contro l'Is. Ne "ha fermato lo slancio" e "indebolito le
finanze" ma le azioni militari non bastano per "distruggere"
l'Is "va colpita l' ideologia", ha aggiunto Kerry.
Per il presidente siriano, Bashar al-Assad, però, i raid aerei
contro l'Isis non hanno prodotto alcun passo in avanti. "Non si
può mettere fine al terrorismo con gli attacchi aerei. Sono
essenziali le truppe sul terreno che conoscono il territorio e
possono reagire. Ecco perchè non ci sono stati risultati
tangibili nei due mesi di attacchi della coalizione", ha
aggiunto. Il regime siriano spera in un intervento militare
anche di terra contro l'Is per sconfiggere la componente più
pericolose della galassia di gruppi che lo combattono.
Raid iraniani sull'Iraq. La coalizione
internazionale anti-Is ha tenuto la sua prima riunione a
Bruxelles, proprio nel giorno in cui è trapelata la notizia che
anche i caccia iraniani sono impegnati nei bombardamenti sulle
postazioni del gruppo jihadista
in Iraq. La conferma dei raid iraniani è arrivata dal
portavoce del Pentagono, l'ammiraglio John Kirby, dopo che la tv
Al Jazeera aveva mostrato immagini di F-4 Phantom del tipo di
scui dispone Teheran sui cieli dell'Iraq. "Abbiamo indicazioni
che l'Iran ha condotto attacchi aerei contro l'Isis in Iraq
usando jet da combattimento", ha riferito Kirby a Abc News. Gli
attacchi aerei sarebbero stati condotti nei giorni scorsi contro
postazioni jihadiste nella provincia di Diyala, nell'est
dell'Iraq, al confine con l'Iran. Il portavoce del Penatgono ha
peraltro chiarito che i raid non sono coordinati con gli Usa. Da
Teheran non sono arrivate conferme, nè smentite ufficiali, anche
se il sostegno al governo a maggioranza sciita di Baghdad non è
mai stato taciuto. "Non c'è stato alcun cambiamento nella
politica iraniana di fornire supporto e consulenza alle autorità
irachene nella lotta all'Isis", ha spiegato il portavoce del
ministro degli Esteri iraniano, Marzieh Afkham. Fonti ufficiose
della repubblica islamica hanno definito la notizia dei raid
sull'Iraq "falsa e imprecisa".
Isis, non
dimentichiamoci di Kobane
Da quasi
quattro mesi, il 14 settembre 2014, la popolazione curda di
Kobane, organizzata militarmente nelle milizie
dell’Ypg e dell’Ypj, sta resistendo alle orde nazi-islamiche
dell’Isis. Questa battaglia, la battaglia di
Kobane, assume, per i motivi che ho più volte spiegato su questo
blog,
una portata davvero universale.
Fondamentale al suo interno
il ruolo delle donne, che rifiutano armi alla mano il
ruolo da schiave che i terroristi nazi-islamici vorrebbero
riservare a loro e ad altri. Le partigiane e i partigiani che
difendono Kobane hanno pagato un elevato tributo di vite umane,
infliggendo perdite superiori al doppio agli assedianti.
L’Isis
che rappresenta una minaccia alla pace, ai diritti umani
e alla democrazia, non sarà certo sconfitto
dalla claudicante e sgangherata coalizione che gli Stati Uniti
stanno cercando di mettere in campo, e che rischia solo di
consegnare ancora, come abbondantemente avvenuto in passato,
tonnellate di armi di nuova generazione al Califfo,
abbandonate dai soldati iracheni in fuga disordinata o vendute
da burocrati e militari corrotti, mentre i bombardamenti
indiscriminati che colpiscono le popolazioni civile rischiano di
aumentare la popolarità dei terroristi. Non a caso l’Isis
costituisce, per le classi dirigenti occidentali e i loro
alleati locali, i regimi reazionari del Medio Oriente,
un vero e proprio nemico/alleato perfetto, come ho argomentato
ampiamente
in un mio scritto in materia.
Inutile aggiungere che i tentativi di costruire tale coalizione
vedano come al solito l’adesione perinde ac cadaver del
governo italiano, Renzi, Gentiloni e Pinotti in testa, mentre
invece ci vorrebbe, in questo caso come in quello della Libia o
dell’Ucraina, ben altra originalità ed autonomia, come
contributo davvero efficace alla sconfitta del pericolo
terrorista e di quello dell’estensione delle guerre giustamente
paventato da Papa Francesco.
L’unica
possibilità di sconfiggere progetti integralisti,
per l’area mediorientale e più in generale, è rappresentata, e
anche questo l’ho scritto più volte,
dall’esercizio del diritto di autodeterminazione
e della democrazia partecipata su base territoriale senza alcuna
discriminazione o violenza etnica o religiosa. Di tale progetto
rivoluzionario Kobane costituisce l’esempio e l’immagine
vivente. Per questo è avversata dai regimi tirannici della zona,
da quello turco di Erdogan a quello saudita,
passando ovviamente per il Califfo che si avvale dell’appoggio
di entrambi.
Fra tali
progetti integralisti, del resto, non c’è solo il Califfato.
Anche il governo israeliano di Netanyahu è
sceso sul terreno su tale terreno invocando
la necessità di costituzionalizzare la
“natura ebraica” dello
Stato di Israele. Progetto che
fortunatamente sta incontrando una risposta decisa da parte dei
settori democratici israeliani. Al punto da determinare prossime
elezioni anticipate.
Tornando a
Kobane, vale la pena di prendere in considerazione la
Carta costituzionale della provincia della
Rojava, cui la città martire appartiene, e che
rappresenta davvero un documento modello per
l’autogestione democratica. Essa fra l’altro recepisce una serie
di trattati internazionali in materia di diritti umani che
costituiscono le acquisizioni più avanzate in materia.
Voglio qui
riferire anche di
un recente appello dell’amministrazione
della città, che sottolinea le drammatiche
carenze degli assediati in ordine ad acqua potabile,
energia elettrica, alimenti e medicinali e si chiude con le
seguenti richieste: – L’istituzione di un corridoio per gli
aiuti umanitari sotto il controllo dell’Onu;
– Squadre di esperti internazionali per esaminare la situazione
a Kobanê;
– Garanzia di approvvigionamento di acqua potabile e alimenti;
– Invio di squadre di medici internazionali per l’assistenza e
le cure mediche;
– Approntamento di equipaggiamento tecnico per la ricostruzione
della città.
Il tutto mentre
l’assedio da parte dell’Isis continua sotto lo sguardo
compiacente del regime turco, che non vede l’ora di sbarazzarsi
della resistenza della città, esempio importante anche per le
comunità curde della Turchia e i popoli della Turchia più in
generale. Si tratta di una vera e propria complicità attestata
ad esempio dal fatto che le bande terroriste
hanno cominciato attacchi nei confronti della città
a partire dal confine turco, come
ammesso anche dal governatore della provincia turca di Urfa.
Nel frattempo sono ben trentatré le
persone uccise dalla polizia e dall’esercito in Turchia mentre
manifestavano a favore di Kobane.
Ricordo anche
che è possibile
sottoscrivere a favore della resistenza di
Kobane. I soldi raccolti verranno immediatamente
trasferiti alla Mezzaluna Rossa curda.
Is, nuove conferme
da governo Iraq: ferito al Baghdadi, ucciso suo 'braccio destro'
Da Beirut, il ministero
dell'Interno fa sapere che il 'califfo' dello Stato Islamico è
stato colpito in un raid aereo Usa. Uno dei suoi più stretti
collaboratori sarebbe morto in un bombardamento a Falluja. Iran
pronto a combattere contro jihadisti
BEIRUT
- Il ministero dell'Interno iracheno ha confermato che il
'califfo' dello Stato Islamico,
Abu Bakr al Baghdadi, è rimasto ferito in un
raid aereo nel quale diversi altri leader dell'Is sono
rimasti uccisi. Lo riferisce l'agenzia irachena Nina.
Il leader jihadista, fa sapere ancora il ministro, è stato
trasferito in Siria in una regione sotto il controllo dei suoi
miliziani per essere curato. Non è ancora chiara la dinamica
degli eventi, anche perché sia iracheni che americani
rivendicano l'intervento che ha coinvolto al Baghdadi. Secondo
la ricostruzionie fatta dal Ministro dell'interno, il raid
sarebbe stato condotto da aerei dell'esercito iracheno e
diretto contro una scuola della località di Saada dove Al
Baghdadi e altri dirigenti dell'Isis tenevano un incontro con
un altro "gruppo terrorista" che aveva deciso di stringere
alleanza con lo Stato islamico. Nel bombardamento sarebbero
rimasti uccisi o feriti 40 miliziani.
La notizia arriva dopo che nelle ultime ore erano circolate
nuovamente voci contrastanti sulle sorti del leader dell'Is,
sulla cui testa è stata messa una taglia da 10 milioni di
dollari. Era già stata la televisione di Stato irachena,
citata da al Jazeera, a dire che il capo dell'Is era
stato ferito in un raid americano vicino alla città di Mosul,
e una prima conferma era già arrivata dal ministero della
Difesa iracheno che ha anche riferito che nell'incursione
sarebbe stato ucciso il braccio di destro di al Baghdadi,
Abu Muslim Turkmen. A stretto giro, la tv
irachena ha dato notizia dell'uccisione di un altro dirigente
dell'Is che sarebbe molto vicino al suo leader, Abu
Huthaifa al-Yamani, deceduto in un bombardamento su
Falluja.
"Siamo
entrati nella Terza guerra mondiale,
solo che si combatte a pezzetti, a
capitoli". Non usa mezzi termini
Papa Francesco sulle crisi
internazionali in corso durante il
volo di ritorno
dalla missione in Corea del Sud,
atterrato oggi a Ciampino (Roma)
alle 18. Il Pontefice ha denunciato
l'efferatezza delle guerre non
convenzionali e che sia stato
raggiunto "un livello di crudeltà
spaventosa" di cui spesso sono
vittime civili inermi, donne e
bambini. "La tortura è diventata un
mezzo quasi ordinario". Questi "sono
i frutti della guerra, qui siamo in
guerra, è una Terza guerra mondiale
ma a pezzi". Il Pontefice,
molto scosso dagli avvenimenti e dai
sanguinosi combattimenti nel
mondo, soprattutto in Siria e Iraq,
ha aggiunto di "essere pronto a
recarsi nel Kurdistan" iracheno per
pregare e alleviare la sofferenza
delle popolazioni colpite dalla
guerra: "In questo momento non è la
cosa migliore da fare, ma sono
disposto a questo".
Un sedicente supporter dello Stato Islamico inquadra le
Torri Gemelle: "Vi portiamo la guerra in casa". La foto
gira sui network della propaganda del Califfato |
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Pakistan, offensiva di terra dell'esercito contro al-Qaeda

Dopo due settimane di
bombardamenti, l'esercito inizia la ricerca sul campo dei terroristi
nella zona del Waziristan del nord
BANNU
- Inizia la fase due: l'esercito pakistano ha lanciato oggi
un'offensiva di terra contro le zone del nord-ovest, aree tribali
controllate dal gruppo terroristico di al-Qaeda. L'operazione di
oggi segue i
bombardamenti delle ultime due settimane
nel Waziristan del Nord, avviate dopo
l'attentato all'aeroporto di Karachi
che ha fatto oltre 20 morti.
L'obiettivo dichiarato dal comando è "sradicare i terroristi", come
ha spiegato il generale Asim Bajwa. I soldati sono entrati nelle
principali città dell'area, tra cui la capitale Miranshah e Mir
Ali, dove verranno perquisite le case. L'avanzata - con carrarmati e
altri mezzi corazzati - è iniziata dopo che "colpi di artiglieria"
hanno distrutto alcuni ripari dei ribelli.
Il governo di Karachi ha avvisato nei giorni scorsi gli abitanti
dell'area di lasciare le proprie case appena possibile: si stima che
circa 500mila civili, la maggioranza della popolazione, siano
fuggiti.
Un'offensiva
contro i
combattenti
islamici è stata a lungo
atteso
dagli alleati
di Islamabad,
come Stati
Uniti e Cina.
SCATTATA
L'OPERAZIONE "MARGINE PROTETTIVO" PER UNA NUOVA CARNEFICINA
PREVENTIVA DA PARTE DI ISRAELE: 160 raid aerei sulla Striscia di Gaza contro Hamas:
25 morti. IL RAPPORTO E' GIA' DI UNO A OTTO, OVVERO,PER OGNI
ISRAELITA UCCISO SONO MORTI 8 PALESTINESI.
Il paese sta conducendo da
ormai tre giorni attacchi contro il movimento palestinese.
L’operazione 'Margine protettivo' ha già provocato centinaia di
feriti. E l’escalation non sembra diminuire: sono stati
richiamati 40 mila riservisti mentre Benyamin Netanyahu ha dato
ordine all’esercito di prepararsi per una possibile operazione
terrestre che è “sul tavolo”. Scopo dell'operazione di terra E'
DESERTIFICARE LA PARTE SETTENTRIONALE DELLA STRISCIA, UNA SORTA
DI ZONA MORTA CUSCINETTO SUL MODELLO DEL LIBANO MERIDIONALE.
Non si ferma la violenza in
Medio Oriente. L’aviazione israeliana ha effettuato
160 raid aerei sulla Striscia di Gaza
contro Hamas durante la notte tra martedì e mercoledì in
risposta al continuo lancio di razzi verso Israele. Il portavoce
dell’Esercito israeliano ha comunicato che dall’inizio
dell’operazione sono stati effettuati 430 attacchi aerei.
E così sale il numero di palestinesi morti: almeno 25. Israele
sta conducendo da ormai tre giorni attacchi contro
Hamas. L’operazione ‘Margine protettivo’ ha già provocato
centinaia di feriti. E l’escalation non sembra diminuire:
Israele ieri ha richiamato 40 mila riservisti
mentre Benyamin Netanyahu ha dato ordine
all’esercito di prepararsi per una possibile
operazione terrestre che è “sul tavolo”.
Il premier, dopo le
polemiche di questi giorni su una sua risposta ‘debole’ ad
Hamas, ha annunciato chiaro e tondo che Israele “non
tratterà più con i guanti” la fazione islamica.
”Hamas – ha aggiunto – ha scelto di far salire la tensione e
pagherà un prezzo pesante per averlo fatto”. La reazione
palestinese non si è fatta attendere: il presidente palestinese
Abu Mazen si è appellato alla comunità
internazionale perché Israele termini “immediatamente”
l’escalation a Gaza e i suoi raid aerei.
Sullo scacchiere
internazionale la tensione crescente in atto sta suscitando
forte apprensione: il segretario generale dell’Onu
Ban Ki Moon ha sottolineato la sua “estrema
preoccupazione” ed ha condannato il recente lancio di razzi da
Gaza su Israele. Il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest ha
definito “vile” l’attacco dei razzi su Israele, ma ha espresso
preoccupazione per le vittime civili di
entrambe le parti. Stesso giudizio da parte del ministro degli
esteri italiano Federica Mogherini per
la quale “bisogna evitare che si inneschi una spirale
irreversibile”. Il segretario generale della Lega Araba, Nabil
el-Araby, ha chiesto una riunione “immediata” del Consiglio di
sicurezza dell’Onu sui raid israeliani contro Gaza.
Sul campo la situazione si
complica: Abu Obeida, portavoce del
braccio armato di Hamas, le Brigate Ezzedine al Qassam ha
avvertito che i missili saranno lanciati verso Tel
Aviv “e anche oltre”. E nel pomeriggio di ieri il
municipio della città (in serata lo stesso è stato fatto a
Gerusalemme) ha dato il via all’apertura dei 241
rifugi pubblici. A testimoniare la pericolosità
della situazione, l’aeroporto al Ben Gurion ha spostato più a
nord le rotte dei voli in arrivo e in partenza nello scalo di
tutte le compagnie. Nelle città del sud di Israele, quelle più
prossime alla Striscia, l’obbligo è di stare a 15 secondi dai
rifugi.
Il passaggio all’operazione
vera e propria da parte di Israele è scattato lunedì notte notte
con una forte
offensiva aerea: secondo l’esercito i raid
su Gaza sono stati 146 e 98 di questi contro lanciatori di razzi
nascosti. In uno di questi raid, che ha fatto tre morti, è stato
colpito, su un auto in transito nella via al-Wahda,
Mohammad Shaaban, “il comandante del commando della
marina” di Hamas. Ma l’attacco più cruento si è verificato in un
casa colpita a Khan Yunis con 10 morti,
fra cui due bambini e 35 feriti. “È stata una strage”, hanno
detto nelle strade della città. Secondo le prime informazioni,
la casa apparterrebbe alla famiglia Kawara
che avrebbe legami col braccio armato di Hamas. Al
momento dell’attacco dell’aviazione israeliana al suo interno e
nelle sue immediate vicinanze si trovavano decine di persone,
fra cui donne e bambini. Secondo la stampa israeliana si
trattava in effetti di “scudi umani” che
– è ipotizzato – cercavano di impedire con la loro presenza un
attacco aereo israeliano. Per il premier israeliano “Hamas
deliberatamente si nasconde dietro i civili. Ed è quindi
responsabile per le vittime collaterali”. Gaza City – hanno
riportato fonti locali – è stata ieri una città fantasma: gli
uffici pubblici sono rimasti deserti, come pure le strade del
centro. Nella sorta di guerra in corso, anche un tentativo di
entrare in territorio israeliano da parte di quattro (ma altre
fonti dicono cinque) uomini rana palestinesi
che sono stati uccisi stasera dall’esercito israeliano presso il
kibbutz di Zikim, a nord della Striscia. Da lunedì sera – ha
detto il portavoce militare, su Israele sono caduti ben
130 razzi e di questi 23 sono stati
intercettati dal sistema Iron Dome.
Quinto giorno di bombardamenti
Israeliani in risposta ai razzi di Hamas dalla Striscia di Gaza
verso le città ebraiche. I
morti provocati dall’offensiva militare (che avrebbe colpito oltre
mille obiettivi) sono –
secondo fonti palestinesi – 121. E sono sempre più frequenti le
scene di orrore, come quella denunciata questa mattina dall’agenzia
di stampa Quds Press: “A Beit Lahya (a nord di Gaza) l’aviazione
israeliana ha centrato un orfanotrofio, provocando la morte
di tre piccole disabili“. Secondo l’agenzia diverse
infermiere sono rimaste ferite. In Israele l’episodio non è ancora
stato commentato e il portavoce miliare si limita a ripetere che
Hamas ha sistematicamente provveduto a nascondere missili e armi in
moschee ed in istituti pubblici, senza però spiegare come vengono
scelti gli “obiettivi” di questo raid aereo.
Secondo quanto riferito dai
servizi d’emergenza della Striscia, altre vittime sono tre uomini
uccisi vicino a una moschea
nella parte occidentale di Gaza City ed un ragazzo di 17 anni, morto
in un raid contro la città.
Nel corso dei raid aerei
israeliani 282 case di Gaza sono state rase al suolo. Altre novemila
sono state danneggiate; di queste 260 non sono più abitabili secondo
il ministero dell’edilizia e dei lavori pubblici a Gaza.
Intanto, da Tel Aviv,
una portavoce militare israeliana ha comunicato che l’esercito ha
colpito la notte scorsa circa 84 obiettivi “affiliati al terrorismo
di Hamas” nella Striscia. Tra i target ci sono “68 lanciatori di
razzi, 21 centri militari, 18 fabbriche di armi e depositi”.
Inoltre, l’esercito ha detto di aver colpito “10 operativi del
terrore, 6 di questi direttamente coinvolti nel lancio di razzi in
quel momento verso Israele”. Da
Gaza contro Israele sono invece stati lanciati nella notte
cinque razzi,
portando ad un totale di 690 il numero di quelli
sparati negli ultimi cinque giorni. I feriti dell’operazione sono
saliti intanto a 920. Secondo quanto sostenuto da Hamas, i due terzi
delle vittime nella Striscia sono civili, per la maggior parte
donne e bambini.
Il Kuwait ha
chiesto una riunione di emergenza dei ministri
degli Esteri della Lega Araba per discutere “il deterioramento della
situazione nella Striscia di Gaza”. La riunione potrebbe tenersi già
lunedì, ha detto un funzionario della Lega. “Un’invasione della
Striscia di Gaza costituirebbe una escalation dalle conseguenze
imprevedibili” dice in una intervista a La Stampa, il presidente
della Repubblica Giorgio Napolitano.
Dopo l'attacco ad Hezbollah nel
Libano meridionale del luglio 2006, con Sharon appena entrato in
coma vegetativo (scomparso nel gennaio 2014 senza mai essersi
ripreso), dopo l'operazione Piombo Fuso contro Gaza (unito al blocco
economico totale della Striscia)del dicembre 2008-gennaio 2009,
Israele fa il tris con nuovi ferocissimi
bombardamenti sulla Striscia come rappresaglia contro Hamas
ritenuta responsabile della morte di tre ragazzi israeliani in
Cisgiordania, territorio Palestinese sotto Al-Fatah.
BEIRUT
- I terroristi dello Stato islamico hanno ucciso altri
85 membri del clan sunnita iracheno degli Albu Nimr
nella provincia di Al Anbar. Lo hanno riferito fonti
della tribù e della sicurezza irachena, spiegando che si
tratta di 50 sfollati e di altre 35 i cui resti sono
stati scoperti in una fossa comune. Nei giorni scorsi il
gruppo jihadista aveva ucciso 150 membri del clan
tribale che si erano rifiutati rifiutati di collaborare.
La tribù è entrata nel mirino del gruppo di Abu Bakr al
Baghdadi per non aver appoggiato l'avanzata delle
milizie islamiche su Bagdad. Una fonte della stessa
tribù ha denunciato che ci sono 200 persone del clan
circondate dai miliziani islamici nella zona di Hit, a
70 chilometri da Ramadi, vicino al lago di Tharthar.
Bilancio sempre più pesante. Secondo l'Onu,
nel solo mese di ottobre, sono state almeno 1.273 le
vittime delle violenze che hanno colpito l'Iraq. Tra i
morti ci sono 856 civili e 417 membri delle forze di
sicurezza nazionali. I feriti sono 2.010. La città più
colpita risulta la capitale, con 379 civili uccisi. I
dati, spiega la missione, non tengono conto dei morti
nella provincia di Anbar e in altre parti dell'Iraq
sotto controllo dei militanti dello Stato islamico (ex
Isil). Il conteggio non sembra includere perciò le
vittime degli omicidi di massa condotti dagli estremisti
ad Anbar, contro i membri delle tribù sunnite
filogovernative. A settembre, il numero delle vittime
conteggate dall'Onu era 1.119. Più gravi le cifre
fornite dal governo iracheno, che sostiene che il numero
dei morti è 1.725, mentre i feriti sono 2.300.
Raid aerei coalizione spianano strada a
peshmerga a Kobane. Intanto le forze di
coalizione, guidate dagli Usa, con raid aerei contro lo
Stato islamico hanno spianato la strada ai
peshmerga
curdi iracheni a Kobane. Secondo quanto riferisce
l'Osservatorio siriano per i diritti umani, i miliziani
curdi provenienti da Erbil stanno entrando nella città
aiutati dagli attacchi aerei della coalizione.
L'avanzata è iniziata ieri sera ed è ora in corso lo
schieramento delle forze. I mezzi blindati curdi
avanzano lentamente grazie agli attacchi aerei che
colpiscono gli obiettivi più vicini dello Stato islamico
nella parte meridionale e occidentale di Kobane. Sono
almeno 150 i miliziani curdi entrati a Kobane in
sostegno alle milizie curde locali.
Libia,
combattimenti a Bengasi. Interviene l'aviazione egiziana per
l'operazione cloverfiled bis

In città si sente sparare dalle prime ore della mattina. Negli
scontri anche civili e carri armati, almeno dodici vittime. Ieri il
generale Khalifa Haftar, alla guida da maggio dell'operazione 'Dignità',
ha annunciato che le sue forze sono "pronte a liberare" la città dai
gruppi islamisti
MISURATA (LIBIA) - L'Egitto bombarda
nell'Est della Libia. Mentre Tripoli, Misurata e l'Ovest del paese
(salvo la regione di Zintan) vivono un momento di pace e stabilità,
la Cirenaica continua ad essere in guerra. E la vera novità è che da
ieri l'aeronautica e la marina egiziana hanno avviato una pesante
operazione militare in appoggio alle truppe del generale "rinnegato"
Khalifa Haftar. Nei combattimenti tra esercito e miliziani islamici
ci sono stati almeno 12 morti e negli scontri sono stati coinvolti
anche carri armati.
Il generale, ex uomo del colonnello Gheddafi, da mesi ha organizzato
un esercito in Cirenaica per combattere le milizie islamiste guidate
da Ansar Al Sharia e dalla "Brigata 17 Febbraio". Nelle ultime
settimane le forze di Haftar erano state sconfitte dai miliziani di
Ansar Al Sharia, che erano riusciti a conquistare quasi tutta
Bengasi. Adesso Haftar innanzitutto ha lanciato un appello ai
giovani di Bengasi alla mobilitazione contro gli islamisti. Poi,
dopo settimane di coordinamento con l'esercito egiziano, è passato
al contrattacco: e questa volta l'Egitto lo appoggia molto
pesantemente.
Il nemico più potente di Haftar è Ansar Al Sharia, gruppo
integralista molto potente a Bengasi, coinvolto anche nell'assalto
al consolato americano di Bengasi in cui l'11 settembre del 2012
morì l'ambasciatore Chris Stevens. Contro Ansar e contro gli altri
gruppi integralisti e anche terroristici, Haftar in queste ore
sarebbe riuscito a mobilitare parte della società civile, dei
giovani, degli attivisti per i diritti umani di Bengasi vittime di
una campagna di violenze degli islamisti fatta anche di assassinii
ed esecuzioni mirate.
Ansar al Sharia e "17 Febbraio" nelle scorse settimane erano state
capaci di attaccare e conquistare molte basi della milizia di Haftar.
Il generale nel frattempo si è alleato con spezzoni di quello che
era l'esercito nazionale libico, fedele al governo del premier Al
Thinni che è in esilio da Tripoli a Tobruk. Perché in Libia in
queste settimane si sono consolidati due governi e due Parlamenti.
La "Camera dei Rappresentanti" eletta il 25 giugno, quella legale,
non è riuscita a riunirsi a Tripoli, ma si è spostata a Tobruk, per
l'appunto sotto la protezione di Haftar e dell'Egitto. Quella Camera
ha confermato come premier l'uscente al Thinni, che da prima
dell'estate non mette più piede a Tripoli.
Nella capitale, invece, le potenti milizie di Misurata e quelle
islamiche moderate della città hanno riesumato il vecchio "Congresso
Nazionale del Popolo, e hanno eletto un secondo premier, Omar Al
Hassi, che in queste settimane ha rimesso in moto la capitale e
buona parte della Tripolitania. Tornando alla battaglia di Bengasi,
ieri i miliziani di Ansar hanno attaccato una base di carri armati
del generale Haftar, che ha risposto con l'appoggio dell'aviazione
egiziana. Secondo l'accusa delle milizie islamiste ormai i caccia
egiziani sono stati schierati in alcuni aeroporti della stessa Libia
orientale dall'aeronautica egiziana.
Haftar è un ufficiale in pensione che aveva combattuto per conto di
Gheddafi in Ciad negli Anni Ottanta, era stato emarginato dal
Colonnello ed era fuggito all'estero, trovando rifugio e protezione
per vent'anni negli Stati Uniti. All'inizio della rivoluzione del
2011 era rientrato in Cirenaica, provando a proporsi alla guida
delle forze "rivoluzionarie". Sospettato di essere un cavallo di
ritorno dei gheddafiani (o un infiltrato della Cia americana), era
stato emarginato, mentre altri ex ufficiali dell'esercito del
colonnello erano riusciti a trovare un posto fra le forze della
rivoluzione.
Nel febbraio scorso e poi ancora prima dell'estate, Haftar aveva
annunciato una sorta di colpo di stato per bloccare l'avanzata delle
forze islamiste. Un golpe da operetta, inverosimile, se non altro
perché in Libia lo Stato non esiste. Il generale comunque è riuscito
a trovare l'appoggio degli egiziani e il sostegno politico e
finanziario degli Emirati e dell'Arabia Saudita. Abu Dhabi e Riad
combattono qualsiasi movimento sia vicino ai Fratelli Musulmani che
in Egitto un anno fa sono stati sconfitti dal golpe del generale
Sissi. Parlando a una televisione privata di Bengasi, ieri Haftar ha
detto che "la liberazione di Bengasi è una tappa strategica nella
lotta dell'esercito contro il terrorismo". Il generale, sempre
abbastanza equivoco sulle sue intenzioni per il futuro, ha anche
detto che "la vittoria in questa battaglia sarà il culmine della mia
carriera militare", lasciando intendere che potrebbe ritornarsene
alla pensione: molti ritengono che se dovesse avere successo a
Bengasi, il generale-pensionato potrebbe convincersi a rimanere
sulla scena ancora per parecchio tempo.
Siria, donna
curda si fa saltare contro Is a Kobane
Prima assoluta nella guerra della minoranza curda in Siria agli
jihadisti sunniti dello Stato Islamico. Una giovane donna che sui
social media viene identificata come Arin Mirkan,
madre di due figli, si è fatta saltare in aria accanto ad una
postazione dei miliziani di Is a est di Kobane, la città curda
siriana al confine con la Turchia, uccidendo diversi jihadisti che
da giorni cingono d'assedio l'enclave. La ragazza, terminate le
munizioni, ha sacrificato la sua vita per non finire ostaggio dei
miliziani dell'Is.
A dare la notizia è stato Rami Abdel Rahman,
direttore dell'Osservatorio siriano per i diritti umani, secondo il
quale "l'azione ha causato morti ma non ci sono ancora conferme sul
numero esatto". Rahman ha aggiunto che è il primo caso di cui si ha
notizia di una combattente donna curda che si fa saltare in aria in
un attentato suicida contro l'Is: una tecnica impiegata invece
frequentemente dalle diverse sigle della galassia terroristica
islamica, inclusa al Qaeda. Il 3 ottobre, sempre nelle vicinanze di
Kobane, una 19enne curda del gruppo Ypg, Ceylan Ozalp,
si era invece uccisa pur di non finire prigioniera dell'Is quando
aveva esaurito le munizioni.
Dopo
la decapitazione del tassista inglese Alan Henning, e dopo
la sfida lanciata al premier britannico David Cameron da uno
jihadista a volto scoperto (video),
lo Stato Islamico continua la sua avanzata sul terreno. Oggi le
milizie islamiche hanno assunto il controllo dell'area di Mohammadi,
nella zona occidentale del governatorato iracheno di Anbar e
occupato la strada provinciale tra Haditha e Ramadi. A riferirlo è Faleh al Issawi, vicepresidente del
Consiglio provinciale di Anbar, dopo che in settimana i qaedisti
erano riusciti a conquistare la vicina città di Hayt. Da Mohammadi,
70 chilometri a ovest di Ramadi, le forze di sicurezza si sarebbero
"ritirate senza combattere", cosa che ha permesso allo Stato
islamico di rafforzare la propria presenza nel governatorato di
Anbar, al confine con la Siria.
Nonostante la nuova ondata di
raid aerei americani contro le forze dell'Is (i bombardamenti
avrebbero avuto come obiettivo alcune postazioni in Siria e in
Iraq), i jihadisti sono a un chilometro da Kobane e i raid non sono
sufficienti a fermarli. Lo ha dichiarato un responsabile curdo
siriano. I miliziani "sono in alcuni punti a un chilometro da Kobane
e in altri a due o tre chilometri", ha detto Idris
Nahsen, sottolineando che le nuove ondate aeree "non
sono sufficienti a battere i terroristi sul terreno. Loro (la
coalizione giuidata dagli Stati Uniti,
ndr) ci devono aiutare con armi
e munizioni".
LO SPECIALE
Iraq, l'avanzata dell'Is
Intanto, una squadra delle forze speciali britanniche Sas sarebbe
sul terreno pronta ad intervenire per la cattura di 'John il
jihadista', il boia dell'Is dall'accento britannico comparso (sempre
vestito di nero e sempre a volto coperto) nei video delle
decapitazioni, al quale Londra continua a dare la caccia. Lo
riferisce il Sunday Times. Il
domenicale spiega che, in un incontro con i vertici dei servizi di
intelligence, il primo ministro britannico David Cameron ha dato
indicazioni affinché si raccolgano tutte le informazioni necessarie
per permettere alle Sas di intervenire. Stando al resoconto del
giornale tuttavia, pur avendo i servizi fornito informazioni sulla
cellula terroristica nelle cui mani resterebbero altri ostaggi, le
indicazioni per localizzarle non sarebbero sufficienti per dare il
via libera a un intervento delle forze speciali, in quanto il gruppo
sarebbe in continuo movimento nel deserto siriano.
Canada, è “jihad problem”: canadesi autori di attacchi
dall’Algeria a Nairobi
L’attacco a Parliament Hill è la
punta dell’iceberg di un fenomeno molto più profondo e
ramificato: miliziani con passaporto canadese tra quelli che
nel 2013 attaccarono il Westgate Shopping Mall di Nairobi e
arrivavano dall'Ontario due membri del commando che assaltò
l'impianto gaziero ad Amenas
Il “Jihad problem”,
il problema jihad. Lo chiamano così, molti analisti e
commentatori, il rinnovato slancio del
radicalismo islamista in Canada, uno dei
Paesi più floridi e “aperti” dell’Occidente. Nel giro di
tre giorni, il Paese ha assistito a
due soldati uccisi, un attacco spettacolare al
Parlamento, l’allargarsi della paura per le
strade della capitale. “Finalmente sta per iniziare il
dibattito sul terrorismo di casa nostra”, ha scritto un
commentatore del quotidiano di centro liberale Globe and
Mail. In realtà, un primo effetto dei fatti di questi
giorni già c’è: un probabile rafforzamento dei poteri
delle agenzie di intelligence.
L’attacco a Parliament Hill, in cui è stato ucciso il
presunto assalitore Michael Zehaf-Bibeau,
recente convertito all’Islam, è in realtà la punta
dell’iceberg di un fenomeno molto più profondo
e ramificato. Soltanto lunedì scorso, un
altro recente convertito all’Islam, Martin
Couture-Rouleau, 25 anni, aveva lanciato la sua
automobile contro due soldati a St-Jean-sur-Richelieu, in
Quebec, uccidendone uno. Martin, che amici e parenti
descrivono come un ragazzo solare e che gestiva un’attività di
servizi di pulitura, si era convertito nel 2013 e aveva
mostrato, attraverso la sua pagina Facebook, una
trasformazione in senso sempre più radicale. Lo scorso giugno
la polizia gli aveva confiscato il passaporto,
nel timore che raggiungesse gruppi islamisti in Medio
Oriente, ma non aveva potuto arrestarlo, non
essendoci capi d’accusa contro di lui.
Se
avesse potuto partire, e raggiungere la Siria, secondo
le sue intenzioni, Couture-Rouleau si sarebbe unito agli
almeno 90 giovani canadesi che in questi mesi
hanno lasciato il Paese per andare a combattere per l’Isis. Il
fenomeno non è del resto limitato al solo Stato Islamico. Da
tempo i servizi canadesi sono a conoscenza del fatto che
decine di canadesi hanno raggiunto varie forme di ribellione
jihadista in varie parti del mondo. Quando,
nel settembre 2013, i militanti somali di Al Shabaab
attaccarono il Westgate shopping mall di
Nairobi, contavano tra le proprie file almeno un
cittadino con passaporto canadese.
Qualche mese prima le stesse scene di morte e orrore
si erano verificate in un terminal di gas nel sud dell’Algeria.
Tra i militanti islamisti uccisi dalle forze del governo
algerino c’erano due canadesi dell’Ontario,
Ali Medlej e Xristos Katsiroubas.
Per quanto i fatti di questi giorni paiano esplodere
all’improvviso, le radici della radicalizzazione di una parte,
seppur minima, dei canadesi di fede islamica è dunque un
fenomeno antico, i cui segni possono essere
rintracciati almeno vent’anni fa. Per anni ha
tenuto banco nelle cronache il caso di Mohamed Harkat,
un rifugiato algerino arrestato dopo l’11 settembre
con l’accusa di essere una “cellula dormiente” di Al Qaeda,
e di aver ancor prima gestito il passaggio di combattenti
dalla Cecenia all’Afghanistan.
E’ vero che negli ultimi tempi, con l’esplodere della guerra
civile siriana e l’acutizzarsi della crisi irachena, i flussi
di combattenti dal Canada si sono diretti proprio verso quest’area.
Oltre un anno fa le cronache raccontavano la storia di
Ali Mohamed Dirie, un canadese di origini somale,
morto nei combattimenti in Siria. E soltanto lo scorso agosto
un altro canadese, il 23enne Abu Turaab al-Kanadi,
ha postato su Twitter fotografie di materiale bellico
sottratto agli americani. Prima di diventare un entusiasta
adepto dell’Isis, il giovane lavorava nell’estrazione del
petrolio.
“I terroristi non troveranno un facile rifugio”, ha
spiegato poche ore dopo l’attacco al Parlamento il primo
ministro Stephen Harper e la frase, oltre che
una risposta a caldo, è parsa anche e soprattutto il
riconoscimento che in Canada, un Paese da sempre segnato
dall’orgoglio per la difesa dei valori di tolleranza
e multiculturalismo, sta iniziando un altro
tipo di dibattito: quello sul terrorismo e sulla sua effettiva
minaccia all’interno. Sul breve periodo, uno dei problemi più
urgenti resta quello di monitorare le decine di militanti cui
viene impedito di partire per le aree calde del mondo, ma che
restano un problema per la sicurezza interna.
Sul più lungo termine, i fatti di questi giorni finiranno con
ogni probabilità per favorire un fenomeno tipico di altri
Paesi colpiti dal terrorismo: il rafforzamento degli
apparati di sicurezza e spionaggio.
Già poche ore dopo l’attacco al Parlamento, alcuni deputati
canadesi hanno chiesto nuovi poteri per il Canadian
Security Intelligence Service (CSIS), i servizi canadesi.
L’autorità del Csis era stata limitata dopo gli abusi compiuti
negli anni Ottanta contro i separatisti del Quebec.
Con il terrorismo casalingo in ascesa, alcuni stanno già
chiedendo il ripristino dei vecchi metodi: maggiori poteri di
spionaggio e intercettazione, interrogatori
con meno garanzie per l’indagato, un
allentamento dei controlli delle autorità giudiziarie su
quello che fanno i servizi segreti.
BAGDAD - Evidenti segni di
avvelenamento da cloro. Per questo motivo 11 soldati iracheni
sono stati ricoverati il mese scorso all'ospedale di Balad,
un'ottantina di chilometri a nord della capitale irachena. E' la
prova, secondo quanto riportato dal Washington Post,
dell'uso da parte dei miliziani dello Stato islamico di armi
chimiche contro le forze governative di Bagdad. Gli Stati Uniti,
come annunciato dal Segretario di Stato John Kerry, stanno
cercando conferme: "Queste accuse sono estremamente serie e
stiamo cercando ulteriori informazioni che ci mettano in grado
di stabilire quanto successo", ha spiegato Kerry.
L'episodio, denunciato dalle autorità irachene, è avvenuto il
mese scorso. I miliziani dell'Is hanno fatto esplodere una
carica di gas cloro che avrebbe sprigionato un fumo giallastro,
avvelenando i poliziotti. L'attacco è stato confermato al
Washington Post da una fonte del ministero della Difesa
iracheno e dai medici che hanno curato gli agenti, tutti
sopravvissuti. Uno dei medici, Hassanain Mohammed, ha detto di
aver già curato casi simili in passato, dal momento che nel 2006
e nel 2007 era stata al-Qaida in Iraq a usare tali ordigni. In
precedenza altri rapporti non confermati avevano accusato lo
Stato islamico di usare armi chimiche, nella loro avanzata tra
Siria e Iraq.
Le ampie porzioni di territorio conquistate dai jihadisti
comprendono anche l'area dove sorge un ex impianto per la
produzione di armi chimiche dell'epoca di Saddam Hussein. Anche
se, secondo gli esperti di armi chimiche, i circa 2.500 razzi
contenenti agenti nervini che potrebbero essere caduti nelle
mani dell'Is sarebbero probabilmente inutilizzabili. Gli
ispettori internazionali li sigillarono all'interno di un bunker
di cemento oltre 20 anni fa.
L'organizzazione per la proibizione delle armi chimiche il mese
scorso ha affermato che il gas cloro, ampiamente usato durante
la Prima Guerra Mondiale, è stato impiegato "sistematicamente"
nei villaggi della Siria settentrionale. Il governo Usa ha
finora sempre accusato degli attacchi
il regime di Damasco, ma per quanto riguarda l'Iraq, erano
anni che il gas non veniva impiegato in battaglia.
DOSSIER/LA MINACCIA DELLO STATO ISLAMICO
Raid francesi distruggono arsenali Is in Iraq.
In Iraq continuano i raid della
coalizione anti-Is. Questa mattina raid aerei francesi hanno
distrutto 12 edifici ad ovest di Kirkuk nei quali era custodito
un arsenale degli jihadisti dello Stato islamico. Secondo il
Capo di Stato Maggiore di Parigi, Pierre de Villiers, "sono
state sganciate 70 bombe su 12 obiettivi". La Francia è stato
il primo Paese ad aderire a settembre alla coalizione
internazionale guidata dagli Stati Uniti. Oggi il presidente
francese Hollande ha annunciato che la Francia imprimerà
"un'accelerazione al ritmo dei suoi interventi" militari contro
l'Is.
Siria, stallo a Kobane. Curdi smentiscono Erdogan:
"Nessun accordo con Esl". In Siria
situazione di stallo a Kobane, la città curda al confine con
la Turchia dove i jihadisti dello Stato islamico e i peshmerga
curdi stanno conbattendo casa per casa. I raid aerei della
coalizione hanno frenato l'avanzata dei fondamentalisti sunniti
che nei giorni scorsi sembravano in procinto di conquistare la
città. Fonti americane hanno riferito che tra Iraq e Siria sono
state eseguite 6.600 operazioni aeree e sono state sganciate
oltre 1.700 bombe. I vertici militari americani si dicono
ottimisti sulla sorte della città che "non è più sul punto di
cadere".
Si combatte anche ad est della città di Homs, dove i miliziani
dell'Is e i soldati fedeli al dittatore siriano Bashar al-Assad
stanno lottando per il controllo di installazioni petrolifere.
Ed è polemica tra il presidente turco Tayyip Erdogan e le forze
curdeo-siriane. Ankara, dopo aver dato l'ok nei giorni scorsi al
passaggio attraverso la Turchia dei peshmerga curdi dall'Iraq
alla Siria (saranno in tutto 150), ha annunciato l'accordo tra
il principale partito curdo-siriano, il Partito di unità
democratica (Pyd) e l'esercito siriano libero (Esl), la milizia
dei ribelli siriani. Grazie all'accordo 1300 combattenti
andranno a Kobane passando per la Turchia. L'accordo però è
stato seccamente smentito dai vertici delle milizie curde.
Citato dalla tv panaraba al-Arabiya, il co-presidente del Pyd,
Saleh Muslim, ha detto che nessun accordo è stato raggiunto
finora con l'Esl. "E' una notizia falsa diffusa di proposito",
ha detto Muslim, che ha aggiunto: "Lo scopo è confondere. Alcuni
gruppi legati all'Esl già combattono con noi. Nell'eventualità
di una cosa del genere vengono da noi e ci chiedono il permesso".Isis,
Nato: “Pronto intervento su confine turco”. Jihadisti avanzano a
Kobane
L'organizzazione internazionale pronta ad
aiutare Ankara via terra. I militanti dell'Isis hanno
nuovamente preso il controllo della collina di Kobani.
Dall'inizio dei raid della coalizione internazionale sono
morte in Siria 553 persone
“Se sul confine turco-siriano si dovessero
intensificare le minacce dell’Isis, la
Nato è pronta a intervenire in difesa di Ankara“.
E’ quanto annunciato dal comandante militare della Nato,
Philip Breedlove. I militanti dello Stato islamico
hanno nuovamente preso il controllo della collina di Kobane dopo
che all’inizio del mese i curdi erano riusciti a sottrarla dal
loro potere. I combattimenti si sono susseguiti durante la notte
e le milizie dell’Isis stanno tentando di prendere la città
attaccandola su tre fronti. La coalizione internazionale contro
lo Stato islamico (ex Isil), guidata dagli
Stati Uniti, ha compiuto quattro attacchi aerei
sul campo petrolifero nell’est della Siria,
vicino al confine con l’Iraq, mentre il
presidente Francois Hollande ha fatto sapere
che le truppe francesi hanno lanciato nuovi raid aerei in Iraq
contro obiettivi dell’ex Isil.
Nato:
pronti a intervenire per difendere la Turchia
“Se Ankara vedesse la
necessità che la Nato sia più coinvolta via terra e le chiede
aiuto, la Nato è pronta. Lavoreremo insieme per affrontare
questa sfida sul confine”. Così il comandante militare della
Nato, Philip Breedlove. L’Alleanza aveva già fornito alla
Turchia un sistema di difesa missilistica, il Patriot, che aveva
schierato al confine con la Siria. Frederick Hodges,
ha aggiunto che i combattenti provenienti dall’Europa
occidentale e Nord America che rientrano in patria dalla Siria o
dall’Iraq rappresentano una minaccia. “Migliaia di questi
giovani radicalizzati arrivano dagli Stati Uniti e dal Canada e
da quasi tutti i Paesi d’Europa fino in Siria per unirsi allo
Stato islamico, fare esperienza per poi portarla in patria.
Questa è una minaccia seria e penso che ogni nazione
dell’alleanza sia preoccupata”.
I
militanti Isil vicini alla collina di Kobani
“Kobani è stata
testimone di feroci scontri da ieri sera in quella che si può
definire la notte peggiore della città da quando è iniziato
l’assedio”, così si è espresso Idris Nassan,
vice ministro degli affari esteri dell’amministrazione civile
curda di Kobani. L’osservatorio siriano per i diritti umani,
infatti, ha reso noto che i militanti dello Stato islamico
hanno nuovamente preso il controllo della collina vicino alla
città. I combattenti curdi si sono ritirati dalla zona di Tel
Shair dopo che, un mese fa, erano riusciti a mettere i fuga gli
estremisti islamici. L’Isis sta tentando di espugnare la città
su tre fronti e sul lato orientale di Kobani sono state
segnalate vittime in entrambe le parti.
I primi
risultati dei raid aerei sui jihadisti
Questa settimana il Comando centrale
degli Stati Uniti aveva fatto sapere che le forze Usa
hanno condotto oltre 135 attacchi aerei contro
i militanti dell’Isil a Kobani e nei dintorni, uccidendo
centinaia di combattenti. I raid aerei sui jihadisti in Iraq e
Siria stanno dando i primi risultati anche per stroncare il
contrabbando di petrolio che rappresenta la principale fonte di
finanziamento dell’Isis. Lo ha detto il sottosegretario al
Tesoro americano, David Cohen, sottolineando
come la vendita del greggio sul mercato nero abbia finora
portato nelle casse dei terroristi circa un milione di dollari
al giorno. Anche le forze aeree francesi sono impegnate
nell’offensiva militare guidata dagli Stati Uniti contro lo
Stato islamico in Iraq. Hollande ha fatto sapere che “c’è stato
un nuovo attacco aereo francese che ha colpito il suo
obiettivo”. Il presidente francese non ha fornito dettagli sugli
obiettivi distrutti, ma secondo il quotidiano Le Figaro il
caccia francese Rafale ha colpito un veicolo
armato dell’Isil a nordovest di Mossul.
Il
bilancio delle vittime dall’inizio dei raid
Dallo scorso 23 settembre, in Siria, sono
morte 553 persone. Questo il bilancio delle
vittime da quando sono cominciati gli attacchi aerei della
coalizione internazionale contro lo Stato islamico. Lo riferisce
l’Osservatorio siriano per i diritti umani, precisando che il
numero include 32 civili fra cui sei
bambini e cinque donne. L’Osservatorio spiega di avere
inoltre documentato la morte di 464 combattenti dell’Isil e 57
del Fronte Nusra legato ad al-Qaeda,
uccisi in attacchi aerei nelle provincie settentrionali di
Aleppo e Idlib. Molti
combattenti dello Stato islamico sono stati uccisi dentro Kobani
o nei pressi della città. I militanti dell’Isil hanno preso il
controllo di decine di villaggi curdi vicini a Kobani e hanno
costretto oltre 200mila persone a fuggire verso la vicina
Turchia.
L’Isis ha giustiziato in pubblico un cameraman
iracheno, suo fratello e altre due civili a Samra,
villaggio a nord di Baghdad. Lo ha reso noto un
membro della famiglia del giornalista, Raad al-Azzawi,
di 37 anni, che lavorava per la tv locale Sama Salaheddine.
Sempre oggi l’Isis avrebbe giustiziato, nel nord del paese, altre
persone sospettate di avere legami con gruppi sunniti anti-jihadisti,
riferiscono fonti della sicurezza e testimoni. Secondo Reporters
sans frontières (Rsf), il giornalista, padre di tre figli, è
stato rapito dal gruppo jihadista il 7 settembre scorso. “Sono
venuti a casa e hanno preso lui ed il fratello”, ha riferito una
fonte della sua famiglia spiegando che “non aveva fatto nulla di
sbagliato: la sua unica colpa era quella di essere un cameraman che
stava semplicemente facendo il suo lavoro”. “Qualcuno nel villaggio
lo ha accusato di lavorare per il governo, denunciandolo ai
jihadisti”, ha aggiunto. Secondo un comunicato di Rsf, il
mese scorso l’Isis aveva minacciato di uccidere il cameraman perché
si era rifiutato di lavorare per il gruppo. A Baghdad,
due autobomba sono esplose in quartieri sciiti della città
provocando 34 morti e 54 feriti.
sis,
Consiglio supremo di difesa: "Rischi
rilevanti per l'Europa e per
l'Italia"
"La pressione militare dell'Isis
in Siria e in Iraq
implica rischi rilevanti per
l'Europa e per l'Italia",
"l'Italia, insieme a Onu e Ue,
consideri con estrema attenzione gli
eventi" ed "eserciti ogni possibile
sforzo per prevenire, in
particolare, l'ulteriore
destabilizzazione della Libia". E'
quanto afferma il Consiglio Supremo
di Difesa.
"La minaccia - afferma il
consiglio - costituita dai
cosiddetti foreign fighters
rende evidente l'esigenza di uno
sforzo integrato
e senza
soluzione di continuità, sia sul
fronte informativo sia su quello
esecutivo, da parte dei dispositivi
di sicurezza esterna e interna
nazionali e internazionali".
Nella nota finale del consiglio è
scritto che la situazione in atto
dimostra l'urgenza e l'importanza,
pur nei limiti della ridotta
disponibilità di risorse, di una
rapida trasformazione delle nostre
Forze Armate e dell'organizzazione
europea della sicurezza. Se le prime
dovranno essere rese più pronte ed
efficaci rispetto ai compiti da
assolvere nelle aree di prioritario
interesse per il nostro Paese, il
solo sforzo nazionale non potrà
essere sufficiente a garantire
l'Italia, come ciascuno degli altri
Paesi europei, dalle minacce e dai
rischi che si prospettano già nel
breve termine.
"Il quadro della situazione - si
evidenzia - internazionale mostra
tensioni e instabilità crescenti. In
Ucraina il conflitto appare
tendenzialmente frenato dagli sforzi
politici e diplomatici in atto che
vedono il costante impegno del
nostro Paese. E' indispensabil
e dare
continuità e sbocchi risolutivi a
questi sforzi".
L’Isis prende casa
in Turchia
In
questi giorni
i miliziani dello Stato islamico hanno lanciato un
violentissimo assedio a Kobane, la Stalingrado
curda in Siria, a ridosso del confine con la Turchia,
dimostrando ancora una volta di disporre di competenze
logistico-militari sufficienti per allargare il proprio territorio
ed estendere l’egemonia del Califfato nella
regione. Nelle stesse ore, il premier turco Ahmet Davutoglu
si è affrettato ad assicurare che il suo governo farà il possibile
per impedire che i jihadisti conquistino la città,
ma dietro le sue parole c’è un retroscena piuttosto controverso, che
vede Ankara in prima fila tra i maggiori sostenitori dell’Is(is).
Non è un caso che le principali roccaforti del
gruppo terroristico siano raggruppate proprio lungo la frontiera
turca, che sembra aver offerto all’Is(is) molto più di un
semplice valico di confine. Tempo fa è saltata fuori una
sensazionale foto che ritrae il loro portavoce, Abu Muhammad,
in un letto dell’ospedale statale di Hatay mentre riceve le cure
per le ferite che si è procurato durante alcuni combattimenti.
Oggi Hatay è una sorta di autostrada jihadista
a doppio senso di circolazione, oltre che l’area che ospita uno dei
più grandi centri profughi di rifugiati siriani. Sarebbero migliaia
i guerriglieri, anche affiliati ad Al Qaeda,
che negli ultimi mesi hanno varcato la frontiera per dirigersi in Siria. Il 13 giugno un report del quotidiano
Milliyet ha stimato in circa 3 mila unità i combattenti turchi che
hanno giurato fedeltà ad Abū Bakr al-Baghdādī.
Secondo il giornale turco
Aydinlik, i terroristi dell’Is(is)
avrebbero anche aperto un proprio ufficio diplomatico, una specie di
consolato riadattato nel quartiere di Cankaya, ad Ankara, messo in
piedi per rilasciare visti a coloro che vogliono unirsi alla lotta
contro i governi siriano e iracheno. Altre fonti riferiscono che ad
alcuni militanti dello Stato islamico è stato concesso di circolare
liberamente in Turchia; alcuni di loro avrebbero persino preso
in affitto abitazioni lussuose nel cuore di Istanbul per usarle
come uffici personali.
Il motivo per cui
Erdogan abbia deciso di sostenere silenziosamente l’Is(is)
è molto semplice: vuole eliminare definitivamente il
regime di Assad, di fronte al quale la Turchia mostra i
muscoli ormai da un paio d’anni. Più volte Ankara in passato è
giunta a minacciare l’attuazione dell’articolo 5 del Patto
Atlantico, che prevede la difesa comune nel caso di
attacco contro uno dei Paesi membri della Nato, a
seguito di alcuni missili esplosi da Damasco e caduti proprio sul
territorio turco.
Ma Erdogan vuole anche prevenire la nascita del
Rojava (il nascente Stato curdo) nel nord-est, la cui
leadership è schierata al fianco del Pkk, la formazione (un tempo)
ritenuta terrorista da Usa e Unione Europea.
E le armi consegnate ai peshmerga per combattere l’Is(is), in
questo senso, qualche problemino lo hanno creato.
Poi c’è un terzo fattore, economico e per questo
determinante: il petrolio.
Fiumi di greggio prodotti nel Califfato starebbero arrivando in
Turchia a prezzi stracciati. La realtà è che il labirinto
di interessi è molto articolato: quello che oggi dovrebbe essere
l’alleato chiave della Nato in Medio Oriente è anche il più
inaffidabile nella lotta ai jihadisti dello Stato islamico.