INTERNOTIZIE PRIMA COLONNA 1  -

 Index PRima Colonna
1
-
2

ECONOMIA

Ue: Juncker, i proiettili della cerbottana di Bruxelles

Economisti e operatori di mercato amano chiamare le politiche straordinarie tanto attese della Bce “bazooka”. Se Mario Draghi ha facoltà di sparare qualche razzo (il famoso quantitative easing, l’acquisto massiccio di titoli di Stato per immettere liquidità), la Commissione europea di Jean Claude Juncker pare essersi ormai rassegnata a usare soltanto una cerbottana. I cui proiettili possono creare qualche fastidio al grande nemico – la stagnazione dell’economia reale – senza scalfirlo.

Juncker 675

Ieri Jean Claude Juncker ha presentato al Parlamento europeo qualche dettaglio del suo programma politico. Sorvoliamo sugli annunci di una migliore equità fiscale, poco credibili se arrivano dall’ex premier del Lussemburgo sotto accusa proprio per gli accordi privilegiati concessi alle multinazionali quando era a capo del Gran Ducato. E speriamo che il “nuovo approccio all’immigrazione” sia qualcosa di concreto, visto che l’Italia è sicuramente il Paese più interessato all’argomento. L’idea di cancellare circa 80 proposte di legge all’esame del Parlamento è una buona idea, per mettere meglio a fuoco le priorità politiche. Che sono note da tempo: aiutare disoccupati più giovani e quelli maturi difficili da ricollocare a rimanere attivi, sviluppare il digitale e l’unione dell’energia. Ma la sostanza resta il piano di investimenti: 21 miliardi che devono diventare 315, i capitali pubblici fanno da garanzia a progetti finanziati da privati.

Juncker non ha ancora risposto alle obiezioni sollevate al suo piano, ben riassunte dall’ex direttore esecutivo del Fmi Andra Montanino sul sito Euobserver.com. Primo: i progetti saranno selezionati dalla Banca europea degli investimenti, ma i soldi ce li devono mettere soprattutto i privati. Il rischio è che i progetti che sarebbero stati comunque finanziati otterranno soldi “con lo sconto”, grazie ai capitali pubblici usati come garanzia che riducono il costo del credito, mentre quelli poco attraenti verranno comunque snobbati.

Seconda obiezione: questi schemi di finanziamento pubblico-privato già operano a livello nazionale. Perché il piano Juncker dovrebbe funzionare là dove questi hanno fallito? Pensate all’Italia: difficile immaginare che all’improvviso si faccia la banda larga grazie agli investimenti europei, visto che le risorse sarebbero già disponibili (Cassa depositi e prestiti) ma manca la volontà politica e industriale (Telecom) per farli. Terzo: i privati cercheranno di finanziare i progetti più redditizi che, inevitabilmente, saranno soprattutto nei Paesi che crescono di più. E che quindi avrebbero meno bisogno di aiuti. Juncker continua a parlare del suo piano, ma a queste obiezioni non ha ancora dato risposta.   

 

Standard&Poor’s taglia rating dell’Italia
a un gradino sopra il livello ‘spazzatura’
. DRAGHI NON SI MUOVE E CIO' PUO' ESSERE MOLTO PERICOLOSO....

Il sentimento di ieri sui mercati finanziari era la delusione: la Banca centrale europea di Mario Draghi non annuncerà a breve l’atteso Quantitative easing, l’acquisto massiccio di titoli di Stato, e se mai lo farà, il programma non sarà all’altezza delle attese.

Le borse hanno reagito male alla conferenza stampa mensile di Draghi, anche se, in apparenza, avrebbero dovuto festeggiare: “L’acquisto di titoli di Stato rientra chiaramente nel mandato della Bce”, ha detto il presidente aggiungendo due dettagli. Primo: con la bassa inflazione, nelle nuove stime sarà 0,5 per cento nel 2015, attuare misure straordinarie non è un’opzione ma quasi un dovere, perché non agire equivale a una stretta di politica monetaria. Secondo: la decisione può essere presa anche a maggioranza, cioè senza il parere positivo della Bundesbank tedesca che continua a opporsi. Draghi ha anche ribadito che l’obiettivo è riportare il bilancio della Bce sui livelli di marzo 2012. Che equivale alla promessa di comprare fino a 1.000 miliardi di titoli di Stato e altri asset per immettere liquidità nell’economia europea, alleggerire i bilanci delle banche, spingere la ripresa, lasciar correre un po’ l’inflazione e quindi ridurre il peso del debito per chi deve pagare gli interessi (erosi dall’inflazione).

E allora perché i mercati hanno reagito così male? Piazza Affari ha fatto -1,97, il contagio è arrivato anche a Wall Street. La spiegazione è nei toni e nella prudenza: Draghi ha chiarito che il Quantitative easing, dato ormai per certo, non sarà il miracolo che in tanti attendono. Sarà semplicemente un’operazione di politica monetaria – visto che non si possono più tagliare i tassi di interesse nominali, fermi allo 0,05 per cento, si usa la leva degli acquisti di titoli per smuovere le cose – e non sarà un sostegno ai governi. Nessuna “monetizzazione del debito”, vietata dai trattati e dallo Statuto Bce: i soldi, par di capire, andranno a chi ha titoli di Stato in portafoglio, non ai governi che emettono nuovo debito, come è successo con i Quantitative easing degli Stati Uniti attuati dalla Federal Reserve negli ultimi cinque anni.

La Bce ha un problema monetario, ma non si sta caricando i destini dell’intera area euro, come fece nel 2012 lanciando le operazioni Omt (la promessa di acquisti illimitati del debito di un Paese che facesse richiesta di aiuto). Questa volta gli interventi non saranno mirati, ma erga omnes, per tutta la zona euro. “Non siamo politici, abbiamo un mandato molto preciso”, ha sottolineato Draghi per spiegare che non può essere lui a risolvere i problemi dei governi alle prese con la stagnazione e la disoccupazione a due cifre. Anche i tempi sono incerti: se mai il Quantitative easing sarà annunciato, bisognerà aspettare almeno febbraio, o magari marzo, chissà. La Bce prende tempo. La spiegazione di questa tattica all’apparenza dilatoria la offriva il FinancialTimes di ieri: i Quantitative easing funzionano soltanto prima di essere lanciati per davvero, perché gli investitori comprano titoli di Stato sapendo che un domani potranno rivenderli alla Banca centrale. E così i rendimenti scendono, assieme al costo per i governi di emettere nuovo debito: sul mercato i Btp italiani a dieci anni hanno un rendimento bassissimo, sotto il 2 per cento.   

Ma quando il Quantitative easing parte davvero e la Bce comincia a comprare, i rendimenti possono salire, cioè andare nella direzione opposta a quanto sperato. “L’unica cosa sensata da fare quando una Banca centrale stampa denaro è vendere bond. Il fatto che loro li comprino non importa”, spiegava al Financial Times Laurence Mutkin di Bnp Paribas. E se tutti vendono, il rendimento richiesto per detenere l’obbligazione in portafoglio aumenta. Morale: il Quantitative easing di Draghi sta già funzionando, il debito costa sempre meno e in sei mesi l’euro è passato da 1,36 dollari a 1,21. Quando la Bce comprerà davvero, ci potrebbe essere il contraccolpo. A Draghi conviene tenere i mercati col fiato sospeso.  

Petrolio sotto 70 dollari e Wall Street frena
Effetto Draghi, nuovo minimo per i Btp: 133

Risparmi di tre miliardi per il Tesoro. I mercati Ue fiacchi dopo il nuovo calo dell'inflazione Ue. Continuano i ribassi del petrolio dopo la scelta dell'Opec di non tagliare la produzione: pesante il comparto energetico. In rosso Piazza Affari, l'Europa chiude in parità con Wall Street che frena dopo il nuovo calo del Wti

VERSO LA TEMPESTA PERFETTA??

LA CORSA AL DEBITO ITALIANO, COSA C'E' DIETRO??Debito, le cose vanno un po’ troppo bene. E’ una bolla?

Due giorni fa a Piazza Pulita, su La7, l’imprenditore-politico romano Alfio Marchini ha detto che l’Italia deve ristrutturare il suo debito perché così non è più sostenibile e impedisce la ripresa. Un’impresa cerca di convincere i creditori a un rinvio dei rimborsi o a uno sconto quando non è più in grado di pagarli. Per uno Stato sovrano, che ha continuo bisogno di finanziarsi sul mercato, equivale al default.

bollaSi potrebbe discutere per giorni se la traumatica ricetta ha senso. Ma è più interessante la premessa: davvero il debito italiano è insostenibile? Sembra di no: il rendimento dei buoni del Tesoro a 10 anni è passato in un anno dal 4,09 per cento al 2,17, costa oggi la metà che a fine novembre 2013. Nell’ultimo Rapporto sulla Stabilità finanziaria della Banca d’Italia si legge che il ministero del Tesoro ha riportato la durata media del debito residuo a 6,4 anni: una buona notizia, nei tempi difficili si accorcia perché finanziarsi a breve costa meno ed è più facile se gli investitori non si fidano di avere indietro i loro soldi dopo 10 anni. A fine giugno, ultimi dati disponibili, la quota di debito italiano in mano a non residenti, quelli più inclini a vendere in caso di panico, era il 29,4 per cento, in aumento del 2,4 rispetto alla fine del 2013. E, visto che i buoni del Tesoro rendono meno, di tutti quelli in circolazione ora le banche italiane ne hanno il 20,1 per cento. Tantissimo, ma meno del 21,7 di un anno fa. Un’inversione di tendenza importante. In estate si è vista una certa fuga dagli asset italiani, misurata nel sistema Target2 (compensazione tra Banche centrali dell’area euro), ma Bankitalia dice che “probabilmente” si è trattato solo dell’effetto di alcune operazioni del Tesoro nella gestione del debito. Dal lato del debito va tutto bene, insomma. Anche troppo.

La crescita non si vede, il Pil nel 2015 crescerà al massimo dello 0,5-0,6 per cento, il debito aumenterà ancora al 133,8 per cento, il deficit sarà almeno il 2,7 (ma molti si aspettano che, a consuntivo, quel del 2014 risulterà superiore al 3 per cento, trascinando al rialzo il dato 2015 e innescando sanzioni europee). La manovra è piena di buchi, tra clausole di salvaguardia, tagli lineari dall’impatto incerto e misure anti-evasione che, seppur descritte come serie dai tecnici, possono essere valutate davvero soltanto ex post. Se i mercati fossero razionali, dovrebbero guardare con maggiore sospetto all’Italia, soprattutto ora che la Banca centrale europea sembra bloccata tra le promesse di Mario Draghi e i veti del tedesco Jens Weidmann. Invece gli investitori continuano a trattarci con benevolenza. Quando nella finanza ci sono cose inspiegabili, spesso si tratta di bolle, cioè di comportamenti assurdi basati su ipotesi sbagliate. Tutte le bolle scoppiano. E di solito fanno molti danni.  

L’oro nero di Renzi, l'incredibile ribasso del petrolio e dell'euro,uniti al QE, spingeranno il PIL italiano?

Il governo si attende l’anno prossimo una crescita del Pil dello 0,6%. Ma l’Istat vede uno 0,5% , l’Ocse si attende un misero +0,2%  e Moody’s addirittura una crescita nulla. Persino la Bce vede nero. Il più ottimista è il Fmi (0,8%), le cui stime però risalgono allo scorso settembre. Quanto alla gente comune, dopo anni di falsi annunci sull’imminenza di una ripresa, nessuno ha più voglia di illudersi.

Eppure il Fmi questa volta potrebbe avere ragione, grazie alla guerra dei prezzi in corso sui mercati petroliferi globali. L’Arabia Saudita sta cercando di mettere fuori mercato lo shale oil e lo shale gas americani: le quotazioni crollano, e il settore (che ha in carico enormi investimenti fissi) traballa. Finora i prezzi del petrolio sono scesi di circa il 27% in dollari e del 20% in Euro. E non sembra finita qui. L’International Energy Agency si attende prezzi in ulteriore calo almeno fino alla prossima estate.

gawro1

È un classico dei mercati oligopolistici: il produttore ‘leader’ (con i costi più bassi) riduce temporaneamente i suoi profitti al fine di impartire una lezione memorabile a chiunque, anche in futuro, pensasse di entrare nel settore. E i potenziali ‘entranti’ non mancano: dalla Russia alla Cina, dal Brasile al Sud-Africa.

gawro2

L’Italia spende circa 60 miliardi di euro all’anno nell’importazione di prodotti energetici: soprattutto petrolio (31), gas (20), energia elettrica (3,5), combustibili solidi (2) e biomasse (1,5): il 4% del Pil. Una riduzione del 15% della bolletta energetica nazionale può far salire il Pil di 0,5%, senza considerare gli effetti positivi di un miglioramento delle aspettative energetiche sui contratti a lungo termine. Inoltre grazie allo shock petrolifero la crescita globale dovrebbe accelerare: il Fmi stima un +1% (basta rovesciare il Grafico ‘Scenario 2’ a pag 16). Unita al deprezzamento dell’euro, la maggiore crescita – soprattutto nei paesi europei – può stimolare le esportazioni e la domanda interna per un altro 0,4% (nonostante alcuni effetti perversi per via della deflazione). Se l’anno prossimo la crescita italiana sorprenderà, dovremo ringraziare l’ottuagenario sceicco Ali bin Ibrahim Al-Naimi.

Per l’Italia, si tratta di un’occasione unica per uscire dalla crisi. La bilancia commerciale nel 2015 tenderà ad un surplus vicino al 2% del Pil: se perciò la politica si orientasse verso un rilancio della domanda interna, non dovrebbe scontrarsi con il c.d. ‘vincolo estero’. E d’altro lato, l’imminente quantitative easing della Bce fornirà finanziamenti a basso costo. Ma i responsabili della politica economica coglieranno quest’occasione? Il punto cruciale, per venirne fuori, è dare una svolta delle aspettative: e a tal fine occorre un ‘cambio di regime’. Un aumento della spesa pubblica in infrastrutture, in beni e servizi, e per il sostegno alla povertà assoluta è il modo più efficace per stimolare la domanda interna con pochi soldi: essi rientrerebbero abbondantemente, nel giro di due anni, grazie all’ampliamento della base imponibile. Se invece il governo si farà prendere dal panico – a causa della prevedibile caduta del gettito delle accise sui carburanti, e dei richiami europei – ed alzerà le tasse, la svolta delle aspettative non ci sarà; e fra due anni ci potremmo ritrovare con i prezzi del petrolio nuovamente in crescita.

 

 

EURO CHECHING,USCIRE DALL'EURO SI PUO'

crescita_ue.jpg
Le riforme strutturali sono depressive

In questi anni abbiamo più volte osservato che in una Grande Recessione l’economia smette di funzionare in modo normale. La ‘trappola della liquidità’ genera un mondo alla rovescia “dove la virtù è vizio, ed il vizio virtù” (Krugman). Qualche esempio:
– L’austerità non riduce il debito pubblico (i moltiplicatori fiscali sono molto più alti del solito)
– I tagli alla spesa pubblica sono più depressivi dell’aumento delle tasse
- Tuttavia alzare l’Iva è molto depressivo (Giappone)
– Stampare base monetaria (M0) non aumenta significativamente la massa monetaria (M3)
– Una crescita della massa monetaria M3 non aumenta l’inflazione
- Ampliare il deficit pubblico non alza i tassi d’interesse
- Le crisi dei titoli pubblici (spread) “non dipendono tanto dal debito pubblico” quanto “piuttosto… dalla banca centrale”: ipse dixit! (Draghi)

Queste proposizioni keynesiane standard sono contro-intuitive. Ma chi ha perseverato nelle politiche di stimolo della Domanda (Usa) si è salvato anche se ha ignorato le Riforme Strutturali (RS). Al contrario, chi (Eurozona) ha ignorato la Domanda e ha insistito sulle politiche dell’Offerta è rimasto sott’acqua. Il grafico evidenzia come la ‘svolta’ verso l’Austerità e le RS, fra la fine del 2010 e il 2011, abbia coinciso con l’avvio della grande divergenza negativa dell’Eurozona. Gli stessi paesi europei fuori dall’Euro – Bulgaria, Romania, ecc. -, non certo modelli di efficienza, hanno fatto talmente meglio da alzare notevolmente la performance dell’Europa (linea intermedia) rispetto all’Eurozona.

gdp-gawroski

È legittimo pertanto chiedersi se in questa situazione anche le RS abbiano impatti diversi da quelli annunciati. Ma cosa s’intende con ‘RS’? Pare una terminologia seduttiva e ‘acchiappatutto’: chi non vorrebbe una riduzione dei tempi della giustizia, della burocrazia o dell’evasione fiscale? Per i critici, la retorica nasconde un solo obiettivo: liberalizzare il mercato del lavoro. Il ministro Padoan però nega: “Abbiamo una strategia” – afferma – che include, oltre al mercato del lavoro, anche riforme per favorire la concorrenza nei mercati dei beni e servizi. È il ministro dell’Economia: va preso sul serio. Gli obiettivi di questa strategia neoclassica (liberista) sono: aumentare la produttività e ridurre i prezzi (salari), per espandere la capacità produttiva e la competitività, e in ultima analisi il Pil.

Il grafico sotto illustra il modello più utilizzato dagli studenti di Economia. Le linee continue della Domanda (AD) e dell’Offerta (AS) aggregata descrivono la situazione in tempi normali. Il sistema economico si trova inizialmente nel punto E, dove s’incontrano AD e AS. Le RS del Governo mirano a spostare la funzione di Offerta (AS) verso destra e verso il basso, e il sistema da un punto E a un punto E’, dove il PIL (asse orizzontale) è più alto.

gdp-gawroski-2

Ma cosa succede se con la Grande Recessione il modello neoclassico salta, e AD e AS mutano in quelle tratteggiate?

Effetto deflazione sul deleveraging – La funzione di Domanda aggregata diventa crescente; uno dei motivi è il c.d. ‘Effetto Fisher’: ogni calo dell’inflazione aumenta il peso reale dei debiti e deprime i consumi. Le RS e i guadagni di produttività provocano uno spostamento di AS’ verso il basso e verso destra e del sistema da E’’ a E’’’, dove il PIL è più basso!

Effetto deflazione sui tassi reali – Il calo dei prezzi provocato dalle liberalizzazioni alza il tasso di interesse reale, deprimendo consumi e investimenti. E poiché il muro contro cui sbatte il Pil in questa fase è la Domanda (la gente non compra), il calo dell’inflazione aggrava la crisi.

Effetto incertezza – Una delle ipotesi implicite nel modello neoclassico è l’invarianza dell’avversione al rischio: bassa, esogena, data. Ma una liberalizzazione – ad es. del mercato del lavoro – toglie la sicurezza del “posto di lavoro” a venti milioni di occupati, inducendoli ad un maggiore risparmio precauzionale (meno consumi). Al tempo stesso, accresce le speranze di trovare impiego (e la propensione al consumo) di cinque milioni di disoccupati. L’ipotesi neoclassica è che i due effetti si compensino. Tuttavia la presenza di avversione al rischio, fortemente stimolata dalla crisi, fa si che il primo effetto sia forte mentre il secondo sia debole. A parità di posti di lavoro, la Domanda Aggregata cala: nel grafico, AD’ si sposterebbe a sinistra.

Effetto ricchezza vs isteresi – Riconoscendo che lo stimolo all’Offerta non serve quando la crescita è bloccata dalla (scarsa) Domanda, per promuovere comunque le politiche dell’Offerta (e indurre la Germania e i paesi latini a un compromesso sull’Euro) Draghi ricorre al seguente argomento. ‘Se aumenta la produttività, aumenta il Pil potenziale, e quindi il reddito nazionale (Pil) futuro. Assumendo aspettative razionali, la prospettiva di arricchirsi in futuro dovrebbe stimolare subito l’ottimismo e i consumi’. In termini grafici, AD’ si sposterebbe a destra ed il Pil aumenterebbe, grazie all’effetto fiducia. Ammettiamo pure che le aspettative siano razionali (dubito): in tempi normali, potrebbe funzionare. Purtroppo però in questa congiuntura l’Offerta non genera la sua Domanda: piuttosto il contrario. E poiché, come illustrato, le RS nel breve termine riducono la Domanda, ciò (a causa dell’isteresi) riduce il Pil potenziale, e il Pil futuro; a causa delle aspettative razionali AD’ si sposta a sinistra, l’effetto ricchezza cambia di segno e diventa depressivo!

Le liberalizzazioni infine si concentrano nei settori protetti e non esportatori: per questo e per altri motivi l’effetto sulla bilancia commerciale è incerto.

Per uscire dalla crisi, nel breve termine bisognerebbe fare il contrario delle RS: aumentare le tutele sul lavoro, ridurre il grado di concorrenza, e spingere i alto i prezzi: meglio se in tutta Europa. Draghi dice che da sola la BCE non ce la fa a combattere la deflazione? Allora bisognerebbe dargli una mano! Vuol dire che dobbiamo per sempre rinunciare alle liberalizzazioni e alle politiche di offerta, e promuovere i monopoli? Nient’affatto. Se le RS fossero congegnate oggi in modo tale da entrare in vigore solo in futuro, quando dovesse tornare la (quasi) piena occupazione, si otterrebbe oggi un effetto ricchezza positivo (senza isteresi). Viceversa, un aumento temporaneo delle protezioni e delle rigidità anti-concorrenziali spingerebbe in alto i prezzi e i salari, favorendo il deleveraging dei debitori, il calo dei tassi d’interesse reali, e stimolando la domanda.

Molti commentatori faticano ad afferrare che oggi certe Riforme Strutturali – che dopo l’austerità ci vengono ora proposte dall’Europa – non solo “non bastano” per uscire dalla crisi: sono proprio dannose!

 

La BoJ stupisce i mercati: nuovi stimoli. Milano vola a +3%, spread giù a 151 punti

La Banca centrale nipponica ha deciso di ampliare l'obiettivo di espansione della base monetaria per contrastare la scarsa inflazione e ridare slancio all'economia. Il Nikkei (+4,8%) sale ai massimi da sette anni, crolla lo yen. Il rendimento dei Btp decennali scende al 2,35%. Euro sotto 1,25 dollari, non accadeva dall'agosto 2012. Perdono terreno oro e petrolio. Rally di Piazza Affari

Bce, lunedì 20 ottobre 2014 via all'acquisto di covered bond: una pioggia da mille miliardi

 

La legge di stabilità non stabilizza

 

 

Atene riaccende l'allarme: l'Europa è più debole per poter reggere a un altro terremoto

La Germania si è opposta a sostenere ancora una volta l'economia greca e ora rischia di far travolgere l'euro

 

Il G20 non è più quello di una volta, ora contano solo i koala

 

 

Bonus 80 euro: calcolare gli effetti con cura

 

Uscita dall’euro: M5S costruisca un fronte comune con le altre opposizioni

 

 

Bce, lo scudo 2012 di Draghi non è impenetrabile

Ci siamo abituati a pensare che la Banca centrale europea possa e debba fare tutto per contrastare la crisi e che soltanto per qualche resistenza tedesca non intervenga con la decisione di cui sarebbe capace. Non è così. Ci sono dei vincoli giuridici che tendiamo a dimenticare, vincoli che Mario Draghiha spinto fino al loro limite estremo (e forse un po’ oltre) ma che resistono.

 

Ieri Hans-Georg Kamman, il capo dei legali della Bce, ha difeso la sua istituzione davanti alla Corte di giustizia europea dove è approdato il ricorso sulla legittimità delle Operazioni monetarie definitive (Omt), annunciate da Draghi nel luglio 2012 con il famoso discorso del whatever it takes, tutto il necessario per salvare l’euro. Peter Gauweiler, politico bavarese della Csu, è il primo firmatario di una denuncia contro la Bce presso la Corte costituzionale tedesca di Karlsruhe, la quale ha poi rinviato il caso alla Corte europea di Lussemburgo.

Le obiezioni di Gauweiler non sono peregrine: con le Omt la Bce si impegna ad acquisti illimitati dei titoli di Stato dei Paesi che fanno richiesta di un programma di sostegno finanziario al Fondo salva Stati Esm, in cambio si impegnano a un programma di riforme. Anche se nessuno ha usato le Omt finora, sostiene Gauweiler, queste operazioni potrebbero violare i trattati: la Bce va oltre il suo mandato e condiziona la politica dei singoli Paesi, altera le dinamiche di mercato obbligazionario e distorce l’attribuzione di prezzi in base alla rischiosità del debitore, la possibilità di acquisti illimitati aggira il divieto di finanziamento monetario (cioè di risolvere da Francoforte i problemi di debito) ed espone la Banca centrale al rischio di perdite.Perché se poi uno Stato va comunque in bancarotta, la Bce subisce il danno e quindi, pro quota, lo subiscono anche gli Stati che ne sottoscrivono il capitale tramite le rispettive banche centrali.

Cosa risponde la Bce? L’avvocato Hans-Georg Kamman ha spiegato che nel 2012 la situazione era drammaticamente difficile e che quindi qualcosa andava fatto. “La stabilità dei prezzi era davvero a rischio”, ha detto, per chiarire che la Bce si è mossa nel rispetto del suo mandato. Argomentazioni condivisibili, ma dall’efficacia giuridica limitata. La Corte europea ci metterà probabilmente oltre un anno e mezzo a decidere, tempi geologici rispetto a quelli della finanza. E forse i mercati neanche se ne preoccupano più delle Omt, ormai il mondo è cambiato rispetto al 2012. Però va tenuto presente che tutti i dubbi (legittimi) sulle OMT si porrebbero all’ennesima potenza per un eventuale Quantitative easing, cioè l’acquisto massiccio di titoli di Stato senza neppure precise condizioni abbinate, come strumento contro la deflazione. La causa in Lussemburgo non produrrà danni reali, ma è un utile a ricordarci che la politica monetaria si è già spinta al limite consentito dalle leggi europee.

Fiat lascia l'Italia e vola a Wall Street: addio al titolo dopo 111 anni

Il Lingotto era arrivato a Piazza Affari nel 1903, venerdì l'ultima seduta a Milano: lunedì debutterà Fca (Fiat Chrysler Automobiles). Si completa il disegno strategico annunciato da Gianni Agnelli nel 1999

 

 

E il dato Istat è peggiore delle previsioni:-0,2%

 

Crescita zero nelle stime Istat
Ideal Standard, l'azienda conferma: "Orcenico chiude".

 

Il deficit è un gioco di prestigio: miracoli per evitare la manovra

 

Meridiana licenzia 1634 persone e blinda sede: “Filo spinato per chiudere l’ingresso”

Meridiana, 1.600 persone in mobilità "Passo obbligato sebbene doloroso"

 

Alitalia-Etihad  firmata la "svolta sexy" che costerà allo Stato almeno 600 milioni  Esuberi e soldi pubblici: giravolte di Lupi
 
 
La compagnia di bandiera ha siglato l’intesa che permetterà al vettore del Golfo di diventare socio al 49%. L'ad della compagnia del Golfo, James Hogan: "Non sarà una rivoluzione ma una evoluzione, vogliamo rendere Alitalia più sexy". Intervento di Poste, amortizzatori sociali e banche: ecco il costo per la collettività (di F. Capozzi). Videoblob: tutti gli annunci del ministro (di G. Ruccia) 

 

Alitalia-Etihad  firmata la "svolta sexy"
che costerà allo Stato almeno 600 milioni
 
Esuberi e soldi pubblici: giravolte di Lupi

 

 

Così le banche preferiscono finanziare lo Stato

Le nuove operazioni di rifinanziamento lanciate dalla Bce riusciranno a garantire la ripresa del credito nei paesi dell’Eurozona? Negativo il fatto che l’incentivo non riguardi i mutui. Ma il vero problema sono i vincoli troppo deboli imposti alle banche sull’utilizzo dei fondi presi a prestito.

 

 

 

 

 

Shale gas, il miraggio sta già svanendo

 

Il successo dell’estrazione di petrolio e gas da giacimenti non convenzionali, in particolare le formazioni di scisti (in inglese shale), è uno dei rari raggi di luce negli anni bui di Grande Recessione. L’impatto è stato impressionante. Da quattro anni gli Usa sono il maggior produttore di gas al mondo e da inizio 2014, con l’equivalente di 11 milioni di barili di petrolio al giorno, sono in testa alla produzione globale di idrocarburi. Il prezzo del gas naturale negli Usa, che a giugno del 2008 aveva superato i 12 dollari per milione di Btu (British thermal units, l’unità di misura più diffusa per il prezzo del gas), piombò a meno di 3 dollari a settembre 2009 e poi fino a un minimo di 2 dollari nell’aprile del 2012. Oggi il prezzo si aggira intorno ai 4 dollari per mBtu. Gli Usa un tempo rassegnati a massicce importazioni di gas liquefatto dal Qatar ora pianificano di esportare verso l’Europa (dove il gas vale 10 dollari per mBtu) e il ricco mercato asiatico (in Giappone il prezzo è circa 15 dollari) e addirittura verso il Medio Oriente.

In taluni settori manifatturieri, inclusi quelli che avevano trasferito le fabbriche in Asia o Messico, ora i costi energetici contenuti (e l’inflazione salariale nei Paesi emergenti) rendono gli Stati Uniti una localizzazione competitiva. L’ottimismo generato da questa manna energetica ha indotto a prevedere che gli Usa possano raggiungere l’autosufficienza energetica nel 2020. Tale epocale inversione non ha sconquassato solo l’economia, ma ha anche accentuato l’istinto isolazionista dell’America profonda e di Barack Obama. Il presidente infatti ha trascurato Libia, Siria, Iraq e teatri di guerra che un tempo avrebbero acceso l’allarme rosso alla Casa Bianca e si è ridestato lentamente dal torpore geopolitico solo di fronte agli sgozzamenti. Sull’approvvigionamento energetico classe politica, Pentagono, società petrolifere e Wall Street (che ha riversato cascate di dollari su progetti targati shale) dopo decenni di patemi e tensioni sono convinti di potersi rilassare.

Tuttavia da questo altare di certezze si odono mandibole di tarli in piena attività: i successi iniziali sono stati inopinatamente proiettati nel futuro per attirare capitali e gonfiare l’ennesima bolla. Una serie di studi del Bureau of Economic Geology (BEG) all’Università del Texas – una tra le più autorevoli think tank in campo energetico – ha rielaborato le previsioni iniziali sulla produzione di shale gas alla luce dei dati fin qui rilevati nei maggiori giacimenti. Tali studi condotti da geologi, economisti e ingegneri forniscono un’analisi, disaggregata per singolo pozzo, fino al 2030 sulla base di diversi scenari di prezzo (che determinano la convenienza economica dell’estrazione). Emerge che, in contrasto con le iniziali proiezioni, la produzione nel bacino texano di Barnett (il più vecchio) segue un declino esponenziale: la produzione raggiunge un picco nei primi mesi di attività, per poi crollare, invece di stabilizzarsi.
Per compensare il rapido declino dei primi pozzi (più promettenti e meno costosi) si deve trivellare più intensamente e con tecnologie più sofisticate e i costi si impennano. Piani di investimento e aspettative di profitti rischiano di trasformarsi in perdite per azionisti e finanziatori incauti.

Da altri grandi giacimenti di shale gas sfruttati da minor tempo, come Haynesville e Marcellus, si temono analoghi dispiaceri. Oltre al gas, anche i dati dai pozzi di petrolio da scisti di Eagle Ford in Texas, elaborati da Arthur Berman indicano un preoccupante declino. La Shell ha iscritto a bilancio perdite per 2, 1 miliardi di dollari dall’investimento in Eagle Ford. Un altro colosso mondiale delle materie prime, BHP Hilton, che aveva scommesso 20 miliardi di dollari sugli idrocarburi da scisti ha annunciato di voler vendere metà dei suoi bacini. Una doccia gelida è anche arrivata dall’Energy Information Administration (EIA) del governo Usa che ha tagliato del 96 per cento (da 13, 7 miliardi di barili ad appena 600 milioni) le stime di petrolio estraibili dal bacino Monterey lungo circa 2500 chilometri in California e considerato (ormai erroneamente) il più grande degli States con due terzi delle riserve petrolifere non convenzionali. Insieme alle stime sono evaporati 2,8 milioni di posti di lavoro attesi entro il 2020, oltre a 24, 6 miliardi di dollari introiti fiscali e un 14 per cento di aumento del Pil californiano.

L’epopea dei combustibili fossili oscilla da due secoli tra presagi di esaurimento imminente ed esaltazione da scoperte di giacimenti giganteschi. Lo shale gas ha alimentato aspettative mirabolanti probabilmente destinate ad ridimensionarsi. Il miraggio dello shale aveva colpito dalla Polonia al Regno Unito, dall’Argentina alla Cina. Ma al di fuori del Nord America al momento non si registrano successi di rilievo. In Polonia si sono accumulate perdite e dispute tra governo società petrolifere, mentre Oltremanica il governo sembra scettico. In Italia – dove comunque non si segnalano sostanziali giacimenti non convenzionali e la Strategia Energetica Nazionale esclude espressamente estrazioni da scisti – la Commissione Ambiente della Camera ha approvato da pochi giorni un emendamento che proibisce il fracking, cioè la tecnologia per estrarre lo shale gas.

IL CONGRESSO EUROASIATICO A MILANO, 16 OTTOBRE 2014

 

Champions League 2014 al via: la coppa ‘democratica’ di Platini vale 1,3 miliardi

 

eBay si separa dai pagamenti di PayPal e li prepara alla quotazione

L'annuncio del consiglio di amministrazione del colosso delle vendite online. "Migliore decisione per un percorso di crescita di entrambe le società". Dan Schulman sarà il ceo

MILANO - Il consiglio di amministrazione di eBay ha dato il via libera all'operazione di spin-off di PayPal, il servizio di pagamenti online, ritenendo la decisione la migliore per un percorso di crescita e la creazione di valore per gli azionisti di entrambe le società. PayPal sarà anche quotata in Borsa. Dan Schulman, presidente della divisione per la crescita delle imprese in American Express, sarà il nuovo presidente della divisione dei pagamenti con effetto immediato. Una volta avvenuta la separazione, il 56enne Schulman assumerà l'incarico di ceo.

La decisione annunciata oggi segue l'attivismo di Carl Icahn all'inizio dell'anno, che puntava proprio a raggiungere il risultato di scorporare l'attività dei pagamenti dal maggior mercato online al mondo. Devin Wening, l'attuale presidente di eBay Marketplaces, sarà il ceo della nuova eBay. Nell'entità nascente non avranno invece ruoli esecutivi l'attuale ceo John Donahoe e il responsabile delle finanze Bob Swan.

"Per più di un decennio", ha detto proprio Donahoe in una nota, "eBay e PayPal hanno tratto benefici dal fatto di essere parte di un'unica compagnia, creando così valore per gli azionisti. Tuttavia, una profonda revisione della strategia all'interno del nostro board ha mostrato che continuare a mantenerle insieme anche dopo il 2015 diventa chiaramente meno favorevole per ciascun business, sia dal punto di vista strategico che competitivo".

PayPal ha oggi 152 milioni di utenti attivi e

ha visto nell'ultimo esercizio una crescita dei ricavi del 19% a 7,2 miliardi. Ebay ha acquistato PayPal nel 2002 per 1,4 miliardi di dollari in azioni. La reazione del mercato alla notizia è euforica (segui il titolo), a cominciare dal pre-mercato di Wall Street.

Letizia Brichetto Moratti, la manager con il buco del culo intorno

 

La “donna del fare”, chiamata al governo da Silvio Berlusconi, sfoggia con orgoglio il suo curriculum. Ma il gruppo da lei fondato nel 2000 si è trasformato in un buco senza fondo che ha inghiottito centinaia di milioni di perdite

“È presidente e maggiore azionista di Syntek capital group, società d’investimento attiva nel settore delle telecomunicazioni e dei media con sede a Monaco di Baviera”. Correva l’anno 2001 e Letizia Brichetto Arnaboldi Moratti si raccontava così sul sito Internet del ministero dell’Istruzione. Lei, donna manager, “donna del fare”, chiamata al governo da Silvio Berlusconi, sfoggiava orgogliosa l’ultimo traguardo raggiunto in carriera. A un decennio di distanza, nella sua pagina online del Comune di Milano, la sindaca Moratti conferma: è ancora lei il socio principale nonché presidente dell’advisory board di Syntek. Solo che nel frattempo è successo di tutto.

Il gruppo fondato nel 2000 dalla moglie del petroliere Gianmarco Moratti si è trasformato in un buco senza fondo che ha inghiottito centinaia di milioni di perdite. Quasi peggio dell’Inter, gran passione dell’altro Moratti, Massimo. Anche lì i bilanci sono da tempo in rosso profondo, ma almeno la squadra ha fatto man bassa di trofei. Nel regno di Letizia, invece, si perdono quattrini e basta. E poi tocca al marito staccare l’assegno per far fronte al passivo.

Negli ultimi cinque anni l’avventura Syntek è costata una somma non inferiore ai 200 milioni di euro. I conti sballati della società con sede in Baviera hanno mandato a picco i bilanci della Securfin holdings, la società di famiglia di Gianmarco e Letizia Moratti. La stessa a cui fanno capo una serie di proprietà immobiliari in Italia e all’estero (Stati Uniti e Gran Bretagna), compresa la casa del sindaco in pieno centro di Milano e il castello di Cigognola, nell’Oltrepo Pavese.

Securfin holdings ha perso 11 milioni nel 2006, addirittura 112 milioni l’anno successivo, poi 45 milioni nel 2008 e altri 20 nel 2009, ultimo dato disponibile. Dal bilancio emerge che la holding targata Moratti vanta crediti per oltre 180 milioni nei confronti di una finanziaria olandese, la Golden.e, a sua volta esposta verso Syntek. Ma le probabilità di recuperare questi prestiti sono talmente ridotte che sono state iscritte all’attivo a valore zero.

Insomma, una situazione disastrosa. Mica male per una signora che ama sfoggiare le sue competenze manageriali. Proprio lei, l’erede dei Brichetto, una dinastia di assicuratori partiti da Genova alla fine dell’Ottocento. Certo, impegnata a fare il sindaco, forse Letizia Moratti avrà trovato poco tempo da dedicare alla sua Syntek. È un fatto, comunque, che nel suo ruolo di maggiore azionista e presidente dell’advisory board avrebbe comunque dovuto dare un occhio alla gestione aziendale e alla scelta degli investimenti.

A quanto sembra gli affari sono andati a rotoli sin da principio. L’iniziativa è partita troppo tardi per cavalcare a fine anni Novanta l’onda del boom della cosiddetta New Economy. In compenso è stata investita in pieno dalla crisi. Una delle operazioni meno fortunate (eufemismo) è però molto lontana dal mondo delle nuove tecnologie. Carte alle mano si scopre che la società controllata da Letizia Moratti è riuscita a perdere svariate decine di milioni con la Cargoitalia, una compagnia aerea per il trasporto merci. Nel 2008 Syntek ha messo in vendita l’azienda, passata al gruppo Leali con il supporto di Banca Intesa. Il conto finale è stato pesantissimo: 76 milioni di perdite. Un mezzo crac che ha lasciato il segno nel bilancio della holding.

Speranze di recupero? Pochine, al momento. E pensare che nel 2000, per lanciare la neonata Syntek, i Moratti chiamarono a raccolta una schiera di consulenti d’eccezione. Un vero parterre di grandi nomi della finanza internazionale. Scorrendo l’advisory board si incontrano personaggi come Antoine Bernheim, a lungo presidente delle assicurazioni Generali, l’avvocato Sergio Erede, titolare di uno degli studi legali più noti nella city milanese, Eckhard Pfeiffer, già numero uno di Compaq computer e molti altri ancora.

Nell’elenco spunta anche il nome di Sonja Kohn, banchiera con base in Austria che dopo la sua esperienza in Syntek è stata travolta dal crac di Bernard Madoff. Era lei, questa l’accusa, a vendere in Europa i prodotti finanziari del bancarottiere americano, protagonista di uno dei crac più clamorosi della storia di Wall Street. La Kohn, così come gran parte degli altri consulenti, ha da tempo rotto i rapporti con Syntek. Motivi d’immagine: meglio tenere le distanze da una società che perde soldi a rotta di collo. Così, alla fine, il cerino acceso è rimasto a Letizia Moratti. E il marito paga.

Dal dl competitività alla problematica ILVA, dalle gigantesche cirri Mediaset, MPS , EUROzona alla crescita dell apovertà

PSEUDO ISTITUZIONI

Rivoluzione catastale, abitazioni rivalutate in futuro anche del 180 per cento

Violante 675

Politica & Palazzo

Consulta, dopo 20 “no” Violante si ritira
E attacca: “Fermare deriva istituzioni”
Violante: uno dei fautori del potere televisivo berlusconiano appoggiando la legge sulle telecomunicazioni che tutelava l'impero basato sull'illecito della merda di Arcore con un obbligo fiscale ridicolo. In cambio il pappone doveva appoggiare la Bicamerale Costituzionale dalemiana dell'anno 2000. Non solo non l'appoggiò, ma di lì a poco le elezioni lo portavano al potere assoluto...
Elezione slitta. M5s: “Pd faccia suoi nomi”Di F. Q.

•Consulta, Renzi: “Appello alla parte seria di Grillo per accordo”

 

 IMPUNITA'

 

Processo Ruby, condannati in appello Emilio Fede, Nicole Minetti e Lele Mora

Processo Ruby, condannati in appello Emilio Fede, Nicole Minetti e Lele Mora

Giustizia & Impunità

Pene ridotte per concessione di attenuanti e riformulazione di reati, ma l'impianto accusatorio viene confermato: 4 anni e 10 mesi per l'ex direttore del Tg4, 3 anni per l'ex consigliera regionale Pdl, 6 anni e un mese per Mora. Le difese: "Faremo appello"

Dalla tempesta del bunga bunga si salva solo Silvio Berlusconi. La Corte d’appello di Milano infatti ha confermato le condanne per l’ex direttore del Tg4, Emilio Fede, l’ex consigliera regionale lombarda del Pdl, Nicole Minetti, e l’ex agente di spettacolo Lele Mora. I giudici riducono le pene per tutti, fanno cadere alcuni capi d’imputazione e ne riformulano altri, ma confermano l’impianto accusatorio di quello che è stato chiamato processo Ruby bis. Fede è stato condannato a 4 anni e 10 mesi, la Minetti a 3 anni, Mora a 6 anni e un mesecaso Ruby. In primo grado le pene erano state rispettivamente a 7 anni per Fede e Mora e a 5 per la Minetti. I tre erano accusati a vario titolo di induzione e favoreggiamento della prostituzione, anche minorile. A luglio, invece, la Corte d’appello aveva assolto Berlusconi sia dall’accusa di concussione sia dall’accusa di prostituzione minorile.

Fede, che era già stato assolto dall’accusa di induzione. In appello i giudici hanno riformulato le accuse per gli episodi che vedevano coinvolte la stessa Karima El Mahroug, Ambra Battilana, Chiara Danese e Imane Fadil: da favoreggiamento a tentativo di induzione alla prostituzione. Da qui la riduzione della pena. Alla Minetti, invece, i giudici hanno riconosciuto le attenuanti generiche e per questo la condanna è calata da 5 a 3 anni. Sensibilmente ridotta anche la pena per Mora perché nei sei anni e un mese inflitti dai giudici di secondo grado va compresa anche la pena per la bancarotta della sua società, per cui aveva patteggiato nel 2011. Il sostituto pg Piero De Petris, al termine della requisitoria, nella quale aveva parlato delle serate di Arcore come di un “lupanare“, aveva chiesto invece la conferma delle condanne di primo grado.

Mora si dice soddisfatto: “Sono emozionato, perché se fossi finito carcere si nuovo il mio fisico non avrebbe potuto reggere. Ho già pagato perché sono finito in carcere in isolamento per 14 mesi, trattato peggio di un terrorista. Non mi pento di quello che ho fatto perché se uno si pente non è uomo”. Toni diversi dagli avvocati della Minetti, Paolo Righi e Pasquale Pantano: “Con la Minetti si continua a usare la clava e fortunatamente la Cassazione non è a Milano”. I legali sono convinti dell’innocenza della loro assistita e anche che “questo processo vada celebrato a Monza”. Quindi quella della competenza territoriale sarà una delle questione che riproporranno nel loro ricorso davanti alla Suprema Corte con cui chiederanno l’annullamento del verdetto.

Si dice “amaramente sorpreso” Fede che ha appreso l’esito della sentenza dalla televisione: “Ho sentito solo un momento il mio avvocato, l’avvocato Paniz – dice all’AdnKronos – ma non so nulla di più di quello che ho sentito alla tv”. Tuttavia Fede aggiunge: “Tutta questa vicenda si commenta da sola. Rispetto la sentenza, ma mi viene da sorridere al pensiero che le serate di Arcore siano diventate il motivo dominante di tre anni della storia politica”. Anche Paniz che difende Fede assieme alla collega Alessandra Guerini, ha preannunciato che farà ricorso in Cassazione. “Le sentenze vanno rispettate e la Corte d’Appello ha dimostrato di essersi impegnata molto”, ha spiegato Paniz, chiarendo anche che Fede, qualora dovesse essere condannato anche in Cassazione, “non finirà in carcere”, ma ci sarà la possibilità, data la sua età, di chiedere i domiciliari.

Non è secondario ricordare che Paniz è stato un parlamentare del Pdl fino al 2013, ma in particolare fu lui a presentare la risoluzione votata dalla maggioranza (in pratica Popolo delle Libertà, che allora comprendeva le attuali Forza Italia e Nuovo Centrodestra, e Lega Nord) con cui la Camera respinse la richiesta dell’autorizzazione per le perquisizioni negli uffici del ragionier Giuseppe Spinelli, l’uomo che teneva la contabilità della famiglia Berlusconi e soprattutto – in questo caso – pagava le cosiddette “Olgettine”. Pdl e Lega votarono quel giorno (3 febbraio 2011) la tesi di Paniz: cioè che Berlusconi era convinto che Ruby fosse davvero la nipote di Mubarak. “Sapete meglio di me che la tutela dei rapporti internazionali passa anche attraverso telefonate come questa!”.

 

Tap (trans Adriatic Pipeline) non fornisce i dati sul rischio di incidenti
E ora il gasdotto nel Salento rischia lo stop

gasdotto pp

Ambiente & Veleni
Regione Puglia da un lato, multinazionale Tap dall’altro. Nel mezzo, le disposizioni sul rischio di incidenti rilevanti, la normativa Seveso. E’ un contenzioso che potrebbe minare alle fondamenta la Valutazione di impatto ambientale già incassata dal Ministero dell’Ambiente lo scorso 28 agosto. E che la giunta Vendola potrebbe invalidare. Non un orpello: sulla quantità di gas presente nell’impianto e sui pericoli per le persone Tap continua a tacere, non avendo fornito i chiarimenti più volte richiesti dagli enti

 

Test medicina: meglio essere bocciati che studiare, ma perché Renzi non caccia la Giannini?

giannini-renziMa il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini può restare al suo posto? L’ex rettore di una università per stranieri ed esponente di un partito che non esiste più, è uscita indenne dal disastro dei test di ingresso scambiati: tutta la colpa è caduta sul consorzio interuniversitario Cineca, che ha invertito le prove nazionali di ammissione per le specialità di Area medica e Servizi clinici. Il Ministero ha annullato le prove. Va bene, facciamo finta di credere che una selezione gestita dal Ministero dell’Istruzione non sia responsabilità del ministro.

Ma c’è un’altra vicenda che è tutta colpa della Giannini, un caso incredibile rivelato dal Corriere della Sera di oggi in un articolo di Orsola Riva. Qui la responsabilità è tutta, ma proprio tutta del ministro che ha fatto una scelta dall’impatto simbolico e politico evidente.

Ecco la storia: l’8 aprile scorso ci sono i test di ammissione alla facoltà di Medicina. In base alle nuove regole vengono fatti su base nazionale come un concorso pubblico, tipo quello per i magistrati: i migliori, quelli con un punteggio più alto, avranno diritto a scegliersi per primi la sede universitaria, la più prestigiosa o quella più vicina a casa, a seconda delle preferenze. Visto che siamo in Italia, si consuma la classica ordalia di copiature, manomissioni, copiature, compiti molto meno anonimi del dovuto, e così via. Finisce con un ricorso al Tar, il tribunale amministrativo regionale che troppo spesso ha l’ultima parola su tutto, dalle elezioni agli appalti fino, appunto, ai test universitari. I 5000 esclusi dal test di medicina che hanno fatto ricorso vengono ammessi (che se ne fanno di un’ammissione a metà dell’anno? Mistero, ma meglio di niente).

A settembre il Ministero fissa i criteri: i ricorrenti possono iscriversi ma soltanto alla facoltà a cui il loro (basso) punteggio li rendeva meno distanti: ogni candidato aveva una classifica di sedi, i bocciati in pratica non potevano frequentare gli atenei più ambiti tipo Torino, ma soltanto a quelle di mezza classifica. Il 9 ottobre il colpo di scena: nuova circolare della Giannini, i bocciati possono andare dove vogliono, cioè nell’ateneo che era la loro prima scelta. Come se fossero stati bravissimi.

Immaginate uno studente bravo ma non tra i migliori che voleva tanto andare a Torino ma si è dovuto accontentare di Parma. O uno di Modena che, invece di poter studiare in una buona università sotto casa, è costretto dal suo punteggio a pagarsi un affitto a Piacenza. Se avessero fatto punteggi più bassi e si fossero fatti bocciare oggi, grazie al Tar, avrebbero diritto a un posto nell’università che ambivano a frequentare.

Con questa decisione il ministro Giannini conferma alcuni concetti utili da tenere a mente.
Primo: in Italia la meritocrazia non esiste. Secondo: studiare è una scelta da sfigati. Terzo: inutile illudersi di poter introdurre trasparenza nelle selezioni della classe dirigente, meglio sperare che le baronie locali riescano a selezionare candidati non soltanto fedeli ma anche svegli. Quarto: il numero chiuso all’università pare proprio essere estraneo al Dna italico.

La verità è che in questo Paese siamo avversi a ogni processo di selezione. Perché a noi piace essere cooptati, non battere gli altri in quanto migliori.

Il ministro Stefania Giannini ha almeno il merito di aver chiarito che questa è anche la visione del Ministero e dunque del governo renziano (che, in effetti, ha spesso premiato più il grado di renzismo che quello di competenza). D’altra parte era forse difficile aspettarsi qualcosa di diverso da un ministro che non ha percepito l’esigenza di dimettersi dopo che il suo partito Scelta Civica (di cui si è fatta anche nominare segretario per mancanza di alternative e contro il parere di diversi esponenti) ha preso lo 0,71 per cento, con 196.157 voti, con la lista Scelta Europea.

Se il premier Matteo Renzi vuole ancora essere credibile quando nei suoi prossimi discorsi pronuncerà la parola “meritocrazia” ha due alternative: o costringe la Giannini a cambiare la circolare sui test di medicina, o la costringe a cambiare lavoro.

 

 

Mega tangente per il petrolio in Nigeria
Indagato a Milano l'ad di Eni Descalzi

Mega tangente per il petrolio in Nigeria Indagato a Milano l'ad di Eni Descalzi
 
 
L'ipotesi dell'accusa è corruzione internazionale per l'acquisto della concessione del campo di esplorazione petrolifera Opl-245 della società Malabu. Presunta mazzetta da 200 milioni di dollari. Con il nuovo amministratore delegato sotto inchiesta anche l'ex ad Paolo Scaroni, il nuovo capo della Divisione esplorazioni Roberto Casula e Luigi Bisignani

 

 

Napolitano, una testimonianza blindata
Oggi l’udienza sulla trattativa Stato-Mafia

 

Il Quirinale sceglie la “sala oscura”, priva di finestre sull’esterno. Per magistrati e avvocati vietati
cellulari e tablet, non ammessi giornalisti. Al centro gli “indicibili accordi” evocati da D’Ambrosio

 

quirinale corazzieri-pp

Mafie

È una stanza senza finestre che danno sull’esterno, ed è per questo che nel ‘700 si era guadagnata l’appellativo di “Sala Oscura”. E’ il luogo scelto dal cerimoniale del Quirinale per l’attesa testimonianza del Capo dello Stato al processo sulla trattativa, in programma alle 10, che arriva dopo una lunga resistenza del Colle tra conflitti d’attribuzione e lettere ai magistrati di Palermo. Un’udienza blindata a cui parteciperà una trentina di persone tra giudici e legali

Per la prima volta nella storia della Repubblica, un Presidente sarà chiamato sul banco dei testimoni a deporre su quella che passerà alla storia come la Trattativa Stato-Mafia. Napolitano  si è servito di tutti i mezzi che aveva a disposizione per sottrarsi a questo confronto: dal conflitto di attribuzione sollevato davanti alla Corte Costituzionale alle lettere inviate a Palermo, dalle alzate di scudi da parte della stampa di regime in suo favore al negato permesso agli imputati di poter assistere alla sua audizione. Ma alla fine ha dovuto cedere. Diciamolo pure: è, questa, una piccola vittoria per le nostre istituzioni e una sconfitta per re Giorgio, il quale si troverà di fronte alle domande non solo dei magistrati, ma persino dell’avvocato di Riina. Se non al boss in persona, Napolitano dovrà rispondere almeno al suo difensore, a proposito dell’allarme lanciato dal Sismi sul pericolo che contro di lui e Giovanni Spadolini venisse compiuto un attentato, nell’agosto del 1993.

È una partita difficile, che può segnare l’ inizio del tramonto di re Giorgio. Se si sottrarrà alle domande, se si riparerà dietro una non disponibilità a testimoniare, con il suo silenzio rischierà di apparire reticente; se, invece, parlerà, sarà costretto a far filtrare alcune verità.

Ci sono fatti ed episodi inquietanti che andranno chiariti, circostanze e dubbi imbarazzanti di cui si deve ancora accertare la verità. La strano ruolo di Loris D’Ambrosio, ad esempio, il consigliere giuridico del Re, autore di una lettera in cui si faceva riferimento al suo coinvolgimento nella Trattativa, l’uomo che sapeva tutto morto improvvisamente, senza che sia mai stata disposta alcuna autopsia. Cosa dirà, o non dirà, Napolitano? Cosa farà?

In questi ultimi mesi, il suo ritiro sembrava ormai definito ed imminente: a gennaio avrebbe dovuto lasciare il Colle, dopo aver portato a compimento il suo obiettivo politico, che è stato quello di bloccare, dopo le elezioni politiche del 2013, il processo democratico del Paese, forzando e costringendo i partiti alle «larghe intese» ed all’asse Pd – Forza Italia. Ma non sarà così: Re Giorgio ha deciso di restare, almeno finché le cose non si saranno stabilizzate definitivamente, con l’approvazione della nuova legge elettorale e, soprattutto, con il perfezionamento dell’intesa con Bruxelles (pare che sia stato Draghi a convincerlo che il suo ruolo resta “fondamentale” per garantire il placet da parte dei mercati finanziari e della Germania alle politiche contro i lavoratori di Renzi).

Insomma: c’è ancora bisogno di Napolitano, in mancanza di un suo successore – sul quale non si è ancora trovato il nome, essendo non condivisi i due nomi da lui proposti a Renzi e Berlusconi  – , ad assicurare la “tenuta” del patto del Nazareno. Così il Re resterà. Ma ora, dal suo trono, dovrà perlomeno rispondere a quei giudici che non hanno ceduto, che  nonostante tutte le pressioni non hanno chinato la testa, e che, con le loro domande, forse non riusciranno a farlo cadere, ma, quantomeno, potranno rovinare il lieto fine di questa storia.

 

 

 
 

 

 

 

 

Dal senatore Azzolini al caso Ruby Rubacuori

 

 

EUROPA

Gas, riparte la guerra tra Russia e Ue
Putin: "Non facciamo più il South Stream"

Il capo del Cremlino minaccia: "Non ci danno il permesso di far passare i tubi in Bulgaria e noi lo portermo altrove". E' la risposta a Bruxelles che "sta ostacolando" il progetto che prevede il passaggio del gasdotto sotto il Mar Nero

MILANO - Scoppia una nuova guerra del gas tra Russia e Unione Europea. Il presidente Vladimir Putin ha minacciato Bruxelles di cancellare il progetto South Stream, il gasdotto che dovrebbe passare sul fondo del Mar Nero e collegare la Crimea russa con la Bulgaria, per poi approdare nell'Europa centro-meridionale. "La Ue continua a ostacolare il progetto - ha detto il capo del Cremlino in visita ufficiale in Turchia - se continua così porteremo il nostro gas altrove".

A scatenare la reazione di Putin è l'atteggiamento del governo di Sofia che non ha ancora dato il via libera al passaggio del metanodotto sul territorio nazionale: "Tenendo conto del fatto che finora noi non abbiamo ricevuto autorizzazioni dalla Bulgaria, noi crediamo che nelle condizioni attuali la Russia non possa continuare con la realizzazione del progetto".

In realtà, il cantiere per il South Stream è già partito. Ad aggiudicarsi la prima delle due linee dell'infrastrttura è stata, tra l'altro, l'Italiana Saipem, società di ingegneria controllata da Eni. Due navi posatubi sono già al lavoro nel Mar Nero. Ma è chiaro che senza poter passare per la Bulgaria prima, Romania e Serbia poi, continuare nelle opere non avrebbe senso.

Tanto è vero che Putin ha annunciato un accordo con il premier turco Erdogan per un aumento delle forniture alla Turchia pari a 3 miliardi di metri cubici, attraverso il gasdotto Blue Stream (pure questo realizzato da Saipem). Ha inoltre delineato l'intenzione di sviluppare un nuovo gasdotto lungo il confine greco-turco destinato ai soli "consumatori del sud Europa". 

Secondo gli addetti ai lavori, quella di Putin potrebbe essere solo una minaccia per spingere la Ue, contraria al progetto, a cambiare idea. Contando sul fatto che Gazprom fornisce circa un terzo delle forniture di gas all'Europa. In ogni caso una minaccia da prendere sul serio: "Il progetto non si farà più e questo è tutto", ha confermato molto seccamente il numero uno di Gazprom, Alexei Miller.

Commissione Ue, la colpa è tutta di Juncker: è l’ora delle dimissioni?

Il neopresidente della Commissione europea Jean Claude Juncker si deve dimettere? Guardiamo la situazione in astratto: documenti ufficiali dimostrano che il titolare di una delle più importanti cariche europee nella sua passata vita politica è stato responsabile di accordi segreti con grandi multinazionali che grazie a queste intese sono riuscite a sottrarre decine di miliardi di tasse ai Paesi in cui avrebbero dovuto pagarle. Questo è, in sintesi, il risultato dell’inchiesta del Consorzio Internazionale per il Giornalismo Investigativo: 340 aziende hanno spostato una parte delle loro sedi legali in Lussemburgo per fare “ottimizzazione fiscale”, cioè per pagare meno tasse usando metodi quasi leciti.Juncker

Due di queste corporation – Amazon e Fiat – sono già sotto inchiesta dalla Commissione europea guidata proprio da Juncker. Se si guardano i numeri, probabilmente ha fatto più danni alle finanze pubbliche europee Juncker che qualunque evasore fiscale. Eppure non se ne possono pretendere le dimissioni, come fa per esempio il Movimento Cinque Stelle. Perché era tutto noto: basta leggere la brochure promozionale del Luxembourg Stock Exchange, la Borsa del Granducato, per vedere che questo ricchissimo staterello non ha pudore nel presentarsi come uno snodo fondamentale per le imprese che devono eludere il fisco. Perfino Finmeccanica ha usato il Lussemburgo per pagare meno tasse allo Stato italiano, suo primo azionista (il nuovo management spiega che in futuro non succederà più).

Quando il Partito Popolare e poi il Consiglio e il Parlamento europeo hanno individuato in Jean Claude Juncker il successore di José Barroso alla Commissione, hanno applicato una specie di condono fiscale. O almeno morale. L’Europa accetta al suo interno quello che gli economisti chiamano arbitraggio fiscale o, meglio, “beggar thy neighbour” (frega il tuo vicino). La prosperità di nazioni sempre pronte a criticare la bassa competitività dei Paesi mediterranei indebitati si fonda quasi esclusivamente sulle furbate fiscali: Olanda, Gran Bretagna e soprattutto Irlanda hanno fatto della bassa imposizione fiscale la fonte della crescita. Uno sviluppo ammirato e celebrato ma che è soltanto l’altra faccia della colossale imposizione fiscale lamentata altrove, soprattutto in Francia e Italia. Lo scandalo “LuxLeaks” non è una notizia. La sanzione morale che comincia a colpire le aziende che aggirano il fisco in Europa invece è una cosa nuova. Juncker dovrà tenerne conto.

 

 

DAL FALLIMENTO GRILLO-FARAGE-LE PEN-SALVINI ALLA MOGHERINI MINISTRO DEGLI ESTERI UE

 

POLITICA ITALIOTA

L’Italia diventa il Paese più corrotto d’Europa
Persi altri due posti: peggio di Bulgaria e Grecia

Il giorno dopo l’operazione su mafia e politica a Roma (leggi), ecco il rapporto annuale di Transparency
Le altre nazioni europee recuperano posizioni, noi restiamo fermi. E veniamo scavalcati in classifica

corruzione-italia-pp

L’Italia è prima per corruzione tra i paesi dell’Ue. Lo scrive nero su bianco l’ultima classifica della corruzione percepita, il Corruption Perception Index 2014 di Transparency International, che riporta le valutazioni degli osservatori internazionali sul livello di corruzione di 175 paesi del mondo. L’indice 2014 colloca il nostro Paese al 69esimo posto della classifica generale: peggio di tutti in Europa e ci piazziamo tra Sudafrica e Kuwait  di Elena Ciccarello

Matteo Renzi ospite di Lucia Annunziata a "In 1/2h": "Silvio Berlusconi è al tavolo, ma non dà più le carte"

"Berlusconi è una persona che sta al tavolo, ma non da le carte. Io faccio di tutto perché Berlusconi sia al tavolo...". Lo afferma Matteo Renzi ospite di Lucia Annunziata a "In 1/2 h". "Forza Italia non è più il partito di maggioranza", dice. Parlare con Fitto? "Ci sono altri che parlano con lui... Persone elette in Puglia in passato", osserva il premier. "Io faccio di tutto perché finisca la guerra civile in Italia. Voglio che Berlusconi stia al tavolo, ma ho idee diverse", conclude.

"Il tema della successione del capo dello Stato non bloccherà le riforme". Il tema della successione del Capo dello Stato non bloccherà il processo delle riforme. "Penso di no", dice Matteo Renzi, "mandare avanti le riforme è l'unico modo per mandare avanti" la legislatura, dice il premier. La riforma della legge elettorale "entro Natale andrà in Aula, inizierà l'iter in Aula ma non ci sarà il voto finale".

"Normale perdere consenso, importante credere in Italia". "Se devo essere sincero le dico di no. È naturale che quando provi a cambiare delle cose che stanno lì da anni, da decenni, ci sta di perdere il consenso". Così il premier Matteo Renzi, ospite di "In mezz'ora", su Raitre, risponde a Lucia Annunziata che gli chiede se gli dispiaccia aver perso del consenso, come emerge dai recenti sondaggi.

"Un politico vero deve cambiare il paese senza stare sempre a guardare i sondaggi. Se dovessi accontentare tutti farei esattamente come quelli che mi hanno preceduto. Quando si fanno le riforme un po' di gente si arrabbia. Possono anche perdere fiducia in me, ma l'importante è che gli italiani tornino ad avere fiducia nell'Italia", ha aggiunto.

"Astensionismo preoccupa, ma problema secondario". "Continuo a pensare che tutte le volte che uno non va a votare è un'occasione persa. Sono dispiaciuto e desolato, l'astensionismo mi preoccupa ma continuo a pensare che sia un fatto secondario". Lo afferma il premier Renzi in merito all'alto astensionismo alle Regionali in Emilia-Romagna. "In quella regione c'erano 41 consiglieri indagati, poi vediamo come va a finire, il presidente della Regione, che è un galantuomo, si è dimesso dopo una condanna - aggiunge -. Abbiamo vinto in 5 regioni su 5, questo è primario, l'astensionismo è secondario".

"Non faccio passerelle a Genova". "Ho girato molto in questi mesi - dice Renzi -, sono andato in posti in cui non era andato nessuno da presidente del Consiglio. Sono stato a Taranto, Avellino, Termini Imerese. Non scappo. Ho scelto di non andare a Genova, ci vado dopo che ho individuato il burocrate che ha bloccato gli interventi sul torrente che è esondato, e quando sono pronto a consegnare i lavori. Non vado a fare passerelle, è finito il tempo delle passerelle".

"Alternativa a sinistra è destra lepenista". "Una parte della sinistra - afferma il primo ministro - immagina che si possa tutti i giorni fare le pulci al governo non rendendosi conto che l'alternativa non è un'altra sinistra, ma l'alternativa è una destra con nome e cognome, la destra di Marine Le Pen in Francia".

"Salvini scommette sulla rabbia, io sul coraggio". "La verità - spiega Renzi - è che Salvini sta facendo una bellissima scommessa per la sua parte, scommette sulla rabbia e la disperazione. Io scommetto sul coraggio".

"Rispetto i sindacati, ma non la penso come loro". "Per me il sindacato è una bella cosa - dice il premier -, quando penso al sindacato penso alle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici e lo rispetto ma quando si sciopera contro un governo che ha dato 80 euro non lo capisco. Ricordo che il Jobs act cancella i cococo e i cocopro e dà più incentivi per i contratti di lavoro a tempo indeterminato".

Il macigno del debito italiano e il buco nero della Grecia

 

Al parlamento europeo questa settimana hanno parlato personalità molto autorevoli: il Papa, Draghi, Juncker.

Francesco ha detto testualmente: "Promuovere la dignità d'una persona significa riconoscere che essa possiede diritti inalienabili di cui non potrà essere privata ad arbitrio di alcuni. Occorre però prestare attenzione per non cadere in alcuni equivoci e in un loro paradossale abuso. Vi è infatti oggi la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali che cela una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale. Al concetto di diritto non sembra più associato quello altrettanto essenziale e complementare di dovere. Così si finisce per affermare i diritti del singolo senza tener conto che ogni essere umano è legato ad un contesto sociale in cui i diritti e i doveri sono connessi a quelli degli altri e al bene comune della società stessa".

Così il Papa. È evidente che postula un futuro dell'Europa unita, con i singoli Stati strettamente associati tra loro.

***

Draghi ha esordito con un'affermazione che, pur avendola già pronunciata in vari luoghi, non aveva mai sostenuto in modo così esplicito: è necessario che l'Europa garantisca i debiti sovrani di tutti gli Stati membri. Il motivo proviene dal rischio delle elezioni politiche in Grecia. I sondaggi danno in testa Tsipras che guida il suo partito Syriza, ma una sua vittoria porterebbe con sé una situazione di estremo pericolo per l'Europa e per la moneta comune perché Tsipras è deciso a ripudiare sia l'euro sia l'Europa.

Potrebbe tuttavia restarci solo ad una condizione: che l'Europa si assuma per la durata di cinquant'anni il debito greco pagando alla Grecia anche gli interessi. Questa richiesta, ha detto Draghi, potrebbe anche essere accolta per la modesta entità di quel debito, se non che essa crea un precedente che può interessare soprattutto l'Italia. Ma adottare per l'Italia la stessa procedura chiesta da Tsipras è assolutamente impossibile: le dimensioni del nostro debito sovrano sono preclusive e per di più si scatenerebbe un'ondata speculativa di lunga durata che porterebbe al default l'Italia e con essa il sistema bancario mondiale.

Ecco perché le elezioni greche sono la dinamite che può mandare in crisi non solo il sistema europeo ma quello bancario del mondo con una crisi anche politica di dimensioni planetarie.

C'è un solo modo di reagire, secondo Draghi: imboccare con celerità la strada dell'Europa unita e sovrana. Ci vorranno anni, ma i primi passi irreversibili vanno fatti subito, le cessioni di sovranità economiche e politiche debbono essere discusse dal Parlamento di Strasburgo, dalla Commissione di Bruxelles e dai singoli Stati membri dell'Unione.

Chi parla ancora, in Italia, di un'ipotesi di Draghi al Quirinale ignora o non valuta l'importanza del compito che il presidente della Bce si è assunto. Altri pensano che sia un personaggio debole, contestato dalla Germania e dai potentati di Wall Street e della City. Direi che chi fa queste valutazioni non ha capito qual è l'importanza e il peso di Draghi presso tutte le altre banche centrali a cominciare dalla Federal Reserve, dalla Banca d'Inghilterra, dalla Banca Centrale del Giappone e da quella della Cina. Questo è Mario Draghi il quale si sta apprestando a dare esecuzione (si pensa che lo farà entro il prossimo febbraio ma forse anche prima) alle misure non convenzionali più volte da lui indicate.

Quando si parla di queste misure gran parte dell'opinione pubblica e degli operatori europei pensa all'acquisto dei titoli del debito sovrano dei vari Paesi membri dell'Unione. È possibile che si tratterà di questo intervento, ma non è detto. Può trattarsi di massicci acquisti di obbligazioni di debiti di aziende private che la Bce è pronta ad acquistare anche se prive di garanzia bancaria. In realtà questi acquisti sono già in corso ma in misura limitata; nelle prossime settimane si tratterebbe invece di acquisti molto rilevanti in tutti i Paesi membri dell'Ue.


Per questo Mario Draghi, a mio personale avviso, è la personalità più importante e non soltanto in Europa.

***

Infine Juncker. Ha proposto alla Commissione da lui presieduta e al Parlamento di Strasburgo un prestito dell'Unione ai vari Stati confederati di 315 miliardi da erogare in tre anni a partire dall'autunno del 2015.

Tuttavia di quella cifra, intestata ad un Fondo europeo, sono attualmente disponibili soltanto 21 miliardi. La differenza è enorme e tutto si riduce dunque ad uno dei tanti annunci cui siamo purtroppo abituati. Però qui la questione è molto diversa dal solito per le modalità con le quali Juncker intende procedere a partire dal prossimo gennaio: per finanziare il Fondo è indispensabile l'apporto dei singoli Stati membri; è aperto anche a Stati stranieri e ad altri Fondi internazionali, ma i "datori" principali sono gli Stati dell'Unione. Naturalmente Juncker chiede di più ai più forti economicamente e quindi alla Germania, ma tutti dovranno contribuire. Di fatto si tratta di quella europeizzazione del bilancio e di quella garanzia dei debiti sovrani della quale ha parlato Draghi che con Juncker ha contatti molto frequenti.

Gli Stati membri contribuiranno ricevendo in cambio, quando il Fondo europeo avrà raggiunto almeno 200 miliardi, facoltà di investimenti che potranno esser fatti utilizzando una politica di deficit spending di tipo keynesiano con una differenza però: dovrà trattarsi di investimenti capaci di creare nuovi posti di lavoro, salari e stipendi in grado di stimolare sia le esportazioni sia i consumi interni. Insomma un cospicuo aumento della domanda, capace di mettere in moto un processo di crescita duraturo. Esso consentirà un aumento delle entrate fiscali e quindi ulteriore disponibilità di risorse finanziarie. Ma il debito sovrano, fin quando non fosse garantito dall'Ue, rimane pur sempre il macigno che non c'è Sisifo capace di spostare rendendo il nostro Paese estremamente vulnerabile. A me non sembra che il nostro governo ne sia realmente consapevole. Lo utilizza come spauracchio per Bruxelles, ma forse non si rende conto che è un macigno che grava sulle spalle di tutti gli italiani (che non se ne rendono conto neanche loro).

***

Il nostro presidente del Consiglio, che non è affatto uno stupido, tutte queste cose le sa, ma le usa soltanto per realizzare l'obiettivo di rafforzare il suo potere e quello della sua squadra. Ed è allora che la questione diventa preoccupante per la democrazia italiana. Di queste preoccupazioni ho dato più volte notizia e non ho alcuna voglia di ripetermi. Lo farò, guarda caso, utilizzando alcune osservazioni recentissime di Silvio Berlusconi, con le quali in questo caso mi trovo d'accordo.

È molto singolare, dice Berlusconi, che Renzi insista tanto sul tema della legge elettorale da far approvare entro gennaio. A che cosa serve questa fretta che rischia di creare un ingorgo parlamentare inutile, anzi dannoso poiché impedisce l'esame e l'approvazione di riforme ben più importanti, tanto più se vuole che la legislatura duri fino alla sua scadenza naturale del 2018?

È altrettanto singolare  -  dice ancora Berlusconi  -  che non si preoccupi del fenomeno delle massicce astensioni in Calabria e soprattutto in Emilia. Dice che le astensioni non hanno nessuna importanza. Sbaglia di grosso. Io Silvio finché ho potuto e ancora oggi mi sono sempre preoccupato di mantenere e fare aumentare la fiducia degli italiani in me e nella politica popolare da me portata avanti e quando vedevo che quella fiducia si incrinava la mia preoccupazione mi portava a parlare e ad agire per riguadagnarla. L'importante è governare, dice Matteo. Certo, ma si governa se la fiducia non si incrina, altrimenti sei perduto.

Oggi comunque (sempre Silvio) quello che più conta è un Capo dello Stato capace e non uno o una che siano pupazzi con Renzi burattinaio. L'inquilino del Quirinale non può essere nelle mani di un burattinaio. Non è questo che io (Silvio) voglio e farò il possibile perché avvenga.

Naturalmente Berlusconi ha le sue ragioni per fare al suo alleato critiche così penetranti. Lui vuole che la legislatura duri fino al 2018. Con Renzi naturalmente, ma anche con lui. Possibilmente cambiando la legge elettorale e passando dal voto di lista al voto di coalizione. Allora lui sarà di nuovo alla testa di una forza politica importante. Forse non vincerà, ma supererà Grillo e potrà dettare o almeno suggerire riforme che lo interessano, soprattutto economiche e giudiziarie.

***

Si discute molto sulla legge delega che riguarda il Jobs Act. Alla Camera è passata con quaranta assenze nei banchi del Pd, ma lì la maggioranza assoluta era comunque nelle mani del governo e quindi non c'era bisogno del voto di fiducia. Al Senato è diverso. Per arrivare alla maggioranza assoluta a Renzi mancano 13 voti e se la sinistra dispone, come sembra, di 25 senatori pronti a votare contro, la fiducia diventa indispensabile e infatti Renzi ha deciso di chiederla. Il voto ci sarà in questa settimana. Ma, ecco il punto, è un voto non in regola con la Costituzione.

Le leggi delega, delle quali si fa ormai grande uso, contengono direttive di principio piuttosto generiche. Ad esse seguono i decreti attuativi che vengono decisi dal governo e esaminati da una Commissione la quale tuttavia emette pareri puramente consultivi. Se quei pareri non piacciono al governo, i decreti attuativi vengono applicati.

A mio avviso le leggi delega debbono essere discusse dal plenum delle Camere senza che si possa mettere la fiducia. Altrimenti si ottiene una maggioranza forzosa con la conseguenza che il Parlamento (in questo caso il Senato) approva lo strapotere del governo senza un voto libero.

Credo quindi che la questione debba essere sollevata e la fiducia preclusa, senza di che la Consulta potrebbe rapidamente intervenire se sarà opportunamente richiesta a farlo.

 

 

 

Giorgio Napolitano visita la mostra di Togliatti: l'addio alla Camera nel segno della grandeur comunista della norma....

GIORGIO NAPOLITANO

L’ultimo dei togliattiani saluta Palmiro. Prima del congedo. Giorgio Napolitano arriva all’inaugurazione della mostra su Togliatti, alla Camera. Passo lento e affaticato, si appoggia sul bastone. A vedere l’agenda, da qui al momento della successione al Colle, è l’ultima volta alla Camera da presidente della Repubblica. Come qualche settimana fa è stata l’ultima volta al Vaticano. Pochi e significativi appuntamenti di un congedo dal metodo, anch’esso, togliattiano, metodo incentrato sulla costante ricerca di un equilibrio tra i poteri, in primis tra Stato e Chiesa. E proprio della politica di ricomposizione del Paese, nel dopoguerra, parla il presidente dell’Istituto Gramsci Beppe Vacca nella relazione con cui presenta la mostra, una politica di cui l’articolo 7 della Costituzione è solo una tappa, nel più ampio contesto della svolta di Salerno e della politica di unità nazionale, vero fil rouge del comunismo italiano.

Una visita ad alto valore simbolico. Di omaggio, di lezione, di congedo. O di tutte e tre le cose assieme. Da comunista italiano. Perché Giorgio Napolitano non ha mai rinnegato Togliatti, né come leader del comunismo italiano e internazionale né come Padre della Patria neanche quando il grosso della generazione della svolta della Bolognina lo ha rimosso dal Pantheon dei padri dei vari partiti di sinistra che si sono succeduti, dal Pds al Pd. È un aspetto cruciale per comprendere la presenza del capo dello Stato alla mostra, fanno capire amici e politici vicini al presidente. Che ricordano come, già nel volume che Napolitano scrisse prima della sua elezione al Quirinale del 2006 Dal Pci al socialismo europeo, non solo non rinnegò l’adesione al “partito nuovo”, ma lo difese dall’onda montante del revisionismo storico. Anche nella biografia che prima della rielezione al Colle del 2103 scrisse Paolo Franchi, giornalista di sensibilità quirinalizia e culturalmente vicino a Giorgio Napolitano, era scritto: “È probabile che, senza la svolta di Togliatti, comunista o almeno comunista a tempo pieno, non sarebbe diventato mai”.

Ecco, ora che all’ordine del giorno c’è la successione, il capo dello Stato omaggia le origini comuniste. E con lui arriva nella sala Aldo Moro della Camera la generazione del vecchio Pci, accomunata dal mito di Livorno e della Svolta di Salerno. Quella generazione per cui la politica è, per usare un’espressione antica di Giorgio Amendola, una scelta di vita. Nell’attesa, Aldo Tortorella, un avversario interno di Napolitano ai tempi del Pci, incrocia Emanuele Macaluso, che di Napolitano è amico intimo ma anche compagno delle battaglie miglioriste: “Emanuele – dice col sorriso - sono stato poco bene sennò avrei polemizzato con te”. Pronto, Macaluso risponde: “Perché, sei diventato renziano?”. E Tortorella: “Io no, piuttosto i tuoi sono tutti renziani, come Morando. O no?”. Se la ride Alfredo Reichlin, che su Repubblica ha recentemente spiegato a Renzi che quando parlava di partito Nazione non si riferiva a un partito che perdesse il suo ancoraggio a sinistra. Poi si ferma a parlare fitto fitto con Casini e Bersani, assieme ad Epifani gli unici segretari del Pd presente. Arriva anche il capogruppo al Senato Luigi Zanda mentre Roberto Speranza, capogruppo alla Camera, è a Napoli con D’Alema a celebrare una mostra su Enrico Berlinguer. Ugo Sposetti, infaticabile organizzatore della mostra, poco più in là parla con lo storico Francesco Barbagallo.

Già, Renzi. Tranne Lia Quartapelle, la generazione della Leopolda non incrocia quella di Livorno. Non ci sono renziani sotto il quadro di Guttuso a tinte rosse sui funerali di Togliatti che illumina la mostra. Napolitano si ferma di fronte ad alcuni documenti. Pasquale Laurito, fondatore della Velina rossa, scherza: “Presidente, hai visto gli appunti di Togliatti sul Senato, l’articolo 58? Sono di grande attualità”. Sorride, il presidente, mentre lentamente attraversa la sala, accompagnato dalla figlia del Migliore. Quasi commosso si ferma di fronte al Togliatti privato, alle sue lettere scritte ai figli. Poi, la Costituente: “Certo – prosegue Laurito - che furono dei grandi Togliatti e de Gasperi”. Macaluso, con orgoglio: “Togliatti un grandissimo”.

Napolitano è taciturno, basta la presenza in una sala intrisa dal senso della grandeur comunista. E taciturno ascolta, a due metri di distanza, la relazione di Beppe Vacca che una volta si sarebbe titolata La lezione di Togliatti. Lezione che Napolitano ha ascoltato e interpretato, di fatto l’opposto del metodo Renzi, fatto di strappi divisivi. L’unico ministro presente è il guardasigilli Andrea Orlando, voluto da Napolitano a via Arenula, al ministero dove più di mezzo secolo prima entrò proprio il Migliore. La minoranza Pd è al gran completo: Cuperlo, Pollastrini, D’Attorre, Boccia, Zampa, Marantelli.

Ora, proprio attraverso il metodo togliattiano si può leggere l’ultimo mese del settennato di Napolitano, nel senso della sua gestione politica. Un metodo fatto di realismo, valutazione dei rapporti di forza che è sempre emerso sia nella fase iniziale del primo settennato (iniziata nel 2006) quando incarnò il senso dell’equilibrio repubblicano in un momento di guerra civile a bassa intensità sia nel momento cruciale del 2011 quando esercitò il ruolo di regista, in uno dei momenti più delicati della vita del paese. Ed emerso nello spirito con cui accettò l’inedita rielezione, come garanzia per uscire da uno stallo istituzionale. Ora anche l’uscita è graduale e senza traumi. Da quando l’8 novembre è uscita la notizia che è sul punto di lasciare, il capo dello Stato l’ha confermata, ma proprio per non lasciare l’opinione pubblica nel buio o nella confusione delle profezie, ha fatto capire – anche al premier nel corso del suo ultimo colloquio – che fino alla fine resterà nel pieno delle sue funzioni. E che il momento del cambio sarà gennaio. Tanto che è filtrata, proprio dal Quirinale, un’agenda fitta di impegni per tutto il mese di dicembre. Più di uno dei presenti alla mostra spiegava all’uscita: “Il discorso del 16 dicembre alle alte cariche sarà il discorso dell’annuncio. Tra il 15 e il 20 gennaio le dimissioni”.

 

george pell 675.jgp
“Il Vaticano non è in
fallimento”: le ricchezze
nascoste nei fondi neri

 

 

Dopo l'omicidio del bambino Loris in Sicilia, si scatena una tempesta di morte senza soluzione di continuità: ritrovato il corpo dell'insegnante del frusinate scomparsa un mese fa, a mantova trovato il cadavere di un uomo di 48 anni ficcato in un sacco e legato ai piedi; ad Ancona un uomo prima crivella di colpi moglie e figlio piccolo , poi si fa esplodere il cervello, passano 24 ore e l'identica scena si ripete a Rapallo, Liguria: carneficina familiare con suicidio finale, anche in questo caso un altro bambino spazzato via. A settembre in località Bullona, nord Milano, un giovane abbranca l'ex fidanzata di peso su un balcone e si scaraventa giù insieme a lei spappolandosi al suolo. Questo sterminio di massa ormai passa come una cosa perfettamente normale. Con l'esplosione e la recrudescenza della crisi economico-finanziaria-sociale, IL SUICIDIO DI PARECCHI imprenditori, operai, artigiani rimasti senza lavoro, senza scopo, aveva posto drammaticamente l'accento su una pratica, QUELLA DEL SUICIDIO, che non AVEVA MAI CONTRADDISTINTO una società mediterranea come la nostra. L' "uso" del suicidio fino al 2008 era tipico di società come quella giapponese, iper-industrializzata, iper-competitiva e per questo basata sul "vali se funzioni", come ti guasti è meglio che ti elimini....oppure in società nordiche, come Norvegia e Finlandia dove la solitudine e la morfologia incidono nella psicologia della persona. In Italia fino al 2008 avevano continuato a funzionare compartimenti stagni come la centralità della famiglia, centralità della religione, centralità del radicamento territoriale. Im provvisamente la famiglia è diventata una gabbia soffocante ed oppressiva, la religione un orpello inutile che non fornisce risposte e spiegazioni, il radicamento territoriale un qualche cosa di medioevale di fronte al bombardamento della connettività che permette la raggiungibilità dell'altro capo dwel mondo. Il risultato è la smaterializzazione della personalità che si annulla di fronte al network-massa-pensante. E' quest'ultimo a governare l'individuo sempre meno imprevedibile e sempre più connesso all'emulazione: così ecco lo scatenarsi sistematico dell'omicidio-suicidio.

 

Regionali 2014 e astensionismo: come si rottama la democrazia

La domanda è: perché mai gli italiani dovrebbero correre festanti ai seggi elettorali invece di evitarli come la peste? Una vecchia battuta americana sostiene che i politici sono quei tipi che si fanno invitare a pranzo, ti fregano le posate, corteggiano tua moglie e poi ti chiedono il voto. Con un’altra battutaccia si potrebbe dire che, come se non bastasse, la classe politica italiana ha portato il Paese alla bancarotta, che si tratta di nominati che pascolano senza molto costrutto nelle varie assemblee e che pur percependo ricchi emolumenti finanziano con i nostri quattrini l’acquisto di slip e vibratori per uso personale.

Renzi -AlSisi-540

Mai nella lunga storia repubblicana il ceto politico era stato oggetto di una tale, massiccia impopolarità venata di vero e proprio disgusto. La novità è che adesso quasi nessuno fa finta di allarmarsi e anzi c’è chi vede nell’astensionismo collettivo “anche un elemento di modernità e di normalità” (Folli su Repubblica). Mentre Matteo Renzi che non ha tempo da perdere rottama la democrazia rappresentativa con cinque semplici paroline: “L’affluenza è un problema secondario”. Amen. Impegnato com’è a cambiare l’Italia lo statista di Rignano incassa soddisfatto il “2 a 0” (Emilia-Romagna e Calabria) e non sa che farsene dei numeri assoluti (rispetto alle Europee di sei mesi fa il “suo” Pd ha perso la bellezza di 769 mila voti). Con questo sistema il giorno, poniamo, che le percentuali di voto scendessero al dieci o al cinque per cento ci sarebbe sempre una Boschi o una Picierno a ricordarci che il nuovo che avanza avrebbe pur sempre il sostegno del 41 per cento degli elettori.

Pubblicità

La verità è che da oggi Renzi guida un governo di estrema minoranza e che la grande fuga elettorale rafforza la contestazione della sinistra pd e della Cgil in Parlamento e nelle piazze. Senza contare che di fronte alla catastrofe di Forza Italia (meno 222 mila voti) la decenza politica imporrebbe al premier di accantonare il patto del Nazareno visto che l’altro contraente, Berlusconi rischia di contare come il due di picche travolto dal si salvi chi può degli ex dc guidati da Fitto.

Dalla disfatta non si salva il M5S (meno 400 mila voti) i cui vertici farebbero bene a non negare ciò che è sotto gli occhi di tutti, che cioè una parte del voto di protesta sta lasciando deluso le sponde grilline per rifluire nell’astensionismo. In questo panorama vince solo la Lega di Matteo Salvini, che con Casa Pound miete consensi nell’unico granaio elettorale rigoglioso: quello dell’intolleranza xenofoba e della disperazione fascistoide. L’Italia vede nero.

M5s, due espulsi. Faccia a faccia Artini-Grillo
“Così mi rovinate”, “Non vi fidate più di me?”

Cacciati due deputati: in 19mila votano sì. Il parlamentare toscano: “Decisione presa a tavolino” (video)
Il racconto del confronto nella villa del leader: “Ricostruiamo il Movimento”, “No, va tutto bene così”
VIDEO-RIZZETTO: “SECESSIONE M5S? VALUTIAMO”. DI MAIO: “FACCIANO COME VOGLIONO” (di M. Lanaro). Continuano le espulsioni a pioggia di senatori e deputati in un momento storico nel quale l'Italia si appresta a delle mutazioni politico-istituzionali che modificheranno inevitabilmente il corso della sua storia. Ci sarebbe bisogno del contributo di tutta l'opposizione contro riforme di stampo piduista ma purtroppo si guarda ad un bizantinismo fideista in un contesto che vede il Movimento perdere molti voti....

ESPULSI-casagrillo-pp2

Politica & Palazzo

Artini e Pinna sono fuori dal M5s: lo hanno deciso gli iscritti che hanno votato sul blog di Grillo (i sì sono stati oltre 19mila). I due deputati sono accusati di non aver restituito parte del loro stipendio. La replica: “Falso, ecco le prove” (foto). In serata un gruppo di parlamentari e attivisti si è presentato davanti alla villa del leader, in Toscana. In 6 lo incontrano, ma lui non li fa entrare. Artini: “Deludente anche dal punto di vista del rispetto” (video di E. Trevisani). Ecco cosa si sono detti nel faccia a faccia di un’ora  di M. Castigliani

 

M5s, Grillo: "Fuori Artini e Pinna". Al via voto sul Web

I due deputati, accusati di non aver rispettato le regole del codice di comportamento in merito alla restituzione di parte dello stipendio, dopo le elezioni Regionali avevano mosso critiche durissime contro il Movimento. La parlamentare: "Sospeso lo stato di diritto"

ROMA - La motivazione dichiarata è la mancata restituzione di parte dello stipendio. Ma dietro potrebbero esserci le critiche mosse al Movimento dai due deputati messi sotto accusa. Beppe Grillo lascia la decisione alla Rete e dal blog apre un voto on line, sino alle 19, sulla proposta di cacciare da M5S i deputati Paola Pinna e Massimo Artini, rei di non rispettare il codice interno. "Chi non restituisce parte del proprio stipendio (come tutti gli altri) viola il codice di comportamento dei cittadini parlamentari M5S, impedisce in questo caso a giovani disoccupati di avere ulteriori opportunità di lavoro oltre a tradire un patto con chi lo ha eletto. Un comportamento non ammissibile in generale, ma intollerabile per un portavoce del M5S", si legge nel 'capo d'imputazione'. "Quindi valuta: sei d'accordo - si chiede ai militanti - che Pinna e Artini NON possano rimanere nel Movimento 5 Stelle?". Immediata su Facebook la replica della deputata: "Io le regole le ho sempre rispettate, i soldi li ho restituiti come previsto. Sono loro che le stanno violando visto che", sulla procedura di espulsione, "non stanno passando per l'assemblea come previsto da Statuto M5S", ha detto Pinna, che ha aggiunto: "Quanto apparso poco fa sul blog www.Beppegrillo.It è falso. Per non parlare di quella che è una vera e propria sospensione dello stato di diritto".

Pinna e Artini all'attacco. I due deputati finiti nel mirino non hanno risparmiato critiche al M5S dopo i risultati delle Regionali: Paola Pinna, già in passato accusata di essere una 'dissidente', aveva apertamente dichiarato che il Movimento "perde pezzi". Per la rappresentante M5s, "da interpreti della  protesta e da unica alternativa credibile a un sistema corrotto e inefficace, dominato da un malaffare lontano dalle istanze dei cittadini, siamo diventati marginali sulla scena politica. Ci siamo auto-condannati all'esclusione rinunciando al nostro ruolo di innovatori, che è stato usurpato da chi oggi inneggia a un 2 a 0 che non c'è o da chi festeggia dicendo 'ho fatto meglio dell'Umberto e anche del Silvio'". Non meno dure le parole di Massimo Artini: "La gente sul territorio non è arrabbiata, di più", ce l'ha "con chi si inventa una cavolata come quella di Mussolini che non ha ucciso Matteotti da mettere sul sito il giorno in cui ci sarebbe da parlare della sconfitta elettorale. Immagino ce l'avessero nel cassetto da mesi", aveva detto in un'intervista a Repubblica. "Il punto è che non riusciamo ad avere la credibilità che ci meritiamo. Anche stavolta, non siamo stati credibili. E visibili". Dichiarazioni forti, che potrebbero aver accelerato la decisione del leader di mettere ai voti la permanenza o meno dei due nel Movimento.

Altre critiche. Ma quelle di Pinna e Artini non sono le uniche voci critiche contro M5s. Altri due deputati, Sebastiano Barbanti e Tancredi Turco, sono apparsi in tv, sfidando apertamente il divieto fatto ai parlamentari pentastellati di apparire in trasmissioni televisive e soprattutto talk show: parlando davanti alle telecamere di Agorà, i due, che già avevano preso le difese di Walter Rizzetto, "scomunicato" via blog per la partecipazione a Omnibus su La7, hanno messo in discussione in sostanza il ruolo di Grillo, come "unico megafono" del Movimento: "È il momento di fare autocritica, di fare una riflessione seria al nostro interno. Troppe volte i cittadini hanno visto i toni accesi e poche volte le nostre proposte".

L'inceneritore di Parma torna a dividere Grillo e Pizzarotti

Sul blog del leader del M5s ripubblicata una lettera dell'ambientalista Walter Ganapini. "Non è vero che si è fatto tutto per impedire completamento e avvio del forno". Il sindaco: "Basta attacchi, c'è un Paese là fuori che ha bisogno del M5s"

Finita la campagna per le elezioni Regionali e la relativa tregua, ecco che dal blog di Beppe Grillo tornano le critiche contro il primo cittadino di Parma Federico Pizzarotti che si appresta a convocare in città una riunione del M5s anche per analizzare le ragioni del deludente risultato elettorale del M5s in Emilia Romagna.

Sul blog nessun riferimento al voto ma un affondo su un tema storico, quello del termovalorizzatore; impianto che in campagna elettorale il Movimento aveva dichiarato di voler bloccare e che invece è regolarmente in funzione.

Non è Grillo ad attaccare il sindaco, ma l'ambientalista, co-fondatore di Legambiente ed ex presidente di Greenpeace Italia, Walter Ganapini, la cui missiva è stata ripubblicata sul portale dopo che la prima uscita risale - secondo quanto viene precisato in Comune a Parma - a un anno fa come risposta alla lettera scritta dallo stesso sindaco alla città nell'agosto 2013, al momento dell'accensione dell'inceneritore.

La cosa certamente nuova è l'ironico hashtag #aiutiamopizzarotti con il quale il blog di Grillo lancia la campagna "aiutiamo Pizzarotti a chiudere l'inceneritore".

LA LETTERA - "Non aver combattuto e vinto la battaglia contro la 'dirigenza politicante' Iren, priva di strategia industriale moderna e capace solo di accumulare miliardi di debiti, ha creato un danno enorme al paese, non solo al Movimento, quando Parma poteva diventare il simbolo di una svolta decisiva, in senso europeo, delle politiche ambientali/infrastrutturali nazionali: c'erano tutte le condizioni" inizia Ganapini.

"Prima e dopo la tua elezione - ricorda la lettera - ho esibito la mia faccia su giornali e televisioni a supporto di una battaglia contro l'inceneritore che tu non hai mai neppure iniziato, una volta conclusa la campagna elettorale (sarò curioso, un giorno, di capirne il perché)".

"Come purtroppo leggiamo e sentiamo tutti i giorni, hai mancato il tuo obiettivo primario, quando tutto era 'in discesa', ma nessun ascolto è stato dato ai tanti pronti ad aiutare e con esperienze vittoriose alle spalle, in realtà molto più complesse di Parma. Nulla si è fatto per una immediata e possibilissima estensione del 'porta a porta' a tutto il Comune (che avrebbe tolto a monte il 'cibo' al forno). Nulla si è fatto per rendere trasparente il collaudo del forno a partire dal mettere sul serio in discussione competenze e cv di chi ne era stato incaricato; il collaudo è stato così rigoroso che al primo tentativo di avvio d'impianto l'Arpa ha constatato come Iren non riuscisse addirittura ad attivare la post-combustione. Nulla è stato fatto per verificare davvero il rispetto delle norme previdenziali (Durc) da parte delle aziende (quasi tutte in crisi) costruttrici del forno. Nessun seguito tempestivo si è dato alla chiamata di 'manifestazione d'interesse Tmb' cui (...). Nessuno stop a Iren , con richiesta di verifica rigorosa dei conti".

"Venendo a Iren - conclude Ganapini -  avevi patti parasociali per te aurei e che ti davano, di fatto, potere di veto; avevi un VicePresidente membro di un Comitato Esecutivo di 4 membri, figura che ti consentiva il controllo di ogni politica aziendale. Ti sei fatto sfilare tutto senza reagire dal duo Viero-Beggi (potevi persino invalidare l'ultima Assemblea), in modo neppur spiegabile con richiami alla più grave sudditanza psicologica (...)  Oltre a ciò, non è stato dato seguito a nessun suggerimento riorganizzativo circa la macchina comunale da persone che ben ne conoscevano le storture dopo anni di regime Vignali- Moruzzi".

IL SINDACO: BEPPE VIENI A PARMA IL 7 DICEMBRE
- Ecco il commento integrale che ha pubblicato Pizzarotti sulla sua pagina Facebook: "Sul blog di Beppe Grillo si torna a parlare dell'inceneritore di Parma con una lettera vecchia di oltre un anno, come se non avessimo argomentato a sufficienza sul tema quello che abbiamo fatto, stiamo facendo e faremo per la nostra #Parma sul tema inceneritore e rifiuti.

Non ho problemi a ritornare sull'argomento, perché da sindaco sono abituato a mettere la faccia in tutto quello che faccio. Ed è proprio questo lo spirito che ci ha mosso ad organizzare l'evento del 7 dicembre a #Parma, aperto a tutto il MoVimento, per presentare il nuovo Statuto del Comune, primo in Italia ad aver inserito il Referendum senza Quorum e 13 consigli di cittadini volontari: è la differenza che c'è tra l'essere al governo e il non esserci. La differenza tra decidere, mettendoci la faccia e secondo i limiti di legge e i poteri limitati di un sindaco, e il non poter decidere.

Quindi, ecco la risposta, puntuale e trasparente:

- La lettera pubblicata è di oltre un anno fa, perché pretestuosamente pubblicarla oggi? Almeno si poteva evitare la figuraccia di scrivere che non c'è stata l'estensione del porta a porta, dal momento che è esteso in tutta #Parma: oggi siamo al 70% (presto lo supereremo), l'inceneritore è fermo a metà regime perché non ha rifiuti da bruciare, e grazie anche a questo, ma non solo, siamo entrati tra i Comuni Virtuosi italiani, primi in Italia per una città di medie dimensioni.

- Forse "lo staff" dimentica che le indagini che sono in corso sulla costruzione dell'inceneritore sono partite grazie anche alle nostre continue denunce. Proprio oggi un nostro dirigente si trova a Roma per portare all'attenzione dell'Autorità Anticorruzione nuovi elementi. Da ormai due anni collaboriamo con la giustizia per far luce su una vicenda torbida, che contrastiamo ogni giorno, con la stessa convinzione di sempre. E lo facciamo da soli, e siamo gli unici, in una Regione di 4 milioni di abitanti governata da un partito che degli inceneritori ha fatto il proprio cavallo di battaglia.

- A questo link 4 pagine di notizie - e sono soltanto alcune tra le tante -, che testimoniano la nostra continua, costante, infinita battaglia non solo all'inceneritore di Parma, ma a tutti gli inceneritori della regione Emilia Romagna.

Mi spiace Beppe , ma il problema dei tuoi invisibili, ma ben noti cortigiani che utilizzano un blog ormai ombra di se stesso è che pontificano sul lavoro degli altri senza conoscere l'argomento, ma senza nemmeno sporcarsi le mani come fa un sindaco, un consigliere, un parlamentare. Si attaccano le persone nascondendosi dietro la tastiera, senza fare autocritica quando la necessità è reale, vedi le elezioni Regionali.

Sono entrato nelle Istituzioni come MoVimento 5 Stelle perché credo che la politica abbia ancora una sua dignità, anche se nascosta, anche se con una luce debole e sfiancata. Ma è proprio oggi, è proprio questo il tempo per ridare la dignità alle persone, ridando dignità alla politica.

Non attraverso la rabbia, non attraverso gli slogan, ma con il sorriso, con gli atti concreti che ogni giorno portiamo avanti. Per questo, caro Beppe, non c'è proprio tempo per seguire i soliti, e ormai prevedibili, attacchi sul blog, c'è un Paese là fuori che ha bisogno del MoVimento 5 Stelle. Vieni a Parma invece, sei invitato il 7 dicembre. È il secondo invito che ti facciamo da un anno a questa parte, la speranza è che non ci sia bisogno di un terzo".

LA RIVOLTA DELLA BASE - Dopo la pubblicazione della lettera il blog si è riempito di commenti al vetriolo degli attivisti, molti dei quali assicurano che non voteranno mai più per il Movimento, stufi "dell'ennesimo autogol" dei vertici. Pochissimi, finora, gli interventi anti-Pizzarotti, mentre in molti ne hanno per Grillo, Casaleggio e per l'intero staff.

"Qualcuno gentilmente - chiede un militante deluso - mi gira il link alla procedura per cancellare l'iscrizione dal M5S?". "Dove eravate, te Beppe e te Gianroberto - scrive un altro attivista - quando Pizzarotti aveva bisogno del vostro appoggio, invece di prendersi censure e contestazioni? Ah, sì, a pensare a quale stronzissimo post pubblicare, se Mussolini riabilitato, se Corona condannato...". "Per quel che mi riguarda - gli fa eco un altro ormai ex attivista - una volta avevo tolto la mia presenza da questo blog, ora tolgo anche il voto. Sì, anch'io".

"Ecco l'ennesimo post di lamentele - scrive un militante che si firma con nome e cognome - del quale non frega assolutamente nulla al 99,99% degli italiani. Bravo Beppe, continua così, sei più bravo te di Renzi e compari a disinnescare il M5S".

"Se dovessi dire quale volto incarna il Movimento 5 Stelle - scrive un altro attivista pentito - non avrei dubbi e direi Pizzarotti. A quanto pare però qualcuno molto influente nel Movimento non solo non è d'accordo con me ma addirittura pensa che sarebbe meglio che Pizzarotti non ci fosse! Direi che le due posizioni sono decisamente inconciliabili e siccome ho l'impressione che la mia valga molto meno di 1 io non me l'accollo più e, demoralizzato, mi ritiro con le pive nel sacco. Non vi ringrazio di certo per l'ennesima delusione, ci avevo creduto...".

"E ora - aggiunge un altro deluso ironizzando sui presunti commenti cancellati dal blog - cancellate anche questi: fate sparire centinaia di interventi. Tra un po' vi toccherà inventarli, perché non vi cagherà più nessuno. Idioti".

L'IRONIA DI BOSI - Il capogruppo del M5s in Consiglio comunale Marco Bosi su Facebook ha ironizzato: "Ma il Ganapini che scrive sul Blog di Grillo non sarà mica lo stesso condannato dalla corte dei conti? Un condannato che scrive sul sacro blog? Lesa maestà!".

In un altro post scrive: "Che scopo ha pubblicare una lettera che dice cose palesemente false? Ganapini dovrebbe ricordare nella sua lettera che ci siamo incontrati a Parma dopo le elezioni per pianificare una strategia contro l'inceneritore. Dovrebbe ricordare che eravamo presenti io, l'Assessore all'Ambiente Folli, il Presidente del Consiglio Comunale Vagnozzi, l'esperto Enzo Favoino oltre a lui e il citato Aldo Caffagnini. Perché non dice tutto questo e sostiene che era solo lui a volerle? La nostra presenza dimostra il contrario.

Perché pubblica oggi una lettera di oltre un anno fa? Perché l'ha tenuta nel cassetto tutto questo tempo? A che scopo uscire ora? Nella lettera infatti si dice "la tua lettera di qualche giorno fa" riferendosi a quella che Pizzarotti scrisse oltre un anno fa. Strano vero?

Perché Grillo non ha mai pubblicato sul suo blog l'intervento durissimo che feci in aula contro l'Assessore Provinciale Castellani che aveva escluso il Comune dal comitato di controllo, seguendo proprio i consigli di Ganapini? Perché prima pubblica un video in cui il Sindaco Pizzarotti spiega tutto quello che è stato fatto per fermare l'inceneritore e ora una lettera in cui si dice che non è stato fatto nulla? Perché non ricorda che ci siamo opposti al piano regionale dei rifiuti? Perché invece di accusare lo sblocca Italia di Renzi che farà arrivare rifiuti da fuori Provincia, accusa noi che abbiamo reso l'impianto eccessivo per il nostro territorio grazie al 70% di differenziata? Perché non dice che è con una vittoria in regione che lo avremmo fermato visto che la competenze è da 2 anni alle regioni tramite Atersir?

La politica la cambi se ti metti in gioco fino in fondo, se prendi in mano situazioni anche difficili, se ti spendi in battaglie che non hai la certezza di vincere, se metti il bene dei cittadini sopra ogni altra cosa. E' questo che facciamo ogni giorno. La propaganda strumentale la fanno già i partiti, direi che almeno noi potremmo evitare".

Regionali 2014: M5S ha lasciato il campo ai due Matteo

Per il Movimento 5 Stelle va tutto bene. Beppe Grillo dice che l’astensionismo non li ha colpiti e che “il M5S ha vinto”. Su quali basi? Sulle Regionali del 2010. E in effetti è vero, rispetto a quel dato i 5 Stelle hanno aumentato elettori in Emilia Romagna: da 126.619 a 159.456. Il Pd, in questi quattro anni e mezzo, ha smarrito più di 322mila voti e persino la Lega 55mila. Lo stesso Renzi, in neanche sei mesi, ha perso quasi 700mila elettori nella sola Emilia Romagna. Un record o giù di lì. Da qui a dire che il Movimento 5 Stelle ha vinto, però, ce ne passa. È vero che i 5 Stelle sono cresciuti rispetto al 2010, ma è anche vero che nel frattempo è successo di tutto e il raffronto tra il 13,26% di due giorni fa e il dato emiliano alle Politiche 2013 (24,6%) e alle Europee 2014 (19%) è abbastanza impietoso. Per non parlare del flop in Calabria (neanche il 5%).

L’unico alibi vero del M5S è che, da sempre, la loro forza ha avuto numeri molto più bassi alle Amministrative e Regionali. E la tornata elettorale di domenica non fa eccezione. Qualche domanda, però, i 5 Stelle dovrebbero porsela. L’Emilia, teatro dei loro primi successi, stavolta non gli ha sorriso. Senz’altro ha influito la resa disastrosa di alcuni ex protetti di Grillo e Casaleggio: è comprensibile che, per paura di dare visibilità a qualche nuovo Favia, in molti siano stati a casa. O abbiano guardato altrove, per esempio alla Lega Nord.

Grillo 675

Pubblicità

E proprio il caso di Salvini è emblematico: come ha fatto il leader della Lega Nord a superare addirittura il 19%? Giocando alla Grillo. Non nei contenuti, ma nei modi. Provocando. Costringendo i mass media a parlare di lui. Convogliando il dissenso, la protesta, la rabbia. Alcuni 5 Stelle, ora, quasi ringraziano Salvini per avere “ripulito” il loro elettorato dai sostenitori più intolleranti: un ragionamento bizzarro e snobistico, che dimentica come le elezioni si vincano convincendo tutti. Non solo “i più buoni” (ammesso poi che lo siano). Salvini ha poi occupato sistematicamente la tivù. Era ovunque. I 5 Stelle, al contrario, si sono concessi pigramente giusto a qualche tigì. Per il resto, nisba. Una scelta voluta da Grillo, e più che altro Casaleggio, dopo la sconfitta alle Europee.

I duropuristi, ovvero gli stessi (parlamentari inclusi) che a maggio erano strasicuri di oltrepassare il 30% e bastonare Renzi, continuano a credere che sia la strada giusta e ricordano che anche Gasparri è sempre in tivù, eppure Forza Italia è quasi scomparsa. Certo: infatti la tivù non è utile a prescindere, ma solo se la si sa usare. Salvini sa farlo, Gasparri no. Di Maio saprebbe farlo, ma in tivù non ci va quasi più. E il risultato è che molti elettori si sono allontanati perché hanno avuto la sensazione che il movimento sia divenuto elitario e non rispettoso di chi li ha votati, visto che non li informa (se non in Rete) del loro operato. Che senso ha rinunciare al mezzo più usato dagli elettori over 50, ben sapendo che è proprio tra gli over 50 che i 5 Stelle non attecchiscono? Masochismo puro. Salvini ha potuto spadroneggiare in tivù, perché al di là di quale intellettuale abile a metterlo in difficoltà (tipo Pennacchi), dall’altra parte aveva le Moretti. E dunque vinceva facile. Se a ogni sua comparsata avesse avuto contro un Di Battista, forse l’epilogo sarebbe stato diverso.   

Proprio Di Battista, ieri, ha parzialmente riaperto alla tivù: “Poi, magari, qualche incursione televisiva selezionata. È utile, sono d’accordo. Ma occhio a vedere la tv come soluzione! La Tv ci omologa a un sistema che gli italiani detestano!”. Casaleggio può negarlo quanto vuole, ma a molti italiani – dalle Europee in poi – è parso che i 5 Stelle si siano isolati da soli, abbracciando una clandestinità narcisistica e autoreferenziale che ha finito col favorire ulteriormente Renzi e sminuire le molte battaglie che il movimento continua a portare avanti. C’è poi un’ulteriore sensazione: quella di un Grillo un po’ stanco della sua creatura politica. Forse rientra nella sua umoralità congenita. Di sicuro continuare a ripetere che “va tutto bene, siamo bravissimi”, non pare esattamente la strategia più indicata. O meglio, come strategia è perfetta: per Renzi, però.

E per il dopo-Silvio spunta il marito di Noemi,l'ex Lolita Troia del Cazzo....

Tra le giovani promesse convocate a Villa Gernetto anche lo sposo della ragazza di Portici. Affiancato dai rampolli dei ras campani di Forza Italia

il padre si presentava ad Arcore, non dimenticava mai di portare una scorta di mozzarelle freschissime appena confezionate nei caseifici campani. Così di bufala in bufala, Luigi Cesaro ha conquistato la fiducia di Silvio Berlusconi e la leadership di Forza Italia a Napoli. Le gaffe che gli hanno valso il soprannome di Giggino 'a Purpetta, celebre quando confuse Marchionne con il Melchiorre dei re Magi, non hanno influito sulla sua carriera politica con tre elezioni alla Camera e una al Parlamento europeo. E adesso si prepara a cedere il trono al figlio Armando: l'erede è stato convocato al casting di Villa Gernetto, tra i volti nuovi della destra italiana. Chissà se avrà mantenuto la tradizione di famiglia, consegnando il ghiotto dono caseario.

Accanto a lui c'era un altro rampollo di rango, Giampiero Zinzi: il padre è deputato e presidente della provincia di Caserta, con trascorsi da sottosegretario alla Salute. La sua è una conversione rapida: alle ultime politiche si è candidato invano con l'Udc, partito lasciato pochi giorni prima di ascendere all'empireo di villa Gernetto. Ma a completare la delegazione campana delle giovani promesse convocate nella dimora lombarda c'era un nome ancora più sorprendente: Vittorio Romano, noto alle cronache come sposo di Noemi Letizia.

Il suo volto è stato individuato dal “ Corriere del Mezzogiorno ” tra la pattuglia selezionata per individuare l'anti-Renzi forzista. Ed è inevitabile pensare alla parabola berlusconiana, che proprio in quella festa per i diciotto anni di Noemi Letizia cominciò il suo declino. Era l'aprile 2009: la crisi lontana, il vertice italiano dei Grandi del Pianeta alle porte e il potere del Cavaliere pressoché assoluto. Ma le foto nel locale di Casoria accanto a quella ragazza bionda cominciarono ad aprire dubbi sulle abitudini del premier, poi sfociate in scandali con storie di festini e prostitute, fino al processo per le “serate eleganti” con la minorenne Ruby Rubacuori.


Altri tempi. Ora pure Silvio Berlusconi è in cerca di un successore a cui affidare l'immagine del partito, sempre più malandata. E tra i candidati all'eredità compare pure il marito di Noemi. Vittorio Romano viene da una famiglia molto nota a Napoli: il padre è l'ingegnere Valerio, che divide la passione per la vela a quella per lo sci, alternando una delle ville più belle di Capri a un altrettanto prestigiosa casa a Cortina. La madre è Vicky de Dalmases, che dopo gli esordi come presentatrice su una tv locale napoletana ha fatto valere le sue nobili origini spagnole ed è stata per un periodo consigliere diplomatico del governatore campano Antonio Bassolino, nella stagione dorata in cui la Regione vantava ambasciate in tutto il mondo.

Il trentatrenne Vittorio ha sposato Noemi in seconde nozze, subito benedette da una bambina e con una seconda gravidanza in corso. Prole e ascesa politica sembrano andare di pari passo. A giugno ha ottenuto la guida del settore promozione e sviluppo dei Club Forza Silvio nell'Italia meridionale. Poi i flash dei paparazzi lo hanno fotografato alle spalle dell'ex Cavaliere nella cena di finanziamento romana del movimento: una bella rimpatriata, con Berlusconi e Francesca Pascale seduti alla stessa tavola di Noemi. Uno scatto che forse vale un'investitura.
E per il dopo-Silvio spunta il marito di Noemi

Scanzi vs Moretti (Pd): ‘Se l’Inter perdesse, Thohir la metterebbe al posto di Mazzarri’

Veneto, europarlamentare Moretti (Pd): “Basta indugi, mi candido. Ora primarie”

 

Polemica al calor bianco tra Andrea Scanzi e Alessandra Moretti, europarlamentare del Pd e candidata alle primarie del partito in vista delle elezioni regionali del Veneto. La gazzarra esplode durante la trasmissione “Dimartedì” (La7), quando l’eurodeuputata snocciola i meriti del governo Renzi: “Ha ridato fiducia a famiglie e imprese, tagliando le tasse, rendendo strutturali gli 80 euro, sostenendo la natalità. E’ il governo che ha tagliato la tassa più odiosa, l’Irap“. “L’errore è essere convinti che questo sia un governo e non un incantamento generale” – replica il giornalista de Il Fatto Quotidiano – “C’è un totale dislivello tra la percezione e la realtà. La realtà è che sulle pensioni è cambiato pochissimo. L’Irap è stata tecnicamente abolita, ma è rientrata da un’altra parte. La maggioranza del Paese è vittima di una sorta di sbornia per un Panariello minore“. “Mi guarderei bene dal definire un bamboccello il presidente del Consiglio. Bisogna avere ogni tanto un po’ di rispetto” – obietta la Moretti – “Lei racconta favolette sul suo giornale. In 7 mesi abbiamo fatto di più di quanto fatto dai governi in 20 anni”. “Utilizzate dei bravi pusher allora“, ribatte Scanzi, che sottolinea l’incoerenza della sua interlocutrice: “Non so come collocarla politicamente. Anni fa era vicina al centrodestra, poi è diventata bersaniana e ce l’aveva con Renzi che per lei era sessista. Ora è renziana. Se tra due settimane l’Inter perdesse, Thohir la metterebbe anche come allenatore al posto di Mazzarri. Dove c’è un posto libero, arriva Alessandra Moretti. Si chiama ‘coerenza’”. “Baggianate totali e bugie“, insorge l’esponente del Pd. Lo scontro deflagra nuovamente quando Scanzi nota: “Voi imparate a memoria la lezioncina di Renzi e la recitate”. “Ti manca solo definirmi “bambola stupida”", ribatte la Moretti. Floris cerca di sedare il battibecco e osserva ironicamente: “Se volete, vi lascio da soli” di Gisella Ruccia

 

 

 

 

 

I cortei di Fiom, Cobas e studenti contro Renzi
Landini: “Intesa Pd sul lavoro? Presa PER IL CULO !!!”

 

“Sciopero sociale” in tutta Italia. Manifestazioni in 25 città. A Roma uova e fumogeni contro sede Mef
La Cgil rilancia la sfida sul Jobs Act. Camusso: “Mediazione? Non mantiene tutela dei diritti” (video)

 

corteo fiom milano pp

Lavoro & Precari
E’ il giorno dello “sciopero sociale”: Fiom, Cobas, sindacati di base, organizzazioni studentesche, precari e attivisti dei centri sociali scendono in piazza a Roma, Milano, Napoli e in altre 22 città contro le politiche di austerità della Ue e del governo Renzi, contro il Jobs Act e l’abolizione dell’articolo 18. Ma anche, per quanto riguarda la scuola, per l’assuzione dei precari e un no secco al piano del governo. A Milano la manifestazione principale, organizzata dalla Fiom. Un’occasione per rilanciare la sfida al governo soprattutto sul Jobs act
 

 

Berlusconi cede a Renzi sull'Italicum ma vuole garanzie sul dopo-Napolitano. Pure Confalonieri lo chiama: non rompere....i coglioni!!!

manifestazione CGIL del 25 ottobre 2014 al Laterano, il disastro delle pirmarie in Veneto, il disastro dell'amministrazione Crocetta in Siclia, Reggio Calabria passa al centro-sinistra dopo il disastro Scoppelliti

 

 

Veneto, europarlamentare Moretti (Pd): “Basta indugi, mi candido. Ora primarie”....disastrose, solo 40.000 votanti, praticamente senza avversari.....

Veneto, europarlamentare Moretti (Pd): “Basta indugi, mi candido. Ora primarie”

Politica & Palazzo
La deputata democratica annuncia la sua disponibilità alla corsa per diventare governatore. Pochi giorni fa aveva smentito la notizia. Sarebbe il terzo cambio di carica in meno di due anni

Da responsabile della campagna elettorale 2013 di Pierluigi Bersani a “miss preferenze” delle elezioni Europee 2014. Da parlamentare a Roma ad eurodeputata a Bruxelles. Ora a pochi mesi dall’inizio del mandato, Alessia Moretti annuncia di volersi candidare per la carica di governatore del Veneto con il Partito democratico. “Davanti al rischio”, dice in una nota, “di vedere il Pd locale spaccarsi intorno a questa scelta, ho deciso di rompere gli indugi e chiedere alla direzione regionale di indire le primarie e fissare una data che sia entro la fine di novembre. Sento la necessità forte di entrare subito nel vivo della competizione, perché siamo davanti a un’occasione storica e bisogna fare presto. Non ci sono qui in gioco le carriere e i destini politici personali ma c’è solo il Veneto”.

Solo il 28 ottobre scorso, la stessa Moretti aveva smentito la sua intenzione di scendere in campo per la corsa a governatore. “Ci sono già tanti nomi”, aveva detto al programma di Rai Radio 2 “Un giorno da Pecora”, “di persone che potrebbero farlo al posto mio: la senatrice Laura Puppato, Flavio Zanonato, Simonetta Rubinato“. Oggi invece l’eurodeputata annuncia di aver cambiato idea: “Ho ricevuto”, spiega, “la chiamata del segretario regionale De Menech che mi ha chiesto la disponibilità a scendere in campo e inoltre devo tener conto dei molteplici appelli in tal senso che mi sono giunti in questi giorni anche da Roma, dal Pd nazionale, dagli amministratori e dai politici locali, così come dai circoli veneti. Mi chiedono tutti di esserci e sento dunque il dovere di assumere questa responsabilità: non mi sono mai tirata indietro, nella mia storia politica, e non lo farò di certo questa volta in cui c’è in ballo il futuro della mia terra”.

 

BOTTE, MANGANELLI E VESTALI FANATICHE: IL PARTITO DELLA DIOSSINA NAZIONALE VERSO L'ANNIENTAMENTO DEL QUARTO STATO

Camusso: "Renzi abbassi manganelli"   diretta tv   Premier: su scontri verifiche e atti conseguenti 

Pina Picierno e gli hooligans di Matteo 
Il disastro comunicativo dei nuovi renziani

Ast,   scontri al corteo: feriti tre operai     foto   Landini: "Picchiati  senza motivo "   video   -   dir.tv

Ast Terni, scontri al corteo: feriti tre operai  foto
Landini: "Picchiati senza motivo"
video - dir.tv

Manganellate vd / Video Segretario Fiom:"Fermatevi" -foto
Delrio: Verificheremo. Cgil: Alfano risponda pubblicamente

Jobs act, il Senato dice sì alla fiducia Libri contro Grasso, rissa tra Pd e Sel
 
 
Renzi voleva fare presto e magari ricevere la fiducia durante il vertice con gli altri leader europei a Milano. E invece il Senato è sempre il Senato ed è stata un’altra giornata di passione anche sul Jobs act, simile alle “battaglie” sulle riforme istituzionali. Grillini e Carroccio gridano e interrompono il discorso di Poletti (video). Poi volano fogli e pure il regolamento di Palazzo Madama contro il presidente. Arrivano quasi alle mani anche i parlamentari di Pd e Sel. E il voto di fiducia arriva solo a tarda notte

 

Dalle mazzate della polizia agli operai di Terni, alle provinciali di secondo grado, dal milione della CGIL al laterano , al bonus bebè, dal mezzo milione del M5S al Circo Massimo, a thomas Piketty, dal crollo di SEL alla fuga dal M5s, dall'eterologa alle baby squillo

 

 

DELINQUENZA AD ALTO LIVELLO

LA ROMA DECADENTE DEL SECONDO MILLENNIO: DAL FALLIMENTO FINANZIARIO DEL COMUNE AL DOMINIO DEL POST EVERSISMO NERO FRAMMISCHIATO ALLA MAFIA DEI "NIPOTI" DI PIPPO CALO'

 

 

Le nomine? Si decidevano “dar Bruttone”
Grand tour criminale della mafia a Roma

Da piazza Tuscolo all’Appia e l’Eur, ecco dove i boss della capitale si trovavano per i loro affari
IL SINDACO MARINO INCONTRA RAFFAELE CANTONE: “VERIFICHEREMO TUTTI GLI APPALTI DUBBI”

mappa-roma-pp

Mafie
Prima di mangiarsi Roma, il Comune, le municipalizzate, gli appalti, finanche quelli per gli odiati centri di accoglienza di “negri” e “zingari”, i fascio mafiosi pensavano alla panza. Ristoranti, wine bar, club. Non c’è ancora una guida di “Mafia Capitale” per i locali frequentati dai Carminati boys, né qualcuno vi accompagnerà per le strade dove si “corca” di botte chi non rispetta i tempi dei cravattari. E allora iniziamolo noi il tour del male. Da via Veneto a piazza Tuscolo, ecco i luoghi della mafia romana  di Enrico Fierro
•MARINO RIMUOVE IL CAPO DELLA TRASPARENZA SCELTO DALLA MAFIA (DI M. PASCIUTI) •“PAGO TUTTI”, LO ZIBALDONE DELLE MAZZETTE DI BUZZI (di G. Trinchella)

•”COMUNE CONDIZIONATO”, ORA RISCHIO SCIOGLIMENTO (DI N. TROCCHIA) •VIDEO – QUANDO MADIA DISSE: “PD ROMA? CI SONO ASSOCIAZIONI A DELINQUERE”

•VIDEO – L’ARRESTO DI MASSIMO CARMINATI NELLA SUA CASA DI SACROFANO (RM)

•Renzi commissaria il pd romano •Alemanno: “Sulla squadra ho sicuramente sbagliato”

Massimo Carminati: arrestato l'ultimo Re di Roma,l'immortale. Indagato Gianni Alemanno. Accusa associazione a delinquere di stampo mafioso. Centinaia di indagati, decine di arresti

L’ultimo “re di Roma”, Massimo Carminati, è stato arrestato nell’ambito di un’indagine della Procura della Capitale per associazione mafiosa, ex articolo 416 bis. L'accusa è di associazione a delinquere di stampo mafioso. Tra gli indagati c'è anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. "Chi mi conosce sa bene che organizzazioni mafiose e criminali di ogni genere io le ho sempre combattute a viso aperto e senza indulgenza. Dimostrerò la mia totale estraneità ad ogni addebito e da questa incredibile vicenda ne uscirò a testa alta. Sono sicuro che il lavoro della magistratura, dopo queste fasi iniziali, si concluderà con un pieno proscioglimento nei miei confronti". Si è dimesso anche il presidente dell'Assemblea capitolina Mirko Coratti.

Sono oltre cento le persone iscritte sul registro degli indagati della procura di Roma nell'ambito dell'inchiesta sui legami tra criminalità e affari nella capitale, una vicenda che porterà ad ulteriori sviluppi. Trentasette, invece, sono le misure cautelari firmate dal gip Flavia Costantini: 29 in carcere e otto agli arresti domiciliari. In cella sono finiti, oltre a l'ex esponente dei Nar Massimo Carminati, il direttore generale dell'Ama Giovanni Fiscon, l'ex ad di Ente Eur Riccardo Mancini, l'ex ad di Am Franco Panzironi, l'ex capo della polizia provinciale Luca Odevaine e il responsabile della Cooperativa 29 giugno Salvatore Buzzi. Tra gli indagati figurano l'uomo d'affari Gennaro Mokbek, il commercialista Marco Iannilli e l'ex sindaco Gianni Alemanno.

Tra i nomi indagati anche i consiglieri regionali Eugenio Patanè (Pd) e Luca Gramazio (Pdl-Fi). Gli uffici della Pisana dei due consiglieri sono stati perquisiti dal Ros. Perquisiti anche gli uffici del presidente dell'Assemblea capitolina Mirko Coratti (Pd): anche lui risulta tra gli indagati.

Continua a leggere oltre l'immagine

roma

L'operazione è in corso dalle prime ore di martedì 2 dicembre. Al centro delle indagini del Ros un sodalizio mafioso da anni radicato nella Capitale e facente capo a Massimo Carminati, con diffuse infiltrazioni nel tessuto imprenditoriale, politico e istituzionale. Documentato un ramificato sistema corruttivo finalizzato a ottenere l'assegnazione di appalti e finanziamenti pubblici dal comune di Roma e dalle aziende municipalizzate, con interessi anche nella gestione dei centri di accoglienza per gli immigrati.

I Carabinieri stanno eseguendo nelle province di Roma, Latina e Viterbo, un'ordinanza di custodia cautelare emessa su richiesta della procura distrettuale antimafia di Roma nei confronti di 37 indagati per associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, corruzione, turbativa d'asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio e altri reati.

Contestualmente la Guardia di finanza sta eseguendo un decreto di sequestro di beni riconducibili agli indagati emesso dal tribunale di Roma per un valore di oltre un milione di euro.

Massimo Carminati, ex terrorista di estrema destra dei Nar ed ex membro della Banda della Magliana, sarebbe stato arrestato mentre si trovava a casa di Marco Iannilli, il commercialista romano, già finito in carcere e condannato in primo grado per la colossale truffa su Fastweb e Telecom Sparkle e coinvolto nel caso Enav. Domenica gli uomini del Ros hanno effettuato delle perquisizioni nella villa di Iannilli a Sacrofano, in provincia di Roma. Perquisita anche la casa di Gianni Alemanno, l’ex sindaco di Roma.

Di Massimo Carminati scrive Lirio Abate sull'Espresso:

Non ama guidare e preferisce spostarsi a piedi o cavalcando uno scooter. Nessun lusso negli abiti, modi controllati e cortesi: in una città dove tutti parlano troppo, lui pesa le parole ed evita i telefonini. Sembra un piccolo borghese, perso tra la folla della metropoli, ma ogni volta che qualcuno lo incontra si capisce subito dalla deferenza e dal rispetto che gli tributano che è una persona di riguardo. Riconoscerlo è facile: l'occhio sinistro riporta i segni di un'antica ferita. Il colpo di pistola esploso a distanza ravvicinata da un carabiniere nel 1981: è sopravvissuto anche alla pallottola alla testa, conquistando la fama di immortale. Anche per questo tutti hanno paura di lui. Ed è grazie a questo terrore che oggi Massimo Carminati è considerato l'ultimo re di Roma.

La sua biografia è leggendaria, tanto da aver ispirato "Il Nero", uno dei protagonisti di "Romanzo criminale" interpretato sullo schermo da Riccardo Scamarcio. È stato un terrorista dei Nar, un killer al servizio della Banda della Magliana, l'hanno accusato per il delitto Pecorelli e per le trame degli 007 deviati, l'hanno arrestato per decine di rapine e omicidi. Come disse Valerio Fioravanti, «è uno che non voleva porsi limiti nella sua vita spericolata, pronto a sequestrare, uccidere, rapinare, partecipare a giri di droga, scommesse, usura». Sempre a un passo dall'ergastolo, invece è quasi sempre uscito dalle inchieste con l'assoluzione o con pene minori: adesso a 54 anni non ha conti in sospeso con la giustizia. Ma il suo potere è ancora più forte che in passato. Il nome del "Cecato" viene sussurrato con paura in tutta l'area all'interno del grande raccordo anulare, dove lui continua a essere ritenuto arbitro di vita e morte, di traffici sulla strada e accordi negli attici dei Parioli. L'unica autorità in grado di guardare dall'alto quello che accade nella capitale.

Mafia Capitale, le intercettazioni dei Ros: "Comandiamo sempre noi"

"Portami i soldi se no t'ammazzo a te e ai tuoi figli"

Al centro delle indagini dei Ros a Roma per "associazione di stampo mafioso", con 37 arresti e sequestri di beni per 200 milioni, c'è un sodalizio da anni radicato nella Capitale facente capo a Massimo Carminati, con infiltrazioni "diffuse" nel tessuto imprenditoriale politico e istituzionale.

Tra gli indagati, oltre a Gianni Alemanno, ci sono anche consiglieri regionali e comunali dell'attuale amministrazione e di quella presieduta dall'allora sindaco di centrodestra. Tra loro Luca Gramazio, consigliere Fi-Pdl in Regione Lazio, Eugenio Patanè, consigliere regionale Pd e Mirko Coratti, presidente dell'assemblea capitolina. Tra i soggetti raggiunti da provvedimenti di custodia cautelare anche dirigenti delle società municipalizzate.

Ma chi è Carminati, il regista di questa vicenda? Nato a Milano 55 anni fa, ma romano d'adozione, fin da giovane è vicino agli ambienti neofascisti fino a prendere parte ai Nar. L'uomo ha ispirato anche la penna dello scrittore Giancarlo De Cataldo, che nel celebre "Romanzo Criminale" lo presenta come il "Nero". E nel film diretto da Michele Placido avrà il volto dell'attore Riccardo Scamarcio.

Una ricostruzione puntuale ed esaustiva sulla biografia criminale e sulle gesta di Carminati la troviamo in un'inchiesta del giornalista Lirio Abbate pubblicato sull'Espresso.

Non ama guidare e preferisce spostarsi a piedi o cavalcando uno scooter. Nessun lusso negli abiti, modi controllati e cortesi: in una città dove tutti parlano troppo, lui pesa le parole ed evita i telefonini. Sembra un piccolo borghese, perso tra la folla della metropoli, ma ogni volta che qualcuno lo incontra si capisce subito dalla deferenza e dal rispetto che gli tributano che è una persona di riguardo. Riconoscerlo è facile: l'occhio sinistro riporta i segni di un'antica ferita. Il colpo di pistola esploso a distanza ravvicinata da un carabiniere nel 1981: è sopravvissuto anche alla pallottola alla testa, conquistando la fama di immortale. Anche per questo tutti hanno paura di lui. Ed è grazie a questo terrore che oggi Massimo Carminati è considerato l'ultimo re di Roma.

 

 

Carminati viene descritto come il dominus della zona più redditizia, il centro e i quartieri bene della Roma Nord. Dicono che la sua forza starebbe soprattutto nella capacità di risolvere problemi: si rivolgono a lui imprenditori e commercianti in cerca di protezione, che devono recuperare crediti o che hanno bisogno di trovare denaro cash. Non ha amici, solo camerati. E chi trent'anni fa ha condiviso la militanza nell'estremismo neofascista sa di non potergli dire di no. Per questo la sua influenza si è moltiplicata dopo l'arrivo al Campidoglio di Gianni Alemanno, che ha insediato nelle municipalizzate come manager o consulenti molti ex di quella stagione di piombo. Le sue relazioni possono arrivare ovunque. A Gennaro Mokbel, che gestiva i fondi neri per colossi come Telecom e Fastweb. E a Lorenzo Cola, il superconsulente di Finmeccanica che ha trattato accordi da miliardi di euro ed era in contatto con agenti segreti di tutti i continenti: un'altra figura che continua a muoversi liberamente tra Milano e la capitale nonostante sentenze e arresti.

 

 

La sua biografia è leggendaria, tanto da aver ispirato "Il Nero", uno dei protagonisti di "Romanzo criminale" interpretato sullo schermo da Riccardo Scamarcio. È stato un terrorista dei Nar, un killer al servizio della Banda della Magliana, l'hanno accusato per il delitto Pecorelli e per le trame degli 007 deviati, l'hanno arrestato per decine di rapine e omicidi. Come disse Valerio Fioravanti, «è uno che non voleva porsi limiti nella sua vita spericolata, pronto a sequestrare, uccidere, rapinare, partecipare a giri di droga, scommesse, usura». Sempre a un passo dall'ergastolo, invece è quasi sempre uscito dalle inchieste con l'assoluzione o con pene minori: adesso a 54 anni non ha conti in sospeso con la giustizia. Ma il suo potere è ancora più forte che in passato. Il nome del "Cecato" viene sussurrato con paura in tutta l'area all'interno del grande raccordo anulare, dove lui continua a essere ritenuto arbitro di vita e morte, di traffici sulla strada e accordi negli attici dei Parioli. L'unica autorità in grado di guardare dall'alto quello che accade nella capitale.

 

Alemanno indagato per mafia, a Roma sotto inchiesta consiglieri Pd e Fi

Alemanno indagato per mafia, a Roma sotto inchiesta consiglieri Pd e Fi

Giustizia & Impunità
Trentasette arresti nell'inchiesta del Ros. In manette Massimo Carminati, ex terrorista di estrema destra dei Nar ed ex membro della Banda della Magliana. Agli indagati gli inquirenti, coordinati di Giuseppe Pignatone, contestano a vario titolo, anche estorsione, usura, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio

“È la teoria del mondo di mezzo compà. …. ci stanno . . . come si dice . . . i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo … e allora …. e allora vuol dire che ci sta un mondo… un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano… come è possibile… che ne so… che un domani io posso stare a cena con Berlusconi”. Parola di Massimo Carminati, ex terrorista di estrema destra dei Nar ed ex membro della Banda della Magliana, numero uno dell’organizzazione criminale decapitata dagli uomini del Ros.

Un gruppo, chiamato Mafia Capitale, capace infiltrarsi e fare business nella gestione di centri di accoglienza degli immigrati e campi nomadi, finanziare cene e campagne elettorali, come quella dell’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, tramite la Fondazione Nuova Italia di cui l’esponente di Fratelli d’Italia è presidente. Ma anche coinvolgere nella loro rete politici di destra e di sinistra. Come, oltre all’ex primo cittadine dell’Urbe indagato per associazione a delinquere di stampo mafioso, il presidente dell’Assemblea Capitolina che si è dimesso, Mirko Coratti e il consigliere regionale Eugenio Patanè, entrambi del Pd, e il consigliere regionale Luca Gramazio (Forza Italia) o anche sedurre l’assessore alla casa Daniele Ozzimo (Pd), assessore alla Casa, che si è dimesso dicendo: “Sono estraneo ai fatti ma per senso di responsabilità rimetto il mio mandato”. Stesso tono la dichiarazione di Alemanno: “Chi mi conosce sa bene che organizzazioni mafiose e criminali di ogni genere io le ho sempre combattute a viso aperto e senza indulgenza. Dimostrerò la mia totale estraneità ad ogni addebito e da questa incredibile vicenda ne uscirò a testa alta. Sono sicuro che il lavoro della  magistratura, dopo queste fasi iniziali, si concluderà con un pieno proscioglimento nei miei confronti”.

Una immagine, quella di Roma dominata da criminali possono dire “comandiamo sempre noi“, che si svela con un’inchiesta, battezzata proprio Mondo di Mezzo e che ha portato in carcere 28 persone e ha fatto finire nel registro degli indagati il nome un centinaio di persone. Cui gli inquirenti, coordinati dal procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, contestano a vario titolo, l’associazione a delinquere di stampo mafioso, anche estorsione, usura, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio e altri reati. 

“È una organizzazione mafiosa, usa il metodo mafioso” spiega il procuratore capo. Mafia Capitale è capace “di elaborare equilibri e sinergie”. Tanto che, cambiata la giunta dopo le elezioni comunali che hanno portato Ignazio Marino alla guida del Campidoglio, Carminati ordina a Salvatore Buzzi numero uno della cooperativa “29 giugno”, appartenente all’universo Legacoop: “Bisogna vendere il prodotto amico mio, eh. Bisogna vendersi come le puttane ades…adesso e allora mettiti la minigonna e vai a batte co’ questi amico mio, eh… capisci”. Gli inquirenti, infatti, hanno documentato un sistema corruttivo per l’assegnazione di appalti nel settore ambientale e delle politiche sociali e finanziamenti pubblici dal Comune di Roma e dalle aziende municipalizzate. Appalti per decine di milioni di euro a società collegate a Carminati: “In cambio di appalti a imprese amiche – ha spiegato il pm Michele Prestipino – venivano pagate tangenti fino a 15 mila euro al mese per anni. Ma anche centinaia di migliaia di euro in un solo colpo”.

“Con questa operazione abbiamo risposto alla domanda se la mafia è a Roma. La risposta è che Roma la mafia c’è –  prosegue Pignatone – non c’è una unica organizzazione mafiosa” capace di controllare l’intero territorio, quella “di cui stiamo parlando dimostra originarietà e originalità, proprio perché nasce nella capitale” e dimostra che “le mafie sono cambiate non ricorrono alla violenza e al controllo del territorio se non necessario per creare assoggettamento”.  E, dice il procuratore, “alcuni uomini vicini all’ex sindaco Alemanno sono componenti a pieno titolo dell’organizzazione mafiosa e protagonisti di episodi di corruzione. Con la nuova amministrazione il rapporto è cambiato ma Carminati e Buzzi erano tranquilli chiunque vincesse le elezioni“.  Il giudice per le indagini preliminari ha invece rigettato la richiesta di misura cautelare nei confronti di Gennaro Mokbel e Salvatore Forlenza, che sono comunque indagati. Tra gli arrestati anche l’ex ad dell’Ente Eur, Riccardo Mancini. È in alcuni intercettazioni, tra Mancini e Carminati, che è venuto fuori il nome dell’ex primo cittadino già esponente di Alleanza Nazionale e ora Fratelli d’Itali. Ed è Carminati che, secondo gli inquirenti, “individua e recluta imprenditori… mantiene i rapporti con altri esponenti delle altre organizzazioni criminali operanti su Roma nonché esponenti del mondo politico, istituzionale, finanziario, con appartenenti alle forze dell’ordine e ai servizi segreti”. I carabinieri hanno perquisito gli uffici della Regione Lazio e del Campidoglio per acquisire documenti gli uffici della Presidenza dell’Assemblea Capitolina e presso alcune commissioni della Regione Lazio. Contemporaneamente la Guardia di Finanza ha eseguito un decreto di sequestro di beni per un valore di 200 milioni di euro.In manette anche Riccardo Brugia (in passato arrestato per rapina e vicino agli ambienti del Nar), Roberto LacopoMatteo CalvioFabio Gaudenzi (con precedenti per rapina), Raffaele BracciCristiano Guarnera, Giuseppe IettoAgostino Gaglianone, Salvatore BuzziFabrizio Franco TestaCarlo Pucci (ex dirigente Ente Eur), Franco Panzironi (ex amministratore delegato Ama), Sandro Coltellacci, Nadia CerritoGiovanni Fiscon, Claudio CaldarelliCarlo Maria GuaranyEmanuela BugittiAlessandra GarronePaolo Di NinnoPierina Chiaravalle, Giuseppe MoglianiGiovanni LacopoClaudio Turella (ex responsabile Servizio giardini del comune), Emilio Gammuto, Giovanni De CarloLuca Odevaine (ex vice capo di gabinetto dell’ex sindaco di Roma Veltroni e capo della polizia provinciale). Il gip ha disposto gli arresti domiciliari per Patrizia CaracuzziEmanuela Salvatori, Sergio MenichelliFranco CancelliMarco PlacidiRaniero Lucci, Rossana CalistriMario Schina

Il gip ha disposto gli arresti domiciliari per Patrizia CaracuzziEmanuela Salvatori, Sergio MenichelliFranco CancelliMarco PlacidiRaniero Lucci, Rossana CalistriMario Schina

 

Le minacce di Tamara l'aguzzina: "Ricca, violenta e vendicativa"

Nell'ordinanza descritta come "capricciosa, le cui richieste vengono appoggiate dai criminali"

Le parole del gip sono chiare e nitide. Tamara Pisnoli, già figlia d'arte (il padre ex rapinatore fu ucciso nel 2008 con un colpo di fucile sparato in bocca nelle campagne di Aprilia) "ha una significativa tendenza all'uso della violenza". Quel volto angelico che tutti ricordano in un candido abito nuziale all'altare col campione giallorosso Daniele de Rossi "deve ritenersi una persona di indole violenta, con un'abitudine a rapporti improntati alla sopraffazione e all'intimidazione, che gestisce la sua enorme ricchezza appoggiandosi ad ambienti criminali". Insomma "un soggetto vendicativo che ha l'abitudine a farsi giustizia da sè, ricorrendo alla violenza".

In quell'ordinanza la figura della ex Lady De Rossi appare come "capricciosa" le cui richieste  -  di violenze e ritorsioni  -  vengono appoggiate dal gruppo criminale di cui si avvaleva per ottenere ciò che voleva. Emblematico un episodio in cui la Pisnoli chiede a uno degli otto arrestati, affiliato al clan Casamonica, se grazie a lui fosse sparito il profilo Facebook dell'attuale compagna del suo ex, tale M. M. La donna era arrabbiata, raccontano le carte, perché sul profilo Fb della sua "rivale" in amore era apparsa la fotografia di un anello che il suo ex compagno (non il calciatore giallorosso, quello successivo) le aveva donato. Anello che, a dire della Pisnoli, doveva essere suo. Così si compiace, col complice, che dopo le sue rimostranze per quell'immagine apparsa sul social, il profilo Facebook della donna fosse sparito.

Anche per questo si era interstardita contro l'imprenditore Antonello Ieffi a cui, quando era ancora fidanzata con M. M. (suo amico fraterno) si rivolse per entrare nella partita del fotovoltaico. "Una volta però interrotta la relazione con M. M. la donna decise di ritirare l'investimento da 80mila euro con Ieffi" e cominciò a chiamarlo più e più volte per farsi restituire non solo quell'importo ma anche gli interessi, fino ad arrivare a quasi il doppio della cifra, 150mila euro.

"Lei era il capo  -  scrive il giudice per le indagini preliminari  -  e gli altri assecondavano i suoi capricci, ottemperando ai suoi ordini". E fu così che decise il sequestro, per mettere un po' di paura al tipo e far capire con chi aveva a che fare, laddove la vittima ancora non lo avesse capito.

A casa sua, in un lussuoso appartamento al Torrino, venne tenuto sequestrato il 17 luglio del 2013 un paio d'ore, seviziato con un coltello e minacciato di morte.
La donna, che dopo la separazione da Daniele De Rossi, ottenne l'affidamento della figlia e minacciò, sempre menzionando la sua amicizia con appartenenti al clan dei Casamonica, ritorsioni, se non si fosse fatto come diceva lei, ora si trova agli arresti domiciliari.
Affida al suo legale

la sua difesa dopo l'arresto: "Non c'entro con questa storia, io non ho fatto niente". "La mia assistita  -  ha dichiarato l'avvocato Cesare Placanica, difensore della Pisnoli  -  fu coinvolta in un investimento da un manager ma non conosce gli altri soggetti coinvolti". Lo stesso legale ha aggiunto poi che la sua assistita "è intenzionata a rispondere nell'interrogatorio di garanzia davanti al gip". Che avverrà tra qualche giorno.

Tamara Pisnoli, ex moglie di Daniele De Rossi agli arresti domiciliari

Tamara Pisnoli, ex moglie di Daniele De Rossi agli arresti domiciliari

Cronaca

C'è l'ex moglie del calciatore della Roma, tra le otto persone arrestate dai carabinieri. L’indagine era scaturita dalla denuncia per sequestro di persona a scopo di estorsione presentata da un imprenditore

C’è anche Tamara Pisnoli, ex moglie del calciatore della Roma Daniele De Rossi, è tra le otto persone arrestate dai carabinieri di Roma. L’indagine era scaturita dalla denuncia contro ignoti per sequestro di persona a scopo di estorsione presentata da un imprenditore il 20 luglio scorso. Appena dimesso dall’ospedale dove era stato ricoverato per lesioni varie, l’uomo aveva denunciato ai militari che la sera del 17 luglio 2013, mentre si trovava in un bar di Viale Città d’Europa, all’Eur, dove aveva un appuntamento con un amico, era stato prelevato da persone a lui sconosciute, che lo avevano caricato a bordo di un’auto e condotto in un appartamento poco distante. Lì lo avevano trattenuto per ore, malmenandolo e seviziandolo con un coltello, procurandogli ferite da taglio sulla testa al fine di indurlo a consegnare 200mila euro.

Dopo alcune ore, i sequestratori lo avevano rapinato dell’orologio Rolex e di 900 euro in contanti e lo avevano rilasciato, abbandonandolo in strada, in zona Trullo. L’uomo era stato poi soccorso e ricoverato in ospedale, riportando una prognosi di 30 giorni per le fratture e ferite patite. I carabinieri hanno ricostruito che il sequestro e la spedizione punitiva era stata organizzata al fine di attuare un recupero crediti per conto terzi, inducendo in tal modo, con violenza e minacce, l’uomo a restituire dei soldi pretesi.
I mandanti sono stati identificati in due fratelli, A.G., 30 anni, e S.G., 37 anni, entrambi con precedenti di polizia, che avevano precedentemente prestato 100mila euro alla vittima, applicando interessi usurari che avevano fatto lievitare esponenzialmente il debito. Prima del sequestro, sottoposto in più circostanze a minacce e percosse, l’uomo aveva già pagato, in 6 mesi, 343mila euro in restituzione del prestito e della quota interessi, ma ciò non era stato ritenuto sufficiente dai due usurai che pretendevano il pagamento di altri 86 mila euro.

Quanto alla posizione della donna, ritenuta uno dei mandanti del pestaggio, in passato aveva acquistato dalla vittima una licenza per la produzione di energia elettrica mediante impianti fotovoltaici, pagandola 80mila euro, che, secondo gli investigatori, pretendeva le fossero restituiti con gli interessi, essendo venuto meno il suo progetto di impresa nel settore energetico. Con la misura cautelare eseguita nel corso della notte, il gip ha riconosciuto la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico delle 8 persone coinvolte nella vicenda, tutti italiani, non riconoscendo la sussistenza del reato di sequestro di persona, ma contestando i reati di estorsione aggravata, lesioni personali, rapina e usura e disponendo il carcere per 6 persone e gli arresti domiciliari per due, tra cui la Pisnoli.

 

 

 

"Artigiano e un po’ eroe, la mia storia da incubo con le banche contro"

Il calvario di un piccolo imprenditore segnalato alla Centrale Rischi per uno sconfino di conto corrente e vittima di tassi illegali

CESANO MADERNO (MB) . Prima di entrare nel capannone della "Iglass" c'è un piccolo ufficio con tre scrivanie; incorniciata e appesa al muro c'è un'intervista al sociologo americano Richard Sennett, il quale dice: "Chi lavora nella finanza ha dimenticato la lezione dell'artigiano, perché non è stato in grado di utilizzare gli strumenti del suo lavoro". E qui, in mezzo a lastre trasparenti alte anche cinque metri, l'artigiano Alberto Carminati, 50 anni, si danna e si entusiasma allo stesso tempo. "Renzi dice che siamo eroi? A me fa piacere, ma non basta dirlo. Abbiamo contro la burocrazia, il fisco, spesso i sindaci, a loro volta strozzati dai tagli. E poi le banche: lo sa che una, un grande istituto eh, l'ho denunciata per usura e mi ha risarcito?".
 


Fondata grazie alla liquidazione del papà nel 1984, "Iglass" ha otto dipendenti. "Sono troppo piccolo per rientrare nella categoria dell'impresa e sono troppo grande per continuare a figurare titolare unico, se qualcosa va male pagheranno i miei figli e i figli dei miei figli ", spiega Carminati, un po' depresso. "Ma siamo vivi  -  ed eccolo euforico  -  perché innoviamo: facciamo vetrate con le stampe digitali, quelle riscaldanti, oppure i vetri anti appannamento per le saune. Ogni nuovo macchinario costa centinaia di migliaia di euro, ma non puoi fare diversamente. Il futuro del materiale è la tempera chimica: maggiore resistenza e minor peso". Se siete mai passati sul ponte di Santiago Calatrava a Venezia, ecco, sappiate che il vetro è roba sua. Così come nella nuova sede del Sole 24 Ore, progettata da Renzo Piano.

Solo che poi è cambiato tutto, il fatturato dell'azienda si è dimezzato da un anno all'altro. "Era il 2008, a un certo punto due clienti non mi hanno più pagato: mezzo milione di euro di buco. Lì è cominciato un calvario dal quale sto uscendo solo adesso", racconta l'imprenditore. Un calvario fatto di scartoffie, cause e controcause a destra e a manca (tutte vinte: contro il Comune che si era preso troppi soldi per l'Ici, contro Equitalia che voleva 40mila euro) e infine, come una ciliegina sulla torta, le banche. "A loro non interessa niente se hai una storia dietro, se hai un'idea per il futuro, se hai un inghippo momentaneo, non sei valutato realmente per quel che vali. Sei un numero, un coefficiente ", ragiona Carminati, di nuovo depresso. Il suo "coefficiente" diceva che, nel bel mezzo della tempesta, aveva sforato il fido di 80mila euro. "Ma come? Mi conoscevano da vent'anni, avevo chiesto una deroga, aspettavo una risposta da tre mesi e invece mi chiamano e fanno: "Lei è passato in incaglio". Definizione del termine "incaglio" su sito specialistico: "Sconfino di conto corrente. La posizione di incaglio verrà segnalata in "centrale rischi" di modo che tutti gli istituti di credito possano prenderne notizia. Il risultato è l'impossibilità di accesso al credito".
 


Per chi fa impresa somiglia alla campana che suona a morto. Il tuo istituto non ti finanzia più, gli altri lo stesso. E allora come li ripiani i debiti? Per prima cosa "con grande dispiacere, ho ridotto il personale del 50%". Per seconda, Carminati è andato a leggersi bene i fogli della banca, le scritte piccole che nessuno si guarda mai. Risultato, "ho scoperto che non solo non mi avevano aiutato quando più avevo bisogno, e questo lo sapevo, ma oltretutto avevano praticato tassi di interesse sul fido concordato fuorilegge". In gergo: anatocismo (la possibilità per le banche di applicare interessi sugli interessi), usura oggettiva e usura soggettiva. Così è partita la richiesta di risarcimento danni, la banca ha tentato la strada della trattativa "e alla fine abbiamo chiuso la settimana scorsa a 50mila euro cash. Pochi, ma meglio la metà della metà subito che tutti fra anni, aspettando la fine di una causa".

La dura legge del credito, oggi, è che "se chiedi cento, devi poter garantire centouno. Solo che poi uno risponde: ma scusa, se ce li avevo mica te li venivo a chiedere no?", sbotta il padroncino della Iglass. I numeri dell'Unione Artigiani lombarda, parlano di una stretta del credito dell'8% nel 2014 rispetto all'anno scorso. "Senza dimenticare che tra il 2012 e il 2013 secondo Bankitalia il gap toccò un netto meno 10%", sottolinea Marco Accornero, segretario degli artigiani milanesi e brianzoli: "I numeri certificano come l'accesso al credito da parte delle micro, piccole e medie imprese risulti difficile se non impossibile ". Però almeno stavolta, in questa vetreria di provincia dove ora gli operai artigiani stanno costruendo una fontana per un comune indiano con scolpita una preghiera in musulmano, c'è il lieto fine. Cioè una commessa da 540mila euro arrivata dalla Russia, un albergo da 220 camere, hai voglia di vetri e vetrate. E così magicamente la giostra fatta di investimenti (e debiti) può ripartire: "Sai  -  sorride Carminati, ovviamente rivitalizzato  -  si chiama factoring: una società ti dà risorse finanziarie immediate in cambio della cessione dei crediti futuri... "

 

expo cantiere-pp

Expo, patteggia la “cupola degli appalti”
Niente carcere per nuova Tangentopoli

 

Milano calibro racket: “Nella città di Expo
tre imprenditori su 10 vengono taglieggiati”

pizzo-racket-pp-990

Danneggiamenti, telefonate minacciose e visite poco amichevoli. E poi richieste di soldi, merci o assunzioni. E’ quanto accade a commercianti e operatori dei servizi e del turismo secondo l’indagine “Insieme per la sicurezza” promossa da Confcommercio nell’area metropolitana milanese: e non c’è solo la malavita: il 10% degli intervistati si è trovato coinvolto in episodi di concussione, ma i funzionari vengono denunciati solo nell’8,3% dei casi  di Erika Bodda

Autobombe, kalashnikov e caterpillar
DALLE MACERIE DI Foggia,25 giugno 2014, così agisce la 'Società' mafiosa

 

 

 

 

De Magistris, il Tar e la retroattività. La stessa questione che sollevò Berlusconi

De Magistris, il Tar e la retroattività. La stessa questione che sollevò Berlusconi

Giustizia & impunità

I giudici amministrativi sostengono che la Consulta deve valutare la legittimità degli articoli 10 e 11 della legge Severino. Così l'ex pm potrebbe spianare la strada al ritorno in politica del Cavaliere. Il giurista Pellegrino: "Assist politico"

Se volessimo provare a semplificare anche a chi non mastica diritto il nocciolo delle 28 pagine dell’ordinanza che ha reintegrato Luigi de Magistris nella carica di sindaco di Napoli dovremmo partire da un concetto sul quale si è discusso molto a proposito della legge Severino: il principio di non retroattività. È questo l’unico dei sette motivi di ricorso dei legali di de Magistris – Giuseppe Russo, Stefano Montone e Lello Della Pietra – che la Prima Sezione del Tar di Napoli presieduta dal giudice Cesare Mastrocola ha ritenuto fondato. Rimandando il nodo da sciogliere alla Consulta. Dove siede dal 18 ottobre Nicolò Zanon, sostenitore della incostituzionalità della legge Severino. Anche se il nodo da sciogliere è relativo alla legittimità costituzionale dell’articolo 11 primo comma lettera ‘a’ e dell’articolo 10 primo comma lettera ‘c’ del decreto legislativo 235 del 31 dicembre 2012 “perché la sua applicazione retroattiva si pone in contrasto con gli artt. 2, 4, secondo comma, 51, primo comma e 97, secondo comma della Costituzione”.

Sono i pezzi della legge che riguardano sindaci e amministratori locali. Ma sono pronti ad appropriarsene anche i corifei di Silvio Berlusconi, pronti a dire che il principio di non retroattività debba valere anche per lui, e sarebbe assai curioso se fosse de Magistris a spianare la strada al ritorno in politica del Cavaliere.  Ve li ricordate, i berluscones, pochi giorni dopo la pronuncia della Cassazione contro il Cavaliere? Riavvolgiamo il nastro all’agosto 2013. Francesco Nitto Palma, ex ministro Pdl della Giustizia: “Il problema è capire se questa decadenza, che è un effetto penale della condanna, abbia o meno carattere della retroattività, perché ove mai dovesse appartenere al meccanismo sanzionatorio, non sarebbe possibile una norma retroattiva”. Secondo Palma, che citava una sentenza della Cassazione, la decadenza ha proprio tale carattere. Carlo Giovanardi, Pdl: “La norma sulla decadenza non è applicabile a Silvio Berlusconi, perché i reati per i quali è stato condannato sono stati commessi prima dell’entrata in vigore della legge”. Un costituzionalista, Francesco Guzzetta, pareva pensarla come loro. E oggi l’ex pm, condannato per abuso d’ufficio, tra le altre dichiarazioni ha detto: “Credo che sia necessario che si riapra il dibattito sulla legge Severino”.

Va naturalmente ricordato che a differenza del caso de Magistris, le ‘sanzioni’ per i parlamentari scattano solo in caso di condanna definitiva (ed era così anche prima della Severino, come insegna il caso di Cesare Previti), come nel caso Berlusconi. De Magistris è solo un condannato in primo grado, per abuso d’ufficio. Un reato che la Severino ha aggiunto a quelli che la 267/2000 già contemplava come causa di sospensione dalla carica in caso di condanna non definitiva (concussione e corruzione, ad esempio).

Ed eccoci al succo della decisione del Tar. Scrive il giudice estensore, Paolo Corciulo: “Ritiene il Collegio che l’applicazione retroattiva di una norma sanzionatoria, anche di natura non penale ai sensi dell’art. 25, secondo comma della Costituzione, urta con la pienezza ed il regime rafforzato di diritti costituzionalmente garantiti”. La retroattività si calcola sul ‘fatto storico’ oggetto dell’imputazione, che nel caso di de Magistris si colloca al 2007. Ed ancora: “Anche per l’assenza di una norma transitoria, non è possibile in via interpretativa al giudice del merito risolvere la questione della legittimità costituzionale del superamento del limite costituito dal divieto di retroattività della legge anche nell’ipotesi in cui la sospensione dalla carica sia prevista in caso di condanna non definitiva; il dubbio di compatibilità costituzionale concerne la sussistenza di un eccessivo sbilanciamento in favore della previsione normativa di tale misura cautelativa di salvaguardia della moralità dell’amministrazione pubblica rispetto all’ampio favor da riconoscersi alle facoltà di pieno esercizio del diritto soggettivo di elettorato passivo di cui all’art. 51, primo comma della Costituzione”.È il diritto di de Magistris di candidarsi ed essere eletto sindaco. I giudici amministrativi ritengono corretto lo sforzo della Severino di porre nuovi e più severi paletti per sancire l’indegnità morale a ricoprire una carica. Ma precisano che l’indegnità morale non può essere sancita da una sentenza non passata in giudicato. Alla domanda se la sospensiva a sua firma possa aprire la strada anche ad altri amministratori sospesi dalla Severino, il presidente Mastrocola ha risposto: “Questa ordinanza è un unicum”.

Un’ordinanza che secondo giurista Gianluigi Pellegrino “fa leva sulle stesse pretese già agitate contro la legge Severino da Berlusconi per la sua decadenza. Quindi, paradossalmente, da de Magistris arriva ora un assist politico a Berlusconi. Quanto alla Consulta se accogliesse la tesi del Tar, sarebbe indirettamente una vittoria politica anche per Berlusconi. L’ex premier non avrebbe effetti diretti, perché la decadenza è definitiva, ma una decisione in tal senso sarebbe una bocciatura di quello che ha fatto il Parlamento e Berlusconi potrebbe trarne linfa anche per i contenzioni aperti nelle corti internazionali“. E da Cicchitto alla Gelmini, da Gasparri a Caldoro si parla già di “abuso”, “mostruosità” e “farsa”.

 

De Gregorio: "Da me e Berlusconi strategia della 'guerriglia urbana' contro Prodi"

"Proposi a Mestella di fare il premier di un governo di transizione", rivela l'ex senatore, chiamato a testimoniare a Napoli nel processo sulla compravendita di senatori che portò alla caduta del governo di centrosinistra

NAPOLI -  "Con Berlusconi avevamo adottato una strategia di 'guerriglia urbana' per devastare la coalizione dell'Unione", ovvero la maggioranza che sosteneva il secondo governo Prodi nel 2006. Lo ha spiegato l'ex senatore Sergio De Gregorio, sentito come testimone al processo per la presunta compravendita di senatori in cui sono imputati Silvio Berlusconi e l'ex direttore dell'Avanti Valter Lavitola.

Leggi/DE GREGORIO: "COSI' NACQUE L'OPERAZIONE LIBERTÀ" di D. Del Porto e C. Sannino 

Nella deposizione De Gregorio ha ammesso di aver preso parte all"Operazione Libertà", termine che sarebbe stato coniato dallo stesso Berlusconi per delineare l'insieme delle azioni messe in campo per portare alla caduta del secondo governo Prodi, che poteva contare su pochi voti di maggioranza al Senato. L'ex senatore ha rivelato di aver proposto a Clemente Mastella di diventare premier di un governo di transizione per il dopo Prodi. "Organizzai un pranzo con Mastella e un capocentro della Cia  - ha raccontato De Gregorio - il quale disse al ministro della Giustizia che gli interessi degli Stati Uniti non erano tutelati da questa coalizione, da un governo che non voleva il completamento delle basi militari in Italia".

Sergio De Gregorio è stato chiamato a testimoniare dalla Procura di Napoli ed è il grande accusatore dell'ex Cavaliere. L'ex senatore, che nel 2006 passò dall'Italia dei Valori al Pdl, con le sue dichiarazioni accusatorie e autoaccusatorie diede il via all'inchiesta dei pm Vincenzo Piscitelli ed Henry John Woodcock. De Gregorio affermò di aver ricevuto da Berlusconi tre milioni di euro per passare dal centrosinistra al centrodestra e contribuire alla caduta del governo Prodi. E' uscito dal processo patteggiando venti mesi di reclusione.

L'ex senatore ha affermato che, in un incontro a Palazzo Grazioli poco dopo la sua elezione, il Cavaliere espresse rammarico per la sua elezione nelle fila del centrosinistra e gli chiese di "tornare a casa". De Gregorio gli spiegò di essersi fortemente indebitato per fare campagne elettorali al termine delle quali non era stato candidato, e l'ex premier si offrì di ripianare i suoi debiti. All'incontro era presente Lavitola, "uno davanti al quale i parlamentari di Forza Italia si mettevano sull'attenti. L'unico che entrava a Palazzo Grazioli senza appuntamento, uno dei pochi, se non l'unico, che si permetteva di alzare la voce con Berlusconi" ha aggiunto l'ex parlamentare. Infine De Gregorio ha affermato che Berlusconi accettò di dargli tre milioni in cambio del passaggio al centrodestra: un milione come sovvenzione al movimento "Italiani nel mondo" e due milioni in contanti in varie tranche tramite Lavitola.

De Magistris perde la testa: 'Via i giudici,MASSA DI TESTE DI CAZZO: HANNO IMPIEGATO VENTI ANNI PER CONDANNARE QUELLA MERDA DI ARCORE E 5 MINUTI IL SOTTOSCRITTO PER AVER FATTO IL PROPRIO MESTIERE,VAFFANCULO !!!'
Anm: "Inaccettabile da uomo istituzioni" Ancora De Magistris:"MA CHE VADANO AFFANCULO!!"

De Magistris perde la testa: 'Via i giudici' Anm: "Inaccettabile da uomo istituzioni"

**********************

 

Milano come Scampia
Mafie, racket e droga
nelle case popolari

Milano come Scampia Mafie, racket e droga nelle case popolari

Latitanti e pusher, boss che "comandano" alle elezioni e guerra fra poveri. Un ex funzionario: "Venne un futuro assessore di Formigoni in 'visita' elettorale"

 

‘Ndrangheta, in manette politico Pd lombardo
“Processione dal boss per chiedere voti e favori”

ndrangheta arresti-pp

Mafie
Tredici arresti tra Lombardia e Calabria operati dal Ros dei carabinieri su richiesta della Procura distrettuale antimafia di Milano. In manette anche Calogero Addisi, consigliere comunale Pd di Rho, la cittadina alle porte di Milano che ospita i cantieri di Expo (leggi). Ma ce n’è anche per Forza Italia. Un politico locale chiede voti al boss Muscatello: “Mi hanno messo in mano il partito” (leggi). Confermato l’interesse agli appalti dell’Esposizione del 2015  di Alessandro Bartolini e Davide Milosa

 

 

Ruby bis, Lele Mora
chiede pena più bassa
e rinuncia ad appello
: l'ex fenomeno chiede di rimodulare la pena in continuità con la condanna per bancarotta rinunciando a parte del secondo grado e quindi ammettendo le colpe di favoreggiamento ed induzione alla prostituzione minorile

Ruby bis, Lele Mora chiede pena più bassa e rinuncia ad appello

L'ex manager è stato condannato in primo grado a 7 anni per induzione e favoreggiamento della prostituzione anche minorile per i presunti festini ad Arcore

 

 

Bancarotta, indagato il padre di Renzi

Avviso di proroga delle indagini sul crac della Chil Post notificato martedì, il giorno della
svolta simil-craxiana del premier sulla giustizia (leggi). La denuncia del curatore risale a sei mesi fa

 
Bancarotta, indagato il padre di Renzi
 
 
Tiziano Renzi è indagato per bancarotta fraudolenta per il fallimento della società Chil Post srl. Il curatore avrebbe rilevato passaggi sospetti dei rami d’impresa e uscite di denaro non giustificate. Dalla Chil l'attuale premier è stato intestatario tra il 1999 e il 2004. E sempre alla Chil si riferiscono le polemiche per l'assunzione di Matteo Renzi 11 giorni prima che l’Ulivo lo candidasse a presidente della Provincia di Firenze. Grazie a quella assunzione i contributi della pensione del dirigente-sindaco furono versati dalla collettività

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 ALL'INDOMANI DELL'ASSOLUZIONE DEL PORCO DI MERDA...

 

Processo Ruby: avevamo ragione noi

Il 18 luglio, quando la II Corte d’appello di Milano assolse B. nel processo Ruby perché la concussione “non sussiste” e la prostituzione minorile “non costituisce reato”, la disinformatija all’italiana diede il meglio di sé raccontando che dunque la Procura s’era inventata decine di prostitute, minorenni e non, nelle varie dimore del premier; e s’era sognata le sue telefonate notturne dal vertice internazionale di Parigi per buttare giù dal letto il capo di gabinetto della Questura, Pietro Ostuni, e far rilasciare la minorenne fermata per furto Karima El Mahroug (spacciata per nipote di Mubarak) nelle mani di Nicole Minetti e della collega Michelle Conceiçao contro il parere del pm minorile Annamaria Fiorillo

Nessuno, a parte il Fatto e l’avvocato Coppi, osò ricordare che il 6 novembre 2012 Pd e Pdl avevano approvato la legge Severino, detta comicamente “anticorruzione”, che spacchettava la vecchia concussione (per costrizione o per induzione, non faceva differenza) in due diversi reati: concussione (nel solo caso della costrizione) e l’induzione indebita a dare o promettere utilità (nei casi più lievi), proprio mentre ne erano imputati B. e Penati. Il Fatto spiegò, prim’ancora che uscisse la sentenza, in un pezzo di Marco Lillo, che fino al 2012 bastava che un pubblico ufficiale ottenesse soldi o favori da qualcuno, costringendolo con violenze o minacce o inducendolo con lusinghe o timori riverenziali , profittando della sua posizione, per far scattare il reato di concussione. Dal 2012 non più: nel caso di induzione, come stabilito dalle sezioni unite della Cassazione, bisogna anche dimostrare che l’indotto (non più vittima, ma complice dell’inducente) ha ricavato un “indebito vantaggio” dal suo cedimento. Cioè, nel caso Ruby, perché B. rispondesse di induzione, va provato che Ostuni abbia ceduto alle sue richieste in cambio di vantaggi indebiti. E, siccome Ostuni non ne ha avuti, la nuova legge salva B.Il Tribunale aveva tagliato la testa al toro, condannandolo a 6 anni (più uno per la prostituzione minorile) per concussione per costrizione. Mossa azzardata, visto che le telefonate di B. da Parigi non contengono violenze o minacce: è il tipico caso dell’induzione, come ha ritenuto la Corte d’appello, che però non ha potuto condannarlo per il nuovo reato per mancanza di vantaggi ingiusti per Ostuni. Il 18 luglio, in un dibattito su La7, tentai di spiegarlo a Giuliano Ferrara, che gabellava l’assoluzione per un colpo di spugna su tutti i fatti dimostrati dal processo (e, già che c’era, anche da tutti i processi degli ultimi 22 anni, da Tangentopoli in poi). Lui, per tutta risposta, si mise a sbraitare, si alzò e se ne andò. L’indomani i giornali fecero a gara nel distrarre l’attenzione dal vero nodo della sentenza: che era strettamente giuridico per la nuova legge, e non inficiava minimamente i fatti ampiamente assodati.

Libero titolava: “La puttanata è il processo. Chi paga ora per le intercettazioni, i costi, le ragazze alla sbarra, la caduta del governo?”. E tal Borgonovo ridacchiava dei “manettari” e “rosiconi”, “da Lerner a Travaglio”, che hanno “già emesso la sentenza per ideologia e invocano la gogna per Silvio”. Il Giornale dell’imputato chiedeva che qualcuno “pagasse” per il presunto errore giudiziario e addirittura “chiedesse scusa” al padrone puttaniere. Sallusti ringraziava l’amico Renzi per “aver tenuto aperta la porta al condannato” e scatenò i suoi segugi a caccia dei “mandanti ed esecutori” del “colpo di Stato”. Zurlo sfotteva Merkel e Sarkozy che “ridevano sulle nostre disgrazie”: come se ridessero per il bungabunga. La Stampa dava un annuncio trionfale: “È finita la guerra dei vent’anni”. Persino Repubblica titolava sulla “rivincita di Berlusconi”, relegando in poche righe la chiave del verdetto: la modifica del reato, frutto dell’oscena legge Severino. Sul Corriere il solito giurista per caso Pigi Battista attaccava chi “ha mischiato vicende giudiziarie e vicende politiche” e “fatto il tifo per una sentenza che liquidasse l’avversario”, ignaro del fatto che la Severino l’aveva votata il Pd assieme a B.

E concludeva: “Finalmente il dibattito politico si libera dal peso di un incubo giudiziario: il percorso delle riforme istituzionali può procedere speditamente” perché “questa sentenza può contribuire a sancire la definitiva separazione tra la storia politica e quella giudiziaria in un Paese che nella guerra totale tra politica e magistratura ha conosciuto la sua maledizione”. Anche i veri giuristi, come Carlo Federico Grosso, si affrettavano a difendere la povera collega Severino ingiustamente calunniata, sostenendo che la sua legge non c’entrava: altrimenti la Corte avrebbe assolto B. “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” (in realtà è ancora previsto, ma è impossibile punirlo grazie al trucchetto del vantaggio indebito per l’indotto).

Chissà come la mettono questi signori dinanzi alle motivazioni della sentenza che confermano tutti i fatti – eticamente e politicamente gravissimi – già accertati dai pm. C’è la “prova certa dell’esercizio di attività prostitutiva ad Arcore in occasione delle serate in cui partecipò Karima El Mahroug” che si “fermò a dormire almeno due volte” a Villa San Martino, con l’“effettivo svolgimento di atti di natura sessuale retribuiti” (anche se non c’è prova sufficiente che B. sapesse che Ruby era minorenne ai tempi delle “cene eleganti”, mentre lo sapeva quando chiamò la Questura).

È certo che B. “aveva un personale e concreto interesse” a ottenere che Ruby venisse affidata alla Minetti perché “preoccupato” che facesse “rivelazioni compromettenti”. Dunque “indusse” Ostuni&C. ad aggirare gli ordini del pm Fiorillo, che insisteva per l’affidamento in una comunità. E Ostuni, in preda a “timore riverenziale”, cedette a quell’abuso di potere (“è sicuramente accertato che l’imputato, la notte del 27-28 maggio 2010, abusò della sua qualità di presidente del Consiglio”). Che fino al 2012 era concussione per induzione. Ma ora non più. Non è più concussione (“l’abuso della qualità e condizione necessaria, ma non sufficiente a integrare il reato , richiedendo la norma incriminatrice che esso si traduca in vera e propria costrizione… mediante minaccia”).

E non è neppure induzione, perché “manca nella fattispecie in esame un requisito essenziale dell’abuso induttivo: l’indebito vantaggio dell’extraneus” , cioè di Ostuni, in quanto “il nuovo reato” “richiede necessariamente il concorso di due soggetti: il pubblico ufficiale inducente (B., ndr)e l’extraneus (Ostuni, ndr) opportunisticamente complice del primo”. Il primo c’è, il secondo no. Dunque il primo è salvo: “mancando la condizioni per una riqualificazione dei fatti in una diversa ipotesi di reato”, alla Corte d’appello non resta che “assolvere l’imputato dal delitto ascrittogli perché il fatto non sussiste”. Cioè sussisteva quando fu commesso, ma poi l’imputato e i suoi presunti avversari l’hanno reso impunibile. E ora chi paga e chiede scusa per tutte le balle che ha raccontato?

Il Fatto Quotidiano, 17 ottobre 2014

Tranfa: "Sono andato a Lourdes e lì ho deciso di lasciare. io voglio vivere in pace con me stesso"

Il magistrato dimissionario non smentisce che il suo gesto sia stato provocato dalla sentenza che ha assolto il Cavaliere. "Ho dato le dimissioni, punto. Ognuno può pensare ciò che vuole. E comunque non ho agito d'impulso"

MILANO - Un viaggio a Lourdes, prima delle dimissioni da magistrato. Un viaggio per cercare, attraverso la fede e la preghiera, il se stesso più profondo e "aiutarsi" a scegliere di fare, come dice lui alle persone che gli sono state più vicine, "la cosa giusta". Giusta: da quale punto di vista?
Non dal punto di vista dei propri vantaggi o svantaggi, questo pare evidente in chi conosce questo giudice tutto d'un pezzo che, quindici mesi prima della pensione, decide di lasciare la toga e di andarsene in pensione. E lo fa appena dopo il deposito delle motivazioni sul perché Silvio Berlusconi sia stato assolto dai reati di concussione e prostituzione minorile.

"La mia - confida Tranfa ai colleghi che conosce - è stata una decisione solitaria, maturata a lungo, meditata, che solo io potevo prendere, e senza chiedere consigli a nessuno. So che c'è chi mi avrebbe detto: "Stai attento alle conseguenze" e chi mi avrebbe chiesto: "Sei proprio sicuro?". Chi avrebbe approvato e chi no. Ma nessuno è indispensabile e non ho bisogno di sentire gli altri quando devo sentirmi in pace con me stesso".

Questo "essere in pace con se stesso", nel cuore di un giudice di 69 anni, entrato in carriera nel 1975, e di un credente che stava nell'Azione cattolica, non può essere banalizzato o sottovalutato. Ieri, appena la notizia data dal Corriere della Sera s'è diffusa nel palazzo di giustizia, tra i magistrati c'era chi si chiedeva: "Ma se era contrario, perché non ha inchiodato i due in camera di consiglio per giorni e giorni? Era il presidente, poteva dire: "Convincetemi"". E chi storceva il viso: "Andarsene senza spiegare non è istituzionale". Eppure, è quel "in pace con me stesso" che, senza spiegare nulla, si spiegano molte cose: "Non volevo e non voglio fare polemiche, non cercavo e non cerco popolarità. Anzi, vorrei proprio scomparire. Ho dato le dimissioni, punto. Ognuno pensi ciò che vuole. E comunque non intendo dire nulla, se non che non ho agito d'impulso", ripete agli amici.

Le dimissioni sono un gesto secco e netto in contrasto - Tranfa non l'ha smentito - con le motivazioni della sentenza. Il contrasto era nato durante le udienze e forse non era un caso che il procuratore generale Piero De Petris, quando parlava a braccio e chiedeva la conferma nel processo d'appello dei sette anni di carcere per Silvio Berlusconi, osservasse i giudici, uno per uno, esortandoli a "guardare tutti i tasselli" della vicenda. Forse non era un caso che Tranfa, alla fine della requisitoria, apparisse provato e "tirato" in volto: per uno come lui, era molto significativo il comportamento dei poliziotti, comportamento corretto che cambia dopo la telefonata di Silvio Berlusconi. E da uomo di famiglia, trovava (e trova) sconcertante che una minorenne - "Qui si dimentica che abbiamo a che fare con una minorenne", ripeteva Tranfa - fosse andata a finire proprio là dove un magistrato, Anna Maria Fiorillo, aveva ordinato che non andasse, e cioè nel bilocale ammezzato in periferia di una prostituta brasiliana.

"Non ci vuole una zingara per capire com'è andata quella notte in questura", sono le parole Tranfa ai suoi amici. Ma non l'hanno pensata come lui Concetta Lo Curto, giudice estensore della sentenza, e Alberto Puccinelli, consigliere.

Ora, per onore di verità, bisogna dire che il reato di concussione basato sulla telefonata ha spesso avuto visioni discordanti tra magistrati, avvocati, giornalisti. E se in primo grado è stata vista in pieno la "costrizione" subita dai poliziotti, in secondo grado ci può stare che possa esistere un'altra visione. Tranfa, però, appare granitico: "Ognuno può leggere le motivazioni e può trarre in ogni sede le sue conclusioni, quanto a me - ripete ai colleghi - ho deciso di essere in pace con me stesso".

Ieri si è tentato di parlare con gli altri due giudici, anche informalmente, ma erano non rintracciabili. Vengono descritti "basiti", "costernati". Che ci fossero stati i contrasti nella decisione di assolvere l'imputato Berlusconi lo sapevano bene. Che il presidente non avesse digerito il modo in cui tutta la responsabilità venisse scaricata su Pietro Ostuni e sul suo presunto "timore reverenziale" era loro noto. Così come che per il presidente il comportamento dei poliziotti, nell'interrogatorio da parte di Ilda Boccassini e Antonio Sangermano, rivelasse poca collaborazione: quei "non ricordo", le menzogne, le spiegazioni poco logiche andavano pesati con enorme attenzione. Ed per chiunque conosca l'esperienza e la bravura di alcuni ispettori delle volanti è davvero difficile immaginare che non sapessero quello che stavano facendo con Ruby: ci sarebbero potuti arrivare osservando - ebbene, è proprio così - solo le facce e gli atteggiamenti delle protagoniste della nottata. Tutto ciò bolliva dietro le quinte, in segreto, finché ieri è deflagrato con le inattese dimissioni.

Che Tranfa non ha comunicato a nessuno. Non alla presidente Livia Pomodoro. Non al procuratore capo Bruti Liberati. L'unico che lo sapeva, a tarda sera, era il presidente della corte d'appello, Giovanni Canzio. Tranfa voleva e vuole davvero "stare in pace" facendo "la cosa giusta".

Ruby, il pg chiede la conferma in appello
della condanna a 7 anni per Berlusconi
 
E Bari chiede processo per il caso escort

 

Ruby, il pg chiede la conferma in appello della condanna a 7 anni per Berlusconi  E Bari chiede processo per il caso escort
 
"Non ci sono ragioni per non confermare la condanna". Con queste parole il sostituto Pg di Milano Piero De Petris ha chiesto la conferma dei 7 anni di carcere per B. nel processo in appello. Coppi: "Bellissima difesa di una sentenza indifendibile" (video). Toti: "Solo teorie"

Ruby, pg: "Colossale abuso di B.
Fu concussione per costrizione"

 

Ruby, pg: "Colossale abuso di B. Fu concussione per costrizione"
 
In Appello, attese le richieste del procuratore generale per Berlusconi, imputato di concussione e prostituzione minorile e già condannato in primo grado a 7 anni. "Il centro è la bugia sulla nipote di Mubarak. Inutili le testimonianze di Clooney e Ronaldo"

CASO YARA GABIRASIO

CASO EXPO15 MILANO

CASO COSTA CONCORDIA

CASO ILVA TARANTO

CASO MOSE VENEZIA

CASO POLIZIA CRIMINALE

CASO TRATTATIVA STATO-MAFIA

 

 

 

 

 

 

 

Concordia, governo: 'Piano trasferimento
è inadeguato'. Rissa Toscana-Liguria
Concordia, governo: 'Piano trasferimento è inadeguato'. Rissa Toscana-Liguria
 
La decisione sulla sede dello smaltimento sarà presa dal cdm. Rossi: "Portarla a Genova è una sciocchezza ciclopica: è un viaggio di 5 giorni, facendo lo slalom tra le isole". Burlando: "Se il porto di Piombino fosse stato pronto saremmo stati zitti". Ma il ministero pone a Costa una sfilza di nuove prescrizioni

 

 

 

 

 

 

 

 

Torre dei piloti Genova, "i rimorchiatori?
Difficile dire se potevano evitare impatto"
 
Torre dei piloti Genova, "i rimorchiatori?  Difficile dire se potevano evitare impatto"
 
Le conclusioni dei periti del Cnr escludono responsabilità delle due imbarcazioni che "accompagnavano" la Jolly Nero nella manovra finita tragicamente con il crollo della struttura che provocò 9 morti

Moby Prince, Orlando: "Perito con
conflitto d'interessi? Lui disse no"

 
Perizia sul disastro del mare del 1991 affidata a uno studio che lavorava per gli armatori (leggi). Ma per il Guardasigilli basta l'autocertificazione: "Non sono incompatibile"

 

 

'A volto scoperto': il docu su Scaroni
L'ultras invalido dopo il pestaggio
 
'A volto scoperto': il docu su Scaroni L'ultras invalido dopo il pestaggio

 

In un documentario, il racconto del tifoso bresciano rimasto invalido al 100% dopo Verona-Brescia. Nessuno ha ancora pagato: otto gli agenti assolti

 

ALDOVRANDI,UVA,CUCCHI,SANDRI,GIULIANI,LA SCUOLA DIAZ E LA MACELLERIA MESSICANA,,LA CASERMA BOLZANETO,UNA STRISCIA DI SANGUE CHE NON VUOLE DIMINUIRE....

 

 

 

Foto shock su Facebook la famiglia di Davide attacca

Foto shock su Facebook
la famiglia di Davide attacca

Video Carabiniere con la pistola
Video - Fuga a mani alzate
ll militare: "Inciampato
di C. SANNINO A Napoli in pochi mesi tre ragazzi morti in circostanze assurde:cornicioni che si staccano e si trasformano in magli perforanti micidiali, partite di calcio che si trasformano in carneficine....

 

 

 

 

Stato-mafia, Grasso testimone
"Mancino si sentiva perseguitato"
 
Stato-mafia, Grasso testimone "Mancino si sentiva perseguitato"
 
Il presidente del Senato è a Palermo per deporre al processo. L'ex capo della Dna: "Da me mai interferenza. Nessuno mi chiese avocazione dell'indagine". E ancora: "Stupito di non essere parte offesa"

 

 

 

SCANDALO CARIGE, FORZA ITALIA, EXPO,SISMA AQUILA, TERRA DEI FUOCHI, GOMORRA, SCALOJA-MATACENA-LADY TROIA,CASTEL VOLTURNO...

'Aiuta Forza Italia, condividi la mia follia'
B. lancia la campagna di raccolta fondi

Due giorni fa l'annuncio: "Servono soldi, siamo con l'acqua alla gola" (leggi). Ora parte l'offensiva
con mail bombing e pubblicità. Sul sito si possono fare donazioni e divantare 'azionisti della libertà'

SCANDALO EXPO2015: Anticorruzione, Cantone ancora solo
E l'inquisita Maltauro si riprende l'Expo

Anticorruzione, Cantone ancora solo E l'inquisita Maltauro si riprende l'Expo
 
Nulla di fatto in cdm su poteri e membri dell'Autorità. Maroni: "Ennesimo rinvio, chi mi dice che fare con l'azienda accusata per mazzette?". Ma la risposta arriva dall'interessata: "Continuiamo i lavori"

Expo 2015, un far west anche sul lavoro
Colpa dell'accordo di deroga ai contratti

Per concludere in tempo i lavori dell'esposizione universale è stata siglata un'intesa che prevede eccezioni alle regole su apprendisti, precari e diritto di sciopero. La leva sul “Programma volontari”

Pos, scatta obbligo per medici e artigiani
Una riforma spuntata che salva i furbi

Video "Costi folli, non lo metteremo mai " / Tabelle

 

SCANDALO CARIGE, Berneschi: "Se parlo
io, sai quanti finiscono
in manette? Il Palazzo"

Berneschi: "Se parlo io, sai quanti finiscono in manette? Il Palazzo"

E' lo sfogo dell'ex presidente Carige prima di entrare dai pm. "Mio figlio cosa pensa di fare? Vuole fregarmi?". Sui soldi in Svizzera: "Risparmi di una vita" (leggi)

Mafia, oltre 90 arresti a Palermo
Decapitati vertici della nuova cupola

Mafia, oltre 90 arresti a Palermo Decapitati vertici della nuova cupola
 
L'operazione "Apocalisse" ha sgominato capi e gregari del mandamento di San Lorenzo e Resuttana. Gli "uomini d'onore" sono accusati di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento e altri reati

 

Sisma dell'Aquila, Casalesi infiltrati
nella ricostruzione: sette arresti

I provvedimenti riguardano un'indagine sull'infiltrazione nei cantieri privati. Le accuse: estorsione aggravata, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

 

Terra Fuochi, ristoratore: “Acquisto solo
prodotti freschi e certificati della zona”

Terra Fuochi, ristoratore: “Acquisto solo  prodotti freschi e certificati della zona”
 
"Mi sono sempre chiesto cosa fare per il territorio. E la risposta è stata far capire che qui non è tutto da buttare e che c’è tanto da salvare" spiega Eduardo Lanza

 

 

'Ndrangheta, 17 arresti tra Calabria
e Lombardia: "Sistema credito parallelo. Nel febbraio 2014 era stata scoperchiata la Banca d'Italia della 'Ndrangheta a Seveso in piena Brianza con 40 arresti...."
 

Le cosche erogavano denaro, a tassi usurari, a imprenditori in difficoltà. Sotto scacco la cosca Condello-Imerti di Archi e famiglie mafiose dei Pesce e Bellocco di Rosarno

 

Ndrangheta, arrestati 54 affiliati
a cosca Molè. Anche l'attore Sammarco

Ndrangheta, arrestati 54 affiliati a cosca Molè. Anche l'attore Sammarco
 
La Procura di Reggio Calabria li accusa di associazione mafiosa, traffico di armi e stupefacenti, intestazione fittizia di beni. Controllavano cliniche private e sale gioco

Scajola "innamorato" confessa durante gli interrogatori: piazzò lady Matacena come tesoriere del Pdl e la fece pedinare per gelosia

A Castel Volturno
bianchi contro neri
"Fate qualcosa
o ci uccideremo
a vicenda" -
foto

Tensione dopo il ferimento
di due ivoriani

 

 

Gomorra-la serie, 3 arresti per estorsione
"Casa di produzione pagò il pizzo al clan"

 
I rappresentanti della società avrebbero pagato una somma superiore per girare alcune scene a Torre Annunziata nell'abitazione di uno dei parenti del capo clan Francesco Gallo

Camorra, boss Iovine collabora con i pm
È il ministro dell'Economia dei Casalesi

Camorra, boss Iovine collabora con i pm   È il ministro dell'Economia dei Casalesi
 

Conosciuto come 'o Ninno ha cominciato a ricostruire alla Dda di Napoli il complesso delle attività e dei rapporti di Gomorra: dalla gestione delle attività criminali, alle guerre fra clan e ai rapporti con esponenti politici

 

Nel cuore della Costa Concordia
tra pochi giorni l'ultimo viaggio

Video Le nuove immagini fanno rivivere la tragedia

Robinho indagato per stupro di gruppo. Chiesto l’arresto per l’ex del Milan

I fatti risalgono a gennaio 2013: una diciottenne brasiliana ha denunciato l’aggressione. Il gip ha negato la richiesta. Nel 2009, a Manchester, fu prosciolto dall'accusa di violenza sessuale. Il calciatore è tornato in Brasile

Chiesto l’arresto per l’ex attaccante del Milan Robinho, ma il gip ha negato la richiesta. Il calciatore brasiliano è accusato di stupro di gruppo. A renderlo noto è il Corriere.it e i fatti risalgono a gennaio 2013, quando una ragazza è riuscita ad incontrare l’atleta nel ristorante dove lui si trovava con la moglie e cinque amici. Quella sera Robinho ha accompagnato a casa la consorte ed è tornato dagli amici dove era presente anche la fan 18enne.

Secondo la ragazza, che ha denunciato il fatto sei mesi dopo, la situazione è poi degenerata in una violenza sessuale di gruppo. Sulla vicenda, percorsa da qualche dubbio, ha indagato il pm milanese Stefano Ammendola che a un anno e mezzo dai fatti ha chiesto l’arresto di Robinho al gip Alessandra Simion, che ha negato la misura: il calciatore, tornato in Brasile, non può inquinare le prove e non ha precedenti penali. Robinho fu arrestato per stupro nel 2009 quando giocava a Manchester e fu prosciolto.

 

 

COSTUME

Hammerfest 2014, a Milano da tutto il mondo per il concerto neonazi

Hammerfest 2014, a Milano da tutto il mondo per il concerto neonazi

Cronaca

Il punto di ritrovo dei nostalgici è il parcheggio della tangenziale est, uscita 14 a Carugate. Sono attese mille persone che trasformeranno il capoluogo lombardo in capitale europea del "White power"

Il meeting point è stato fissato nelle ultime ore: parcheggio della tangenziale est, uscita 14 a Carugate, hinterland a nord di Milano. Questo il centro di raccolta dove oggi pomeriggio confluiranno oltre mille persone da tutta Europa per partecipare all’Hammerfest 2014, raduno nazi-rock. Milano così si trasforma da città medaglia d’oro della Resistenza a nuova capitale del neonazismo europeo.

Il battage per l’evento gira da settimane sui siti specializzati. Nella zona di Linate sono già stati prenotati tre alberghi. Il cappello sull’organizzazione, come già nel 2013, lo mette la Skinhouse di Bollate il cui volto pseudo “istituzionale” è rappresentato dal movimento di estrema destra Lealtà e Azione che ha recentemente partecipato a un meeting organizzato ad Atene dal movimento Alba Dorata. Qualche coordinata per capire cosa andrà in scena oggi. La Fratellanza Hammerskin è un movimento a carattere internazionale che dichiara di voler perseguire “lo stile di vita White Power”. Molti i riferimenti soprattutto negli Stati Uniti dove la Fratellanza viene fondata negli anni Ottanta da fuoriusciti del Ku Klux Klan. Tra le tante band che animeranno il festival ci sono i tedeschi Lunikoff, la cui denominazione originaria era Endlosung (“Soluzione finale”). Il logo della band è composto da una L e da una spada, chiaro riferimento alle insegne della divisione SS Lutzow creata da Himmler. Dall’Ungheria, invece, arrivano i Vérszerzodé legati al circuito Rac (Rock Against Communism). Il ritornello di uno dei loro brani recita: “Ein Volk, ein Reich, ein Führer”. Stessa linea per i milanesi Malnatt che cantano: “Sarò me stesso finché ci sarò, / con il braccio teso ti saluterò! /Sono della Resistenza bianca!”. Da Verona arrivano invece I Gesta Bellica che dedicano un testo al comandante delle SS Erich Priebke chiamato il Capitano. Milano nera, dunque. Rock e politica. Con la Questura che ieri ha diffidato i partecipanti a compiere atti contrari alla legge Mancino. Oggi si canta. Ma il lavoro è in prospettiva. Obiettivo: 29 aprile 2015, quando correranno i 40 anni dall’omicidio del giovane missino Sergio Ramelli, ucciso nel 1975 da due ragazzi di sinistra.

La tensione è alle stelle visto che il fronte opposto, quello dell’autonomia diffusa, prepara disordini per il primo maggio quando sarà inaugurato l’Expo 2015. Intanto, per il corteo di Ramelli del 2013 la Procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per 16 persone. Tutti sono accusati di aver violato la legge Scelba che punisce “le manifestazioni usuali del disciolto partito fascista”.

Il capoluogo lombardo, dunque, si ripropone come cantiere dei nuovi scontri sociali a livello nazionale. Sul fronte degli Hammer, il movimento milanese da qualche tempo ha trovato un leader. Si tratta di Mimmo Hammer in rapporti con il presunto narcos montenegrino Milutin Tiodorovic. Il suo nome (non iscritto nel registro degli indagati) compare in una intercettazione messa agli atti di un’inchiesta della Finanza che ha fotografato i rapporti tra la ‘ndrangheta e la malavita serba. Si allarga anche l’ala di CasaPound gestita politicamente da Marco Clemente, già candidato del Pdl alle Comunali del 2011 e intercettato (ma non indagato) a colloquio con personaggi legati ai clan.

 

Arrivano anche in Italia i metallari di Cristo

Suonano il rock più aggressivo e potente 
che esista. Ma con testi che lodano il Signore. 
Nati tra i protestanti americani, ora questi gruppi 
si sono diffusi anche nel nostro Paese. Da due anni i fan del genere si ritrovano d’estate in Toscana, per un festival. 
Tra loro, anche religiosi come fra’ Metallo 
e don Davide, tastierista dei Metatrone

l’anno rock 1990 e a un concerto dei Metallica, mischiato fra i giovani fan osannanti, c’era anche fra’ Cesare Bonizzi, dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Frate Cesare era andato per curiosità: voleva capire il perché del successo dell’Heavy Metal fra i giovani. Già avvezzo a intonare le lodi del Signore, aveva inciso qualche disco ed era noto come “il PrediCantore”. Ma, illuminato dal concerto dei Metallica, quel giorno decise di cambiare musica. Nacque così un personaggio che farà parlare di sé nel mondo dell’Heavy Metal italiano e non solo: Frate Metallo.

 

Facciamo un salto temporale e arriviamo agli anni Duemila: Frate Metallo e la sua band si esibiscono fra Milano e Bologna, al Gods of Metal, il più importante festival internazionale di Heavy Metal in Italia. Con lunga barba bianca e saio francescano, canta sul palco inneggiando a Gesù attorniato da chitarre elettriche che “sparano” a tutto volume, davanti a una folla di ragazzi in abiti di pelle fetish e con le borchie. Lui e la band vengono presentati come «cavalieri templari». Le reazioni sono contrastanti. Un giornalista dell’“International Herald Tribune” che assiste a un suo concerto scrive: «Frate Metallo è una forza della natura»; ma sulla Rete molti metallari “puri e duri” lo attaccano.

Frate Metallo è tutt’altro che un caso isolato. Il musicista e pastore protestante Robert Beeman, noto nell’ambiente metal americano come Pastor Bob, prima dei concerti di Heavy Metal tiene sempre una predica ai suoi fan cristiani. «Nelle Americhe e in Europa si è diffuso da tempo un forte movimento di Christian Metal, composto da band dichiaratamente cristiane che usano l’Heavy Metal per diffondere la propria fede. Il Christian Metal nasce in California con la band degli Stryper, si diffonde prima nel mondo protestante e poi in quello cattolico ma ora stanno nascendo anche gruppi Metal cristiano-ortodossi nell’Europa dell’est. Si calcola che in tutto il mondo oggi le band di Christian Metal siano già un migliaio». Chi parla è Daniele Fuligno, coordinatore di WhiteMetal.it, sito di riferimento del Movimento Christian Metal in Italia. «Ci definiamo anche White Metal in opposizione a quelle band di Black Metal che diffondono messaggi anticristiani (o a volte antisemiti) legati all’occultismo e al satanismo. Messaggi antireligiosi o di odio sociale ci sono sempre stati nell’Heavy Metal e più in generale nel rock, però è sbagliato identificare la nostra musica con il satanismo: il Metal è un mosaico di culture diverse, fra cui oggi c’è anche la fede cristiana. Basta pensare che nei Paesi scandinavi ci sono chiese in cui si suona l’Heavy Metal nella celebrazione dei matrimoni», conclude Fuligno.

White Metal contro Black Metal, Angeli contro Demoni, croci contro simboli satanici: questa partita a scacchi fra il Bene e il Male si svolge anche nei concerti rock del nostro Paese, dove si moltiplicano le band di Christian Metal. Fra le più attive, da nord a sud, ci sono i Boarders e i Timesword in Lombardia, gli S91 e gli Inside Mankind in Toscana, gli Ascer in Abruzzo, gli Envyra in Basilicata, i Members of God in Campania, i Doomenicus in Puglia, per finire con la Sicilia dove la scena Christian Metal è particolarmente vivace con gli Exultet, i Violet Sun, gli Hypersonic e soprattutto gli ormai celebri Metathrone. C’è chi canta in italiano, chi in inglese e chi in latino, ma tutti prendono molto sul serio sia il proprio messaggio evangelizzatore sia il proprio sound “metallico”.

Dal 2012 il Christian Metal italiano ha anche un festival dedicato: il Rock for the King, sorto a Prato in Toscana sul modello della più grande kermesse europea di Christian Metal, l’ Elements of Rock che si tiene ogni anno in Svizzera a Uster, vicino a Zurigo. «Rock for the King, cioè rock per il Re Salvatore, Gesù», spiega Francesco Romeggini, organizzatore del festival toscano. «L’edizione del giugno 2014 è stata un bel successo sia in termini di partecipazione di Christian Metal band sia in termini di spirito ecumenico dell’evento. Nel movimento c’è fratellanza tra chi è cattolico e chi, come me, è protestante evangelico: e al termine del festival abbiamo deposto le chitarre e pregato tutti insieme il Padre Nostro». All’edizione 2013 di Rock for the King era intervenuto anche Frate Metallo. Ma si è trattato di una “scappatella”, perché nel 2009 il frate ha annunciato pubblicamente di lasciare l’Heavy Metal per dedicarsi soltanto alla preghiera. La vecchia passionaccia per il Metal, tuttavia, dev’essersi rifatta viva, e l’ormai anziano francescano si è concesso di tornare per un giorno nei panni di Frate Metallo.

Oltre a essere organizzatore del festival di Prato, Francesco Romeggini (web avatar: “Demonicida”) è anche chitarrista degli S91, Metal band di Pistoia che deve il suo nome al salmo 91 del Libro dei Salmi: «Egli per te darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutte le tue vie». Gli S91 stanno preparando il terzo album per il 2015 dopo il successo del precedente, “Volontà legata”, «che è stato un disco di critica del fondamentalismo religioso, ovvero di quei cristiani che indossano la propria identità come un’uniforme, in modo formalistico e superficiale. Per questo in “Volontà legata” cantiamo “butta l’uniforme!”», conclude Romeggini.

Un’ispirazione anti-fondamentalista che non sembra appartenere a tutte le Christian Metal band. Per esempio i catanesi Exultet hanno pubblicato un album, “At the Gates of Christendom”, che invece esalta lo scontro di civiltà fra Islam e Occidente cristiano; rievoca infatti la famosa battaglia navale di Lepanto che vide opposti, nel 1571, l’Impero Ottomano la Lega Santa europea. I titoli dei brani degli Exultet sono eloquenti: “Invasione Turca”, “Martirio Terrore e Morte”, “Guerra navale nel Mediterraneo”. Cattolici come gli Exultet ma di ispirazione diversa sono gli Inside Mankind, una Progressive Metal band di Arezzo che nel 2015 pubblicherà il nuovo album “Oikoumene”, cioè “la Terra dei viventi”. Dice il batterista Matteo Bidini: «Qualsiasi membro di una Christian Metal band ha dovuto affrontare un doppio pregiudizio: quello di certi cristiani contro l’Heavy Metal e quello di molti metallari contro il cristianesimo. In Toscana ci è capitato di non poterci esibire in alcuni locali quando hanno saputo che siamo una band cristiana. Ma il Metal è una musica potente, adatta a un messaggio potente come quello di Cristo, perciò io raccolgo la sfida e rimango me stesso: da catechista educo i bambini alla fede e da metallaro suono vestito con le borchie».

Il “doppio pregiudizio” citato da Bidini potrebbe essere ancor più duro da superare se sei anche un sacerdote. «Eppure la mia esperienza è meravigliosa», dice don Davide Bruno, tastierista e voce dei siciliani Metatrone. «Metallaro fin da ragazzo, quando sono entrato in seminario mi hanno detto di restare me stesso», racconta don Davide.«E anche il mio vescovo ha capito: le nostre canzoni sono omelie musicali.

Così non soltanto ho potuto continuare a suonare con i Metathrone ma il seminario ha anche finanziato al 50 per cento il nostro primo album, “La mano potente”, che naturalmente è la mano di Dio». Ma i suoi parrocchiani, don Davide, che ne pensano? «Una volta una madre mi ha inviato il figlio sedicenne, fan dell’Heavy Metal, preoccupata che diventasse un satanista. Io gli ho detto: quali band ascolti figliolo? Parliamone, sono un metallaro anch’io. Il ragazzo è uscito entusiasta e nient’affatto satanista», ride don Davide. E conclude: «Mi resta una curiosità. Quando il cardinale Bagnasco ha ricevuto il nostro cd, gli sarà piaciuto il Metal?»

 

Fenomenologia della donna Sentinella
Tutta chiesa, smalto e tacchi a spillo
 

Costanza Miriano, autrice di 'Sposati e sii sottomessa', è il prototipo femminile delle Sentinelle in piedi: contraria agli asili nido, all'eutanasia, alla fecondazione assistita, considera le esponenti della protesta "madri colte  che tengono al proprio aspetto. "Non sono omofoba ma a scuola si deve insegnare a leggere, non l'ideologia gender"

libri sono tra i più letti dalle Sentinelle in Piedi . Lei stessa è scesa più volte in piazza con questo movimento ultra-cattolico che si oppone alla legge anti-omofobia, il cosiddetto ddl Scalfarotto. Si può dire che con le sue idee Costanza Miriano sia un po' la Donna-Sentinella, un prototipo di moglie e mamma orgogliosamente tradizionalista, come lasciano intuire i titoli dei suoi libri, dal primo e più famoso, «Sposati e sii sottomessa», del 2011 - che le è costato una denuncia in Spagna - fino al recente «Obbedire è meglio».

Costanza precisa di non parlare a nome delle Sentinelle, che in effetti non parlano proprio (si limitano a scendere in piazza in silenzio, immobili, leggendo in piedi un libro, in difesa «della famiglia naturale fondata sull’unione tra uomo e donna»). Il legame tra loro però è profondo. È amica stretta del loro idolo Mario Adinolfi, e la giovane portavoce nazionale del movimento, Raffaella Frullone, fa parte del ristretto team che cura il suo blog, costanzamiriano.com .

Fenomenologia della donna Sentinella 
Tutta chiesa, smalto e tacchi a spillo

Ma chi è Costanza Miriano? Perugina, 44 anni, giornalista passata dal Tg3 a Rai Vaticano, madre di quattro figli. A una recente tavola rotonda organizzata dal cardinale conservatore Gerhard Ludwig Müller è arrivata in ritardo, giustificandosi col fatto che doveva portare i figli a danza e tennis e preparare la cena. Anche noi però non siamo da meno del cardinale, anche al nostro appuntamento telefonico Costanza esordisce dicendo: «Uh! Lo sapevo che mi stavo dimenticando qualcosa! L'intervista con “l'Espresso”! Scusa ma sono a scuola a un colloquio per genitori, possiamo risentirci tra un'ora?».

Un'ora e mezza dopo, Costanza è pronta. Ha fatto spesso discutere per la sua idea di donna “sottomessa”, che si prenda cura dell'uomo e sia al suo servizio, una teoria che ci spiega così: «È ovvio che credo nella pari dignità di uomo e donna. Il punto è che l'essere umano, come ci insegna la Chiesa, non è perfettamente funzionante, ha un bug, c'è in lui il germe del male e della tentazione. E se la tentazione dell'uomo è l'egoismo, quello della donna è il controllo, la manipolazione dell'altro, una forma di violenza che viene da quella che è invece la sua grande virtù, saper custodire e educare una vita. L'uomo sposa la donna sperando che non cambi, la donna sposa l'uomo sperando di cambiarlo».

Nel concreto quotidiano, Costanza dice di non essere per nulla interessata «a chi lava i piatti», e nemmeno alle quote rosa. Non tanto perché pensa che «il lavoro femminile, in sé, non è una conquista, soprattutto per chi ha impieghi noiosi e faticosi», quanto perché l'aspetto più importante sta per lei nell'incapacità del sistema di aiutare le lavoratrici a stare a casa con i propri figli, che per lei sono una passione sfrenata, visto che confessa di aver allattato anche fino al secondo e terzo anno: «L'asilo nido è una violenza sui bambini, è illogico mettere nelle mani di un estraneo un bambino di 4 mesi. Sono per un congedo di maternità che duri tre anni e che magari la donna restituisca al sistema quando è il momento di andare in pensione. I bambini muoiono se la mamma non va alle loro recite. Il dramma per me è essere perennemente stanche, io ho fatto 4 figli in 7 anni e confesso di essermi addormentata ovunque, al bar, alle conferenze stampa, persino durante la messa».

vedi anche:


Ma Costanza Miriano non è solo contraria agli asili nido. È contraria all'eutanasia. Alla fecondazione assistita. Alla pillola. Pure al cognome materno per i figli. Sull'aborto dice che capisce il dramma di tante donne, «che magari sono state violentate, o hanno tradito il marito, o hanno già sei figli», ma è «comunque l'uccisione di un essere umano», e la legge 194 per alcune è diventato «un metodo contraccettivo». Sul “Foglio”, l'ultima volta che ha dialogato con il suo amico Camillo Langone, l'intellettuale che una volta ha detto «togliete i libri alle donne e torneranno a fare figli», è stato sui metodi contraccettivi naturali come alternativa al preservativo e alla pillola (la quale pillola, dice, deprimerebbe e rendere lamentose le donne).
 
Costanza ritiene inoltre che la rivoluzione sessuale abbia fregato le donne: «Il poliamore professato da Jacques Attali è ridicolo, la promiscuità sessuale ci ha solo resi più infelici, perché tutti tendiamo in realtà a relazioni esclusive». Infine invita a riscoprire il valore dell'obbedienza («in un'epoca in cui il mantra è quello di fidarsi solo di sé e del proprio istinto») ed è felice che papa Francesco, pur con uno stile diverso da Benedetto XVI, abbia «tenuto duro sulla dottrina, ribadendo il diritto dei bambini a un padre e una madre».

E che cosa pensa, dunque, delle Sentinelle? «Sono una realtà di grandissima civiltà, con cui dovrebbero stare tutti quelli che hanno a cuore la libertà di opinione, minacciata dal ddl Scalfarotto (un'accusa sempre decisamente respinta dal deputato del Pd Ivan Scalfarotto, ndr). Noi Sentinelle non siamo omofobe. Crediamo che gli omosessuali non abbiano bisogno di una legge speciale che li tuteli, anche Pasolini sarebbe stato d'accordo, così come avrebbe contestato il diritto alle adozioni, che sono l'obiettivo ultimo di queste leggi. L'Italia è già uno dei Paesi più gay-friendly del mondo, e gli adolescenti omosessuali non sono discriminati in quanto tali, ma perché si sa che a quell'età si colpisce sempre il diverso, che sia grasso o altro».

Non sarà omofoba, Costanza Miriano, però certo non vuole rendere più facile la vita dei gay. È contro il riconoscimento delle unioni di fatto («Se qualcuno vuole lasciare la casa al proprio compagno basta che vada da un notaio»). Ha difeso Putin e «le sue leggi contro la propaganda omosessualista nelle scuole, che sono purtroppo delle direttive dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, ma in classe si deve insegnare a leggere e scrivere, non l'ideologia gender, che ormai è mainstream in Occidente». Dice che sugli omosessuali non si può più fare nemmeno una battuta, «perché c'è la GayStapo pronta a saltarti addosso».

Nel suo lungo percorso, è felice di aver incrociato Mario Adinolfi, amatissimo dalle Sentinelle, autore di «Voglio la mamma» e fondatore del quotidiano “La Croce”, di cui Costanza sarà collaboratrice: «La nostra è una bellissima amicizia. Mario viene da una storia diversissima dalla mia, ma questo significa che non bisogna essere per forza credenti per essere ad esempio contro l'utero in affitto, un tema su cui una volta anche Miriam Mafai ha scritto su “Repubblica” parole illuminanti, ma che ora lascia indifferenti le femministe, insensibili a questo sfruttamento del corpo femminile. Con Mario, padre Maurizio Botta e lo psicoterapeuta Marco Scicchitano organizziamo degli incontri contro “i falsi miti di progresso”».
 
Le chiediamo se non ci sia il rischio che la loro protesta, per quanto “silenziosa”, possa essere strumentalizzata dall'estrema destra, e lei risponde così: «Sì, c'è questo rischio, ma non succederà, le Sentinelle sono attentissime alla comunicazione».
 
Le ultime parole sono per le donne-Sentinelle: «Lasciamelo dire, sono donne con gli attributi. Madri colte e informate, che tengono a sé e al proprio aspetto. Non sono solo cattoliche da parrocchia, hanno smalto e tacco a spillo, non dipingeteci come le solite bigotte. Lo si vede anche dai libri che portano in piazza e leggono in silenzio, non ci sono solo Bibbie e San Paolo». Lei, per esempio, che libro ha portato, quando ha “sentinellato”? «Una delle mie ultime passioni, i fumetti di Zerocalcare». Eppure una volta Zerocalcare ha scritto su Twitter: «Al netto delle contraddizioni che possono dividerci circa il McDonald's, è scontato per tutti che le Sentinelle in piedi per me so' il male, ve'?». Costanza ne è consapevole, ma non ci sta: «Ho una gran voglia di incontrarlo e dirgliene quattro, a Zerocalcare. Non ha capito chi siamo».

 

 

Gang bang, il racconto: “Noi, sei donne con trenta uomini pagate 100 euro a testa”

Ilfattoquotidiano.it incontra una ragazza che partecipa ad eventi erotici in provincia di Milano. Una storia di "gioco scelto per piacere", ma anche di sfruttamento e pressioni psicologiche

Gang bang, il racconto: “Noi, sei donne con trenta uomini pagate 100 euro a testa”

“Alcuni organizzatori di gang ti trattano peggio di una puttana da strada. Mi è capitata due anni fa una serata di questi eventi qua… eravamo 6 donne e 30 cristiani, e ci hanno dato 100 a testa. Secondo te è normale? E in più pretendevano che facevi di tutto, dicevano ‘devi fare questo, questo e questo’”. Quello che racconta a ilfattoquotidiano.it una delle tante protagoniste femminili delle gang bang milanesi è una storia di “gioco scelto per piacere” ma anche di sfruttamento e pressioni psicologiche. “Se ti lamenti ti rispondono che tanto ce n’è un’altra pronta a prendere il tuo posto. È successo che si è rotto il preservativo a una mia amica e l’organizzatore l’ha trattata come un animale. Io questi li ho mandati affanculo”.

Incontriamo Diana (nome di fantasia), sui 35 anni, in un locale in periferia. “Si inizia per trasgredire”, spiega, precisando che fa questa vita ormai da “qualche anno”. Un’ironia che tradisce l’imbarazzo di raccontarsi e di svelare i meccanismi che regolano il mondo dei festini a luci rosse. Il racconto della protagonista nasconde una valutazione pesante. È lei stessa a bollare alcuni degli organizzatori di gang come dei veri e propri sfruttatori.

Ma come funziona una gang bang? Innanzitutto serve una location adatta, e poi clienti, soldi e soprattutto donne disposte a stare per ore al centro di un lungo e complesso gioco erotico. Una complessità gestita da alcuni organizzatori che, tramite annunci online, profili facebook o twitter, veicolano date e orari degli incontri, scendendo nei dettagli con i nomi delle protagoniste, corredati di foto e menù di “specialità” sessuali. Tutte informazioni inserite su vere e proprie locandine digitali, come se si trattasse di un evento qualsiasi.

A Milano e in Lombardia sono almeno quattro i guru del settore, tutti facilmente rintracciabili su Internet. Hanno una rete di clienti affezionati in continua espansione, si accordano con proprietari di location private (dalle ville agli appartamenti, ma spesso si tratta di night club) e cercano di reperire donne adatte al gioco, concordando prezzi e prestazioni.

Di solito non si tratta di vere e proprie professioniste del sesso a pagamento. Sono donne che nella vita svolgono un’altra attività e scelgono di arrotondare partecipando al gioco erotico in cambio di “gettoni di presenza” più o meno generosi. Non c’è un tariffario standard. “Dipende da come va l’evento di quel giorno, quante persone vengono e quante donne siamo”. In alcuni casi per un pomeriggio di sesso in compagnia di decine di uomini le performer si portano a casa un migliaio di euro. Ma le cose non vanno sempre così. “È capitato che mi pagassero anche poco, pochissimo”.

Il regista di Boris: ''Amo la Lazio dal '74, quando facevo il bibitaro''

REPUBBLICA TV / CUORI DI CALCIO

Il regista di Boris: ''Amo la Lazio dal '74, quando facevo il bibitaro''

 
chiara 675
Roma, in coma dopo
le botte del fidanzato
Si sveglia dopo 11 mesi
 
 

Vendesi castello di Vigoleno

Borgo fortificato dai Visconti-Sforza a presidio della via Emilia che da sud portava entro i territori del Ducato di Milano. Il complesso infatti era situato proprio sul confine con i territori rivendicati dallo Stato della Chiesa secondo la mendace Donazione di Costantino. All'indomani delle guerre cinquecentesche franco-asburgiche, il territorio del piacentino venne inglobato con Parma dal papa Farnese che lo donò al figlio che ne fece Ducato autonomo ed indipendente fino al tracollo ed all'annessione al Regno di Sardegna all'indomani della Seconda Guerra d'Indipendenza, 1859. Immobile di prestigio, tremila metri quadri, trattativa strettamente riservata. E' in vendita niente meno che il castello di Vigoleno, imponente complesso fortificato della provincia di Piacenza sul confine con quella di Parma, nel comune di Vernasca. Un esempio di borgo fortificato medievale di particolare bellezza.
Nel 1922 - ricorda l'annuncio - la principessa Ruspoli Gramont lo fece restaurare e ne fece sede di incontri mondani, passarono tra le sue mura Gabriele D'Annunzio, Max Ernst, Alexandre lacovleff, Jean Cocteau, la diva del cinema Mary Pickford, la scrittrice Elsa Maxwell, il pianista Arthur Rubinstein. Nei primi anni'80 fu teatro di parte delle riprese del film Lady Hawke di Richard Donner con Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer.

Vittime del nazismo, la Consulta: possibili risarcimenti a carico della Germania

Sentenza cancella tutte le norme del nostro ordinamento che garantivano immunità. "Non si applica a casi di crimini di guerra o contro l'umanità"

Dalla Consulta arriva una picconata a quelle norme italiane che impedivano alle vittime delle stragi naziste di chiedere risarcimenti a paesi stranieri, ovvero alla Germania. La decisione della Suprema Corte sancisce che i giudici sono competenti sulle istanze di risarcimento perché "il principio dell'immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati, generalmente riconosciuto nel diritto internazionale, non opera nel nostro ordinamento, qualora riguardi comportamenti illegittimi di uno Stato qualificabili e qualificati come crimini di guerra e contro l'umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona e garantiti dalla Costituzione".

La Consulta, dunque, nel corso della camera di consiglio di oggi ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme che impediscono al giudice italiano di accertare l'eventuale responsabilità civile di un altro Stato per "tali gravissime violazioni - si legge nella nota della Corte - commesse nel territorio nazionale a danno di cittadini italiani".

Tali norme, secondo i 'giudici delle leggi', violano i principi dettati dalla Costituzione con gli articoli 2 (diritti inviolabili dell'uomo) e 24 (diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri interessi), perché "impediscono l'accertamento giudiziale" di eventuali responsabilità civili di uno Stato per violazioni così gravi, nonché del "eventuale diritto al risarcimento dei danni subiti dalle vittime.

La questione dei risarcimenti chiesti alla Germania dalle vittime del nazismo era stata trattata in udienza pubblica il 23 settembre scorso, ma la decisione è giunta soltanto oggi. Il caso era stato sollevato con tre distinte ordinanze dal tribunale di Firenze, che aveva espresso dubbi di legittimità delle norme con le quali si negava la giurisdizione del giudice italiano sulle istanze risarcitorie avanzate nei confronti della Repubblica federale tedesca.

La questione dei risarcimento sembrava essere ormai chiusa dopo la pronuncia con cui la Corte internazionale dell'Aja che, nel 2012, aveva stabilito la carenza di giurisdizione del giudice italiano. Precedenti sentenze della Cassazione, invece, avevano riconosciutoad alcuni familiari di vittime del nazismo il diritto ad essere risarciti dallo Stato tedesco.

I processi da cui è scaturito l'invio degli atti alla Consulta riguardano istanze risarcitorie avanzate da italiani che vennero deportati in campi di concentramento in Germania.

Ecco il bunker dove si rifugiavano i fascisti

Sotto il lago di Villa Torlonia. A Villa Ada. E a casa della Petacci. Ecco dove si nascondevano il Duce, il re e i vip 

Ecco il bunker dove si rifugiavano i fascisti

Ruby, Maristhell Polanco e le altre olgettine: che fine hanno fatto le ragazze delle "cene eleganti" di Silvio Berlusconi? (FOTO)

OLGETTINE

Ce ne siamo dimenticati eppure non era molto tempo fa che le cronache italiane erano piene delle loro foto e delle loro dichirazioni sulle feste di Arcore, le "cene eleganti" dell'ex Cavaliere Silvio Berlusconi. Chi sono? Le olgettine (dal nome del residence in cui albergavano), escort, ragazze del bunga bunga. Una di loro, la romena Ioana Visan, coniò un'altra formula: "Il clan delle belle gnocche". Modi diversi per dire la stessa cosa che ora il Tribunale dice con linguaggio assai più crudo e crudele: prostitute.

Il Messaggero le ha cercate e raccontato la loro storia. Tutta la storia. Dalle notti di Arcore alla vita di tutti i giorni, tra eufemismi e realtà.

I festini erano cene eleganti. I palpeggiamenti gare di burlesque. E poiché parlare esplicitamente di euro risultava poco dignitoso, le frequentatrici del villone prediligevano una definizione più chic: "Silvio ha chiesto ad Aris di fermarsi per la notte e le ha dato novemila flowers". Pare quasi una citazione di De Andrè: dal letame nascono i fiori. E comunque: se le prostitute fanno sesso per i soldi, le olgettine facevano sesso per i flowers. Suona meglio, no? Aris Espinosa, quella dei novemila per una notte, adesso è senza lavoro. Aveva ricevuto in dono un bel contratto con Mediaset. Avviluppata in abiti leggeri danzava e sorrideva dagli schermi tv in trasmissioni di intrattenimento. Tutto finito. Contratto non rinnovato, marpioni del jet set che non le rispondono più al telefono, agenzie di modelle che le chiudono la porta in faccia. Anche i duemila mensili che, finite le feste, Berlusconi le passava a mo' di risarcimento non arrivano più: "Andrò all'estero".

Destino comune a quello di tante altre, il suo. A riprova del fatto che il risvolto più triste e compassionevole delle notti di Arcore sta proprio nelle biografie delle fanciulle che le allietavano. Le quali, comprensibilmente, hanno sempre rifiutato l'epiteto di prostitute. Per loro quella non era una professione, ma soltanto il primo passo necessario per poi finire sotto i riflettori della tv, approdare nel mondo dello show business, entrare nel giro delle copertine dei rotocalchi e delle cene coi calciatori.

Di Minetti, però, ce ne sono poche. Molte altre non hanno retto alla botta dei processi che le ha disorientate, destabilizzate, messo a nudo le loro fragilità. Le gemelle De Vivo, per esempio, dopo aver campato grazie ai paterni bonifici di Silvio, son dovute tornare a Napoli dove faticano a sbarcare il lunario. Così sostengono. Cinzia Molena era riuscita a mettere il naso in qualche serie tv, ma dopo alcune puntate di Centovetrine "non mi ha più cercata nessuno". Roberta Bonasia, ex infermiera a Nichelino, ebbe persino l'onore di essere spacciata a un certo punto per la fidanzatina segreta del Cavaliere. Tutta colpa di un colloquio (intercettato) fra Mora e Fede: "Silvio è presissimo. Lei ha preso possesso di tutto, pretende tutto...". Ora invece va avanti "grazie all'aiuto che mi danno i miei genitori" e c'è da immaginare con quanto rimpianto assista all'irresistibile ascesa di Francesca Pascale.

Qualcuna, intuendo in tempo utile che i tempi delle vacche grasse si stavano esaurendo, ha riposto le ambizioni da star puntanto a di sistemarsi con qualche aitante sportivo dal portafoglio pieno, un Balotelli o cose così. Maristhell Polanco s'è dovuta accontentare di un giocatore di basket ticinese da cui ha avuto due figli. Barbara Faggioli è andata oltreoceano dove è stata pizzicata con Danilo Gallinari, un altro che vive dignitosamente grazie alla pallacanestro.

 

 

Infine c'è Ruby Rubacuori, la causa di tutto. Si dice che si sia sistemata per la vita grazie a una sorta di vitalizio di cui beneficerebbe in virtù del suo silenzio. S'è sposata, ha avuto un bambino, veste in modo castigato e sparge lacrime lamentose sostenendo di far perfino fatica a trovare un posto di cameriera. Ma nessuna delle sue ex colleghe le crede.

Canone Rai legato alla bolletta elettrica. Costerà meno (60 euro in media), ma lo paga anche chi ha un pc o un tablet

La riforma del Canone Rai è pronta. Il Messaggero scrive oggi che Matteo Renzi ha dato il suo via libera alla rivoluzione per l’imposta, che verrà legata alla bolletta della luce con l’obiettivo di garantire all’azienda di viale Mazzini un gettito di 1,8 miliardi di euro l’anno. Più o meno quanti ne incassa oggi la Rai, ma allargando la platea. Non si pagheranno più i 113,50 euro, ma si chiederà un importo inferiore. Resteranno le fasce di esenzione e i bonus per i meno abbienti, ma tutti gli altri pagheranno una cifra che viene stimata dai 35 a 80 euro in base agli indicatori Isee. In media, il Canone Rai costerà 60 euro agli italiani.

Renzi ha ricevuto il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, e ha approvato l’idea di legare il Canone Rai alla bolletta elettrica. Per non pagare la tassa diventa compito dell’utente dimostrare di non possedere una tv o anche qualsiasi device con cui raggiungere i programmi del servizio pubblico – tablet, iPad, smartphone, pc. Nell’Italia di oggi, pochissimi saranno esclusi dall’imposta.

Spetta ora al Tesoro e a Palazzo Chigi decidere quale sarà lo strumento normativo, se presentare un emendamento alla Legge di Stabilità oppure varare un decreto ad hoc. Lo stato delle casse Rai richiede di non esitare. L’evasione del Canone Rai è stimata in 450 milioni di euro e un ulteriore rinvio sarebbe deleterio. Per questo Giacomelli confida di portare a casa l’operazione entro l’anno, ma dovrà superare i dubbi dell’Authority per l’Energia – che già ha definito un “uso improprio” quello del Canone in bolletta e ha sollevato perplessità legate alla privacy.

 

Cosa ci fa tornare da un ex-amore sbagliato?

D RELAZIONI

Cosa ci fa tornare da un ex-amore sbagliato?

Scrivete a videoforum@repubblica.it

Il nuovo supertreno Londra-Parigi. Sfreccia a 320 all'ora

Ecco il nuovo Eurostar E320. Il primo dei futuri convogli che viaggiano sulla Londra-Parigi (e sulla Londra-Bruxelles), in altre parole sotto la Manica, è stato oggi presentato alla stazione di St. Pancras, il capolinea londinese della tratta. Più veloci dei precedenti (320 all'ora contro 300, da cui il nome), ospitano 900 passeggeri. Sono prodotti dalla tedesca Siemens. Eurostar, la compagnia che gestisce il servizio attraverso il "Chunnel", ne ha ordinati 17 per un totale dell'ordine dei 700 milioni di euro. Entreranno in servizio a cominciare da fine 2015 e, data la loro adattabilità all'intera rete europea, cominceranno a viaggiare anche su altre tratte, collegando direttamente Londra a città come Amsterdam o Marsiglia

 

 

 

 

Gomorra tv, produzione rinuncia al processo su racket. Cast: ‘Non chiedete a noi’

 

“Perché ci fate queste domande? Chiedete a qualcun altro”. Cattleya, casa produttrice della serie tv Gomorra e vittima di racket da parte del clan camorrista Gallo, non si è costituita parte civile nel processo per estorsione in corso a Napoli. Sul banco degli imputati, il boss Francesco Gallo e i suoi genitori. Due attori di punta del cast, Marco D’Amore (alias Ciro Di Marzio) e Marco Palvetti (alias Salvatore Conte), non intendono commentare e si limitano a ribadire la “specchiata onestà e buona fede della casa di produzione”. All’incontro per il lancio del dvd e blue ray della premiata serie televisiva, alla libreria Feltrinelli a Milano, si dicono tranquilli perché sanno bene con chi hanno lavorato. Eppure, tre manager dell’azienda sono indagati per favoreggiamento. E nelle intercettazioni degli inquirenti, lo sceneggiatore Pasquale Meduri si augura che l’affitto di “villa Savastano”, al centro dell’inchiesta, finisca nelle mani del boss Francesco Gallo anziché dello Stato. “Quest’affermazione non l’ho letta, non so se rispecchi la realtà”, è la risposta di D’Amore  di Stefano De Agostini

 

Marco Baldini, l’addio a Fiorello. E l’ipocrisia italiana sul gioco d’azzardo

Marco Baldini, l’addio a Fiorello. E l’ipocrisia italiana sul gioco d’azzardo

Il caso del conduttore dice tutto sulla sciagurata regolamentazione del nostro paese. Mentre i Casinò sono vietati, le liberalizzazioni delle sale slot incoraggiano la dipendenza. Lobby e mafie ringraziano

Quella di Marco Baldini che lascia la trasmissione Fuoriprogramma su RadioUno perché (parole sue) “non sono più in grado di garantire un buon livello di professionalità”, è una storia senza tempo, perché dietro la laconica dichiarazione dello storico compagno di cazzeggio di Fiorello, si nasconde un segreto di pulcinella: i debiti legati al gioco d’azzardo, che da troppo tempo segnano la vita del conduttore toscano: “I miei problemi personali non mi consentono più di essere affidabile. Faccio un passo indietro per rispetto”.

In effetti, non si vede come possa essere affidabile una persona che in una recente intervista (rilasciata ad Alessandro Ferrucci sul Fatto Quotidiano) aveva dichiarato di non avere una fissa dimora, di accettare qualsiasi tipo di lavoro, di non essersi mai davvero liberato della ludopatia pur avendo pagato debiti per quattro milioni di euro. È una storia senza tempo quella del giocatore compulsivo che vede la posta sul piatto crescere sempre più, fino a diventare la sua stessa vita, e arriva a scommettere sulla sua salvezza. Una, due, tre, troppe volte. Questo vortice di autodistruzione inconscio eppure scientifico l’hanno raccontato Dostoevskij, Landolfi, Zweig, Schnitzler; e nel 2005 l’ha raccontato pure Baldini nel libro autobiografico Il giocatore.

La folgorante carriera a Radio Deejay fino all’allontanamento dalla conduzione da Claudio Cecchetto, a causa dei debiti milionari a forza di scommesse ippiche e partite a carte. I prestiti dai cravattari, gli amici che spariscono uno a uno, anche per non perdere altri soldi, gli avvertimenti e le minacce di morte. Ma anche la risalita, l’amore e l’amicizia che curano, la promessa solenne di avere chiuso per sempre. Fino alla prossima ricaduta. E che stavolta la caduta sia pesante lo prova l’annuncio di voler sparire. Nessun demone è tanto solitario quanto quello del gioco, la prima ossessione del giocatore compulsivo è poter giocare lontano da tutto e da tutti. E dire che Baldini sarebbe un uomo fortunato, se solo non giocasse. La sorte gli ha regalato una moglie che lui ama ancora, e che però ha deciso di lasciare “per non rovinarle la vita”. Ha incontrato anche un amico come Fiorello che gli è rimasto sempre accanto e più di una volta gli ha permesso di rialzarsi; ora ha deciso di lasciare anche lui.

Quella di Marco Baldini è una storia senza tempo, ma anche molto attuale e molto italiana, che ci dice parecchio sul Paese più ipocrita al mondo nella sciagurata regolamentazione dell’azzardo. Proibizionismo assoluto fino a non molti anni fa, dunque tutto saldamente in mano alla malavita. Dalla sala corse alla scommessa clandestina è un attimo; da qui alla bisca, un altro attimo. A volte il bookmaker e lo strozzino sono la stessa persona. Oppure, come nel caso di Baldini, l’“amico” che ti ha prestato 30 mila euro e li rivuole è Giuseppe De Tomasi detto Sergione, ex uomo della banda della Magliana.

Poi lo Stato ha cominciato a liberalizzare, e la situazione è ancora peggiorata. Sale scommesse, slot machine e casino online come se piovesse, ma anche la tabaccheria sotto casa. Giochi non proibiti, il libro inchiesta di Antonella Beccaria ed Emiliano Liuzzi, è una disamina impressionante non solo di quanto il giro d’affari legato al gioco sia aumentato in modo esponenziale, ma soprattutto di come queste liberalizzazioni siano andate di pari passo con le strategie delle lobby e le infiltrazioni della criminalità (che peraltro era già in pole position).

Morale: in nessun paese come in Italia ci si straccia le vesti sulle patologie, ma i realtà si fa tutto il possibile per aumentarle. Restano vietati i Casinò veri, unici luoghi in cui ovunque il gioco è legalmente consentito, ma anche controllato. In compenso, tutto il resto è permesso; anzi, incoraggiato. Il risultato è che se quattro vecchietti si giocano il bianchino al bar c’è il rischio che arrivino i carabinieri; però ci si può giocare le mutande sullo smartphone, oppure nelle sale slot aperte ogni cinquanta metri (record mondiale), ma controllate dalle stesse, pochissime mani sospette.

Lo Stato ha fatto di tutto perché il giocatore a rischio, già portato di suo a isolarsi, diventi invisibile oltre che inguardabile, e quindi per spingerlo alla rovina. L’aiuto più grande che Fiorello ha dato a Baldini non è stato quello economico, e nemmeno le opportunità di lavoro: è stata la possibilità di rendere pubblico il suo vizio, di gridarlo al mondo, la vera arma letale contro la ludopatia. Ma quando Baldini dichiara di essere finito nel giro dell’azzardo “perché volevo tutto e subito”, bluffa. Come ci ha raccontato Robert Altman in California poker, nel profondo del cuore, i giocatori vogliono una cosa sola, continuare a giocare; e hanno una sola paura, vincere così tanto da non poterlo fare più. Paura pressoché immaginaria ovunque; ma mai quanto in Italia.

 

marianna madia gelato 675

Media & regime
“Marianna Madia ci sa fare col gelato”
E’ il servizio di ‘Chi’ sul ministro
Odg apre procedimento su Signorini

 

COSTUME ITALIANO E DEL MONDO DAL GENNAIO AL GIUGNO 2014
Il mondo in un minuto Le dieci foto top del giorno
IL FOTOBLOG

Il mondo in un minuto

 

La magia del fotoritocco: così le star si imbucano alla festa
LE IMMAGINI / USA

La magia del fotoritocco: così
le star si imbucano alla festa

 

 

 
 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

La battuta infelice del conduttore  ''Sophia Loren, topa meravigliosa''

 DAVID DI DONATELLO

La battuta infelice del conduttore
''Sophia Loren, topa meravigliosa''

 

 

Caccia al selfie con la Boschi    LE IMMAGINI

Caccia
al selfie
con la Boschi

 

"Articolo 18... Come il gettone nell'iPhone"    REP TV

"Articolo 18...
Come il gettone
nell'iPhone"

 

Bari, via al processo per escort Tarantini D'Addario: "Insulti e fango da 5 anni"

Bari, via al processo per escort Tarantini
D'Addario: "Insulti e fango da 5 anni"

De Meglio: "Con Berlusconi solo baci, non sesso"
Foto L'arrivo delle ragazze in tribunale

 

 

 

 

ECONOMIA ALLO SFASCIO

Ilva, ecco il piano di Renzi per far intervenire lo Stato: commissario e Cassa depositi
 

Già oggi il Consiglio dei ministri può varare un decreto per l’amministrazione straordinaria. La Cdp in una newco

ROMA - C'è un "piano B" per l'Ilva. Il governo è pronto a chiedere l'amministrazione straordinaria per il gruppo siderurgico. Sostanzialmente dichiararne il fallimento e applicare la legge Marzano, il nostro "Chapter 11", riservato ai grandi gruppi con più di 500 addetti e oltre 300 milioni di debiti. Un default pilotato, insomma. Un decreto legge ad hoc potrebbe essere varato nei prossimi giorni, o addirittura questa sera visto che è stata convocata una riunione del Consiglio dei ministri. I tempi saranno comunque strettissimi. L'Ilva, dopo che le sono arrivati i 125 milioni della seconda rata del prestito bancario, ha i soldi per pagare gli stipendi dei suoi 11 mila dipendenti di dicembre, la tredicesima e il rateo del premio di produzione. Niente di più. Mentre ci sono 350 milioni di debiti scaduti con i fornitori e 35 miliardi di richieste per danni ambientali, sotto varie forme, da parte della comunità tarantina.

Nessuno in queste condizioni comprerà mai la società. Non gli anglo-indiani di Arcelor-Mittal, il più grande gruppo europeo dell'acciaio, alleati con Marcegaglia; non l'italiano Arvedi che in ogni caso ha chiesto l'aiuto finanziario del Fondo strategico italiano, braccio industriale della Cassa depositi e prestiti, controllata dal ministero dell'Economia con la partecipazione delle Fondazioni di origine bancaria. Sia Mittal sia Arvedi, infatti, hanno presentato offerte considerate inaccettabili dal governo. Ma in particolare gli anglo-indiani hanno posto paletti insormontabili dal punto di vista economico e politico. Così non ci sarebbero garanzie sul futuro dell'impianto. "Non si svende la più grande acciaieria d'Europa", spiegano a Palazzo Chigi. La produzione dell'acciaio resta strategica se si vuole rilanciare l'attività industriale crollata del 25 per cento in questi lunghi anni di recessione. Da qui il "piano B" del governo.

Giovedì scorso si sono riuniti a Palazzo Chigi il premier, Matteo Renzi, il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, e il commissario governativo dell'Ilva, Piero Gnudi. Ne è emersa la convinzione che senza il passaggio all'amministrazione straordinaria la questione Ilva sia destinata a finire in un vicolo cieco. Con il rischio che prenda forma uno scenario sociale esplosivo, per le ricadute dirette su Taranto e gli altri siti produttivi (Novi Ligure e Cornigliano) e indirette sulle migliaia di piccole aziende fornitrici. Non per nulla ieri sono arrivati i commenti positivi dei sindacati all'ipotesi dell'amministrazione straordinaria.

D'altra parte né Mittal, né tantomeno i lombardi di Arvedi, significativamente indebitati, hanno indicato nell'offerta una cifra per rilevare la società. Questo è il punto. L'Ilva continua a perdere intorno ai 25 milioni al mese (ne perdeva quasi 70 prima dell'arrivo di Gnudi che ha cambiato tutta la prima linea di comando), nel 2012 e 2013 ha perso un miliardo l'anno, ha due terzi dello stabilimento di Taranto sotto sequestro, non ha praticamente le risorse per fare la manutenzione, e soprattutto deve rispettare i vincoli posti dal piano di risanamento ambientale che complessivamente richiedono un esborso di 1,8 miliardi di euro. Così i grandi acciaieri europei scommettono sul tracollo dell'Ilva, perché ci sarebbe un concorrente in meno e quote da spartirsi, mentre sui mercati globali avanzano i produttori asiatici, russi e brasiliani. Anche questa partita si sta giocando intorno alla crisi dell'ex Italsider. Eppure a Taranto si potrebbe ancora produrre acciaio di qualità in condizioni redditizie purché liberi del "fardello" del passato. L'amministrazione straordinaria servirebbe a questo, a non cedere l'azienda, bensì gli impianti. Il modello di riferimento sarebbe quello dell'Alitalia dei cosiddetti "capitani coraggiosi": una bad company su cui scaricare il cumulo di macerie, controversie giudiziarie comprese, accumulato negli anni (ai Riva, azionisti di maggioranza, sono stati sequestrati dalla magistratura 1,2 miliardi di euro per dirottarli al risanamento ambientale); una new company sulla quale costruire il futuro dell'acciaieria, con le banche creditrici, con nuovi soci privati, con un intervento pubblico attraverso il Fondo strategico. Una volta ripulita, insomma, l'Ilva avrebbe ben altro appeal. E allora non si tratterebbe più di "svendita" e potrebbe - a condizioni di mercato sulle quali Bruxelles non potrebbe eccepire sollevando il pericolo di aiuti di Stato vietati dai Trattati - entrare in campo anche una sorta di statalizzazione. Ipotesi che il Renzi, nell'intervista ieri a Repubblica, considera al pari delle altre. Questa, potrebbe anche essere un'ipotesi tattica (dove troverebbe i soldi, non meno di 2-3 miliardi, il governo?) per far vedere a Mittal che lo scenario può anche cambiare. Ma si vedrà. In ogni caso il ricorso alla "legge Marzano" dovrebbe permettere - secondo quanto è trapelato da chi nel governo ha in mano il dossier - al commissario straordinario di venire in possesso in tempi rapidi dei 1,2 miliardi sequestrati ad Emilio Riva e sul cui patrimonio c'è stata la rinuncia degli eredi. Certo il fratello Adriano ha fatto ricorso contro il sequestro ed è in atto una battaglia legale. Ma questo è un altro capitolo del groviglio tarantino.

Unipol razionalizza il capitale. Batosta in Borsa per ex soci risparmio FonSai

Unipol razionalizza il capitale. Batosta in Borsa per ex soci risparmio FonSai

Lobby

Il gruppo delle coop avvia operazioni straordinarie che secondo la Borsa premiano la holding Unipol Gruppo Finanziario e le cooperative azioniste. Sfavoriti invece i vecchi titolari delle azioni di risparmio di Fondiaria

Unipol si prepara a razionalizzare il capitale del gruppo. Obiettivo del numero uno Carlo Cimbri è eliminare le azioni privilegiate della capogruppo e convertire le risparmio della compagnia assicurativa delle coop. L’operazione, appena presentata dai vertici della società, rischia però di diventare ben presto un boomerang innescando una nuova ondata di cause da parte degli ex azionisti di risparmio di Fondiaria Sai. Bastonati in occasione delle nozze con Unipol e diventati soci di UnipolSai attraverso le azioni di risparmio di tipo A, i vecchi soci FonSai si sono infatti visti proporre condizioni decisamente meno interessanti di quelle riservate alla categoria dei titoli “gemelli” B. Azioni di risparmio, queste ultime, che in buona parte (67%) sono in pancia alla stessa controllante Unipol Gruppo Finanziario che a sua volta fa capo alle coop attraverso Finsoe.

La questione non è sfuggita al mercato. Se, infatti, Cimbri giudica “congruo” il prezzo di conversione dei titoli di risparmio di tipo A, la Borsa non concorda tanto che lunedì ha affossato i titoli che hanno accusato un tonfo superiore al 12% a 212 euro. Per gli esperti il responso del mercato è inequivocabile: l’operazione non è interessante, quindi sfavorevole. Tanto più che Cimbri ha già fatto sapere di non essere disponibile a rivedere le condizioni di conversione offerte agli ex soci di risparmio FonSai che riceveranno 100 azioni ordinarie per ogni titolo nelle loro mani. E ha poi mandato un chiaro messaggio a chi dovesse decidere di non partecipare all’operazione e uscire dai giochi senza incassare l’eventuale dividendo per il 2014. Se il diritto di recesso - cioè il prezzo di 228,37 euro per azione che Unipol ha deciso di pagare per liquidare i soci dissenzienti tra i titolari delle risparmio A – supererà complessivamente la soglia dei 30 milioni di euro, il gruppo “non farà alcuno sforzo superiore” per coprirlo, con il risultato che l’operazione chiesta da tempo dagli stessi azionisti che si ritenevano già danneggiati dalle condizioni poste con il passaggio sotto l’ala delle coop, salterà. “Se il mercato in larga maggioranza gradisce, bene. Altrimenti resteremo volentieri con la categoria di risparmio A tra le nostre azioni”, ha commentato Cimbri con un chiaro prendere o lasciare.

Le condizioni proposte dal manager, però, non sono sfavorevoli per tutti. La conversione delle risparmio B (+0,09% lunedì in Borsa) in ordinarie UnipolSai che prevede lo scambio 1 a 1 con i titoli ordinari è, secondo gli analisti di Intermonte, “fair e senza sorprese” e i titoli che sono prevalentemente di proprietà di Unipol nel giorno dell’annuncio hanno chiuso in semi parità a +0,09% mentre le azioni ordinarie della compagnia hanno perso il 2,52 per cento. Cioè niente rispetto a quanto hanno bruciato le risparmio di tipo A, rendendo il confronto delle condizioni poste ai due tipi di azionisti ancora più impietoso. Infine c’è la trasformazione in azioni ordinarie delle Unipol Gruppo Finanziario privilegiate, almeno un terzo delle quali è direttamente in mano ad alcune delle coop maggiori. L’operazione avverrà ad un prezzo “favorevole” (1 a 1) , sempre secondo Intermonte, che rileva come venerdì scorso i titoli privilegio valevano il 7,8% in meno degli ordinari. Non a caso lunedì in Borsa in scia all’annuncio le Unipol privilegio hanno guadagnato l’1,68% mentre le ordinarie hanno perso il 5,28 per cento.

Il mercato, insomma, ha già dato il suo giudizio sulle proposte di Cimbri che arriveranno alle rispettive assemblee dei soci a partire dal 26 gennaio 2015. Per allora probabilmente ci saranno anche altre novità in casa Unipol. Anche perché la controllante Finsoe ha intenzione di cambiare volto. La cassaforte, che controlla il 50,7% della holding che controlla il polo assicurativo per conto una quindicina cooperative capitanate dalla Holmo spa e da una manciata di soci finanziari con esponenti di spicco come Jp Morgan, ha, infatti, deciso di approfondire “eventuali modalità di scioglimento” della holding. L’operazione sarà effettuata però senza rinunciare al controllo di Unipol che sarà mantenuto attraverso la definizione di un patto di sindacato fra alcuni degli attuali soci della holding.

Mediaset Premium vale 819 mln: tutti i numeri della pay di Arcore

Depositata la perizia sulla newco per le tv a pagamento di casa Berlusconi: abbonati a quota 1,72 mln, utile operativo di 19 milioni nel 2014. E nei conti spuntano pure 637 milioni di crediti da Sky per il "patto" sulla Serie A. Ora via libera all'ingresso con l'11% degli spagnoli di Telefonica

MILANO - Mediaset Premium, la pay-tv di casa Berlusconi, vale 819 milioni di euro. E la nuova scatola societaria dove sono confluite tutte le attività a pagamento (escluso la pay on demand di Infinity) del Biscione chiuderà il 2014 con un utile operativo stimato dal gruppo a 19 milioni, meglio rispetto alle valutazioni di perdite a volte apocalittiche circolate sul mercato negli ultimi anni. Numeri e dettagli emergono dalla perizia redatta da Stefano Morri della Morri Cornelli & associati in vista del decollo della scatola societaria creata per aprire il capitale a Telefonica, che ha rilevato un pacchetto azionario dell'11% di Mediaset Premium. Trecento pagine tra calcoli ed allegati da cui spuntano altri particolari inediti e ufficiali sul gruppo: la nuova entità decollerà proprio oggi con 1,72 milioni di abbonati (dato al 30 settembre), una posizione finanziaria netta attiva e con crediti per 637 milioni con Sky, figli dell'armistizio e della spartizione sui diritti della serie A 2015-2018 raggiunto lo scorso giugno con la mediazione di Infront e l'ok della Lega. I documenti svelano anche i patti parasociali con Telefonica: gli spagnoli saranno obbligati a vendere la loro quota in caso di richiesta al Biscione, che avrà pure un diritto di prelazione sulla partecipazione. Ma Cologno, nel caso decidesse di aprire il capitale a nuovi partner, sarà obbligata a vendere azioni sempre in compartecipazione con la società iberica.

La relazione di Morri cristallizza in 819 milioni il valore dell'intero pacchetto in cui sono stati conferiti i diritti per la Serie A, quelli della Champions 2015-2018 e 1,9 miliardi di debiti. La forbice di valore balla da un minimo tra 733 e un massimo di 932 milioni ma precisa la relazione  è in linea con la stima effettuata da Telefonica e con i metodi di calcolo utilizzati prendendo in considerazione i multipli dei concorrenti quotati in Borsa. La fotografia dei documenti depositati riguarda solo lo stato patrimoniale del gruppo (debiti e crediti) e non la sua redditività. Su quel fronte, mette le mani avanti il perito, ci si è avvalsi solo delle stime dell'azienda. Nessun riferimento agli anni scorsi dunque (Premium non pubblica più i dati dal 2011) ma solo previsioni per il futuro: 19 milioni di utile operativo nel 2014, 33 di rosso nel 2015, 21 nel 2016 per poi decollare con 54 milioni di profitti nel 2017 e 102 nel 2018. Frutto, c'è da immaginare, di un boom di abbonamenti grazie all'esclusiva sulla Champions League.

L'elenco ragioneristico dei beni confluiti in Mediaset Premium comprende tutti i pacchetti di diritti tv del calcio, gli accordi con Fox ed Eurosport, i dipendenti (poco più di 200), un bouquet di film a luci rosse figli dell'avventura andata male negli adult movies (da "Modelli in libera uscita" a "Alle bionde piace caldo" attraverso altre produzioni con titolo molto più estremi impubblicabili in fascia protetta) e i contratti con ex calciatori e allenatori e giornalisti (spiccano Giancarlo Mughini e Andrea Scanzi) assoldati come opinionisti

Azimut crolla in Borsa dopo l'accordo da 118 mln con il Fisco

La società ha annunciato che risolverà una controversia con le Entrate per i periodi d'imposta dal 2001 al 2013. I problemi legavano il transfer pricing tra società del gruppo stesso. Il numero uno, Giuliani: "Soddisfatto, usciamo da ogni incertezza"

MILANO - Azimut sistema una partita con il Fisco ma paga il conto anche a Piazza Affari, dove il titolo crolla alla notizia del raggiungimento dell'accordo transattivo con le Entrate, in base al quale dovrà sborsare un totale di 117,8 milioni di euro tra imposte e sanzioni e interessi di legge.

L'azione Azimut sul Ftse Mib, già vittima di sospensione al ribasso, è la peggiore del listino principale con un calo che la porta in area 17,52 euro. Il gruppo in una nota diramata nel weekend ha fatto sapere di aver perfezionato un accordo con l'Agenzia delle Entrate per la definizione di ogni controversia derivante dai processi verbali di constatazione notificati fra il 2010 e il 2013.

Sulla base dell'accordo, il gruppo assume l'impegno al pagamento, tra maggiori imposte e sanzioni, di un importo complessivo pari a circa 105,9 milioni di euro (oltre agli interessi di legge per circa 11,9 milioni di euro), relativo ai periodi d'imposta dal 2001 al 2013, principalmente determinate per effetto della rivisitazione dei criteri utilizzati nella determinazione dei prezzi di trasferimento nei rapporti intercompany tra le diverse società del gruppo del risparmio gestito.

A tal proposito, si rileva come Azimut avesse comunque già accantonato, relativamente alla presente controversia, circa 34,1 milioni di euro tra imposte e oneri, ed inoltre la presenza di perdite fiscali pregresse limiterà l'esborso finanziario complessivo a circa 91,8 milioni di euro. Ciò significa, sottolineano gli analisti di Intermonte, che l'impatto a livello di conto economico dovrebbe essere di 80 milioni e il cash out di 92 milioni.

Il gruppo "ribadisce che, nonostante vi sia il convincimento della correttezza del proprio operato, ha comunque ritenuto opportuno perseguire l'ipotesi di una definizione transattiva delle controversie al fine di evitare il protrarsi dell'attuale stato di incertezza ed in considerazione dell'orientamento, assai contrastato, della giurisprudenza in merito. La definizione stragiudiziale non implica peraltro riconoscimento alcuno delle contestazioni formalizzate dall'amministrazione finanziaria nell'ambito dei rilievi oggetto di definizione". Pietro Giuliani, presidente e amministratore delegato di Azimut Holding, si è detto "soddisfatto per la conclusiva definizione della vicenda che ci permette di uscire dall'incertezza propria di ogni controversia".

Anche secondo Intermonte, l'accordo è di entità maggiore rispetto alle attese ma "chiarisce le incertezze fiscali pendenti sul gruppo" con un possibile impatto negativo sul dividendo 2014. Confermato il giudizio "neutral" con target price a 18,5 euro.

 

Editoria, Santanché mette nel carniere anche la concessionaria del Giornale

Editoria, Santanché mette nel carniere anche la concessionaria del Giornale

Media & Regime
L’intesa prevede che Arcus passi di mano dal primo gennaio a costo zero ma insieme a tutto il personale. La società interamente controllata dalla Pbf negli ultimi tre esercizi ha registrato perdite complessive per 5,7 milioni

Daniela Santanchè rafforza la sua alleanza negli affari con la famiglia Berlusconi. Questa volta nella tela della pasionaria del Pdl è caduta Arcus, la concessionaria di raccolta della pubblicità locale del Giornale di Paolo Berlusconi, fratello dell’ex cavaliere che passerà nelle sue mani dal prossimo primo gennaio. Santanché segue già le inserzioni del quotidiano a livello nazionale ma con la società sotto il suo controllo potrà dedicarsi anche a quelle sulla piazza di Milano e dintorni.

Non si tratta del primo passo della Santanchè per accreditarsi come socia del presidente Berlusconi sia in politica sia negli affari. Nelle settimane scorse ha intavolato le trattative per rilevare il 50% del mensile Focus in mano al gruppo tedesco Gruner und Jahr, che vuole sciogliere l’alleanza con la Mondadori di Marina Berlusconi. Operazione che hanno entrambe l’effetto collaterale di togliere le castagne dal fuoco agli imprenditori-amici e di rimpolpare con nuove attività la Visibilia Editore della pitonessa, prossima allo sbarco in Piazza Affari ma legata ancora ai piccoli business delle tre riviste Ciak, Pc Professionale e Villegiardini. Dunque, da sole poco attraenti per eventuali investitori.

Con il Giornale la Santanchè ha già trovato l’intesa che prevede di ottenere l’Arcus a costo zero, facendosi però carico di tutto il personale. La società interamente controllata dalla Pbf (Paolo Berlusconi Finanziaria) non naviga in buone acque come molte altre concessionarie. L’anno scorso ha registrato un fatturato totale di quasi 12 milioni di euro ma è gravata da un monte debiti complessivo di 15,5 milioni, di cui 5,3 milioni proprio verso la controllante Pbf, come si legge nella nota integrativa al bilancio 2013. Anno che ha registrato una perdita netta di a 1,9 milioni di euro che si è aggiunta a quella di 1,6 milioni del 2012 e al rosso di 2,2 milioni del 2011. Una situazione che non frena le ambizioni della deputata di Forza Italia. “Se abbiamo firmato, vuol dire che va bene a entrambe le parti”, taglia corto lei, interpellata in merito da ilfattoquotidiano.it.

C’è da dire che con Arcus la pitonessa riuscirà anche ad affiancare il suo compagno Alessandro Sallusti, che dirige Il Giornale. Inoltre riuscirà a mettere un piede in Rcs, l’editrice del Corriere della Sera che nel 2013 non le aveva venduto i suoi periodici: insieme alla raccolta del quotidiano di Paolo Berlusconi, Arcus ha anche l’incarico per il Corriere di Como, edizione provinciale del Corsera. Solo una cosa resta da vedere: se la pitonessa, una volta acquisiti Arcus, Focus e le prossime prede, avrà abbastanza forza e risorse economiche per sostenerne i conti e soprattutto i costi. Compresi quelli del personale.

 

Ligresti, omologato il concordato fallimentare per Imco. Un buco da 800 milioni

Il Tribunale di Milano ha dato il via libera all'accordo con i creditori. Ai chirografari verrà riconosciuto il 35% del valore del loro credito

MILANO - Arriva in porto dopo un percorso tortuoso e accidentato il concordato per Imco, una delle due holding (l'altra è Sinergia) attraverso la quale la famiglia Ligresti controllava Premafin e a cascata Fondiaria-Sai, il colosso del ramo Danni finito ora nelle mani di Unipol.

Il tribunale ha omologato la proposta di Visconti (assuntore) la società attraverso la quale gli azionisti (Unicredit, Ge, Bpm e UnipolSai) pagheranno nel giro massimo di 20 giorni circa 28 milioni di euro per cassa i crediti non più oggetto di contestazione: sono i cosiddetti chirografari che riceveranno circa il 35% dell’importo dovuto. Altri creditori, invece, saranno compensati con beni (titoli in pegno o immobili per circa 200 milioni).

Il dissesto della Imco ha raggiunto un passivo di circa 800 milioni di euro: una parte sarà oggetto di contestazione (circa 390 milioni e verranno rinunciati), il resto invece verrà pagato se a seguito delle controversie verranno riconosciuti. Per Visconti, il conocrdato è stato curato dagli avvocati Nardone, Sandulli, Jannaccone, Morandi e Orsenigo.

Bocciati i conti della cassaforte di Preziosi

No al bilancio dai revisori e dal collegio sindacale: la Finholding, finanziaria prima azionista di Giochi Preziosi e Genoa, ha chiuso il 2013 con nuove perdite da 49 milioni. Dubbi sul rispetto degli accordi con Unicredit e Intesa, mentre con Carige si sta trattando una proroga dei rimborsi

MILANO - Nella partita finanziaria del presidente del Genoa, Enrico Preziosi, i revisori dei conti e il collegio sindacale tirano fuori il cartellino rosso. Si potrebbe ricorrere a questa immagine calcistica per spiegare quel che è appena successo alla Finholding, la finanziaria dell'imprenditore nato nel 1948 ad Avellino che ha in portafoglio come principale attività la partecipazione di controllo della Giochi Preziosi. Fuor di metafora, il revisore dei conti Marco Colacicco ha bocciato il numeri 2013 della Finholding: a causa di "molteplici significative incertezze", l'esperto, in un documento firmato il 30 settembre scorso, si dice "non in grado di esprimere un giudizio" né sul bilancio, né "sulla coerenza della relazione sulla gestione con il bilancio di esercizio al 31 dicembre".

Giunge a una conclusione analoga anche il collegio sindacale, organo interno alla holding, che in un documento allegato ai conti 2013 della cassaforte, appena depositati al registro delle imprese, "richiamata l'attenzione dei soci sulle incertezze, sulla capacità della società di sostenere la continuità aziendale e sui rilevanti rischi di liquidità", si dice "non in grado di esprimere un giudizio relativamente al progetto di bilancio per l'esercizio così come predisposto dall'amministratore" e cioè proprio da Enrico Preziosi, che è anche presidente e socio di maggioranza della Finholding.

In effetti, i numeri del 2013 fotografano ancora un anno complesso per la finanziaria che fa capo al presidente del Genoa: la perdita di esercizio si è attestata a 49,3 milioni, rosso che va ad aggiungersi a quello di 209,1 milioni del 2012 e a quello di "appena" 18,29 milioni del 2011. L'assemblea degli azionisti di Finholding che si è riunita a Cogliate (Mb) il 7 ottobre, dopo avere preso atto delle decisioni del revisore dei conti e del collegio sindacale, ha comunque deciso di approvare il bilancio del 2013 e di coprire la perdita di esercizio utilizzando la riserva straordinaria. Sempre alla fine del 2013, la holding di Enrico Preziosi presentava un patrimonio netto pari a 47,9 milioni e un indebitamento finanziario netto di 91,9 milioni.

Proprio la posizione debitoria, prevalentemente verso Unicredit, Intesa Sanpaolo e Carige, è uno degli aspetti che fa impensierire il revisore dei conti. Colacicco, innanzi tutto, sottolinea che con le prime due banche italiane sono stati raggiunti accordi per il rientro graduale dell'esposizione attraverso la vendita di attività, soprattutto immobiliari. Mentre con l'istituto di credito genovese ora guidato da Piero Montani "sono in corso colloqui per ottenere una proroga dei finanziamenti concessi". Da ricordare che, nel 2013, al termine dell'ispezione sulla Carige dell'era di Giovanni Berneschi, la Banca d'Italia aveva espresso dubbi anche sui finanziamenti concessi a Enrico Preziosi.

Ebbene, tra le circostanze che potrebbero mettere in discussione la continuità aziendale di Finholding, il revisore Colacicco indica "il mancato rispetto dell'accordo con Unicredit" sottolineando di non avere ricevuto, al momento della redazione del documento (30 settembre), "evidenza delle modalità e delle risorse con cui Fingiochi prevede di far fronte agli impegni, anche con riferimento alla prima e rilevante scadenza prevista per il mese di ottobre 2014".

Non solo. Il revisore dei conti esprime dubbi sulla possibilità della holding di reperire risorse nel breve termine "per far fronte alle conseguenze della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia", che lo scorso maggio, accogliendo gli appelli dell'Agenzia delle entrate, ha condannato Fingiochi al pagamento di 27,5 milioni tra mancate imposte, sanzioni e interessi. Nella nota integrativa la finanziaria spiega di avere presentato ricorso in Cassazione e di avere comunque accantonato a bilancio l'intera cifra, in via prudenziale.

Ma non è ancora finita, perché il revisore dei conti richiama l'attenzione anche sul valore di iscrizione della partecipazione del 42% nella Giochi Preziosi, che per Colacicco "riflette le aspettative di valori conseguenti ai contenuti dell'accordo di ristrutturazione dei debiti ex articolo 182 bis della legge fallimentare". Secondo l'esperto di bilanci, "il mancato rispetto dell'evoluzione economico finanziaria prevista dal piano determinerebbe ulteriori svalutazioni per perdite durevoli di valore".

Da ricordare che nel bilancio del 2012 la partecipazione in Giochi Preziosi (di cui sono azionisti anche Clessidra, Unicredit, Hamilton Lane, Intesa Sanpaolo e Idea Capital) era già stata drasticamente svalutata di 155 milioni a 36 milioni. Nei conti del 2013, il valore della quota è salito a 51,87 milioni, per via dei versamenti effettuati a titolo di aumento di capitale. Finholding appare però fiduciosa sull'andamento della società di giocattoli: "Dai dati disponibili relativi al 30 giugno del 2014 (quando Giochi Preziosi chiude l'esercizio, ndr), emerge un sensibile miglioramento rispetto al piano industriale". Cosa che dovrebbe consentire "nel medio periodo di valorizzare adeguatamente l'investimento". Da tempo circolano indiscrezioni secondo cui Enrico Preziosi starebbe sondando per la vendita della società investitori cinesi (si era parlato di Ocean Gold).

La partecipazione che invece nel bilancio della Finholding non vale più nulla, come fosse carta straccia, è quella del 75% nel Genoa cricket and fotball club spa, che era già stata svalutata integralmente nel bilancio del 2012. "L'esito del processo di riequilibrio economico e finanziario" del club rossoblù, mette in guardia ancora il revisore Colacicco, "richiede una verifica puntuale e periodica, alla luce dei rilevanti impegni fidejussori a carico di Fingiochi". Le garanzie prestate a favore del Genoa dalla holding del suo presidente ammontano a 62,6 milioni e risultano persino superiori a quelle di 51,9 milioni verso Giochi Preziosi.

Insomma, il revisore dei conti tratteggia una situazione finanziaria su cui pesano molte incognite. Ciononostante, però, evidenzia sempre Colacicco, "nel 2013 sono stati corrisposti compensi al consiglio di amministrazione" di Finholding "in mancanza di previa delibera assembleare. La ratifica - aggiunge il revisore - è intervenuta il 31 luglio 2014". Il bilancio della holding dà conto di 464mila euro di compensi per gli amministratori, voce inserita tra i "costi per i servizi". Non male considerata la fase di crisi conclamata della Finholding.

 

SCORPORO FERRARI, SCORPORO FININVEST-MEDIOLANUM, SCORPORO BSKYB, SCORPORO SORGENIA-DE BENEDETTI,SCORPORO NTV, SCORPORO ENEL

 

Termini Imerese, aiuti
per 250 milioni a Grifa
E Fiat "paga" un bel cazzo di incentivi
:riceverà contributi pubblici, l'eterna cassa integrazione straordinaria ed altre misure straordinarie....gli spolpatori d'Italia che poi aprono la quotazione a Wall Street con diritto fiscale a Londra e sede legale ad Amsterdam....siete bravi!!!!

Termini Imerese, aiuti per 250 milioni a Grifa E Fiat paga incentivi

La società pronta a subentrare nello stabilimento palermitano riceverà una ricca dote. Contributi pubblici, cigs e altre "misure straordinarie"

 

Marchionne scorpora la Ferrari  ora  gli Agnelli  puntano sul Cavallino    di PAOLO GRISERI

Marchionne scorpora la Ferrari
ora gli Agnelli puntano sul Cavallino
di PAOLO GRISERI

ferrari 675

Lobby
Marchionne scorpora Ferrari e quota 10%
Fca fa cassa e gli Agnelli festeggiano

In Borsa andrà il 10%. Il resto ai soci Fca

Fininvest, la quota di Mediolanum finirà in un trust

La holding di casa Berlusconi ha deciso di trasferire il 20% circa della banca in un trust, mossa obbligata e propedeutica alla cessione a seguito della perdita dei requisiti di onorabilità dell'ex Cavaliere

MILANO - La quota di Mediolanum in mano a Fininvest, la holding di famiglia Berlusconi, finirà dentro un trust. E' la decisione del consiglio di amministrazione della finanziaria, che segue il provvedimento adottato dalla Banca d'Italia e dall'Ivass il 7 ottobre scorso che ha disposto la dismissione della partecipazione eccedente il 9,9% detenuta indirettamente in Mediolanum (segui il titolo) da Silvio Berlusconi per la perdita dei requisiti di onorabilità previsti dalla legge.

Il cda di Fininvest, come annunciato, ha anche dato mandato all'amministratore delegato Pasquale Cannatelli "di concordare con FinProg Italia Sapa di Ennio Doris & C la formalizzazione dello scioglimento anticipato e consensuale del patto di sindacato Mediolanum": si rompe dunque il legame tra Berlusconi e lo storico amico-socio, Ennio Doris.

Alla luce del provvedimento, si legge in una nota, "con il quale la Banca d'Italia ha, tra l'altro, ritenuto compatibile con la normativa applicabile l'ipotizzato trasferimento della sopracitata partecipazione in Mediolanum spa ad un trust" Finivest "ha dato mandato all'amministratore delegato di riscontrate il suddetto provvedimento e di proseguire, nel rispetto dei termini ivi previsti, le necessarie interlocuzioni con l'autorità, ferma restando la competenza del consiglio stesso per le deliberazioni che si renderanno opportune e necessarie".

Alla data del provvedimento di Bankitalia e Ivass, la Fininvest deteneva poco più del 30% di Mediolanum. Fininvest ha tre mesi di tempo dal suo ricevimento (il 9 ottobre scorso) per istituire un trust cui conferire la quota eccedente il 9,9% e successivamente altri 30 mesi per cederla a terzi.

 

 

Murdoch, super pay tv in Europa: l’inglese BSkyB compra Sky Italia e Germania

Il magnate australiano acquisisce le due reti attraverso il gruppo Fox, che controlla al 100 per cento. Un'operazione mirata a fornire al tycoon i mezzi per alzare la maxi offerta da 80 miliardi di dollari su Time Warner, per la quale ha già ricevuto un rifiuto

 

La famiglia Pesenti compra tutta Ciments Français: paga 450 ml
La famiglia Pesenti compra tutta Ciments Français: paga 450 mln
n

Archiviato guaio Sorgenia, De Benedetti
torna a giocare nei club dei milionari

Archiviato guaio Sorgenia, De Benedetti torna a giocare nei club dei milionari

In agosto l'ingegnere ha contribuito alla rinascita della boutique finanziaria torinese che gli amici Segre avevano abbandonato dopo il caso Coppola e ora rilancia a Parigi

 

 

 

 
 

 

 

Ferrari, via Montezemolo: arriva Marchionne

"Finisce epoca, lascio dopo 23 anni meravigliosi" - Fotostoria

Su Repubblica: Divorzio consensuale e maxi-liquidazione di PAOLO GRISERI

 

 

Ntv, le banche chiedono soldi a Della Valle e Montezemolo

Economia

Ntv, le banche chiedono soldi a Della Valle e Montezemolo,

quest'ultimo prossimo

 

 

Indesit non è più italiana: i Merloni  cedono il controllo a Whirlpool

Indesit non è più italiana: i Merloni
cedono il controllo a Whirlpool

Foto Le imprese che se ne vanno

 

 

Ferrari da Montezemolo a Marchionne
L'ultimo parricidio di Elkann in casa Fiat
Ferrari da Montezemolo a Marchionne L'ultimo parricidio di Elkann in casa Fiat
 

 

Concordia, inizia il dopo   fotostoria   A bordo si cerca l'ultima vittima

Concordia, inizia il dopo fotostoria

 

VERSO IL SUPER CORRIERE TARGATO AGNELLI

 

 

Unità, l'editore Guido Veneziani al Corriere della Sera: "Se dovesse uscire una foto della Pascale nuda la pubblicherei nella mia Unità, che sarà popolare". L'Unità, il quotidiano del Partito Comunista dal 1924 poi del Partito della Sinistra dal 1990,poi della Sinistra democratica dal 2000,poi del Partito Democratico dal 2007,fallito nell'agosto 2014,verrà svincolato dal PD e regalato a Veneziani....

No alla pitonessa Daniela Santanché, no al banchiere Matteo Arpe. Ma sì all’editore di gossip Guido Veneziani che sarà presto il nuovo proprietario de l’Unità. Ad anticipare la notizia è stato il Corriere della Sera che spiega come il tesoriere del Pd Francesco Bonifazi e l’editore di minoranza del quotidiano Maurizio Mian (quello che dopo aver comprato le squadre di calcio del Pisa e del Pontedera vi mise alla guida il suo cane Gunther) abbiano trovato i fondi per scongiurare la chiusura definitiva e non perdere il brand del quotidiano fondato da Antonio Gramsci. L’offerta sarà di dieci milioni di euro e verrà messa sul piatto entro il 31 ottobre da Veneziani, un nome sconosciuto all’editoria politica, ma ben conosciuto per i suoi periodici: Stop, Top e Vero. Il suo gruppo, la Guido Veneziani Editore spa, ha chiuso il 2013 con 3,9 milioni di utile netto,13,6 milioni di patrimonio e 6,3 milioni di indebitamento finanziario netto.

L’anno scorso Veneziani ha acquistato il 92% delle Grafiche Mazzucchelli, azienda di stampa roto-offset, ha firmato un nuovo accordo di distribuzione con la società Messaggerie Periodiche, ha rimborsato un prestito obbligazionario emesso a gennaio e ha costituito due nuove società: la Gv Periodici e Vero Tv in cui sono stati conferiti i rami d’azienda dei rispettivi business ovvero i periodici e la televisione digitale lanciata di recente. La Guido Veneziani spa si è dunque trasformata in una holding con funzione di direzione e controllo delle società del gruppo attraverso lo sviluppo della raccolta pubblicitaria affidata alla concessionaria GVPubblicità. Nel 2013 Veneziani si era fatto avanti anche per La7 (poi finita nella rete di Cairo) e per i periodici di Rcs.

Questa volta è stato preferito a Matteo Arpe, la cui offerta “non è stata accettata. Ufficialmente mancavano tutte le garanzie necessarie”, scrive il Corriere aggiungendo che secondo quanto “raccontano a largo del Nazareno, al Pd erano in molti a sospettare che dietro quella cordata vi fosse Massimo D’Alema”. Al di là dei presunti padrini politici, a ilfattoquotidiano.it risulta che il piano industriale (non l’offerta formale) presentato a Bonifazi da Arpe in cordata con Lettera 43 di Paolo Madron, attraverso la società News 3 prevedesse un investimento di venti milioni, dieci per chiudere in bonis il passato e dieci da destinare al rilancio del quotidiano. Tra le condizioni poste dal banchiere, la redazione di un giornale non di partito e le modalità di scelta del direttore: ovvero ciascun azionista avrebbe nominato un saggio che a sua volta avrebbe proposto un nome da inserire in una rosa di candidati. L’ultima parola sarebbe poi spettata al consiglio di amministrazione. Martedì però è arrivato il verdetto di Bonifazi che ha rigettato la proposta di Arpe. E preferito quella di Veneziani. La missione del nuovo editore sarà quella di far tornare in edicola l’Unità (su cui pesano 30 milioni di debiti e 900mila euro di spese l’anno) entro qualche mese di certo con una redazione più snella della precedente. Il prossimo passo sarà quello di individuare il direttore.

"Certo, se becchiamo la fidanzata di Berlusconi nuda la pubblichiamo". Con queste parole Guido Veneziani, editore di una decina di riviste, tra le quali il cult "Miracoli", "Vero" e "Stop", ma pure il diffusissimo catalogo Ikea, presenta la sua svolta per riportare in edicola l'Unità. Il quotidiano fondato nel 1924 da Antonio Gramsci e che ha visto il suo funerale proprio nell'anno del novantesimo compleanno, potrebbe resuscitare grazie all'offerta dell'editore calabrese di nascita ma torinese d'adozione.

Abbiamo raggiunto un fantastico accordo con il Pd. Entro la fine di ottobre faremo un’offerta per l’acquisizione dell’ Unità. Io voglio fare un giornale popolare, nell'accezione positiva del termine. Non sarà il Sun , naturalmente: per intenderci, non ci saranno le donne nude

 

Pascale esclusa ovviamente. Ma ha le idee chiaro su tutto Veneziani, che non ha intenzione di sobbarcarsi tutta la struttura del vecchio quotidiano sepolto dai debiti. Quindi rinnovamento, snellimento: cioè tagli.

Non credo che pagheremo 30 milioni di debiti, ma ci assumeremo il nostro compito in modo importante. È prematuro parlare di organico, ma sarà più snello. L'Unità ha un potenziale incredibile. Si sono messi d’impegno per ridurlo così. Oggi siamo tempestati di informazioni e l’approfondimento politico dei quotidiani lo trovo un filino noioso. L’Unità si occuperà di politica e di sociale, con un linguaggio giovane, adeguato ai tempi moderni. Anche la cronaca, non nera, avrà un grande spazio

 

Anche sulla politica italiana Veneziani è netto nelle sue idee, un passato di sinistra ma ora le categorie sono superate. Parola d'ordine: fluidità. E Renzi come leader da seguire:

Renzi mi piace moltissimo. È bello, sveglio, ha una gran dialettica ed è uno dei pochi politici che si capisce quando parla. Ho avuto trascorsi di sinistra e giravo con in tasca l’Unità , ma anche il manifesto e Cuore . Ora è diverso. Lei davvero pensa che in questo Paese ci sia ancora chi si dichiara di sinistra, di centro o di destra? Ma poi: lei pensa che Renzi sia di sinistra?

 

Largo ai giovani dunque, anche nella direzione. il nome del condottiero dell'Unità 2.0 però resta incerto:

Il nome lo decideremo insieme. A me piacerebbe uno molto giovane, dinamico, innovatore. Non un vecchio trombone della nomenclatura. I miei direttori sono tutti sotto i 35 anni

 

 

L’Unità, Bisignani: “Banca milanese rileverà quotidiano. A settembre in edicola”

L’Unità, Bisignani: “Banca milanese rileverà quotidiano. A settembre in edicola”

Netflix spaventa Mediaset e Sky. Ecco perché i progetti sulla rete vanno a rilento

La piattaforma di video on demand ha appena esordito in Francia, Germania, Austria, Svizzera, Belgio e Lussemburgo, spiazzando il mercato televisivo tradizionale. Nel nostro Paese il ritardo nello sviluppo della banda ultralarga blocca per ora l'ingresso della tv via web, tenendo al riparo il Biscione e la Rai. Ma è questione di tempo. E l'unica via d'uscita sarà la convergenza con le telecomunicazioni

Netflix spaventa Mediaset e Sky. Ecco perché i progetti sulla rete vanno a rilento

Per fortuna in Italia non c’è la fibra ottica in ogni angolo del Paese. Perché altrimenti Mediaset e Sky dovrebbero vedersela direttamente con Netflix, la più grande piattaforma di video on demand del mondo. L’arrivo nel nostro Paese del gigante californiano, che negli Stati Uniti ha cambiato il volto del piccolo schermo e ha inasprito il dibattito sulla neutralità della rete, è per ora rinviato al 2016. Intanto però il colosso che distribuisce circa 100mila titoli a 30 milioni di persone nel mondo con prezzi stracciati (7-10 dollari al mese) ha appena esordito in Francia, Germania, Austria, Svizzera, Belgio e Lussemburgo. Una vera offensiva per il mercato televisivo del Vecchio Continente che spaventa Vivendi, recentemente salita alla ribalta come futuro socio di Telecom e alleato di Mediaset. Ma preoccupa anche altri grossi operatori di pay-tv come la spagnola Digital+, dal cui capitale è recentemente uscita la famiglia Berlusconi o emittenti di primissimo livello come la Bbc, che pure negli ultimi anni ha sviluppato una innovativa e redditizia strategia via web. I gruppi che sono presenti sul mercato italiano, Rai inclusa, sono per ora al riparo. Il ritardo nello sviluppo della banda ultralarga blocca di fatto l’ingresso della tv via web.

“Solo il 55% delle abitazioni nazionali dispone di collegamenti teoricamente adeguati a supportare il carico necessario per fruire di Netflix”, spiega un recente studio della Lombardia Film commission, fondazione non profit di cui sono soci la Regione Lombardia, Comune di Milano, Fondazione Cariplo e Unioncamere Lombardia. “La media europea, in base alle rilevazioni Eurostat, è del 72%. Non a caso le uniche timidissime trattative in corso riguardano ipotesi di partnership con i fornitori di connettività come Telecom Italia, Fastweb, Infostrada e Vodafone (…). La prolungata pausa di riflessione sul fronte Netflix potrebbe favorire il consolidamento delle neonate iniziative di servizi di video on demand locali a partire da Mediaset Infinity (…). Guadagnare tempo dovrebbe aiutare anche Sky online (…) e forse darà una mano anche alle piattaforme tricolori minori come Cubovision di Telecom Italia e servizi à la carte come Chili tv”. Ma che cosa accadrà quando i tempi saranno maturi? E quale sarà l’effetto sul mercato di nuovi operatori come Netflix o Apple, che pure inizia a contrastare l’avanzata californiana?

“Semplice: il mondo dei media cambierà completamente”, spiega a ilfattoquotidiano.it Francesco Sacco, docente dell’Università Bocconi specializzato in management e tecnologia. “Ci sarà una metamorfosi legata all’ampliamento dell’offerta di contenuti che però avrà un impatto diretto contenuto sul mercato italiano per via dell’abitudine al doppiaggio. Ma soprattutto ci saranno almeno tre fattori importanti che incideranno sulle strategie industriali del comparto. Innanzitutto, già da oggi è possibile immaginare che Netflix possa fare la parte del leone negli appalti per le esclusive dei diritti tv per via delle considerevoli economie di scala date dalla dimensione del gruppo. Questo fenomeno porterà ineluttabilmente a un incremento dei costi per le licenze. In secondo luogo, ci sarà una maggiore concorrenzialità nella conquista del viewing time (il tempo che ogni utente ha a disposizione per web e tv, ndr) con un progressivo spostamento dalla tv generalista verso Internet. Infine, grazie all’uso della rete, si svilupperà nel settore dei media una competenza di marketing basata su dati certi sul gradimento degli spettatori. Numeri che saranno utilizzati per decidere l’orientamento degli investimenti per le future produzioni”.

Del resto, già oggi Netflix padroneggia perfettamente l’uso dei dati statistici raccolti via web come leva di marketing grazie alla sperimentazione negli Stati Uniti, dove la società, dopo aver analizzato i numeri sulle preferenze dei propri clienti, ha lanciato serie televisive di successo come House of cards, trasmessa in Italia da Sky. “Questa conoscenza dettagliata del mercato dà una marcia in più a chi lavora in rete perché consente di massimizzare gli investimenti in funzione dei prodotti più gettonati”, conclude il professore. “Oggi i gruppi media si basano, infatti, su calcoli probabilistici, domani invece ci saranno dati sicuri. Con Netflix e più in generale con lo sviluppo della tv via web i gruppi media che avranno sviluppato per tempo le adeguate competenze si troveranno in mano tutti gli elementi per scegliere le produzioni a più elevata redditività”.

Insomma, per le tv generaliste si prospettano tempi duri. E l’unica via d’uscita per creare valore in futuro è nella convergenza con le telecomunicazioni. Ecco perché in Italia il risiko su media e telecom è ripartito, in estate, a grande velocità, con Telecom Italia in odore di intesa con Netflix e Mediaset che vorrebbe far parte della partita. Magari con il supporto del futuro socio del gruppo delle telecomunicazioni, Vivendi, che in patria ha assistito inerme all’alleanza fra Netflix e la compagnia telefonica Bouygues. Secondo Il Sole 24 Ore dell’11 settembre scorso, la partita italiana per assicurarsi nuove opportunità di crescita passerà per la costituzione di una nuova società, una newco, con Telecom Italia e Mediaset Premium come protagonisti. Il dossier non pare sia stato discusso a livello di management del gruppo di telecomunicazioni, ma l’ipotesi è stata affrontata dal potenziale nuovo azionista Vivendi, da Telefonica (socia della pay tv Mediaset, oltre che di Telecom) e dal gruppo di Cologno Monzese. Sin d’ora però è evidente che una simile opzione sarebbe più facilmente percorribile rispetto ad una fusione Telecom-Mediaset e potrebbe comunque rappresentare uno step intermedio in attesa di sapere come il governo intende muoversi sul tema della digitalizzazione del Paese. Di sicuro è la chiave di volta per il Biscione che non naviga certo in acque tranquille.

 

SCANDALO MPS, TANGENTI ENI-NIGERIA,  COMPRAVENDITA SENATORI, SCANDALO MINETTI, SCANDALO SCAJOLA, CROLLO SISAL, CROLLO IDEAL STANDARD, PIRELLI IN CRISI

 

Meridiana, 1.600 persone in mobilità "Passo obbligato sebbene doloroso"

 

 

Giustizia, il magistrato sbaglia? Lo Stato è obbligato a rivalersi se la negligenza è grave

 

Ferri, parla l’ex pugile. “Emilio disse: io Silvio lo tengo per le palle”

 

Nicole Minetti denunciata:  "In Thailandia senza pagare"

IL CASO

Nicole Minetti LA POMPINARA denunciata:
"In Thailandia senza pagare"

 

 

 

 

Compravendita senatori, parla Prodi "Se ne parlava ogni giorno"

Compravendita senatori, parla Prodi
"Se ne parlava ogni giorno"

"Ma non fui mai informato di fatti specifici"
L'ex premier al processo Lavitola-Berlusconi

 

Bancarotta, Denis Verdini a giudizio
per il Credito cooperativo fiorentino

 
Il coordinatore azzurro dal tavolo per le riforme al banco degli imputati. È la decisione del gup di Firenze Fabio Frangini. A processo anche il parlamentare di Fi Massimo Parisi

 

 

 

Expo, indagato Maroni. I pm: "Fece pressioni per far assumere due conoscenti"

 

 

L’Unità, sedici pagine bianche nel penultimo numero in edicola

 

 

FonSai, rinviati a giudizio Ligresti e l’ex presidente della vigilanza, Giannini

 

 

Sisal non va in Borsa: 'Mercati avversi'
Ma la quotazione era già critica

 

Sisal non va in Borsa: 'Mercati avversi' Ma la quotazione era già critica
 
Gli alti debiti, un conto economico da anni in rosso e i contenziosi fiscali e penali che interessano la società, proprietaria degli ippodromi come San Siro per esempio, e il suo ad Petrone non hanno agevolato lo sbarco in Piazza Affari del gruppo

 

 

 

Pirelli, in cda entra il russo Sechin 
E' nella lista nera Usa per la crisi ucraina

 

Pirelli, in cda entra il russo Sechin  E' nella lista nera Usa per la crisi ucraina
 
Il presidente di Rosneft, che ha acquisito il controllo del 13% del gruppo presieduto da Marco Tronchetti Provera, è tra i destinatari delle sanzioni di Washington

 

Alitalia-Etihad, sindacati in rivolta "No a trattativa al buio sugli esuberi"
 
I rappresentanti dei lavoratori non sono disposti ad accettare 2.251 uscite senza conoscere il piano. Ma l'azienda guidata da Del Torchio ha il coltello dalla parte del manico

Ideal Standard verso chiusura in Friuli
450 lavoratori rischiano licenziamento

 

Ideal Standard verso chiusura in Friuli 450 lavoratori rischiano licenziamento
 
E' saltato l'accordo tra il colosso dei sanitari e delle rubinetterie di proprietà del fondo statunitense Bain Capital e Bpi Italia. La prossima settimana riunione al ministero dello Sviluppo

Berlusconi esplode contro i giudici
"Sono incontrollabili e irresponsabili"
 
E per l'ex premier al via l'appello Ruby:IN PRIMO GRADO CONDANNATO A SETTE ANNI DI CARCERE PER CONCUSSIONE E PROSTITUZIONE MINORILE

 
L'ex premier depone nel processo a Lavitola per tentata estorsione a Impregilo. Prostituzione minorile: venerdì via al secondo grado. Coppi al posto di Ghedini (di G. Trinchella)

 

 

 

 

Marchionne il Medioevo che avanza: "Scioperare? Irrazionale nell'epoca della CORVEE del Terzo millennio,non hanno capito che e' finito tutto e che con la robotizzazione posso fare a meno di tutta questa merda umana??"
E cancella 500 trasferimenti in Maserati

 
Marchionne: "Scioperare? Irrazionale" E cancella 500 trasferimenti in Maserati
 
L'ad di Fiat Chrysler scrive ai dipendenti criticando l'astensione dal lavoro di 209 operai a Grugliasco.  E il Lingotto sospende i trasferimenti da Mirafiori e gli straordinari in tutti gli impianti italiani

Fininvest va in rosso per 428 milioni
Sui conti pesa il Lodo Mondadori

Fininvest va in rosso per 428 milioni Sui conti pesa il Lodo Mondadori
 
La holding della famiglia Berlusconi, a cui fanno capo Mediaset, Mediolanum, il Milan e Mondadori, aggrava le perdite. Niente dividendi per l'ex Cavaliere e i cinque figli. Pier Silvio rientra nel cda

 

De Benedetti perde 270 milioni. Contiene danni grazie a Fininvest

 

Termini Imerese, nuovi pretendenti
In "palio" 750 milioni di aiuti pubblici

Termini Imerese, nuovi pretendenti In "palio" 750 milioni di aiuti pubblici
 
Spuntano offerte per lo stabilimento siciliano Fiat: chi promette auto ibride, chi carburanti "eco". I fondi che lo Stato è pronto a stanziare sono stati, in passato, la causa di interessamenti bluff

 

ESTERI E GUERRA

LA VARIABILE COMUNITARISTA ITALIANA:IL MARXISMO DI COSTANZO PREVE

Foto inedita del cadavere del Che ritrovata in una scatola di sigari

LA FOTOGRAFIA

Foto inedita del cadavere del Che ritrovata in una scatola di sigari

 

DONNE CORAGGIOSE

 

Iran, Reyhaneh è stata impiccata foto

Uccise l'uomo che voleva stuprarla
Anche il Papa aveva chiesto clemenza

Brittany non vuole più morire  "Non è ancora il momento giusto"

Brittany non vuole più morire
"Non è ancora il momento giusto"

Siria, donna curda si fa saltare contro Is a Kobane

Prima assoluta nella guerra della minoranza curda in Siria agli jihadisti sunniti dello Stato Islamico. Una giovane donna che sui social media viene identificata come Arin Mirkan, madre di due figli, si è fatta saltare in aria accanto ad una postazione dei miliziani di Is a est di Kobane, la città curda siriana al confine con la Turchia, uccidendo diversi jihadisti che da giorni cingono d'assedio l'enclave. La ragazza, terminate le munizioni, ha sacrificato la sua vita per non finire ostaggio dei miliziani dell'Is.

Siria, donna curda si fa saltare contro Is a Kobane


A dare la notizia è stato Rami Abdel Rahman, direttore dell'Osservatorio siriano per i diritti umani, secondo il quale "l'azione ha causato morti ma non ci sono ancora conferme sul numero esatto". Rahman ha aggiunto che è il primo caso di cui si ha notizia di una combattente donna curda che si fa saltare in aria in un attentato suicida contro l'Is: una tecnica impiegata invece frequentemente dalle diverse sigle della galassia terroristica islamica, inclusa al Qaeda. Il 3 ottobre, sempre nelle vicinanze di Kobane, una 19enne curda del gruppo Ypg, Ceylan Ozalp, si era invece uccisa pur di non finire prigioniera dell'Is quando aveva esaurito le munizioni.

 

Grecia, presidenziali anticipate
Borsa crolla e trascina i listini Ue
(*)

Atene - 12,8%, il peggior flop da 27 anni
Samaras candida Dimas, ma rischia il caos
La sinistra di Tsipras in testa a tutti sondaggi

Piazza Affari chiude a 2,8%. Male i bancari

A preoccupare i mercati, più che il rinnovamento nella poltrona di capo dello Stato, è il possibile segnale politico che potrebbe arrivare dal voto. La sconfitta del candidato designato da Samaras, l'ex commissario Ue Stavros Dimas, porterebbe a indire nuove elezioni politiche, con possibile successo della sinistra di Syriza, che gli ultimi sondaggi danno in forte ascesa.

Il premier può contare su una maggioranza di 155 voti, insufficienti per far passare il proprio candidato per sostituire l'attuale presidente. Servono 180 voti e sembra difficile che Samaras possa arrivarci. Il primo scrutinio per eleggere il nuovo presidente è il 17 dicembre, il secondo e terzo eventuali il 23 e 29 dicembre. Se non si riuscirà a eleggere un nuovo presidente Samaras sarà costretto ad andare a elezioni anticipate per rinnovare il parlamento ed i mercati sono spaventati all'idea di una vittoria di tsipras.

Il leader di Syriza, nei giorni scorsi aveva rassicurato mercati sulla volontà di restare all'interno dell'euro. In ogni caso però, l'intenzione di Tsipras sareebbe quella di promuovere una conferenza europea per la ristrutturazione del debito. Scenario, questo, che spaventa gli investitori.

 

 

Cristoforetti pronta a volare nello spazio  Domani alle 22 il decollo   foto     video         Foto  L'album privato di Samantha

Cristoforetti pronta a volare nello spazio
Domani alle 22 il decollo
foto video
Foto L'album privato di Samantha
 

Renzi: "Prima donna italiana, tutti orgogliosi"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Crisi russa, Unicredit presta 390 milioni al gigante del gas di Putin, Gazprom

Crisi russa, Unicredit presta 390 milioni al gigante del gas di Putin, Gazprom

 

L’accordo, secondo l'azionista di maggioranza del naufragato consorzio South Stream, è "di grande importanza storica" anche per "l'ampliamento della cooperazione di Gazprom con i circoli finanziari dell’Italia e dell’intera Europa"

Giovedì a Vienna il gigante russo del gas Gazprom ha siglato un accordo con UniCredit per un finanziamento da 390 milioni di euro. Lo ha fatto sapere la stessa società energetica pubblica in una nota. L’accordo è secondo Gazprom “di grande importanza storica” anche per “l’ampliamento della cooperazione di Gazprom con i circoli finanziari dell’Italia e dell’intera Europa”. Nessun accenno, invece, al nodo delle sanzioni. La notizia, per altro, è arrivata a poco meno di una settimana dallo stop alla costruzione del gasdotto South Stream annunciato a sorpresa dal presidente russo Vladimir Putin. L’infrastruttura avrebbe dovuto collegare direttamente Russia ed Europa bypassando l’Ucraina e attraversando il Mar Nero, la Bulgaria, la Serbia, l’Ungheria e l’Austria e avrebbe visto tra il resto la partecipazione del gruppo Eni che, oltre ad essere socio del consorzio dietro alla stessa Gazprom, attraverso la sua controllata Saipem, si era aggiudicato la commessa da 2,4 miliardi per la costruzione della prima tratta.

Intanto il gruppo russo ha annunciato la costruzione di un nuovo gasdotto in Turchia, con una capacità di 63 miliardi di metri cubi, di cui 14 miliardi per sostituire il transito attraverso l’Ucraina. L’infrastruttura, ha fatto sapere nei giorni scorsi il numero uno di Gazprom Alexei Miller, permetterebbe di trasportare circa 50 miliardi di metri cubi al confine con la Grecia. Il punto di partenza sarà la stazione Russkaya, già prevista per il South Stream mentre per gestire l’intera operazione Gazprom creerà per un nuovo organismo giuridico in Russia.

Il presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker, tuttavia, è ancora possibilista sulla realizzazione del South Stream. “Puó essere costruito”, ha detto giovedì al termine dell’incontro col premier della Bulgaria, Boyko Borisov, uno dei Paesi che maggiormente rischia danni per lo stop russo legato a doppio filo con la crisi ucraina e le sanzioni comminate alla Russia. “Le condizioni – ha proseguito il presidente della Commissione Ue – ci sono da tempo, la palla è nel campo della Russia, gli ostacoli che ci sono non sono insormontabili”. Da parte sua il premier bulgaro ha detto: “Possiamo andare avanti con i lavori preparatori, la Commissione ha detto che non ci lascia soli”.

 

 

shale 675

Petrolio, calo dei prezzi
mette a rischio i gruppi
dello “shale oil” Usa

Gas serra, da Usa e Cina impegno  a ridurre le emissioni entro 2030

Gas serra, da Usa e Cina impegno
a ridurre le emissioni entro 2030

Sì di Pechino, è la prima volta - foto

 

 

 

 

 

Israele, rissa tra giocatori e tifosi: sospeso il derby Maccabi-Hapoel

Incredibile episodio a Tel Aviv, dove il derby più sentito è stato teatro di violenti incidenti che hanno costretto l'arbitro a decretare la fina anticipata. Dodici arresti, duri commenti del mondo politico a cominciare dal ministro della giustizia Tizpi Livni

TEL AVIV - Dodici arresti, due invasioni di campo, botte sui giocatori e partita sospesa. E' il bilancio del derby più sentito di Tel Aviv tra l'Hapoel e il Maccabi, sospeso poco prima della fine del primo tempo. Tutto è cominciato intorno alla mezz'ora, quando un tifoso - i media sostengono fosse dell'Hapoel - è entrato in campo ed ha attaccato il giocatore Eran Zahavi del Maccabi. Questi si è difeso, rispondendo con un calcio al tifoso ma l'arbitro lo ha espulso per doppia ammonizione.
 


La decisione ha peggiorato le cose, perché Zahavi ha rifiutato di lasciare il campo e il general manager del Maccabi Jordi Kruyff ha minacciato il ritiro dei propri giocatori. Il match è ripreso solo per pochi minuti, il tempo di vedere altri tifosi invadere il campo e attaccare giocatori e guardie di sicurezza."Ho suggerito all'arbitro - ha detto Eyal Berkowitz, manager sportivo dell'Hapoel - di sospendere la partita. Non è più sport, ma atmosfera di guerra". Sull'esito della partita sono arrivati duri commenti da parte dei politici a cominciare dal ministro della giustizia Tizpi Livni.

Il clima a Tel Aviv resta tesissimo. Secondo il quotidiano on line 'Ynet' il giudice ha ritenuto l'aggressione a Zehavi un atto di "sfrenata violenza" definendo il tifoso un pericolo: per l'aggressore è stato deciso di prolungare di tre giorni la carcerazione preventiva. Intanto un gruppo di tifosi si è dato appuntamento davanti al tribunale dove verranno decise le sorti degli arrestati.

Per paura di ritorsioni il giocatore vittima dell'aggressione e la sua famiglia sono stati posti sotto scorta. Nel clima rovente che si respira in città si aggiunge la notizia di minacce che sarebbero arrivare al capitano dell'Hapoel, Shay Abutbul da parte dei tifosi del Maccabi.

 

Allarme Nato: "26 caccia russi intercettati nei cieli Ue. Rischi per voli civili". Enav: "Non in Italia"

BRUXELLES - La Nato lancia un'allerta: negli ultimi due giorni è stato rilevato un "insolito" aumento di attività di aerei militari russi sul Mar Nero, Mar Baltico e Mare del Nord. Lo riferisce il portavoce dell'Alleanza, Jay Janzen, aggiungendo che le manovre nello spazio aereo internazionale sono state condotte da quattro gruppi composti da bombardieri strategici Tu-95 Bear H, caccia MiG-31 e altri tipi di aerei da guerra russi. In risposta a questa attività, fa sapere la Nato, sono intervenuti caccia partiti da Norvegia, Regno Unito, Portogallo, Germania e Turchia. Sono intervenuti inoltre jet della Danimarca e aerei di Finlandia e Svezia, che non sono membri della Nato.

In tutto i voli militari russi intercettati sarebbero 26. Non sono stati registrati incidenti ma si tratta di attività aeree di proporzioni "inusuali", spiega la Nato, aggiungendo che ancora a metà pomeriggio di oggi stava tracciando alcuni velivoli russi. Secondo l'Alleanza "rappresentano un rischio per l'aviazione civile, perché non hanno piani di volo o non usano trasponder, quindi il controllo aereo civile non può vederli né assicurare che non interferiscano con i voli civili". Le manovre degli aerei russi "sono attività che non interessano lo spazio aereo italiano" rende noto l'Enav, aggiungendo che "non c'è un'allerta" in Italia. 

Il portavoce del comando operativo delle forze armate della Norvegia, Brynjar Stordal, spiega che gli F-16 norvegesi hanno interettato una formazione di bombardieri Bear e aerei cisterne a ovest della Norvegia. I tanker si sono poi diretti verso nord, mentre i bombardieri hanno continuato a volare in direzione sud verso lo spazio aereo internazionale che si trova a ovest di Spagna e Portogallo. "Abbiamo diversi di questi incidenti, circa 40 all'anno", ha detto Stordal, aggiungendo che "ciò che distingue questa da alcune altre missioni già viste da parte russa è che la formazione era un po' più grande di quella che vediamo di solito e che sono andati un po' più a sud di quanto fanno solitamente".

All'avvicinarsi degli F-16 portoghesi di otto apparecchi russi in formazione sull'Atlantico, sei hanno invertito la rotta ma altri due, bombardieri Tu-95, hanno continuato verso la Gran Bretagna dove sono stati presi in consegna dai caccia della Raf prima e norvegesi poi. Gli aerei russi - in silenzio radio - non hanno sottoposto alla Nato alcun piano di volo né hanno preso contatto con le autorità civili, il che rappresenta "un rischio potenziale per i voli civili".

Le tensioni fra la Nato e la Russia sono aumentate da quando Mosca a marzo ha annesso al suo territorio la penisola di Crimea, fino a quel momento parte dell'Ucraina. L'aviazione militare britannica ha intercettato un aereo privato civile, probabilmente lettone, e l'ha fatto atterrare all'aeroporto di Stansted dopo che aveva interrotto o perso le comunicazioni con la torre di controllo.

Secondo la Nato, quest'anno i piloti dell'Alleanza hanno intercettato velivoli russi oltre 100 volte, cioè circa tre volte in più del 2013.

 

Mosca-Pechino in 48 ore. Con il supertreno

di Nicola Lombardozzi

La nuova Transiberiana avvicinerà la Russia e la sua capitale alla Cina. Una spesa da 200 miliardi. Stretta dalle sanzioni, Mosca guarda sempre più spesso verso Est...

Si può velocizzare un mito, renderlo più moderno, magari più comodo, senza ucciderne l'alone romantico che lo ha animato per quasi cento anni? La Russia ci prova con un progetto ardito e anche maledettamente costoso: realizzare una linea di Alta Velocità a fianco delle rotaie della vecchia Transiberiana, sacre a generazioni di appassionati di grandi viaggi intorno al mondo. Medesimi panorami, affascinanti e selvaggi, ma visti di sfuggita attraverso i finestrini sfrecciando a più di trecento all'ora.

Il viaggio infinito (7000 chilometri e sei fusi orari) da Mosca a Pechino che adesso dura almeno sei giorni di dondolii, sobbalzi e nascite inaspettate di nuove amicizie tra compagni di scompartimento, si ridurrebbe a due giorni scarsi vissuti in asettici vagoni ultramoderni e cambiando così per molti il senso e lo spirito di quella che è sempre stata considerata un'avventura in piena regola. Non tutti a Mosca sono convinti che sia un affare investire la cifra, finora prevista, di 200 miliardi di euro per una simile operazione, ma il primo accordo con le ferrovie cinesi è già stato firmato l'altro giorno e la progettazione della nuova tratta potrebbe essere pronta già per la fine di quest'anno. A mettere fretta al governo russo c'è soprattutto la corsa ad orientare sempre più verso Est i propri interessi economici in questi mesi di sanzioni, controsanzioni e tensioni continue con l'Europa. E anche valutazioni di pura convenienza.

I cinesi come è noto sono maestri nel campo dell'Alta Velocità. Non a caso possiedono la rete più estesa del mondo e vantano la tratta, finora più lunga, la Canton-Pechino di 2298 chilometri. Ma soprattutto possono garantire costi irrisori rispetto ad ogni altra nazione. Se la media del resto del mondo è di circa 26 milioni di euro per un chilometro di ferrovia ad Alta Velocità, le aziende cinesi sono in grado di realizzare la stessa distanza con "appena" 13 milioni. Per questo la Russia ha accettato di realizzare la "Transiberiana veloce" insieme ai cinesi, accettando condizioni che fino a qualche anno fa sarebbero state impensabili visto il gelo tra i due Paesi: sul territorio russo arriveranno macchinari cinesi, ingegneri cinesi e anche operai specializzati cinesi. Il governo di Pechino sarà pagato soprattutto direttamente in natura con gas naturale e petrolio.

In effetti da tempo i grandi progetti ferroviari russi languono per eccesso di costi e per difficoltà tecniche. I treni veloci (ma non velocissimi, poco più di duecentocinquanta all'ora), i cosiddetti Sapsan (falco pellegrino) collegano Mosca solo a San Pietroburgo a nord e Niznij Novgorod a sud. Ma corrono sulle rotaie tradizionali senza nemmeno sfruttare tutte le loro potenzialità. L'inizio di una nuova Transiberiana porterebbe come prima tappa al collegamento veloce della capitale con la città tartara di Kazan, capoluogo di oligarchi e industrie pesanti. La seconda tappa renderebbe veloce il tragitto anche per Ekaterinenburg, altra città emergente per commerci e attività manifatturiere. Le tappe successive interessano meno a Mosca che infatti per bocca dei suoi dirigenti si esprime con vaghezza sui tempi e le scadenze dell'opera. «Non basteranno dieci anni - dice il presidente delle ferrovie russe - e c'è poi da valutare bene quanti passeggeri la utilizzerebbero». Del resto le migliaia di turisti che sognano il viaggio lento e romantico continuerebbero a preferire la tratta tradizionale, quella voluta dagli zar, che ignorava Pechino e tirava dritto fino a Vladivostok. Ferrovia percorsa da eroi letterari, nobili esiliati e anche da migliaia di deportati nell'orrore dei lager sovietici dell'Estremo Oriente russo. Per percorrerla tutta ci vogliono sette giorni, attraversando pianure deserte, gole spaventose, e le coste straordinarie del lago Bajkal. Difficile che il treno superveloce cinese possa battere la potenza di un fascino immortale.

“Putin testa di cazzo”: 130 tifosi bielorussi e ucraini arrestati dalle autorità di Minsk

Durante il match per le qualificazioni a Euro 2016, la solidarietà tra supporters delle due nazioni contro la Russia non è andata giù a Lukashenko: per tutti l'accusa è di turpiloquio in luogo pubblico

Una reciproca dimostrazione di solidarietà della tifoseria ucraina e bielorussa che non è andata giù alle autorità di Minsk. Per aver intonato un coro anti-Putin durante una partita circa 130 tifosi sono stati arrestati dal Kgb bielorusso (video). Nel Paese dell’ultimo dittatore dell’Europa, Aleksandr Lukashenko, che insieme alla Russia e al Kazakistan farà parte dal 1 gennaio del 2015 della fantomatica Unione economica eurasiatica, il nome del titolare del Cremlino non può essere biasimato, anche se, soprattutto dopo l’annessione della Crimea e il conflitto nell’Est, i rapporti fra i due leader non sono proprio rose e fiori.

L’incidente è avvenuto lo scorso 9 ottobre, durante la partita di qualificazione ad Euro 2016 giocata nello stadio di Borisov, in Bielorussia. L’incontro tra le due nazionali (Ucraina ha vinto 2 a 0) non è stato segnato da nessun scontro tra gli ultras, anzi gli ucrani in trasferta sono stati accolti dai bielorussi col canto “Gloria all’Ucraina! Gloria agli eroi!” che aveva risuonato a Kiev durante le proteste di Maidan iniziate quasi un anno fa. Gli ucraini allora hanno risposto con il canto “Zhive Belarus’”, ossia “Lunga vita alla Bielorussia”. Dopo di che insieme hanno intonato un altro canto popolare di Maidan, “Putin hujlo“, tradotto “Putin testa di c..“.

Dopo le proteste di Kiev e il cambio di governo in Ucraina, Lukasnehko aveva promesso che in Bielorussia “non ci sarà nessun Maidan”. Il presidente bielorusso, rieletto per la quarta volta nel 2010, è noto per aver represso qualsiasi manifestazione di opposizione nel suo Paese. Non stupisce quindi quello che è seguito ai cori dei tifosi dal chiaro sfondo politico. Il canto che si sente benissimo sui tanti video amatoriali diffusi in rete ha infastidito tantissimo le forze dell’ordine bielorusse, che però non hanno fatto niente fino alla fine della partita. Solo all’uscita dallo stadio gli agenti del Kgb bielorusso hanno arrestato circa una centinaia di tifosi ucraini e una trentina di quelli bielorussi. Con l’accusa di torpiloquio in luogo pubblico, il tribunale bielorusso ha inflitto il 10 ottobre a otto ucraini una detenzione da 5 a 10 giorni, mentre altri quattro tifosi sono stati multati per un import tra 90 e 140 dollari. Quello che prometteva di sfociare in un incidente diplomatico evidentemente è stato risolto al vertice tra i due Paesi. Il presidente ucraino Poroshenko ha seguito personalmente la vicenda e l’11 ottobre il portavoce del ministero degli Esteri ucraino ha fatto sapere che tutti i tifosi, compresi quelli condannati all’arresto, sono stati rilasciati e sono tornati in patria.

Foto  L'assalto dei migranti   al "muro"  che divide l'Africa dall'Europa    video

     

 

 

Serbia-Albania, Uefa apre inchiesta Il laziale Cana: "Serbi ci hanno aggredito"

Serbia-Albania, Uefa apre inchiesta
Il laziale Cana: "Serbi ci hanno aggredito"

Drone in campo: rissa e match sospeso vd - foto
Video A Tirana giocatori accolti come eroi
Video Gli incidenti ripresi dagli spalti
 

Belgrado, fermato fratello del premier albanese
Foto In campo anche 'Ivan il Terribile' (Italia-Serbia) 

 

Al 41esimo del primo tempo scoppia il finimondo allo stadio del Partizan di Belgrado, dove si stava disputando il match valevole per la qualificazione a Euro 2016. Fonti serbe parlano dell'arresto del fratello del premier albanese, autore del gesto. Da Tirana - dove la gente è scesa in strada per protestare - smentiscono. E nelle fasi concitate degli scontri si rivede Ivan Bogdanov

Ferite ancora aperte. Una guerra, quella per il Kosovo, conclusasi appena quindici anni fa. Troppo poco evidentemente per mettere di fronte su un campo da calcio Serbia e Albania. Non ci aveva pensato l’Uefa quando ha formato i gironi di qualificazione per Euro 2016. Entrambe sono finite nel Gruppo I e martedì sera si sono ritrovate l’una di fronte all’altra al Partizan Stadium di Belgrado. Ed è successo il finimondo, che con il passare delle ore assume dimensioni e contorni allarmanti, con gente in strada a Tirana e il rischio d’innescare una crisi diplomatica tra i due Stati. Perché quando al 41esimo del primo sull’impianto ha iniziato ad aggirarsi un drone che trasportava la bandiera della Grande Albania, accompagnata dai volti di Isa Boletini e Ismail Qemali, padri della patria, è scoppiato il putiferio (video). E a farlo alzare in volo sarebbe stato Olsi Rama, fratello del premier albanese Edi.Questo almeno riferiscono fonti serbe, secondo le quali Rama sarebbe stato arrestato. Una versione smentita dal ministro dell’Interno albanese. Intanto però il gesto aveva scatenato la rabbia dello stadio. Fumogeni e urla da parte dei tifosi serbi, gli unici presenti sugli spalti perché l’Uefa ha negato la vendita dei tagliandi agli albanesi che allo stadio ci sono arrivati lo stesso (video). Con il drone e, sembrerebbe, per mano di Rama. L’arbitro inglese Martin Atkinson ha interrotto la partita per un attimo sperando di calmare gli animi e sperando che il drone si allontanasse. Ma la bandiera albanese si è avvicinata al terreno di gioco ed è finita tra le mani del serbo Stefan Mitrovic che l’ha strappata dal drone. Un attimo, una scintilla e le rivalità etniche sono improvvisamente tornate a galla perché gli albanesi considerano il Kosovo, oggi indipendente ma sempre a maggioranza albanese, una costola del proprio Paese.I giocatori hanno dato il là a una maxi- rissa proseguita a lungo sul campo da gioco, mentre dagli spalti pioveva di tutto all’indirizzo degli albanesi, aggrediti anche fisicamente da alcuni tifosi serbi che hanno invaso il terreno di gioco. Il giocatore della Lazio Lorik Cana ha reagito prendendo a pugni l’ultrà che aveva tentato d’atterrarlo, mentre alcuni suoi compagni hanno recuperato la bandiera prima di fuggire negli spogliatoi provando di schivare gli oggetti scagliati dagli spalti. L’Albania non ha più fatto ritorno in campo, nonostante Atkinson abbia tentato di far riprendere il match: una trattativa a cui ha recitato la sua parte anche Ivan Bogdanov, l’ultras serbo che nel 2010 riuscì a far interrompere la partita tra Italia e Serbia al Ferraris di Genova. In particolare, Ivan Il Terribile è entrato in campo e ha incitato la folla.

Ma la situazione ambientale ha indotto il direttore di gara a chiuderla lì. Una figuraccia per l’Uefa, che per questioni legate alla geopolitica ha evitato d’inserire negli stessi gironi Gibilterra e Spagna, oltre ad Azerbaijan e Armenia, ma non ha ravvisato pericoli nel confronto tra due popoli che fino al 1999 si sono scontrati per la provincia autonoma del Kosovo. Prima la lotta degli indipendentisti dell’UCK, poi la seconda forte repressione di Slobodan Milosevic con l’esodo dei kosovari verso il confine albanese e infine l’intervento Nato. E infatti le reazioni politiche non si sono fatte attendere. Il premier albanese Edi Rama, atteso il 22 ottobre a Belgrado, ha subito fatto sentire la propria voce: “Orgoglioso dei nostri calciatori, dispiaciuto per lo spettacolo dei nostri vicini”. Una contrapposizione rincarata dal ministro dell’Interno che ha attaccato l’omologo serbo per non essere stato in grado di garantire la sicurezza della nazionale all’interno del Partizan Stadium, dove sono volati anche ceffoni e calci al loro indirizzo. E la rabbia albanese per il gesto di Aleksandar Mitrovic si è anche riversata per le strade di Tirana. Centinaia di macchine sventolanti la bandiera del Paese delle aquile hanno invaso le vie della capitale in direzione di Piazza Italia. Sarebbero state bruciate anche alcune bandiere serbe a Scutari e Tirana, mentre il governo ha deciso di rafforzare la sicurezza attorno all’ambasciata serba. Difficile anche il rientro della nazionale albanese e dei giornalisti al seguito (già trattenuti al loro arrivo a Belgrado e fatti passare solo grazie all’intervento del ministro albanese): bloccati negli spogliatoi, non si sa ancora quando saranno in grado di raggiungere l’aeroporto e fare ritorno in Albania.

A Pristina, invece, migliaia di persone in piazza per festeggiare, sparando petardi e scandendo ‘Albania, Albania’. Caroselli di auto a clacson spiegati hanno attraversato a grande velocità le strade della capitala kosovara centro con bandiere kosovare e albanesi. Festeggiamenti anche nel settore albanese (a sud) di Kosovska Mitrovica, dove la folla inneggia all’Albania. Dall’altra parte del ponte sul fiume Ibar, nel settore nord della città divisa, gruppi di giovani serbi si sono ammassati a osservare. La polizia kosovara e i militari della Kfor che presidiano il ponte hanno rafforzato il pattugliamento. Tensione altissima, ma nessun incidente. Per ora.

 

 

 

 

 

 

 

 

Brennero, l'Austria respinge  migliaia di migranti E Malta rifiuta aiuto a nave per sospetto caso di Ebola

Brennero, l'Austria respinge
migliaia di migranti
E Malta rifiuta aiuto a nave
per sospetto caso di Ebola

Sierra Leone: il virus si espande. Nuovo centro di Emergency

 

Migranti, un altro naufragio in Libia
"Oltre 160 morti, salvate 36 persone"
Unhcr, almeno 589 tra morti e dispersi

 

 

Migranti, un altro naufragio in Libia "Oltre 160 morti, salvate 36 persone" Unhcr, almeno 589 tra morti e dispersi

Sul barcone erano 250. La Marina di Tripoli: "Molti cadaveri". L'agenzia Onu: "Si tratta di stime non confermate perché le informazioni spesso vengono fornite da testimoni e non sono verificabili"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Scozia separata dall'Inghilterra? La battaglia si vince sulla sterlina

Il 18 settembre il referendum sull'indipendenza. Nel primo dibattito tv ha prevalso Alistair Darling, rappresentante del fronte del "No" che al momento è in vantaggio. Al premier scozzese Alex Salmond, leader della campagna per il "Sì", ha chiesto: "Quale moneta sceglierete?". Ed è sull'economia che si gioca la partita

LONDRA - I giornali (anche quelli scozzesi) sono tutti d'accordo: il primo dibattito televisivo sul referendum per l'indipendenza della Scozia del 18 settembre lo ha vinto Alistair Darling, il capo di "Better Togheter" ("Meglio insieme"). Il fronte del "No" all'indipendenza è avanti fra gli elettori scozzesi che dovranno decidere cosa fare del loro futuro. Ed è avanti per una solida ragione: molti hanno capito che gli svantaggi economici che arriverebbero dal fare a pezzi il Regno Unito li pagherebbe pericolosamente proprio la Scozia.

Ieri notte, nel dibattito tv, Darling, ex cancelliere dello Scacchiere con Gordon Brown, ha affondato il colpo contro Alex Salmond, premier di Scozia e leader della campagna per il "Sì": "Quale moneta sceglierete? Come si chiamerà la vostra sterlina visto che la Banca d'Inghilterra non vi permetterà di usare la vera sterlina?". Salmond ha svicolato, ha evitato una risposta diretta, ha continuato a recitare le cifre di una ricchezza scozzese che c'è tutta (soprattutto per le riserve di petrolio del Mare del Nord), ma che esiste ai livelli di oggi solo se è in sinergia con tutta la Gran Bretagna.

Salmond ha ripetuto per 21 volte la stessa domanda a Darling, chiedendogli se fosse d'accordo con le parole del premier David Cameron che aveva riconosciuto possibile per la Scozia essere "un Paese indipendente di successo". Sì, è vero, Cameron voleva ingraziarsi la Scozia e non ha voluto esporsi

personalmente pro o contro l'indipendenza. Ma lo ha fatto da Londra per la prima volta con i capi degli altri partiti: Ed Miliband, leader del Labour, e Nich Clegg, capo dei liberal-democratici, hanno firmato col premier una dichiarazione politica tripartita in cui promettono alla Scozia mari e monti. Se rimarranno uniti, gli scozzesi riceveranno indietro una fetta maggiore delle tasse che pagano a Londra e avranno maggiore libertà nella legislazione su settori che fino ad oggi sono stati di competenza centrale.

Chi ha visto il dibattito, trasmesso in tv solo in Scozia e seguito su Internet nel resto del Paese, ha risposto a un sondaggio assegnando al 56% la vittoria a Darling, mentre per il 44% ha prevalso Salmond. Ci sarà un altro dibattito, il 25 agosto, questa volta sulla Bbc e quindi visibile in tutto il Regno Unito.

Per ora non molti credono all'idea che l'indipendenza sia meglio. Ma Salmond non molla: "Per oltre la metà della mia vita, la Scozia è stata governata da partiti che non abbiamo eletto a Westminster. Ci hanno dato di tutto, dalla tassa elettorale alla tassa sulle camere da letto e sono le stesse persone che con il "progetto paura" ci vogliono far credere che questo Paese non può gestire da solo i suoi affari".

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SULL'ORLO DELLA GUERRA CIVILE: BRASILE-GERMANIA 1-7. VIOLENZE ED INCENDI DOPO IL TRACOLLO. Contro la Germania la Seleçao rimedia la peggior sconfitta da quando si gioca la Coppa del Mondo. Una disfatta nazionale che supera nelle proporzioni l'umiliazione patita nel 1950, quando i verdeoro vennero superati in finale dell'Uruguay. Il governo brasiliano accusa la Colombia per il fallo su Neymar, sul confine colombo-brasilero si sono schierate le FARC, l'Esercito Rivoluzionario del Pueblo Colombiano a difesa del territorio nazionale contro una eventuale escalation. La presidentessa Rousseff vuole lavare l'onta dell'8 luglio 2014 col sangue. Sul tavolo del Governo brasiliano la proposta di BLOCCO ECONOMICO NEI CONFRONTI DELLA MERDOSA GERMANIA. E' IL

Mineiraço!!

Atti di vandalismo, rapine e negozi saccheggiati in alcune città brasiliane, dopo la sconfitta della Selecao nella semifinale contro la Germania.
Violenze e incendi dopo la sconfitta del Brasile
Una ventina di pullman dell'azienda privata Vip sono stati dati alle fiamme all'interno di un garage a San Paolo. Altri tre autobus di linea sono stati attaccati da sconosciuti mascherati e dati alle fiamme, sempre nella capitale paulista, dove l'azienda di trasporti SPT ha chiesto l'intervento della polizia per poter proseguire il regolare servizio notturno.

I vandali hanno poi preso di mira un negozio della catena Ponto Frio, di San Mateo, periferia est di San Paolo. All'arrivo della polizia, gli agenti hanno arrestato due uomini e quattro adolescenti che stavano fuggendo con prodotti di elettronica.

Incidenti si sono verificati anche a Belo Horizonte, dove si contano 12 feriti e otto arrestati, e a Salvador, nello stato di Bahia. A Rio de Janeiro, la polizia ha arrestato sei giovani che avevano rapinato alcuni tifosi stranieri che assistevano alla partita nel Fan Fest della Fifa, a Copacabana.

opo la decapitazione del tassista inglese Alan Henning, e dopo la sfida lanciata al premier britannico David Cameron da uno jihadista a volto scoperto (video), lo Stato Islamico continua la sua avanzata sul terreno. Oggi le milizie islamiche hanno assunto il controllo dell'area di Mohammadi, nella zona occidentale del governatorato iracheno di Anbar e occupato la strada provinciale tra Haditha e Ramadi. A riferirlo è Faleh al Issawi, vicepresidente del Consiglio provinciale di Anbar, dopo che in settimana i qaedisti erano riusciti a conquistare la vicina città di Hayt. Da Mohammadi, 70 chilometri a ovest di Ramadi, le forze di sicurezza si sarebbero "ritirate senza combattere", cosa che ha permesso allo Stato islamico di rafforzare la propria presenza nel governatorato di Anbar, al confine con la Siria.

Nonostante la nuova ondata di raid aerei americani contro le forze dell'Is (i bombardamenti avrebbero avuto come obiettivo alcune postazioni in Siria e in Iraq), i jihadisti sono a un chilometro da Kobane e i raid non sono sufficienti a fermarli. Lo ha dichiarato un responsabile curdo siriano. I miliziani "sono in alcuni punti a un chilometro da Kobane e in altri a due o tre chilometri", ha detto Idris Nahsen, sottolineando che le nuove ondate aeree "non sono sufficienti a battere i terroristi sul terreno. Loro (la coalizione giuidata dagli Stati Uniti, ndr) ci devono aiutare con armi e munizioni".

LO SPECIALE Iraq, l'avanzata dell'Is


Intanto, una squadra delle forze speciali britanniche Sas sarebbe sul terreno pronta ad intervenire per la cattura di 'John il jihadista', il boia dell'Is dall'accento britannico comparso (sempre vestito di nero e sempre a volto coperto) nei video delle decapitazioni, al quale Londra continua a dare la caccia. Lo riferisce il Sunday Times. Il domenicale spiega che, in un incontro con i vertici dei servizi di intelligence, il primo ministro britannico David Cameron ha dato indicazioni affinché si raccolgano tutte le informazioni necessarie per permettere alle Sas di intervenire. Stando al resoconto del giornale tuttavia, pur avendo i servizi fornito informazioni sulla cellula terroristica nelle cui mani resterebbero altri ostaggi, le indicazioni per localizzarle non sarebbero sufficienti per dare il via libera a un intervento delle forze speciali, in quanto il gruppo sarebbe in continuo movimento nel deserto siriano.

 

 

La coalizione contro lo Stato islamico: "Fermata avanzata in Siria e Iraq"

La notizia al termine di una riunione a Bruxelles. Raid iraniani sull'Iraq. Kerry: "Va distrutta l'ideologia"

BRUXELLES - La campagna della coalizione contro lo Stato islamico "comincia a ottenere risultati, la sua avanzata in Iraq e in Siria è stata fermata". E' quanto si legge in un comunicato diffuso al termine dalla riunione ministeriale dei 60 paesi che compongono la coalizione anti-Is in corso a Bruxelles.

"Migliorare lo sforzo militare". "Le forze irachene e le forze del governo regionale del Kurdistan - prosegue la nota - con il sostegno di raid aerei della coalizione, stanno riguadagnando terreno in Iraq". I componenti della coalizione, che comprende Paesi occidentali e arabi, "hanno ribadito il loro impegno a lavorare insieme su una strategia comune, su diversi fronti e a lungo termine per indebolire e sconfiggere l'Is". La coalizione insiste su cinque assi nella lotta contro il gruppo jihadista: "migliorare lo sforzo militare, fermare il flusso di combattenti stranieri, tagliare l'accesso al finanziamento, affrontare la questione degli aiuti umanitari e delegittimare l'Is".

Kerry, impegno coalizione si misurerà in anni. "Riconosciamo il duro lavoro che resta da fare", ha detto il segretario di stato americano, John Kerry al summit che si tiene nella sede della Nato. "Il nostro impegno - ha aggiunto - si misurerà probabilmente nel giro di anni, ma i nostri sforzi stanno già avendo un impatto significativo". A Bruxelles, il numero uno della diplomazia Usa ha anche incontrato privatamente il primo ministro iracheno Haider al-Abadi, il quale ha chiesto una grande "sostegno per riuscire a battere Daesh", l'acronimo arabo per indicare lo Stato islamico. "Penso - ha detto il premier iracheno - che siamo l'unico Paese del Medioriente che sta realmente combattendo Daesh sul terreno". Di "riunione molto importante" ha parlato il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, che la giudica come un segnale che questa operazione "sta facendo passi avanti". Quanto all'impegno italiano nella coalizione, "è apprezzato e considerato utile da tutti", ha assicurato.

Kerry: va distrutta ideologia.  In appena due mesi e mezzo la coalizione ha fatto "progressi significativi" contro l'Is. Ne "ha fermato lo slancio" e "indebolito le finanze" ma le azioni militari non bastano per "distruggere" l'Is "va colpita l' ideologia", ha aggiunto Kerry.

Per il presidente siriano, Bashar al-Assad, però, i raid aerei contro l'Isis non hanno prodotto alcun passo in avanti. "Non si può mettere fine al terrorismo con gli attacchi aerei. Sono essenziali le truppe sul terreno che conoscono il territorio e possono reagire. Ecco perchè non ci sono stati risultati tangibili nei due mesi di attacchi della coalizione", ha aggiunto. Il regime siriano spera in un intervento militare anche di terra contro l'Is per sconfiggere la componente più pericolose della galassia di gruppi che lo combattono.

Raid iraniani sull'Iraq. La coalizione internazionale anti-Is ha tenuto la sua prima riunione a Bruxelles, proprio nel giorno in cui è trapelata la notizia che anche i caccia iraniani sono impegnati nei bombardamenti sulle postazioni del gruppo jihadista in Iraq. La conferma dei raid iraniani è arrivata dal portavoce del Pentagono, l'ammiraglio John Kirby, dopo che la tv Al Jazeera aveva mostrato immagini di F-4 Phantom del tipo di scui dispone Teheran sui cieli dell'Iraq. "Abbiamo indicazioni che l'Iran ha condotto attacchi aerei contro l'Isis in Iraq usando jet da combattimento", ha riferito Kirby a Abc News. Gli attacchi aerei sarebbero stati condotti nei giorni scorsi contro postazioni jihadiste nella provincia di Diyala, nell'est dell'Iraq, al confine con l'Iran. Il portavoce del Penatgono ha peraltro chiarito che i raid non sono coordinati con gli Usa. Da Teheran non sono arrivate conferme, nè smentite ufficiali, anche se il sostegno al governo a maggioranza sciita di Baghdad non è mai stato taciuto. "Non c'è stato alcun cambiamento nella politica iraniana di fornire supporto e consulenza alle autorità irachene nella lotta all'Isis", ha spiegato il portavoce del ministro degli Esteri iraniano, Marzieh Afkham. Fonti ufficiose della repubblica islamica hanno definito la notizia dei raid sull'Iraq "falsa e imprecisa".

Isis, non dimentichiamoci di Kobane

Da quasi quattro mesi, il 14 settembre 2014, la popolazione curda di Kobane, organizzata militarmente nelle milizie dell’Ypg e dell’Ypj, sta resistendo alle orde nazi-islamiche dell’Isis. Questa battaglia, la battaglia di Kobane, assume, per i motivi che ho più volte spiegato su questo blog, una portata davvero universale. Fondamentale al suo interno il ruolo delle donne, che rifiutano armi alla mano il ruolo da schiave che i terroristi nazi-islamici vorrebbero riservare a loro e ad altri. Le partigiane e i partigiani che difendono Kobane hanno pagato un elevato tributo di vite umane, infliggendo perdite superiori al doppio agli assedianti.

Onu-aiuti-540L’Isis che rappresenta una minaccia alla pace, ai diritti umani e alla democrazia, non sarà certo sconfitto dalla claudicante e sgangherata coalizione che gli Stati Uniti stanno cercando di mettere in campo, e che rischia solo di consegnare ancora, come abbondantemente avvenuto in passato, tonnellate di armi di nuova generazione al Califfo, abbandonate dai soldati iracheni in fuga disordinata o vendute da burocrati e militari corrotti, mentre i bombardamenti indiscriminati che colpiscono le popolazioni civile rischiano di aumentare la popolarità dei terroristi. Non a caso l’Isis costituisce, per le classi dirigenti occidentali e i loro alleati locali, i regimi reazionari del Medio Oriente, un vero e proprio nemico/alleato perfetto, come ho argomentato ampiamente in un mio scritto in materia. Inutile aggiungere che i tentativi di costruire tale coalizione vedano come al solito l’adesione perinde ac cadaver del governo italiano, Renzi, Gentiloni e Pinotti in testa, mentre invece ci vorrebbe, in questo caso come in quello della Libia o dell’Ucraina, ben altra originalità ed autonomia, come contributo davvero efficace alla sconfitta del pericolo terrorista e di quello dell’estensione delle guerre giustamente paventato da Papa Francesco.

L’unica possibilità di sconfiggere progetti integralisti, per l’area mediorientale e più in generale, è rappresentata, e anche questo l’ho scritto più volte, dall’esercizio del diritto di autodeterminazione e della democrazia partecipata su base territoriale senza alcuna discriminazione o violenza etnica o religiosa. Di tale progetto rivoluzionario Kobane costituisce l’esempio e l’immagine vivente. Per questo è avversata dai regimi tirannici della zona, da quello turco di Erdogan a quello saudita, passando ovviamente per il Califfo che si avvale dell’appoggio di entrambi.

Fra tali progetti integralisti, del resto, non c’è solo il Califfato. Anche il governo israeliano di Netanyahu è sceso sul terreno su tale terreno invocando la necessità di costituzionalizzare la “natura ebraica” dello Stato di Israele. Progetto che fortunatamente sta incontrando una risposta decisa da parte dei settori democratici israeliani. Al punto da determinare prossime elezioni anticipate.

Tornando a Kobane, vale la pena di prendere in considerazione la Carta costituzionale della provincia della Rojava, cui la città martire appartiene, e che rappresenta davvero un documento modello per l’autogestione democratica. Essa fra l’altro recepisce una serie di trattati internazionali in materia di diritti umani che costituiscono le acquisizioni più avanzate in materia.

Voglio qui riferire anche di un recente appello dell’amministrazione della città, che sottolinea le drammatiche carenze degli assediati in ordine ad acqua potabile, energia elettrica, alimenti e medicinali e si chiude con le seguenti richieste: – L’istituzione di un corridoio per gli aiuti umanitari sotto il controllo dell’Onu;
– Squadre di esperti internazionali per esaminare la situazione a Kobanê;
– Garanzia di approvvigionamento di acqua potabile e alimenti;
– Invio di squadre di medici internazionali per l’assistenza e le cure mediche;
– Approntamento di equipaggiamento tecnico per la ricostruzione della città.

Il tutto mentre l’assedio da parte dell’Isis continua sotto lo sguardo compiacente del regime turco, che non vede l’ora di sbarazzarsi della resistenza della città, esempio importante anche per le comunità curde della Turchia e i popoli della Turchia più in generale. Si tratta di una vera e propria complicità attestata ad esempio dal fatto che le bande terroriste hanno cominciato attacchi nei confronti della città a partire dal confine turco, come ammesso anche dal governatore della provincia turca di Urfa. Nel frattempo sono ben trentatré le persone uccise dalla polizia e dall’esercito in Turchia mentre manifestavano a favore di Kobane.

Ricordo anche che è possibile sottoscrivere a favore della resistenza di Kobane. I soldi raccolti verranno immediatamente trasferiti alla Mezzaluna Rossa curda.

 

 

Is, nuove conferme da governo Iraq: ferito al Baghdadi, ucciso suo 'braccio destro'

Da Beirut, il ministero dell'Interno fa sapere che il 'califfo' dello Stato Islamico è stato colpito in un raid aereo Usa. Uno dei suoi più stretti collaboratori sarebbe morto in un bombardamento a Falluja. Iran pronto a combattere contro jihadisti

BEIRUT - Il ministero dell'Interno iracheno ha confermato che il 'califfo' dello Stato Islamico, Abu Bakr al Baghdadi, è rimasto ferito in un raid aereo nel quale diversi altri leader dell'Is sono rimasti uccisi. Lo riferisce l'agenzia irachena Nina. Il leader jihadista, fa sapere ancora il ministro, è stato trasferito in Siria in una regione sotto il controllo dei suoi miliziani per essere curato. Non è ancora chiara la dinamica degli eventi, anche perché sia iracheni che americani rivendicano l'intervento che ha coinvolto al Baghdadi. Secondo la ricostruzionie fatta dal Ministro dell'interno, il raid sarebbe stato condotto da aerei dell'esercito iracheno e diretto contro una scuola della località di Saada dove Al Baghdadi e altri dirigenti dell'Isis tenevano un incontro con un altro "gruppo terrorista" che aveva deciso di stringere alleanza con lo Stato islamico. Nel bombardamento sarebbero rimasti uccisi o feriti 40 miliziani.
 


La notizia arriva dopo che nelle ultime ore erano circolate nuovamente voci contrastanti sulle sorti del leader dell'Is, sulla cui testa è stata messa una taglia da 10 milioni di dollari. Era già stata la televisione di Stato irachena, citata da al Jazeera, a dire che il capo dell'Is era stato ferito in un raid americano vicino alla città di Mosul, e una prima conferma era già arrivata dal ministero della Difesa iracheno che ha anche riferito che nell'incursione sarebbe stato ucciso il braccio di destro di al Baghdadi, Abu Muslim Turkmen. A stretto giro, la tv irachena ha dato notizia dell'uccisione di un altro dirigente dell'Is che sarebbe molto vicino al suo leader, Abu Huthaifa al-Yamani, deceduto in un bombardamento su Falluja.

 

Papa Francesco: è la terza guerra mondiale

"Si combatte a pezzetti. Sono pronto ad andare in Kurdistan",18 agosto 2014

"Siamo entrati nella Terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli". Non usa mezzi termini Papa Francesco sulle crisi internazionali in corso durante il volo di ritorno dalla missione in Corea del Sud, atterrato oggi a Ciampino (Roma) alle 18. Il Pontefice ha denunciato l'efferatezza delle guerre non convenzionali e che sia stato raggiunto "un livello di crudeltà spaventosa" di cui spesso sono vittime civili inermi, donne e bambini. "La tortura è diventata un mezzo quasi ordinario". Questi "sono i frutti della guerra, qui siamo in guerra, è una Terza guerra mondiale ma a pezzi". Il Pontefice, molto scosso dagli avvenimenti e dai sanguinosi combattimenti nel mondo, soprattutto in Siria e Iraq, ha aggiunto di "essere pronto a recarsi nel Kurdistan" iracheno per pregare e alleviare la sofferenza delle popolazioni colpite dalla guerra: "In questo momento non è la cosa migliore da fare, ma sono disposto a questo".

 

 

 

 

Afghanistan, attacco dei talebani all'aeroporto di Kabul
 

Pakistan, offensiva di terra dell'esercito contro al-Qaeda

Pakistan, offensiva di terra dell'esercito contro al-Qaeda

Dopo due settimane di bombardamenti, l'esercito inizia la ricerca sul campo dei terroristi nella zona del Waziristan del nord

BANNU - Inizia la fase due: l'esercito pakistano ha lanciato oggi un'offensiva di terra contro le zone del nord-ovest, aree tribali controllate dal gruppo terroristico di al-Qaeda. L'operazione di oggi segue i bombardamenti delle ultime due settimane nel Waziristan del Nord, avviate dopo l'attentato all'aeroporto di Karachi che ha fatto oltre 20 morti.

L'obiettivo dichiarato dal comando è "sradicare i terroristi", come ha spiegato il generale Asim Bajwa. I soldati sono entrati nelle principali città dell'area, tra cui la capitale Miranshah  e Mir Ali, dove verranno perquisite le case. L'avanzata - con carrarmati e altri mezzi corazzati - è iniziata dopo che "colpi di artiglieria" hanno distrutto alcuni ripari dei ribelli.
 
Il governo di Karachi ha avvisato nei giorni scorsi gli abitanti dell'area di lasciare le proprie case appena possibile: si stima che circa 500mila civili, la maggioranza della popolazione, siano fuggiti.

Un'offensiva contro i combattenti islamici è stata a lungo atteso dagli alleati di Islamabad, come Stati Uniti e Cina.

 

 

 

GUERRA DI GAZA, giugno-agosto 2014

LA VERA CRISI: GUERRA DI SIRIA, GUERRA D'UCRAINA, LIBIA,PALESTINA ED IRAQ

 

SCATTATA L'OPERAZIONE "MARGINE PROTETTIVO" PER UNA NUOVA CARNEFICINA PREVENTIVA DA PARTE DI ISRAELE: 160 raid aerei sulla Striscia di Gaza contro Hamas: 25 morti. IL RAPPORTO E' GIA' DI UNO A OTTO, OVVERO,PER OGNI ISRAELITA UCCISO SONO MORTI 8 PALESTINESI.

Israele, 160 raid aerei sulla Striscia di Gaza contro Hamas: 25 morti

Gaza, nuovi raid israeliani,ottavo giorno di bombardamento. “Centrato orfanotrofio, uccise 3 bimbe disabili”

 

Gaza, notte di raid: donne e bambini tra vittime Sirene a Tel Aviv, intercettati razzi palestinesi

Gaza, notte di raid: donne e bambini tra vittime

SCATTATA L'OPERAZIONE "MARGINE PROTETTIVO" PER UNA NUOVA CARNEFICINA PREVENTIVA DA PARTE DI ISRAELE: 160 raid aerei sulla Striscia di Gaza contro Hamas: 25 morti. IL RAPPORTO E' GIA' DI UNO A OTTO, OVVERO,PER OGNI ISRAELITA UCCISO SONO MORTI 8 PALESTINESI.

Il paese sta conducendo da ormai tre giorni attacchi contro il movimento palestinese. L’operazione 'Margine protettivo' ha già provocato centinaia di feriti. E l’escalation non sembra diminuire: sono stati richiamati 40 mila riservisti mentre Benyamin Netanyahu ha dato ordine all’esercito di prepararsi per una possibile operazione terrestre che è “sul tavolo”. Scopo dell'operazione di terra E' DESERTIFICARE LA PARTE SETTENTRIONALE DELLA STRISCIA, UNA SORTA DI ZONA MORTA CUSCINETTO SUL MODELLO DEL LIBANO MERIDIONALE.

Non si ferma la violenza in Medio Oriente. L’aviazione israeliana ha effettuato 160 raid aerei sulla Striscia di Gaza contro Hamas durante la notte tra martedì e mercoledì in risposta al continuo lancio di razzi verso Israele. Il portavoce dell’Esercito israeliano ha comunicato che dall’inizio dell’operazione sono stati effettuati 430 attacchi aerei. 

E così sale il numero di palestinesi morti: almeno 25Israele sta conducendo da ormai tre giorni attacchi contro Hamas. L’operazione ‘Margine protettivo’ ha già provocato centinaia di feriti. E l’escalation non sembra diminuire: Israele ieri ha richiamato 40 mila riservisti mentre Benyamin Netanyahu ha dato ordine all’esercito di prepararsi per una possibile operazione terrestre che è “sul tavolo”.

Il premier, dopo le polemiche di questi giorni su una sua risposta ‘debole’ ad Hamas, ha annunciato chiaro e tondo che Israele “non tratterà più con i guanti” la fazione islamica. ”Hamas – ha aggiunto – ha scelto di far salire la tensione e pagherà un prezzo pesante per averlo fatto”. La reazione palestinese non si è fatta attendere: il presidente palestinese Abu Mazen si è appellato alla comunità internazionale perché Israele termini “immediatamente” l’escalation a Gaza e i suoi raid aerei.

Sullo scacchiere internazionale la tensione crescente in atto sta suscitando forte apprensione: il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon ha sottolineato la sua “estrema preoccupazione” ed ha condannato il recente lancio di razzi da Gaza su Israele. Il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest ha definito “vile” l’attacco dei razzi su Israele, ma ha espresso preoccupazione per le vittime civili di entrambe le parti. Stesso giudizio da parte del ministro degli esteri italiano Federica Mogherini per la quale “bisogna evitare che si inneschi una spirale irreversibile”. Il segretario generale della Lega Araba, Nabil el-Araby, ha chiesto una riunione “immediata” del Consiglio di sicurezza dell’Onu sui raid israeliani contro Gaza.

Sul campo la situazione si complica: Abu Obeida, portavoce del braccio armato di Hamas, le Brigate Ezzedine al Qassam ha avvertito che i missili saranno lanciati verso Tel Aviv “e anche oltre”. E nel pomeriggio di ieri il municipio della città (in serata lo stesso è stato fatto a Gerusalemme) ha dato il via all’apertura dei 241 rifugi pubblici. A testimoniare la pericolosità della situazione, l’aeroporto al Ben Gurion ha spostato più a nord le rotte dei voli in arrivo e in partenza nello scalo di tutte le compagnie. Nelle città del sud di Israele, quelle più prossime alla Striscia, l’obbligo è di stare a 15 secondi dai rifugi.

Il passaggio all’operazione vera e propria da parte di Israele è scattato lunedì notte notte con una forte offensiva aerea: secondo l’esercito i raid su Gaza sono stati 146 e 98 di questi contro lanciatori di razzi nascosti. In uno di questi raid, che ha fatto tre morti, è stato colpito, su un auto in transito nella via al-Wahda, Mohammad Shaaban, “il comandante del commando della marina” di Hamas. Ma l’attacco più cruento si è verificato in un casa colpita a Khan Yunis con 10 morti, fra cui due bambini e 35 feriti. “È stata una strage”, hanno detto nelle strade della città. Secondo le prime informazioni, la casa apparterrebbe alla famiglia Kawara che avrebbe legami col braccio armato di Hamas. Al momento dell’attacco dell’aviazione israeliana al suo interno e nelle sue immediate vicinanze si trovavano decine di persone, fra cui donne e bambini. Secondo la stampa israeliana si trattava in effetti di “scudi umani” che – è ipotizzato – cercavano di impedire con la loro presenza un attacco aereo israeliano. Per il premier israeliano “Hamas deliberatamente si nasconde dietro i civili. Ed è quindi responsabile per le vittime collaterali”. Gaza City – hanno riportato fonti locali – è stata ieri una città fantasma: gli uffici pubblici sono rimasti deserti, come pure le strade del centro. Nella sorta di guerra in corso, anche un tentativo di entrare in territorio israeliano da parte di quattro (ma altre fonti dicono cinque) uomini rana palestinesi che sono stati uccisi stasera dall’esercito israeliano presso il kibbutz di Zikim, a nord della Striscia. Da lunedì sera – ha detto il portavoce militare, su Israele sono caduti ben 130 razzi e di questi 23 sono stati intercettati dal sistema Iron Dome. 

 

 

Quinto giorno di bombardamenti Israeliani in risposta ai razzi di Hamas dalla Striscia di Gaza verso le città ebraiche. I morti provocati dall’offensiva militare (che avrebbe colpito oltre mille obiettivi) sono – secondo fonti palestinesi – 121. E sono sempre più frequenti le scene di orrore, come quella denunciata questa mattina dall’agenzia di stampa Quds Press: “A Beit Lahya (a nord di Gaza) l’aviazione israeliana ha centrato un orfanotrofio, provocando la morte di tre piccole disabili“. Secondo l’agenzia diverse infermiere sono rimaste ferite. In Israele l’episodio non è ancora stato commentato e il portavoce miliare si limita a ripetere che Hamas ha sistematicamente provveduto a nascondere missili e armi in moschee ed in istituti pubblici, senza però spiegare come vengono scelti gli “obiettivi” di questo raid aereo.

Secondo quanto riferito dai servizi d’emergenza della Striscia, altre vittime sono tre uomini uccisi vicino a una moschea nella parte occidentale di Gaza City ed un ragazzo di 17 anni, morto in un raid contro la città. Nel corso dei  raid aerei israeliani 282 case di Gaza sono state rase al suolo. Altre novemila sono state danneggiate; di queste 260 non sono più abitabili secondo il ministero dell’edilizia e dei lavori pubblici a Gaza. 

Intanto, da Tel Aviv, una portavoce militare israeliana ha comunicato che l’esercito ha colpito la notte scorsa circa 84 obiettivi “affiliati al terrorismo di Hamas” nella Striscia.  Tra i target ci sono “68 lanciatori di razzi, 21 centri militari, 18 fabbriche di armi e depositi”. Inoltre, l’esercito ha detto di aver colpito “10 operativi del terrore, 6 di questi direttamente coinvolti nel lancio di razzi in quel momento verso Israele”. Da Gaza contro Israele sono invece stati lanciati nella notte cinque razzi, portando ad un totale di 690 il numero di quelli sparati negli ultimi cinque giorni. I feriti dell’operazione sono saliti intanto a 920. Secondo quanto sostenuto da Hamas, i due terzi delle vittime nella Striscia sono civili, per la maggior parte donne e bambini.

Il Kuwait ha chiesto una riunione di emergenza dei ministri degli Esteri della Lega Araba per discutere “il deterioramento della situazione nella Striscia di Gaza”. La riunione potrebbe tenersi già lunedì, ha detto un funzionario della Lega. “Un’invasione della Striscia di Gaza costituirebbe una escalation dalle conseguenze imprevedibili” dice in una intervista a La Stampa, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. 

Armi a Israele, Italia prima nell'export
In Europa "doppiate" Francia e Germania
 
200 morti in 9 giorni, Hamas: 'No tregua'

Armi a Israele, Italia prima nell'export In Europa "doppiate" Francia e Germania  200 morti in 9 giorni, Hamas: 'No tregua'

 

L'Osservatorio: "Nel 2012 rilasciate autorizzazioni per 470 milioni in favore del Paese in guerra" Rete Disarmo al governo: "Così non possiamo mediare nel conflitto". Civatiani: "Serve embargo Ue"

 

SI INTENSIFICANO I RAZZI DA GAZA: UNO OGNI 10 MINUTI. TERZA NOTTE DI RAID ISRAELIANI: 74 MORTI (DIRETTA)

Dopo l'attacco ad Hezbollah nel Libano meridionale del luglio 2006, con Sharon appena entrato in coma vegetativo (scomparso nel gennaio 2014 senza mai essersi ripreso), dopo l'operazione Piombo Fuso contro Gaza (unito al blocco economico totale della Striscia)del dicembre 2008-gennaio 2009, Israele fa il tris con nuovi ferocissimi bombardamenti sulla Striscia come rappresaglia contro Hamas ritenuta responsabile della morte di tre ragazzi israeliani in Cisgiordania, territorio Palestinese sotto Al-Fatah.

Israele, trovati morti i tre ragazzi rapiti   foto   Offensiva a Gaza: raid aerei su 34 obiettivi   foto

 

Raid a Gaza: 12 morti foto video
fra le vittime anche donne e bimbi

Netanyahu: "Hamas? Basta guanti bianchi". Richiama riservisti, possibile attacco di terra. Integralisti: "Colpiremo Tel Aviv"

Dopo l'attacco ad Hezbollah nel Libano meridionale del luglio 2006, con Sharon appena entrato in coma vegetativo (scomparso nel gennaio 2014 senza mai essersi ripreso), dopo l'operazione Piombo Fuso contro Gaza (unito al blocco economico totale della Striscia)del dicembre 2008-gennaio 2009, Israele fa il tris con nuovi ferocissimi bombardamenti sulla Striscia come rappresaglia contro Hamas ritenuta responsabile della morte di tre ragazzi israeliani in Cisgiordania, territorio Palestinese sotto Al-Fatah.

Israele, trovati morti i tre ragazzi rapiti   foto   Offensiva a Gaza: raid aerei su 34 obiettivi   foto

Israele, trovati morti i tre ragazzi rapiti foto
Offensiva a Gaza: raid aerei su 34 obiettivi
foto

Netanyahu: "Colpa di Hamas, la pagherà" video
La risposta: "Se attaccate si apriranno le porte dell'Inferno"

Cisgiordania: un morto a Jenin. Demolite case dei presunti sequestratori

Israele, trovati morti i tre ragazzi rapiti foto
Offensiva a Gaza: raid aerei su 34 obiettivi
foto

Netanyahu: "Colpa di Hamas, la pagherà" video
La risposta: "Se attaccate si apriranno le porte dell'Inferno"

Cisgiordania: un morto a Jenin. Demolite case dei presunti sequestratori

 

Kobane, il "reportage" dell'ostaggio Cantlie: "Vi dimostro che lo Stato Islamico sta vincendo"

KOBANE - "Salve a tutti, sono John Cantlie, e oggi sono a Kobane". L'assurda propaganda dello Stato Islamico ha raggiunto livelli inimmaginabili. John Cantlie, l'ostaggio britannico in mano dell'Is già protagonista suo malgrado della serie di video "Lend me your ears", è stato "inviato" dai jihadisti a Kobane, la città siriana al confine con la Turchia da settimane violentemente contesa da Is e curdi, per dimostrare che gli estremisti non stanno indietreggiando, anzi. "Qui prima c'erano i peshmerga, ora non più. Lo Stato Islamico ha vinto la battaglia, non credete a quello che vi dicono i media. Non vi dicono la verità. Del resto, non vedo loro giornalisti qui intorno".
 


Il nuovo stile di Cantlie. Nel video di 5 minuti e 32 secondi, che si apre con una ampia panoramica di Kobane dall'alto filmata "da un drone dello Stato Islamico", Cantlie sostiene che "la città è controllata completamente dai soldati dello Stato Islamico, nonostante i raid americani". L'ostaggio inglese questa volta non indossa l'usuale tunica arancione (che ricorda, per contrappasso, quella dei prigionieri di Guantanamo), ma una camicia nera. Inoltre, porta una barba decisamente più lunga di quella mostrata nell'ultimo video della serie "Lend me your ears". Potrebbe essere il segno che anche Cantlie, come James Foley (il giornalista americano decapitato dall'Is), si sia convertito all'Islam.

La propaganda dell'Is.
Cantlie, di cui ha chiesto la liberazione anche il padre malato poco prima di morire, ripete tutte le notizie riportate dai media occidentali, dalla Bbc a Itv, oltre alle recenti dichiarazioni delle principali autorità di Stati Uniti e altri paesi, secondo cui centinaia di militanti dell'Is sarebbero stati uccisi dai raid e che quindi sarebbero in ritirata. L'ostaggio inglese, molto probabilmente costretto dai suoi rapitori, sostiene invece che "quello che vede, con i suoi occhi, sono solo mujaheddin. Non i peshmerga curdi. E i jihadisti non sono in fuga. Affatto".

IL REPORTAGE - Kobane, nel borgo divenuto simbolo la battaglia che cambierà la guerra - di Bernardo Valli


"L'Is ha già vinto". "Gli americani sanno benissimo che i raid aerei non saranno sufficienti a sconfiggere lo Stato Islamico", continua Cantlie. "La battaglia sta terminando, e ovviamente la sta vincendo lo Stato Islamico, anche grazie alle armi degli Usa paracadutate ai curdi e che sono finite in mano nostra". "Sentite qualche sparo, per caso?", chiede Cantlie, rivolgendosi al pubblico. "No, vero? E' perché la battaglia non c'è. L'Is ha già vinto".

 

Obama fa mea culpa sulla Siria: "Impossibile battere l'Is se Assad resta al suo posto"

Il presidente Usa convoca il team per la sicurezza nazionale e cerca uno sprint in politica estera, visto che in politica interna dovrà affrontare un Congresso repubblicano. Dopo l'accordo sul clima raggiunto in Asia, critiche dal Gop. E lo scontro sull'ambiente si sposta al progetto dell'oleodotto Keystone Xl

WASHINGTON - Gli Stati Uniti costretti a rivedere ancora la propria posizione sulla lotta ai miliziani jihadisti dello Stato Islamico. Il presidente americano Barack Obama ha chiesto al team della sicurezza nazionale di rivedere la politica Usa verso la Siria dopo aver realizzato che l'Is potrebbe non essere sconfitto senza una transizione politica nel Paese e la destituzione del presidente Bashar al-Assad.

Lo riferisce la Cnn che cita alcuni funzionari. La revisione chiesta da Obama è una tacita ammissione che la strategia iniziale nel tentare di contrastare l'Isis senza concentrarsi anche sulla deposizione di Assad è stata errata. Solo la scorsa settimana, la Casa Bianca ha organizzato quattro incontri con il team per la sicurezza nazionale, uno dei quali presieduto da Obama e gli altri dal segretario di Stato. Questi incontri, nelle parole dei funzionari, "sono stati guidati in larga misura su come la strategia sulla Siria si inserisce in quella contro l'Is".

"Il problema del lungo regime in Siria è ora aggravato dalla realtà che per sconfiggere davvero l'Is, abbiamo bisogno non solo di una sconfitta in Iraq, ma di una sconfitta in Siria", ha aggiunto.

Ad ottobre, gli Usa hanno sottolineato che la "strategia in Iraq" per contrastare i jihadisti era una priorità e le operazioni in Siria servivano per agevolare questa condizione in Iraq. Washington sperava di avere tempo di addestrare e armare i ribelli siriani moderati per combattere l'Is e solo dopo il regime di Assad. Ma con l'esercito siriano libero - la forza militare che ha guidato la ribellione contro Damasco, considerata una forza laica - che combatte su due fronti (da una parte le forze di Assad e dall'altra gli estremisti dello Stato islamico e di gruppi come al-Nusra) i funzionari hanno ammesso che quella strategia non è più sostenibile.

L'attenzione del presidente americano verso la politica estera sarà sempre più accentuata nei prossimi mesi e nei prossimi due anni, dopo che nelle elezioni di metà mandato ha perso il controllo sia di Camera e Senato e quindi ha le armi spuntate in politica interna. Ma dalla Casa Bianca, Obama può ancora influire sulla politica estera e i rapporti internazionali, strumenti per fare pressione sulla maggioranza dei repubblicani nel Congresso, come dimostra l'importante accordo raggiunto ieri con la Cina sull'ambiente e le emissioni di gas serra.

Un accordo che non piace affatto al Gop: ogni speranza di un accordo bipartisan tra democratici e repubblicani sulla questione è saltate ieri. Sia il leader della Camera, John Boehner, e il futuro leader del Senato, Mitch McConnell, hanno criticato l'annuncio. Per McConnell il fatto che la Cina non abbia preso impegni precisi rappresenta un grande problema, visto che secondo il Gop gli standard imposti agli stati americani dall'amministrazione Obama stanno creando scompiglio e mettendo un freno alla crescita. A rincarare la dose ci ha pensato Boehner: "La decisione di Obama è l'ultimo esempio della crociata del presidente contro energia affidabile e basso costo che sta già facendo diminuire i posti di lavoro e colpendo la classe media".

E questo tema si intreccia con l'altro dossier caldo che Obama si troverà sul tavolo al suo ritorno dall'Asia: quello dell'oleodotto Keystone Xl, che dovrebbe attraversare Canada e Stati Uniti fino al golfo del messico. Progetto appoggiato dai repubblicani ma che la Casa Bianca - fanno sapere da Washington - è pronta a bloccare usando il veto presidenziale.

 

Raid aerei sulla roccaforte di Raqqa con l'appoggio dei Paesi arabi che hanno aderito alla coalizione
Il ministro degli Esteri siriano: “Assad avvertito”. New York Times: "No, azione è stata unilaterale"

Sono scattati all’alba gli attacchi con aerei da combattimento, bombardieri e missili Tomahawk contro l’Isis in Siria. L’aviazione statunitense è affiancata dai caccia di Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi, Giordania e Qatar. Il regime siriano ha fatto sapere di essere stato informato dagli Usa, ma il Nyt scrive che non c'è stata l'approvazione di Bashar Assad

Iraq, Is compie esecuzioni sommarie ad Anbar: 85 morti

Proseguono le uccisioni da parte degli estremisti: la tribù è nel mirino del gruppo di Abu Bakr al Baghdadi per non aver appoggiato l'avanzata delle milizie islamiche su Bagdad. Onu: "A ottobre quasi 1300 vittime"

BEIRUT - I terroristi dello Stato islamico hanno ucciso altri 85 membri del clan sunnita iracheno degli Albu Nimr nella provincia di Al Anbar. Lo hanno riferito fonti della tribù e della sicurezza irachena, spiegando che si tratta di 50 sfollati e di altre 35 i cui resti sono stati scoperti in una fossa comune. Nei giorni scorsi il gruppo jihadista aveva ucciso 150 membri del clan tribale che si erano rifiutati rifiutati di collaborare. La tribù è entrata nel mirino del gruppo di Abu Bakr al Baghdadi per non aver appoggiato l'avanzata delle milizie islamiche su Bagdad. Una fonte della stessa tribù ha denunciato che ci sono 200 persone del clan circondate dai miliziani islamici nella zona di Hit, a 70 chilometri da Ramadi, vicino al lago di Tharthar.

Bilancio sempre più pesante. Secondo l'Onu, nel solo mese di ottobre, sono state almeno 1.273 le vittime delle violenze che hanno colpito l'Iraq. Tra i morti ci sono 856 civili e 417 membri delle forze di sicurezza nazionali. I feriti sono 2.010. La città più colpita risulta la capitale, con 379 civili uccisi. I dati, spiega la missione, non tengono conto dei morti nella provincia di Anbar e in altre parti dell'Iraq sotto controllo dei militanti dello Stato islamico (ex Isil). Il conteggio non sembra includere perciò le vittime degli omicidi di massa condotti dagli estremisti ad Anbar, contro i membri delle tribù sunnite filogovernative. A settembre, il numero delle vittime conteggate dall'Onu era 1.119. Più gravi le cifre fornite dal governo iracheno, che sostiene che il numero dei morti è 1.725, mentre i feriti sono 2.300.

Raid aerei coalizione spianano strada a peshmerga a Kobane. Intanto le forze di coalizione, guidate dagli Usa, con raid aerei contro lo Stato islamico hanno spianato la strada ai
peshmerga curdi iracheni a Kobane. Secondo quanto riferisce l'Osservatorio siriano per i diritti umani, i miliziani curdi provenienti da Erbil stanno entrando nella città aiutati dagli attacchi aerei della coalizione. L'avanzata è iniziata ieri sera ed è ora in corso lo schieramento delle forze. I mezzi blindati curdi avanzano lentamente grazie agli attacchi aerei che colpiscono gli obiettivi più vicini dello Stato islamico nella parte meridionale e occidentale di Kobane. Sono almeno 150 i miliziani curdi entrati a Kobane in sostegno alle milizie curde locali.

 

Papa Francesco: è la terza guerra mondiale

"Si combatte a pezzetti. Sono pronto ad andare in Kurdistan",18 agosto 2014

Libia, combattimenti a Bengasi. Interviene l'aviazione egiziana per l'operazione cloverfiled bis

In città si sente sparare dalle prime ore della mattina. Negli scontri anche civili e carri armati, almeno dodici vittime. Ieri il generale Khalifa Haftar, alla guida da maggio dell'operazione 'Dignità', ha annunciato che le sue forze sono "pronte a liberare" la città dai gruppi islamisti

MISURATA (LIBIA) -  L'Egitto bombarda nell'Est della Libia. Mentre Tripoli, Misurata e l'Ovest del paese (salvo la regione di Zintan) vivono un momento di pace e stabilità, la Cirenaica continua ad essere in guerra. E la vera novità è che da ieri l'aeronautica e la marina egiziana hanno avviato una pesante operazione militare in appoggio alle truppe del generale "rinnegato" Khalifa Haftar. Nei combattimenti tra esercito e miliziani islamici ci sono stati almeno 12 morti e negli scontri sono stati coinvolti anche carri armati.

Il generale, ex uomo del colonnello Gheddafi, da mesi ha organizzato un esercito in Cirenaica per combattere le milizie islamiste guidate da Ansar Al Sharia e dalla "Brigata 17 Febbraio". Nelle ultime settimane le forze di Haftar erano state sconfitte dai miliziani di Ansar Al Sharia, che erano riusciti a conquistare quasi tutta Bengasi. Adesso Haftar innanzitutto ha lanciato un appello ai giovani di Bengasi alla mobilitazione contro gli islamisti. Poi, dopo settimane di coordinamento con l'esercito egiziano, è passato al contrattacco: e questa volta l'Egitto lo appoggia molto pesantemente.

Il nemico più potente di Haftar è Ansar Al Sharia, gruppo integralista molto potente a Bengasi, coinvolto anche nell'assalto al consolato americano di Bengasi in cui l'11 settembre del 2012 morì l'ambasciatore Chris Stevens.  Contro Ansar e contro gli altri gruppi integralisti e anche terroristici, Haftar in queste ore sarebbe riuscito a mobilitare parte della società civile, dei giovani, degli attivisti per i diritti umani di Bengasi vittime di una campagna di violenze degli islamisti fatta anche di assassinii ed esecuzioni mirate.

Ansar al Sharia e "17 Febbraio" nelle scorse settimane erano state capaci di attaccare e conquistare molte basi della milizia di Haftar. Il generale nel frattempo si è alleato con spezzoni di quello che era l'esercito nazionale libico, fedele al governo del premier Al Thinni che è in esilio da Tripoli a Tobruk. Perché in Libia in queste settimane si sono consolidati due governi e due Parlamenti. La "Camera dei Rappresentanti" eletta il 25 giugno, quella legale, non è riuscita a riunirsi a Tripoli, ma si è spostata a Tobruk, per l'appunto sotto la protezione di Haftar e dell'Egitto. Quella Camera ha confermato come premier l'uscente al Thinni, che da prima dell'estate non mette più piede a Tripoli.

Nella capitale, invece, le potenti milizie di Misurata e quelle islamiche moderate della città hanno riesumato il vecchio "Congresso Nazionale del Popolo, e hanno eletto un secondo premier, Omar Al Hassi, che in queste settimane ha rimesso in moto la capitale e buona parte della Tripolitania. Tornando alla battaglia di Bengasi, ieri i miliziani di Ansar hanno attaccato una base di carri armati del generale Haftar, che ha risposto con l'appoggio dell'aviazione egiziana. Secondo l'accusa delle milizie islamiste ormai i caccia egiziani sono stati schierati in alcuni aeroporti della stessa Libia orientale dall'aeronautica egiziana.

Haftar è un ufficiale in pensione che aveva combattuto per conto di Gheddafi in Ciad negli Anni Ottanta, era stato emarginato dal Colonnello ed era fuggito all'estero, trovando rifugio e protezione per vent'anni negli Stati Uniti. All'inizio della rivoluzione del 2011 era rientrato in Cirenaica, provando a proporsi alla guida delle forze "rivoluzionarie". Sospettato di essere un cavallo di ritorno dei gheddafiani (o un infiltrato della Cia americana), era stato emarginato, mentre altri ex ufficiali dell'esercito del colonnello erano riusciti a trovare un posto fra le forze della rivoluzione.

Nel febbraio scorso e poi ancora prima dell'estate, Haftar aveva annunciato una sorta di colpo di stato per bloccare l'avanzata delle forze islamiste. Un golpe da operetta, inverosimile, se non altro perché in Libia lo Stato non esiste. Il generale comunque è riuscito a trovare l'appoggio degli egiziani e il sostegno politico e finanziario degli Emirati e dell'Arabia Saudita. Abu Dhabi e Riad combattono qualsiasi movimento sia vicino ai Fratelli Musulmani che in Egitto un anno fa sono stati sconfitti dal golpe del generale Sissi. Parlando a una televisione privata di Bengasi, ieri Haftar ha detto che "la liberazione di Bengasi è una tappa strategica nella lotta dell'esercito contro il terrorismo". Il generale, sempre abbastanza equivoco sulle sue intenzioni per il futuro, ha anche detto che "la vittoria in questa battaglia sarà il culmine della mia carriera militare", lasciando intendere che potrebbe ritornarsene alla pensione: molti ritengono che se dovesse avere successo a Bengasi, il generale-pensionato potrebbe convincersi a rimanere sulla scena ancora per parecchio tempo.

 

 

 

 

 

 

Siria, donna curda si fa saltare contro Is a Kobane

Prima assoluta nella guerra della minoranza curda in Siria agli jihadisti sunniti dello Stato Islamico. Una giovane donna che sui social media viene identificata come Arin Mirkan, madre di due figli, si è fatta saltare in aria accanto ad una postazione dei miliziani di Is a est di Kobane, la città curda siriana al confine con la Turchia, uccidendo diversi jihadisti che da giorni cingono d'assedio l'enclave. La ragazza, terminate le munizioni, ha sacrificato la sua vita per non finire ostaggio dei miliziani dell'Is.

Siria, donna curda si fa saltare contro Is a Kobane


A dare la notizia è stato Rami Abdel Rahman, direttore dell'Osservatorio siriano per i diritti umani, secondo il quale "l'azione ha causato morti ma non ci sono ancora conferme sul numero esatto". Rahman ha aggiunto che è il primo caso di cui si ha notizia di una combattente donna curda che si fa saltare in aria in un attentato suicida contro l'Is: una tecnica impiegata invece frequentemente dalle diverse sigle della galassia terroristica islamica, inclusa al Qaeda. Il 3 ottobre, sempre nelle vicinanze di Kobane, una 19enne curda del gruppo Ypg, Ceylan Ozalp, si era invece uccisa pur di non finire prigioniera dell'Is quando aveva esaurito le munizioni.

Dopo
la decapitazione del tassista inglese Alan Henning, e dopo la sfida lanciata al premier britannico David Cameron da uno jihadista a volto scoperto (
video), lo Stato Islamico continua la sua avanzata sul terreno. Oggi le milizie islamiche hanno assunto il controllo dell'area di Mohammadi, nella zona occidentale del governatorato iracheno di Anbar e occupato la strada provinciale tra Haditha e Ramadi. A riferirlo è Faleh al Issawi, vicepresidente del Consiglio provinciale di Anbar, dopo che in settimana i qaedisti erano riusciti a conquistare la vicina città di Hayt. Da Mohammadi, 70 chilometri a ovest di Ramadi, le forze di sicurezza si sarebbero "ritirate senza combattere", cosa che ha permesso allo Stato islamico di rafforzare la propria presenza nel governatorato di Anbar, al confine con la Siria.

Nonostante la nuova ondata di raid aerei americani contro le forze dell'Is (i bombardamenti avrebbero avuto come obiettivo alcune postazioni in Siria e in Iraq), i jihadisti sono a un chilometro da Kobane e i raid non sono sufficienti a fermarli. Lo ha dichiarato un responsabile curdo siriano. I miliziani "sono in alcuni punti a un chilometro da Kobane e in altri a due o tre chilometri", ha detto Idris Nahsen, sottolineando che le nuove ondate aeree "non sono sufficienti a battere i terroristi sul terreno. Loro (la coalizione giuidata dagli Stati Uniti, ndr) ci devono aiutare con armi e munizioni".

LO SPECIALE Iraq, l'avanzata dell'Is


Intanto, una squadra delle forze speciali britanniche Sas sarebbe sul terreno pronta ad intervenire per la cattura di 'John il jihadista', il boia dell'Is dall'accento britannico comparso (sempre vestito di nero e sempre a volto coperto) nei video delle decapitazioni, al quale Londra continua a dare la caccia. Lo riferisce il Sunday Times. Il domenicale spiega che, in un incontro con i vertici dei servizi di intelligence, il primo ministro britannico David Cameron ha dato indicazioni affinché si raccolgano tutte le informazioni necessarie per permettere alle Sas di intervenire. Stando al resoconto del giornale tuttavia, pur avendo i servizi fornito informazioni sulla cellula terroristica nelle cui mani resterebbero altri ostaggi, le indicazioni per localizzarle non sarebbero sufficienti per dare il via libera a un intervento delle forze speciali, in quanto il gruppo sarebbe in continuo movimento nel deserto siriano.

 

 
 

 

 

 

Canada, è “jihad problem”: canadesi autori di attacchi dall’Algeria a Nairobi

Canada, è “jihad problem”: canadesi autori di attacchi dall’Algeria a Nairobi

 

L’attacco a Parliament Hill è la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più profondo e ramificato: miliziani con passaporto canadese tra quelli che nel 2013 attaccarono il Westgate Shopping Mall di Nairobi e arrivavano dall'Ontario due membri del commando che assaltò l'impianto gaziero ad Amenas

Il “Jihad problem”, il problema jihad. Lo chiamano così, molti analisti e commentatori, il rinnovato slancio del radicalismo islamista in Canada, uno dei Paesi più floridi e “aperti” dell’Occidente. Nel giro di tre giorni, il Paese ha assistito a due soldati uccisi, un attacco spettacolare al Parlamento, l’allargarsi della paura per le strade della capitale. “Finalmente sta per iniziare il dibattito sul terrorismo di casa nostra”, ha scritto un commentatore del quotidiano di centro liberale Globe and Mail. In realtà, un primo effetto dei fatti di questi giorni già c’è: un probabile rafforzamento dei poteri delle agenzie di intelligence.

L’attacco a Parliament Hill, in cui è stato ucciso il presunto assalitore Michael Zehaf-Bibeau, recente convertito all’Islam, è in realtà la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più profondo e ramificato. Soltanto lunedì scorso, un altro recente convertito all’Islam, Martin Couture-Rouleau, 25 anni, aveva lanciato la sua automobile contro due soldati a St-Jean-sur-Richelieu, in Quebec, uccidendone uno. Martin, che amici e parenti descrivono come un ragazzo solare e che gestiva un’attività di servizi di pulitura, si era convertito nel 2013 e aveva mostrato, attraverso la sua pagina Facebook, una trasformazione in senso sempre più radicale. Lo scorso giugno la polizia gli aveva confiscato il passaporto, nel timore che raggiungesse gruppi islamisti in Medio Oriente, ma non aveva potuto arrestarlo, non essendoci capi d’accusa contro di lui.

Se avesse potuto partire, e raggiungere la Siria, secondo le sue intenzioni, Couture-Rouleau si sarebbe unito agli almeno 90 giovani canadesi che in questi mesi hanno lasciato il Paese per andare a combattere per l’Isis. Il fenomeno non è del resto limitato al solo Stato Islamico. Da tempo i servizi canadesi sono a conoscenza del fatto che decine di canadesi hanno raggiunto varie forme di ribellione jihadista in varie parti del mondo. Quando, nel settembre 2013, i militanti somali di Al Shabaab attaccarono il Westgate shopping mall di Nairobi, contavano tra le proprie file almeno un cittadino con passaporto canadese. Qualche mese prima le stesse scene di morte e orrore si erano verificate in un terminal di gas nel sud dell’Algeria. Tra i militanti islamisti uccisi dalle forze del governo algerino c’erano due canadesi dell’Ontario, Ali Medlej e Xristos Katsiroubas.

Per quanto i fatti di questi giorni paiano esplodere all’improvviso, le radici della radicalizzazione di una parte, seppur minima, dei canadesi di fede islamica è dunque un fenomeno antico, i cui segni possono essere rintracciati almeno vent’anni fa. Per anni ha tenuto banco nelle cronache il caso di Mohamed Harkat, un rifugiato algerino arrestato dopo l’11 settembre con l’accusa di essere una “cellula dormiente” di Al Qaeda, e di aver ancor prima gestito il passaggio di combattenti dalla Cecenia all’Afghanistan. E’ vero che negli ultimi tempi, con l’esplodere della guerra civile siriana e l’acutizzarsi della crisi irachena, i flussi di combattenti dal Canada si sono diretti proprio verso quest’area. Oltre un anno fa le cronache raccontavano la storia di Ali Mohamed Dirie, un canadese di origini somale, morto nei combattimenti in Siria. E soltanto lo scorso agosto un altro canadese, il 23enne Abu Turaab al-Kanadi, ha postato su Twitter fotografie di materiale bellico sottratto agli americani. Prima di diventare un entusiasta adepto dell’Isis, il giovane lavorava nell’estrazione del petrolio.

“I terroristi non troveranno un facile rifugio”, ha spiegato poche ore dopo l’attacco al Parlamento il primo ministro Stephen Harper e la frase, oltre che una risposta a caldo, è parsa anche e soprattutto il riconoscimento che in Canada, un Paese da sempre segnato dall’orgoglio per la difesa dei valori di tolleranza e multiculturalismo, sta iniziando un altro tipo di dibattito: quello sul terrorismo e sulla sua effettiva minaccia all’interno. Sul breve periodo, uno dei problemi più urgenti resta quello di monitorare le decine di militanti cui viene impedito di partire per le aree calde del mondo, ma che restano un problema per la sicurezza interna. Sul più lungo termine, i fatti di questi giorni finiranno con ogni probabilità per favorire un fenomeno tipico di altri Paesi colpiti dal terrorismo: il rafforzamento degli apparati di sicurezza e spionaggio.

Già poche ore dopo l’attacco al Parlamento, alcuni deputati canadesi hanno chiesto nuovi poteri per il Canadian Security Intelligence Service (CSIS), i servizi canadesi. L’autorità del Csis era stata limitata dopo gli abusi compiuti negli anni Ottanta contro i separatisti del Quebec. Con il terrorismo casalingo in ascesa, alcuni stanno già chiedendo il ripristino dei vecchi metodi: maggiori poteri di spionaggio e intercettazione, interrogatori con meno garanzie per l’indagato, un allentamento dei controlli delle autorità giudiziarie su quello che fanno i servizi segreti.

 

Iraq, jihadisti dell'Is accusati di aver usato gas cloro. In Siria si combatte per i pozzi di petrolio

L'uso di armi chimiche da parte dello Stato islamico è stato confermato dal ministero della Difesa iracheno. Situazione di stallo a Kobane, smentito accordo tra curdi e esercito siriano libero. Raid francesi distruggono arsenali jihadisti ad ovest di Kirkuk

BAGDAD - Evidenti segni di avvelenamento da cloro. Per questo motivo 11 soldati iracheni sono stati ricoverati il mese scorso all'ospedale di Balad, un'ottantina di chilometri a nord della capitale irachena. E' la prova, secondo quanto riportato dal Washington Post, dell'uso da parte dei miliziani dello Stato islamico di armi chimiche contro le forze governative di Bagdad. Gli Stati Uniti, come annunciato dal Segretario di Stato John Kerry, stanno cercando conferme: "Queste accuse sono estremamente serie e stiamo cercando ulteriori informazioni che ci mettano in grado di stabilire quanto successo", ha spiegato Kerry.

L'episodio, denunciato dalle autorità irachene, è avvenuto il mese scorso. I miliziani dell'Is hanno fatto esplodere una carica di gas cloro che avrebbe sprigionato un fumo giallastro, avvelenando i poliziotti. L'attacco è stato confermato al Washington Post da una fonte del ministero della Difesa iracheno e dai medici che hanno curato gli agenti, tutti sopravvissuti. Uno dei medici, Hassanain Mohammed, ha detto di aver già curato casi simili in passato, dal momento che nel 2006 e nel 2007 era stata al-Qaida in Iraq a usare tali ordigni. In precedenza altri rapporti non confermati avevano accusato lo Stato islamico di usare armi chimiche, nella loro avanzata tra Siria e Iraq.

Le ampie porzioni di territorio conquistate dai jihadisti comprendono anche l'area dove sorge un ex impianto per la produzione di armi chimiche dell'epoca di Saddam Hussein. Anche se, secondo gli esperti di armi chimiche, i circa 2.500 razzi contenenti agenti nervini che potrebbero essere caduti nelle mani dell'Is sarebbero probabilmente inutilizzabili. Gli ispettori internazionali li sigillarono all'interno di un bunker di cemento oltre 20 anni fa.

L'organizzazione per la proibizione delle armi chimiche il mese scorso ha affermato che il gas cloro, ampiamente usato durante la Prima Guerra Mondiale, è stato impiegato "sistematicamente" nei villaggi della Siria settentrionale. Il governo Usa ha finora sempre accusato degli attacchi
il regime di Damasco, ma per quanto riguarda l'Iraq, erano anni che il gas non veniva impiegato in battaglia.

DOSSIER/LA MINACCIA DELLO STATO ISLAMICO

Raid francesi distruggono arsenali Is in Iraq. In Iraq continuano i raid della
coalizione anti-Is. Questa mattina raid aerei francesi hanno distrutto 12 edifici ad ovest di Kirkuk nei quali era custodito un arsenale degli jihadisti dello Stato islamico. Secondo il Capo di Stato Maggiore di Parigi, Pierre de Villiers, "sono state sganciate 70 bombe su 12 obiettivi". La Francia è stato il primo Paese ad aderire a settembre alla coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Oggi il presidente francese Hollande ha annunciato che la Francia imprimerà "un'accelerazione al ritmo dei suoi interventi" militari contro l'Is.

Siria, stallo a Kobane. Curdi smentiscono Erdogan: "Nessun accordo con Esl". In Siria
situazione di stallo a Kobane, la città curda al confine con la Turchia dove i jihadisti dello Stato islamico e i peshmerga curdi stanno conbattendo casa per casa. I raid aerei della coalizione hanno frenato l'avanzata dei fondamentalisti sunniti che nei giorni scorsi sembravano in procinto di conquistare la città. Fonti americane hanno riferito che tra Iraq e Siria sono state eseguite 6.600 operazioni aeree e sono state sganciate oltre 1.700 bombe. I vertici militari americani si dicono ottimisti sulla sorte della città che "non è più sul punto di cadere".

Si combatte anche ad est della città di Homs, dove i miliziani dell'Is e i soldati fedeli al dittatore siriano Bashar al-Assad stanno lottando per il controllo di installazioni petrolifere. Ed è polemica tra il presidente turco Tayyip Erdogan e le forze curdeo-siriane. Ankara, dopo aver dato l'ok nei giorni scorsi al passaggio attraverso la Turchia dei peshmerga curdi dall'Iraq alla Siria (saranno in tutto 150), ha annunciato l'accordo tra il principale partito curdo-siriano, il Partito di unità democratica (Pyd) e l'esercito siriano libero (Esl), la milizia dei ribelli siriani. Grazie all'accordo 1300 combattenti andranno a Kobane passando per la Turchia. L'accordo però è stato seccamente smentito dai vertici delle milizie curde. Citato dalla tv panaraba al-Arabiya, il co-presidente del Pyd, Saleh Muslim, ha detto che nessun accordo è stato raggiunto finora con l'Esl. "E' una notizia falsa diffusa di proposito", ha detto Muslim, che ha aggiunto: "Lo scopo è confondere. Alcuni gruppi legati all'Esl già combattono con noi. Nell'eventualità di una cosa del genere vengono da noi e ci chiedono il permesso".Isis, Nato: “Pronto intervento su confine turco”. Jihadisti avanzano a Kobane

Isis, Nato: “Pronto intervento su confine turco”. Jihadisti avanzano a Kobane

 

L'organizzazione internazionale pronta ad aiutare Ankara via terra. I militanti dell'Isis hanno nuovamente preso il controllo della collina di Kobani. Dall'inizio dei raid della coalizione internazionale sono morte in Siria 553 persone

“Se sul confine turco-siriano si dovessero intensificare le minacce dell’Isis, la Nato è pronta a intervenire in difesa di Ankara“. E’ quanto annunciato dal comandante militare della Nato, Philip Breedlove. I militanti dello Stato islamico hanno nuovamente preso il controllo della collina di Kobane dopo che all’inizio del mese i curdi erano riusciti a sottrarla dal loro potere. I combattimenti si sono susseguiti durante la notte e le milizie dell’Isis stanno tentando di prendere la città attaccandola su tre fronti. La coalizione internazionale contro lo Stato islamico (ex Isil), guidata dagli Stati Uniti, ha compiuto quattro attacchi aerei sul campo petrolifero nell’est della Siria, vicino al confine con l’Iraq, mentre il presidente Francois Hollande ha fatto sapere che le truppe francesi hanno lanciato nuovi raid aerei in Iraq contro obiettivi dell’ex Isil.

Nato: pronti a intervenire per difendere la Turchia
“Se Ankara vedesse la necessità che la Nato sia più coinvolta via terra e le chiede aiuto, la Nato è pronta. Lavoreremo insieme per affrontare questa sfida sul confine”. Così il comandante militare della Nato, Philip Breedlove. L’Alleanza aveva già fornito alla Turchia un sistema di difesa missilistica, il Patriot, che aveva schierato al confine con la Siria. Frederick Hodges, ha aggiunto che i combattenti provenienti dall’Europa occidentale e Nord America che rientrano in patria dalla Siria o dall’Iraq rappresentano una minaccia. “Migliaia di questi giovani radicalizzati arrivano dagli Stati Uniti e dal Canada e da quasi tutti i Paesi d’Europa fino in Siria per unirsi allo Stato islamico, fare esperienza per poi portarla in patria. Questa è una minaccia seria e penso che ogni nazione dell’alleanza sia preoccupata”.
 

I militanti Isil vicini alla collina di Kobani
“Kobani è stata testimone di feroci scontri da ieri sera in quella che si può definire la notte peggiore della città da quando è iniziato l’assedio”, così si è espresso Idris Nassan, vice ministro degli affari esteri dell’amministrazione civile curda di Kobani. L’osservatorio siriano per i diritti umani, infatti,  ha reso noto che i militanti dello Stato islamico hanno nuovamente preso il controllo della collina vicino alla città. I combattenti curdi si sono ritirati dalla zona di Tel Shair dopo che, un mese fa, erano riusciti a mettere i fuga gli estremisti islamici. L’Isis sta tentando di espugnare la città su tre fronti e sul lato orientale di Kobani sono state segnalate vittime in entrambe le parti. 
 

I primi risultati dei raid aerei sui jihadisti
Questa settimana il Comando centrale degli Stati Uniti aveva fatto sapere che le forze Usa hanno condotto oltre 135 attacchi aerei contro i militanti dell’Isil a Kobani e nei dintorni, uccidendo centinaia di combattenti. I raid aerei sui jihadisti in Iraq e Siria stanno dando i primi risultati anche per stroncare il contrabbando di petrolio che rappresenta la principale fonte di finanziamento dell’Isis. Lo ha detto il sottosegretario al Tesoro americano, David Cohen, sottolineando come la vendita del greggio sul mercato nero abbia finora portato nelle casse dei terroristi circa un milione di dollari al giorno. Anche le forze aeree francesi sono impegnate nell’offensiva militare guidata dagli Stati Uniti contro lo Stato islamico in Iraq. Hollande ha fatto sapere che “c’è stato un nuovo attacco aereo francese che ha colpito il suo obiettivo”. Il presidente francese non ha fornito dettagli sugli obiettivi distrutti, ma secondo il quotidiano Le Figaro il caccia francese Rafale ha colpito un veicolo armato dell’Isil a nordovest di Mossul.

Il bilancio delle vittime dall’inizio dei raid
Dallo scorso 23 settembre, in Siria, sono morte 553 persone. Questo il bilancio delle vittime da quando sono cominciati gli attacchi aerei della coalizione internazionale contro lo Stato islamico. Lo riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani, precisando che il numero include 32 civili fra cui sei bambini e cinque donne. L’Osservatorio spiega di avere inoltre documentato la morte di 464 combattenti dell’Isil e 57 del Fronte Nusra legato ad al-Qaeda, uccisi in attacchi aerei nelle provincie settentrionali di Aleppo e Idlib. Molti combattenti dello Stato islamico sono stati uccisi dentro Kobani o nei pressi della città. I militanti dell’Isil hanno preso il controllo di decine di villaggi curdi vicini a Kobani e hanno costretto oltre 200mila persone a fuggire verso la vicina Turchia.

L’Isis ha giustiziato in pubblico un cameraman iracheno, suo fratello e altre due civili a Samra, villaggio a nord di Baghdad. Lo ha reso noto un membro della famiglia del giornalista, Raad al-Azzawi, di 37 anni, che lavorava per la tv locale Sama Salaheddine. Sempre oggi l’Isis avrebbe giustiziato, nel nord del paese, altre persone sospettate di avere legami con gruppi sunniti anti-jihadisti, riferiscono fonti della sicurezza e testimoni. Secondo Reporters sans frontières (Rsf), il giornalista, padre di tre figli, è stato rapito dal gruppo jihadista il 7 settembre scorso. “Sono venuti a casa e hanno preso lui ed il fratello”, ha riferito una fonte della sua famiglia spiegando che “non aveva fatto nulla di sbagliato: la sua unica colpa era quella di essere un cameraman che stava semplicemente facendo il suo lavoro”. “Qualcuno nel villaggio lo ha accusato di lavorare per il governo, denunciandolo ai jihadisti”, ha aggiunto. Secondo un comunicato di Rsf, il mese scorso l’Isis aveva minacciato di uccidere il cameraman perché si era rifiutato di lavorare per il gruppo. A Baghdad, due autobomba sono esplose in quartieri sciiti della città provocando 34 morti e 54 feriti.

I

sis, Consiglio supremo di difesa: "Rischi rilevanti per l'Europa e per l'Italia"

"La pressione militare dell'Isis in Siria e in Iraq implica rischi rilevanti per l'Europa e per l'Italia", "l'Italia, insieme a Onu e Ue, consideri con estrema attenzione gli eventi" ed "eserciti ogni possibile sforzo per prevenire, in particolare, l'ulteriore destabilizzazione della Libia". E' quanto afferma il Consiglio Supremo di Difesa.

"La minaccia - afferma il consiglio - costituita dai cosiddetti foreign fighters rende evidente l'esigenza di uno sforzo integrato e senza soluzione di continuità, sia sul fronte informativo sia su quello esecutivo, da parte dei dispositivi di sicurezza esterna e interna nazionali e internazionali".

Nella nota finale del consiglio è scritto che la situazione in atto dimostra l'urgenza e l'importanza, pur nei limiti della ridotta disponibilità di risorse, di una rapida trasformazione delle nostre Forze Armate e dell'organizzazione europea della sicurezza. Se le prime dovranno essere rese più pronte ed efficaci rispetto ai compiti da assolvere nelle aree di prioritario interesse per il nostro Paese, il solo sforzo nazionale non potrà essere sufficiente a garantire l'Italia, come ciascuno degli altri Paesi europei, dalle minacce e dai rischi che si prospettano già nel breve termine.

"Il quadro della situazione - si evidenzia - internazionale mostra tensioni e instabilità crescenti. In Ucraina il conflitto appare tendenzialmente frenato dagli sforzi politici e diplomatici in atto che vedono il costante impegno del nostro Paese. E' indispensabile dare continuità e sbocchi risolutivi a questi sforzi".

L’Isis prende casa in Turchia

In questi giorni i miliziani dello Stato islamico hanno lanciato un violentissimo assedio a Kobane, la Stalingrado curda in Siria, a ridosso del confine con la Turchia, dimostrando ancora una volta di disporre di competenze logistico-militari sufficienti per allargare il proprio territorio ed estendere l’egemonia del Califfato nella regione. Nelle stesse ore, il premier turco Ahmet Davutoglu si è affrettato ad assicurare che il suo governo farà il possibile per impedire che i jihadisti conquistino la città, ma dietro le sue parole c’è un retroscena piuttosto controverso, che vede Ankara in prima fila tra i maggiori sostenitori dell’Is(is).

Non è un caso che le principali roccaforti del gruppo terroristico siano raggruppate proprio lungo la frontiera turca, che sembra aver offerto all’Is(is) molto più di un semplice valico di confine. Tempo fa è saltata fuori una sensazionale foto che ritrae il loro portavoce, Abu Muhammad, in un letto dell’ospedale statale di Hatay mentre riceve le cure per le ferite che si è procurato durante alcuni combattimenti.

Oggi Hatay è una sorta di autostrada jihadista a doppio senso di circolazione, oltre che l’area che ospita uno dei più grandi centri profughi di rifugiati siriani. Sarebbero migliaia i guerriglieri, anche affiliati ad Al Qaeda, che negli ultimi mesi hanno varcato la frontiera per dirigersi in Siria. Il 13 giugno un report del quotidiano Milliyet ha stimato in circa 3 mila unità i combattenti turchi che hanno giurato fedeltà ad Abū Bakr al-Baghdādī.

Secondo il giornale turco Aydinlik, i terroristi dell’Is(is) avrebbero anche aperto un proprio ufficio diplomatico, una specie di consolato riadattato nel quartiere di Cankaya, ad Ankara, messo in piedi per rilasciare visti a coloro che vogliono unirsi alla lotta contro i governi siriano e iracheno. Altre fonti riferiscono che ad alcuni militanti dello Stato islamico è stato concesso di circolare liberamente in Turchia; alcuni di loro avrebbero persino preso in affitto abitazioni lussuose nel cuore di Istanbul per usarle come uffici personali.

Il motivo per cui Erdogan abbia deciso di sostenere silenziosamente l’Is(is) è molto semplice: vuole eliminare definitivamente il regime di Assad, di fronte al quale la Turchia mostra i muscoli ormai da un paio d’anni. Più volte Ankara in passato è giunta a minacciare l’attuazione dell’articolo 5 del Patto Atlantico, che prevede la difesa comune nel caso di attacco contro uno dei Paesi membri della Nato, a seguito di alcuni missili esplosi da Damasco e caduti proprio sul territorio turco.

Ma Erdogan vuole anche prevenire la nascita del Rojava (il nascente Stato curdo) nel nord-est, la cui leadership è schierata al fianco del Pkk, la formazione (un tempo) ritenuta terrorista da Usa e Unione Europea. E le armi consegnate ai peshmerga per combattere l’Is(is), in questo senso, qualche problemino lo hanno creato.

Poi c’è un terzo fattore, economico e per questo determinante: il petrolio. Fiumi di greggio prodotti nel Califfato starebbero arrivando in Turchia a prezzi stracciati. La realtà è che il labirinto di interessi è molto articolato: quello che oggi dovrebbe essere l’alleato chiave della Nato in Medio Oriente è anche il più inaffidabile nella lotta ai jihadisti dello Stato islamico.

Siria, Is avanza nel cuore di Kobane. Erdogan: "La città sta cadendo, servono le truppe da terra"

Siria-Is, a Kobane issate le bandiere nere del califfato islamico. Morti trenta peshmerga curdi

 

 

     

 

   

Isis, nuovo video di minaccia agli Usa: “Obama, aspetteremo i tuoi soldati in Iraq”

 

 

IRAQ VERSO IL COLLASSO. La disastrosa ritirata americana del 2011 e l'avanzata fulminea dell'ISIS i neo jiadisti di Al-Queida

 

 

 

 

 

 
 
524 parlamentari favorevoli e 43 contrari. La Camera dei Comuni ha votato: anche il Regno Unito interverrà al fianco degli Stati Uniti, ma le forze inglesi interverranno per ora solo in Iraq. Già nelle prossime ore potrebbero partire i raid  di Daniele Guido Gessa

Antiterrorismo Ue: "Oltre 3.000 europei nell'Is"
"Allarme attacchi su metro Parigi e New York"


524 parlamentari favorevoli e 43 contrari. La Camera dei Comuni ha votato: anche il Regno Unito interverrà al fianco degli Stati Uniti, ma le forze inglesi interverranno per ora solo in Iraq. Già nelle prossime ore potrebbero partire i raid  di Daniele Guido Gessa
Londra, sì ai bombardamenti contro Isis Cameron riporta l'Inghilterra in Iraq

Gli Usa: identificato il boia dei due giornalisti Foley e Sotloff
ll caso Samira, torturata e uccisa a Mosul per apostasia

 

Crisi Iraq, il prezzo del brent salito di soli
       5 dollari. I mercati ormai sono fatalisti
 
          Crisi Iraq, il prezzo del brent salito di soli 5 dollari. I mercati ormai sono fatalisti
 
        La calma che regna nelle borse rispetto alla nuova escalation di violenza nel Paese è legata ad una serie di fattori. Innanzitutto il ruolo che gli Usa ricoprono   nell’industria petrolifera, ma anche alle

 

 

Siria, presidente Assad ha prestato giuramento per altri sette anni
 
          
Siria, presidente Assad ha prestato
        giuramento per altri sette anni
: il miglior alleato di Israele.....
Inaugurato così il terzo mandato alla guida del Paese dove continua la rivolta antigovernativa che dal marzo 2011 ha   provocato 170mila morti

 

 

 

 

Isis, nuovo video di minaccia agli Usa: “Obama, aspetteremo i tuoi soldati in Iraq”

l momento in cui il filmato è stato diffuso potrebbe indicare che si tratti di una risposta al generale Martin Dempsey, capo di Stato Maggiore congiunto, il quale, parlando in Commissione servizi armati del Senato, ha detto che se l’attuale strategia adottata in Iraq non dovesse funzionare, sarebbe raccomandabile l’uso di truppe di terra

 

 

Is, primi raid francesi in Iraq. Jihadisti conquistano 60 villaggi curdi in Siria

Colpito un deposito logistico dei terroristi. La minaccia dello Stato islamico al centro del dibattito, la prossima settimana, all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Senato Usa dice sì a strategia anti-jihadista di Obama in Siria, mentre i miliziani annunciano l'avanzata. Quaranta curdi indagati a Milano per terrorismo internazionale

 

 

Somalia, al-Qaeda benedice nuovo capo di al-Shabaab. Ucciso da raid Usa l’ex leader

La rete terroristica ha dato il suo ok all'investitura del successore del numero uno dei miliziani, morto la scorsa settimana da un lancio di droni americano. Si rafforza così il legame tra i due gruppi di jihadisti. In un comunicato, i guerriglieri somali hanno inoltre promesso vendetta per l’uccisione dell'ex guida: "Nei prossimi giorni soffrirete e pagherete il conto"

La rete terroristica al-Qaeda ha dato la sua benedizione al nuovo leader di al-Shabaab, il gruppo di jihadisti somali, nominato dopo che il suo predecessore è stato ucciso la scorsa settimana da un raid degli Stati Uniti. “Le nostre preghiere vanno al nuovo emiro Ahmad Omar Abu Ubaidah – commenta il gruppo terroristico con un messaggio trasmesso da Radio Andalus, l’emittente legata ai militanti islamici somali – affinché abbia la forza di continuare la guerra santa del fratello Abu Zubayr”, nome di battaglia di Ahmed Abdi Godane, l’ex numero uno dei miliziani ucciso dal raid di droni americano del 1 settembre. Il messaggio, trasmesso più volte dalla radio, contiene le “condoglianze” per l’uccisione di Godane. “Ha incontrato Allah come desiderava - recita il delegato di al-Qaeda – e noi preghiamo che sia ben ricompensato per il suo implacabile jihad. Le nostre preghiere sono per lui, che il suo martirio sia accettato da Allah per la sua difesa dell’Islam e dei musulmani”.

Domenica 7 settembre, a due giorni dalla morte di Godane, gli Shabaab hanno annunciato la nomina di Abu Ubaidah come loro nuovo leader e hanno confermato la loro fedeltà al numero uno di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri. In un comunicato, i militanti islamici hanno inoltre promesso vendetta per l’uccisione dell’ex numero uno del gruppo. “Nei prossimi giorni soffrirete e pagherete il conto”, hanno annunciato. Si sa poco su Abu Ubaidah, che era un fedelissimo di Godane e che avrebbe contribuito all’evoluzione degli Shabaab da gruppo impegnato nella lotta armata locale ad una minaccia su scala regionale.

L’attacco era stato condotto il 1 settembre, ma sull’esito del lancio di droni che gli Usa avevano sferrato contro il nucleo operativo degli jihadisti di al-Shabaab in Somalia, la Casa Bianca aveva dichiarato un iniziale “No comment”. Poi, a quattro giorni di distanza, il Pentagono ha confermato che nel raid condotto a 240 chilometri a sud di Mogadiscio era stato ucciso il leader degli jihjadisti al-Shabaab. Dal 2012 gli al-Shabab, “i Giovani”, rappresentano il gruppo islamico più potente e attivo in Somalia, noto dal settembre 2013 per aver rivendicato l’attacco al shopping center di Nairobi, in Kenya, che ha provocato la morte di 68 persone. Di oggi la rivendicazione da parte del gruppo dell’attentato contro un convoglio dell’Amisom che ha provocato la morte di dodici civili e il ferimento di quasi trenta persone a nord di Mogadiscio. L’obiettivo, ha riferito il portavoce dei jihadisti ad al Jazeera, era un comandante americano che addestra le forze speciali somale, come rappresaglia all’uccisione del loro leader, Ahmed Abdi.

Isis decapita l'ostaggio britannico - video Cameron: "Adesso caccia agli assassini"

Ma proprio la Dakhil, protagonista qualche giorno fa di un drammatico appello nel Parlamento di Bagdad, è rimasta ferita oggi dopo che l'elicottero su cui viaggiava si è schiantato mentre stava fornendo aiuti umanitari agli sfollati sul monte Sinjar. Al momento non si hanno altre notizie sulle sue condizioni di salute. Nell'incidente sarebbe stato coinvolto anche un giornalista del New York Times e il fotografo freelance che viaggiava con lei, i quali però avrebbero solo ferite lievi.
 

 

Per le operazioni della coalizione internazionale, la Difesa ha offerto velivoli per il rifornimento carburante. Ma, su richiesta Usa, non è escluso l’impiego dei bombardieri Amx e di forze speciali. La titolare della Difesa sulle armi ai curdi: “Servono a proteggersi” (video di M. Brod)

 

Iraq, il video che mostra il leader dell'Isis nella moschea di Mosul. E' la prima volta "Duemila miliziani arrivati dall'Europa"

           Il capo jihadista, che finora era rimasto nell'ombra, compare su internet e ordina ai fedeli musulmani di obbedirgli. Gli analisti: il gruppo ha un patrimonio di 2   miliardi di    dollari e attira combattenti sui social network (di G. Rosini)

 

Iraq, soldati iracheni lanciano offensiva su Tikrit, ma lo Stato islamico li respinge

Iraq, soldati iracheni lanciano offensiva su Tikrit, ma lo Stato islamico li respinge

Dopo la presa della diga di Mosul da parte dei peshmerga curdi, l'esercito punta alla città natale di Saddam Hussein. Onu prepara operazione umanitaria per 500mila persone. Domani il Parlamento italiano vota sull'invio di armamenti

BAGDAD - L'esercito iracheno prova a minacciare le roccaforti dello Stato islamico: a poche ore dalla riconquista da parte dei peshmerga della diga di Mosul, il cui controllo è strategico sia dal punto di vista economico che potenzialmente militare, e mentre i combattenti curdi stanno consolidano le proprie posizioni prima di attaccare la città, l'esercito iracheno ha provato a lanciare un'offensiva per riprendere la città di Tikrit, città natale di Saddam Hussein,

L'attacco verso Tikrit, nelle mani dell'Is da giugno, è stata confermata in maniera ufficiosa da una fonte militare irachena: "L'esercito iracheno, affiancato da volontari, entrambi supportati dall'intervento di elicotteri stanno prendendo parte" all'operazione che ha nel mirino Tikrit. Ma la resistenza dei jihadisti dell'Is è stata intensa, riporta l'agenzia Reuters, e ha costretto l'esercito a bloccare l'avanzata. Avanzando da sud, un fuoco di respingimento di mitragliatrici e mortai ha frenato i militari, mentre quella parte di truppe che avanzava da ovest è stata fermata da mine e cecchini.

Di pari passo all'offensiva militare, proseguono le preoccupazioni umanitarie. L'Onu ha annunciato il lancio di una grande operazione per oltre mezzo milione di profughi iracheni costretti ad abbandonare le loro abitazioni a causa dell'avanzata dei jihadisti dell'Is nel nord dell'Iraq. Gli aiuti verranno consegnati dall'Unhcr, l'agenzia Onu per i rifugiati, attraverso un ponte aereo, su strada e via mare attraverso la Turchia, la Giordania, gli Emirati arabi e l'Iran. La minoranza yazida continua a essere la più colpita, insieme ai cristiani. Una 24enne yazida ha raccontato all'agenzia di stampa curda Rudaw storie drammatiche: "Diverse ragazze si sono suicidate. Oggi una ragazza si è impiccata con il velo ed è morta. Salvateci, salvateci. Chiunque possa sentire la nostra voce - Stati Uniti, Europa, chiunque - per favore aiutateci, salvateci". "Ogni giorno arrivano i combattenti e cercano tra di noi. Prendono due o tre ragazze carine. Quando le ragazze tornano sono in lacrime, sfinite e umiliate. I combattenti portano le ragazze ai loro emiri, che ne abusano sessualmente".

Domani il voto in Parlamento su armi ai curdi. Le commissioni del Parlamento italiano dovranno
decidere domani sull'invio di armi ai curdi, con l'opposizione del Movimento 5 Stelle: "Il rischio è quello di creare un precedente pericoloso. Servirebbe una deliberazione dell'aula, invece qua si vuole dare il via libera a un aiuto militare diretto senza che il Parlamento si sia espresso". Ha detto Carlo Sibilia (M5S), segretario della commissione Affari esteri della Camera, in un'intervista a Repubblica.

"Ci vorrebbe un referendum per chiedere agli italiani se sono d'accordo con l'invio di armi ai curdi", continua Sibilia, sottolineando però di sapere che la sua è destinata a restare "una provocazione". Anche Sel, per voce di Nicola Fratoianni, si dice contrario all'invio di armi: "Armare i curdi significa delegare a loro quello che dovrebbe essere fatto da una forza internazionale a guida Onu".Per l'invio delle armi, si studiano sia l'opzione aerea che quella via mare. Alla Farnesina si susseguono le riunioni operative in vista dell'informativa di domani alle Camere dei ministri della Difesa Roberta Pinotti e degli Esteri Federica Mogherini. Non esclusa anche la possibilità di una rotta senza scalo fino al Kurdistan iracheno con il sorvolo del territorio turco.

Se si deciderà di rifornire i combattenti curdi, probabilmente le armi scelte saranno i 30mila fucili d'assalto kalashnikov di produzione sovietica e relativo munizionamento sequestrati 20 anni fa ad una nave da trasporto partita dall'Ucraina e diretta a Spalato e custoditi a La Maddalena.

Iraq, l'Italia accelera sulle armi ai curdi

Iraq, l'Italia accelera sulle armi ai curdi

Forse saranno Kalashnikov sequestrati nei Balcani
Foto I nuovi peshmerga, da guerriglieri a soldati

jihadisti indietreggiano. Intanto, strappata la diga di Mosul allo Stato Islamico, Bagdad cerca di riconquistare la seconda città dell'Iraq e premia i curdi, riconoscendone il valore militare sul campo coinvolgendoli nella formazione del nuovo governo iracheno. "Quella di lanciare un attacco rapido ma avvolto nel silenzio è una tattica che ha avuto successo. La manterremo, con l'aiuto dell'intelligence americano. La prossima meta sarà Mosul", ha detto il portavoce dell'antiterrorismo, Sabah Nouri.
 

 


Il nuovo corso a Bagdad. Sul piano politico, invece, il premier designato
Haider al Abadi sembra voler seguire il percorso per un governo più inclusivo. E' stato il ministro degli Esteri uscente, Hoshiyar Zebari, ad auspicare un miglioramento delle relazioni con i curdi, congelate sui temi del bilancio e del petrolio dallo scontro tra la regione autonoma e l'ex premier Nouri al Maliki. Zebari, tra l'altro, ha riconosciuto che sono stati i peshmerga curdi a riconquistare la diga di Mosul, e ha annunciato come imminente una loro decisione che li riporti al tavolo del negoziato con Bagdad. Fondamentali, nella riconquista della diga, sono stati i raid Usa ad aprire la strada all'avanzata dei peshmerga curdi, che ancora oggi combattevano a sud dell'infrastruttura, considerata cruciale per la regione.

 

raid di oggi. Oggi gli Stati Uniti hanno compiuto altri bombardamenti in Iraq, in particolar modo nei pressi della diga di Mosul. Le sortite sono state efftuate sia da un drone che da caccia-bombardieri. In totale sono state distrutte nove postazioni dello Stato Islamico introno alla diga e 8 veicoli dell'Is. Lo riferisce il Centcom, il Comando centrale del Pentagono, responsabile tra gli altri Paesi, dell'Iraq. Il dipartimento di Stato americano , inoltre, ha inserito nella lista dei terroristi il portavoce dello Stato Islamico, il siriano Abu Mohammed al-Adnani e la stessa misura è stata presa anche nei confronti dell'algerino Said Arif, legato al Fronte al-Nusra in Siria. La dichiarazione implica il divieto per gli americani di fare affari con al Adnani e Arif, e il congelamento di tutti i loro beni che rientrino nella giurisdizione Usa. Entrambi sono stati di recente aggiunti anche alla lista dei terroristi delle Nazioni unite.

Siria alleato "indiretto". Ieri la Casa Bianca ha spiegato di aver autorizzato i continui raid aerei vicino alla diga di Mosul poiché i
jihadisti sunniti dello Stato Islamico (Is) pensavano di usarla come arma per inondare le zone non sotto il loro controllo. Un crollo o l'apertura incontrollata delle paratoie della diga avrebbe minacciato non solo i civili iracheni, ma anche l'ambasciata Usa a Baghdad. Una minaccia, quella dello Stato islamico, che sta ricompattando il fronte antiterrorismo esistente prima delle Primavere arabe. Washington, infatti, trova un sostegno indiretto in Damasco, che ha condotto sulle città di Raqqa e Taba una ventina di raid in tutto e ucciso almeno 31 jihadisti. Ma gli estremisti islamici non mollano: secondo la Reuters - che cita dichiarazioni di attivisti locali - nelle ultime ore l'Is avrebbe ucciso decine di combattenti curdi e ne avrebbe rapiti almeno 170.

FOCUS - Che cos'è lo Stato Islamico, il gruppo jihadista che terrorizza l'Iraq e il mondo

La crudeltà dei jihadisti. Intanto arrivano atroci conferme dal fronte: come anticipato nei giorni scorsi, nelle ultime due settimane militanti dello Stato islamico hanno ucciso a colpi di arma da fuoco e decapitato centinaia di membri della tribù Shueitat nell'est della Siria, dopo aver soffocato una rivolta nella regione. Un attivista siriano proveniente dalla provincia di Deir el-Zour, che vive attualmente in Turchia, ha fatto sapere ad Associated Press che fino a 200 membri della tribù sarebbero stati uccisi dagli insorti. "Considerano tutti i membri della tribù Shueitat degli apostati - ha raccontato - perché si sono ribellati contro di loro. Alcuni uomini sono stati portati nei campi e decapitati, mentre altri sono stati colpiti con armi da fuoco alla testa".


Ma proprio la Dakhil, protagonista qualche giorno fa di un drammatico appello nel Parlamento di Bagdad, è rimasta ferita oggi dopo che l'elicottero su cui viaggiava si è schiantato mentre stava fornendo aiuti umanitari agli sfollati sul monte Sinjar. Al momento non si hanno altre notizie sulle sue condizioni di salute. Nell'incidente sarebbe stato coinvolto anche un giornalista del New York Times e il fotografo freelance che viaggiava con lei, i quali però avrebbero solo ferite lievi.

 

 

Iraq, esecuzioni di massa a Tikrit   Le immagini scattate dal satellite

         Iraq, esecuzioni di massa a Tikrit
Le immagini scattate dal satellite

           La denuncia di Human Rights Watch
       Curdi: "Kirkuk ormai fa parte del Kurdistan"
Foto Migliaia in fuga dalle zone occupate

Iraq, Generale Usa: "L'esercito può difendere solo Bagdad". Curdi spingono verso l'indipendenza

 

 

Nuove misure di sicurezza sui voli per gli Stati Uniti per timore di attentati da parte dei gruppi qaedisti in Siria, Iraq e Yemen. Il presidente Usa chiede un governo di unità nazionale, ma al-Barzani va avanti sulle richieste di separazione.  L'Is conquista impianto petrolifero siriano

 

WASHINGTON - Possono difendere la capitale, tenere il controllo su Bagdad, ma l'esercito iracheno non è in grado di riprendere i territorio occupati dagli insorti sunniti. A dirlo è il capo di Stato maggiore, generale Martin Dempsey, gli fa eco il segretario alla Difesa Chuck Hagel, che ha parlato alla stessa conferenza stampa al Pentagono confermando l'invio dei 200 consiglieri militari Usa che stanno valutando la situazione. Il capo militare ha ribadito  che gli Stati Uniti non si faranno coinvolgere nelle operazioni di combattimento, così come preannunciato dal presidente Barack Obama.

Ma l'Iraq resta diviso. Lacerato dalla violenza settaria. Per un governo di unità sarebbe necessaria la partecipazione dei curdi, che invece vanno avanti per la loro strada, pronti a chiedere l'indipendenza. La regione curda semi-autonoma nel nord dell'Iraq per anni ha minacciato di separarsi dal resto del Paese. Ora, con la rivolta sunnita e le battaglie a Bagdad, i politici curdi dicono sia arrivato il momento: l'Iraq è già diviso lungo linee settarie ed etniche. "Il Paese è diviso. Abbiamo una nuova realtà" ha detto da Washington Fuad Husseincapo di gabinetto del presidente regionale curdo Massoud Barzani.

La situazione è incandescente.
L'esercito iracheno ha smentito di aver ordinato il ritiro di migliaia di soldati dalla zona di confine con l'Arabia Saudita. "Questa è una notizia falsa che ha lo scopo di colpire il morale della nostra gente e dei nostri eroici combattenti", ha affermato il portavoce delle forze armate irachene, il generale Qassim Atta. La frontiera con l'Arabia Saudita - ha assicurato - è "totalmente sotto il controllo" delle guardie irachene.

Stamani la tv saudita ha annunciato che Riad ha dispiegato 30mila soldati al confine con l'Iraq dopo che le truppe irachene hanno abbandonato le loro postazioni, lasciando le frontiere con l'Arabia Saudita prive di protezione. La stessa emittente aveva diffuso un video nel quale alcuni soldati con l'uniforme dell'esercito iracheno testimoniano di aver ricevuto l'ordine dai vertici militari di ritirarsi dalle zone di confine con i due paesi, senza che fosse fornita loro alcuna motivazione.

Obama e il re saudita. La "attuale situazione in Iraq e la minaccia che lo Stato Islamico in Iraq e in Levante pone all'Iraq e all'intera regione" è stata al centro di un colloquio telefonico tra il presidente Obama e re Abdullah di Arabia Saudita. Nel corso della telefonata, Obama e Abdullah "hanno ribadito la necessità che i leader iracheni procedano in maniera spedita per formare un nuovo governo in grado di unire tutte le diverse comunità irachene", si legge in una nota. Obama ha anche rivolto un invito alla responsabilità dei leader arabi sunniti e curdi, chiedendo loro di contribuire alla rapida formazione di un governo di unità nazionale a Bagdad per fronteggiare all'offensiva jihadista dell'Is.

Scontri vicino a Bagdad. Mentre è di 130 uccisi il bilancio degli scontri armati verificatisi nelle ultime ore a Karbala, città santa irachena 100 km a sud di Bagdad, tra forze di sicurezza e miliziani seguaci di un leader religioso ostile al governo filo-iraniano del premier Nuri al Maliki. I combattimenti erano scoppiati ieri tra le forze lealiste e miliziani dello shaykh Mahmud Sarkhi. Quest'ultimo è stato arrestato assieme a 350 suoi seguaci. Mentre 125 miliziani a lui fedeli son stati uccisi, secondo fonti governative irachene. Una cinquantina di infermiere indiane provenienti dallo Stato meridionale di Kerala sono state prelevate contro la loro volontà dall'ospedale di Tikrit in Iraq, città attualmente sotto il controllo dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isil). Ne ha dato notizia il portavoce del ministero degli Esteri indiano Syed Akbaruddin, evitando però di indicare il responsabile di questa azione. A una domanda circa un possibile rapimento delle donne, Akbaruddin ha risposto: "in zone di conflitto non c'è libertà.
 

 


Liberati camionisti turchi rapiti in Iraq. In serata è stata confermata la notizia che 32camionisti turchi, tenuti in ostaggio da giugno in Iraq dagli jihadisti dell'Is, sono stati liberati e consegnati alle autorità turche nel paese.

Usa rafforzano gli aeroporti. Gli Stati Uniti hanno comunque annunciato il rafforzamento delle procedure di sicurezza negli aeroporti internazionali con voli diretti verso gli Usa per il timore che militanti di al-Qaeda in Siria e Yemen stiano sviluppando bombe che possano essere nascoste sugli aerei. Le misure riguarderebbero aeroporti in Europa, Africa e Medio Oriente, ma non ne è stato diffuso un elenco.

Misure che vengono prese anche in vista della ricorrenza del 4 luglio. Secondo fonti della sicurezza nazionale, membri di al-Nusra in Siria e di al-Qaeda nella Penisola Arabica stanno collaborando per la realizzazione di esplosivi che possano superare i normali controlli. Preoccupano anche i recenti successi militari dello Stato islamico in Iraq e Siria che può contare su un crescente numero di militanti dall'America e dall'Europa che possono avere facile accesso a voli diretti negli Usa.

Ieri il leader dell'Is al-Baghdadi aveva rivolto un appello ai musulmani di tutto il mondo per venire a combattere sotto la sua bandiera e aveva minacciato gli Stati Uniti parlando di un attacco peggiore dell'11 settembre.

Uganda, allarme all'aeroporto. Uno specifico allarme è stato lanciato oggi per l'aeroporto Entebbe in Uganda, secondo quanto ha comunicato il Dipartimento di Stato americano. L'ambasciata degli Stati Uniti a Kampala, in Uganda, ha ricevuto dalle autorità locali "informazioni" riguardo ad un possibile attacco all'aeroporto internazionale di Entebbe da parte di un gruppo terroristico sconosciuto, oggi, 3 luglio, tra le ore 21 e le ore 23 (ora locale)".

MAPPA La cartina del califfato "immaginato"

L'Is conquista impianto petrolifero siriano. Proprio oggi i ribelli dell'Is - come rende noto l'Osservatorio siriano dei diritti dell'uomo - hanno conquistato al-Omar, il più grande impianto di estrazione di petrolio della Siria, fino ad oggi nelle mani di altri gruppi ribelli anti-Assad. E nuovi gruppi di ribelli annunciano il proprio giuramento di fedeltà ad al-Baghdadi, al Califfato e allo Stato Islamico.

 

Che cos'è l'Isis, il gruppo jihadista che minaccia l'Iraq e il mondo

Esecuzioni mostruose, un leader molto carismatico, risorse finanziarie abnormi: storia dello "Stato Islamico dell'Iraq e del Levante", l'organizzazione terrorista che avanza verso Bagdad, che persino Al Qaeda ha scomunicato e che in troppi hanno sottovalutato


 

 


 

Iraq, i miliziani dell'Isis fanno a pezzi la Storia :Ninive,Mosul,Nimrud minacciate di asfaltatura totale

A pochi chilometri da Mosul, la roccaforte dei fondamentalisti, si trova un'antica capitale dell'impero assiro: Ninive. Già colpita e saccheggiata durante la guerra con gli Stati Uniti, ora è nelle mani dei ribelli. Il cui capo, Al-Baghdadi, si sarebbe arricchito anche grazie al traffico di antichità

L'ISIS DIVENTA IS:Califfato, si combatte in Siria e in Iraq una sfera di influenza che comprende tutta l'Africa Centro-Nord,tutto il Medio Oriente fino all'Indo,tutta l'Asia Centrale,tutto il Caucaso fino a Volgograd,tutta la penisola balcanica fino a Vienna,tutta la penisola iberica....

 

 

Iraq, i miliziani dell'Isis fanno a pezzi la Storia :Ninive,Mosul,Nimrud minacciate di asfaltatura totale

A pochi chilometri da Mosul, la roccaforte dei fondamentalisti, si trova un'antica capitale dell'impero assiro: Ninive. Già colpita e saccheggiata durante la guerra con gli Stati Uniti, ora è nelle mani dei ribelli. Il cui capo, Al-Baghdadi, si sarebbe arricchito anche grazie al traffico di antichità

 
Il presidente degli Stati Uniti ha disposto l'invio di 300 consiglieri a Baghdad per aiutare il governo a impegnarsi in prima persona sul territorio contro l'avanzata dei miliziani jihadisti dell'Isil

 

CHE COS'E' L'ISIS ? PERCHE' MINACCIA ANCORA PIU' GRAVEMENTE IL COSI' DETTO MONDO OCCIDENTALE?? PERCHE' GLI USA COL CAPPELLO IN MANO VERSO GLI AYATOLLAH IRANIANI?? RISPONDE MASSIMO FINI DI MOVIMENTO ZERO

, L'ALA COMUNITARISTA MEDIEVALISTA ITALIANA. Massimo Fini viene accostato alla così detta destra terzoposizionista, in realtà è un pensatore anti-occidentale ed anti-imperialista che ripropone la società degli open field, dell'ereditarietà dei mestieri e della compartimentalizzazione societaria.

 

 

Iraq, al Maliki: "No a governo di unità" Uccise tre guardie di frontiera iraniane

Iraq, al Maliki: "No a governo di unità"
Uccise tre guardie di frontiera iraniane

Alleanza tra qaedisti Isis e siriani di al Nusra
Kerry in Kurdistan: "Aiutate Baghdad"

 

CHE COS'E' L'ISIS ? PERCHE' MINACCIA ANCORA PIU' GRAVEMENTE IL COSI' DETTO MONDO OCCIDENTALE?? PERCHE' GLI USA COL CAPPELLO IN MANO VERSO GLI AYATOLLAH IRANIANI?? RISPONDE MASSIMO FINI DI MOVIMENTO ZERO, L'ALA COMUNITARISTA MEDIEVALISTA ITALIANA. Massimo Fini viene accostato alla così detta destra terzoposizionista, in realtà è un pensatore anti-occidentale ed anti-imperialista che ripropone la società degli open field, dell'ereditarietà dei mestieri e della compartimentalizzazione societaria.

 

Quello che sta accadendo in Iraq, con questa avanzata irresistibile dell’Isis, alias Stato islamico dell’Iraq e del Levante, è un fenomeno che può cambiare la storia non solo di quella regione, ma anche dell’Occidente, nel senso che qui non siamo più a una guerra interna irachena tra Sunniti e Sciiti di cui non fregava niente a nessuno perché se la vedevano tra di loro. Questi dell’Isis, in realtà, sono una specie di internazionale del radicalismo islamico. Ci sono i Sunniti (la parte occidentale dell’Iraq), ma a questi si sono uniti gli islamici di altri Paesi, dalla Siria alla Somalia. E tra l’altro ci sono anche volontari europei. Ci sono 500 britannici, 300 francesi… Quindi l’obiettivo dell’Isis non è semplicemente quello di conquistare parte dell’Iraq, ma di muovere una guerra totale al mondo occidentale. Non è più una questione interna all’Iraq.
Questa situazione è paradossale: che cosa avevano fatto gli americani? Avevano creato questo governo fantoccio, come hanno fatto in Afghanistan, e avevano finanziato un esercito (a sua volta fantoccio). Infatti, di fronte all’avanzata dell’Isis si è immediatamente liquefatto, non opponendo alcuna resistenza. L’unica resistenza, adesso, la può fare l’Iran, mandando le sue truppe. Si creerebbe, così, questa alleanza curiosa tra Stati Uniti e l’odiato nemico di sempre, il pericolo numero uno, uno dei Paesi dell’asse del male: l’Iran. Gli Stati Uniti, dunque, hanno ottenuto un bel risultato… Ora si devono alleare con l’Iran, ma non è detto che ce la facciano a respingere l’Isis, perché questi sono infinitamente più motivati e poi, ripeto, stiamo parlando di una internazionale del radicalismo. Ci sono più o meno tutti. Manca la Turchia. La Turchia sta quieta e cauta, perché in questa avanzata l’Isis ha lasciato perdere i curdi dell'estremo nord-est iracheno, con cui non hanno contrasto, e infatti avanzano verso Baghdad, verso il centro-sud dell’Iraq. E la Turchia ha una enorme paura (da sempre) che i Curdi iracheni possano unirsi in una guerriglia con i curdi turchi, che sono 12 milioni di persone. E se si scatenano i curdi turchi la Turchia è fottuta. Per questo motivo gli americani per tanto tempo hanno massacrato i curdi, per interposta persona (Saddam Hussein). Proprio per impedire che l’indipendentismo curdo si espandesse anche in Turchia. C’è da tenere presente che i Curdi sono gli unici, veri, che avrebbero diritto a avere uno Stato, perché tutta quella zona lì si chiama Kurdistan (c’è dentro Iraq, Turchia, Azerbaijan,Armenia,Siria, Iran).
Il fatto, ripeto, è che l’Isis non incontra una resistenza da parte del esercito regolare, quello di al-Maliki. Perché i soldati non vogliono combattere e quando succede questo è l’inizio della fine. Un po’ come la Rivoluzione d’ottobre, dove lo Zar continuava a mandare eserciti contro i rivoluzionari, che erano 4 gatti, e gli eserciti si liquefacevano durante il percorso. E’ quello che sta accadendo. Non c’è un vero esercito che difende, in questo momento, l’Iraq creato dagli americani, l’Iraq di al-Maliki.
Gli americani spostano navi, spostano droni, ma questa gente tu la puoi fermare solo con battaglie di terra e gli americani non sono in grado di fare battaglie di terra, perché non hanno le palle per fare le battaglie di terra. Possono essere equipaggiati come vogliono. Ecco perché è necessario un intervento iraniano, perché loro a fare la guerra come si deve sono abituati, l’hanno fatta per 10 anni contro Saddam Hussein. Pensare di poter fare la guerra solo con i droni e con l’intelligence o con gli aerei, non è pensabile in una situazione di questo genere. E poi gli americani non possono permettersi altri morti dopo l’impressionante numero di vittime in Afganistan (anche se i numeri occultati).
Tutto, insomma, dipenderà dallo scontro, da chi vincerà lo scontro tra Isis e Iran. L’Iran è un Paese molto strutturato, però non è una brigata internazionale, quindi difficilmente controllabile e non facilmente battibile. E poi continua ad appropriarsi delle armi che altri lasciano, quindi continua a rafforzarsi.
Bisognerebbe chiedersi perché si è arrivati a questa situazione. L’Iraq è un paese creato cervelloticamente dagli inglesi nel 1930, che hanno messo insieme queste tre comunità che non c’entravano niente l’una con l’altra, e solo un dittatore feroce poteva tenerle insieme, cioè Saddam Hussein. Lungi da me difendere Saddamh, ma avere eliminato lui ha creato prima la guerra civile tra Sunniti e Sciiti, e oggi questa (che è assolutamente nuova) di queste brigate internazionali che qualcuno definirebbe del terrore. Sono radicalisti islamici che hanno le palle piene dell’occidente, oltre che degli Sciiti, perché sono Sunniti.
La mia idea è sempre stata che la guerra ha una sua ecologia, se vai a metterci il dito crei sempre sconquassi peggiori di quelli che volevi evitare. Certe situazioni hanno un loro senso, penso alla Libia, tu hai ucciso Gheddafi, con cui avevi fornicato fino al giorno prima e la Libia oggi è una terra totalmente ingovernata e ingovernabile, che diventa un pericolo per i francesi e per gli occidentali in generale, che l’hanno aggredita.

 


Bagdad: 'Stato islamico minaccia globale'
CHE COS'E' L'ISIS?

Foto Ecco i confini che immaginano gli jihadisti
Video "Nessun confine": la propaganda dei ribelli

Che cos'è l'Isis, il gruppo jihadista che minaccia l'Iraq e il mondo

Esecuzioni mostruose, un leader molto carismatico, risorse finanziarie abnormi: storia dello "Stato Islamico dell'Iraq e del Levante", l'organizzazione terrorista che avanza verso Bagdad, che persino Al Qaeda ha scomunicato e che in troppi hanno sottovalutato

 

Correva l'anno 2005 e Abu Bakr Al Baghdadi, il leader del gruppo terrorista "Isis" che sta terrorizzando l'Iraq e tutto l'Occidente, era in gabbia a Camp Bucca, un avamposto americano in Iraq a Umm Qasr, sul Golfo Persico. Al Baghdadi, accusato di attività terroristiche, era stato catturato dai soldati statunitensi. Poi, nel 2009, nel passaggio di consegne degli Usa, la base è andata sotto il controllo del governo iracheno. Che ha deciso di liberare Al-Baghdadi. Poco dopo, precisamente il 16 maggio 2010, Al-Baghdadi è diventato, ufficialmente, il leader del gruppo terrorista Isi (Stato Islamico dell'Iraq, allora braccio ufficiale di Al Qaeda), poi diventato Isis (o Isil), e cioè lo Stato Islamico dell'Iraq e della grande Siria (o del Levante).

Dal 2004 a oggi. Ma la storia dell'Isis, il gruppo di jihadisti sunniti che da settimane minaccia pericolosamente Bagdad e tutto l'Iraq, viene da più lontano. Il gruppo terrorista, famigerato per ferocia e crudeltà mostruose persino rispetto agli standard di Al Qaeda, è essenzialmente un prodotto della guerra in Iraq lanciata da Usa e Regno Unito nel 2003. La sua prima formazione, infatti, (seppur con un altro nome, "Jama'at al-Tawhid wal-Jihad", e cioè "l'organizzazione del monoteismo e del Jihad") risale al 2004 e si è formata, a leggere i suoi propositi, proprio in risposta all'intervento militare concepito dall'amministrazione di George W. Bush.

Le colpe del governo. L'Isis è, oggettivamente, anche il risultato delle politiche "esclusive" e per certi versi discriminatorie del premier sciita Nouri al Maliki e del suo governo, che non si è distinto per la sua apertura verso i curdi e soprattutto verso i sunniti iracheni (Saddam Hussein era sunnita, così come tutto l'apparato militare, storicamente). E questo ha lasciato campo aperto all'azione dei terroristi, che vogliono imporre un califfato tra Iraq e Siria in base a un'interpretazione ultraradicale della sharia, la legge islamica. Per raggiungere i risultati di oggi, è indubbio che l'Isis abbia avuto l'appoggio di una parte della popolazione sunnita nel nord-ovest nel paese, come dimostrano le conquiste degli ultimi tempi.

La guerra interna ad Al Qaeda. Ma l'Isis (o Isil) per come lo conosciamo, in realtà, nasce ufficialmente solo l'anno scorso. E nasce da uno scontro interno alla galassia di Al Qaeda, l'organizzazione di Osama bin Laden che ha perso peso nella galassia dell'estremismo islamico dopo la sua uccisione ad Abbottabad (Pakistan) e la flebilissima guida del suo vice, il medico egiziano Ayman Al Zawahiri. Negli ultimi tempi, durante la guerra civile in Siria, c'è stata una dura battaglia tra l'Isis e un altro gruppo jihadista, Jabhat al Nusra, il cui leader si chiama Abu Mohammed al-Golani e che è molto attivo contro Bashar Assad.

La frattura. Ma se al-Nusra è un braccio "ufficiale" di Al Qaeda, approvato ufficialmente da Al Zawahiri, lo stesso non si può dire dell'Isis. Negli ultimi mesi si era parlato anche di fusione tra le due organizzazioni, su pressione soprattutto di Al Baghdadi. Poi non se n'è fatto più nulla, per incomprensioni e litigi vari, anche perché Golani, il leader di Al Nusra, non ha voluto cedere il passo al più carismatico Al Baghdadi.

La scomunica di Al Qaeda. Di lì è stato scontro aperto, con una mezza scomunica di Al Zawahiri. Che, paradossalmente, non ha approvato alcune mosse considerate troppo efferate e spietate dell'Isis persino per un'organizzazione assassina come Al Qaeda. L'ordine di Al Zawahiri ad Al-Baghdadi (lasciare la Siria ad Al Nusra per concentrarsi esclusivamente sull'Iraq) è rimasto miseramente inascoltato. Perché, come dice il suo stesso nome, l'Isis vuole ricreare il grande Califfato del Levante. E questo, nei suoi piani, include anche la Siria. 

Minaccia sottovalutata. Ma l'Isis, nonostante il niet dell'erede di Bin Laden, non si è fermato. Ed ha proliferato, sempre di più, anche perché sottovalutato. Dalle autorità irachene, ma anche da quelle occidentali. Basti pensare che fino alla conquista di Mosul, che ha gettato nel terrore il Paese e il mondo intero, molti pensavano che l'Isis avesse "solo" tremila militanti. Anche quando lo scorso dicembre i terroristi hanno conquistato la strategica Falluja. Un errore madornale. Secondo alcune stime, oggi l'Isis può contare fino a 5mila miliziani solo in Siria, e altri 6mila in Iraq. Ben oltre le 10mila unità, dunque.

Le reclute straniere.
E qui spunta un'altra caratteristica fondamentale del mostro creato da Al-Baghdadi. Perché l'Isis, a differenza della stessa Al Nusra e altri gruppi terroristi che combattono in Iraq e Siria, ha un grande appeal tra i giovani stranieri (spesso occidentali): tutti (neo)musulmani convertitisi al jihad, che ora, secondo l'Economist, sono almeno 3mila nelle file dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante e che sarebbero pagati poche centinaia di dollari al mese. Secondo Peter Neumann del King's College di Londra, l'80 per cento dei combattenti stranieri in Siria sono passati con Al-Baghdadi.

Chi è Al-Baghdadi. Perché Al-Baghdadi, come si diceva, è un tipo molto carismatico. Di sicuro è nato a Samarra nel 1971. Il resto è un mistero. Il suo vero nome non lo sa nessuno. Pare sia Awwad Ibrahim Ali al-Badri al-Samarrai. Le prime foto che lo ritraggono sono uscite solo un paio di anni fa. Vanta un dottorato in studi islamici, ottenuto all'università di Bagdad molti anni fa. E i suoi miliziani lo dipingono come discendente diretto del Profeta Maometto. L'ascesa di Al-Baghdadi è cominciata dopo l'uccisione per mano americana di Abu Musab al-Zarqawi, allora nemico pubblico numero uno per Washington in Iraq.

 

La ferocia dell'Isis. Al-Baghdadi è la mente di numerose azioni terroristiche in Iraq (spesso suicide), come gli attacchi a Mosul nel 2011. Ed è famoso anche per la sua violenza e crudeltà verso i suoi nemici, come dimostrano i terribili video che circolano online da giorni ma che sono solo gli ultimi di una lunga serie: crocifissioni, decapitazioni, amputazioni. Su di lui gli Stati Uniti hanno posto una taglia da 10 milioni di dollari. Attualmente, solo la testa di un terrorista vale di più per Washington, ed è proprio quella del leader qaedista Al Zawahiri (25 milioni).

 

Iraq, Exxon ordina al personale di lasciare il Paese. L'Eni resta: "Monitoriamo la situazione"

L'escalation degli scontri in Iraq comincia a fare paura anche alle grandi compagnie petrolifere che operano nel Paese. La prima a lasciare è Exxon Mobil, una delle più grandi società energetiche americane, che ha ordinato un'evacuazione totale del proprio personale. A comunicarlo è stato il capo della compagnia di Stato irachena South Oil Company, Dhiya Jaffar. Gli inglesi di BP, ha riferito Jaffar, avrebbero preso una decisione analoga per il 20% dei propri dipendenti sul territorio. Si tratta del primo importante disimpegno delle compagnie anglo-americane dai tempi della seconda guerra in Iraq, nel 2003. Al momento è solo il primo segnale, ma sembra che la fuga delle compagnie sia la nemesi storica dell'ultima guerra in Iraq: si torna al punto di partenza, con i pozzi non più nelle mani anglo-americane. "È un messaggio che non ci piace. Pensiamo che il lavoro non possa essere fatto distanza, dovrebbero rimanere qui sul campo", ha spiegato Jaffar alla Reuters. "Posso garantire alle compagnie che gli attuali sviluppi nel Paese non hanno influenzato né influenzeranno in alcun modo le operazioni nel Sud".

Diversa, per il momento la posizione di altre imprese come Eni, Schlumberger, Weatherford e Baker Hughes che per il momento non hanno ancora dato disposizioni al proprio personale. Forti anche del fatto che i loro impianti si trovano nella parte meridionale del Paese, sulla quale il governo mantiene ancora il controllo.

Per la compagnia italiana, attiva soprattutto nel giacimento di Zubair, nei pressi di Bassora, nessun ordine di evacuazione. "Finora non c'e' stato alcun incidente, ma c'è la massima attenzione per la sicurezza", ha spiegato ieri l'amministratore delegato Claudio Descalzi. "Siamo attenti, stiamo monitorando la situazione, dove siamo anche con altre societa' come Shell, nel sud del Paese". "La sicurezza del nostro personale è la nostra priorità e continuiamo a monitorare da vicino la situazione in Iraq. Al momento, la Regione di Bassora dove è sito il giacimento di Zubair non è colpita dalle rivolte e stiamo tenendo sul luogo il personale essenziale" ha dichiarato oggi un portavoce di Eni.

WASCHINGTON tenta la carta droni ma il labirinto iracheno ormai è fuori controllo

L'abilità sorprendente delle forze militari dell'ISIS (Islamic State of Iraq and Syria) nel conquistare diverse città irachene la dice lunga più sulla debolezza sconcertante e sulle divisioni interne all'Iraq, che sul valore militare dell'ISIS. Tuttavia non siamo ancora davanti a un'apocalisse jihadista. L'ISIS come forza militare strategica in Iraq non è ancora da temere. Bisogna piuttosto avere paura della diserzione ideologica di un gran numero di Sunniti, che non combatteranno più per uno stato che non vedono più come proprio.

Le ragioni per l'allontanamento dei Sunniti sono ben note. Sono stati i maggiori perdenti dopo che gli Stati Uniti invasero l'Iraq nel 2002, rovesciando il regime di Saddam Hussein, distruggendo il partito al governo di Ba'th - il baluardo del controllo sannita - e smantellando l'esercito iracheno. La maggioranza sciita, prima oppressa, prese il potere determinata a non essere più lasciata nelle retrovie politiche. Gli Iracheni sunniti capeggiarono la resistenza armata contro la decennale occupazione statunitense. In un paese governato da fieri sentimenti di nazionalismo, persino i secolari ex seguaci del partito di Ba'th si unirono alla causa dei Sunniti Islamici e dei jihadisti per espellere gli occupanti statunitensi. E ora stiamo andando incontro al tornando della distruzione.

Il Primo Ministro sciita Nouri al-Maliki avrebbe potuto costruire il consenso nazionale su un più ampio nazionalismo iracheno, ma il nuovo ascendente sciita ha sempre avuto paura che i Sunniti provassero a rovesciare il potere politico e raggiungessero il massimo potere di nuovo. Il disprezzo aperto dell'Arabia Saudita nei confronti del nuovo potere sciita a Baghdad ha rinforzato i timori di quel gruppo, in particoalre quando Riyadh ha supportato il partita radicale sunnita per deporre il regime di Asad (formalmente sciita) nell'adiacente Siria.

Maliki, nella sua paranoia e con il suo debole per il potere machista iracheno, ha in seguito allontanato i sunnii escludendoli dalle posizioni di potere a Baghdad. Il nuovo esercito iracheno divenne praticamente uno strumento del potere sciita che operava con un pugno di ferro nell'aerea sunnita. Oggi la presenza dei jihadisti sunniti permette a Maliki di collegare tutti i tipi di attivismo politico sunnita con il "terrorismo".

La maggior parte dei Sunniti iracheni non va pazzo per l'ideologia estremista e per le tattiche dell'ISIS e dei suoi predecessori jihadisti. Ma lo vedono anche allo stesso tempo come uno strumento chiave per la ristorazione del potere sunnita - se non per governare il paese, almeno per mantenere una forte voce tradizionalista al governo. Se la sorprendente crescita dell'ISIS disturba Maliki e il suo governo, meglio così, pensano i Sunniti - forse così Maliki ragionerà e adotterà un tipo di governo di più ampie vedute. Nel frattempo, le operazioni dell'ISIS costituiscono le basi per una maggiore supremazia sunnita su scala regionale - nella quale sta emergendo come una struttura probabilmente tripartita e federalista degli Arabi sunniti, degli Arabi sciiti e delle regioni curde - l'unico modo con il quale l'Iraq possa sopravvivere intatto fino al prossimo futuro.

In nessun modo Washington dovrebbe intromettersi di nuovo in questa agonia irachena. Gli Stati Uniti hanno già distrutto le infrastrutture economiche, politiche e sociali dell'Iraq, trasformandolo in uno stato anarchico in mano ai clan. Noi Occidentali proviamo a negare le tragiche conseguenze delle nostre azioni alzando le spalle con la scusa che gli iracheni sono, dopo tutto, "sempre divisi in tribù". Ma a chi ti rivolgi quando la distruzione del tuo paese fa scoppiare il finimondo? La maggior parte delle persone ritorna alle proprie identità sociali primarie - i loro clan, tribù, gruppi faziosi o regionali - le sole che possano proteggerli dall'anarchia e dai nemici. Non c'è più uno stato che possa assicurare protezione. E tu non hai il coraggio di affidare la tua sicurezza a uno stato nuovo e ancora da mettere alla prova.

Di fatto ci sono due giocatori regionali con un minimo di prestigio e credibilità nella regione: la Turchia e l'Iran. Mantengono una modesta rivalità. Ma la Turchia non cerca di diventare "campione dei Sunniti". Né l'Iran cerca semplicemente di essere "campione degli Sciiti". Gli Sciiti iracheni sono grati per il supporto iracheno nel tempo di crisi, ma sono un popolo arabo antico e orgoglioso; non sono Iraniani e resisteranno agli sforzi iraniani di dominarli. Sia la Turchia che l'Iraq condividono evidentemente il desiderio di un Iraq unito sotto un certo equilibro di fazioni. Né la Turchia né l'Iran vogliono che i jihadisti comandino l'Iraq, o anche solo le regioni sunnite. La Turchia vuole un maggiore riconoscimento dei diritti dei Sunniti iracheni. Al momento l'Iran vuole la stessa cosa - una volta che la minaccia jihadista sarà passata - perchè un Iraq instabile rotto dalla guerra civile non serve neppure agli interessi iraniani.

Il potere regionale più distruttivo al momento è l'Arabia Saudita con i suoi satelliti che foraggiano i jihadisti estremisti sunniti sia in Siria che in Iraq. La sua politica evidentemente faziosa ha tutto a che vedere con la geopolitica del Golfo e poco con lo sciismo in quanto tale: l'Iran sarebbe un rivale dell'Arabia Saudita anche se fosse sunnita fino al midollo.

L'Iraq, forse, con l'aiuto dei suoi due vicini, deve venire a patti con la sua crisi interna. Può farlo; la divisione in fazioni come scelta di governo non sta scritta sulla pietra da nessuna parte. La forte identità faziosa al momento riflette le insicurezze e le paure di una società complessa nel caos e in piena transizione politica e sociale. L'intervento degli Stati Uniti, già una volta disastroso, può solo rimandare il giorno in qui gli Iracheni dovranno venire a patti con sé stessi. Non possiamo sistemarlo noi. Al di là delle immagini televisive dell'ISIS, la soluzione del problema appartiene allo stato iracheno più che a noi.

 

STATI UNITI COL FIATO CORTO: PER COMBATTERE L'AVANZATA DELL'ISIS PRONTI AD ACCORDI COL NEMICO SECOLARE IRAN !!!!

Una svolta clamorosa in Medio Oriente dove il disastroso ritiro statunitense nell'Iraq occupato per otto lunghi anni ha dato il vio alla "reconquista" SUNNITA-JIADISTA erede diretta dell'Al Queida di Al-Zarkawi.
La notizia diffusa dal Wall Street Journal parla di possibili incontri già questa settimana a Vienna. Il numero due della diplomazia americana è partito per la capitale austriaca.
WASHINGTON - Gli Stati Uniti si stanno preparando ad aprire un dialogo diretto con l'avversario di sempre, l'Iran, sulla sicurezza in Iraq e su un possibile intervento militare congiunto per respingere i militanti sunniti che hanno preso possesso di vaste aree del paese e stanno ora puntando sulla capitale, Bagdad. Lo riferisce il Wall Street Journal.

Citando alti funzionari americani, il giornale ha specificato che gli incontri sono previsti per questa settimana.

I militanti dello Stato Islamico dell'Iraq e il gruppo Levante hanno invaso le città della valle del Tigri a nord di Baghdad nei giorni scorsi, ma sembra abbiano fermato la loro avanzata nei pressi della capitale.

Funzionari Usa hanno precisato di non sapere quale canale diplomatico l'amministrazione Obama potrebbe utilizzare per discutere di Iraq con l'Iran. Una possibilità era attraverso Vienna, scrive il Wall Street Journal, dove sono state programmati incontri tra alti funzionari americani e iraniani e di altre potenze mondiali per negoziare i limiti dello sviluppo nucleare di Teheran.

Il Dipartimento di Stato ha confermato che il numero due del corpo diplomatico del governo, il vice segretario di Stato Bill Burns, si recherà a Vienna questa settimana per prendere parte ai colloqui.

Il senatore statunitense Lindsey Graham aveva rivelato, ieri, che Washington aveva bisogno del coinvolgimento dell'Iran per evitare un collasso del governo in Iraq e per questo era necessario avviare i colloqui con Teheran. "Stiamo probabilmente andando a cercare il loro aiuto per tenere Baghdad,"ha detto il senatore repubblicano del South Carolina alla CBS.

Intanto, il personale "non indispensabile" dell'ambasciata americana a Bagdad è stato fatto rientrare in patria, mentre le misure di sicurezza sono state fortemente intensificate.

Ucraina, Iraq, Siria, il Consiglio supremo di Difesa: "Peggiora la situazione internazionale"

"Nel corso di questi mesi, la situazione internazionale ha mostrato preoccupanti segni di peggioramento. La crisi ucraina, la crescente instabilità della Libia, i progressi dell'estremismo islamico nell'Africa sub-sahariana, la recente offensiva jihadista sunnita in Iraq e il perdurare del conflitto in Siria potrebbero determinare mutamenti radicali per la sicurezza dell'europa e del nostro paese". È quanto si legge nella nota diffusa dopo la riunione del Consiglio supremo di Difesa presieduta dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al Quirinale.

"È ormai evidente - prosegue la nota - che ogni stato fallito diviene inevitabilmente un polo di accumulazione e di diffusione globale dell'estremismo e dell'illegalità ed è quindi fondamentale sostenere, preventivamente e in fase ricostruttiva, le strutture istituzionali dei paesi aggrediti o a rischio, per metterle in grado di garantire l'ordine e il rispetto della legge".

Per il Consiglio supremo di Difesa "gli scenari di crisi, la gravità e complessità dei problemi e delle sfide che sono dinanzi alla comunità internazionale rendono assolutamente prioritaria l'esigenza di sostenere il dialogo volto a individuare idonee soluzioni politiche e diplomatiche alle questioni sul tappeto".

In tal senso, "l'Italia si è mossa e intende muoversi cogliendo nuove opportunità di avvicinamenti e intese che si sono di recente manifestate in rapporto ad alcune delle situazioni più critiche. Nello stesso tempo, sarà necessario portare al più presto a compimento il profondo processo di rinnovamento, riorganizzazione su basi interforze e integrazione multinazionale intrapreso per rendere lo strumento militare più pronto ed efficace nei confronti delle effettive minacce da fronteggiare, considerate realisticamente le limitate risorse finanziarie a disposizione".

 

 

Armi e soldi. L'apparato sanguinario che dirige Al-Baghdadi è ben equipaggiato, spesso con armi rubate agli americani, e si finanzia con numerose azioni illegali, quali contrabbando e sequestri. Lo scorso febbraio l'Isis ha spodesdato Al Nusra dalla riserva di gas di Conoco, a Deir Ezzor, in Siria: solo questo giacimento, secondo alcuni analisti, frutta ai terroristi molte decine di migliaia di dollari a settimana. Ma non solo. Il premier Al Maliki ha accusato i sauditi e altri stati del Golfo come il Qatar (che sono wahabiti, cioè una branca del sunnismo radicale) di finanziare l'Isis e altri gruppi terroristi contro i governi sciiti (come in Siria, anche se Assad è alawita, una setta sciita).

"Il gruppo jihadista più ricco al mondo". A questo proposito, qualche giorno fa è passata praticamente inosservata una notizia che potrebbe rilevarsi devastante per il futuro dell'Iraq e dell'intera lotta al fondamentalismo islamico. Durante l'ultima battaglia di Mosul, ricca di pozzi di petrolio, poi conquistata dai terroristi, l'Isis ha sottratto (secondo il racconto del governatore dell'istituto e alcuni media locali) 429 milioni di dollari durante l'assalto alla sede della Banca Centrale, oltre a un gran numero di lingotti d'oro. Il solo denaro rubato, secondo alcune stime, potrebbe fornire i fondi necessari per reclutare 60mila terroristi all'alto salario di 600 dollari al mese. E l'Isis, a questo punto, rappresenterebbe l'organizzazione jihadista più ricca del mondo. Diventando davvero una minaccia globale, come lo è stata Al Qaeda. Basti pensare che Mehdi Nemmouche, l'uomo accusato del recente attentato al museo ebraico di Bruxelles, quando è stato arrestato in Francia aveva con sé proprio una bandiera dell'Isis.

Wadie Haddad, conosciuto anche con la kunya Abū Hani (in in arabo: وديع حداد; Safad, 1927 Berlino, 28 marzo 1978), è stato un attivista palestinese. Wadīʿ Ḥaddād fu attivo in particolare negli anni sessanta e settanta del XX secolo, essendo coinvolto in numerosi attacchi terroristici.

Nato da genitori greco-ortodossi a Safad, nel nord di quello che è oggi Israele, si trasferì in Libano con la famiglia a seguito della Guerra arabo-israeliana del 1948. Studiò medicina presso l'Università americana di Beirut dove conobbe George Habash, anch'egli un rifugiato palestinese. Assieme collaborarono a fondare il Movimento Nazionalista Arabo (MNA), un gruppo panarabo ed arabo-socialista che mirava a liberare i territori palestinesi da Israele.

Dopo la laurea si trasferì assieme a Habash ad Amman, in Giordania, dove aprirono una clinica. Nel 1956 Haddad collaborò con Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione (UNRWA), ma nel 1957 venne arrestato dalle autorità giordane a causa nel suo attivismo in favore del nazionalismo palestinese. Nel 1961 provò a fuggire in Siria. Dal 1963 in avanti, Haddad sostenne la resistenza armata contro l'occupazione sionista, e riuscì a portare a termine la militarizzazione del Movimento Nazionalista Arabo.

In seguito alla Guerra dei sei giorni del 1967, l'ala palestinese del MNA si evolse in un Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), di stampo socialista, sotto la guida di Habash. Haddad divenne il comandante dell'ala militare del gruppo, responsabile dell'organizzazione di attacchi diretti contro obbiettivi israeliani. Questi fu determinante nella pianificazione del primo dirottamento aereo, condotto dal FPLP nel 1968, quando un aeromobile dell'El Al venne costretto ad atterrare ad Algeri. Nonostante le critiche mosse al FPLP dall'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) per questo tipo di azioni, Haddad continuò a giustificarle, proseguendone l'organizzazione e l'attuazione.

Nel 1970 vennero organizzati i Dirottamenti di Dawson's Field, una serie di dirottamenti quasi simultanei che si concluse con l'arrivo di tre aerei passeggeri in Giordania, e con il fallimento di una quarta operazione a Londra, dove venne arrestata la militante Leila Khaled. Soprattutto questi quattro dirottamenti si inserirono nella serie di eventi che culminò con il drammatico Settembre nero in Giordania.

In seguito all'espulsione dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina dal regno giordano, Haddad fu aspramente criticato anche all'interno del FPLP, che era a sua volta sottoposto a forti pressioni dal resto dell'OLP. Nonostante gli fosse stato ordinato di interrompere le operazioni contro obbiettivi al di fuori di Israele, Haddad continuò comunque la propria azione sotto il nome di Fronte Popolare di Liberazione della Palestina - Operazioni Esterne (FPLP-OE), motivo per il quale nel 1973 venne espulso dal FPLP.

Haddad si servì inoltre della collaborazione di Ilich Ramírez Sánchez, meglio conosciuto come "Carlos lo sciacallo", un terrorista venezuelano che aveva conosciuto nel 1970, e che aveva istruito nelle tecniche di guerriglia. Nel 1975, Sánchez venne espulso dall'organizzazione di Haddad, con l'accusa di non aver proceduto all'esecuzione di due ostaggi, o non averne ottenuto un eventuale riscatto. Nel giugno 1976 Haddad organizzò il dirottamento di Entebbe.

Wadie Haddad morì il 28 marzo 1978 a Berlino Est, capitale dell'allora Repubblica Democratica Tedesca. Secondo una ricostruzione, venne eliminato da alcuni agenti del Mossad, che gli recapitarono una tavoletta di cioccolata infettata da un agente biologico che lo condusse alla morte nell'arco di un mese[1]. Con la sua scomparsa si dissolse ciò che era rimasto del FPLP-OE, la cui eredità venne raccolta dall'Organizzazione "15 maggio per la liberazione della Palestina", e dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina - Comando Speciale (FPLP-CS), oltre che dallo stesso "Carlos" (gruppo Separat).

Secondo l'archivista del KGB, Vasilij Nikitič Mitrochin, nei primi anni settanta Haddad venne reclutato come agente dei servizi segreti sovietici, col nome in codice NATSIONALIST. Da lì in poi Mosca fornì finanziamenti ed armi al FPLP, venendo avvertita in anticipo circa le operazioni principali, tra cui i dirottamenti aerei del 1970, che molto probabilmente vennero autorizzate dallo stesso KGB.

È da sottolineare come le rivelazioni di Mitrochin non siano universalmente accettate come una fonte attendibile.

Negli archivi sovietici venne in seguito ritrovata da Vladimir Bukovsky una lettera di Jurij Andropov, che presumibilmente confermerebbe il ruolo di Haddad come agente al servizio del KGB[2]

 

 

           L'Argentina è in default: salta l'accordo sul debito

 

 

IL FRONTE UCRAINO SECONDO IL COMUNITARISTA MEDIEVALISTA MASSIMO FINI

Ucraina, si combatte a Donetsk. Carri armati russi al confine: Kiev accusa Mosca

Accade nella roccaforte dei separatisti filorussi per la prima volta dalla firma del cessate il fuoco il 5 settembre. Tregua a rischio. Ocse preoccupata

DONETSK - Tornano a soffiare venti di guerra nell'Ucraina orientale, dove è sempre più precaria la fragile tregua tra Kiev e separatisti filorussi. L'Osce intanto si dice preoccupata dopo l'arrivo nelle regioni ribelli di una decina di carri armati e una colonna di 40 mezzi, carichi di uomini e pezzi di artiglieria. "Vengono dalla Russia", accusano gli ucraini.
Quel che è certo è che Donetsk è di nuovo sotto le bombe e che nelle ultime 48 ore è ripreso un intenso fuoco di artiglieria.

I bombardamenti sono ricominciati all'indomani delle "elezioni" del 2 novembre a Donetsk e Lugansk, un voto "illegale" per l'Occidente e che invece Mosca considera "valido" a tutti gli effetti. Secondo alcune fonti, un colpo di artiglieria sarebbe caduto a poca distanza dall'ufficio di Alexander Zakharchenko, il leader di Donetsk eletto domenica, che è rimasto illeso.

I combattimenti, pur se di minore intensità rispetto al passato, sono ripresi anche nella zona dell'aeroporto, teatro della vera e propria battaglia tra le forze rivali che tentano di conquistarlo da giugno. I testimoni parlano di continui scambi di colpi, da una parte e dall'altra.

Il presidente di turno dell'Osce, il ministro degli Esteri svizzero Didier Burkhalter, si è detto "fortemente preoccupato dalla recrudescenza delle violenze nell'est". Anche il capo della diplomazia europea, Federica Mogherini, ha espresso preoccupazione per quello che ha definito uno "sviluppo molto inquietante".

Il presidente ucraino Petro Poroshenko, dal canto suo, ha accusato i ribelli di aver "stracciato" l'intesa che ha portato a firmare il cessate il fuoco, il 5 settembre, e ha inviato rinforzi militari nelle città nei pressi delle regioni ribelli per fronteggiare una possibile avanzata. Sembra profilarsi anche l'annullamento del decreto che ha assicurato ai separatisti il riconoscimento di un'autonomia parziale da Kiev.

Sul piano diplomatico, il neo ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, ha rilanciato l'appello al dialogo. "Non possiamo illuderci che le sanzioni facciano cambiare posizione politica a Putin", ma bisogna "tenere aperti tutti i canali diplomatici" con Mosca. L'Italia ha svolto un ruolo importante nell'applicazione delle sanzioni, "che hanno avuto un peso per l'economia russa", ma "l'Europa deve graduare le reazioni con la Russia". "Dobbiamo essere molto esigenti", ha sottolineato il ministro, ma anche "tenere il dialogo aperto".

Ucraina, in vigore la ‘lustracija’: “Epurato 1 milione di funzionari vicini a Yanukovic”

Poroshenko ha firmato il 6 ottobre la legge che prevede l'allontanamento dagli uffici pubblici di funzionari e impiegati ritenuti compromessi con il vecchio presidente filorusso: secondo il premier Yatseniuk, il provvedimento riguarderà un milione di persone. La primissima ondata della purga riguarderebbe il corpo ufficiali delle guardie di frontiera: gia’ almeno in 100 sarebbero stati sollevati dall’incarico

Il presidente Petro Poroshenko ha firmato: la lustracija, la “lustrazione popolare“, la legge che prevede l’allontanamento dagli uffici pubblici di funzionari e impiegati legati ritenuti compromessi con il vecchio presidente filorusso Viktor Yanukovich, è in vigore. Venerdi’ scorso Poroshenko ha confermato sulla sua pagina Facebook di avere firmato la legge, che – secondo il premier Arseny Yatsenyuk, può riguardare sino a un milione di persone: “La lustracija comincerà! Le istituzioni verranno ripulite dagli agenti del Kgb e dagli alti gradi del Partito delle Regioni dell’ex presidente Yanukovich”, ha precisato il capo dello Stato ucraino.

Il provvedimento impedirà ai funzionari pubblici dell’epoca di Yanukovich di ricoprire cariche negli organi del potere statale per dieci anni. A essere colpito è chi ha ricoperto un incarico statale almeno per un anno nel periodo dal 25 febbraio 2010 al 22 febbraio 2014. Lo stesso Poroshenko è stato ministro del Commercio e dello Sviluppo economico sotto Yanukovich, anche se per meno di un anno: dal marzo al dicembre del 2012.

Il provvedimento colpisce inoltre a scoppio ritardato chi abbia lavorato negli organi dirigenti del partito comunista ucraino in epoca sovietica, e collaborato con il Kgb o con i servizi segreti militati Gru ai tempi dell’Urss, ma anche chi si sia laureato nelle scuole speciali del Kgb sovietico (tranne chi ha conseguito lauree tecniche). Secondo l’ufficio stampa della presidenza ucraina, la legge “stabilisce le basi giuridiche e organizzative del controllo dei funzionari pubblici” allo scopo di “ristabilire la fiducia nel potere e creare le condizioni per costruire un nuovo sistema degli organi del potere in conformità agli standard europei”.

Lustracija” era stata la parola d’ordine della rivolta di piazza Maidan: a febbraio, quando, con la caduta di Viktor Yanukovich, l’opposizione fresca di vittoria ha chiesto subito al governo del premier Arseni Yatseniuk di spazzare via tutto l’apparato politico e amministrativo che ha sostenuto per anni l’ex presidente. Da maggio anche a Petro Poroshenko dalla piazza e dalle ali più radicali in parlamento è stata rivolta la richiesta di promuovere una legge per allontanare dall’apparato politico ed amministrativo i funzionari legati al vecchio regime.Il Parlamento ucraino aveva approvato in seconda lettura il testo lo scorso 16 settembre. A favore avevano votato 231 deputati su 450, secondo l’agenzia Interfax, 235 secondo Itar-Tass. Davanti al parlamento una folla di nazionalisti minacciava di intervenire bruciando pneumatici se la legge non fosse stata approvata.

La primissima ondata della purga riguarderebbe il corpo ufficiali del servizio delle guardie di frontiera: gia’ almeno 100 persone sarebbero state sollevate dall’incarico, tutti della fascia alta del corpo ufficiali. La lustracija è così cominciata, proprio alla vigilia delle elezioni parlamentari, alle quali parteciperanno comunque molti dei deputati legati al vecchio Partito delle regioni di Yanukovich. Resta da vedere come proseguirà dopo il 26 ottobre.

 


Bisogna fare una premessa: esisteva fino a un quindicennio fa un principio di diritto internazionale che proibiva l’intervento militare nelle vicende interne di uno stato sovrano, era un principio abbastanza ragionevole, a mio avviso, per non creare una situazione di guerra di tutti contro tutti, questo principio fu sfondato dagli americani con intervento in Kosovo.
Dopodiché è un po’ difficile accusare la Russia di essersi annessa la Crimea, perché naturalmente il Kosovo con gli americani non c’entrava assolutamente niente. La Crimea era ed è una regione russofona che era stata data da Chruščёv all’Ucraina, ma la cosa aveva senso all’interno di una Unione Sovietica Federale, non aveva più senso in una situazione del genere.
Non si possono quindi muovere particolari rimproveri alla Russia per essersi annessa alla Crimea, perché in realtà è la stessa gente, tra l’altro il Presidente regolarmente eletto dell’Ucraina, che era filo russo, Yanucovich, è stato abbattuto da una più o meno rivolta di piazza, insomma, quindi questo cambiava tutti i termini della questione, quindi i russi di Crimea si sono ribellati e sono tornati alla Russia, insomma, questa è diciamo la base del discorso.
Il problema ucraino è che l’Ucraina è divisa in due parti, una parte sono filo europei, diciamo "tedeschi",polacchi, non so, dall’altra invece ci sono russi che poi dal punto di vista storico, per quello che vale ancora gli uni erano favorevoli al nazifascismo e gli altri erano filocomunisti, queste cose poi nella storia ritornano, quindi l’Ucraina in realtà è un Paese a metà, che probabilmente in una situazione più tranquilla potrebbe dividersi in due, come è stato in Cecoslovacchia, c’era la Cechia e la Slovacchia, due realtà diverse, però si sono divise pacificamente.
Lì è un po’ più difficile, perché poi ci sono gli interessi delle grandi potenze, della Russia, dell’Europa, io però penso che tutto finirà con un compromesso pacifico, perché gli interessi economici di tutte e due le parti, Russia e Europa, sono troppo grandi, per metterli in discussione, come si sa la Russia fornisce il gas all’ Europa, però ha anche bisogno dell’Europa per ragioni di mercato, quindi non credo che i veri pericoli vengano da quella situazione, arriveranno a un compromesso, comunque.
La Russia, a questo punto, una volta avuta la Crimea, etc., tiene un atteggiamento piuttosto prudente, su questa cosa fa un po’ di voce grossa, ma neanche tanto, alla fine accetterà di sicuro.
L’interesse dell’Unione Europea è minore secondo me dell’interesse americano che c’è, comunque, alle spalle, anche se Obama è un sior tentenna, ad allargare il più possibile la parte occidentale di quella che un tempo era la cortina, la divisione, cioè arrivare il più possibile vicino ai confini dell’ex-Unione Sovietica, infatti poi la grande discussione e diatriba tra Russi e Americani è stata proprio sul fatto che gli americani volevano mettere lo scudo lì con la scusa che serviva non si sa bene a combattere il terrorismo, ma in realtà serviva solo a contenere la Russia.
Quindi vedo più che interessi europei in questo caso qui Interessi Americani sì.
Nel senso proprio geopolitico in questo caso, non economico.
La Russia si può ritenere appagata di quello che ha avuto, l’Europa anche, resta aperto il problema di quali sono i confini dell’occidente, da quella parte, e quali sono i russi; su questo ci si scontrerà ancora.
La chiave per risolvere il conflitto è economica, cioè che la Russia continui a dare gas attraverso l’Ucraina e che l’Europa continui a investire in Russia e che ci sia un libero scambio tra Europa e Russia.
Siccome ripeto, oggi gli interessi economici valgono molto di più di quelli, come dire, ideali o nazionali o cose del genere, a questo si arriverà, una volta risolta la situazione della Crimea e di qualche zona di confine, non c’è più una vera materia del contendere.

L’Ucraina nella Nato è una di quelle cose che alla Russia darebbe particolarmente fastidio, perché vuole dire appunto che i confini geopolitici si spostano nella Nato, cioè sostanzialmente l’America, si spostano fino ai confini Ucraini, e quindi su questo ci sarà battaglia, però vedo l’America in una situazione di tale debolezza su tutti i fronti che non so se riuscirà a imporre una Ucraina che entri nella Nato. Bisognerebbe, però anche sentire gli Ucraini se hanno interesse a entrare nella Nato, perché vuole dir proprio accettare, come il nostro caso, una sudditanza militare che poi è politica, economica e culturale, agli Stati Uniti in un momento in cui loro non sono più la superpotenza di un tempo.
Quindi ripeto bisognerebbe sapere che pensano gli Ucraini, diciamo, la parte occidentale, perché una cosa è essere occidentali e una cosa è entrare nella nato.
Adesso diciamo che la questione Ucraina andrà piano piano a perdere di interesse, altre cose avanzano molto più importanti, che sono l’avanzata dell’Isis in Iraq, naturalmente Boko Haram in Nigeria, c’è tutto un blocco diciamo di islamismo radicale che è totalmente antioccidentale, anche se adesso in Iraq si combattono Sciiti e Sunniti, ma in realtà l’obiettivo poi finale resta l’occidente, come Boko Haram, che cosa vuole dire letteralmente Boko Haram? Vuole dire l’educazione l’occidentale è peccato, quindi adesso stanno combattendo anti islamici più vicini all’occidente in Nigeria, ma in realtà il loro obiettivo è l’occidente. Quindi penso che queste saranno le questioni del futuro piuttosto immediato.

 

 

 

 

 

 

 

 

In Italia il comunitarismo economico ha cominciato a diffondersi dopo il 1957, anno in cui Tommaso Demaria pubblica la sua opera fondamentale "Sintesi sociale cristiana". Si diffonde ad opera di vari movimenti che fanno capo al MID (Movimento Ideoprassico Dinontorganico) e FAC (Fraterno Aiuto Cristiano); in particolare il MID custodisce e promuove l'alternativa ideoprassica a comunismo e liberalismo. Promosso da un gruppo di industriali capitanati da Giacomo Costa , il comunitarismo dinontorganico di Tommaso Demaria aprì negli anni '50 interessanti prospettive al mondo dell'industria perché si poneva come trampolino per la costruzione di un nuovo tipo di società. I numerosi convegni di Rapallo tenuti agli industriali tra il 1958 e il 1971, l'azione di Giacomo Costa e Adriano Olivetti, furono il segno tangibile e concreto dell'interesse di una certa parte della classe dirigente che ambiva in quegli anni a lanciare in Italia un modello cristiano alternativo sia al capitalismo che al marxismo. Di quello sforzo resta traccia nelle opere di T. Demaria e nei progetti solo in parte realizzati e ancora rintracciabili negli atti dei convegni.Verso la fine degli anni settanta, in risposta all'opzione marxista delle ACLI venne fondato il sindacato comunitarista delle LACLI o Libere Acli di cui Demaria compose lo statuto. L'eredità di questa ambiziosa impresa trova patria e rinnovato vigore ancora oggi presso alcuni ambienti dell'imprenditoria e dell'attivismo cattolico italiano ( www.dinontorganico.it )

In Italia il comunitarismo ha cominciato a diffondersi in alcuni settori della DC, di piccoli partiti locali e della destra extraparlamentare a partire dagli anni settanta ed ha trovato spazio negli ambienti della Nouvelle Droite, senza tuttavia riuscire a dare vita ad iniziative di rilievo politico
ad esclusione del Movimento Zero, fondato nel 2005 dal giornalista Massimo Fini, tendente a rivalutare il medievalismo e la societa' feudale plasmatasi sulla contingenza delle feroci contrazioni socio economiche successive alla caduta dell'Impero Romano, contro lo sviluppo industriale inglese.

Attualmente, un certo richiamo al comunitarismo è stato adottato anche da settori della sinistra, dal movimento per la decrescita e da altri soggetti che ripensano globalmente la propria identità politica accogliendo anche istanze storicamente proprie dell'altra parte politica e le sviluppano, come spesso affermato, oltre i concetti di destra e sinistra.

Tuttavia, al di là della dichiarata volontà di superare le categorie di destra e sinistra permangono a tutt'oggi profonde divisioni tra le varie anime del comunitarismo.

Il comunitarismo di impostazione marxista è più strutturato a livello teoretico rispetto a quello di destra (si pensi alla rivista Comunitarismo animata dal filosofo Costanzo Preve) e ha dato vita all'organizzazione internazionale denominata Campo Antimperialista. Questa organizzazione è stata duramente attaccata[3] da alcuni militanti di sinistra che non hanno gradito l'adesione ad una manifestazione di sostegno alla resistenza irachena da parte di persone provenienti da ambienti di destra[4].

 


 

 

COMUNITARISTI O NAZIONAL-BOLSCEVICHI. QUALI SONO LE DIFFERENZE ??

COMUNITARISTI O NAZIONAL-COMUNISTI? QUALI SONO LE DIFFERENZE ??

COMUNITARISMO
Comunitarismo è un termine nato nel mondo anglosassone alla fine del XX secolo per descrivere un movimento di opposizione al liberalismo e al capitalismo. Da questo identifica oggi un insieme di filosofie distinte ma unite dall'opposizione all'individualismo. Non necessariamente ostile alla socialdemocrazia, ha piuttosto un'enfasi differente sulle sue componenti, spostando l'attenzione dal singolo individuo alla società ed alla comunità.

La questione delle priorità, fra individuo e comunità, ha un grande impatto su molte questioni etiche, come la povertà, l'aborto, il multiculturalismo e libertà di parola.
Attualmente, quelle comunitariste sono delle risposte variegate al liberalismo in cui è difficile identificare una teoria condivisa, in quanto ci si trova di fronte a una varietà di proposte o diagnosi sulla base delle critiche alle teorie liberali della giustizia.

L'unico modo di riunificare le diverse teorie del liberalismo è risalire alla sua base antropologica che consiste nella persona essenzialmente autonoma e sovrana

Normalmente[1], si individuano tre principali precursori ideologici al pensiero comunitarista: il socialismo utopico, il movimento völkisch e il comunitarsmo d’ispirazione religiosa, rappresentato da pensatori quali Martin Buber, Jacques Maritain, Emmanuel Mounier, Adriano Olivetti e Tommaso Demaria.

Nel comunitarismo attuale sono ricorrenti quattro concetti: il primo riguarda la natura del sé o il concetto di persona che è soggiacente alle teorie liberali e implica la critica all'individualismo metodologico o normativo cui esse ricorrono. Il secondo verte sul prevalente impegno deontologico delle teorie liberali e sulla connessa tesi a proposito della neutralità della giustizia. Il terzo mette a fuoco il ricorso della filosofia politica liberale a una qualche teoria dei diritti e ne critica l'inadeguatezza normativa. I primi tre argomenti critici sul sé, sulla neutralità e sui diritti, vogliono mostrare che la priorità della giustizia (la prima virtù delle istituzioni sociali) è l'esito inevitabile di una serie di assunzioni e di presupposti che il liberalismo politico implicitamente o esplicitamente fa propri per generare criteri per il giudizio politico riflessivo: la giustizia è la prima virtù delle istituzioni sociali se e solo se siamo disposti ad accettare l'immagine soggiacente di società e di individuo che il liberalismo ospita.Il quarto concetto riguarda invece la consistenza oggettiva della persona umana che ha "ontologicamente" bisogno di "altro da se". Mentre la persona è in grado di garantire il proprio essere, la stessa persona ha bisogno di una comunità per essere generata.
I MAGGIORI AUTORI COMUNITARISTI
Michael Sandel


In Il liberalismo e i limiti della giustizia Michael Sandel ha formulato alcune tesi che hanno lo scopo di confutare la teoria liberaldemocratica di John Rawls. Sandel critica il fatto che la teoria contrattualistica si basi su una nozione di individuo o persona “vuota”, il soggetto di Rawls sarebbe così “disincarnato”. L'idea per cui è possibile identificare criteri di giustizia in modo antecedente e indipendente rispetto a ciò che per noi è bene (impegno deontologico, è l'idea liberale secondo cui ciascuno può scegliere i propri fini o fare un passo indietro rispetto alle proprie preferenze), l'idea per cui il giusto è neutrale e ha priorità sul bene, sono idee che dipendono da una sistematica elisione della dimensione dell'appartenenza a una comunità, in virtù della quale soltanto noi siamo costituiti, guadagniamo un'identità stabile nella durata e possiamo mutuamente riconoscerci come individui che hanno scopi, bisogni e preferenze. Il ricorso a regole e principi neutrali dipenderebbe dall'assenza di una concezione forte di comunità che, sulla base della condivisione di un orizzonte valoriale, struttura la convivenza pacifica tra i membri di un gruppo fortemente coeso.

L'incapacità di Rawls e dei liberali di rendere conto della natura costitutiva della comunità dipende dal fatto che il liberalismo tratta gli individui di una società, astraendoli dal vincolo o dal legame comunitario e concettualizzandoli come stranieri gli uni agli altri. Per questo l'accento cade sulla neutralità dei principi di giustizia e i diritti vengono intesi a tutelare scopi meramente individuali. La giustizia, intesa come rispetto di procedure condivise, è la prima virtù delle istituzioni di società in cui individui fra loro stranieri, non condividendo alcuna concezione del bene, devono almeno regolare il loro traffico sulla base della condivisione di principi neutrali e impersonali. Il liberalismo non renderebbe conto del valore del vincolo sociale, del riconoscersi mutuamente in comunità politiche caratterizzate da forme di vita e tradizioni in comune, del possedere un’identità collettiva relativamente stabile nel tempo: il comunitarismo è invece centrato sull'idea che la distinzione canonica fra vita giusta e vita buona e la connessa idea di neutralità liberale dei principi di giustizia, siano pretese vuote o un'ipocrita presentazione in vesti universalistiche e astratte di una particolare forma di vita e tradizione che sono quelle della comunità liberale stessa.

Il sé dei liberali sarebbe così un sé sradicato, disincarnato, vuoto; per Sandel, invece, le persone non sono carrelli vuoti, ma già nascono con determinate identità culturali derivate dall'educazione, dal contesto storico, culturale, sociale, e questi valori non sono accidenti, ma ci rendono ciò che siamo. Un individuo libero si deve riconoscere in istituzioni che sono espressione dei valori in cui crede, autorealizzarsi è seguire i propri valori; non è una scelta quella di appartenere a una società, a una comunità, ma una condizione costitutiva, ascrittiva. Il concetto di cittadinanza attiva e di partecipazione politica è molto simile a quello della pòlis greca. Le istituzioni stabili nel tempo sono proprio quelle che incarnano valori condivisi, l'operazione fondamentale è l'autocomprensione poiché ciò che noi siamo è ciò che noi vogliamo.
Alasdair MacIntyre

Un’impostazione aristotelica caratterizza in modo ancora più esplicito l'opera di MacIntyre Dopo la virtù. Il fallimento della teoria politica liberale è da attribuire, secondo MacIntyre, al fatto che essa non è altro che l'ultimo esito del moderno progetto dell'Illuminismo di costruire un'etica dei principi, universalistica e astratta, del tutto indipendente dalla tradizione delle virtù. Il nostro presente è un deserto di valori, in questo senso l'idea di una neutralità della giustizia è coerente con una più ampia concezione etica moderna. Se i nostri criteri del giudizio morale e politico sono interni a forme di vita in comune, se la giustificazione ha un senso solo entro una tradizione particolare e le virtù sono tali per noi solo entro pratiche o culture determinate, allora una società bene ordinata è possibile solo se tutti i suoi membri si riconoscono stabilmente nel tempo come parti di una storia più ampia, collettiva e comune. Dopo aver sottoposto a dura critica l'Illuminismo e dopo aver ad esso contrapposto Aristotele come eroe della virtù, MacIntyre chiude l'opera con un appassionato appello (sia etico sia politico) a ritornare alle antiche comunità. Una società bene ordinata è possibile solo se tutti i suoi membri si riconoscono stabilmente nel tempo come parti di una storia collettiva e comune.
Charles Taylor

Secondo Taylor una società non è riducibile alle transizioni fra individui atomisticamente concettualizzate; in Radici dell'io sostiene che il sé liberale è un'astrazione filosofica, è una forzatura il fatto che prima ci sia l'individuo e poi la società: la persona è già radicata in determinati contesti, è la società a formare l'individuo.

Secondo Taylor è fondamentale il riconoscimento di diritti speciali anche alle comunità minoritarie in una società affinché si possano preservare nel tempo. Lo Stato deve intervenire perché le comunità non si spengano.
Will Kymlicka

Kymlicka affronta il tema del multiculturalismo: le istituzioni devono intervenire perché le comunità multiculturali durino nel tempo. Possono esserci minoranze culturali o comunità di immigrati, nel primo caso le minoranze devono avere diritti speciali, sono loro stesse comunità, i secondi devono essere invece pronti ad accettare e ad aderire ai valori della comunità in cui immigrano. Lo Stato non può essere neutrale, deve riconoscere la presenza di gruppi comunitari i quali devono essere riconosciuti come comunità con specificità etiche. Kymlicka pone sul tappeto la questione della stabilità nel tempo delle istituzioni politiche.
André Gorz

Un discorso a parte merita il comunitarismo di André Gorz, comunitarismo di matrice decisamente più progressista rispetto al filone anglo-americano. Si tratta di un comunitarismo di tipo associativo e non ascrittivo, come ha scritto Marco Revelli, «comunità è stata Mirafiori, nei tardi anni ’60 e nei primi anni ’70. Comunità è stato il maggio francese (la commune étudiante di cui parla Vidal-Naquet […] Comunità furono anche, in qualche fase felice (quando la burocrazia della forma-partito non ha prevalso del tutto), le sezioni del Pci, le leghe sindacali, quel ‘mondo entro il mondo’ dove si era formata la forza reale della sinistra»[2].
Tommaso Demaria

Una prospettiva del tutto nuova è quella del filosofo e teologo Tommaso Demaria che avvia, almeno cronologicamente, il filone italiano del comunitarismo. Demaria è metafisico, teologo e sociologo torinese e vive ed opera a pochi chilometri da Adriano Olivetti. La scoperta metafisica fondamentale di Demaria è l'ente dinamico, scoperta che completa la metafisica aristotelico-tomista. La nuova categoria ontologica consente di “fotografare” quell'umanità di cui la persona non può fare a meno e con cui la persona si trova in “simbiosi” essenziale fin dal suo principio. L'umanità risulta costituita dall'agire umano come agire finalizzato ad acquisire comportamenti vitali e far sopravvivere così l'umano nello spazio e nel tempo. Acquisita la vita come razionalità che finalizza questo agire, si arriva a percepire la
Realtà Storica come un agire unico vitale e vitalmente operante dell'umano (non quindi come mero processo economico come nel materialismo dialettico marxista), con miliardi di sorgenti ossia le persone che lo scelgono generando la comunità globale socio economica che le salva. La Realtà Storica risulta essere un ente necessariamente in costruzione perché perennemente scelta dalle persone che sono libere, generazione dopo generazione, azione dopo azione. L'umanità appare in definitiva come una “realtà complessa (di persone e strutture), animata da un proprio principio vitale e quindi capace di vivere ad agire a titolo proprio, che si costruisce in modo coerente ed univoco nello spazio e nel tempo”. La conseguenza pratica di questa dimensione dinamica di ente-che-trasmette-la-vita (ossia din-onto-organica) propria alla comunità, è l'acquisizione "a fortiori" di leggi costruttive universali e concrete che si sono dimostrate assolutamente valide nel tempo ma generalmente non seguite. Tutti sappiamo che nella pratica prevale il liberismo capitalista o il marxismo. Demaria stesso definisce la dimensione metafisica della Realtà Storica col termine dinontorganismo, ed il suo aspetto politico con il termine di comunitarismo. Con la scoperta delle leggi del dinontorganismo è possibile arrivare a definire con esattezza il tipo comunitarista di società ed economia che diviene una efficiente logica costruttiva alternativa a quelle del liberismo-capitalista e del marxismo. Si tratta proprio di quello che oggi viene chiamato nuovo modello di sviluppo, per sua natura in simbiosi con la persona. Proprio questa "simbiosi" primordiale dell'agire umano che funzionalizza ogni agire alla vita lo deve coordinare rendendolo così ideologia o con un termine più preciso, ideoprassi. Demaria continua la sua opera di studio del comunitarismo sino al 1990, anno in cui avviene il passaggio di testimone ai suoi successori.

IL NAZIONAL-COMUNISMO

LE ORIGINI: CENTURIA NERA E NAZBLOS: 1905-1945



Il Nazional Bolscevismo è un movimento politico che si dichiara comunista, ma che non si basa sui testi di Marx, Engels e degli altri filosofi ed economisti marxisti... I Nazional Bolscevichi (NB o “nazbols”) non vogliono abolire le attuali relazioni tra le classi sociali, e nemmeno farla finita con il capitalismo nel mondo e far cessare lo sfruttamento tra gli esseri umani...

La verbosa dialettica NB si basa sulla difesa della nazione (attraverso l’adozione di criteri storici e razziali per definire le nazioni) e sull’imposizione di pratiche aberranti e reazionarie (xenofobia, razzismo, sessismo) destinate a rendere eterna la disuguaglianza tra persone a tutti i livelli.

I precursori del Nazional Bolscevismo

Il Nazional Bolscevismo è nato in Russia dopo la caduta dell’URSS e l’instaurazione del capitalismo. Ma prima di allora esso poteva già contare su precursori, di alcuni dei quali viene rivendicata orgogliosamente l’eredità dai “nazbols”. Altri antecedenti storici, invece, vengono intenzionalmente ignorati.

Durante lo zarismo (già prima del 1905) esisteva in Russia un gruppuscolo di estrema destra, che ha preceduto il fascismo, ma di tendenza molto simile (antiliberale, antisocialista, antisemita). Era la cosiddetta “Centuria Nera”.

Nel corso della Rivoluzione borghese del 1905, la “Centuria Nera” si alleò con i Cadetti (militanti del KDT, zarista) e con altri partiti di destra per formare l’ “Unione del popolo russo”, i cui militanti si trovavano fondamentalmente tra gli aristocratici, sebbene pretendesse di mobilitare le classi più umili a favore della sua causa.

Alla Rivoluzione del 1917 seguì la guerra civile in Russia. L’ “Unione del popolo russo” militò nell’Esercito Bianco contro l’Esercito Rosso.

In quel momento, la “Centuria Nera” (il settore più simile al fascismo all’interno dell’ “Unione del popolo russo”) fu contaminata dalle nuove ideologie fasciste provenienti dall’Italia, esasperando i propri tratti xenofobi, antisemiti e anticomunisti.

Parte della “Centuria Nera” cercò di infiltrarsi nell’Esercito Rosso, allo scopo di indirizzare contro gli ebrei la lotta anticapitalista dei rossi. Con il consolidamento della rivoluzione e la formazione dell’URSS, in Russia la destra venne apparentemente liquidata.

E’ solo negli anni ’30 che un movimento fascista, importato dall’estero, mette le sue radici in URSS, seppure in forma minoritaria. Si tratta del Partito Nazional Rivoluzionario Panrusso, trasformatosi in seguito in Partito Fascista Panrusso, messo al bando in Unione Sovietica.

Questo partito rifiutava il materialismo socialista ed era di marcata tendenza cristiana. I suoi programmi erano identici a quelli di altri fascismi europei (difesa della nazione, della razza, ecc.).

I fascisti russi si infiltrarono anche nell’esercito sovietico, tentando di convincere i soldati a disertare e ad unirsi alla causa nazionalsocialista.

Dalla Germania e dal Giappone, i gruppi di esiliati russi aristocratici parteciparono al bombardamento propagandistico teso a logorare la resistenza sovietica.

Inoltre, nei territori occupati, molti russi filo-nazisti si arruolarono nell’esercito del III Reich.

Terminata la Seconda Guerra Mondiale, i traditori fascisti vennero epurati dall’esercito e non si sentì più parlare di attività dell’estrema destra all’interno del territorio sovietico nei successivi 45 anni.

DALLA GLASNOST ALLA LIQUIDAZIONE DELL'URSS
NASCE IL PARTITO NAZIONAL BOLSCEVICO DI DUGHIN


Negli anni ’90, ormai inesistente l’URSS, l’estrema destra è ricomparsa come prodotto della nuova società di classe, come strumento borghese di sottomissione del proletariato.

I vecchi partiti esistenti prima della rivoluzione sono stati restaurati: il KDT (zarista), la “Centuria Nera”, il Partito Fascista Panrusso, ecc.

I fantasmi del fascismo sono riapparsi in Russia, sebbene con poco successo, dal momento che la società russa non ha mai riposto molta fiducia nell’estrema destra.

Generata dalla sconfitta dell’URSS, l’estrema destra russa, capeggiata da due leader della “Centuria Nera” (Limonov e Dughin), ha fondato il Partito Nazional Bolscevico di Russia.

Questo partito, analizzando le possibili cause della sconfitta dell’URSS, arriva alla conclusione che essa è il risultato della disunione tra destra e sinistra nella lotta contro il Capitale.

Di conseguenza, Limonov propone un’alleanza per imporre il Nazional Bolscevismo (leggi Nazionalsocialismo) che, in un delirio di manipolazione della storia, viene paragonato al regime che Stalin propugnava per l’URSS.

La politica NB

I “nazbols” espongono la loro interpretazione adulterata del comunismo, quale ideologia necessaria per l’unità nazionale di fronte al capitalismo straniero.

I “nazbols” manifestano pregiudizi solo nei confronti della borghesia straniera (soprattutto, quella ebrea). Perciò, nel sistema che vagheggiano, la società di classe non viene eliminata, ma si mantengono le strutture capitaliste e le forme borghesi di sfruttamento (sebbene di questo termine non si faccia menzione nei loro testi).

La loro ossessione per la lotta tra razze e nazioni è resa evidente da una frase apparsa in uno dei loro organi: “Il patriottismo è l’unica virtù richiesta ai fautori della nostra causa nazionale”. I nazional bolscevichi sono visceralmente razzisti e imperialisti, al punto che un leader “nazbol” ha dichiarato: “Io, in quanto soldato nazional bolscevico, difendo unicamente gli operai di razza ariana”.

L’esigenza di un impero russo (Eurasia), in cui si realizzi uno “spazio vitale” per la razza ariana è un’altra rivendicazione NB, chiaramente ispirata al nazionalsocialismo tedesco. L’unica differenza sta nel fatto che i “nazbols” considerano la Russia la nazione modello e dominante in questo impero europeo, invece della Germania dei nazionalsocialisti.

“La nostra dottrina politica NAZBOL propugna uno spazio vitale per noi e per gli altri popoli ariani: l’Eurasia. Un grande impero continentale, in cui essi possano svilupparsi e preservare la propria identità etno-culturale: una federazione di repubbliche nazional bolsceviche”.

Il Nazional Bolscevismo rappresenta lo stadio dell’agonia dell’estrema destra. E’ il tentativo disperato del fascismo di utilizzare il prestigio del socialismo per attrarre la nostra base meno preparata verso la militanza nelle sue file. Il suo punto di vista in merito a fascismo e antifascismo emerge con chiarezza in questa frase:

“E’ il momento di superare i risentimenti del passato e di realizzare una volta per tutte l’unità anelata da tutti i rivoluzionari patrioti (indipendentemente dal fatto che siano di “sinistra” o di “destra”).

I “nazbols”, oltre che razzisti, sono omofobi (considerano l’omosessualità un’aberrazione borghese) e sessisti, dal momento che impongono differenze sociali tra l’uomo e la donna, oltre a quelle biologiche (per i “nazbols” il ruolo delle donne viene relegato alla famiglia e pertanto esse vengono private del diritto al lavoro).

La filosofia NB

I “nazbols” condividono una visione del mondo profondamente idealista (e perciò antimaterialista e, in senso più lato, antimarxista).

Per loro, i criteri per definire l’identità delle persone sono la Nazione e la Razza, non la classe sociale di appartenenza e il ruolo che si occupa nel processo produttivo del capitalismo, come invece pensano i veri comunisti.

Molti “nazbols” sono credenti: credono in qualche dio o hanno ideologie esoteriche, come numerosi nazisti.

Nel loro sistema filosofico, identificano intenzionalmente dialettica e contraddizione, per tentare in tal modo di giustificare l’enorme contraddizione che essi rappresentano agli occhi di molti.

“Il Nazional Bolscevismo è pura contraddizione, perché nella divergenza si trova la radice della convergenza e nella lotta dialettica degli opposti l’origine di tutto. Che nessuno si stupisca”.

La concezione che i “nazbols” hanno della famiglia si manifesta nel loro sessismo e nella loro omofobia. Le loro convinzioni morali si fondano direttamente sulla “Legge Naturale” di Tommaso d’Aquino, riferimento ancora oggi per la chiesa cattolica ed esecrabile dal punto di vista di qualsiasi pensatore laico, materialista e marxista.

Il Nazional Bolscevismo nel mondo

Il Nazional Bolscevismo ha poca influenza nel mondo. La sua natura singolare si manifesta nel tentativo di ricostruire l’estrema destra in un contesto sociale molto particolare, quello della transizione dell’URSS verso il capitalismo.

In ogni caso, non si deve abbassare la guardia, poiché i “nazbols” cercano di operare anche al di fuori della Russia.

In Spagna, alcune organizzazioni che si definiscono o che si sono definite NB sono: “Basi Autonome”, “Movimento Sociale Repubblicano”, ecc. Anche in Euskal Herria, gli NB hanno approfittato del conflitto nazionale per estendere la loro ideologia, che ha messo radici anche in alcuni settori abertzales.

La propaganda NB

I “nazbols” si propongono di attirare l’attenzione dei simpatizzanti comunisti più giovani (e più facilmente manipolabili) attraverso una propaganda grafica molto ambigua, combinando elementi nazifascisti con altri comunisti (ad esempio, la bandiera NB ricorda quella dei nazisti tedeschi: l’unica differenza è rappresentata dalla sostituzione della svastica con la falce e martello, nota del traduttore), in una miscela demenziale.

Nelle loro pagine web è prevalente la propaganda grafica rispetto ai testi. Ciò si prefigge lo scopo di agevolare l’identificazione dei più giovani con questa dottrina, piuttosto che con l’autentico socialismo, che richiede un approccio teorico più serio.

Nelle immagini e nei testi che vengono diffusi si è soliti rappresentare o citare personaggi molto distanti tra loro (segue nell’articolo, un lungo elenco di personaggi storici, sia di sinistra che di destra, da Lenin e Che Guevara a Hitler e Mussolini, assolutamente incompatibili tra loro.
Dal punto di vista editoriale si segnala l'attività dell'editrice Arianna, LAS, Luigi Parma

L'ORGANIZZAZIONE MILLENNIUM IN ITALIA ED IL LEGAME CON I NAZBLOS RUSSI DELL'UCRAINA ORIENTALE


Il nuovo millennio che albeggia sull’orizzonte della Storia ci propone un sostanziale rivolgimento paradigmatico, un rovesciamento delle categorie di pensiero che, in un’epoca di estrema confusione politico-ideologica quale la nostra, impone un ripensamento delle stesse. Alla soglia di una nuova epoca, un nuovo disordine globale si impone: gli uomini devono confrontarsi con l’avvicinamento di più universi culturali, spinti fin verso la collisione ed il reciproco annientamento da una nuova prospettiva mondiale. L’economia, pensata secondo i canoni borghesi, dimostra tutta la propria finitezza, proiettando il futuro umano verso l’apice dello sfruttamento e dell’alienazione. I Popoli, depauperati da ogni sovranità e potere decisionale, rendono ogni autorità alle minoranze che dirigono gli affari mondiali secondo il proprio interesse. Culture e religioni muoiono esangui sugli altari dei simulacri postmoderni. La nuova legge è il Caos.

In questo contesto Millennium afferma la propria azione ordinatrice. Millennium si identifica nel ruolo del partito rivoluzionario europeo, impegnato nella liberazione dell’Europa dal giogo unipolare e nell’edificazione di un paradigma culturale europeo. All’entropia incipiente, Millennium contrappone le leggi risorte della Giustizia, della Tradizione e della Comunità.

LA CONFUSIONE NAZIONAL-BOLSCEVICA ED I COMUNISTI ERETICI
L'IDEA DI CONCILIARE TENDENZE DI DUE IDEOLOGIE OPPOSTE


Il NazionalBolscevismo (o Bolscevismo Nazionale) è una ideologia politica sincretica fra il Bolscevismo ed il Nazionalismo, con forti accentuazioni geopolitiche.
Il movimento, nato negli anni venti in Germania ad opera di comunisti "eretici", a cavallo tra la fine del XX secolo e l'inizio del XXI secolo è stato attivo principalmente in Russia, con il Partito Nazional Bolscevico di Aleksandr Gel'evič Dugin e Eduard Limonov. Peculiare la bandiera del partito, simile a quella della Germania nazista ma con una falce e martello al posto della svastica.

In Belgio le istanze nazionalbolsceviche sono sostenute dal "Parti Communautaire National-Européen", discendente del Parti Communautaire Européen di Jean-François Thiriart. In Italia dal progetto "Fronte Patriottico" e dalla rivista "Patria - bollettino socialista".
È accompagnato da una visione complessiva, che ne accentua il realismo e quindi concepisce la politica all'interno del "continente" Eurasia comprendente l'intera Europa, la Russia, e parte dell'Asia. Il nazional bolscevismo è programmaticamente nazionalrivoluzionario, tradizionalista, antiamericano, anticapitalista nell'ambito della Terza via; concilia le concezioni rivoluzionarie materialiste e spirituali.
Le figure di riferimento sono prese dai rivoluzionari politici del Novecento, dai teorici comunisti e socialisti, a molti teorici nazional rivoluzionari come Niekisch e Sorel. I riferimenti idealisti trovano ispirazione in Hegel, Julius Evola e altri filosofi, mentre economicamente i nazional-bolscevichi appoggiano una commistione tra le riforme economiche del comunismo e varie teorie sindacaliste di natura socializzatrice e antifiscale, ma sempre mettendo l'accento sulla spiritualità dell'azione.

Da parte dei suoi fautori il nazionalbolscevismo sembra non essere altro che una chiave per rinnovare completamente le logiche politiche che considerano ormai obsolete, superando quelli che chiamano "opposti estremismi" utili, a loro avviso, solo a dividere le tematiche popolari e rivoluzionarie.

ITALIANI COMBATTONO IN UCRAINA, CHI SONO I COMUNITARISTI ITALIANI??

Ucraina, sei italiani con i filorussi a Donetsk: “Filo diretto con la resistenza”
A Slovjansk i militanti dell'organizzazione comunitarista Millennium: "Giusta l'annessione della Crimea, mentre la rivolta di Maid
an è stata organizzata da lobby geopolitiche atlantiche". Ma, assicurano, "non siamo qui per combattere"
Sono giunti fino a Slovjansk, la roccaforte dei separatisti filorussi dell’Ucraina dell’Est, ma non per combattere, sostengono. “Garantire un filo diretto con la resistenza del Donbas”, è questa la missione che si pongono due giovani attivisti dell’organizzazione Millennium, Orazio Maria Gnerre e Luca Pintaudi. Durante il viaggio nell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, i due hanno incontrato i leader Denis Pushilin e Pavel Gubarev, scattando le foto di rito sullo sfondo della bandiera italiana con in mezzo la stella rossa (“Sta a significare il concetto di patria unito a quello di socialismo”, spiegano). Quanto è bastato per far partire la macchina della propaganda russa a favore di un’immagine gloriosa ed eroica della cosiddetta ‘resistenza’ della ‘Nuova Russia’ aiutata dalle “brigate internazionali”. Anche se in realtà i contatti di Millennium e del suo presidente Gnerre con il principale ideologo dell’intervento russo nel Donbas, il filosofo Aleksandr Dugin, risalgono a molti anni fa.

È stato appunto il ‘governatore popolare’ Pavel Gubarev a raccontare l’incontro con i due attivisti sulla sua pagina nella social network russa Vkontakte, spiegando che a breve gli italiani, come anche gli spagnoli, i francesi e i canadesi, faranno parte di vere e proprie unità militari multietniche che affiancheranno quelle già presenti sul territorio delle regioni di Donetsk e Lugansk. La delegazione italiana, in tutto sei persone – ha spiegato Gubarev – ha incontrato il comandante delle milizie popolari del Donbas, Igor Strelkov (nome d’arte del cittadino russo Igor Girkin) in merito all’invio di volontari italiani. Senza smentire Gubarev, Gnerre si smarca da qualsiasi coinvolgimento presente o futuro di Millennium in azioni militari sul territorio ucraino. Rimane comunque fedele alla sua missione, ossia parlare dei separatisti in Occidente e descrivere l’operazione dell’esercito ucraino nel Donbas come un “genocidio” perpetrato dal “governo nazista di Kiev”.

“L’autodeterminazione dei popoli è il principio cardine della politica internazionale, invalso dopo la Grande Guerra”, dice Gnerre riportando il concetto caro anche al presidente russo Vladimir Putin. “Per cui l’annessione della Crimea e la rivolta dell’Est dell’Ucraina viene completamente legittimata”, spiega. La protesta di Maidan però – nella sua logica – non può essere considerata tale, perché “dietro non c’è stato il popolo, ma le lobby geopolitiche atlantiste”. Millennium infatti si scaglia contro la Nato, a favore della Russia di Putin, della Siria di Assad e del Venezuela che ha raccolto l’eredità di Chavez. “Putin sta facendo il bene del suo popolo, lo rispettiamo”, dice Gnerre mentre Luca Pintaudi, responsabile di Uld Studenti di sinistra dell’Università Cattolica di Milano, con alle spalle una militanza in Sel, annuisce.

Le basi ideologiche di Millennium hanno infatti tanti punti in comune con la ‘quarta teoria politica’ del professore di Sociologia dell’Università Statale di Mosca (Mgu), Aleksadr Dugin, leader del Movimento internazionale eurasiatista e fervente ideologo del corso politico di Valdimri Putin. Lo stesso Dugin che ora la comunità accademica russa chiede di cacciare dall’Università più prestigiosa del Paese. Il 6 maggio ha rilasciato alcune dichiarazioni a un’agenzia stampa asserendo, “in quanto professore della Mgu”, che dopo il rogo di Odessa in cui sono morte più di 40 persone, bisogna “uccidere, uccidere, uccidere” gli ucraini. La petizione online per la sospensione di Dugin dall’Università, lanciata su Change.org il 16 giugno, ha raccolto in un solo giorno più di 8 mila firme.

Gnerre racconta di essere in contatto con Dugin da almeno cinque anni e lo considera “un faro per il mondo russo e eurasiatico”. L’ultima volta si sono incontrati alla Mgu, in una conferenza intitolata ‘Russia e Europa: dialogo di resistenza’ nell’estate del 2013. Con ‘resistenza’ si intende l’opposizione al ‘mondo unipolare’ rappresentato dagli Usa – per Dugin la ‘civiltà del mare’ – alla quale si contrappone la Russia , la ‘civiltà della terra’. Nella battaglia tra i titani, spiega Dugin, l’Europa è una terra di mezzo, esitante tra la sua componente occidentale (tendente verso gli Usa) e quella “autenticamente europea”, in armonia con il mondo eurasiatico. Il male supremo in questa concezione è rappresentato dal liberalismo. Mentre la nuova ideologia professata da Dugin – appunto la ‘quarta teoria politica’ – fonde il comunismo e il fascismo in un mix “post-ideologico”, in cui al centro ci sono i popoli, le comunità (Millennium si definisce movimento comunitarista), con i valori tradizionali – religione e famiglia – affiancati dalla giustizia sociale.

È questo il cocktail che accomuna gli attivisti italiani che solidarizzano coi separatisti filorussi e il principale ammiratore del putinismo. I rappresentanti di Millennium non disdegnano il rapporto con Dugin e respingono le accuse dei filosofi contemporanei che lo considerano invece un neofascista. Resta però il fatto che ad aprire la conferenza moscovita che ha visto intervenire Gnerre a fianco di Dugin, è stato un minuto di silenzio in onore del militante dell’estrema destra francese Dominique Venner, morto sucida a Parigi il 21 maggio in segno di protesta contro i matrimoni gay.

 

Sarebbe stata la più grande sinergia dello shipping, ma Pechino ha negato l'autorizzazione operativa. Motivo? Proteggere le proprie società pubbliche

Ucraina non proroga  il cessate il fuoco   video   Poroshenko: 'Attaccheremo'

 

 

 

Il paradosso del Pil: in Usa sta frenando ma il benessere cresce con la sanità meno cara

Il calo delle tariffe assicurative deprime il Prodotto interno americano: meno 2,9%. È uno degli effetti della riforma di Obama ma né la stampa né i mercati drammatizzano

Il paradosso del Pil: in Usa sta frenando ma il benessere cresce con la sanità meno cara

NEW YORK - "Perché il Pil puzza e perché nessuno ci fa attenzione": con questo titolo colorito il Wall Street Journal riassume le reazioni delle Borse alla notizia di una presunta "frenataccia" dell'economia americana. Meno 2,9%, il Pil nel primo trimestre di quest'anno. Un dato pessimo, mette l'America "in rosso" dopo cinque anni di ripresa, la sbatte dietro ai malati cronici dell'eurozona.

É il peggiore dato dal primo trimestre del 2009, quando gli Stati Uniti erano ancora nel mezzo della recessione. Ma questa revisione del Pil ha lasciato indifferenti i mercati e gli esperti. L'unica vittima? La credibilità stessa del Prodotto interno lordo come indicatore sullo stato di salute dell'economia. Un tempo a contestare il Pil erano soprattutto economisti di sinistra, come i premi Nobel Amartya Sen e Joseph Stiglitz, ambedue autori di statistiche "alternative". Oppure, ancora più radicali, c'erano le critiche dei teorici della decrescita come Serge Latouche, per i quali l'aumento del Pil è sinonimo di sviluppo insostenibile, distruzione di risorse naturali. La novità: adesso agli attacchi contro il Pil si uniscono l'establishment, i mercati, gli organi del neoliberismo.

"L'incidente del primo trimestre 2014", come si può intitolare la vicenda dello scivolone in negativo, è davvero esemplare. Tra i fattori che hanno frenato la crescita Usa, il più potente è la riforma sanitaria di Barack Obama. A gennaio di quest'anno entrava

in vigore il nuovo sistema assicurativo. La sua prima conseguenza è stata un calo delle tariffe sulle polizze sanitarie. E qui si tocca l'incongruenza dell'indicatore Pil: se gli americani hanno finalmente speso un po' meno per le assicurazioni mediche questa è un'ottima notizia, ma riduce il Pil che è un aggregato di tutte le spese. Il Pil non dice se stia migliorando la qualità delle cure mediche e quindi la salute, misura solo la spesa nominale. Una sanità inefficiente e costosa "fa bene" alla crescita, se invece si riducono sprechi e rendite parassitarie delle compagnie assicurative, l'economia apparentemente ne soffre.

L'attacco al Pil trova concorde il Financial Times. "Come il Pil è diventato un'ossessione globale", è il tema di un'inchiesta del quotidiano inglese. Che parte da alcune sconcertanti revisioni nella contabilità nazionale che hanno fatto notizia.

La Cina, secondo uno studio recente della Banca mondiale, è molto più ricca di quanto credevamo: sta per sorpassare gli Stati Uniti, da un mese all'altro. Anche l'Inghilterra ha un'economia più prospera di quanto si pensava. Perché? Il "riesame" del Pil cinese, è stato deciso per correggere errori del passato. Sopravvalutando il costo reale di alcuni generi di prima necessità come gli spaghetti, si era simmetricamente "impoverito" (nelle statistiche) il potere d'acquisto dei consumatori. Errore corretto, e oplà, di colpo la Cina nel suo nuovo Pil misurato "a parità di potere d'acquisto" diventa quasi eguale all'America.

Per quanto riguarda la Gran Bretagna, il suo "arricchimento" improvviso (+5%) nasce dall'inclusione nel Pil di attività illecite e sommerse come la prostituzione e il traffico di droga. Nel caso cinese come in quello inglese è evidente che siamo di fronte a operazioni contabili del tutto discrezionali, arbitrarie. Non è cambiato nulla per il cittadino, il lavoratore, l'imprenditore di quei paesi. É cambiato solo un numero, deciso dagli economisti. Per la Gran Bretagna, poi, è evidente l'aspetto paradossale di questo massaggio delle statistiche: siamo proprio sicuri che l'inclusione della droga nel Pil sia un indicatore fedele del benessere nazionale?

L'economista Diane Coyle, che è stata consigliera del ministero del Tesoro britannico, ha pubblicato un libro sulla storia del Pil: "Gdp: A Brief But Affectionate History". Documentato, erudito, ironico, ma anche sferzante. La Coyle ci ricorda che "non esiste una cosa reale che gli economisti misurano e chiamano Pil". Quell'indicatore statistico è un'astrazione, un aggregato di spese dove entra di tutto: dai manicure alla produzione di trattori ai corsi di yoga. Primo consiglio della Coyle: liberiamoci dall'idea che la rilevazione del Pil sia come la misurazione del perimetro terrestre, un'operazione complessa ma scientificamente rigorosa.

Del resto il Pil è un'invenzione recente, e strumentale. Il primo a lavorarci fu l'economista americano di origine bielorussa Simon Kuznets, negli anni Trenta. La missione gli era stata affidata dal presidente Franklin Delano Roosevelt. Nel bel mezzo della Grande Depressione, Roosevelt aveva bisogno di una misura dello stato di salute dell'economia, che non fosse di tipo settoriale o aneddotico come quelle usate fino ad allora. Ma lo stesso Kuznets dopo avere "inventato" il Pil cominciò a esprimere serie riserve sulla sua validità. Nella maggior parte dei paesi sviluppati bisogna attendere gli anni Cinquanta perché il Pil entri nelle consuetudini.

Un indicatore ben più completo e utile è quello elaborato per le Nazioni Unite da Amartya Sen ed altri, lo Human Development Index (indice dello sviluppo umano): misura per esempio la qualità della salute e dell'istruzione. Perché non riesce a spodestare il Pil nel dibattito pubblico? La spiegazione che dà Sen è disarmante, o inquietante: "Il Pil misura un tipo di crescita quantitativa che ha coinciso con l'arricchimento di minoranze privilegiate. L'indice dello sviluppo umano sposterebbe l'attenzione verso attività e settori che vanno a beneficio degli altri". 

Usa, a processo l’escort killer per la morte del manager di Google

 

Alix Tichelman, una escort, è sotto processo negli Stati Uniti con l’accusa di aver ucciso il big manager di Google, Forrest Hayes. La 26enne è stata arrestata venerdì 4 luglio, ma l’omicidio risale a novembre 2013. La donna avrebbe inietttato una dose di eroina letale a Hayes e poi ha assistito alla sua lenta morte sul suo yatch. Il 51enne, divorziato e padre di 5 figli, aveva dato appuntamento alla Tichelman sulla barca ormeggiata nel porto di Santa Cruz. I due erano entrati in contatto attraverso un sito internet. A tradire la donna, le immagini delle telecamere di sicurezza posizionate sullo yatch e nel porto

 

 

 

 

Esodo senza fine verso le coste della Sicilia soccorsi quasi tremila migranti 

Esodo senza fine verso le coste della Sicilia
soccorsi quasi tremila migranti 

Video Emergenza Lampedusa / Ultimo sbarco, 264 bambini

Mediaset sotto pressione: Telefonica sigla accordo per salire al 78% di Digital+. A febbraio erano state vendute le antenne ed a dicembre 750 milioni versati per la Coppa dei Campioni

Gli spagnoli che in Italia controllano Telecom e possiedono già il 22% di Digital+, hanno offerto 750 milioni per rilevare il restante 56% della pay Tv iberica in mano al gruppo Prisa. Mediaset, l'altro azionista con il 22%, ha 15 giorni di tempo per valutare una controfferta

Gli spagnoli di Telefonica siglano un accordo per salire al 78% di Digital+, la pay tv posseduta in comproprietà con Mediaset. La società guidata da Cesar Alierta ha messo sul piatto 725 milioni per rilevare le quote in mano a Prisa. Con questa offerta Telefonica valuta il 100% della tv 1,3 miliardi. Adesso si aspetta la reazione di Mediaset che controlla il 22% della società, la stessa quota in mano a Telefonica: entrambi i gruppi avevano una prelazione sul 56% del canale messo il vendita da Prisa, ma hanno preferito far cadere il diritto in attesa di sviluppo. Ora, però, gli spagnoli che in Italia controllano Telecom hanno rotto gli indugi, firmando nel pomeriggio l'accordo. 

L'intesa preliminare era dello scorso 7 maggio. Telefonica sale così al 78% nel capitale della pay-tv, mentre il restante 22% è ancora di Mediaset Espana che, in base ai patti, avrà ora un paio di settimane per decidere se esercitare il proprio diritto di prelazione. Il gruppo di Cologno Monzese potrà, entro i termini, superare l'offerta di Telefonica oppure pareggiarla spartendosi pariteticamente con gli spagnoli il capitale della pay-tv. Sembra improbabile che Mediaset opti per una uscita da Digital+.

 

 

 

 

 

 

 

 

Muro marocchino (1976-1991)

 

 

 

Il muro marocchino o muro del Sahara Occidentale (anche noto con il termine Berm) è una berma di lunghezza superiore ai 2.720 km, costruita dal Marocco nel Sahara Occidentale, motivato dal diritto di difendersi dal Fronte Polisario. Tale struttura difensiva è a tutti gli effetti una zona militare dove sono stati costruiti appositi bunker, fossati, reticolati di filo spinato e campi minati.

Il campo minato che corre lungo la sua totale estensione è, per lunghezza, il più grande al mondo,[1] e si stima sia formato da circa 6.000 mine anti-uomo[2] e altre ancora.[3] Si tratta del muro più grande del mondo dopo la muraglia cinese.[4]

Secondo le mappe fornite dalla Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara Occidentale (MINURSO)[5] e dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR),[6] una parte del muro marocchino si estende per diversi chilometri anche nel territorio riconosciuto a livello internazionale appartenente alla Mauritania.

Caratteristiche

La costruzione del muro marocchino si svolse in diverse fasi, ognuna delle quali ha lo scopo di ampliare il territorio controllato per la difesa del Marocco dalle sue forze militari. In molti punti, la struttura difensiva unisce muri edificati in periodi diversi.[7]

La successione dei sei muri

 

Muro marocchino nel Sahara Occidentale. Legenda: Il Marocco (verde chiaro) ha annesso e recintato col primo muro la zona arancione, con il secondo la zona beige, con il terzo la zona grigia, con il quarto la zona verde, con il quinto la zona violetta, con il sesto la zona azzurrina. In giallo il territorio controllato dalla Repubblica Democratica Araba Sahraui (RASD)

Il muro marocchino è stato edificato in sei periodi differenti:[8]

  • il primo, che non ha nessuna contiguità con quello definitivo, fu edificato nel giugno del 1982 e circoscrisse l'area a nord ovest denominata "triangolo utile". È la più importante dal punto di vista demografico ed economico, e contiene le città di Laayoune, di Smara, di Bojador e di Bou Craa, ovvero una porzione importante della regione di Saguia el Hamra.

  • Il secondo muro, edificato a partire dal gennaio 1984, ampliò di una piccola porzione a sud il territorio controllato dal Marocco. Questo segmento ha due caratteristiche, taglia praticamente in due il territorio controllato dal Fronte Polisario e per un breve tratto segue il muro cosiddetto definitivo.

  • Il terzo muro, risalente al maggio 1984, inglobò ad est una piccola parte del territorio confinante col Marocco con il centro abitato di Hauza. Strategicamente fu occupata la maggior parte della strada, attualmente non utilizzata, che conduce da El Ayun a Tindouf e pertanto verso le vecchie piste carovaniere del deserto del Sahara.

  • La quarta espansione, risalente al gennaio 1985, si ampliò verso est, inglobando un territorio dove vi sono i centri abitati di Al Farcia e Mahbes. Il muro rasenta il confine algerino e fu prolungato in territorio marocchino per impedire il suo aggiramento.

  • La quinta fase, risalente al settembre 1985, inglobò una parte del Rio de Oro con i centri abitati di Guelta Zemmur, Chalwa, Umm Dreiga, Imlili e Dakhla, già Villa Cisneros.

  • La sesta e ultima fase, risalente all'aprile 1987, portò le truppe marocchine vicino ai confini mauritani. Una stretta striscia di sabbia collega i territori non occupati sotto il controllo della Repubblica Democratica Araba Sahrawi (RASD) alla penisola con il centro abitato di La Guera che fu colonia spagnola prima di essere inglobata nel Rio de Oro.

Dopo l'aprile 1987, la costruzione dei muri finì dato che il Marocco non riuscì a inglobare altro territorio.[8] La guerra sanguinosa continuò però fino al 1991.

L'attuale struttura

Queste strutture fortificate si trovano principalmente in un territorio disabitato o scarsamente abitato. Essi sono costituiti prevalentemente da sabbia e pareti in pietra o terrapieni alti circa tre metri. I campi minati che corrono lungo l'intera struttura rappresentano il più lungo campo minato continuo nel mondo.[9]

Lungo il muro, ogni quattro o cinque chilometri è stanziata una compagnia militare, formata in gran parte da truppe di fanteria e in misura inferiore da altri corpi militari, come ad esempio i paracadutisti. In totale circa 100 000 soldati marocchini sono stanziati a presidio della struttura difensiva.[10] Ogni 15 chilometri è inevece installato un radar AN/PPS-15 per fornire dati alle più vicine batterie di artiglieria. Oltre la linea militare vi è il muro vero e proprio, composto di ostacoli come muri di sabbia e di pietre di dimensione di solito inferiori al metro cubo. Il muro fisico è attorniato da campi minati. Si stima che intorno al muro siano presenti da uno a due milioni di mine.[9]

Gli obiettivi del muro

Secondo il governo marocchino il muro ha una ragione strategico-difensiva, mentre secondo la popolazione Sahrawi serve per mantenere il controllo su un territorio particolarmente redditizio e strategico.[11] La parte interna al muro racchiude infatti le miniere di fosfati del Sahara Occidentale e la costa sull'oceano Atlantico, considerata una delle più pescose al mondo. Un'importante ricchezza è anche quella dei giacimenti petroliferi costieri, sebbene le Nazioni Unite permettono solo la ricerca e non lo sfruttamento fino al celebrarsi del referendum di autodeterminazione.[12] La piccola zona controllata dalla Repubblica Araba Saharawi Democratica non ha invece alcuna importanza economica.[13][14]

I principali obiettivi hanno perso la loro ragion d'essere nel 1991, quando la RASD scelse la strada della legalità internazionale e dell'azione non violenta. Attualmente lo scontro è prevalentemente su un piano politico, nel quale i Saharawi cercano di arrivare al referendum mentre il Marocco ne ostacola la realizzazione al fine di consolidare lo status quo e annettere il territorio attualmente sotto il suo controllo.[13]

Contesto internazionale

 

Alcune donne Sahrawi che protestano contro il muro

In Europa la maggior opposizione al muro e, contestualmente ad esso, alla sovranità marocchina sul territorio Saharawi, è portata avanti da associazioni impegnate nell'affermazione dei diritti umani e da associazioni culturali. Un appoggio politico moderato si ha principalmente dalla Spagna, dall'Italia e, a livello collettivo, dall'Unione Europea. Si sono svolte anche manifestazioni a sostegno della causa Sahrawi nelle vicinanze del muro e a Tifariti. Questo muro viene generalmente definito come un "muro della vergogna".[12]

In Africa, l'Algeria è un alleato tradizionale dei Saharawi e un sostenitore della loro indipendenza, e pertanto molto critico rispetto al muro e alla occupazione da parte del Marocco. L'alleanza fra l'Algeria e i Saharawi poggia su più motivi:[15][16]

  1. l'esistenza di un confine aperto per i nomadi Saharawi e algerini,

  2. il continuo scontro fra Marocco e Algeria.

Al momento dell'indipendenza dell'Algeria nel 1962, il Marocco perseguiva l'obiettivo del Grande Marocco; desiderava quindi di ampliare il suo territorio nella zona sud ovest dell'Algeria, in particolare la zona dell'Hammada dove sorge Tindouf. Vi fu una breve guerra nel settembre ottobre del 1963 e solo recentemente il Marocco ha rinunciato ufficialmente ed esplicitamente alle sue rivendicazioni territoriali.[17]

L'Organizzazione dell'Unità Africana (OUA) e l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) mediante la Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara Occidentale (MINURSO) lavorano per una soluzione pacifica del conflitto.

 

 

VERSO LO SFASCIO

 

 

Bastano 40 millimetri di pioggia per mandare in tilt Milano. In particolare è la zona nord della città che ciclicamente si trova a dover fronteggiare l’esondazione del Seveso, uno dei corsi d’acqua tra i più inquinati d’Italia. Un fiume che misura in totale poco più di 50 km e che arriva a Milano dopo aver attraversato la ricca Brianza: a pochi metri dal confine settentrionale della città, vicino a Bresso (Mi), il Seveso scompare sotto terra. Nove chilometri di percorso forzato a cui nessuno mette mano da anni, dove si sono stratificati fanghi e detriti, creando un ulteriore ostacolo al deflusso delle acque. Un tunnel da cui, sempre più spesso, il fiume esonda e quando succede si aprono anche voragini nelle strade, le cantine si riempiono di fanghi maleodoranti e intere zone del capoluogo lombardo restano isolate. Così i residenti dei quartieri più colpiti, temono una nuova “Genova”, timori che appaiono decisamente fondati dato che negli ultimi anni le esondazioni si stanno intensificando per frequenza e vigore.

Di un piano per la riqualificazione del Seveso si parla ormai da decenni ma le soluzioni tardano ad arrivare. Il governo ha presentato, complice l’onda emotiva generata dal disastro ligure, un piano contro le esondazioni che prevede una spesa di 110 milioni di euro per la realizzazione di un sistema di vasche di laminazione. Sono cinque in tutto, quattro nei comuni dell’hinterland (Lentate sul Seveso, Paderno Dugnano, Senago e Varedo) e una a Milano, all’interno del Parco Nord, da realizzare parallelamente ad interventi di bonifica, collettamento fognario e depurazione del fiume (per ulteriori 90 milioni di euro) entro il 2016. “I ricorsi al Tar, grazie al decreto Sblocca Italia, non fermeranno i lavori – spiega il capo dell’unità di Palazzo Chigi contro il dissesto idrogeologico, Erasmo D’Angelis -. Quello sul Seveso è un progetto pilota che il Governo intende replicare anche in altre parti del Paese. Il prossimo obiettivo è di sbloccare gli interventi sul Sarno (Campania, ndr)”. Ma dei 110 milioni annunciati, solo 30 sono quelli effettivamente stanziati (20 milioni dal comune di Milano, 10 dalla Regione). Nonostante le promesse del governo i cittadini e i sindaci dei comuni in cui sorgeranno le vasche temono di vedere sul loro territorio solo “fogne a cielo aperto”.

I primi lavori partiranno tra nove mesi (a Expo già avviato) a Senago: qui le vasche di contenimento sorgeranno su terreni agricoli, su cui pochi mesi fa sono stati piantati numerosi alberi per i quali la società proprietaria del terreno ha chiesto un contributo regionale. Siamo andati lungo il corso del Seveso fino alla fonte, a Cavallasca in provincia di Como. Lì dove l’acqua del fiume che spaventa Milano è una risorsa per il territorio e dagli abitanti è usata addirittura per fare il the  di Alessandro Madron e Francesca Martelli

Maltempo Milano, esonda il Seveso. Stazione Garibaldi allagata

 

Cascate d’acqua sulle scale e atrio allagato alla stazione ferroviaria Garibaldi di Milano per l’esondazione del fiume Seveso. Polizia locale, Polfer e Vigili del Fuoco – come rende noto il Comune di Milano – sono al lavoro con le idrovore per liberare le aree raggiunte dall’acqua

Lombardia a rischio, esonda il Seveso a Milano Torna l'allerta a Milano, dove piove già da molte ore. Il Seveso è esondato in via Valfurva, in zona Niguarda, poco dopo le 13.35, sul posto ci sono i vigili, le squadre della protezione civile, il personale di Mm che ha aperto tutti i chiusini per far defluire l'acqua. All'Isola gli ambulanti del mercato di piazzale Lagosta sono stati invitati a smontare i banchi in anticipo per lasciare libere piazza Minniti, via Garigliano e via Sebenico.

La squadra di emergenza era presente sul territorio già da molte ore, visto che l'allerta era stata diramata già nelle prime ore del mattino. Preoccupava, infatti, la fortissima pioggia che da ore cadeva sulla città. Anche il Lambro è uscito dall'alveo allagando la zona del parco. La protezione civile, che stava già monitorando la situazion e del fiume, ha nuovamente evacuato la sede della comunità Exodus di don Antonio Mazzi. Già nei giorni scorsi i due fiumi avevano provocato allagamenti e danni.

Allerta fiumi e laghi, nuovi sgomberi in  Piemonte
 

 

Milano, lunedì difficile per i trasporti: metrò interrotto. Ritardi sui treni pendolari

M2 interrotta per tutta la giornata tra Centrale e Garibaldi. Arduo trovare la navetta sostitutiva. Disagi diffusi sui treni regionali anche a causa dell'olio sui binari a Levate. Rfi: "Causa pioggia 10 milioni di danni", 17-11-2014

Proteste e disorientamento in metropolitana, ritardi anche di un'ora per i pendolari dei treni regionali. Il lunedì nelle stazioni della metropolitana di Milano, soprattutto sulla linea verde, parte in salita. Si aspetta la nuova ondata di maltempo: l'Arpa indica condizioni di tempo perturbato con piogge diffuse, da moderate a forti su tutta la Lombardia. E si fanno ancora i conti con la pioggia di sabato: gli allagamenti seguiti ai violentissimi nubifragi non sono stati risolti. Alcune stazioni della metropolitana sono ancora sott'acqua. Ecco perché Atm per 'asciugare' sottopassi e binari ha interrotto un tratto della linea verde, la M2, tra stazione Centrale-Garibaldi. L'interruzione durerà per tutta la giornata. Anche la Linea 3, che durante il picco del maltempo aveva subito la chiusura di tre stazioni, procede un pò rallentata.

Alle 8 del mattino il metrò è affollatissimo. Sono tante le persone sulla verde che devono fare i conti con l'interruzione. La maggiorparte non era informata, per questo Atm ha disseminato i metrò di tutor con la pettorina blu o fosforescente che distribuisono volantini che spiegano i percorsi alternativi per aggirare il tratto bloccato. "Per raggiungere la stazione Gioia M2 - c'è scritto - sarà disponibile un servizio di bus sostitutivo". Ma trovare la navetta risulta parecchio difficile: fuori dalla stazione Centrale, c'è chi la aspetta per oltre 15 minuti senza però riuscire a trovarla. Atm spiega che "non appena l'acqua sarà scesa, sarà anche possibile verificare lo stato degli impianti, intervenire e limitare gli inconvenienti". In mattinata, comunque, continua l'azienda dei trasporti "tutto si è svolto in maniera abbastanza fluida e senza criticità".

 

Nel volantino Atm consiglia anche altri percorsi alternativi, oltre alla navetta. "Per chi arriva in metropolitana e deve scendere in Centrale o a Garibaldi - c'è scritto - è consigliato l'interscambio con le altre linee". Ecco quali: "Da Centrale è possibile cambiare con la M3 fino a Zara, prendere la M5 e scendere a Garibaldi (e viceversa). Oppure, se diretto verso il centro: "Scendere a Loreto, interscambiare con la M1 fino a Cadorna e riprendere la M2 fino a Garibaldi (e viceversa)".

I tabelloni della stazione Garibaldi alle nove del mattino segnalano che, anche per i pendolari in arrivo da fuori città, le cose non sono facili. Gli orari annunciano ritardi diffusi: 60 minuti il treno 10456 da Cremona, 45 minuti, invece, il regionale 20309 da Luino. Trenord e Rfi riferiscono che il guasto a Melzo (dove sabato si è completamente allagata una centralina) è in via di riparazione. Molti ritardi derivano da un inconvenitente che, probabilmente, non ha nulla a che fare col maltempo: tra Levate e Verdello, sulla linea Milano-Bergamo, i treni viaggiano a 30 chilometri orari. Tutto questo causa forti ritardi che si ripercuotono anche sulla altre linee.

Per riparare i danni causati dal maltempo più di cento tecnici di Rete ferroviaria italiana hanno lavorato 24 ore su 24 nel fine settimana. Perché i treni ricomincino a viaggiare a una velocità regolare, infatti, è necessario ripristinare gli impianti, sostituire più di 10mila metri di cavi e mille schede elettroniche. I lavori non si concluderanno prima di dicembre: solo allora la stazione di Melzo potrà tornare alla piena funzionalità. Secondo Rfi, i danni causati dalle piogge sfiorano i 10milioni di euro.

Disagi anche sul fronte delle linee suburbane: le linee S5 (Varese - Milano Passante - Treviglio) e S6 (Novara - Milano Passante - Treviglio) subiscono variazioni. La S6, in particolare, parte e termina a Pioltello, mentro

 

la S5, fuori dalla fascia di punta, si ferma in molti casi a Milano Porta Garibaldi superficie. Inoltre, tra le stazioni di Pioltello Limito e Treviglio è stato istituito un servizio di bus complementari. Infine lavori urgenti anche sulla tangenziale Est: per inteventi di ripristino dovuti all'esondazione del Lambro, resta chiuso al traffico fino alle 6 di giovedì 20 novembre il ramo di svincolo in uscita per Milano Lambrate dalla carreggiata nord (direzione Venezia-Usmate).

Maltempo, seconda vittima in Lombardia: 36enne annega a Crema. In tilt la rete ferroviaria

Era un dipendente comunale: cercava di far defluire l'acqua di una roggia che stava per allagare un ristorante. Migliora la situazione a Milano dopo gli allegamenti, ma crolla una strada sul Naviglio Pavese

{}

Ancora un morto. E sono otto in due mesi: il maltempo e soprattutto le disastrate condizioni del territorio italiano continuano a fare vittime. L'ultima è un giardiniere di 36 anni rimasto incastrato in una pala di un mulino a Crema mentre stava tentando di aprire una chiusa per far defluire l'acqua, dopo il pensionato annegato a Ispra (Varese) nelle acque del lago Maggiore. La circolazione ferroviaria è in ginocchio: 90 treni sono stati cancellati. Trenord informa che la circolazione sulla linea ferroviaria regionale fra Milano e Bergamo e Milano-Brescia-Verona "si prevede fortemente compromessa per tutta la prossima settimana". Disagi saranno possibili anche sulla linea fra Brescia e Cremona.

E se per le prossime ore è prevista una tregua, già in serata una nuova perturbazione atlantica ha raggiunto il Nord-ovest colpendo zone della Liguria del Piemonte e della Lombardia che sono praticamente al collasso. Ma ora a far paura è il Po: il grande fiume ha superato abbondantemente i livelli di guardia, facendo registrare a Piacenza i sette metri sopra lo zero idrometrico e nelle prossime ore è attesa la piena. "Non ci fa dormire sonni tranquilli - conferma il capo della Protezione civile, Franco Gabrielli - Prevediamo che si possa arrivare a una criticità elevata nel tratto fra Casalmaggiore, in provincia di Cremona, e il delta".

L'Agenzia interregionale per il Po indica "nuovi incrementi" dei livelli del tratto mediano del fiume nelle prossime 24-48 ore, tanto che "non si può escludere" che l'acqua, dopo aver invaso le golene aperte potrebbe interessare anche gli argini delle golene chiuse. Vale a dire, traducendo dal burocratese, zone abitate che non dovrebbero esserlo proprio perchè si tratta di aree di sfogo del fiume. "Questo è il paese in cui viviamo", dice sconsolato il capo della Protezione civile. In attesa della nuova emergenza e sperando che non si debbano contare nuove vittime, nelle regioni colpite dal maltempo dei giorni scorsi si fa la conta dei danni e ci si prepara ad affrontare la nuova perturbazione.

 

Rientra l'allarme anche a Milano: il Seveso è tornato negli argini e venerdì riaprono le scuole nella zona 9,a nord della città, interessata dagli allagamenti di mercoledì. Superlavoro per i tecnici

Amsa impegnati per ripulire le strade. In tutto hanno lavorato 34 automezzi e oltre 60 operatori impegnati nei quartieri più colpiti, mentre sono state programmate due notti di lavaggio straordinario a Niguarda e Isola venerdì e sabato. In provincia la situazione più difficile è quella di Settala, dove si sono registrati allagamenti in tutto il territorio. Problemi anche nella zona di Melzo e nei comuni vicini di Villasanta e Arcore, in provincia di Monza e Brianza.

 

Maltempo, una vittima a Genova   foto   /   vd 1  -  2

Maltempo, una vittima a Genova foto / vd 1 -2

Esondano 4 fiumi, polemiche per mancata allerta diretta tv
Video Le auto trascinate dall'acqua
- La rottura degli argini   Foto il disastro sui social - La tempesta vista dall'aereo (09-10-2014) Un morto, strade allagate, auto trascinate dall’acqua, parte della città in black out: è tornata la paura a Genova dopo l’esondazione a causa delle forti piogge del Bisagno, che attraversa la città, e del Fereggiano, che determinò già l’alluvione del 2011 con 6 morti (leggi i precedenti). Non piove più ma in città restano zone prive di energia elettrica con strade allagate e piene di detriti. Scuole, mercati, casello autostradale chiusi. E è già tempo di polemiche per l'allerta meteo non segnalata 

 

 

Genova, le aziende implorarono Renzi
"Fateci fare i lavori, rischiamo la tragedia"

 

Il 5 agosto le ditte incaricate dei lavori sul Bisagno si rivolsero al premier: "Potrebbe essere come 2011"
Intanto l'allerta continua. Voli e treni in tilt. Allarme in Piemonte. Un disperso nel parmense (leggi)

 
Genova, le aziende implorarono Renzi "Fateci fare i lavori, rischiamo la tragedia"
 
 
"Rimandare e temporeggiare ancora espone la collettività al concreto rischio di riaccendere la tragedia del novembre 2011". Così, il 5 agosto, scrivevano a Palazzo Chigi le aziende che dovevano occuparsi della messa in sicurezza del Bisagno. "Tutti i ricorsi respinti". Ma non hanno ottenuto risposta. E ora il premier accusa la burocrazia. Intanto nel capoluogo ligure l'allarme continua. E anzi si estende a Piemonte ed Emilia. Un disperso sulle colline del parmense

 

In Liguria   foto   bomba d'acqua ed esondazioni     Foto lettori   Tromba d'aria   a Genova    video

In Liguria foto
bomba d'acqua
ed esondazioni 
Foto lettori Tromba d'aria
a Genova
video,19 agosto 2014

 Cinque trombe d'aria su Genova e il ponente. Voli dirottati, ferrovia interrotta tra Voltri e Sestri, Aurelia bloccata, disagi sul nodo autostradale genovese, torrente Cerusa esondato a Voltri e danni alla piscina di Voltri. I fenomeni sono in attenuazione e la perturbazione si sta spostando a Levante, perdendo gran parte della propria intensità. A Genova ha smesso di piovere. Autostrade - Problemi sul nodo autostradale di Genova: rallentamenti dovuti ad allagamenti all'altezza del bivio A10/A7 e allagamenti tra Busalla e Genova Bolzaneto.

Aeroporto - Sono stati dirottati su altri scali sette voli, in arrivo all'aeroporto Cristoforo Colombo, e si accumulano ritardi tra i voli in partenza.

L'Aurelia - La circolazione sull'Aurelia, tra Arenzano e Voltri, è interrotta a causa di un allagamento collegato alla mareggiata.

I torrenti - Il torrente Cerusa è esondato all'altezza di Via della fabbriche a Voltri. A Prà si segnalano, per effetto della tromba d'aria, alcuni tetti scoperchiati sulla fascia di rispetto e vengono indicati danni alla piscina.

I treni - Il traffico sulla ferrovia Genova- Ventimiglia, già interrotta nel primo mattino per un guasto ad un locomotore, è bloccata tra Sestri Ponente e Voltri, per i detriti depositati sui binari da una delle trombe d'aria.

Trombe d'aria - Anche a Multedo il passaggio di una tromba d'aria ha divelto cartelli stradali e abbattuto bidoni.

Ad Arenzano cinque trombe marine si sono succedute nell'arco di mezz'ora: quattro sono rimaste al largo ma una si è arrivata in paese devastando dehor e stabilimenti balneari, diverse auto parcheggiate sono state distrutte dal crollo di alberi, si sono allagati box e scantinati. Nella zona della "Torre dei Saraceni" la circolazione è interrotta, ulivi e cipressi secolari sono stati abbattuti.

Meteo, Italia spaccata in due,19 agosto 2014   - Milano, esonda il Lambro foto Questa volta non è stato il Seveso, ma il Lambro a uscire dagli argini. I temporali della mattina hanno alzato il livello del fiume che scorre a est di Milano al punto che il corso d’acqua è esondato in via Licata e via Camaldoli, alla periferia orientale della città. La polizia locale, presente dalle prime ore della giornata, ha chiuso al traffico, per precauzione, via Camaldoli, mentre via Licata risulta percorribile seppur a velocità ridotta. L’acqua del Lambro è fuoriuscita anche all’interno del parco di cascina Monluè.

Al momento non si registrano danni, se non il disagio per chi abita nelle vie interessate. "La situazione è sotto controllo - dice Antonio Barbato, capo staff del comando della polizia locale, presente sul posto - l’unica preoccupazione viene dal fatto che forti piogge siano annunciate anche nel pomeriggio". Agenti della polizia locale e personale della protezione civile sono impegnati anche nel controllo del fiume Seveso. A causa della pioggia che ha iniziato a cadere, abbondante, intorno alle cinque del mattino, il corso d'acqua ha infatti superato la seconda soglia d'allarme. Il raggiungimento della terza comporta il rischio esondazione.

Esonda il Seveso, quartieri allagati a Milano foto
Violenti temporali, danni in Veneto /
meteo

Maltempo a Milano, la piena fa riemergere due corpi: identificato quello di una donna

Il cadavere della 85enne è stato recuperato a Inzago, all'estrema periferia nord della città, in un canale che attraversa il centro abitato. L'altro corpo, non era ancora ritrovato, era invece nel Lambro

Le piogge eccezionali che si sono abbattute nei giorni scorsi in provincia di Milano, provocando fra l'altro l'esondazione del fiume Seveso, hanno fatto riemergere due cadaveri. Il primo è stato recuperato dai soccorritori del 118 a Inzago, estrema periferia settentrionale di Milano, in un canale che attraversa il centro abitato. Secondo le prime ricostruzioni, si tratta del corpo di una 85enne che si sarebbe suicidata.

Il secondo, invece, è stato avvistato nel fiume Lambro, all'altezza di via Idro. Sul posto sono intervenutI gli uomini dei vigili del fuoco, che non sono riusciti ancora a recuperare il corpo, avvistato da alcuni passanti, che è scomparso all'interno di un sifone. Con ogni probabilità, avverte il comando dei vigili del fuoco di Milano, dovrà essere richiesto l'aiuto dei sommozzatori.

 

Bomba d'acqua su Padova vd / Bloccata linea Roma-Viterbo 
Maltempo, inviateci le vostre foto,08-07-14

Il forte maltempo che ha colpito il Nord Italia ha provocato disagi soprattutto a Milano, dove il fiume Seveso è esondato allagando i quartieri Nord di Isola e Niguarda (guarda). Violenti nubifragi si sono abbattuti anche in Veneto e Piemonte. Non è stato risparmiato nemmeno il Centro Italia, dove la Protezione civile ha diramato l’allerta meteo. A causa di un fulmine è stata bloccata la rete ferroviaria Roma-Viterbo. I miglioramenti sono previsti da venerdì.

Milano, Seveso esondato: quartieri Isola e Niguarda sott’acqua
Il
fiume Seveso è esondato alle 2.50 di questa notte a Milano, in zona Niguarda e continua a fuoriuscire. Alcune vie della città, in particolare nel quartiere Isola, sono completamente allagate. Protezione civile regionale, Vigili del fuoco e urbani hanno chiuso il traffico nelle vie più colpite e sono al lavoro con le pompe idrovore, ma l’ operazione è difficoltosa sia per la mancanza di corrente sia per la grande quantità di acqua per le abbondanti piogge che, nella notte, si sono riversate sulla città.

Nella zone più colpite dall’esondazione il traffico è in tilt. Bloccato il traffico anche in ingresso in città su viale Monteceneri e sul cavalcavia Bacula. Si resta in coda anche su viale Jenner e via Lancetti, sulle circonvallazioni in direzione centro. Sul suo sito e su Twitter, Atm informa in tempo reale gli utenti delle modifiche di percorso delle linee di superficie e dell’agibilità delle varie stazioni della metropolitana. Molto vasta rispetto alle esondazioni del Seveso avvenute in precedenza, l’area colpita: se il punto di origine rimane la zona Niguarda, questa volta l’acqua si è allargata fino a viale Suzzani, via Cà Granda, viale Sarca, viale Fulvio Testi, invadendo viale Zara, piazza Sondrio, e invadendo il quartiere Isola, dove in particolare sono sott’acqua via Jacopo dal Verme, piazza Segrino, via Lario, piazza Lagosta fino a via Pola, dove l’esondazione si ferma. Per quanto riguarda la metropolitana, Atm sul suo sito informa che la stazione Istria della M5 è momentaneamente chiusa, così come sono chiuse alcune uscite sulla linea M1. L’azienda consiglia di prestare particolare attenzione nelle stazioni di Lotto, Amendola, Pagano, Conciliazione, Lima, Rovereto, Turro e Gorla.

Veneto, violento nubifragio nel padovano
Ma il maltempo ha colpito anche il Nord Est. 
Si contano i danni per il violento nubifragio che si è abbattuto ieri sera in gran parte del Veneto, con una vera bomba d’acqua che ha interessato in particolare il padovano. La pioggia, accompagnata da forti raffiche di vento ha causato la caduta di molti alberi, che hanno riguardato anche la linea ferroviaria tra Venezia e Treviso e lungo l’asse tra Padova e Vicenza, causando ritardi.

A Padova numerose le segnalazioni di alberi caduti che hanno determinato problemi alla circolazione. Ai centralini dei vigili del fuoco sono giunte centinaia di chiamate per richieste di intervento anche per allagamenti, soprattutto in garage e scantinati. I vigili del fuoco del comando di Mestre hanno dovuto far fronte a un centinaio di interventi lungo l’asse tra Padova e Mestre con danni anche a tetti di abitazioni e cadute di grondaie. Il maltempo si è poi spostato in tarda serata.

Piemonte, torinese colpito da forti pioggie
Dalle 20 di ieri sera fino a questa mattina (martedì 8 luglio) sono stati oltre 100 gli interventi effettuati dai Vigili del fuoco a causa delle forti pioggie. Si tratta soprattutto di
prosciugamenti di edifici allagati e di rimozione di alberi caduti sulle strade. La pioggia ha continuato a cadere con temporali fino a mezzanotte. Le zone più colpite sono state quelle di Rivoli e Pinerolo. Le previsioni meteo parlano di miglioramento nella giornata.

Lazio, bloccata la tratta ferroviaria Roma-Viterbo a causa di un fulmine
A causa di un fulmine che ha colpito la rete aerea, il servizio extraurbano della ferrovia
Roma-Viterbo è sospeso tra Civitacastellana e Montebello. Lungo lo stesso tratto, Atac e Cotral hanno messo in strada bus aggiuntivi a disposizione dei passeggeri. Lo comunica l’Agenzia per la mobilità.

 

Team che controlla i conti costa 6 milioni di euro perchè costituito da tutti i professoroni dell'Università dell'Insubria.

 

LA RISPOSTA DELLA SOVRINTENDENZA



A rischio anche la Biblioteca nazionale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TEO MAMMUCARI ALLA SEZIONE PD DI CORSO GARIBALDI A MILANO:

https://it.screen.yahoo.com/notizie-del-giorno/mammuccari-scusate-ma-di-che-104234533.html

Inchino al boss, interviene il vescovo sospese tutte le processioni nella diocesi

Inchino al boss, interviene il vescovo
sospese tutte le processioni nella diocesi

Carabiniere: "'Ndrangheta, orrenda sopraffazione"
Oppido, indagati tra portatori della Madonna

 

 

Pedofilia, mea culpa del Papa  "Dolore per abusi e suicidi   video   sono sulla coscienza della Chiesa"

Pedofilia, mea culpa del Papa
"Dolore per abusi e suicidi
video
sono sulla coscienza della Chiesa"

Francesco accoglie vittime di abusi sessuali

Udienza privata: "Chiedo umilmente perdono"

 

Pedofilia, ex arcivescovo arrestato in Vaticano per decisione del Papa

Ai domiciliari Jozef Wesolowski. L’inchiesta era partita dalla Repubblica Dominicana dove era stato nunzio apostolico. È il più alto in "grado" mai indagato per abusi sessuali

Sinodo spaccato su gay e divorziati / Le tensioni
Bergoglio: "Basta rigidità, è ora di aprirsi"
audio

Sinodo Famiglia, "Divorziati risposati
civilmente appartengono alla Chiesa"

Sinodo Famiglia, "Divorziati risposati civilmente appartengono alla Chiesa"

Così il cardinale Erdö, relatore del Sinodo, in apertura. Bergoglio invita a non temere il "non si può dire": "Parlate con franchezza e ascoltate con umiltà"

Il concilio o sinodo è, nella vita di alcune chiese cristiane (come quelle ortodosse orientali, quella cattolica romana, e diverse Chiese riformate[1]), una riunione di rappresentanti delle diverse chiese locali, per raggiungere un consenso attorno a un argomento riguardante la fede o per prendere decisioni di natura pastorale.

Il termine sinodo deriva dal greco synodos, composto dalla particella syn (che significa: insieme) e dal sostantivo odòs (che significa: cammino). Questa etimologia fa capire immediatamente che il sinodo è un organismo avente il preciso scopo di permettere una partecipazione ampia di tutte le componenti ecclesiali (per esempio, tra Cattolici e Ortodossi: vescovi, presbiteri, diaconi, religiosi, laici) alla vita della Chiesa: attraverso il sinodo, cioè, il "cammino" viene percorso "insieme". L'equivalente latino di synodos è concilium.

 

Il Papa: "Il dio denaro scarta le persone  Cambiamo questa società"   video

Il Papa: "Il dio denaro scarta le persone
Cambiamo questa società"
video

Foto L'abbraccio con Ratzinger a San Pietro

 

CINEMA

Romina Power protagonista del film
osannato dall’estrema destra

«Il Segreto di Italia» racconta la strage di Codevigo nel 1945, controverso eccidio di mililtari fascisti e civili per mano dei partigiani. Finanziato dalla Regione Veneto ha come star l’ex signora Carrisi. Per la galassia nera un piccolo capolavoro, mentre l’Anpi attacca:«Un fascismo da operetta»

piccola produzione veneta e la galassia dell’estrema destra a fare da cassa di risonanza.

Ecco «Il Segreto di Italia», pellicola che racconta la strage di Codevigo, quando nel 1945 nella campagna in provincia di Padova vennero uccisi militari fascisti e civili.

Protagonista proprio lei, Romina Power, l'ex signora Carrisi nella sua «quinta vita» dopo aver indossato i panni di attrice, cantante, personaggio televisivo e pittrice.

Il suo ritorno sulla scena a 63 anni suonati è così importante che Bruno Vespa l’ha ospitata nel suo talk show “Porta a Porta” per il lancio del lungometraggio.

 

 

 

 

 

 

 

 


«Dopo 7 anni sono tornata al cinema perché mi è stato finalmente offerto un film interessante, commovente, profondo, trattato con delicatezza, un ruolo entusiasmante, un copione poetico anche se tragico» spiega la Power.

Di poesia però non c’è traccia nella galassia nera che entusiasta lo vorrebbe distribuito come un kolossal, i duri e puri di «Dio, patria e famiglia», tra nostalgici saluti romani e nuovi slogan contro i migranti, le banche e la politica.

Per i fascisti del terzo millennio il ventennio e il mito del duce è il faro del sapere, la base dell’ideologia e tutto quello che ribalta la verità storica della resistenza italiana è da osannare come un capolavoro.

Nel mirino dei gruppi di estrema destra (in testa Forza Nuova e Casa Pound) il presunto boicottaggio e la censura:«Promozione per questo film, zero. Non c'è niente da fare se non sei schierato dalla parte rossa puoi crepare! Complimenti al regista per il coraggio» si legge via facebook.


E poi via un crescendo di rabbia:«Solita “cultura” a senso unico di chi ha paura della propria storia, della verità e dei fatti che se resi noti necessiterebbero di troppe spiegazioni».

E ancora:«Non la più feroce strage, ma una delle tante. Vigliacchi, assassini, qualunque termine è adeguato. Chi crede nel fascismo non lo consegna alla storia. Per voi l'anti fascismo è un valore per noi di Forza Nuova il fascismo resta un valore attuale».

A cavalcare la protesta la leader dei “Fratelli d’Italia” Giorgia Meloni:«Per il tema che tratta e nonostante il tutto esaurito il film di Codevigo è stato ferocemente criticato e boicottato. L’Italia deve aprire gli occhi sul proprio passato senza paura di affrontare anche i fatti più dolorosi».Per il regista padovano Antonello Belluco i toni sono trionfali:«Siamo un benevole virus che porterà una benevole svolta epidemica di verità. Spero solo di essere un piccolo iniziatore di una grande svolta. Le parole che ho ricevuto sono infinitamente importanti per me e per chi ha lavorato con me. Le vostre parole confortano la durezza della sofferenza».

La scenografia è firmata da Virginia Vianello (nipote dell’attore Raimondo), attori quasi dilettanti e tra i finanziatori la film commission della Regione Veneto (che ha contribuito con 25 mila euro per il suo valore di produzione culturale) e sponsor privati.

Gli sforzi per raccontare “l’altra verità” non è piaciuta all’Anpi di Padova, dove il film è stato presentato alla prima del 19 novembre con Romina Power presente in sala.

«Belluco presenta una Codevigo irreale: occupazione tedesca e collaborazionismo fascista dipinti come periodi di tutta tranquillità, episodi tragici anteriori all’eccidio, come l’assassinio a sangue freddo, da parte dei fascisti, del prigioniero neozelandese Thomas Gay, ridotto alla sua semplice consegna ai tedeschi. L’assassinio di Vittorio Antonio Lorenzetto (il matto di paese nel film), benevolmente e non casualmente trasformato in una finta esecuzione. Un fascismo da operetta», attaccano Floriana Rizzetto e Maurizio Angelini.

Non risparmiando critiche neppure alla star della produzione:«Il dialetto veneto esibito da Romina Power e altri attori è una koinè inventata e talora ridicola. Molti dei personaggi sono macchiette da compagnia dilettantistica, il paesaggio agrario dell’epoca è ricostruito in maniera oleografica, con scivolate patetiche alla Mulino Bianco».

Forse per questo nessuna casa di distribuzione si è presa l’onere di diffondere le immagini di Romina Power e company in tutte le sale.

 

 

Walesa - L'uomo della speranza su MYMOVIESLIVE!

Wajda affronta il confronto obbligato con il personaggio di Lech Walesa. Stasera in streaming alle 21.30.

 
 
 
 
 
Consigliato sì!
 
2,81/5
MYMONETRO®
Indice di gradimento medio del film tra pubblico, critica e dizionari + rapporto incassi/sale (n.d.)
 dizionari * * * - -
 critica * * 1/2 - -
 pubblico * * 1/2 - -
 
 
 
 
 
Sils Maria, il sito ufficiale
Dal 6 novembre al cinema.
   
Guerre galattiche
Arrivano al cinema i Guardiani della Galassia, il gruppo più improbabile di eroi Marvel.
   
Adieu au langage, il sito ufficiale
Dal 20 novembre al cinema e dall'11 dicembre in streaming e download.
   
Diretto da Andrzej Wajda, un biopic sul premio Nobel Lech Walesa, controverso e carismatico fondatore di Solidarnosc.
Chiudi Cast Scrivi Trailer
 
 
Marianna Cappi

Eroe del suo tempo, controverso e carismatico, reso leggenda dallo scorrere del tempo e della Storia, Walesa è un personaggio cinematografico a tutti gli effetti e Andrezej Wajda è il regista obbligato della sua parabola, non solo per la sua rappresentatività rispetto alla cinematografia polacca, ma perché il tassello Walesa era naturalmente la parte mancante di un puzzle di più di cinquanta opere in sessant'anni spese ad interrogarsi sulla storia del suo paese, sui riflessi europei di questa storia e sulla dialettica tra il destino individuale e le richieste di una nazione. Tant'è che Walesa. Uomo della speranza si costruisce, narrativamente e figurativamente, esattamente su questo rapporto difficile e speciale tra il singolo e il collettivo. L'ammirazione del regista è trasparente, ma a portare il film su un altro piano qualitativo rispetto ad un buon ritratto televisivo è la prova dei due attori protagonisti e più che mai la sobrietà del narrato, specchio di una capacità di coniugare fatti ed emozioni senza dover ricorrere alla consuetudine facile e spesso ricattatoria della dramedy. Walesa - L'uomo della speranza su MYMOVIESLIVE! »

Interstellar, grazie al film di Christopher Nolan “nuove scoperte sui buchi neri”

Interstellar, grazie al film di Christopher Nolan “nuove scoperte sui buchi neri”

Scienza
La pellicola contiene la più accurata rappresentazione scientifica di un buco nero. Nell’opera è stato battezzato Gargantua ed è il prodotto del lavoro 30 persone e centinaia di computer. Dietro questo risultato ci sono infatti le equazioni di uno dei principali esperti di Relatività Generale Kip Thorne

Scienza e fantascienza sono sempre andate d’accordo. A volte è il mondo della ricerca a ispirare l’industria dei sogni. In altri casi è il cinema a diventare scienza e svelare aspetti sconosciuti della Natura. Come in Interstellar, l’ultima attesa opera di Christopher Nolan, l’autore che ha già firmato altre pellicole di successo come MementoInception e la trilogia di Batman. Il film sbarca, è proprio il caso di dirlo, nelle sale italiane il 6 novembre, e contiene la più accurata rappresentazione scientifica mai realizzata di un buco nero. Nell’opera è stato battezzato Gargantua – come il gigante protagonista di una serie di romanzi del Cinquecento – ruota a velocità prossime a quella della luce ed è il prodotto di un anno di lavoro di un team di 30 persone e centinaia di computer. Dietro questo risultato c’è, però, la mano, anzi le equazioni, di uno dei principali esperti di Relatività Generale – di cui il prossimo anno si celebra il centenario -, Kip Thorne. “Interstellar è un film in cui la scienza è integrata sin dalle prime fasi della sua realizzazione”, sottolinea l’astrofisico americano, che dell’opera è anche produttore esecutivo.

Il film sbarca nelle sale italiane il 6 novembre, e contiene la più accurata rappresentazione scientifica mai realizzata di un buco nero

Il film nasce da una sua idea. Ed è a partire dalle sue equazioni sulla geometria dell’universo che gli esperti di computer grafica ed effetti speciali hanno realizzato un’accurata rappresentazione di un buco nero, e del modo in cui questo mostro cosmico distorce lo spaziotempo circostante con il suo abbraccio gravitazionale, compreso il disco di materiale che inesorabilmente vi precipita dentro. Il risultato è una elaborazione diversa da quelle con cui gli scienziati erano abituati a confrontarsi. Niente disco che ricorda gli anelli di Saturno, ma una struttura simile a un enorme imbuto, con un occhio nero al centro, che disegna arcobaleni di luce e materia. Thorne ne è subito entusiasta. “Studio da anni i buchi neri, ma poterli in qualche modo osservare è completamente diverso. È la prima volta – sottolinea lo scienziato – che in una pellicola di Hollywood la descrizione di un buco nero parte dalle equazioni di Einstein. E il risultato rappresenta bene il modo in cui pensiamo che la Natura si comporti. Per questo, abbiamo intenzione di scrivere due articoli scientifici, il primo rivolto alla comunità degli astrofisici e il secondo a quella degli esperti di computer grafica. Con questa simulazione realizzata per il film – spiega Thorne – abbiamo, infatti, scoperto alcuni aspetti legati agli effetti gravitazionali dei buchi neri in rapida rotazione di cui finora non eravamo a conoscenza”.

“È la prima volta che in una pellicola di Hollywood la descrizione di un buco nero parte dalle equazioni di Einstein

L’industria del cinema ha, quindi, anticipato la scienza. “Gli autori del film, avendo a disposizione computer molto potenti e risorse che le università spesso non possiedono, sono riusciti a ottenere un modello di buco nero molto realistico – spiega Amedeo Balbi, astrofisico dell’Università di Roma Tor Vergata e divulgatore -. Non si tratta, infatti, di un cartone animato, di una semplice interpretazione artistica, ma di un risultato dietro il quale c’è la fisica di Einstein e il lavoro di uno dei maggiori conoscitori della sua teoria sull’universo”.

Annunciato come un nuovo 2001 Odissea nello spazio, Interstellar ha un cast formato da una piccola galassia di star di Hollywood, dal protagonista Matthew McConaughey a Michael Caine, Jessica Chastain e Anne Hathaway. Costato 160 milioni di dollari, è stato girato tra lo stato dell’Alberta, in Canada, e l’Islanda. La storia è ambientata in un imprecisato futuro nel quale, a causa dei mutamenti climatici, le scorte alimentari sulla Terra iniziano a scarseggiare. Un gruppo di scienziati organizza allora una spedizione interstellare, alla ricerca di nuovi possibili mondi in cui trovare luoghi adatti per le coltivazioni. L’unico modo per raggiungere i più lontani recessi del cosmo è, però, attraversare dei bizzarri tunnel spaziotemporali, i cosiddetti wormhole. Ma cosa sono questi passaggi segreti al confine tra scienza e fantascienza? “Un wormhole, tecnicamente noto come ponte di Einstein-Rosen – chiarisce Balbi – è una specie di buco nello spaziotempo, che mette in comunicazione due punti molto distanti dell’universo attraverso una scorciatoia. Si tratta di soluzioni matematiche delle equazioni di Einstein che non violano alcun principio fisico”.

Annunciato come un nuovo 2001 Odissea nello spazio il film ha un cast formato da una piccola galassia di star McConaughey, Caine, Chastain e Hathaway

Ipotizzati sin dagli anni ’30, a dar loro una precisa cornice scientifica è proprio Kip Thorne. E ancora una volta c’è di mezzo un film. Siamo nel 1985 e Carl Sagan, astronomo e noto divulgatore scientifico, sta scrivendo il romanzo Contact, da cui verrà poi realizzata una pellicola di successo interpretata da Jodie Foster e lo stesso protagonista di Interstellar Matthew McConaughey.

“Sagan ha bisogno di un modo realistico per far viaggiare la protagonista da una parte all’altra dello spaziotempo – racconta Balbi -. Pensa, così, di farla precipitare in un buco nero, per poi risbucare in un altro punto dell’universo. Ma non è sicuro che la cosa possa funzionare. Decide, allora, di chiamare il suo amico e collega Thorne, che legge il manoscritto e si accorge subito che il meccanismo ideato da Sagan non può funzionare. Qualsiasi cosa entri in un buco nero, infatti, fa una brutta fine – spiega l’astrofisico italiano -. Nasce, così, l’idea del wormhole. Si tratta, però, di ricerche puramente teoriche, che non hanno alcuna possibilità di essere realizzate. Anche ammesso che si apra, un wormhole sarebbe, infatti, instabile e si richiuderebbe in un lasso di tempo brevissimo. Per poterne sfruttare le potenzialità – aggiunge lo studioso – ci vorrebbe ad esempio una civiltà molto più avanzata della nostra”.
Allora perché è importante studiarli? “Una delle ragioni – spiega Balbi – è che permettono di esplorare i limiti della Relatività Generale. Negli ultimi anni, però, l’interesse scientifico per queste strane soluzioni delle equazioni di Einstein è aumentato, anziché diminuire, perché – conclude lo scienziato – legato agli studi sulla cosiddetta energia oscura, sulla cui natura non sappiamo granché, ma che permea il 70% del cosmo e dà ragione fisica alla teoria secondo cui l’espansione dell’universo sta accelerando”.

 

 

Il regista di Hungry Hearts e la protagonista Alba Rohrwacher incontrano il pubblico del 27° Tokyo International Film Festival.

 
 
 
 
   
 
Sils Maria, il sito ufficiale
Dal 6 novembre al cinema.
   
Guerre galattiche
Arrivano al cinema i Guardiani della Galassia, il gruppo più improbabile di eroi Marvel.
   
I corpi estranei, con Filippo Timi
Dal 7 ottobre disponibile in dvd.
   
Al TIFF nella sezione World Focus, Hungry Hearts di Saverio Costanzo è tratto dal romanzo "Il bambino indaco" di Marco Franzoso.
 
 


È stato accolto con larghi consensi il film di Saverio Costanzo da parte del pubblico del Tokyo International Film Festival che si è inoltre molto divertito alle battute dei due artisti italiani durante l'incontro dopo la proiezione del film. Hungry Hearts, il nuovo film di Saverio Costanzo con Adam Driver e Alba Rohrwacher, è stato selezionato al World Focus della 27ª edizione del Tokyo International Film Festival e ieri presentato al pubblico alla presenza del cast. Il film, già molto apprezzato a Venezia, ha ricevuto lodevoli considerazioni anche in oriente dove il pubblico ha concentrato gran parte delle domande sul lavoro di regia ma anche sulla preparazione del cast e la scelta delle musiche che - dichiara il regista - "ho scelto perché sono nella mia playlist". Una playlist da cui sembra Costanzo non si separi mai e che ha avuto modo di condividere anche con il suo pubblico a Tokyo, sulle note di Battisti, intonate a cappella dalla bravissima Alba. Per vedere il film nelle sale italiane dovremo aspettare ancora un po', il film sarà al cinema dal prossimo 15 gennaio. Il canto libero di Saverio Costanzo a Tokyo »

Sei cinema uniti per proiettare film introvabili e senza distribuzione

Sei cinema uniti per proiettare film introvabili e senza distribuzione

 

A partire da gennaio 2015 il Kinodromo di Bologna scambierà pellicole con il Salone Snaporaz di Cattolica, il Supercinema di Santarcangelo, l’Astra di Forlì, il Rosebud di Reggio Emilia, e la meta extraregionale appena al di là del Po, il Cinema del Carbone di Mantova

Una rete regionale, e non solo, di sale cinematografiche indipendenti per far circuitare film introvabili e privi di distribuzione. È questa la novità della stagione 2014-2015 del Kinodromo, il cinema bolognese di via Pietralata gestito da un’associazione composta da appassionati cinefili e addetti ai lavori del settore, che a partire da gennaio 2015 vedrà una fattiva collaborazione con altre cinque sale del territorio regionale: il Salone Snaporaz di Cattolica, il Supercinema di Santarcangelo, l’Astra di Forlì, il Rosebud di Reggio Emilia, e la meta extraregionale appena al di là del Po, il Cinema del Carbone di Mantova.

Cinque cinema si scambieranno i titoli per far girare film introvabili e privi di distribuzione

“Ci scambieremo i titoli”, spiega Niccolò Manzolini del Kinodromo, “le nostre scelte esclusive finiranno nella loro programmazione e viceversa. Vogliamo che questa movimentazione di film diventi coordinata e continuativa”. L’esperimento “associativo” pressoché unico su territorio nazionale coinvolge quelle sale che sono fuori sia dal circuito commerciale, che da quello d’essai. Perché per chi non lo sapesse, oltre ai grandi titoloni commerciali, anche le pellicole art house, provenienti da festival e con un piccolo distributore, hanno già un loro circuito distributivo dove viene garantita una tenuta minima in sala.

Il Kinodromo, ovvero il Cinema Europa, ancora di proprietà della Seac Bologna – Circuito Cinema, è in alcuni giorni della settimana una sala d’essai. È la sua proprietaria, Ginetta Agostini, che con entusiasmo dà in gestione per il terzo anno consecutivo diverse sere alla settimana al Kinodromo, a spiegare i motivi della crisi di quella sala e la relativa rinascita: “Grazie ai ragazzi abbiamo salvato questa sala che altrimenti nel 2012 avrebbe chiuso”, racconta la Agostini, “ora è viva e vegeta e si evolve, non esiste un altro esercente che in Italia fa così. Ricordiamoci che il cinema d’essai, nonostante l’exploit di Martone con Il giovane favoloso su Leopardi, è un malato terminale”. La cura Kinodromo, già di per sé con 39 soci ordinari, circa 2000 sostenitori e un aumento di presenze del 40% nell’ultimo anno, ha fatto bene allo stesso Cinema Europa facendo registrare nella stessa sala con programmazione d’essai un aumento mensile medio del 74% a fronte di un dato nazionale che segna meno 0,5%.

Qualcuno ha detto che con la cultura non si mangia. Noi diciamo che per un pranzo decente ci vuole solo un po’ di tempo

“Chiaro che con questi numeri da impresa commerciale essere un collettivo ha sempre meno senso”, continua Manzolini, “siamo un’associazione di volontari che ha delle ambizioni sia distributive che anche per spin-off organizzativi su eventi culturali. Qualcuno ha detto che con la cultura non si mangia. Noi diciamo che per un pranzo decente ci vuole solo un po’ di tempo”. Allora meglio elencare i primi appuntamenti del Kinodromo, che per locandina quest’anno ha uno straordinario scimpanzé che riflette sugli oggetti primordiali di scena dei primi minuti, l’alba dell’uomo, di 2001 Odissea nello spazio: l’inaugurazione è il 27 ottobre con Final cut ladies and gentleman (2012) dell’ungherese Gyorgy Palfi, caravanserraglio di citazioni della storia del cinema per ogni secondo di film; poi il 15 novembre l’evento speciale in collaborazione con le associazioni animaliste The ghost in our machine (2013) della canadese Liz Marshall, un reportage mondiale sulle aberranti condizioni animali da reddito come visone, leoni, cavie; il 15 novembre 5fumettisti5 (2014) il doc di Gabriele Orsini su cinque venerati fumettisti italiani su suolo francese e ancora il 28 ottobre Il cineamatore di Kieslowski (1972). Poi ancora la sperimentazione quasi ogni sera del PopCorn Hour con djset, sonorizzazioni di film e incontri con gli autori; nonché una megafesta di Natale che a breve verrà annunciata a tutti gli effetti.

 

IL CINEMA

"Fury", Brad Pitt torna alla guerra: "Dopo Basterds è come combattere davvero"

L'attore è un ufficiale americano al fronte in Germania, un ruolo analogo a quello interpretato nel film di Tarantino. "Ma qui è tutto realismo e autenticità". Il matrimonio? "Nulla è cambiato, Angelina e io ci siamo sempre sentiti marito e moglie, fin dal primo bacio..."

NEW YORK - Aprile 1945, l'ultimo grande sforzo degli alleati nel teatro di guerra europeo, in Germania. Un ufficiale americano guida il suo carrarmato oltre le linee nemiche in quella che sembra una missione suicida. È una scena del film Fury, scritto e diretto da David Ayer, con Brad Pitt nel ruolo dell'eroico ufficiale. Nel cast anche Shia La Beouf, Logan Lerman, Michael Pena e Jason Isaacs. Una coincidenza, anche la moglie di Pitt, Angelina Jolie, affronta la Seconda Guerra Mondiale con il film da lei diretto, Unbroken, ambientato però dall'altra parte del globo, nel Pacifico e nei terribili campi di prigionia giapponesi.
 

Video

Dopo "Inglorious Basterds", Brad Pitt torna al fronte: l'attore è un militare americano in Germania durante la seconda guerra mondiale in "Fury", diretto e prodotto da David Ayer. Ambientato nell'aprile del 1945, il film racconta le vicende dell'agguerrito sergente dell'esercito americano Wardaddy. Al comando di un'unità di cinque soldati, in un'eroica missione dietro le linee nemiche a bordi di un carro armato, Sherman, Wardaddy e i suoi uomini tenteranno di colpire il cuore della Germania nazista. Il trailer originale.


Abbiamo incontrato Brad Pitt a New York. Cappello, occhiali e baffetti, non dimostra affatto i 50 anni compiuti da poco, proprio durante le riprese del film. Neo-sposo, non nega l'effetto del matrimonio su una coppia ormai rodata da anni, con sei figli. "È vero, l'abbiamo fatto per i bambini, che ce lo chiedevano ed erano così contenti - dice - ma poi ti rendi conto che un matrimonio è più di un certificato, è un modo per approfondire un impegno". Non dice molto di più, preferisce parlare di cinema, di guerra e del film che si accinge a girare, diretto da sua moglie, By the Sea.

Pitt, dopo Inglorious Basterds lei è di nuovo un ufficiale americano in Europa contro i nazisti. C'è qualche analogia?
"Molte e nessuna. Basterds lavorava di fantasia su uno sfondo storico molto realistico, mentre Fury lo scenario storico lo prende molto sul serio. Il regista David Ayer ha costretto noi del cast a un addestramento di tre mesi prima delle riprese, non molto diverso da quello di un vero addestramento da caserma. Fury è tutto realismo e autenticità nella ricostruzione degli eventi: la scena dell'attacco è stata girata come si trattasse di un attacco vero, abbiamo usato veri carri armati messi a diposizione da collezionisti, potete immaginare quanto abbiamo dovuto stare attenti...".

Come ci si sente dentro un carrarmato?
"È come quando metti la testa sott'acqua, è tutto ovattato. Tutti puzzano ma ti ci abitui subito. In un carrarmato devi trovare il tuo angolino, la  tua cuccia fra un bullone e l'altro, il centimetro dove poggiare la tazza di caffè, e quel centimetro diventa la tua casa. I soldati ci vivevano per mesi, e facevano tutto lì dentro. Dopo un po' ci si affezionavano a quel bozzolo, quasi fosse un utero e il carrista un feto felice di rimanerci dentro".

Anche sua moglie, Angelina, ha diretto un film sulla Seconda Guerra Mondiale. Parlate entrambi il tedesco.
"Siamo appassionati d'arte e c'è un grande  movimento artistico in Germania, dove abbiamo molti amici. Abbiamo una casa a Berlino. Una città affascinante. Forse oggi come nel 1943 noi americani ci domandiamo se l'ideologia non ci stia bloccando troppo. In Fury il mio personaggio è di origine tedesca, e il film parla dell'accumulo dell'orrore della guerra, così come 12 anni schiavo, in cui ho recitato l'anno scorso, parla dell'orrore del razzismo e della schavitù. E io ci penso a queste cose: ieri ci ammazzavamo, noi e i tedeschi, e oggi beviamo la birra insieme".

 

Cinquanta sfumature di grigio, è online il trailer censurato dalle tv americane

La pellicola tratta dal best seller di E. L. James (pseudonimo di Erika Leonard), arriverà sugli schermi italiani il 12 febbraio 2015, giusto in tempo per San Valentino. Presentato al "Today" show su NBC il video basato su un libro che ha 100 milioni di copie, è stato mostrato solo in parte, perché considerato troppo hard per il pubblico televisivo

Cinquanta sfumature di grigio, è online il trailer censurato dalle tv americane

Il trailer del film 50 sfumature di grigio è stato giudicato troppo “hot” per le emittenti americane. Presentato al “Today” show su NBC, il video della casa Universal, basato su un libro che ha 100 milioni di copie, è stato mostrato solo in parte, perché considerato troppo hard per il pubblico televisivo. Una versione integrale, invece, è disponibile online. La pellicola è tratta dal bestseller di E. L. James (pseudonimo di Erika Leonard), il primo libro della trilogia dell’autrice. Diretto da Sam Taylor-Johnson e con protagonisti l’irlandese Jamie Dornan nei panni di Christian Grey e Dakota Johnson in quelli di Anastasia Steele, il film arriverà sugli schermi italiani il 12 febbraio 2015, giusto in tempo per San Valentino. In sottofondo al trailer, una versione inedita di “Crazy in love” di Beyonce. Il film racconta di una studentessa del college la cui vita cambierà dopo l’incontro con il miliardario Christian Grey

 

Perez., anime reiette in una Napoli d’acciaio nel nuovo film con Zingaretti

La pellicola, presentata fuori concorso all’ultima Mostra veneziana è pronta per l’uscita in sala il 2 ottobre prossimo. Tra i protagonisti Giampaolo Fabrizio che interpreta il padre di una delle tante, troppe vittime di una criminalità quotidiana apparentemente inarrestabile

merolla

“Tu non l’hai proprio capita la merdosità della situazione”. L’avvocato Merolla non ha più peli sulla lingua, anzi forse non ne ha mai avuti, ma ora che la vita gli si accartoccia contro, le sue parole suonano di assoluta spietatezza. D’altra parte, perché mentire al suo amico più caro, il collega Demetrio Perez. Siamo nella Napoli d’acciaio del Centro Direzionale, il Tribunale delle anime più reiette è il cuore dei fatti & misfatti di ogni avvocato operativo nel capoluogo campano e quello da cui si aprono le scene del film Perez., opera seconda di Edoardo De Angelis, giovane regista partenopeo che dopo l’esordio Mozzarella Stories sta affermandosi tra le voci più interessanti del cosiddetto neo-Italian-criminal-genre. Perez. è stato presentato fuori concorso all’ultima Mostra veneziana ed ora è pronto per l’uscita in sala il 2 ottobre prossimo. Protagonista è Luca Zingaretti nei panni dell’avvocato d’ufficio Perez, suo “avversario” è il ricercato Francesco Corvino (Marco D’Amore, star di Gomorra – La serie): i due uomini s’incontrano giacché quest’ultimo è il nuovo fidanzato di sua figlia Tea, ventenne spavalda e orgogliosa.

La “situazione di merdosità” evocata da Ignazio Merolla è proprio quest’amore che “non s’ha da benedire”. A dar corpo e voce al personaggio più tragico di Perez. è l’attore Giampaolo Fabrizio in un’interpretazione memorabile. Già interprete del gangster Ciccio Dop per Mozzarella Stories, De Angelis l’ha voluto ancora al suo fianco perché “cercavo un essere umano che fosse in grado di sintetizzare il paradosso che fosse la quintessenza dell’esistenza, cioè un’esistenza drammatica con ironia. Lui era perfetto per questo”.

Cinquantasette anni, napoletano, Fabrizio è un attore completo: una vita tra i palcoscenici italiani, qualche film e la televisione (da Calciomania a Striscia la notizia) dove spopola nei panni parodistici di Bruno Vespa. Ha accettato di diventare il controverso e crepuscolare avvocato amico e confidente di Perez, perché “in realtà, Ignazio Merolla è molto distante dalla mia vita, dalla mia serenità e dal mio inguaribile ottimismo. Ma Edoardo, al quale sono legato da lunga e profonda amicizia, conosce perfettamente il legame speciale che mi lega a mio figlio Gianmarco (da poco diciottenne). Ha intuito che in virtù di questo profondo amore avrei potuto trarre ispirazione per trasmettere in scena il dolore che può provare un padre per la perdita di un figlio, come accade a Merolla”. Così Giampaolo Fabrizio spiega a ilfattoquotidiano.it, ricordando che il figlio del suo personaggio, Angelo, scompare a causa di un colpo di pistola esploso erroneamente per strada. Una mina vagante come tante che quotidianamente affliggono lo splendore umano e urbano di Napoli.

Ed è da lì, da quel tragico contesto, che nasce la tragicità di Merolla, uomo depresso fino alla morte, emblema delle tante, troppe vittime di una criminalità quotidiana apparentemente inarrestabile. Secondo l’attore, che ben conosce il territorio, anche di fronte alle emergenze “le istituzioni girano colpevolmente la faccia dall’altra parte, e poi ci si ritrova a dover convivere con quel “male”, così ben descritto nelle immagini di Gomorra, in una terra che forse si è irrimediabilmente ammalata”. Il cinema e la cultura in generale però possono contribuire ad offrire qualche cura. “Credo il cinema possa continuare a scuotere le coscienze non solo svolgendo un’azione di denuncia ma aiutando comprendere i fenomeni criminali analizzandoli al loro interno, esattamente come proposto dall’analisi oggettiva e spietata di Saviano che ha ispirato mirabilmente Gomorra. Ma non basta: bisogna riappropriarsi del territori che sembrano perduti. La denuncia deve arrivare soprattutto nei luoghi dove violenza, arroganza e prevaricazione hanno messo radici. Napoli non ha bisogno di “leggi speciali” o dell’esercito ma, piuttosto, di una presenza costante e visibile sul territorio che deve necessariamente coinvolgere cittadini in comunione con istituzioni e forze dell’ordine. Per questa rivoluzione culturale io mi sento già in prima linea, non mi tirerò mai indietro, e so di certo che tantissimi napoletani (e non) onesti e di buona volontà stanno aspettando solo un cenno per mobilitarsi”.

 

 

 

 

 

 

 

 

CULTURA

Scoperta Ostia antica "segreta" "Era più estesa di Pompei" -   dall'alto

 

 

 

 

 

 

 

 

Scoperta Ostia antica "segreta"
"Era più estesa di Pompei" - 
dall'alto
Siria, quel che resta
dell'antica Maalula
foto

'Petra' civiltà aramaica

 

 

 

SPORT SUPERFLUO

Droga, razzismo, quegli amici rumeni (e siciliani), I FORCONI e la Juve: storie dell’altro tifo

Droga, razzismo, quegli amici rumeni (e siciliani) e la Juve: storie dell’altro tifo

 

L'operazione 'Bravi Ragazzi' ha fatto luce sulla vita di alcuni personaggi di spicco della curva bianconera. Emergono così i rapporti con la mala rumena, casi di striscioni rubati e riavuti tramite "amicizie esterne" ai gruppi e la guerra interna per i posti allo Stadium

Amicizie censurabili, bande rumene, assalti razzisti e fiumi di droga. È diventata una delle curve più chiacchierate, quella della Juventus. Ad accendere i riflettori sulla tifoseria organizzata bianconera la presenza di alcuni personaggi che gravitano sugli spalti e allo stesso tempo sono protagonisti di vicende violente o affari loschi, spesso in contesti confinanti o totalmente slegati dal mondo degli stadi. L’operazione che ha smantellato un’organizzazione dedita al narcotraffico internazionale tra Albania e Piemonte è solo l’ultimo tassello del puzzle. Tra i 22 arrestati ci sono sette ultras dei Bravi Ragazzi, uno dei gruppi che segue la Vecchia Signora. Non è un caso che l’indagine si chiami proprio come una delle sigle della curva bianconera. Al vertice del traffico di droga e del settore occupato dal gruppo di tifosi c’era sempre lui, Andrea Puntorno. 37 anni, agrigentino, nell’ordinanza di custodia cautelare si legge anche che avrebbe intrattenuto rapporti con altri “per lo più finalizzati alla gestione di abbonamenti per l’ingresso allo stadio”. Ma il discorso è più ampio: le zone grigie di alcuni esponenti della curva bianconera sfiorano i biglietti e arrivano fino alla Sicilia.

Pubblicità

Scontri e assalti - Tra gli arrestati appartenenti ai Bravi Ragazzi c’è anche Davide Moscatiello, 37 anni, finito ai domiciliari per l’assalto al campo rom della Continassa. Lo scorso dicembre, invece, furono tanti gli ultras juventini appartenenti a più gruppi organizzati coinvolti nell’assalto al Palazzo della Regione durante la manifestazione dei Forconi. In due vennero arrestati. “Hanno partecipato a titolo personale”, il refrain lanciato dopo ogni avvenimento. È successo anche all’indomani dell’operazione che porta il loro nome: “Quello che ogni membro del gruppo fa al di fuori dello stadio non può essere imputato al gruppo intero e il gruppo intero non può essere sempre coinvolto nelle vicissitudini di alcuni suoi membri. La nostra passione e la nostra mentalità non sono sotto esame né sotto inchiesta”, hanno scritto i Bravi Ragazzi in un comunicato dopo gli arresti di martedì. È come dire che non tutta la curva della Lazio era coinvolta negli affari di cui è accusato uno dei leader degli Irriducibili, Fabrizio “Diabolik” Piscitelli. Vero, ma resta un dato di fatto: quando gli appartenenti a una frangia della tifoseria organizzata scivolano su un fatto di cronaca restano tranquillamente all’interno del gruppo.

Lo striscione del 2002 - Che alcuni membri della curva juventina abbiano legami strani con soggetti esterni al mondo ultras e si rivolgano a loro in caso di necessità non è una novità. La testimonianza arriva da un episodio di dodici anni fa che sarebbe dovuto nascere e morire all’interno del mondo ultras. Flashback, settembre 2002: amichevole Catania-Juventus, cinque componenti del gruppo bianconero Fighters vengono alle mani con i siciliani e perdono lo striscione. Un fatto che nel linguaggio ultras dovrebbe portare allo scioglimento del gruppo. Nel ricostruire la vicenda la Curva Nord etnea scrisse che c’era una verità “fatta non di regole, ma di ‘interessi’ che nulla hanno a che vedere con i valori sopra detti. Ci è stato chiesto lo striscione indietro e di tacere l’accaduto da ‘gente’ estranea al movimento ultras, hanno fatto forza su queste ‘amicizie’ per riaverlo indietro”. Un esplicito il riferimento a uomini quanto meno prossimi alle cosche.

Oarza e i Templari - Puntorno, invece, in passato è stato accostato alla “Brigada”, un’organizzazione mafiosa rumena che aveva messo radici sotto la Mole. Smantellata nel giugno 2013, la banda era stata guidata dai boss Viorel Oarza e Eugen Gheorghe Paun. Poche settimane fa quattordici appartenenti alla Brigada sono stati condannati in primo grado a pene dai cinque ai 15 anni di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, spaccio, sfruttamento della prostituzione, lesioni e un tentato omicidio. In fase d’indagine, come riportato all’epoca da La Stampa, gli inquirenti ricostruirono come proprio Puntorno ‘chiese rinforzi’ a Paun per la curva bianconera. Nacque così il gruppo dei Templari, un manipolo violento presente al secondo anello della curva bianconera. Tra loro, anche Vasile Vrinceanu, arrestato ieri nel corso dell’operazione “Bravi Ragazzi” e considerato vicino alla Brigada almeno fino a uno ‘sgarro’ per il quale venne ridotto in fin di vita. Mani pesanti e spalle larghe in caso di scontri con le tifoserie avversarie, ma anche per regolare questioni interne. Che a Torino ultimamente non sono mancate.

Le tensioni interne - L’aria nella curva bianconera è tesa da tempo. Ruggini antiche sono tornate a rendere irrespirabile l’aria nel periodo del trasloco allo Juventus Stadium. Allora si è aperta una guerra per le posizioni da occupare, che in quel settore vuol dire potere e proselitismo. In questo contesto maturò nell’estate 2011 il corpo a corpo tra Drughi e Bravi Ragazzi durante il ritiro della squadra a Bardonecchia. Un ragazzo venne accoltellato a una natica in pieno Summer Village tra famiglie in fuga e bambini terrorizzati. La rivalità strisciante tra le varie fazioni della tifoseria organizzata è arrivata, forse, fino al pestaggio del “Presidente” Umberto Toia. Leader del gruppo Tradizione, Toia venne aggredito con calci, pugni e bastonate la notte tra il 23 e il 24 dicembre 2013 fuori dal suo bar a Grugliasco, a sud del capoluogo piemontese. Si parlò subito di un agguato maturato negli ambienti ultras. Poi si vociferò una pista legata alla sfera familiare. Gli inquirenti non sono ancora riusciti a far luce. Troppa omertà, fanno filtrare dalla Procura. Una parola più vicina al mondo della malavita che a quello ultras in senso stretto.

 

Urgono denari freschi, Thohir pensa a un nuovo socio: tante le idee

Serve denaro fresco. Erick Thohir ha aggiunto una riga da spuntare sulla sua lista persona le delle cose da fare. Una riga vitale per il club, visto che del prestito-super strappato alle banche (circa 230 milioni di euro) è rimasto ben poco.

TRE STRADE - Thohir ne ha parlato con Massimo Moratti nei giorni scorsi, prospettandogli tre soluzioni immediate. La Gazzetta dello Sport spiega nel dettaglio: ''La ricapitalizzazione è la prima opzione prospettata da Thohir a Moratti. Tutti i soci, in proporzione alle loro quote, devono accettare, pena l’erosione delle stesse quote. Ecco perché Moratti all’idea del presidente nerazzurro ha storto il naso. Già con il suo 29,5% non ha 'concretamente' spazio di manovra, se per di più deve staccare un ulteriore assegno... L’altra strada è quella dell’iniezione di denaro da singole tasche. Lo hanno già fatto sia Thohir sia Moratti nei mesi scorsi. Questo non comporta aumenti o diminuzioni delle quote societarie. ET, nel caso, si affiderebbe ancora a un prestito dalle banche. Infine, la possibilità di emettere bond per raccogliere capitali. Un’idea che anche altre società italiane hanno valutato nel recente passato e che per il momento, dopo varie analisi finanziarie, non hanno superato tutte le perplessità visti i tassi elevati''.

SOCIO NUOVO - L'alternativa sarebbe quella di aprire le porte del club a un socio nuovo, uno in grado di investire senza alterare gli equilibri interni all'interno del 70% del pacchetto di maggioranza detenuto da Thohir. ''Tra la copertura del debito, il finanziamento della cessione del marchio, i soldi finiti in un conto vincolato a garanzia, il finanziamento a Inter Media e le spese per le banche i soldi in fondo al cassetto sono ormai ridotti – evidenzia la rosea –. Quindi serve farne entrare di nuovi''.

CESSIONI ILLUSTRI - L'ultima risorsa sarebbe, altrimenti, quella di cedere un pezzo da novanta, facendo cassa e plusvalenza. La via sarebbe quella più facile e più diretta, ma questo significherebbe impoverire una rosa che già stenta di suo. E se poi si calcola che i due veri top al momento sono Kovacic e Icardi, ecco che la conseguenza sarebbe pure quell di inimicarsi fatalmente il pubblico interista, già scontento di suo. Una strada poco praticabile, quindi. E allora Thohir dovrà studiare bene il percorso per far decollare definitivamente il club.

Erick Thohir si presenta in conferenza stampa: "Nell'assemblea abbiamo completato il cda, rendendolo più forte. Per noi è importante avere un cda molto forte. questo è un bene per l'Inter non per un singolo. Tutte le decisioni sono state prese in modo collettivo. Negli ultimi giorni abbiamo preso decisioni non semplici, abbiamo anche cambiato tecnico. L'obiettivo è l'Europa, se sarà la Champions ancora meglio. Siamo felici di Mancini per via della sua esperienza, della sua fame di vittoria. Siamo sicuri che potrà raggiungere gli obiettivi in modo sostenibile. Ora è importante fare punti. Vogliamo tornare tra i primi quattro, cinque per metà stagione. Mancano tante partite, abbiamo pensato fosse il momento giusto per cambiare. Vogliamo dirigenza forte dentro e fuori dal campo per tornare tra i top ten prima possibile".

EMETTERE BOND?

"Stiamo facendo un plan qinquennale, il primo passo è stato il rifinanziamento. Altri club ci stanno seguendo. Noi vogliamo che la Serie A sia competitiva. Se ci sono altre possibilità siamo aperti. Saranno discussioni che avverrano in consiglio sulla base del piano quinquennale. Non si può dire sì o no, dobbiamo vedere il piano".

I CONTI SONO PEGGIORI DI QUANTO SI ASPETTAVA?

"Quando siamo arrivati abbiamo fatto la due diligence, tutto era chiaro. Quando si gestisce un'azienda ci sono sempre alti e bassi. Vogliamo raggiungere un certo livello di ricavi, a volte ci si riesce a volte no. Abbiamo firmato con Nike e Infront, adesso nella Lega c'è un nuovo accordo sui diritti tv che ha cifre più elevate. Facciamo dei risparmi qui e là e questo ci ha consentito di avere due allenatori. Acquisti? Mancini è molto felice del team, è importante capire con lui cosa pensa della rosa. Ne parleremo con lui. Noi pensiamo di avere una buona squadra e lo crede anche Mancini. Siamo molto trasparenti con Mancini, gli abbiamo spiegato della strategia del club, del FPF e di come vogliamo tornare in top 10 mondiale. Ho visto Mancini ieri sera, ha capito che noi ci basiamo su decisioni collettive, è un po' diverso rispetto al passato. Voglio costruire una vera e propria squadra anche sul campio. Vogliamo raggiungere la Champions in modo sostenibile. Per il momento le cose vanno bene. Lavoreremo per cinque anni per raggiungere gli obiettivi".

POSSONO ENTRARE NUOVI PARTNER?

"Ho un ottimo rapporto con Pellegrini, lo saluto cordialmente. Non abbiamo parlato di queste cose, assolutamente no. Quando qualcuno vuole sostenere l'Inter sono felice, è importante che tutti capiamo che l'Inter è una famiglia. E' importante anche il sostegno dei tifosi, è importantissimo che i tifosi facciano parte della catena. Non è facile neanche per Mancini. Non ho parlato di queste cose con Pellegrini ma è bello che ci sia qualcuno che voglia dare sostegno".

I FISCHI?

"Più l'Inter ha sostegno meglio è. L'Inter ha più di 100 anni. San Siro è la nostra casa, a volte giochiamo meglio in trasferta e in casa si sente più pressione. Dobbiamo cambiare questa cosa, San Siro deve essere la nostra casa. Quando vengo a San Siro è stupendo, alcune persone vengono da fuori dall'Italia e vogliono vedere la loro squadra. E' importante che i tifosi si divertano ma che sostengano la propria squadra. Non c'è la perfezione, anche i matrimoni non possono essere perfetti. Ci vuole rispetto, anche la dirigenza vuole il meglio per l'Inter. Qui non ci sono interessi personali, tutti hanno una storia importante. Potete controllare la storia di ogni dirigente, la sua credibilità. San Siro deve tornare ad essere la nostra casa. Derby? Beh è sempre San Siro, non è proprio una trasferta. Mi dicono che ci saranno moltissimi interisti e sosterranno la loro squadra. La Serie A non è facile, c'è sempre l'aspetto tattico a dominare. Ma l'Inter merita di tornare in alto, vogliamo fare punti in ogni gara"

IL FPF E IL MERCATO?

"Ne parlerà Bolingbroke ma per me la faccenda è interessante. Non ci sarà mai una nuova Inter, l'Inter è sempre l'Inter. Non voglio cambiare il nome, abbiamo cambiato leggermente il logo, semplicemente per rendere più facile la pubblicazione ma è sempre la stessa Inter. E' molto importante collaborare. Tra me e la dirigenza a volte ci sono divergenze ma ne discutiamo sempre. A volte chiedo: vorrei prendere questo e Piero mi dice no, ci sono giocatori migliori. E io ascolto. Abbiamo un nuovo Cda, nuove partnership. L'Inter è sempre l'Inter ma vogliamo aumentare i ricavi, è molto semplice. Vogliamo guadagnare di più dagli sponsor, non è facile ma questa è la sfida. E con Moratti siamo d'accordo. Vogliamo top ten mondiale come ricavi quindi sono importanti i ricavi e la redditività. Potete vedere le cifre, vogliamo solo aumentare i ricavi".

BOLINGBROKE: "Per quanto riguarda il FPF la prima cosa da dire è che abbiamo visto la Uefa. Ora loro verranno a Milano e parleremo del business plan quinquennale. Prenderemo una decisione a febbraio. Ci stanno esaminando al momento. Ovviamente il cambio di allenatore e qualsiasi decisione finanziaria deve essere discussa con loro. Quindi stiamo collaborando, abbiamo spiegato loro del cambio di allenatore. Per quanto riguarda i giocatori, è arrivato Mancini: è stato argomento di discussione con lui. Il programma che abbiamo con lui va benissimo e siamo felici".

COSA HA PORTATO ALL'ESONERO DI MAZZARRI?

"E' importante che il leader abbia la fiducia di tutta la squadra. Mazzarri c'ha portato in Europa ed è per questo che abbiamo prolungato. Ma, come ho detto a tutti, ci servono i risultati: Europa e Champions League. E' un ottimo allenatore, ancora uno dei migliori italiani. Ma se i risultati sono stagnanti alla fine noi, come dirigenti, dobbiamo capire come raggiungere i nostri obiettivi. Non è una decisione presa da me e per il rapporto mio con Mazzarri. E' una decisione che ha a che fare con l'Inter. Anche i tifosi saranno felici se raggiungiamo gli obiettivi. Non c'è mancanza di rispetto per Mazzarri, l'ho sempre rispettato e sostenuto. Ora chiedo che tutti sostengano Mancini. E' importante sapere che non sono tutti felici perchè firmiamo con Mancini, noi con lui abbiamo firmato un contratto triennale. C'è un progetto, non è che cambiamo allenatore in estate. E' importante dare il massimo sostegno alla squadra. Ogni decisione che prendiamo non è semplice, ora l'obiettivo non è certo fischiare Mancini dopo 4 partite, è importante sostenere la squadra. Dobbiamo fare in modo che San Siro sia casa nostra. Pensate ai tifosi che vengono dal Giappone, io mi faccio 20 ore di viaggio per venire qui. Io voglio tifare per la mia squadra, chiedo ancora con la massima umiltà: sosteniamo la squadra e Roberto Mancini. Quello che è successo capita: io do la mia parola e la mia parola conta, crediamo in questo progetto. Se non ci sono risultati, dobbiamo fare qualcosa per l'Inter non per i miei vantaggi personali. Ora ci sono tre partite non semplici, sarebbe bellissimo vincerle ma non sarà facile. Diamo il massimo sostegno a Mancini e alla dirigenza".

CHE IDEA AVEVA DI BERLUSCONI NON DA PRESIDENTE? E CHE RAPPORTO HA CON BARBARA?

"Mai incontrato Silvio, ho incontrato Barbara. Barbara ha una vision per il Milan e anche noi all'Inter abbiamo le nostre visioni. Ha bisogno di tempo come noi. Non possiamo copiare al 100% quello che fanno in altri paesi, questa è la Serie A. Se vediamo strategie e business plan, questo è l'elemento più importante per capire cosa succederà nei prossimi 5 anni"

HA SUGGERITO A PALLOTTA IL RIFINANZIAMENTO?

"Anche lui viene dagli Usa, questa è un'operazione abbastanza comune. Lo stesso vale per Berlusconi: vogliamo tutti la sostenibilità. Ognuno ha la sua strategia e anche James Pallotta ha la sua. L'ultima volta che sono stato negli Usa ad Aspen con Bolingbroke e Williamson: quello che fanno lì, era una conferenza di personaggi che governano sport mondiali, è incredibile. Si può prendere spunto ma bisogna adattare il tutto al proprio club. Quello che ha fatto Moratti in 18 anni, con 16 titoli, è incredibile. L'ho detto fin da subito: credo che non riuscirò mai a raggiungere il suo livello. Stiamo cercando di fare in modo che l'Inter sia sostenibile. Anche Barbara ha molto tempo davanti, Pallotta sta ottenendo dei risultati. Condividiamo le best practice, non copiamo. Capiamo cosa va bene per la Serie A. Negli ultimi 12 mesi la Serie A è andata molto velocemente. Le nuove riforme per rispettare il FPF, i 25 giocatori nella rosa. Questa condivisione può far migliorare la Serie A molto velocemente".

BOLINGBROKE: "La conferenza di Aspen si chiamava Global Sports Owners. Per me è stata una novità, non c'ero mai stato prima. I partecipanti erano tutti proprietari e ci sono state sessioni parallele e ciascuno parlava dei propri segreti del mestiere. Ed è stato straordinario vedere come si condividevano le best practice. E sono in linea con lo stile di Erick Thohir. Credo che in Europa questa cosa sia da fare e sia fattibile".

THOHIR: "Nel corso dell'assemblea abbiamo annunciato il Cda. Li conosco tutti. Come ho detto all'inizio, è un bene che la dirigenza cerchi di avere le migliori personalità. C'era solo questo all'ordine del giorno".

C'E' LA POSSIBILITA' PER MANCINI DI LIBERARSI A GIUGNO? E I RINNOVI DI ICARDI E KOVACIC?

"Ho già risposto riguardo Mancini. Il contratto è di due anni e mezzo, non c'è nessuna opzione di uscita dopo sei mesi"

AUSILIO: "Non c'è nessuna clausola nel contratto di Mancini, è un contratto che scadrà nel 2017. Abbiamo parlato di progettualità con Mancini, sarà diverso il mercato a seconda della partecipazione alla CHampions. I mercati saranno diversi a seconda della competizione che affronteremo. Stiamo parlando con Icardi e Kovacic da mesi, sta procedendo tutto al meglio.Ci stiamo prendendo il tempo giusto, non ci vorrà molto, sarà un contratto che soddisfi entrambi. Stiamo parlando di diritti di immagine e di altre cose non solo economiche. Vogliamo che siano presente e futuro e arriveremo al rinnovo. Con Handanovic siamo all'inizio, ho incontrato la settimana scorsa il suo agente, nei prossimi mesi svilupperemo le idee che abbiamo".

Fair play finanziario, l'Inter convince l'Uefa. Thohir: "Diventeremo auto-sostenibili"

Una delegazione nerazzurra ha illustrato, sembra con successo, il piano di rientro quinquennale al massimo organismo continentale. La convinzione del presidente: "Messaggio positivo, rafforzerà il calcio europeo"

MILANO - Europa League, Uefa e campionato. Questo il fitto calendario dell'Inter. Archiviata la partita contro il Saint-Etienne finita 1-1, i dirigenti nerazzurri si sono presentati questa mattina ad un importante appuntamento. Quello davanti all'Organo di Controllo Finanziario dei Club dell'Uefa. Quasi due ore e mezza per spiegare ai 'saggi' il piano di rientro quinquennale. Un progetto ambizioso che punta alla riduzione drastica dei costi, l'aumento degli introiti fino ad arrivare all'autofinanziamento. La società del tycoon, rappresentata dallo stesso, dal Ceo Bolingbroke e dal dg Fassone, ha illustrato nel dettaglio la strategia del club, evidenziando alcuni traguardi già raggiunti (la riduzione dei costi), e altri da raggiungere (l'espansione mondiale del marchio, nuovi sponsor e la ristrutturazione dello stadio, senza dimenticare il settore giovanile sul quale l'Inter ha intenzione di puntare). L'incontro, secondo le prime indiscrezioni, sarebbe andato bene. Il Control Body dell'Uefa sarebbe rimasto soddisfatto. Un fatto positivo, che però non toglie l'inevitabile sanzione per il rosso a bilancio (200milioni circa) nell'ultimo triennio. Nella giornata dedicata esclusivamente ai numeri, Mazzarri è tornato sul campo con la squadra con un altro e unico pensiero: il Verona. Per la sfida casalinga di domenica sera, la squadra resta in piena emergenza. In forte dubbio restano Hernanes e Guarin. Il brasiliano difficilmente sarà a disposizione così come il colombiano, che si è allenato anche oggi a parte. Nagatomo sarà valutato dopo l'influenza, Osvaldo dovrebbe esserci anche solo per uno spezzone.

THOHIR: FPF, CI CREDIAMO - "Il fair play finanziario è un messaggio positivo in cui crediamo, rafforzerà il calcio europeo. E' stato importante poter condividere il nostro progetto con la Uefa - spiega il presidente Thohir -. Il nostro business-model, la gestione e la struttura aziendale mirano a portare il club a diventare auto-sostenibile nel prossimo futuro e in linea con i requisiti del fair play finanziario. Il calcio è cambiato: la Uefa chiede alle società di auto-sostenersi". Il numero uno del club prosegue: "La nomina di un team di dirigenti esperti e con un percorso professionale provato e di successo ha costituito un passo importante. Questi dirigenti beneficiano anche di una forte vocazione internazionale e della competenza degli azionisti del club". "Il cuore della nostra strategia - sottolinea il CEO dell'Inter Michael Bolingbroke - è di espandere il business aumentando i profitti attraverso investimenti ben mirati e di generare nuovi flussi di reddito insieme a una ancor più profonda espansione del brand in tutto il mondo. Sono convinto che l'Inter abbia un piano ben strutturato che ci porterà ad essere di nuovo tra i 10 migliori club al mondo, sul campo e fuori dal campo".

Thohir: "Non sono alto, né magro, né bello, ma rompo il culo a tutti..."

Il suo primo anno da presidente. Le critiche al mercato, Mazzarri, Moratti e gli ultimi attacchi razzisti. La sua replica. E svela i piani

MILANO. E' tra un sorso di acqua minerale e una cucchiaiata di fruit salad che infine Erick Thohir, dopo un'ora di faccia a faccia sempre guardandoti fisso negli occhi, confessa allude e promette, lo sguardo che da sorridente si assottiglia fino a due quasi minacciose fessure: "La prenda come una battuta, o no. Non sono alto, né lo sarò mai. Non sono magro. Per molti non sono neppure bellissimo: questi sono fatti e non li nego. Ma sappiate che sono un grande lavoratore. Ed è lavorando che proverò a far tornare grandi l'Inter e la serie A".

Eppure, mister Thohir, lei di recente ha incassato qualche uscita vagamente razzista, no?
"Mio padre mi ha insegnato che per avere rispetto bisogna dare rispetto e che ricevere critiche è un'ottima cosa: ci costringe a chiederci se e dove abbiamo sbagliato. Non credo che gli italiani siano razzisti. La maggior parte è passionale e affettuosa, poi non posso negare che ci siano singoli casi di mancanza di rispetto. Il presidente Ferrero si è scusato per lettera, dice che c'è stato un difetto di comunicazione. L'ho invitato a un incontro per conoscerci, per discutere di cose davvero importanti come il futuro della serie A".

Notizie della signora Christillin?

"Nessuna. Non la conosco. So che ha diffuso un comunicato. It's up to her : spetta a lei fare qualcosa, se vorrà".

Sabato lei compie un anno da presidente dell'Inter: bilancio?

"Ottimo. Siamo tornati in Europa ed era il nostro obiettivo, siamo al comando del girone, manca un punto per qualificarci. Fuori dal campo abbiamo rinnovato tutto il management con professionisti di valore e lo miglioreremo ancora. Ci saranno novità".

Ancora stranieri o anche qualche italiano, finalmente?

"Non è questione di nazionalità, ma di nostri bisogni e di competenze. Ci saranno sia italiani sia stranieri".

Con Moratti come va, dopo le sue dimissioni?

"Benissimo. Siamo sempre in contatto, a Milano ci vediamo. Rispetto le sue decisioni ma lui è sempre nel club, ha un 30% di quote, è un grande tifoso dell'Inter, ci aiuterà ancora. Ho enorme rispetto per lui: in 18 anni alla guida dell'Inter ha vinto 16 trofei. Io al confronto sono niente. Anzi ho già detto che non riuscirò a eguagliare i suoi successi ".

Capitolo Mazzarri: resta, va via, barcolla?

"Non gli ho mai dato ultimatum, anche se a volte lo leggo. Anzi, ho ripetuto già 6 o 7 volte la stessa cosa e lo faccio anche con lei: credo nel progetto avviato con Mazzarri, lui può stare tranquillo, sappiamo che per sviluppare un piano ci vuole tempo. Ma al tempo stesso bisogna anche ottenere risultati".

E se i prossimi saranno negativi?

"Ne discuteremo come al solito tra noi. Ora abbiamo il problema degli infortunati che ci danneggia. Ma la squadra è buona".
Cosa ha capito e cosa non le piace dell'Italia?

"Non ragiono in termini di "mi piace" o "non mi piace". Voglio adattarmi, rispettare la cultura del luogo. Il campionato è difficile, molto tattico, ricco di sorprese e passionale, alla fine tutti piangono, chi perché ha vinto e chi perché ha perso. Inoltre l'Italia ha un patrimonio inestimabile: le sue "pop cultures", tendenze globali. Gli Usa hanno esportato ovunque gli hamburger, la musica, il cinema. L'Italia le auto, la moda, il cibo... Sono rari i paesi che hanno marchi globali, infatti altri provano a costruirseli: il Giappone negli anni '70 con l'elettronica, ora la Corea del Sud. È un privilegio essere una guida per il pianeta, rendetevene conto e buttatevi nella globalizzazione, senza paura. Guardate gli Usa: sono leader, ma cercano sempre di migliorarsi".

Qual è il metodo-Thohir?

"Parto sempre da dati e statistiche. Poi ci vuole un ottimo management: ho molte aziende e viaggio sempre, così i miei staff sono i miei occhi, ogni giorno. Da presidente do una visione, un piano strategico, poi ne discutiamo. Strategia e competenza sono le parole magiche che portano ai risultati, non bastano solo le sensazioni e le intuizioni, o pregare che le cose vadano bene: a volte Dio ti aiuta, a volte no. Credo nelle decisioni collegiali. Una volta ho detto "Non sono Superman", stavolta dico che un'azienda funziona se ha degli Avengers, dei supereroi che lot- tano insieme... Dopo aver ascoltato tutti, prendo decisioni. La cosa migliore è prendere una buona decisione; peggio è prendere una decisione sbagliata; la cosa peggiore in assoluto è non prenderne alcuna. Inizio a lavorare il mattino e torno a casa alle 11 di sera. In Indonesia ho una trentina di aziende, tutte con ottimi risultati: la nostra radio e la news tv sono le numero 1, la tv di intrattenimento al numero 2 come il giornale Republika. Il mio gruppo è il secondo o il terzo del paese".

Dicono: ma chi è Thohir? Chi ha dietro? È ricco o no?

"Non sono così misterioso. Quando sono entrato nel board dei Sixers, in Nba, o nel Dc United, nel soccer, gli americani mi hanno controllato come fanno loro: c'era un dossier di 600 pagine su di me... Investimenti, patrimonio, se pagavo le tasse o no. Il denaro è importante, ma non è fondamentale quanto la competenza, che ti fa arrivare dovunque e ti fa vincere. I Sixers e i Dc United hanno ottenuto risultati, la mia squadra di calcio in Indonesia ha vinto l'ultimo campionato, quella di basket 8 degli ultimi 14...".

Si dice: sull'Inter non ha messo denaro, solo prestiti dalle banche.

"Quando un'azienda acquista un nuovo gruppo deve affidarsi alle banche, è inevitabile per poter sviluppare strategie e non distruggere tutto. I soldi non sono mai abbastanza. La manovra di rifinanziamento del debito dell'Inter non ha precedenti in Italia e in Europa: su 230 milioni, il 90% viene da banche estere che hanno creduto nel modello di sviluppo del club. È la global economy che sbarca in Italia. Negli ultimi mesi intorno all'Inter c'è stato un movimento di denaro di quasi 450 milioni".

Ancora: Thohir è tirchio, non compra giocatori.

"Da gennaio ne sono arrivati sette, con varie formule. Spenderemo ancora in futuro. Ora attendiamo verso febbraio le decisioni sul Fair Play Finanziario, poi capiremo come muoverci. A Nyon abbiamo presentato il nostro piano quinquennale, siamo in contatto con l'Uefa ogni settimana per correzioni e confronti, Platini era contento che un proprietario andasse là a spiegare i suoi piani. Rispettiamo la norma, è giusta, tra l'altro nel 2012 a presentare il Ffp c'era un dirigente dell'Inter, Ernesto Paolillo. Top players in futuro? Aspettiamo. Il grande nome, da solo, non garantisce vittorie e per una squadra ci vuole stabilità. Spenderemo. Al momento giusto".

Per risollevare i ricavi è necessario sbarcare in Asia?

"Sì perché è un mercato da circa 3 miliardi di persone, e negli Usa, dove siamo andati nelle ultime estati. Ora puntiamo sull'Asia. Stiamo studiando in quali paesi il nostro marchio può penetrare meglio, dove ci sono più tifosi potenziali. Vogliamo creare eventi, prima di andare. Porteremo la nostra Academy in Arabia Saudita, India e Giappone ".
Perché a Milano non prende casa, ma alloggia in hotel a 5 stelle lusso?
"Perché nei miei brevi viaggi l'hotel è più adatto alle mie esigenze, tra riunioni e altro. Col tempo, venendo più spesso, cercherò un bell'appartamento".

Inter, Mancini per la prima vittoria: "Battere il Dnipro, poi pensiamo alla Roma"

Il tecnico nerazzurro vuole chiudere il discorso qualificazione per concentrarsi sul campionato. "Abbiamo due strade da percorrere: arrivare fra i primi tre in campionato o vincere l'Europa League, e una delle due la dobbiamo centrare"

MILANO - Festeggiare i 50 anni con una vittoria, la prima della nuova era. Dopo il pareggio nel derby col Milan, Roberto Mancini ha chiesto ai suoi una vittoria col Dnipro che significherebbe passaggio ai sedicesimi di Europa League con una gara d'anticipo. "Il Dnipro è una squadra difficile da affrontare ed è più brava in trasferta che in casa. Ma noi dobbiamo cercare di chiudere il discorso qualificazione - chiosa il tecnico jesino -. Dobbiamo cercare di vincere per chiudere il girone al primo posto. Il Dnipro fa un calcio aggressivo, con giocatori tecnici e molto fisici. E' una squadra pericolosa su calci piazzati e contropiede, dovremo fare una buona partita per batterli. Abbiamo queste due strade: arrivare fra i primi tre in campionato o vincere l'Europa League, e una delle due la dobbiamo centrare. Sicuramente questa è una buona possibilità".

PENSARE GARA PER GARA - I nerazzurri sono reduci dal pareggio nel derby contro il Milan e domenica prossima faranno visita alla Roma all'Olimpico. Il tecnico preannuncia turnover, ma assicura che la concentrazione è tutta sul match di contro gli ucraini: "Contro il Milan abbiamo fatto cose buone, abbiamo commesso qualche errore, ma fa parte di questa nuova situazione. Nel complesso dei 90 minuti sono stato contento di quello che la squadra ha fatto. è probabile che domani qualche cambio possa anche esserci, ma dobbiamo affrontare una partita alla volta senza pensare alla prossima - sottolinea Mancini, che domani non potrà essere in panchina -. Questo mi dispiace, è la prima volta in vita mia che sono squalificato senza saperlo - rivela il tecnico -. L'ho saputo tre giorni fa, perché la mia squadra l'anno scorso è entrata in ritardo dopo il primo tempo contro il Chelsea. Questa è la regola".

VIDIC TORNERA' GRANDE - L'Inter che ha in testa Mancini è ancora in cantiere: "Adesso bisogna mettere insieme diverse cose - spiega -. Non è così semplice essere compatti, spregiudicati e non aver paura di niente in un colpo solo. Ci vuole qualche partita, qualche risultato positivo che dia convinzione alla squadra". Parlando dei singoli, il tecnico precisa che l'esclusione nel derby di Vidic non è una bocciatura: "Vidic ha saltato due allenamenti per un piccolo problema, ma ora mi sembra stia abbastanza bene. Lo conosco bene, siamo stati 'cuginì (ai tempi di Manchester, ndr) e l'ho visto giocare spesso. è un giocatore di esperienza e ci darà una mano". Nei piani futuri di Mancini c'è sicuramente Kovacic: "Che possa avere offerte è abbastanza normale, tutti i giocatori bravi ne hanno. Ma l'Inter ha la fortuna di averlo e deve cercare di farlo crescere bene, perché è un giocatore che può fare una grande differenza nei prossimi anni". Il tecnico segue con grande attenzione anche Bonazzoli: "Si sta allenando tutti i giorni con noi - spiega -, è un ragazzo giovane, ma ha delle qualità importanti. Spero di poter far giocare dei giovani ogni tanto".

INCONTRO CON THOHIR E MORATTI - Mancini ha già incontrato sia Thohir sia Moratti: "Con Moratti non ci vedevamo da tanto tempo, siamo sempre stati in ottimi rapporti. Con Thohir è stato un incontro per conoscerci, visto che c'eravamo sentiti solo al telefono. Abbiamo parlato di tutto e avremo tempo per vederci ancora". Il tecnico di Jesi domani festeggerà i suoi 50 anni in campo. "Che sensazioni si provano? Bisogna chiederlo a chi li ha già passati. Ma sono felice di essere qua, ho compiuto sia i 40 sia i 50 anni all'Inter ed è una cosa abbastanza incredibile, nessuno ci avrebbe pensato".

Zenga: "Post-Verona, chiesta mia disponibilità. Poi hanno preso Mancini"

 

Il cambio Mazzarri-Mancini visto da una prospettiva diversa. Quella di Walter Zenga, allenatore col cuore nerazzurro che era stato a tanto così dal poter prendere il posto vacante lasciato da WM. Proprio l'ex portierone interista, intervistato da TeleLombardia, ha spiegato così il dietro le quinte della vicenda dello scossone avvenuto in casa Inter, praticamente una settimana fa: "Se è arrivata la chiamata? Ho parlato con persone vicino alla proprietà, mi hanno chiesto la disponibilità ma poi hanno scelto Mancini. Quando? Subito dopo la partita con l'Hellas Verona". 

Sul rapporto con Moratti - "Non sono mai stato un uomo di Moratti, sono andato via dall'Inter grazie a Pellegrini. Con Moratti ho sempre avuto un rapporto sincero e schietto ma evidentemente, senza rancore, si fanno delle scelte che non coincidono con il desiderio di altre persone. Quando ho tweettato quella frase, era il momento dove tutto si stava mettendo bene per me, ma invece non è andata come volevo".

L'ex Uomo Ragno rimane comunque orgoglioso del percorso da allenatore fatto fin qui, spiegando i pregiudizi più comuni sul suo profilo di allenatore: "Ho camminato con le mie gambe e sono felice ed orgoglioso di ciò che sono. Tiferò sempre Inter, e nessuno deve pensare che io sia triste. Io ho sempre detto che secondo me le società non devono diventare il cimitero dei vecchi campioni, ma io ho esperienza: la cosa che non mi fa piacere è la tendenza diffusa a denigrare tutto ciò che fuori dall'Italia. Io parlo tante lingue e posso andare dovunque nel mondo senza problemi. Io traghettatore? Io non ero uno da sei mesi, che non fa il secondo a nessuno: devo seguire un progetto chiaro che mi viene affidato. Comunque sono tranquillo e sereno.

Inter sempre a un passo... "C'era stata una telefonata due giorni prima che firmasse Gasperini, c'era una chiamata "dovuta" quando è stato mandato via Ranieri. Questa volta era il momento particolare, in cui ero libero e con loro che cercavano un personaggio interista". 

Uefa, fair play finanziario: Roma e Inter a rapporto per evitare sanzioni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Moyes riparte dalla Spagna, allenerà la Real Sociedad

Il tecnico scozzese torna in panchina dopo l'esonero della scorsa stagione al Manchester United. Contratto fino al 2016, trova una squadra penultima in classifica nella Liga con soli 9 punti in undici giornate

MADRID - David Moyes è il nuovo allenatore della Real Sociedad: il club di San Sebastian ha confermato ufficialmente l'arrivo in panchina dell'ex manager del Manchester United dopo l'esonero dello scorso 2 novembre, in seguito alla sconfitta con Malaga, di Jagoba Arrasate. Il 51enne allenatore scozzese, vincitore da calciatore con il Celtic di due scudetto ed una Coppa di Lega, era il favorito per la panchina della Real Sociedad e ha firmato un contratto sino al giugno del 2016, tornando così in pista dopo l'avventura poco brillante con il Manchester United: chiamato dai Red Devils a prendere la scomoda eredità di sir Alex Ferguson, era stato esonerato prima del termine della scorsa stagione visti gli scarsi risultati della squadra.

Secondo la stampa britannica, Moyes avrebbe chiesto a Phil Neville di seguirlo in Spagna per ricoprire quel ruolo di assistente che ebbe già sia all'Everton che al Manutd. L'ex difensore, però, non sarebbe convinto di trasferirsi in Liga per ragioni familiari e per le sue collaborazioni con le tv inglesi. La Real Sociedad è penultima nella classifica di Liga con soli 9 punti all'attivo in undici giornate disputate ma domenica ha battuto 2-1 l'Atletico Madrid.

Juventus, con Giovinco c'è aria di divorzio

L'agente del giocatore continua a mandare messaggi al club non escludendo la pista estera. Pepe si gode il recupero: "L'infortunio è alle spalle. Sto bene, mi alleno con la squadra tutti i giorni"

TORINO - C'eravamo tanto amati. Sebastian Giovinco e la Signora potrebbero di nuovo lasciarsi, come era successo nel 2007 e nel 2010, quando il fantasista emigrò prima a Empoli e poi a Parma. In coda per lui, al mercato di gennaio, tre club italiani (Napoli, Fiorentina e Torino) e alcuni esteri, soprattutto inglesi. L'agente Andrea D'Amico, dopo l'aut aut dei giorni scorsi ("Se c'è un progetto valido Sebastian resterà in bianconero, altrimenti..."), ha cominciato a guardarsi intorno, visto che il suo assistito, in scadenza di contratto nel 2015, potrebbe liberarsi a costo zero: "Il Napoli e la Fiorentina? Per ora sono soltanto suggestioni giornalistiche. Un futuro lontano dall'Italia? A oggi possiamo parlare solo con la Juventus, in futuro vedremo quali saranno i progetti di altre società all'estero". Calma piatta sul fronte del prolungamento del contratto. Marotta, recentemente sollecitato dagli azionisti bianconeri sul tema dei molti giocatori in scadenza di contratto ("è prematuro anticipare i promossi e gli eventuali bocciati"), sembra avere altre priorità: definire i rinnovi di Buffon e Chiellini e trovare un accordo con Lichtsteiner, pure lui in scadenza, per evitare di perderlo a costo zero.

Il destino a volte è strano: Giovinco gode di maggior consenso in azzurro che in bianconero. Incassa la stima incondizionata del citì Conte, ma non trova spazio nella Juve di Allegri. In tutto, sommando due presenze da titolare e qualche spicciolo di partita, ha sin qui collezionato tra campionato e coppa 180 minuti di campo, appena 44 in più di Coman, l'ultimo a scavalcarlo nelle gerarchie dell'attacco dopo i vari Tevez (31 gol in 62 partite con la Juve), Llorente (3,5 gol - l'autorete dell'Olympiacos - nelle ultime due settimane) e Morata (4 gol, tutti in Serie A, uno ogni 53 minuti). Nessuna rete, ancora. Questione di centimetri: Giovinco ha colpito due pali in bianconero (contro Cesena e Palermo) e due in azzurro (contro Azerbaigian e Malta). "Sebastian è sereno e quando viene impiegato fa vedere di cosa è capace - conclude l'agente D'Amico ai microfoni di Rai Sport -. Non ha mai discusso le scelte dei suoi allenatori. Come ha già detto anche lui recentemente, quando sarà il momento valuterà tutto e poi si vedrà".

PEPE: "QUANDO VINCI, NE VUOI SEMPRE DI PIÙ" - Il fisico è a posto: "L'infortunio è alle spalle. Sto bene, mi alleno con la squadra tutti i giorni". Il morale è sempre stato alto: "Sono quello che fa un po' più casino degli altri. In questi tre anni diffcili non ho mai perso il sorriso, e questo a livello psicologico mi ha aiutato veramente tanto". Al quinto (e probabilmente ultimo) anno di Juve, appena rientrato dall'ennesimo problema muscolare, Simone Pepe si dice arruolabile per la ripresa del campionato contro una Lazio che in carriera lui ha punito spesso e volentieri: "Sono pronto a rispondere alla chiamata del mister. Con la Lazio sarà difficile: dopo un inizio in salita sono tornati al loro posto in classifica". Si definisce "un'ala vecchio stampo", nonché affamato di triplete: "La Juve punta a tutte e tre le competizioni: campionato, Coppa Italia e Champions. Conquistare un altro scudetto sarebbe fantastico. Quando cominci a vincere, ne vuoi sempre di più". Intanto si prepara al bis: a dicembre sua figlia Rebecca avrà un fratellino. In chiusura Pepe conferma le sue doti di battutista prendendo simpaticamente in giro Llorente, cantante per un giorno alla trasmissione spagnola El Hormiguero 3.0 in onda su Antena 3: "Fernando ha avuto fortuna: il pubblico si è fermato all'involucro, non l'ha sentito cantare. E' talmente bello che la gente dice 'ammazza che bello', ma se lo sentono cantare lo buttano fuori".

RICAVI IN CALO DI 53,3 MILIONI - Il cda bianconero ha approvato il Resoconto intermedio di gestione al 30 settembre 2014. La Juventus ha chiuso il primo trimestre dell'esercizio 2014/2015 con ricavi in calo del 4,1% a 53,3 milioni di euro. Lo si legge in una nota in cui vengono indicati costi operativi in rialzo dell'11,4%, a 62,3 milioni, e una perdita di 28,6 milioni, in aumento del 55,4% rispetto al precedente rosso di 18,4 milioni. In calo del 66,9%, a 14,1 milioni, è il patrimonio netto, mentre sale del 5,3%, a 216,9 milioni, l'indebitamento finanziario.

Carpi-Cittadella 5-2, gli emiliani restano in vetta. Il Bologna cade in casa

Carpi-Cittadella 5-2, gli emiliani restano in vetta. Il Bologna cade in casa
Carpi esulta: 5-2 al Cittadella (lapresse)

La capolista spazza via i veneti in meno di un tempo. A segno Gagliolo, Romagnoli, Inglese, con una doppietta, e Lasagna. Per gli ospiti inutili reti di Barreca e Sgrigna su rigore. I rossoblù battuti al Dall'Ara: il Brescia vince 1-2 in rimonta

CARPI – Il Carpi non soffre di vertigini e con una prova autorevole stende (5-2) il Cittadella conservando la vetta della classifica. La sfida dura un tempo al Cabassi. Costretta a rinunciare in extremis al bomber Mbakogu, la capolista stenta in avvio e rischia grosso: prima Sgrigna e poi Pellizzer, che colpisce in pieno un palo, fanno tremare seriamente Maurantonio.

GAGLIOLO-ROMAGNOLI, MICIDIALE UNO-DUE - Col passare dei minuti, però, la squadra di Castori si organizza e, dopo un'occasione fallita da Bianco, al 25', passa: l'1-0 lo realizza Gagliolo con un preciso sinistro da fuori area. Sulle ali dell'entusiasmo il Carpi insiste e, 3' dopo, raddoppia con un perfetto colpo di testa di Romagnoli su calcio d'angolo. Il Cittadella non ci sta e al 35' torna in partita con Barreca che approfitta di un rimpallo su un rinvio di Maurantonio per deviare il pallone in rete.

INGLESE CHIUDE I CONTI CON UNA DOPPIETTA - Il Carpi non si scompone e prima della fine del tempo chiude definitivamente i conti con una doppietta di Inglese: al 38' l'attaccante, chiamato a non far rimpiangere Mbakogu, triplica risolvendo una mischia in area poi, al 43', cala il poker con un preciso destro in diagonale su assist di Concas.

LASAGNA REPLICA A SGRIGNA - Nella ripresa gli emiliani tirano i remi in barca e il Cittadella, pur ridotto in 10 per l'espulsione al 75' per proteste di Busellato, accorcia le distanze con Sgrigna che trasforma un rigore concesso dall'arbitro Saia per una trattenuta di Lollo ai danni di Coralli. I veneti si riversano in avanti e al 94' incassano l'inevitabile 5-2 dal subentrato Lasagna che batte di sinistro Valentini su nuovo assist di Concas.

BOLOGNA, BRUTTO KO - Nell'anticipo serale, il Brescia espugna il Dall'Ara battendo in rimonta il Bologna per 2-1. Successo meritato per le rondinelle di Ivo Iaconi, andate in svantaggio pur avendo condotto la partita per quasi tutti i 90'. Subito ritmi altissimi per entrambe le squadre, messe in difficoltà dal terreno del Dall'Ara reso viscido dalla pioggia. Al 9' Sodinha manda di poco a lato su calcio piazzato. Replica del Bologna con di Cacia ma il suo tiro è debole e Minelli blocca senza problemi. Al 17' Minelli esce su Laribi, bloccando la sfera. Al 21' si fa male al ginocchio Sodinha che esce in barella sostituito da H'Maidat. Al 23', destro a girare di Morosini sul quale Coppola si salva in angolo. Al 29' passa in vantaggio il Bologna con Cacia, che ribatte in gol una debole respinta di Minelli sul tiro di Buchel. Il Brescia ci prova in un paio di occasioni con Caracciolo, poi al 45' ha una buona opportunità, che sfuma quando Di Cesare anticipa H'Maidat che stava per calciare a rete.

IL BRESCIA RIMONTA - Si va al riposo con il Bologna in avanti ma anche nella riupresa il copione non cambia, anche se al 19' è il Bologna ad andare vicino al raddoppio ed ancora con Cacia. Sul cross dalla destra di Ceccarelli, il centravanti rossoblù salta più alto di tutti ma trova il palo a dirgli di no. Al 38', però, il Brescia pareggia con un gol di testa dell'airone Caracciolo su assist di Bentivoglio. Passano altri 4' ed ancora Bentivoglio serve Valotti che a sua volta crossa per Morosini che da pochi passi batte Coppola. Il Bologna accusa il colpo ed il Brescia porta a casa una vittoria e tre punti importanti.

Frosinone crolla a Pescara, Livorno ok
Affonda il Bari: esonerato Mangia

Ciociari battuti 3-0, il Carpi resta solo in vetta alla classifica. I labronici piegano in rimonta (3-1) la Pro Vercelli e agganciano lo Spezia, bloccato (0-0) a Terni. Pugliesi ko a Crotone (3-0): il club caccia il tecnico. Colpo Vicenza ad Avellino

Serie B, il Carpi resiste a Bologna. Il Frosinone vola in vetta

Gli uomini di Castori bloccano sullo 0-0 i felsinei e restano in testa, raggiunti dai ciociari che travolgono (4-1) il Trapani. Il Livorno cade a Lanciano, impresa dell'Avellino a Modena. Tornano al successo Perugia e Catania, Brescia ko

ROMA – Il Carpi resiste (0-0) al Bologna e resta in vetta alla classifica, agganciato, però, dal Frosinone che travolge (4-1) il Trapani nello scontro diretto. Alle spalle del duo di testa sale l’Avellino che passa (1-2) a Modena e riprende lo Spezia, vittorioso (2-1) nell’anticipo contro il Crotone. Il Lanciano piega (1-0) il Livorno e lo scavalca nella corsa play-off. Bene il Perugia, che torna al successo superando per 2-1 l’Entella, male la Pro Vercelli che cade in rimonta (2-1) a Vicenza. Il Catania riscatta lo scivolone di Avellino battendo 2-1 il Varese. In coda ritrova il sorriso il Pescara che espugna nel finale (1-3) Brescia. Strappa, infine, un punto prezioso (1-1) il Latina al Tombolato nello scontro diretto con il Cittadella. Il programma si chiuderà lunedì sera con il posticipo Bari-Ternana.
Serie B, il Carpi resiste a Bologna. Il Frosinone vola in vetta
BOLOGNA-CARPI 0-0
Al Bologna non basta una gara costantemente all'attacco per vincere il derby con il Carpi e onorare la memoria di Ingesson, ricordato con un bel applauso nel pre-partita dai 20mila tifosi accorsi al Dall'Ara e dai vecchi compagni di squadra. I felsinei vanno a più riprese vicini al gol con Bessa, Laribi, Ceccarelli e Zuculini nel primo tempo e poi per due volte con il subentrato Improta nella ripresa. Il Carpi resiste e ringrazia soprattutto Gabriel, autore di almeno tre interventi decisivi.

FROSINONE-TRAPANI 4-1
Con una tripletta di Curiale, il Frosinone spazza via il Trapani e si gode la vetta della classifica. Gli ospiti iniziano bene ma mancano il vantaggio con Abate e Nadarevic. I laziali ringraziano e alla prima vera occasione, al 42', sbloccano il risultato con un gran destro da 25 mt di Gucher. Il Trapani accusa il colpo e, in avvio di ripresa (53'), incassa il 2-0 da Curiale che, lanciato sul filo del fuorigioco da Gori, batte Marcone, subentrato all'infortunato Gomis, con un preciso destro a fil di palo. La squadra di Boscaglia ha un sussulto d'orgoglio e al 61' riapre l'incontro con Mancosu che trasforma un rigore concesso dall'arbitro Ghersini per un fallo di Blanchard su Abate. Il Frosinone non trema e, nel finale, in 11 contro 10 per l'espulsione (66') di Aramu per somma di ammonizioni, chiude i conti con altre due reti di Curiale. L'ex attaccante del Grosseto prima (78')  tocca sulla linea di porta un sinistro di Dionisi destinato comunque a infilarsi in rete e poi (91') scavalca Marcone in uscita con un morbido pallonetto in contropiede.

Sassuolo-Milan 4-3: l'uragano Berardi travolge i rossoneri

Sassuolo-Milan 4-3: l'uragano Berardi travolge i rossoneri

Clamorosa sconfitta per 4-3 della squadra di Allegri al Mapei Stadium: gli ospiti vanno sul 2-0 al 13' con Robinho e Balotelli, poi si scatena l'attaccante neroverde, classe 1994, il più giovane a segnare 4 reti in una partita in A. Inutile il forcing finale e il gol di Montolivo. Esordio di Honda, che colpisce il palo
di ANTONIO FARINOLA

REGGIO EMILIA - Il ciclone Berardi si abbatte sul Milan. Clamoroso 4-3 a Reggio Emilia dove il piccolo Sassuolo, sotto di due reti, ha saputo rimontare e schiantare il Milan nel posticipo domenicale dell'ultima giornata d'andata, uscendo dalla zona rossa della classifica e salvando, almeno per il momento, la panchina di Di Francesco. Un poker, quello del giovanissimo attaccante calabrese, che lo inserisce di diritto nei libri di storia del calcio italiano. Berardi, classe '94, infatti, è il più giovane calciatore della storia del calcio italiano ad aver segnato quattro gol in un'unica partita. Il talentuoso attaccante neroverde, il cui cartellino è per metà della Juventus, non è nuovo a questo genere di imprese: già il 3 novembre scorso era stato protagonista a Marassi contro la Sampdoria segnando una storica tripletta nella vittoria emiliana. 

MILAN, DIFESA DA INCUBO - Un duro, durissimo colpo per il Milan di Massimiliano Allegri che in 47' tra primo e secondo tempo viene preso a schiaffi in faccia dal giovane talento italiano. Una sconfitta che brucia, quella rimediata da Kakà e compagni convinti di tornare a Milano con punti fondamentali per la corsa all'Europa League, soprattutto dopo lo 0-2 iniziale targato Robinho-Balotelli. L'Europa per ora resta sempre lontana 10 lunghezze. Passa così in secondo piano l'esordio in maglia rossonera di Honda che pur si è mosso bene anche se a tratti è apparso spaesato nella manovra offensiva milanista. Il giapponese ha anche 

 

sfiorato il gol in un paio di occasioni, andando vicinissimo alla gioia personale negata poi solo dal palo. Resta da capire cosa sia successo al Milan oggi. L'approccio alla gara è stato imponente, poi il doppio vantaggio ha letteralmente paralizzato gli uomini di Allegri. Davvero pessima la prova della coppia centrale Bonera-Zapata con Mexes e il nuovo arrivato Rami ad assistere in panchina. E' ora che la società capisca che bisogna intervenire in difesa e non in attacco dove tra Honda, Kakà, Robinho, Balotelli, Matri, Pazzini ed El Shaarawy c'è un sovraffollamento. 

SASSUOLO E DI FRANCESCO PERFETTI - Impeccabile, invece, il Sassuolo di Di Francesco che ritrova il sorriso dopo quattro sconfitte consecutive e soprattutto si gode il suo baby-gioiello finito in Emilia quasi per caso durante la sessione del mercato estivo e ora quanto mai titolare inamovibile. Può tornare a sorridere anche il tecnico che rischiava l'esonero in caso di sconfitta. Certo la fortuna nel finale ci ha messo del suo quando i rossoneri hanno colpito un palo con Honda e una traversa con Pazzini, ma anche la dea bendata è parte integrante dello sport e questa sera ha premiato sicuramente i migliori. Ai neroverdi va il merito di aver reagito all'uno-due a freddo del Milan e di averci creduto fino alla fine, difendendo con le unghie e con i denti questi tre punti fondamentali per la corsa alla salvezza. 

BERARDI SHOW - C'è freddo e nebbia a Reggio Emilia, ma il Mapei Stadium è infuocato. Ad accendere gli spalti ci pensa il Milan dopo appena 9' con Robinho che, servito al limite da De Jong, entra in area e con un diagonale apre le marcature. Il raddoppio arriva dopo pochi minuti grazie a un pallone recuperato ai 20 metri da Cristante: il giovane centrocampista rossonero arriva sul fondo e serve agli 11 metri Balotelli che di potenza infila un rigore in movimento. Lo 0-2 dopo neanche 13' ha un effetto soporifero sul Diavolo, in particolare sulla difesa. Al quarto d'ora, infatti, Berardi scatta sul filo del fuorigioco, salta Abbiati in uscita, e accorcia le distanze. Poco prima della mezz'ora Bonera si addormenta su un lancio lungo per Zaza che diventa buono ancora per Berardi, questa volta il n.25 neroverde batte Abbiati sul primo palo. I padroni di casa spingono, vanno vicino al clamoroso vantaggio con Zaza su punizione, poi al 41' è ancora l'attaccante di proprietà della Juventus ad anticipare tutti su un cross dalla sinistra di Longhi e mettere a segno la personale tripletta e il meritato sorpasso del Sassuolo. 

INUTILE L'ASSALTO FINALE - Nella ripresa ti aspetti una reazione del Milan e, invece arriva il poker personale di Berardi (altra dormita di Bonera con la partecipazione di De Jong). Il n.25 neroverde si inserisce bene in area su un traversone dalla sinistra di Kurtic e infila ancora una volta Abbiati. Allegri è una furia quando i suoi rischiano di prendere il quinto gol così nel giro di pochi minuti manda nella mischia Montolivo, Pazzini e Honda. L'assetto iper-offensivo dei rossoneri costringe il Sassuolo a chiudersi a riccio di fronte alla porta difesa da Pegolo. L'estremo difensore emiliano ci mette i pugni al 25' su una conclusione da fuori di Montolivo, poi d'istinto salva su una deviazione sotto porta di Pazzini servito da Kakà subito dopo il palo colpito da Honda. Al 41', però, Pegolo capitola su un'altra conclusione da fuori di Montolivo che si infila nell'angolino basso alla destra del portiere. Allo scadere il n.1 emiliano vola a deviare su un colpo di testa di Balotelli, sulla ribattuta Pazzini di testa colpisce in pieno la traversa a porta praticamente vuota. E' l'ultima emozione di una gara assolutamente incredibile. 

SASSUOLO-MILAN 4-3 (3-2)
SASSUOLO
 (4-3-3): Pegolo 6.5; Gazzola 7, Antei 6.5, Ariaudo 6.5, Longhi 6.5; Chibsah 6.5, Magnanelli 6, Kurtic 6.5 (42'st Marzorati sv); Berardi 10 (33'st Schelotto sv), Zaza 6.5 (39'st Floro Flores sv), Ziegler 6. In panchina: Pomini, Rosati; Pucino, Valeri, Missiroli, Gomes, Farias, Gliozzi. Allenatore: Di Francesco
MILAN (4-3-2-1): Abbiati 5; De Sciglio 5, Zapata 4.5, Bonera 4, Emanuelson 5; Cristante 5.5 (10'st Pazzini 5.5), De Jong 5, Nocerino 5 (10'st Montolivo 6); Kaka 5.5, Robinho 5 (20'st Honda 6); Balotelli 5.5 In panchina: Gabriel, Coppola, Zaccardo, Silvestre, Mexes, Rami, Saponara, Poli, Matri. Allenatore: Allegri
ARBITRO: De Marco di Chiavari
RETI: 9'pt Robinho, 13'pt Balotelli, 15'pt, 28'pt, 40'pt, 2'st Berardi; 41'st Montolivo
NOTE: serata fredda e nebbiosa. Ammoniti: Bonera, Balotelli, Antei, Ziegler, Zaza, Gazzola, Pegolo, De Sciglio. Angoli: 3-3. Recupero: 0'; 5'.


Fiat in difficoltà in Borsa sui dati deludenti delle immatricolazioni

Il mercato dell'auto è tornato in rosso dopo cinque mesi: a maggio le immatricolazioni sono state 131.602 contro le 136.850 dello stesso mese del 2013, in calo del 3,83%. Ancora più negativo il dato Fiat (-11%) che scende di nuovo sotto la quota mercato del 30%

MILANO - Fiat in calo a Piazza Affari, dopo la delusione per i dati sulle immatricolazioni italiane di maggio (segui il titolo in diretta). I titoli stanno trascinando in basso anche le exor (segui in diretta).

Ieri a mercato chiuso il ministero dei trasporti ha comunicato che nel mese di maggio in Italia sono state immatricolate 131.062 vetture, il 3,8% in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Così dopo cinque mesi di rialzo delle vendite di auto, il mercato è tornato a soffrire, mandando in fumo anche le speranze per la ripresa. Fiat Chrysler ha fatto peggio, registrando un calo delle vendite dell'11%, con 36.720 vetture immatricolate.

La quota del lingotto si è di nuovo portata sotto la soglia del 30%, passando dal 30,16% del maggio 2013 al 27,9% del maggio 2014. In particolare sono andati male i brand Alfa Romeo (-18,86%), Fiat (-12,40%) e Lancia (-6,27%). L'unica nota positiva è stata la performance del marchio Jeep, che con quasi 900 immatricolazioni ha vantato un +70,48%. La casa auto è però andata bene negli Stati Uniti, dove lo scorso maggio le vendite del marchio fiat sono cresciute del 18%.